Riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957
Inviato: gio mag 29, 2014 5:18 pm
Ispettore capo della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° dicembre 2007, riferisce che nel corso della carriera gli erano state comminate due sanzioni disciplinari:
1) - Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.
2) - Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
IL TAR scrive (ecco alcuni brani):
3) - Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.
4) - Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.
Il resto leggetelo qui sotto.
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26/05/2014 201400245 Sentenza 1
N. 00245/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00516/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 516 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Pescara, via L'Aquila, 9;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo c/ S. Domenico;
per l'annullamento
del decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente; nonchè degli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il dott. Michele Eliantonio e udito l'avv. OMISSIS per la parte ricorrente; nessuno comparso per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’attuale ricorrente, Ispettore capo della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° dicembre 2007, riferisce che nel corso della carriera gli erano state comminate due sanzioni disciplinari:
- la prima, il 21 luglio 1997 (pena pecuniaria di 1/30) per aver subito presso la propria abitazione il furto della pistola d’ordinanza;
- la seconda, il 16 agosto 2005 (pena pecuniaria di 1/30) per aver smarrito il portatessere in dotazione, con il relativo contenuto.
Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.
Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
Nell’impugnare anche tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato, ha dedotto le seguenti censure:
1) che, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”), l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto, dato che i requisiti di ammissione al beneficio non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale;
2) che il predetto parere della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato era illegittimo in quanto in circa due ore erano state esaminate 113 istanze ed in quanto aveva partecipato a tale Commissione il dr. OMISSIS, che già aveva espresso parere negativo in sede di esame dell’istanza del ricorrente da parte del Consiglio centrale di disciplina.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, depositando oltre a tutti gli atti del procedimento anche una relazione dell’Amministrazione in ordine alle censure dedotte.
Con ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito.
Alla pubblica udienza del 22 maggio 2014 il difensore del ricorrente ha dichiarato che allo stato l’Amministrazione non aveva ancora assunto alcun ulteriore provvedimento in ottemperanza al predetto ordine di riesame. La causa è stata, quindi, trattenuta a decisione.
DIRITTO
L’art. 87 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, dispone testualmente che “trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di «ottimo», possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa”.
Con il ricorso in esame - come sopra esposto - è stato impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente.
Tale atto impugnato è motivato con riferimento unicamente alla considerazione che non vi era stato “un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
Tale motivazione posta a sostegno dell’atto impugnato non si sottrae, ad avviso del Collegio, alle censure di legittimità dedotte con il gravame e con le quali l’istante si è nella sostanza lamentato del fatto che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio, avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto.
Va al riguardo premesso che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la riabilitazione - così come anche la riammissione in servizio - costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della P.A. che sfugge al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, purché non sia inficiata da evidenti vizi logici; perciò la latitudine della discrezionalità di pertinenza dell’Amministrazione, chiamata a valutare comparativamente l’interesse del richiedente con gli interessi pubblici coinvolti, restringe il sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità entro i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. I, parere n. 366/2014 del 31/01/2014).
In altri termini, l’Amministrazione, in sede di esame di istanze come quella ora all’esame, gode di una discrezionalità particolarmente ampia, che non può neanche ritenersi confinata al vaglio delle condotte tenute dall’istante negli ultimi due anni, dovendo essere contestualmente tenute presenti anche la natura e gravità della precedente condotta del dipendente che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare (Cons. St, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6922). E sul piano processuale ciò comporta, secondo principi consolidati, che il sindacato al riguardo esperibile dal giudice amministrativo resta confinato al riscontro di eventuali profili di abnormità e illogicità manifeste, essendo esclusa ogni possibilità di invadere il merito del giudizio riservato all’autorità amministrativa.
Ciò detto, va anche ricordato che in via generale la richiesta dell’Amministrazione di attendere un periodo di tempo maggiormente congruo per dimostrare concretamente l’eventuale riacquisizione, da parte di un dipendente sottoposto a sanzione disciplinare, di quelle spiccate qualità morali che sono richieste ad ogni appartenente alla Polizia di Stato costituisce espressione di un apprezzamento ampiamente discrezionale che la p.a. compie, suscettibile - come già detto - di essere sindacato solo per manifesta illogicità od irrazionalità (Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8285).
Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.
Ora, essendo il ricorrente in possesso di tali requisiti, ad avviso del Collegio, l’Amministrazione non avrebbe potuto negare il beneficio richiesto perché non vi era stato “un adeguato periodo di servizio”, nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”, dato che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale avrebbe dovuto in realtà valutare in concreto le qualità morali e la complessiva condotta del dipendente.
Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.
In definitiva, ritiene il Collegio che la predetta motivazione, proprio perche relativa ad un dipendente in quiescenza, sia manifestamente illogica ed irrazionale in quanto non potrà mai dimostrare alcun ulteriore “ravvedimento”, dato che non possono essere inflitte sanzioni disciplinari al personale non più in servizio, dal momento che l’Amministrazione mantiene il potere di concludere i procedimenti disciplinari anche nei riguardi di dipendenti collocati in quiescenza solo in ipotesi del tutto particolari (come il valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare).
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato; mentre restano, ovviamente, salve le ulteriori ed, in ipotesi, meglio motivate determinazioni che l’Amministrazione dovrà adottare in merito.
Sussistono, infine, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre una parziale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato del decreto del 10 ottobre 2013 del Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno
Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento a favore del ricorrente delle spese e degli onorari di giudizio che, per la parte non compensata, liquida nella complessiva somma di € 2.000 (duemila), oltre agli accessori di legge (spese generali, IVA e CAP) ed al rimborso del contributo unico se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente, Estensore
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/05/2014
1) - Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.
2) - Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
IL TAR scrive (ecco alcuni brani):
3) - Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.
4) - Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.
Il resto leggetelo qui sotto.
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26/05/2014 201400245 Sentenza 1
N. 00245/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00516/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 516 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Pescara, via L'Aquila, 9;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo c/ S. Domenico;
per l'annullamento
del decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente; nonchè degli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il dott. Michele Eliantonio e udito l'avv. OMISSIS per la parte ricorrente; nessuno comparso per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’attuale ricorrente, Ispettore capo della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° dicembre 2007, riferisce che nel corso della carriera gli erano state comminate due sanzioni disciplinari:
- la prima, il 21 luglio 1997 (pena pecuniaria di 1/30) per aver subito presso la propria abitazione il furto della pistola d’ordinanza;
- la seconda, il 16 agosto 2005 (pena pecuniaria di 1/30) per aver smarrito il portatessere in dotazione, con il relativo contenuto.
Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.
Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
Nell’impugnare anche tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato, ha dedotto le seguenti censure:
1) che, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”), l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto, dato che i requisiti di ammissione al beneficio non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale;
2) che il predetto parere della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato era illegittimo in quanto in circa due ore erano state esaminate 113 istanze ed in quanto aveva partecipato a tale Commissione il dr. OMISSIS, che già aveva espresso parere negativo in sede di esame dell’istanza del ricorrente da parte del Consiglio centrale di disciplina.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, depositando oltre a tutti gli atti del procedimento anche una relazione dell’Amministrazione in ordine alle censure dedotte.
Con ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito.
Alla pubblica udienza del 22 maggio 2014 il difensore del ricorrente ha dichiarato che allo stato l’Amministrazione non aveva ancora assunto alcun ulteriore provvedimento in ottemperanza al predetto ordine di riesame. La causa è stata, quindi, trattenuta a decisione.
DIRITTO
L’art. 87 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, dispone testualmente che “trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di «ottimo», possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa”.
Con il ricorso in esame - come sopra esposto - è stato impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente.
Tale atto impugnato è motivato con riferimento unicamente alla considerazione che non vi era stato “un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.
Tale motivazione posta a sostegno dell’atto impugnato non si sottrae, ad avviso del Collegio, alle censure di legittimità dedotte con il gravame e con le quali l’istante si è nella sostanza lamentato del fatto che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio, avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto.
Va al riguardo premesso che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la riabilitazione - così come anche la riammissione in servizio - costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della P.A. che sfugge al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, purché non sia inficiata da evidenti vizi logici; perciò la latitudine della discrezionalità di pertinenza dell’Amministrazione, chiamata a valutare comparativamente l’interesse del richiedente con gli interessi pubblici coinvolti, restringe il sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità entro i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. I, parere n. 366/2014 del 31/01/2014).
In altri termini, l’Amministrazione, in sede di esame di istanze come quella ora all’esame, gode di una discrezionalità particolarmente ampia, che non può neanche ritenersi confinata al vaglio delle condotte tenute dall’istante negli ultimi due anni, dovendo essere contestualmente tenute presenti anche la natura e gravità della precedente condotta del dipendente che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare (Cons. St, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6922). E sul piano processuale ciò comporta, secondo principi consolidati, che il sindacato al riguardo esperibile dal giudice amministrativo resta confinato al riscontro di eventuali profili di abnormità e illogicità manifeste, essendo esclusa ogni possibilità di invadere il merito del giudizio riservato all’autorità amministrativa.
Ciò detto, va anche ricordato che in via generale la richiesta dell’Amministrazione di attendere un periodo di tempo maggiormente congruo per dimostrare concretamente l’eventuale riacquisizione, da parte di un dipendente sottoposto a sanzione disciplinare, di quelle spiccate qualità morali che sono richieste ad ogni appartenente alla Polizia di Stato costituisce espressione di un apprezzamento ampiamente discrezionale che la p.a. compie, suscettibile - come già detto - di essere sindacato solo per manifesta illogicità od irrazionalità (Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8285).
Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.
Ora, essendo il ricorrente in possesso di tali requisiti, ad avviso del Collegio, l’Amministrazione non avrebbe potuto negare il beneficio richiesto perché non vi era stato “un adeguato periodo di servizio”, nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”, dato che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale avrebbe dovuto in realtà valutare in concreto le qualità morali e la complessiva condotta del dipendente.
Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.
In definitiva, ritiene il Collegio che la predetta motivazione, proprio perche relativa ad un dipendente in quiescenza, sia manifestamente illogica ed irrazionale in quanto non potrà mai dimostrare alcun ulteriore “ravvedimento”, dato che non possono essere inflitte sanzioni disciplinari al personale non più in servizio, dal momento che l’Amministrazione mantiene il potere di concludere i procedimenti disciplinari anche nei riguardi di dipendenti collocati in quiescenza solo in ipotesi del tutto particolari (come il valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare).
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato; mentre restano, ovviamente, salve le ulteriori ed, in ipotesi, meglio motivate determinazioni che l’Amministrazione dovrà adottare in merito.
Sussistono, infine, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre una parziale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato del decreto del 10 ottobre 2013 del Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno
Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento a favore del ricorrente delle spese e degli onorari di giudizio che, per la parte non compensata, liquida nella complessiva somma di € 2.000 (duemila), oltre agli accessori di legge (spese generali, IVA e CAP) ed al rimborso del contributo unico se versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente, Estensore
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/05/2014