Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Inviato: mar feb 11, 2014 3:32 pm
diritto del padre alla fruizione dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre fosse casalinga.
istituto dei permessi parentali
testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Ricorso al TAR perso.
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06/02/2014 201400222 Sentenza 2
N. 00222/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00448/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 448 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall’avv. Emanuela Mazzola, domiciliato ex lege presso la segreteria del T.A.R. Liguria in Genova, via dei Mille, 9;
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza del ricorrente volta all’ottenimento dei riposi di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001, nonché di ogni atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale a quello impugnato,
nonché per il riconoscimento, in capo all’odierno ricorrente, del diritto ad ottenere il beneficio di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001 e dunque a fruire di ore due di riposo giornaliero, con la condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è un assistente della polizia di Stato, in servizio presso ........
Con istanza del 16 novembre 2012, chiedeva che gli fossero concesse due ore di riposo giornaliero, ai sensi degli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001, a decorrere dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio (cioè dal 28 gennaio 2013) e fino al compimento del primo anno di età.
Come riferito dall’istante, la moglie lavorava con contratti a termine ed era attualmente collocata in maternità obbligatoria, fino al compimento del terzo mese di vita del figlio, in attesa di occupazione dal giorno successivo.
A supporto della propria richiesta, il dipendente richiamava recenti pronunce giurisprudenziali e circolari interpretative che, modificando l’orientamento consolidato, avevano riconosciuto il diritto del padre alla fruizione dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre fosse casalinga.
Il richiedente precisava, altresì, che la presenza paterna si sarebbe resa necessaria in quanto la moglie era impegnata nella cura del figlio primogenito, avente poco più di un anno di età, e che, comunque, egli avrebbe immediatamente interrotto la fruizione dei riposi nel caso di reperimento di un nuovo contratto di lavoro da parte della moglie.
La richiesta è stata respinta con provvedimento del 12 dicembre 2012, notificato all’interessato il 15 gennaio 2013, nel quale si afferma che la fruizione dei riposi da parte del padre sarebbe possibile nel solo caso in cui vi rinunci la madre lavoratrice, non qualora la madre sia nella condizione di “casalinga”.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 20 marzo 2013 e depositato il 17 aprile 2013, l’interessato ha impugnato il diniego su indicato, chiedendo che venga anche accertato il suo diritto a fruire del beneficio previsto dall’art. 40, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 151/2001, e che l’amministrazione sia condannata al risarcimento dei danni cagionati dal diniego illegittimo, da quantificarsi in relazione alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Con l’unico motivo di ricorso, l’esponente contesta, sulla scorta di plurimi richiami giurisprudenziali, la motivazione del diniego, consistente nella mancata equiparazione della madre casalinga alla lavoratrice dipendente.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dell’intimata Amministrazione dell’interno.
La difesa erariale contrasta nel merito la fondatezza del ricorso e si oppone al suo accoglimento, sottolineando, in particolare, che il diritto ai riposi giornalieri andrebbe riconosciuto nel solo caso in cui sia dimostrato uno specifico impedimento dell’altro genitore ad accudire il minore.
Con ordinanza n. 187 del 22 maggio 2013, è stata respinta l’istanza cautelare proposta in via incidentale con il ricorso, poiché l’interpretazione ivi sostenuta “non pare, ad un primo esame, coerente con la lettera dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 e, soprattutto, con la ratio sottesa all’istituto dei permessi parentali, orientati a garantire la tutela del preminente interesse del minore, in relazione alle sue esigenze di carattere sia fisiologico sia relazionale, attraverso la presenza alternativa di uno dei due genitori”.
Il provvedimento cautelare è stato riformato in appello, con ordinanza della terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3386 del 30 agosto 2013, così motivata: “Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla ‘madre che non sia lavoratrice dipendente’, si applichi non solo alla lavoratrice ‘autonoma’ ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice ‘casalinga’”.
In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Forma oggetto della presente controversia l’accertamento del diritto del ricorrente, lavoratore dipendente, a fruire delle due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, fino al compimento del primo anno di vita, in alternativa alla madre casalinga.
2) La pretesa di parte ricorrente si fonda sull’applicazione degli artt. 39, comma 1, e 40, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
La prima disposizione, sotto la rubrica “riposi giornalieri della madre”, stabilisce che “il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore”.
Il successivo art. 40 prevede i casi in cui i periodi di riposo in questione sono riconosciuti al padre lavoratore: “a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
Rileva nel caso di specie la previsione dei cui alla lett. c) dell’art. 40, in forza della quale, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, il padre lavoratore ha diritto a fruire di due permessi orari, anche cumulabili, nel corso della giornata lavorativa.
3) La lettera della legge pare consentire due opposte interpretazioni.
La prima opzione, fatta propria dall’Amministrazione resistente, identifica la madre lavoratrice “non dipendente” con la lavoratrice autonoma (quindi avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale).
Ne consegue la non riconoscibilità del diritto al padre lavoratore quando la moglie versi nella condizione di “casalinga”.
La seconda soluzione intende la condizione di “lavoratrice non dipendente” nel senso più ampio possibile, comprendendovi anche il lavoro casalingo, con il risultato sostanziale di configurare una sorta di diritto originario del padre lavoratore subordinato a beneficiare dei riposi giornalieri, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre.
4) La questione controversa ha ricevuto risposte non univoche dalla giurisprudenza amministrativa.
Per limitare l’analisi alle pronunce del giudice d’appello, va sottolineato come la posizione (per così dire) estensiva fosse stata fatta propria dal Consiglio di Stato, con la decisione della sesta Sezione n. 4293 del 9 settembre 2008, sulla base delle seguenti motivazioni:
“… la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
Seppur in sede consultiva, il Consiglio di Stato ha espresso una posizione diametralmente opposta con il parere della prima Sezione n. 6351 del 22 ottobre 2009, ove è stato enunciato, sulla base di un ampio supporto argomentativo, il principio di “alternatività nel godimento del beneficio”, poiché le ipotesi contemplate dall’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 hanno tutte per presupposto che “la madre non possa o non voglia, per ragioni giuridiche, fisiche o per scelta, provvedere, usufruendo dei riposi giornalieri nel primo anno di vita, alla cura del minore”.
E’ stata anche criticata l’equiparazione, ai fini in esame, della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, in quanto desunta da arresti del giudice civile unicamente tesi ad affermare che lo svolgimento di attività domestiche nell’ambito del nucleo familiare configura un’attività lavorativa la quale, pur non producendo un reddito monetizzato, è tuttavia suscettibile di valutazione economica.
Tali considerazioni, secondo il parere citato, non valgono ad inficiare il principio di alternatività posto a fondamento dell’istituto, né il dato di fatto che, nel caso della lavoratrice casalinga, implica un’autonomia di gestione delle proprie incombenze tale da consentire “evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
5) Le accennate incertezze interpretative e il carattere obiettivamente non perspicuo della disposizione in esame suggeriscono di premettere alcuni cenni relativi all’evoluzione dell’istituto dei riposi giornalieri (in passato definiti “permessi per allattamento”).
Esso è frutto di una stratificazione normativa che affonda le sue radici nella disciplina dettata dall’art. 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ove i riposi erano esclusivamente regolati come strumento finalizzato all’allattamento.
La disposizione richiamata attribuiva il relativo diritto soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri figli, prevedendo le pause in funzione di tale necessità, tanto che, laddove fossero state predisposte le cosiddette camere di allattamento all’interno dell’azienda, le lavoratrici erano tenute ad allattare in sede, senza poter uscire dai locali aziendali.
In tale contesto normativo, i riposi giornalieri erano essenzialmente concepiti, quindi, come misure di protezione della maternità biologica, anche in funzione parzialmente sostitutiva dell’astensione post partum.
Un primo cambiamento di prospettiva si è registrato per effetto dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, che, facendo venir meno l’obbligo della lavoratrice di utilizzare le camere di allattamento eventualmente predisposte dal datore di lavoro, svincolava la fruizione dei riposi dall’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento, per porre in rilievo l’aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio.
Il successivo modellamento dell’istituto è stato frutto degli interventi della Corte costituzionale che, dapprima, ha esteso il diritto ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987), quindi lo ha ulteriormente esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).
Tale processo evolutivo ha trovato la sua sintesi, infine, nel d.lgs. n. 151 del 2001, dove la disciplina dei diversi istituti posti a fondamento della tutela della maternità e della paternità (congedi, riposi, permessi) valorizza l’uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino (Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285).
Nell’ordinamento attuale, essendosi spostato il centro dell’attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, i riposi giornalieri non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della lavoratrice, ma sono principalmente diretti ad appagare i bisogni (fisiologici, ma soprattutto) affettivi e relazionali del bambino, al fine di realizzare il pieno sviluppo della sua personalità: essi svolgono, pertanto, una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali (Corte cost., 1° aprile 2003, n. 104).
6) In tale contesto, l’estensione ai padri dei riposi giornalieri è importante per ridurre l’impatto negativo della maternità sulla vita lavorativa delle donne e si rivela necessaria, nell’interesse del minore, nel caso in cui manca la figura materna ovvero qualora la madre non possa accudire il bambino per grave infermità.
In una prospettiva evolutiva, basata su un’ottica di piena condivisione da parte di entrambi i genitori delle responsabilità parentali e del lavoro di cura dei bambini, si potrebbe anche configurare il diritto ai riposi giornalieri quale semplice declinazione della condizione genitoriale, da riconoscersi al padre lavoratore subordinato indipendentemente dalla posizione lavorativa della madre.
Un riconoscimento siffatto non si concilia, però, con l’attuale impianto normativo, frutto di un bilanciamento fra il diritto dei genitori di assistere i figli e le esigenze dei datori di lavoro.
Il precipuo interesse del minore ad essere seguito da uno dei genitori, peraltro, risulta sufficientemente garantito nel caso in cui uno di essi (normalmente la madre) svolga solamente attività domestica, in virtù della vicinanza fisica consentita dalla natura di tale impegno lavorativo e della possibilità di organizzare il tempo dedicato al lavoro in modo da riservare uno spazio adeguato per le esigenze di cura del bambino nel primo anno di vita, condizioni che sono naturalmente precluse alle lavoratrici subordinate e autonome.
Non rileva, pertanto, l’incontestabile pari dignità del lavoro domestico rispetto a quello retribuito né l’equiparazione affermata dal giudice civile a fini giuridici del tutto diversi, bensì l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico.
Deve conclusivamente ritenersi, pertanto, che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente.
7) A conferma di tale interpretazione, depongono ulteriori argomenti di carattere letterale e sistematico.
Laddove ha inteso riconoscere al singolo genitore un autonomo diritto all’applicazione di specifici istituti di tutela, infatti, il legislatore lo ha previsto in modo esplicito, con la formula “il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto” (cfr. art. 32, comma 4, e art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 151/2001, rispettivamente in tema di congedi parentali e di congedi per malattia del figlio di età non superiore agli otto anni).
La diversa formulazione letterale dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 rende evidente come il legislatore abbia inteso fondare la disciplina dei riposi giornalieri sull’opposta regola dell’alternatività, subordinando la concessione del beneficio alla condizione che l’altro genitore non sia posto in condizioni di accudire il minore.
Tale soluzione si impone, infine, anche alla luce dell’ingiustificata difformità di trattamento che si verifica nella contraria prospettiva, atteso che il dipendente coniugato con una lavoratrice casalinga avrebbe sempre e comunque la possibilità di fruire dei riposi giornalieri, mentre il dipendente coniugato con una lavoratrice dipendente potrebbe fruirne solo a condizione che vi rinunci il coniuge.
8) Quanto sopra precisato non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga.
Ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari).
Deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’Amministrazione di appartenenza.
9) Per tali ragioni, il ricorso è infondato e deve essere respinto, anche per quanto concerne, ovviamente, l’istanza risarcitoria fondata sulla pretesa illegittimità del provvedimento impugnato.
E’ appena il caso di soggiungere, a quest’ultimo riguardo, che le riferite oscillazioni giurisprudenziali varrebbero ad escludere, in ogni caso, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
10) La controvertibilità della questione dedotta in giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/02/2014
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Questa qui sotto è l'Ordinanza del CdS richiata dal Tar in sentenza.
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30/08/2013 201303386 Ordinaria 3
N. 03386/2013 REG.PROV.CAU.
N. 05604/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 5604 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall'avv. Emanuela Mazzola, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via Tacito n. 50;
contro
Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
dell' ordinanza cautelare del T.A.R. LIGURIA – GENOVA - SEZIONE II n. 00187/2013, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento riposi giornalieri di cui agli artt. 39 e 40 d.lgs 151/2011
Visto l'art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero Dell'Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;
Viste le memorie difensive;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Mazzola e l’avvocato dello Stato Barbieri;
Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla “madre che non sia lavoratrice dipendente”, si applichi non solo alla lavoratrice “autonoma” ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice “casalinga”;
ritenuto di conseguenza di disporre la compensazione delle spese del grado;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello (Ricorso numero: 5604/2013) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al TAR per la sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/08/2013
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N.B.:- Speriamo che in "eventuale" appello il CdS chiarisca le cose e venga anche chiesto contestualmente all'appello, - la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale - per dichiarare l'incostituzionalità del provvedimento, altrimenti saremo sempre allo stesso punto, ossia con giudizi quasi sempre positivi e negativi.
istituto dei permessi parentali
testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Ricorso al TAR perso.
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06/02/2014 201400222 Sentenza 2
N. 00222/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00448/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 448 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall’avv. Emanuela Mazzola, domiciliato ex lege presso la segreteria del T.A.R. Liguria in Genova, via dei Mille, 9;
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza del ricorrente volta all’ottenimento dei riposi di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001, nonché di ogni atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale a quello impugnato,
nonché per il riconoscimento, in capo all’odierno ricorrente, del diritto ad ottenere il beneficio di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001 e dunque a fruire di ore due di riposo giornaliero, con la condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è un assistente della polizia di Stato, in servizio presso ........
Con istanza del 16 novembre 2012, chiedeva che gli fossero concesse due ore di riposo giornaliero, ai sensi degli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001, a decorrere dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio (cioè dal 28 gennaio 2013) e fino al compimento del primo anno di età.
Come riferito dall’istante, la moglie lavorava con contratti a termine ed era attualmente collocata in maternità obbligatoria, fino al compimento del terzo mese di vita del figlio, in attesa di occupazione dal giorno successivo.
A supporto della propria richiesta, il dipendente richiamava recenti pronunce giurisprudenziali e circolari interpretative che, modificando l’orientamento consolidato, avevano riconosciuto il diritto del padre alla fruizione dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre fosse casalinga.
Il richiedente precisava, altresì, che la presenza paterna si sarebbe resa necessaria in quanto la moglie era impegnata nella cura del figlio primogenito, avente poco più di un anno di età, e che, comunque, egli avrebbe immediatamente interrotto la fruizione dei riposi nel caso di reperimento di un nuovo contratto di lavoro da parte della moglie.
La richiesta è stata respinta con provvedimento del 12 dicembre 2012, notificato all’interessato il 15 gennaio 2013, nel quale si afferma che la fruizione dei riposi da parte del padre sarebbe possibile nel solo caso in cui vi rinunci la madre lavoratrice, non qualora la madre sia nella condizione di “casalinga”.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 20 marzo 2013 e depositato il 17 aprile 2013, l’interessato ha impugnato il diniego su indicato, chiedendo che venga anche accertato il suo diritto a fruire del beneficio previsto dall’art. 40, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 151/2001, e che l’amministrazione sia condannata al risarcimento dei danni cagionati dal diniego illegittimo, da quantificarsi in relazione alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Con l’unico motivo di ricorso, l’esponente contesta, sulla scorta di plurimi richiami giurisprudenziali, la motivazione del diniego, consistente nella mancata equiparazione della madre casalinga alla lavoratrice dipendente.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dell’intimata Amministrazione dell’interno.
La difesa erariale contrasta nel merito la fondatezza del ricorso e si oppone al suo accoglimento, sottolineando, in particolare, che il diritto ai riposi giornalieri andrebbe riconosciuto nel solo caso in cui sia dimostrato uno specifico impedimento dell’altro genitore ad accudire il minore.
Con ordinanza n. 187 del 22 maggio 2013, è stata respinta l’istanza cautelare proposta in via incidentale con il ricorso, poiché l’interpretazione ivi sostenuta “non pare, ad un primo esame, coerente con la lettera dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 e, soprattutto, con la ratio sottesa all’istituto dei permessi parentali, orientati a garantire la tutela del preminente interesse del minore, in relazione alle sue esigenze di carattere sia fisiologico sia relazionale, attraverso la presenza alternativa di uno dei due genitori”.
Il provvedimento cautelare è stato riformato in appello, con ordinanza della terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3386 del 30 agosto 2013, così motivata: “Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla ‘madre che non sia lavoratrice dipendente’, si applichi non solo alla lavoratrice ‘autonoma’ ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice ‘casalinga’”.
In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Forma oggetto della presente controversia l’accertamento del diritto del ricorrente, lavoratore dipendente, a fruire delle due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, fino al compimento del primo anno di vita, in alternativa alla madre casalinga.
2) La pretesa di parte ricorrente si fonda sull’applicazione degli artt. 39, comma 1, e 40, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
La prima disposizione, sotto la rubrica “riposi giornalieri della madre”, stabilisce che “il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore”.
Il successivo art. 40 prevede i casi in cui i periodi di riposo in questione sono riconosciuti al padre lavoratore: “a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
Rileva nel caso di specie la previsione dei cui alla lett. c) dell’art. 40, in forza della quale, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, il padre lavoratore ha diritto a fruire di due permessi orari, anche cumulabili, nel corso della giornata lavorativa.
3) La lettera della legge pare consentire due opposte interpretazioni.
La prima opzione, fatta propria dall’Amministrazione resistente, identifica la madre lavoratrice “non dipendente” con la lavoratrice autonoma (quindi avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale).
Ne consegue la non riconoscibilità del diritto al padre lavoratore quando la moglie versi nella condizione di “casalinga”.
La seconda soluzione intende la condizione di “lavoratrice non dipendente” nel senso più ampio possibile, comprendendovi anche il lavoro casalingo, con il risultato sostanziale di configurare una sorta di diritto originario del padre lavoratore subordinato a beneficiare dei riposi giornalieri, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre.
4) La questione controversa ha ricevuto risposte non univoche dalla giurisprudenza amministrativa.
Per limitare l’analisi alle pronunce del giudice d’appello, va sottolineato come la posizione (per così dire) estensiva fosse stata fatta propria dal Consiglio di Stato, con la decisione della sesta Sezione n. 4293 del 9 settembre 2008, sulla base delle seguenti motivazioni:
“… la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
Seppur in sede consultiva, il Consiglio di Stato ha espresso una posizione diametralmente opposta con il parere della prima Sezione n. 6351 del 22 ottobre 2009, ove è stato enunciato, sulla base di un ampio supporto argomentativo, il principio di “alternatività nel godimento del beneficio”, poiché le ipotesi contemplate dall’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 hanno tutte per presupposto che “la madre non possa o non voglia, per ragioni giuridiche, fisiche o per scelta, provvedere, usufruendo dei riposi giornalieri nel primo anno di vita, alla cura del minore”.
E’ stata anche criticata l’equiparazione, ai fini in esame, della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, in quanto desunta da arresti del giudice civile unicamente tesi ad affermare che lo svolgimento di attività domestiche nell’ambito del nucleo familiare configura un’attività lavorativa la quale, pur non producendo un reddito monetizzato, è tuttavia suscettibile di valutazione economica.
Tali considerazioni, secondo il parere citato, non valgono ad inficiare il principio di alternatività posto a fondamento dell’istituto, né il dato di fatto che, nel caso della lavoratrice casalinga, implica un’autonomia di gestione delle proprie incombenze tale da consentire “evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
5) Le accennate incertezze interpretative e il carattere obiettivamente non perspicuo della disposizione in esame suggeriscono di premettere alcuni cenni relativi all’evoluzione dell’istituto dei riposi giornalieri (in passato definiti “permessi per allattamento”).
Esso è frutto di una stratificazione normativa che affonda le sue radici nella disciplina dettata dall’art. 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ove i riposi erano esclusivamente regolati come strumento finalizzato all’allattamento.
La disposizione richiamata attribuiva il relativo diritto soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri figli, prevedendo le pause in funzione di tale necessità, tanto che, laddove fossero state predisposte le cosiddette camere di allattamento all’interno dell’azienda, le lavoratrici erano tenute ad allattare in sede, senza poter uscire dai locali aziendali.
In tale contesto normativo, i riposi giornalieri erano essenzialmente concepiti, quindi, come misure di protezione della maternità biologica, anche in funzione parzialmente sostitutiva dell’astensione post partum.
Un primo cambiamento di prospettiva si è registrato per effetto dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, che, facendo venir meno l’obbligo della lavoratrice di utilizzare le camere di allattamento eventualmente predisposte dal datore di lavoro, svincolava la fruizione dei riposi dall’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento, per porre in rilievo l’aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio.
Il successivo modellamento dell’istituto è stato frutto degli interventi della Corte costituzionale che, dapprima, ha esteso il diritto ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987), quindi lo ha ulteriormente esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).
Tale processo evolutivo ha trovato la sua sintesi, infine, nel d.lgs. n. 151 del 2001, dove la disciplina dei diversi istituti posti a fondamento della tutela della maternità e della paternità (congedi, riposi, permessi) valorizza l’uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino (Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285).
Nell’ordinamento attuale, essendosi spostato il centro dell’attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, i riposi giornalieri non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della lavoratrice, ma sono principalmente diretti ad appagare i bisogni (fisiologici, ma soprattutto) affettivi e relazionali del bambino, al fine di realizzare il pieno sviluppo della sua personalità: essi svolgono, pertanto, una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali (Corte cost., 1° aprile 2003, n. 104).
6) In tale contesto, l’estensione ai padri dei riposi giornalieri è importante per ridurre l’impatto negativo della maternità sulla vita lavorativa delle donne e si rivela necessaria, nell’interesse del minore, nel caso in cui manca la figura materna ovvero qualora la madre non possa accudire il bambino per grave infermità.
In una prospettiva evolutiva, basata su un’ottica di piena condivisione da parte di entrambi i genitori delle responsabilità parentali e del lavoro di cura dei bambini, si potrebbe anche configurare il diritto ai riposi giornalieri quale semplice declinazione della condizione genitoriale, da riconoscersi al padre lavoratore subordinato indipendentemente dalla posizione lavorativa della madre.
Un riconoscimento siffatto non si concilia, però, con l’attuale impianto normativo, frutto di un bilanciamento fra il diritto dei genitori di assistere i figli e le esigenze dei datori di lavoro.
Il precipuo interesse del minore ad essere seguito da uno dei genitori, peraltro, risulta sufficientemente garantito nel caso in cui uno di essi (normalmente la madre) svolga solamente attività domestica, in virtù della vicinanza fisica consentita dalla natura di tale impegno lavorativo e della possibilità di organizzare il tempo dedicato al lavoro in modo da riservare uno spazio adeguato per le esigenze di cura del bambino nel primo anno di vita, condizioni che sono naturalmente precluse alle lavoratrici subordinate e autonome.
Non rileva, pertanto, l’incontestabile pari dignità del lavoro domestico rispetto a quello retribuito né l’equiparazione affermata dal giudice civile a fini giuridici del tutto diversi, bensì l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico.
Deve conclusivamente ritenersi, pertanto, che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente.
7) A conferma di tale interpretazione, depongono ulteriori argomenti di carattere letterale e sistematico.
Laddove ha inteso riconoscere al singolo genitore un autonomo diritto all’applicazione di specifici istituti di tutela, infatti, il legislatore lo ha previsto in modo esplicito, con la formula “il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto” (cfr. art. 32, comma 4, e art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 151/2001, rispettivamente in tema di congedi parentali e di congedi per malattia del figlio di età non superiore agli otto anni).
La diversa formulazione letterale dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 rende evidente come il legislatore abbia inteso fondare la disciplina dei riposi giornalieri sull’opposta regola dell’alternatività, subordinando la concessione del beneficio alla condizione che l’altro genitore non sia posto in condizioni di accudire il minore.
Tale soluzione si impone, infine, anche alla luce dell’ingiustificata difformità di trattamento che si verifica nella contraria prospettiva, atteso che il dipendente coniugato con una lavoratrice casalinga avrebbe sempre e comunque la possibilità di fruire dei riposi giornalieri, mentre il dipendente coniugato con una lavoratrice dipendente potrebbe fruirne solo a condizione che vi rinunci il coniuge.
8) Quanto sopra precisato non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga.
Ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari).
Deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’Amministrazione di appartenenza.
9) Per tali ragioni, il ricorso è infondato e deve essere respinto, anche per quanto concerne, ovviamente, l’istanza risarcitoria fondata sulla pretesa illegittimità del provvedimento impugnato.
E’ appena il caso di soggiungere, a quest’ultimo riguardo, che le riferite oscillazioni giurisprudenziali varrebbero ad escludere, in ogni caso, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
10) La controvertibilità della questione dedotta in giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/02/2014
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Questa qui sotto è l'Ordinanza del CdS richiata dal Tar in sentenza.
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30/08/2013 201303386 Ordinaria 3
N. 03386/2013 REG.PROV.CAU.
N. 05604/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 5604 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall'avv. Emanuela Mazzola, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via Tacito n. 50;
contro
Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
dell' ordinanza cautelare del T.A.R. LIGURIA – GENOVA - SEZIONE II n. 00187/2013, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento riposi giornalieri di cui agli artt. 39 e 40 d.lgs 151/2011
Visto l'art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero Dell'Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;
Viste le memorie difensive;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Mazzola e l’avvocato dello Stato Barbieri;
Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla “madre che non sia lavoratrice dipendente”, si applichi non solo alla lavoratrice “autonoma” ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice “casalinga”;
ritenuto di conseguenza di disporre la compensazione delle spese del grado;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello (Ricorso numero: 5604/2013) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al TAR per la sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/08/2013
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N.B.:- Speriamo che in "eventuale" appello il CdS chiarisca le cose e venga anche chiesto contestualmente all'appello, - la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale - per dichiarare l'incostituzionalità del provvedimento, altrimenti saremo sempre allo stesso punto, ossia con giudizi quasi sempre positivi e negativi.