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Privilegi e/o vitalizi, uguali per tutti?

Inviato: sab mag 23, 2015 3:10 pm
da panorama
avete visto Domenica 17 maggio 2015 la puntata de: L'Arena che parla anche dei tagli?

Potete rivedere la puntata sul sito ufficiale.

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ORDINANZA COLLEGIALE ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1T ,numero provv.: 201507139,
- Public 2015-05-15 -


N. 07139/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04466/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 4466 del 2015, proposto da:

OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso Studio Legale Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;

contro
Regione Lazio, rappresentata e difesa dagli avv. Nicola Sabato e Stefania Ricci, domiciliata in Roma, Via Marcantonio Colonna, 27; Consiglio Regionale del Lazio;

per l'annullamento
atti della Regione Lazio applicativi dell'art. 9 bis della legge regionale Lazio n. 4/2013, come introdotto dall'art. 7, comma 3, della l.r. n. 12/2014 (riduzione assegno vitalizio);

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015 il dott. Antonino Savo Amodio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato che sussistono fondati dubbi in ordine alla giurisdizione del giudice amministrativo a decidere sulla controversia azionata, atteso, altresì, che il precedente invocato da parte ricorrente – l’ordinanza n. 5715/2015 di questo Tribunale – riguarda una fattispecie del tutto diversa da quella in esame, venendo in quella sede in evidenza una questione concernente un rapporto di pubblico impiego, in ordine al quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) dichiara inammissibile l’istanza cautelare proposta in relazione al ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Rita Tricarico, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/05/2015

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ORDINANZA COLLEGIALE ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201505715,
- Public 2015-04-17 -


N. 05715/2015 REG.PROV.COLL.
N. 11438/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 11438 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avv. Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Federico Sorrentino in Roma, Lungotevere delle Navi, 30;

contro
Segretario Generale della Corte dei Conti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Corte dei Conti, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

Inps-Gestione ex Inpdap, rappresentato e difeso dall'avv. Dario Marinuzzi, con domicilio eletto presso i propri uffici legali in Roma, Via Cesare Beccaria, 29;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Luciani, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Massimo Luciani in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9;

per l'annullamento
delle comunicazioni aventi tutte ad oggetto "comunicazione ai fini dell'applicazione del limite retributivo". Sospensione emolumenti mese di giugno 2014.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Segretario Generale della Corte dei Conti, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Corte dei Conti e dell’Inps-Gestione ex Inpdap;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 il dott. Raffaello Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto:

1 - Che con il ricorso in epigrafe, proposto da ex consiglieri della Camera dei deputati e del Senato nominati dal Governo consiglieri della Corte dei conti ai sensi dell'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, vengono impugnate le comunicazioni del Segretariato generale della Corte dei conti n. 2739-13/06/2014-TEQMAG-C3- P; n. 2741-13/06/2014-TEQMAG-C3-P; n. 2743-13/06/2014-TEQMAG¬C3-P; n. 2744-13/06/2014-TEQMAG-C3-P; n. 2740-13/06/2014- TEQMAG-C3-P; n. 2745-13/06/2014-TEQMAG-C3-P; 2746-13/06/2014- TEQMAG-C3-P; 2742-13/06/2014-TEQMAG-C3-P che hanno disposto, in dichiarata applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, che dal mese di giugno 2014 il Segretariato si asterrà dal corrispondere gli importi relativi agli emolumenti mensili connessi al servizio prestato in qualità di magistrato della Corte dei conti", precisando che, poiché l'Amministrazione ha già versato - nelle more del procedimento volto ad acquisire le informazioni necessarie - somme eccedenti il tetto previsto dalla succitata disposizione, entrata in vigore il 1° gennaio 2014, i ricorrenti dovranno restituire tali somme secondo modalità da stabilirsi.

Vengono altresì impugnati tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare, la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3 del 2014, concernente le modalità di applicazione delle predette norme.

Con i motivi aggiunti vengono poi impugnate le note, in data 29 ottobre 2014, con le quali il Segretariato generale della Corte dei conti, in attuazione dei provvedimenti impugnati, ha dettato modalità e tempi per il recupero delle somme percepite a titolo di retribuzione dai ricorrenti nel periodo 10 gennaio-31 maggio 2014.

I ricorrenti chiedono inoltre l'accertamento del diritto a percepire, nella loro interezza, gli emolumenti connessi al servizio prestato come magistrati della Corte dei conti, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali e degli accantonamenti per il trattamento di fine servizio (TFS), con la conseguente condanna dell'Amministrazione al versamento ed alla restituzione delle somme nelle more indebitamente trattenute e/o recuperate;

2 – Che il contenzioso in esame concerne le vicende applicative successive all'art. 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale stabilisce, al comma 1, primo periodo, che "con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione";

3 – Che, in attuazione della citata disposizione, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato il decreto 23 marzo 2012 che, all'art. 3, stabilisce che "a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza […] non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora superiore, si riduce al predetto limite".

Successivamente, l'art. 1, comma 489, della 1. 27 dicembre 2013, n.147, ha previsto che "ai soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici (…) non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il limite” e che “Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive”, facendo peraltro salvi “i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi". L'ultimo periodo della disposizione prevede che "gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti". Infine, l'art. 13 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, ha stabilito che "a decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, è fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente";

4 - Che i ricorrenti affermano l’illegittimità degli atti impugnati deducendo gli otto motivi di ricorso di seguito sintetizzati:

1) violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, che limita la propria applicazione ai "soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche", mentre i ricorrenti beneficiano di un trattamento di quiescenza erogato direttamente dalla Camera dei deputati e dal Senato, i quali non potrebbero essere considerati (né accomunati alle) "gestioni previdenziali pubbliche" richiamate dalla legge;

2) violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, sotto altro profilo, non avendo l'Amministrazione applicato la deroga concernente "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", nonostante la condizione dei ricorrenti di pubblici funzionari già in carica all'entrata in vigore della previsione di legge;

3) in via subordinata, illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, se interpretato nel senso di escludere i ricorrenti dall'ambito della descritta deroga riferita ai "contratti e gli incarichi in corso" al servizio della P.A., per violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, in ragione di un trattamento irragionevolmente deteriore per i ricorrenti rispetto a quello degli altri funzionari e dipendenti al servizio delle pubbliche Amministrazioni, nonché un'irragionevole lesione del legittimo affidamento dei ricorrenti stessi (tutelato dall'art. 6 CEDU), non giustificato né sul piano del contenimento della spesa pubblica, né da altro interesse di pregio costituzionale;

4) ancora in via subordinata, illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 489, della 1. n. 147 del 2013 (nell'interpretazione datane dalla P.A. resistente), per violazione degli artt. 3, 4, 36, 53, 97, 100, 101, 104 e 108 Cost. in quanto il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporta la forte decurtazione o l’azzeramento della remunerazione della loro funzione di consigliere della Corte dei conti svolta dai ricorrenti risulti fortemente decurtata, se non addirittura azzerata, in violazione degli artt. 4 e 36 Cost.

La medesima decurtazione della remunerazione determinerebbe altresì un vulnus allo status di indipendenza ed autonomia dei magistrati (anche contabili), protetto dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost.

Inoltre, ciò corrisponderebbe all'imposizione di un prelievo fiscale speciale, illegittimo perché violativo degli artt. 3 e 53 Cost. Infine, essendo, ex art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, riservata a coloro che hanno già conseguito (quantomeno) la qualifica di direttore generale e ispettore generale nell'Amministrazione statale (o equivalenti), la nomina a consigliere della Corte dei conti cade naturaliter su persone che hanno già maturato il diritto al trattamento di quiescenza. La disposizione in esame risulterebbe pertanto irragionevolmente contraddittoria in violazione dell’art. 97 Cost., penalizzando e disincentivando l'assunzione nei ruoli della magistratura contabile dei migliori curricula disponibili, relativi a funzionari che, inevitabilmente, sconterebbero i più forti effetti del limite al cumulo tra trattamento di quiescenza di cui alla disposizione in esame;

5) ancora, illegittimità dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per violazione degli artt. 3, 36 e 38 Cost., dato che alla diminuzione o alla mancata corresponsione della retribuzione consegue la decurtazione dei contributi previdenziali e, quindi, del trattamento pensionistico derivante dall'accumulo di tale montante contributivo;

6) illegittima applicazione in senso retroattivo dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, dato che gli atti impugnati, adottati solo nel giugno del 2014, hanno prodotto effetti a far data dal gennaio 2014;

7) violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per aver ritenuto rilevanti, ai fini del tetto massimo degli emolumenti percepibili, anche le indennità integrativa speciale e giudiziaria di cui all'art. 3 della I. n. 27 del 1981, nonostante non abbiano natura retributiva;

8) violazione, sotto altro profilo, dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, per aver calcolato il trattamento di quiescenza corrisposto dal Senato al lordo del contributo di solidarietà imposto dall'art. 2, comma 5, del decreto del Presidente del Senato n. 11246 del 2008;

5 – Che con atto depositato in data 15 dicembre 2014, i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti di ricorso intesi a censurare gli ulteriori atti applicativi del citato art. 1, comma 489, legge n. 147/2013 adottati medio tempore ai fini dell'applicazione del limite al cumulo tra trattamento di quiescenza e remunerazione dell'attività lavorativa svolta al servizio della P.A. deducendo analoghe censure;

6 – Che sono altresì intervenuti in giudizio ad adiuvandum numerosi Consiglieri di Stato a seguito di nomina con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri (ex art. 19, comma 1, n. 2, della legge 27 aprile 1982, n. 186), titolari di trattamento di quiescenza erogato dalla Camera dei deputati, dal Senato o da gestioni previdenziali pubbliche, che hanno già separatamente impugnato dinnanzi al TAR i provvedimenti adottati nei loro confronti dalle proprie Amministrazioni per la limitazione del cumulo tra remunerazione delle funzioni in corso di svolgimento e il trattamento di quiescenza già maturato in dichiarata applicazione del medesimo art. 1, comma 489 della legge n. 147 del 2013,

7 – Che l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per difendere la piena legittimità e doverosità del proprio operato a termini di legge, legge le cui disposizioni vengono altresì argomentatamente ritenute scevre dai dedotti vizi di legittimità costituzionale;

8 – Che alla camera di consiglio dell'8 ottobre 2014, i ricorrenti hanno chiesto il rinvio della decisione sulle istanze cautelari alla trattazione del ricorso nel merito, e che all'esito dell’udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il ricorso è stato quindi introitato dal Collegio per la decisione;

9 – Che preliminarmente il Collegio deve dichiarare inammissibile (così come comunicato alle parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.), l’intervento ad adiuvandum spiegato da numerosi Consiglieri di Stato di nomina governativa in quanto l’intervento consentito nel processo amministrativo è quello di tipo adesivo dipendente, fatto valere dai soggetti titolari di un interesse giuridicamente rilevante, ma riflesso rispetto a quello azionato in via di principalità dal ricorrente, e non direttamente coinvolto dall’atto da quest’ultimo impugnato (Cons. St., sez. V, ord., 31 marzo 2015, n. 1687);

10 – Che, ai fini della decisione delle complesse e delicate questioni evocate dai ricorrenti, il Collegio deve esaminare partitamente le singole censure, partendo da quelle (maggiormente satisfattive dell’interesse al bene della vita azionato con il ricorso) volte a far valere la violazione della normativa di riferimento (essenzialmente, art. 1, comma 489 della legge n. 147 del 2013) in quanto non applicabile al caso in esame, per poi passare all’esame della non manifesta infondatezza delle dedotte censure di illegittimità costituzionale della medesima norma, rilevanti nel giudizio a quo solo in caso di mancato accoglimento delle precedenti censure, ai fini dell’eventuale rimessione della questione incidentale di costituzionalità alla Corte Costituzionale, dovendosi infine valutare, solo in caso di mancato accoglimento di tutte le predette censure, e quindi di legittima applicabilità della disciplina in esame, le ulteriori censure concernenti le errate ed ingiuste modalità (riferite ad esempio all’estensione alle indennità integrative speciali e giudiziarie ed al computo del contributo di solidarietà) con cui la norma sarebbe stata applicata.

11 – Che, con il primo gruppo di motivi di ricorso indicati, i ricorrenti deducono la violazione del citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, in primo luogo poiché l’Amministrazione avrebbe preteso di applicare un comma dichiaratamente destinato ai "soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche” a soggetti che invece beneficiano di un trattamento di quiescenza erogato direttamente dalla Camera dei deputati e dal Senato, i quali non possono essere considerati (né accomunati alle) "gestioni previdenziali pubbliche" richiamate dalla legge.

12 – Che il Collegio ritiene il motivo infondato, in quanto le Camere, in virtù del principio costituzionale di indipendenza ed autonomia organizzativa rispetto agli altri Poteri dello Stato, amministrano in via diretta la corresponsione ai propri dipendenti sia del trattamento retributivo che del trattamento di quiescenza, che nel caso in esame non viene specificamente toccato, facendo invece gli impugnati provvedimenti riferimento ad ulteriori compensi versati da altre Amministrazioni.

In altri termini, la previsione normativa introdotta dall’art. 23 ter del decreto-legge n. 201/2011 e rafforzata dalla legge di stabilità per il 2014 (legge 27.12.2013, n. 147, in particolare per quanto d’interesse con l'art. 1, commi 471 e ss), così come chiarito dalla definizione degli ambiti applicativi della norma risultanti dalla circolare n. 8/2012 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione e dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3/2014, è volta a limitare la soglia massima dei trattamenti retributivi e pensionistici che fanno comunque carico a risorse pubbliche, riguardando l'ambito soggettivo di applicazione del decreto tutti i titolari di rapporto di lavoro subordinato o autonomo con "le pubbliche amministrazioni ", e ciò – in un sistema pensionistico ancora essenzialmente retributivo come quello dei ricorrenti, e quindi non legato ad uno specifico rapporto sinallagmatico con i contributi versati durante la vita lavorativa – non appare né in contrasto con alcuna disposizione dell’ordinamento né irragionevole, a condizione peraltro di estendere il limite a tutti i soggetti posti nelle medesime condizioni sotto il predetto profilo, alla stregua dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, mentre le tradizionali guarentigie organizzative delle Assemblee elettive trovano nel vigente assetto costituzionale fondamento e limite nella diretta strumentalità all’esercizio della sovranità popolare (art. 1 Cost.), ed a tale riguardo non sembra che un limite massimo pensionistico comune a tutti i trattamenti posti a carico della finanza pubblica possa configurare, per il solo fatto di impedire di fatto agli ex funzionari parlamentari orami in pensione di svolgere ulteriori attività retribuite a seguito di nomina fiduciaria alla Corte dei Conti su designazione del Governo, ovvero di un altro Potere dello Stato, una lesione delle necessarie garanzie di autonomia del Parlamento;

13 – Che con le medesime censure si afferma inoltre che la predetta norma sarebbe altresì stata illegittimamente applicata ai ricorrenti sotto il profilo temporale, innanzitutto per la mancata applicazione della prevista deroga concernente "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", nonostante la loro condizione di pubblici funzionari già in carica all'entrata in vigore della nuova previsione di legge.

Secondo i ricorrenti, infatti, l’ampiezza della previsione normativa circa la deroga implica la sua applicazione sia ai contratti e rapporti di lavoro c.d. "privatizzato", sia –come nel caso in esame- al pubblico impiego non privatizzato, ponendosi in evidente parallelismo con la stessa norma istitutiva del tetto massimo di cumulo (art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha espressamente esteso l'intera disciplina del tetto massimo al "personale in regime di diritto pubblico"). Inoltre, il termine "incarico" abbraccerebbe qualunque conferimento di compiti da parte dell'Amministrazione, ivi compreso il conferimento di funzioni nell'ambito di un rapporto di impiego non privatizzato.

14 – Che la citata circolare n. 3/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri indica, viceversa, che il nuovo regime limitativo si applica a decorrere dal 1° gennaio 2014, limitandosi a chiarire l’interpretazione del dettato normativo già in vigore nella disciplina del contenimento dei trattamenti economici nel settore pubblico, mentre l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014, ha ridotto ad € 240.000 annui il limite massimo retributivo lordo solo a decorrere dal 1.05.2014.

Si è quindi in presenza, osserva il Collegio, di una questione controversa concernente non una vera e propria retroattività della legge (con tutti i conseguenti divieti e limiti costituzionali a tutela della certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza del legislatore, ampiamente affrontati anche dalla Corte Costituzionale), bensì una questione di diritto intertemporale connessa all’entrata in vigore della nuova disciplina, disposta dal legislatore – nell’ambito del legittimo esercizio della proprio spazio di discrezionalità riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale – senza la previsione di un periodo transitorio, fatta eccezione per la tassativa deroga prevista per "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", ovverosia per tutti i rapporti – indifferentemente di diritto privato o pubblico, così come affermato dai ricorrenti - che a quel momento, peraltro, non solo erano già in corso, bensì erano anche individuati da un naturale termine di “scadenza”, e non già, quindi, per l’esercizio in atto di una funzione giurisdizionale “togata” e non onoraria, ovverosia svolta a seguito dell’inserimento a pieno titolo in un plesso giurisdizionale, con la conseguente creazione di un rapporto d’ufficio caratterizzato non già da una prefissata temporaneità bensì -al contrario- dalla stabilità ed anzi dalla garanzia di inamovibilità.

15 – Che le pregresse considerazioni valgono anche a far escludere la fondatezza delle dedotte censure di irragionevolezza e di lesione dei principi comunitari e nazionali di tutela della certezza giuridica e dell’affidamento dei cittadini e di buon andamento dell’Amministrazione, atteso che –in via generale- la previsione di compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico della finanza pubblica per i singoli soggetti titolari di pubblici uffici non appare intrinsecamente illogica o negativa ai fini di una razionalizzazione della c.d. “giungla retributiva” che storicamente ha caratterizzato –secondo numerose indagini del Parlamento, del Governo e di Organi indipendenti- un’Amministrazione non sempre caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre - dal punto di vista dei singoli trattamenti retributivi oggetto del presente giudizio- all’atto dell’accettazione della nomina alla Corte dei Conti gli interessati –anche in virtù delle stesse competenze ed esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta- erano o ben potevano essere a conoscenza delle recenti misure di legge volte al contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio su iniziativa dello stesso Potere Esecutivo che li aveva proposti al nuovo incarico, di modo che –da un lato- l’accettazione non poteva non implicare la piena consapevolezza circa i prevedibili limiti al proprio compenso e – dall’altro- la proposta di nomina assolutamente fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente suscitare l’aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla sorte del proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto ciò si sarebbe tradotto in una ampissima facoltà di deroga del Governo -rispetto alle norme da esso proposte- in favore di singoli soggetti dallo stesso individuati, suscitando profili di problematica coesistenza con i principi di legalità ed uguaglianza davanti alla legge sanciti dal nostro ordinamento.

16 – Che, avendo l’Amministrazione dato legittimamente applicazione all'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 alla stregua delle pregresse considerazioni, il Collegio deve esaminare le plurime questioni di possibile illegittimità costituzionale della medesima -rilevante e delicatissima-disposizione, sollevate dai ricorrenti – ma deducibili d’ufficio ed in tal senso integrate anche dal Collegio - per la possibile violazione degli artt. 3, 4, 36, 38, 53, 97, 100, 101, 104, 108 e 117 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 6 della CEDU;

17 – Che la rilevanza delle indicate questioni di legittimità costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare dubbia alla luce dell’esposizione dei fatti di causa, atteso che i provvedimenti impugnati trovano la loro indefettibile base normativa nel citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di modo che il suo eventuale annullamento per illegittimità costituzionale comporterebbe l'illegittimità derivata degli atti amministrativi impugnati con il conseguente accoglimento del ricorso che altrimenti –alla stregua delle pregresse considerazioni- dovrebbe essere respinto, almeno per la parte di maggiore interesse e salvo passare all’esame delle parimenti impugnate specifiche modalità applicative, fermo restando –osserva altresì il Collegio- che la sopraindicata stabilità nel tempo della nomina dei ricorrenti alla Corte dei Conti radicherebbe un loro interesse strumentale anche ai fini della novazione della disciplina che seguirebbe ad una eventuale pronuncia additiva o interpretativa della Corte Costituzionale;

18 – Che ben più complesso è il vaglio della "non manifesta infondatezza" dei numerosi profili di illegittimità costituzionale sopra indicati, riservato al giudice a quo;

19 – Che non fondata appare, in primo luogo, la censura di violazione dell'art. 3 Cost. riferita al trattamento irragionevolmente deteriore e discriminatorio che la norma avrebbe riservato ai ricorrenti sia quanto all’applicazione di un tetto economico incompatibile proprio con gli stessi percorsi professionali e di carriera che ne avevano motivato la scelta per la Corte dei Conti, sia quanto alla mancata estensione nei loro confronti della deroga in sede di prima applicazione prevista solo per gli altri funzionari e dipendenti al servizio delle pubbliche Amministrazioni contrattualizzati o titolari di "incarichi" e "contratti" a tempo determinato (ma rinnovabili senza limiti).

Al riguardo i ricorrenti deducono che ogni prestazione può essere indifferentemente resa in regime pubblicistico o privatistico, ovvero sulla base di un contratto individuale o della generale disciplina delle mansioni affidate al personale appartenente ad un determinato ruolo, senza che ciò determini una diversità ontologica tra questa o quella prestazione o fra questa o quella categoria di lavoratori, né a tal fine può fungere la differente durata del rapporto, perché anche un contratto può ben essere (ed è normalmente) rinnovato a tempo indeterminato.

Al contrario, considera il Collegio che la scelta fra l'uno e l'altro regime spetta alla discrezionalità del legislatore e non è oggetto del presente giudizio, che il tetto di legge a retribuzioni e pensioni –come già sopra indicato - trova un’indefettibile condizione di legittimità costituzionale proprio nella sua generale applicabilità a tutte le analoghe fattispecie poste a carico della finanza pubblica e che l’esistenza di una deroga per i contratti in corso, pur ontologicamente diversi dalla fattispecie in esame in quanto non assistiti da specifiche garanzie di stabilità, potrebbe quindi –ove ciò fosse oggetto del giudizio- essere casomai sottoposta a vaglio costituzionale sotto il profilo dell’indebita posizione di vantaggio riservata ai beneficiari.

La questione in esame si rivela pertanto, a giudizio del Collegio, non fondata;

20 – Che, quanto al possibile profilo di illegittimità dell'art. 1, comma 489, della 1. n. 147 del 2013 per violazione del principio della tutela dell'affidamento, di cui agli artt. 3 e 117, comma 1, della Costituzione e 6 della CEDU, il Collegio osserva che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia ha espressamente chiarito che questo principio è fondamentale nell'ordinamento europeo (fra le altre, la sent. CGUE, 14 settembre 2006, cause riunite C-181/04 e C-183/04, ha sancito che "i principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario; pertanto devono essere rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati membri nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie"), mentre sul piano interno la migliore dottrina e giurisprudenza gli riconosce valenza costituzionale alla stregua dei principi di legalità (art. 1 Cost.) e di riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) in condizioni di eguaglianza davanti alla legge (artt. 3 e 97).

Al riguardo, riconosciuta la piena operatività nel nostro ordinamento del principio di tutela della certezza giuridica e del legittimo affidamento, il Collegio rinvia a quanto già osservato nell’esame della medesima questione quale possibile vizio di illegittimità nell’applicazione della stessa norma. In particolare, il nuovo generale tetto economico in esame risponde agli obiettivi d’interesse pubblico lasciati alla discrezionalità dei singoli Stati quanto al contenimento, alla trasparenza ed alla congruità della spesa pubblica, nel quadro dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione e dei principi di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, mentre la Corte costituzionale ha più volte chiarito che, salvi i limiti in materia penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non è in linea di principio precluso al legislatore intervenire per mutare la disciplina dei rapporti di durata in corso, anche con disposizioni che modificano in senso sfavorevole situazioni soggettive perfette, purché nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, che -come sopra chiarito- non appaiono violati nella fattispecie in esame (in senso conforme, Corte cost., sentt. n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997, n. 409 del 1995).

Anche la questione di legittimità ora esaminata si palesa pertanto non fondata;

21 – Che ugualmente non fondata -salvo quanto si dirà al numero successivo- è, a giudizio del Collegio, la possibile questione di legittimità per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. riferita all’effetto della disposizione in esame di trattenimento forzoso di una parte (ampia) della remunerazione dell'attività lavorativa, che corrisponderebbe all'imposizione di un prelievo fiscale speciale, ovvero di un prelievo di natura tributaria perché imposto a fini di finanza pubblica e incidente in beni materiali dei percossi, ma discriminatorio in quanto gravante solo sui pensionati titolari di incarichi o rapporti di lavoro pubblici, lasciando indenne la posizione dei pensionati che prestino servizio alle dipendenze di un datore di lavoro privato o esercitino attività libero-professionale.

Infatti, considera il Collegio, le descritte finalità di contenimento, trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica determinano, non irragionevolmente, una progressiva decurtazione, disciplinata ex lege, dei possibili ulteriori redditi al raggiungimento del tetto prefissato, indifferenziatamente applicata a tutti i compensi comunque posti a carico della finanza pubblica, senza che ciò possa generare, proprio per la sua trasversalità, indebite disparità di trattamento, divenendo quindi non rilevante, ai fini del giudizio a quo, la sua invocata qualificazione quale imposizione fiscale, che sembra comunque doversi escludere, in quanto la legge, in estrema sintesi, pone un “tetto” a regime all’erogazione a chiunque di somme a titolo retributivo e pensionistico poste a carico della finanza pubblica, anziché imporre un prelievo forzoso sulle somme percepite dal singolo interessato oltre il tetto prefissato.

22 - Che a conclusioni più articolate si presta la questione di possibile illegittimità dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per violazione degli artt. 3, 4, 36, 38 e 97 nonché dagli artt. 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, in quanto il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporta che la remunerazione della funzione di consigliere della Corte dei conti risulti fortemente ridotta o del tutto azzerata, con una corrispondente decurtazione dei contributi previdenziali e, di conseguenza, del trattamento pensionistico derivante dall'accumulo di tale montante contributivo, con la possibile violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione "proporzionata alla quantità e qualità" del lavoro prestato, potendone altresì conseguire una disparità di trattamento fra soggetti svolgenti la medesima attività, una irrazionale organizzazione amministrativa ed un indebolimento delle necessarie garanzie di indipendenza nell’esercizio delle funzioni affidate.

Al riguardo il Collegio ritiene che debba essere preso in considerazione non il pur elevatissimo standard qualitativo dell’attività svolta da funzionari pubblici in possesso di un grado di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni di servizio alle dipendenze dello Stato cariche apicali (avendo di conseguenza maturato l’elevato trattamento pensionistico “causa” del taglio del compenso), in quanto ciò potrebbe giustificare anche un incarico “onorario”, in ipotesi anche gratuito, bensì la circostanza dello svolgimento continuativo, con lo stabile ed organico inserimento nel relativo organico e con particolari garanzie di stabilità, della funzione di Consigliere della Corte dei conti, con l’assunzione da parte degli interessati di tutte le connesse prerogative e delicate e –non da oggi- rilevanti responsabilità, di natura professionale e civile, per il proprio operato.

I tratti fondamentali dell’attività professionale stabilmente svolta dai ricorrenti, a seguito della nomina alla Corte dei Conti, sotto la propria responsabilità e con pieno inserimento organico, nell’ambito di una “magistratura togata” vale dunque a configurare l’esercizio di una vera e propria e stabile attività lavorativa professionale, differenziando la fattispecie in esame dai numerosi casi di svolgimento (talvolta essenzialmente gratuito) di pubblici uffici “onorari”, di volta in volta motivati da alte e peculiari competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o da meccanismi di sorteggio nell’ambito di platee in possesso di particolari requisiti (come accade per le giurie popolari), anche ai fini dell’esercizio della sovranità popolare (come accade per i seggi elettorali);

24 – Che in tal modo la scelta dello Stato, mediante la disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del pieno apporto professionale dei ricorrenti (nulla la norma dicendo al riguardo, salve le loro eventuali dimissioni per evitare, in applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di prestare attività lavorativa non retribuita o retribuita in maniera estremamente esigua), anziché disciplinarere normativamente l’ipotesi in esame (ad esempio, prevedendo la incompatibilità o decadenza ovvero una opzione per funzioni differenziate con minore compenso o del tutto onorarie e gratuite) e al tempo stesso di “di auto-esonerarsi” in tutto o in parte dalla loro retribuzione (non ponendo la norma alcuna deroga al tetto a tale riguardo), pur avendo esso Stato chiesto agli interessati di svolgere tale funzione mediante la proposta di nomina alla funzione (retribuita) di Consigliere della Corte dei Conti –dichiaratamente motivata dalla loro eccellenza professionale in ragione della delicatezza e quindi dell’impegno delle funzioni da svolgere- appare costituzionalmente irragionevole, con la conseguente possibile violazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, quanto al diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità (oltreché alla qualità) del lavoro, nonché, indirettamente, dell’articolo 38 della Costituzione, in quanto la drastica riduzione o addirittura l'azzeramento della retribuzione – e quindi della relativa contribuzione - precludono la conseguente implementazione della tutela assistenziale e previdenziale garantita dall'ordinamento;

24 - Che medesime considerazioni conducono a far ritenere la possibile violazione degli articoli 3, primo comma, e 97 della Costituzione, sotto un duplice profilo –diverso ed ulteriore rispetto a quelli esaminati ai punti precedenti- in quanto, premessa la determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso ovvero di nomina governativa, la disposizione di legge che pone il tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia nell’ambito di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi di retribuzione a seguito del raggiungimento del tetto, senza disciplinare la loro sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile di determinare, da un lato, una ingiustificata disparità di trattamento quanto alla retribuzione ovvero mancata retribuzione della medesima attività professionale, e, dall’altro, una irragionevole organizzazione contraria al buon andamento amministrativo mediante l’indifferenziato affidamento, a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito, di funzioni di dichiarata rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che anche la retribuzione dei funzionari pubblici deve rispondere –alla stregua del Trattato, della Convenzione europea e degli articoli 36 e 97 della Costituzione, ad un rapporto sinallagmatico (“proporzionato”) riguardo alla quantità e qualità del lavoro svolto, non potendo quindi essere considerati fungibili il trattamento pensionistico per un’attività precedente e il compenso per un’attività in atto, ove consentita nell’ambito dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione;

25 – Che a giudizio del Collegio sembra potersi parimenti dedurre la violazione dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., quanto al possibile vulnus allo status di indipendenza ed autonomia dei magistrati, protetto dalle predette disposizioni costituzionali. Infatti, la Corte costituzionale, nel decidere questioni concernenti norme aventi ad oggetto la retribuzione e la disciplina dell'adeguamento retributivo dei magistrati, ha affermato che l'indipendenza degli organi giurisdizionali si realizza anche mediante l’apprestamento di garanzie circa lo status dei componenti concernenti, fra l'altro, la progressione in carriera ed il trattamento economico (così, fra le altre, sentenza n. 1 del 1978) che, in un assetto costituzionale dei poteri dello Stato che vede la magistratura come ordine autonomo ed indipendente, non possono esaurirsi in un mero rapporto di lavoro, in cui il contraente-datore di lavoro possa al contempo essere parte e regolatore di tale rapporto (Corte cost., sent. n. 223 del 2012).

26 - Che l’accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della predetta questione incidentale di legittimità costituzionale del citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 nei termini sopra evidenziati determina la necessità di rimettere gli atti di causa alla Corte Costituzionale sospendendo il presente giudizio fino alla sua decisione, ed esime il Collegio, allo stato, dal procedere all’esame delle ulteriori censure sopra individuate, che, riguardando le modalità applicative della norma quanto alla individuazione del “tetto” ed alle sue conseguenze sul piano contributivo-previdenziale, risponderanno ad un interesse attuale dei ricorrenti solo ove risulti possibile applicare legittimamente la disposizione sopraindicata alle fattispecie oggetto del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),

pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni altra pronuncia nel merito e sulle spese, previa declaratoria di inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, meglio evidenziata ai punti da 21 a 24 della premessa, dell'art. 1, comma 489, della 1. 27 dicembre 2013, n.147 in relazione agli articoli 3, 4, 36, 38, 97, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione.

Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Riserva al definitivo ogni statuizione in rito, nel merito e sulle spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
Ivo Correale, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015