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allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: ven nov 08, 2013 12:40 pm
da giuse71
ciao a tutti vorrei sapere se qualche collega ha usufruito di questo tipo di permesso.
grazie
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mer nov 27, 2013 12:15 pm
da panorama
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Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: gio ott 09, 2014 10:26 pm
da panorama
PolPen,
La lista si allunga.
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1) - fruire dei permessi giornalieri di cui all’art. 40 lett. c) del D. Lgs. n. 151/2001 (c.d. permessi per “allattamento”), fruibili nel primo anno di vita del figlio, essendo egli padre di una bambina nata il 2013 e coniugato con madre casalinga.
IL TAR di Torino scrive:
2) - Nella recentissima decisione della III Sezione n. 4618 del 10 settembre 2014, il Consiglio di Stato, pur dando atto del contrasto giurisprudenziale, ha ritenuto di aderire all’orientamento prevalente “perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
3) - Ha osservato il Consiglio di Stato che la formulazione della norma, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga).
4) - La Sezione condivide tali principi, i quali costituiscono espressione di un indirizzo giurisprudenziale del tutto maggioritario e prevalente rispetto all’isolato parere del Consiglio di Stato sez. I 22 ottobre 2009 n. 2732 recepito quale esclusivo parametro di riferimento nelle circolari, direttive e linee d’indirizzo elaborate dall’Amministrazione nella materia qui in esame e richiamate quali atti presupposti nel preambolo degli atti impugnati.
5) - Per l’effetto, va accertato il diritto del ricorrente di fruire dei premessi di cui all’art. 40 comma 1 lett. c) del D. Lgs. 151/2001.
6) - L’esame della domanda risarcitoria sarà affrontato nell’ulteriore fase processuale, previo mutamento del rito.
Auguri al collega e alla sua difesa.
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09/10/2014 201401514 Sentenza Breve 1
N. 01514/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00876/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 876 del 2014, proposto da:
T. V., rappresentato e difeso dall'avv. Chiara Servetti, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 82;
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
CONSIGLIERA DI PARITA' DELLA PROVINCIA DI CUNEO AVV. DANIELA CONTIN, rappresentata e difesa dall'avv. Chiara Servetti, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 82;
per l'annullamento
- del decreto in data 9.5.2014, notificato in data 14.5.2014, a firma del Provveditore Regionale del Piemonte e Valle d'Aosta del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, con il quale non è stato accolto il ricorso gerarchico presentato in data 9.4.2014 proposto dall'Assistente di Polizia Penitenziaria T. V. per l'annullamento del provvedimento di annullamento d'ufficio dell'autorizzazione a fruire dei riposi giornalieri di cui al decreto del Direttore della Casa di reclusione di Saluzzo in data 3.4.2014;
- del decreto del Direttore della Casa di reclusione di Saluzzo in data 4.3.2014 di annullamento d'ufficio dei riposi giornalieri, con il quale è stata annullata in via di autotutela la precedente autorizzazione di cui al decreto Direttore della Casa di reclusione di Saluzzo n. 1/2013 in data 12.9.2013.
- della circolare DAP - Direzione Generale del Personale e della Formazione n. 0066854-2010 in data 15.2.2010;
- della circolare GDAP prot. n. 3568/6018 in data 12.12.2001;
- della nota del DAP - Provveditorato Regionale Piemonte e Valle d'Aosta prot. n. 8052 in data 3.3.2014;
- degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del relativo procedimento;
- nonchè per l'accertamento del diritto del ricorrente a fruire dei periodi di riposo giornalieri richiesti con relativo trattamento economico sino al compimento di un anno di vita della figlia;
- e per la condanna al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2014 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi l’avv. Servetti per la parte ricorrente e per la parte interveniente, e l’avvocato dello Stato Prinzivalli per il Ministero resistente;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. in merito ad una possibile definizione, anche solo parziale, del giudizio con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti di legge;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, assistente di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Saluzzo, ha chiesto all’Amministrazione di appartenenza di poter fruire dei permessi giornalieri di cui all’art. 40 lett. c) del D. Lgs. n. 151/2001 (c.d. permessi per “allattamento”), fruibili nel primo anno di vita del figlio, essendo egli padre di una bambina nata il 2013 e coniugato con madre casalinga.
2. L’Amministrazione, dopo aver accolto in un primo tempo la richiesta, successivamente, allorchè il ricorrente aveva già fruito di 252 ore di permessi ex art. 40 lett. c), ha mutato avviso, e con i provvedimenti impugnati nel presente giudizio ha annullato il beneficio con effetto retroattivo, disponendo altresì il recupero coattivo delle ore già fruite. Nella motivazione dei provvedimenti impugnati l’Amministrazione dà lealmente atto dell’esistenza di una “diversa posizione giurisprudenziale, che sarebbe maggioritaria in tema di concessione dei riposi giornalieri c.d. allattamento”, ma ritiene “dirimente”, in senso contrario, il parere del Consiglio di Stato n. 6351/2009 del 22 ottobre 2009 secondo cui il beneficio in parola non sarebbe estensibile anche all’ipotesi della moglie/madre casalinga, dal momento che l’attività espletata dalla madre casalinga non esclude, anzi comprende, anche le cure parentali.
3. Il ricorrente contesta la legittimità degli atti impugnati deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, richiamando a conforto i principi espressi dalla più recente giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale. Chiede conclusivamente l’annullamento degli atti impugnati, l’accertamento del proprio diritto di fruire dei permessi in questione e la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni, anche di natura non patrimoniale ex art. 38 D. lgs. n. 198/2006.
4. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio depositando documentazione e resistendo al gravame con memoria dell’Avvocatura dello Stato.
5. All’udienza in camera di consiglio del 17 settembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Conformemente all’avviso reso in udienza ai difensori delle parti presenti, che non hanno sollevato obbiezioni né formulato richieste, ritiene il collegio di poter definire con sentenza in forma semplificata la domanda di annullamento proposta dal ricorrente, riservando invece alla successiva fase processuale la disamina della domanda risarcitoria, previo mutamento del rito.
7. La domanda di annullamento si prospetta di pronta soluzione dal momento che la Sezione si è già pronunciata su una fattispecie analoga a quella qui in esame con sentenza n. 1189/12 del 9 novembre 2012; sentenza dalle cui considerazioni e conclusioni il collegio non ha motivo di discostarsi, anche perché i principi in essa affermati, oltre a porsi in sintonia con la più recente (e del tutto maggioritaria) giurisprudenza, sono stati di recente ribaditi dallo stesso Consiglio di Stato con sentenza 10 settembre 2014 n. 4618, la quale a sua volta ha richiamato in motivazione il conforme orientamento espresso dalla sesta Sezione dello stesso Consiglio con sentenza 9 settembre 2008, n. 4923, così delineando in definitiva un contesto giurisprudenziale in cui la contraria posizione espressa dallo stesso Consiglio, in sede consultiva, nel parere 6351/2009 del 22 ottobre 2009, richiamato nella motivazione degli atti amministrativi qui impugnati, appare relegato ad una posizione marginale e sostanzialmente isolata.
7.1. Le norme di riferimento, ossia gli artt. 39 e 40 del citato D. Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, così dispongono:
“ Art.39. Riposi giornalieri della madre:
1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2 - I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
3 - I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.
“Art. 40.Riposi giornalieri del padre:
1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore:
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre».
7.2. Secondo il più recente e prevalente indirizzo giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, in ossequio al principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, quale espressione dei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., l'art. 40 comma 1 lett. c), d.lg. 26 marzo 2001 n. 151, ai sensi del quale i periodi di riposo giornalieri di cui all'art. 39 spettano al padre lavoratore nell'ipotesi in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, si applica anche nell'ipotesi in cui la madre svolga l'attività di casalinga (TAR Piemonte, sez. I, 9 novembre 2012 n. 1189; T.A.R. Palermo Sicilia sez. I, 07 aprile 2011 n. 680).
Analogamente, è stato affermato che ai fini della fruizione dei riposi giornalieri, ove vi sia un genitore (e, ovviamente, non solo madre) “casalingo”, l’altro genitore può avvalersi della facoltà di accudire i figli nell’interesse stesso dei minori e senza alcun effetto sulla posizione dell’altro datore di lavoro in tesi inesistente; infatti, in ragione del fatto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice, va valorizzata la ratio dell’art. 40 D. Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, volto a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano della cura del neonato (TAR Abruzzo L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332).
7.3. Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che l'espressione madre “non lavoratrice dipendente” contenuta nell'art. 6 ter l. 9 dicembre 1977 n. 903 (introdotto dall'art. 13 l. 8 marzo 2000 n. 53) ai sensi del quale i periodi di riposo di cui all'art. 10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 e successive modificazioni e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore …nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve ritenersi comprensiva anche della “lavoratrice” casalinga (Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293, conf. Tar Toscana 25 novembre 2002 n. 2737).
7.4. Nella recentissima decisione della III Sezione n. 4618 del 10 settembre 2014, il Consiglio di Stato, pur dando atto del contrasto giurisprudenziale, ha ritenuto di aderire all’orientamento prevalente “perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
Ha osservato il Consiglio di Stato che la formulazione della norma, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga).
Né - aggiunge il Consiglio di Stato esaminando l’opposto indirizzo giurisprudenziale - può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
7.5. La Sezione condivide tali principi, i quali costituiscono espressione di un indirizzo giurisprudenziale del tutto maggioritario e prevalente rispetto all’isolato parere del Consiglio di Stato sez. I 22 ottobre 2009 n. 2732 recepito quale esclusivo parametro di riferimento nelle circolari, direttive e linee d’indirizzo elaborate dall’Amministrazione nella materia qui in esame e richiamate quali atti presupposti nel preambolo degli atti impugnati.
7.6. Peraltro, il principio della integrale equiparazione della casalinga alla lavoratrice non dipendente ai fini della fruizione da parte del padre dei permessi di cui all’art. 39 D. Lgs. 151/2001, è ormai condiviso da rilevanti branche della stessa Pubblica Amministrazione, come attestano chiaramente le circolari del Ministero Lavoro C/2009 del 16.11.2009 e dell’ INPS 25.11.2009 n. 118/2009 richiamate negli scritti difensivi di parte ricorrente.
8. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritiene il collegio che la domanda di annullamento debba essere accolta, con il conseguente annullamento degli atti impugnati (decreto 9 maggio 2014 Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e decreto 4 marzo 2014 del Direttore della Casa Circondariale di Saluzzo), previa disapplicazione della prassi interpretativa interna dell’Amministrazione richiamata nel preambolo degli atti stessi.
9. Per l’effetto, va accertato il diritto del ricorrente di fruire dei premessi di cui all’art. 40 comma 1 lett. c) del D. Lgs. 151/2001.
10. L’esame della domanda risarcitoria sarà affrontato nell’ulteriore fase processuale, previo mutamento del rito.
11. Anche le spese di lite saranno regolate con la sentenza che definirà il giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), decidendo non definitivamente sul ricorso indicato in epigrafe:
a) accoglie la domanda di annullamento, e per l’effetto annulla il decreto in data 9 maggio 2014 a firma del Provveditore Regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e il decreto del Direttore della Casa Circondariale di Saluzzo in data 4 marzo 2014;
b) accerta il diritto del ricorrente di fruire dei premessi di cui all’art. 40 comma 1 lett. c) del D. Lgs. 151/2001;
c) rinvia all’udienza pubblica del 9 luglio 2015 per la trattazione della domanda risarcitoria, previo mutamento del rito;
d) riserva al definitivo la regolazione delle spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Ariberto Sabino Limongelli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/10/2014
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: ven giu 05, 2015 9:14 am
da panorama
Ricorso al TAR Accolto.
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SENTENZA BREVE ,sede di VENEZIA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500606 - Public 2015-05-29 -
N. 00606/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00491/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 491 del -OMISSIS-, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Laura Branco, Clara Rensi, Antonella Pietrobon, con domicilio eletto presso Antonella Pietrobon in Venezia, San Polo, 2988; -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv. Laura Branco, Antonella Pietrobon, Clara Rensi, con domicilio eletto presso Antonella Pietrobon in Venezia, San Polo, 2988;
contro
Ministero della Giustizia;
per l'annullamento
previa misura cautelare,
del diritto a godere dei riposi-permessi giornalieri previsti dal D.Lgs. n. 151/2001 art. 40 c);
per l’annullamento degli atti emanati o emanandi dal Ministero della Giustizia;
per il risarcimento del danno subito;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile -OMISSIS- la dott.ssa Silvia Coppari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con ricorso ritualmente notificato, due dipendenti del Ministero della Giustizia entrambi assegnati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, -OMISSIS-, con l’interevento ex art. 105, comma 2, c.p.c. della -OMISSIS-, hanno chiesto l’accertamento del diritto a godere dei riposi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c).
1.1. Il primo dei ricorrenti, -OMISSIS-, riferisce che la propria famiglia è allo stato composta dalla moglie, dal figlio minore -OMISSIS- (-OMISSIS-) -OMISSIS--OMISSIS-, -OMISSIS-, in relazione a tale ultima figlia, di godere dei permessi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c) (cfr. doc. 4 di parte ricorrente), dal momento che la moglie è occupata nella gestione dell’altro figlio minore e che tale nucleo familiare non può contare sul sostegno delle famiglie di origine di alcuno dei genitori.
1.2. Il secondo dei ricorrenti, -OMISSIS-, ha del pari allagato che la propria famiglia è allo stato composta dalla moglie -OMISSIS--OMISSIS-(cfr. doc. 7 di parte ricorrente), in relazione a tale ultima figlia, di godere dei permessi giornalieri previsti dal d.lgs. n. 151/2001, art. 40, lettera c), dal momento che la moglie, casalinga, -OMISSIS- e che tale nucleo familiare non può contare sul sostegno delle famiglie di origine di alcuno dei genitori. Precisa altresì che, come emerge dalla documentazione prodotta (cfr. annotazione in calce alla domanda), tali permessi sarebbero stati “concessi”, ma il ricorrente non avrebbe di fatto mai goduto (così punto “11b” del ricorso).
1.3. Con due atti distinti, rispettivamente assunti in data -OMISSIS-, l’Amministrazione penitenziaria negava la sussistenza dei presupposti normativi per la concessione dei permessi richiesti da -OMISSIS- e da -OMISSIS-, sul presupposto che, in entrambi i casi, “il coniuge risulta[va] casalinga e quindi non rientra[va] nelle ipotesi tassative previste” dall’art. 39 d.lgs. n. 151/2001.
1.4. Gli odierni ricorrenti (-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-) proponevano quindi ricorso gerarchico, sollecitandone la definizione. L’Amministrazione investita della decisione, senza rendere la decisione finale al riguardo, in data -OMISSIS-, faceva presente di aver investito “i centrali Uffici del Dipartimento per una definizione dei dubbi applicativi rilevati” in merito all’applicazione della normativa invocata dagli esponenti.
2. A fronte del perdurante silenzio dell’Amministrazione oltre i 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico, in data -OMISSIS-, gli odierni ricorrenti hanno agito in giudizio con l’odierna impugnativa chiedendo, oltre all’accertamento del proprio diritto al godimento dei permessi in questione dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita delle rispettive figlie e fino compimento di un anno di vita delle minori medesime, anche il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito quantificandolo, per -OMISSIS-, in € 2.218,80 e per -OMISSIS- in € 3.010,48, “sulla base dei giorni di lavoro effettivamente prestati dalla maturazione del diritto in questione” sino al mese di marzo -OMISSIS-, oltre al successivo che sarà maturato o, in ogni caso, nella “diversa somma ritenuta di giustizia”.
2.1. I ricorrenti hanno altresì richiesto una misura cautelare urgente, considerato il rischio imminente di perdere irreparabilmente il proprio diritto con il compimento di un anno delle rispettive figlie.
3. All’udienza camerale del 23 aprile -OMISSIS-, in sede di decisione della domanda cautelare, ricorrendo tutti i presupposti previsti dall’art. 60 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione per definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.
4. Il ricorso è fondato.
4.1. Il diritto ai riposi giornalieri invocato dagli odierni ricorrenti è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 39 e 40 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che così dispongono: «art. 39 (Riposi giornalieri della madre) 1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa».
«Art. 40 (Riposi giornalieri del padre)
1. I periodi di riposo di cui all' articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore:
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre».
4.2. Ritiene il Collegio, condividendo quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza della III sezione, n. 4618 del 2014, che il diniego al riconoscimento dei permessi in questione sia illegittimo.
4.3. Come è stato sottolineato in detta pronuncia, infatti, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.
4.4. Il Collegio non disconosce che il Consiglio di Stato in sede consultiva si è espresso in senso diametralmente opposto affermando che «In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio» (Consiglio di Stato, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).
4.5. Si ritiene, tuttavia, di dovere aderire all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la già citata sentenza della III sezione, n. 4618 del 2014, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: comprendendo quindi oltre all’ipotesi della donna che svolga attività lavorativa autonoma, anche quella di colei che non svolga alcuna attività lavorativa o che comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (come nel caso della casalinga).
4.6. Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
4.7. Né può dubitarsi che in entrambi i casi oggetto di scrutinio, tenuto conto delle circostanze di fatto allegate dai ricorrenti, ricorra un’oggettiva difficoltà di cura della prole da parte delle rispettive madri casalinghe, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
5. Del resto, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.
5.1. Ed invero, come rilevato dal Consiglio di Stato, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).
5.2. Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, e, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.
6. Pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto relativamente alla richiesta di accertamento del riconoscimento del diritto a favore di entrambi i ricorrenti con contestuale annullamento degli atti di diniego impugnati, con la conseguenza che l’Amministrazione dovrà riconoscere il beneficio in questione per l’intero periodo previsto dalla legge.
6.1. Dall’accoglimento della domanda di annullamento nei termini suddetti non appaiono sussistenti i presupposti per un favorevole esame della domanda di risarcimento, rispetto alla quale difetterebbe in ogni caso anche la prova dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’Amministrazione.
6.2. Non appare potersi dubitare, infatti, che gli innegabili contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma dimostrino sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.
7. In conclusione il ricorso deve essere accolto secondo quanto sopra osservato.
8. Le spese di giudizio possono essere compensate in ragione della peculiarità della questione sollevata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, riconosce il diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita delle figlie minori dei ricorrenti, annullando i provvedimenti del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, -OMISSIS-, -OMISSIS-.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile -OMISSIS- con l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Silvia Coppari, Referendario, Estensore
Roberto Vitanza, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2015
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: ven giu 05, 2015 12:24 pm
da panorama
L. n. 1204/71
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Legge 30 dicembre 1971, n. 1204
"Tutela delle lavoratrici madri"
(Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 gennaio 1972, n. 14)
Nota bene: testo aggiornato con le modifiche apportate dalla legge 8 marzo 2000, n. 53
Nota bene: la presente legge è stata abrogata dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"
Articolo 4. È vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.
L'astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali.
Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto.
Articolo 4-bis. - 1. Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
--------------------------------------------------------
Articolo 7. - 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.
3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.
4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: ven giu 05, 2015 2:42 pm
da panorama
1) - corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità.
2) - corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.
3) - Parere del CdS "SOSPESO" e interessata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea
4) - Cmq. il Parere del CdS “NON definitivo” richiama diversi diritti e benefici dei lavoratori, quindi bisogna leggerlo attentamente per eventuali altri fattori e studi di settore.
RISERVA futura.
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PARERE INTERLOCUTORIO ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501665
- Public 2015-06-04-
Numero 01665/2015 e data 04/06/2015 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 22 aprile 2015 e del 13 maggio 2015
NUMERO AFFARE 03815/2007
OGGETTO:
Ministero della Giustizia.
Ministero della Giustizia, Direzione Generale dell’Organizzazione Giudiziaria del Personale e dei Servizi - Direzione Generale dei Magistrati del Ministero. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla dott.ssa O. M. C. E., magistrato ordinario, per l’annullamento del provvedimento in data 30 marzo 2007 con cui il Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, ha respinto l’istanza di corresponsione dell’indennità giudiziaria durante i periodi di congedo per maternità, presentata dall’interessata in data 5 marzo 2007.
LA SEZIONE
Vista la relazione firmata in data 3 ottobre 2007, trasmessa con nota n. 4436/2007 CONT./10597, pervenuta il giorno 16 successivo, dell’ Ministero della Giustizia (Direzione Generale dei Magistrati) di richiesta di parere sull’affare indicato in oggetto;
Visto il parere interlocutorio espresso nell’adunanza del 29.01.2008 dalla III Sezione (alla quale nel frattempo è succeduta questa II Sezione), trasmesso al Ministero riferente – Gabinetto – con nota del S.G. n. 1204 in data 4/03/2008;
Vista la nota ministeriale 0042978.U in data 7.4.2015, pervenuta il giorno 21 successivo;
Vista l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;
Esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Sergio Santoro;
I. I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E LE RAGIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.
1. Con istanza del 23 febbraio 2007 pervenuta all’Amministrazione della Giustizia il 5 marzo successivo, la dott.ssa M. C. E. O. Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di OMISSIS, chiedeva la corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, c. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria ex artt. 4 e 7 della L. n. 1204/71 (nel 1997-98 in relazione al figlio OMISSIS , nato a OMISSIS 1997 e nel 2000-01 in relazione al figlio OMISSIS, nato a OMISSIS 2000) oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.
Con nota prot. n. 9054/MGG/3913 del 30 marzo 2007 la D.G. Magistrati - comunicava all’interessata i motivi del rigetto dell’istanza.
2. Con il ricorso in esame proposto il 30 luglio 2007 l’interessata impugnava tale provvedimento chiedendo il riconoscimento del diritto all’indennità giudiziaria per i due periodi di congedo per maternità del 1997-98 e 2000-01, anteriori alla L. 311 del 2004. A sostegno del diritto alle differenze retributive ricordava, richiamando il contenuto dell’istanza, che l’art. 3, comma 1° della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo novellato dall’art. 1, c. 325 della Legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, troverebbe applicazione anche per quelle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, rispetto alle quali non si fosse maturato il periodo di prescrizione estintiva del relativo diritto, decorrente da tale medesima data (secondo il comma 572 dell’art. 1 della L.311/2004, “La presente legge entra in vigore il 1° gennaio 2005”).
Contestava, quindi, le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza opposte dall’Amministrazione, sostenendone l’illogicità e l’infondatezza, sia con riguardo al principio generale di irretroattività delle norme di cui all’art.11 c.c. - in relazione al quale formulava (in via incidentale e subordinata) eccezione di costituzionalità della norma, in relazione agli artt. 3, c. 2 e 97 della Cost., se interpretata come non retroattiva - sia con riferimento alla ritenuta impossibilità dell’estensione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Lombardia n. 161/2007.
3. Con relazione 9 ottobre 2007 la D.G. dei Magistrati escludeva l’applicazione retroattiva della nuova disciplina, richiamando l’ordinanza con la quale la IV sez. di questo Consiglio (n. 2287/2007 del 13 aprile 2007), aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma invocata dalla ricorrente, nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1990, che per prima aveva escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., seguita poi nello sesso senso dalla sentenza n. 407/1996 e dalle ordinanze nn. 422/1996, 106/1997, 346/2008, 272/1999.
4. Con pronuncia interlocutoria resa nell’adunanza del 29.01.2008 la Terza Sezione del Consiglio di Stato, rilevato che la IV Sezione dello stesso Consiglio aveva già sollevato in sede giurisdizionale (con ordinanza n.2278/2007 cit.) questione di costituzionalità dell’art. 3, c. 1°, L. 27/81, nel testo anteriore alla novella recata dalla L. finanziaria 2005, in relazione ai periodi di astensione per maternità anteriori al 1° gennaio 2005, riteneva opportuno sospendere l’esame del ricorso in attesa della ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale (in applicazione dell’art. 295 c.p.c.).
A seguito della trasformazione della Terza Sezione da consultiva a giurisdizionale, disposta dal Presidente del Consiglio di Stato nel 2010, questa Seconda Sezione consultiva proseguiva la trattazione del ricorso straordinario in esame.
5. Il Ministero riferente, infine, con nota 13 aprile 2015 pervenuta nella segreteria della Sezione il 5 maggio successivo, trasmetteva a questa Sezione, in vista della conclusione del giudizio, l’ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), nella parte in cui esclude la corresponsione dell'indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sollevata dal Consiglio di Stato con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Erano conformi nello stesso senso le ordinanze 302/2006, 346/2008, e la sentenza 295/2012 della Corte Costituzionale, tutte negative circa la possibile invocata retroattività della novella del 2004.
6. Il ricorso è stato, quindi, riportato all’esame di questa Sezione all’odierna adunanza, nella quale il Collegio ritiene di sottoporre d’ufficio alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, anche per impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che possa comportare, in ipotesi, eventuali errori di interpretazione od erronea applicazione di disposizioni del diritto dell’Unione che interessano il caso per cui è causa. Va anche premesso che tale questione è senza dubbio rilevante nel giudizio, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale 137/2008 cit. ha stabilito in via definitiva che la modifica recata dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, all'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, con l'ammettere il diritto all’indennità giudiziaria per il periodo di congedo per maternità, non può considerarsi retroattiva, e che conseguentemente non può applicarsi a fattispecie in cui il diritto stesso è riferito a periodi anteriori all’entrata in vigore della novella legislativa, e cioè al 1° gennaio 2005, come appunto nel caso di specie.
7. Le ragioni per le quali la Sezione ritiene di porre la questione pregiudiziale ex art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, muovono sostanzialmente dall'esigenza di completare l'interpretazione, da parte della giurisprudenza comunitaria, delle disposizioni del diritto dell'Unione e dalle altre pronunce delle Istituzioni europee in tema di tutela, sotto il profilo retributivo, della lavoratrice madre, al fine di chiarirne l'applicazione nel giudizio.
8. Come detto nelle premesse al punto I, dopo le numerose pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., almeno come prospettato nelle ordinanze di rimessione dai giudici “a quo”, la questione che residua ed è ancor più rilevante nel presente giudizio è se il medesimo art. 3, primo comma, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sia compatibile con il diritto comunitario, nelle varie disposizioni in cui vi si assicura la tutela della maternità e la non discriminazione tra i sessi, anche sotto il profilo retributivo riferito al lavoro dipendente.
Il trattamento deteriore che un magistrato di sesso femminile, come la ricorrente, ha subito durante il periodo di congedo obbligatorio per maternità fruito anteriormente al 1° gennaio 2005, rispetto alla generalità dei suoi colleghi, per effetto dell’art. 3, primo comma, cit. nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (si noti, l’unica applicabile al caso in esame, per effetto della giurisprudenza della Corte costituzionale sopra citata), potrebbe infatti integrare una violazione dei principi, validi per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, contenuti nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, negli artt. 157 (ex art.141 TCE), in quanto discriminazione nel trattamento retributivo fondata sul sesso, e 158 (ex art. 142 TCE), secondo cui “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”.
9. Il principio della parità retributiva tra lavoratori di sesso maschile e femminile per lavori identici o di equivalente impegno, inizialmente rivolto a prevenire distorsioni della concorrenza all’interno del mercato comune riconducibili a casi patologici di sottoretribuzione del lavoro femminile, è poi divenuto, per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle intuibili implicazioni di politica sociale, un vero e proprio diritto fondamentale della persona (cfr. la direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, cui in Italia è stata data attuazione soltanto con il d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).
Il Giudice comunitario ne ha affermato l’efficacia diretta nei confronti non solo degli Stati membri ma anche dei singoli datori di lavoro, in quanto “principio fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario” (cfr. Corte di Giustizia, 10 febbraio 2000, in causa C-50/96, Deutsche Telekom, cit., e Corte di Giustizia, 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer v. Bank der Österreichischen Postsparkasse AG). La giurisprudenza comunitaria ha estensivamente compreso, nella nozione di retribuzione, “il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo”. Natura retributiva è stata quindi riconosciuta, ad esempio, alle indennità di malattia pagate dal datore di lavoro od alle somme che lo stesso corrisponde, in virtù della legge o di convenzioni collettive, ad una lavoratrice durante il congedo di maternità, in quanto fondate sul rapporto di lavoro. Perché sussista una discriminazione rilevante ed incompatibile con il diritto comunitario, la verifica deve effettuarsi su ciascuna voce retributiva e non sul trattamento economico complessivamente considerato, accertando se le eventuali differenze possano considerarsi esenti o meno da qualsiasi discriminazione basata sulla diversità di sesso (cfr. Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, in causa 171/88, Rinner-Kuehn v. FWW Spezial- Gebaeudereinigung GmbH & Co KG; 13 febbraio 1996, in causa C-342/93, Gillespie e a. v. Northern Health and Social Services Board; 27 ottobre 1998, in causa C-411/96, Boyle e a. v. Equal Opportunities Commission; 30 marzo 2004, in causa C-147/02, Alabaster v. Woolwich; 6 aprile 2000, in causa C-226/98, Jørgensen v. Foreningen af Speciall&ger e Sygesikringens Forhandlingsudvalg; 26 giugno 2001, in causa C-381/99, Brunnhofer, cit.).
10 È poi fondamentale la distinzione data dalla giurisprudenza comunitaria tra forme di discriminazione diretta ed indiretta, alla cui verifica occorre che uomo e donna si trovino in situazioni lavorative effettivamente comparabili, ad esempio sotto l’aspetto della qualificazione professionale dei lavoratori, e che possano essere ricondotte ad unico datore di lavoro in ipotesi responsabile della disuguaglianza, pur non essendo necessario che i lavoratori posti a confronto si trovino alle dipendenze di un datore di lavoro della medesima natura (Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-320/00, Lawrence e a. v. Regent Office Care Ltd, Commercial Catering Group e Mitie Security Services Ltd.; 13 gennaio 2004, in causa C-256/01, Allonby v. Accrington & Rossendale College; 27 ottobre 1993, in causa C-127/92, Pamela Mary Enderby v. Frenchay Health Authority e Secretary of State for Health). Del resto, la Corte di Giustizia ha più volte affermato che, qualora il pregiudizio arrecato a una donna sia dovuto al suo stato di gravidanza, la stessa sarà considerata oggetto di discriminazione diretta basata sul sesso, senza necessità di un termine di confronto (sentenza 8 novembre 1990, causa C-177/88, Dekker c. Stichting Vormingscentrum voor Jong Volwassenen Plus; nello stesso senso, sentenza 14 luglio 1994, causa C-32/93, Webb c. EMO Air Cargo Ltd).
11. La giurisprudenza comunitaria ha altresì fatto applicazione dei principi di parità e non discriminazione in relazione alla situazione della lavoratrice in congedo per maternità, riconoscendo innanzitutto la legittimità di una disciplina speciale a protezione della maternità per la speciale condizione della donna lavoratrice nel periodo della gestazione e del puerperio, giustificando così le specifiche misure per “garantire una sostanziale parità” della donna lavoratrice (direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 sulle pari opportunità e la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, al ventiquattresimo Considerando, ma lo stesso principio era già espresso nell’art. 2, comma 7, della direttiva 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE).
12. Per converso, e nella stessa ottica, non sono stati ritenuti discriminatori i benefici concessi alla sola lavoratrice in relazione allo stato di maternità o comunque agli oneri connessi alla crescita del figlio, “qualora il vantaggio concesso al solo lavoratore di sesso femminile sia destinato a compensare svantaggi professionali derivanti ad un tale lavoratore in seguito all’allontanamento dal posto di lavoro che il congedo di maternità comporta”.
Tutta la citata giurisprudenza comunitaria, quindi, è univocamente orientata a far sì che lo stato di maternità non determini una condizione deteriore nel rapporto di lavoro della lavoratrice madre interessata.
Già la direttiva 76/207 disponeva che “un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione” (art.2, comma 7). Analoga previsione è oggi contenuta nell’art. 2, comma 3, lett. c) della direttiva n. 54 del 2006, la quale, al ventitreesimo Considerando, ricorda, inoltre, come "dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso”, della quale non sono ammesse ragioni giustificative (cfr. Corte di Giustizia, 18 novembre 2004, in causa C- 284/02, Land Brandenburg v. Sass, che ha negato che la lavoratrice madre possa subire un trattamento sfavorevole con riguardo ai requisiti necessari ad accedere ad un livello superiore della gerarchia professionale).
13. Non possono pertanto ammettersi trattamenti sfavorevoli di alcun tipo che possano anche solo indirettamente dipendere dalla circostanza che la lavoratrice ottenga o abbia ottenuto un congedo per maternità, e ciò per non incorrere in una discriminazione direttamente fondata sul sesso, nel senso inteso dalla direttiva 76/207 (v. sentenze 13 febbraio 1996, causa C342/93, Gillespie e a.; 30 marzo 2004, causa C147/02, Alabaster). Nello stesso senso, la Corte UE ha ritenuto incompatibile col diritto comunitario una disciplina che posticipava la data di entrata in servizio della lavoratrice alla fine del congedo di maternità, senza prendere in considerazione tale periodo ai fini dell’anzianità di servizio:, affermando che “un lavoratore di sesso femminile è tutelato, nel suo rapporto di lavoro, contro ogni trattamento sfavorevole motivato dalla circostanza che egli usufruisca o abbia usufruito di un congedo per maternità” e “una donna che subisca un trattamento sfavorevole a causa di un'assenza per congedo di maternità è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel detto congedo” (Corte di Giustizia, 16 febbraio 2006, causa C-294/04, Sarkatzis Herrero v. Instituto Madrileño de la Salud p. 39). Ed ancora, è stata dichiarata incompatibile con l’art. 6, n. 1, lett. g), della direttiva 86/378, come modificata dalla direttiva 96/97, una disposizione che aveva l’effetto di interrompere l’acquisto dei diritti ad una rendita assicurativa durante i congedi obbligatori di maternità, in quanto imponeva come condizione che la lavoratrice percepisse un reddito imponibile durante tali congedi (Corte di Giustizia, 13 gennaio 2005, causa C-356/03, Mayer v. Versorgungsanstalt des Bundes und der Lander), e ritenuta altresì una diretta discriminazione la pretesa del datore di lavoro di motivare con lo stato di gravidanza della lavoratrice il diniego di reintegrazione nel posto di lavoro prima della scadenza del congedo parentale (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2003, in causa C-320/01, Bush v. Klinikum Neustadt GmbH & Co. Betriebs-KG; 30 aprile 1998, in causa C-136/95 Caisse Nationale d'assurance vieillesse des travailleurs salariés (CNAVTS) v. Thibault, ove si è testualmente (punto 32) affermato che “una donna che subisce un trattamento sfavorevole per quanto riguarda le sue condizioni di lavoro, nel senso che viene privata del diritto di ricevere il suo rapporto informativo annuale e, conseguentemente, di ottenere una promozione, a causa di un'assenza per maternità, è vittima di una discriminazione che ha origine nella sua gravidanza e nel suo congedo di maternità.
Un comportamento del genere costituisce una discriminazione direttamente basata sul sesso ai sensi della direttiva”.
In modo ancor più esplicito, la sentenza della Corte UE 6 marzo 2014 causa C 595/12 Loredana Napoli v. Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP) ha affermato che:
- l’art. 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento;
- l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attività ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attività da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternità obbligatorio;
- le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.
A conferma, “a contrariis”, di quanto sopra riportato, la Corte di giustizia in due sentenze della Grande Sezione dell’8 marzo 2014, nelle cause C-167/12 C.D. v. S.T. e C-363/12 Z. v. A., ha anche affermato che il diritto dell’Unione europea non riconosce alla madre committente, che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, il congedo retribuito equivalente al congedo di maternità o di adozione.
14. Quanto alla determinazione dell’ammontare della retribuzione/indennità dovuta alla lavoratrice in congedo di maternità (con specifico riferimento all’art.8 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte ha ritenuto che una lavoratrice gestante, con una retribuzione anteriore all’assegnazione temporanea ad altro posto composta da uno stipendio di base e da una serie di integrazioni dovute all’esercizio di specifiche funzioni essenzialmente dirette a compensare gli inconvenienti collegati a tale esercizio (per esempio lavoro notturno, lavoro domenicale, lavoro straordinario), non può esigere la conservazione dell’intera retribuzione percepita prima della temporanea assegnazione. Essa però conserva oltre allo stipendio di base il diritto a percepire le integrazioni che si ricollegano al suo status professionale, legate per esempio alla sua qualità di superiore gerarchico, alla sua anzianità e alle sue qualifiche professionali (sentenza del 1° luglio 2010, causa C-471/08, Parviainen v. Finnair Oyj). In un diverso caso in cui la ricorrente aveva richiesto di mantenere il diritto al pagamento dell’indennità per servizi di guardia, nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per motivi di sicurezza e salute (art. 5 n.3 della direttiva 92/85/CEE del 19 ottobre 1992), la Corte questa volta ha assimilato, ai fini del calcolo della retribuzione da corrisponderle, la posizione della lavoratrice dispensata dal lavoro (art. 5 par. 3) con quello della lavoratrice in congedo di maternità (art. 8). In entrambi i casi la Corte ha concluso che fosse compatibile con la direttiva 92/85/CEE una normativa nazionale che riconosce alla lavoratrice il diritto a una retribuzione equivalente allo stipendio medio dalla stessa percepito nel corso di un periodo di riferimento anteriore all’inizio della gravidanza o all’inizio del congedo, con l’esclusione però dell’indennità per servizi di guardia. La Corte ha però aggiunto che nessuna disposizione della direttiva 92/85/CEE impedisce agli Stati membri o, eventualmente, alle parti sociali di prevedere il mantenimento di tutti gli elementi della retribuzione, compresa quindi anche la suddetta indennità (sentenza 1° luglio 2010, causa C 194/08 Gassmayr v. Bundesminister für Wissenschaft und Forschung).
15. Nella Carta sociale europea (riveduta), firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, si afferma (Parte I, art. 8) che “le lavoratrici, in caso di maternità, hanno diritto ad una speciale protezione….Per garantire l'effettivo esercizio del diritto delle lavoratrici madri ad una tutela, le Parti s'impegnano…a garantire alle lavoratrici prima e dopo il parto … un congedo retribuito sia mediante adeguate prestazioni di sicurezza sociale o con fondi pubblici”. Né può infine trascurarsi la recente “Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2015 sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2013 n. 2014/2217 (INI)”, dove si afferma, tra l’altro, nel considerando B, “il principio della parità di trattamento fra donne e uomini comporta il divieto di qualunque discriminazione, diretta o indiretta, anche per quanto riguarda la maternità, la paternità e il fatto di condividere responsabilità familiari”; al punto 12 si “insiste sull'impellente necessità di ridurre i divari retributivi e pensionistici tra donne e uomini” ed al punto 13 si “deplora con la massima durezza il fatto che le donne non ricevano la stessa retribuzione nei casi in cui svolgono le stesse funzioni degli uomini o funzioni di pari valore”.
16. A conclusione dell'excursus, e sempre per ribadire la rilevanza della questione in questo giudizio, non può non farsi notare che all'indennità giudiziaria è stata implicitamente riconosciuta la natura di componente non eventuale della retribuzione del magistrato, e comunque del tutto indipendente e svincolata dal collocamento in congedo obbligatorio, e ciò per effetto dello stesso comma 325 della L. 311/2004, che l'ha appunto estesa al servizio trascorso in congedo per maternità (anche se a decorrere dal 2005).
Quanto ad un diverso profilo della rilevanza della sollevata questione di legittimità comunitaria, in relazione alla eventuale prescrizione del diritto qui azionato, si fa notare che la relativa eccezione non è mai stata proposta dall'Amministrazione in questo giudizio e dunque non può essere presa in esame, tanto meno per la verifica della rilevanza della questione comunitaria, e ciò per la preclusione derivante dagli artt. 2938 del codice civile e 112 del codice di procedura civile.
II. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE DA SOTTOPORRE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.
17. Preliminarmente, va segnalato che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quando il Consiglio di Stato, in sede Consultiva, emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, esercita una funzione giurisdizionale ed è quindi un organo di giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (così Corte di Giustizia CE del 16 ottobre 1997, nei procedimenti riuniti da C-69/96 a C-79/96), ora art. 267 del TFUE.
Oltretutto, la funzione giustiziale del Consiglio di Stato, in sede consultiva, è stata medio tempore assimilata a quella giurisdizionale, per effetto sia dell’allineamento dei limiti del proprio sindacato giustiziale alle materie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. art. 7, comma 8, del D.lgs 2 luglio 2010, n. 104), sia della nuova formulazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 disposta dall’art 69 della L. 18 giugno 2009, n. 69, in ordine alla possibilità di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale incidenti di costituzionalità delle leggi e alla vincolatività dei propri pareri.
Non vi è dubbio inoltre, nonostante l’art. 267 del TFUE nel secondo paragrafo riporti testualmente "questione … sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri", che tale questione possa sollevarsi anche d'ufficio, e non soltanto su eccezione delle parti (cfr. Corte di Giustizia UE, grande sezione 15 gennaio 2013 C-416/10, Jozef Križan e A. v. Slovenská inšpekcia životného prostredia).
22. Alla luce di quanto sopra, ritiene questo Collegio di sottoporre all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267, paragrafo 1, lett. a) e paragrafo 2, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), le seguenti questioni in ordine all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell'Unione:
«se l’art.11, paragrafo 1 nn.1, 2 lett. b), 3 e l’ultimo e penultimo Considerando della direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, nonché gli artt. 157 TFUE (ex art.141 TCE), paragrafi 1, 2, e 4; l’art. 158 TFUE (ex art. 142 TCE), ove prescrive che “gli Stati membri si adoperano a mantenere l'equivalenza esistente nei regimi di congedo retribuito”; gli artt. 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, in combinato disposto tra loro, nonché l’art. 15 ed il 23° e 24° Considerando della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, ed infine l’art.23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea 2000/C 364/01, ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non consenta di corrispondere l’indennità ivi prevista per i periodi di congedo obbligatorio per maternità anteriori al 1° gennaio 2005».
IV. ATTI DA TRASMETTERE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE.
23. Ai sensi della “nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C 160/01, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 28 maggio 2011, è dato mandato alla Segreteria della Sezione di trasmettere, mediante plico raccomandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cour de Justice de l’Union Européenne – Palais de la Cour de Justice, Boulevard Konrad Adenauer, Kirchberg, L - 2925 Luxeembourg), i seguenti atti:
- copia dei provvedimenti impugnati con il ricorso straordinario;
- copia del ricorso straordinario, nonché della relazione dell'Amministrazione e delle memorie prodotte dalle parti;
- copia dell'ordinanza n. 137 del 14 maggio 2008 della Corte Costituzionale;
- copia del presente parere interlocutorio;
- copia delle seguenti norme nazionali: art. 7 del codice del processo amministrativo; D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 nel testo attualmente in vigore; art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27; art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO.
24. Il presente giudizio viene sospeso ai sensi dell’art. 267 del TFUE, nelle more della definizione dell’incidente pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e ogni ulteriore pronuncia è riservata alla definizione dell’incidente medesimo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione II, rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché decida, ai sensi dell’art. 267, lett. a) e comma 2, TFUE, sul quesito sopra specificato.
Insta affinché la questione pregiudiziale di cui ai quesiti suddetti sia trattata secondo la procedura accelerata di cui all’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 settembre 2012.
Nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sospende l’emissione del richiesto parere sul ricorso straordinario.
Ordina la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a cura della Segreteria.
IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Sergio Santoro
IL SEGRETARIO
Marisa Allega
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: gio feb 04, 2016 9:50 am
da panorama
per la partecipazione a tutti i colleghi.
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Con il presente Parere espresso dal CdS in favore del collega CC., il CdS precisa:
(ecco alcuni brani)
1) - Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.
2) - La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.
3) - Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.
4) - Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.
- Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere.
- Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”.
- La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.
5) - In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.
6) - Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
7) - Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore.
8) - Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.
Cmq. leggete tutto il contesto qui sotto.
Auguri per il collega.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201600230 - Public 2016-02-03 -
Numero 00230/2016 e data 03/02/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 4 novembre 2015
NUMERO AFFARE 03228/2013
OGGETTO:
Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dall’App. Sc. dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino per l’annullamento del provvedimento di diniego prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009 dei permessi giornalieri di due ore previsti dagli articoli 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001 e di ogni atto antecedente, connesso e/o conseguenziale.
LA SEZIONE
Vista la nota prot. n. 50/6 datata settembre 2013, con la quale il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha trasmesso la relazione istruttoria e quella integrativa, con le quali chiede il prescritto parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore, consigliere Nicolò Pollari;
Premesso:
L’Appuntato Scelto dei Carabinieri Gianluigi Pellegrino, in servizio presso il Nucleo Informativo del Comando Provinciale Carabinieri di Cuneo, successivamente alla nascita della figlia, avvenuta nel maggio del 2008, presentava istanza in data 7.11.2008, al fine di beneficiare dei permessi giornalieri di due ore, che il combinato disposto degli articoli 39 e 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, riconosce ai lavoratori padri durante il primo anno di vita del bambino, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
Tale richiesta veniva avanzata nonostante la moglie fosse casalinga, evidenziando all’uopo la presenza in famiglia di altri sei figli, di età compresa tra i dodici e i cinque anni, e, insieme, richiamando la decisione n. 4293/08 del Consiglio di Stato- Sezione VI, in cui l’attività di casalinga viene assimilata a quella della lavoratrice autonoma.
Con provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, il Comando di Corpo respingeva la richiesta, ritenendo che la decisione del Consiglio di Stato, invocata dall’interessato, “costituisce un orientamento isolato, che, allo stato, non giustifica un intervento emendativo delle disposizioni vigenti, aderenti sia al tenore letterale della norma che alla complessiva sistematica del decreto legislativo in questione”.
A seguito di un primo ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato ha dichiarato la sua inammissibilità, difettando il previo esperimento del ricorso gerarchico avverso l’atto non definitivo.
Al contempo, rilevando che il Comando Legione Piemonte e Valle d’Aosta aveva erroneamente indicato in calce all’atto impugnato la possibilità di esperire ricorso al tribunale amministrativo regionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha invitato l’Amministrazione a rimettere il ricorrente nei termini (per errore scusabile), per un’eventuale presentazione del ricorso gerarchico.
L’interessato, quindi, ha presentato ricorso gerarchico, che è stato rigettato dall’Amministrazione.
Con l’odierno ricorso straordinario al Capo dello Stato, datato 19 marzo 2013, l’App. Sc. Gianluigi Pellegrino ha dunque chiesto:
- l’annullamento del provvedimento prot. n. 3858/8 in data 30.03.2009, di ogni altro atto antecedente, preordinato e conseguenziale ad esso, nonché delle direttive gerarchiche - linee guida - circolari - orientamenti - compendi normativi del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, relativamente alla mancata previsione della concessione dei benefici ex art. 40 D.Lgs. 151/2001 nel caso di coniuge casalinga;
- l’accertamento del proprio diritto alla fruizione dei periodi di riposo giornalieri richiesti, con relativo trattamento economico dalla nascita sino al compimento di un anno di vita della figlia;
- il pagamento di un importo commisurato al numero dei permessi di cui all’art. 40, lett. c), D.Lgs. n. 151/20001 non fruiti perché negati, comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria;
- il risarcimento del danno economico, morale ed esistenziale, patito dall’intero nucleo familiare, in considerazione nella mancata conclusione del procedimento amministrativo nei termini previsti dall’art. 2 della Legge n. 241/1990;
- il pagamento, da parte dell’Amministrazione, del contributo unificato relativo al ricorso, non dovuto nell’anno 2009, nella considerazione che il ritardo nella sua presentazione sarebbe a lei imputabile per averlo indotto in errore mediante l’atto impugnato.
Il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
Violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 39 e 40 del D. Lgs. n. 151/2001; - violazione degli artt. 31 29, 30 e 31 della Costituzione;
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dei principi giurisprudenziali in materia di permessi di cui all’art. 40 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001;
violazione dell’art. 1 del D. Lgs. n. 198/2006 e violazione della normativa in materia di pari opportunità fra uomo e donna (D. Lgs. n. 5/2010) e della parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi (Legge n. 903/1977);
violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010;
violazione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa e dell’art 97 della Costituzione; violazione delle preleggi (artt. 3 e 4) e dei principi in materia di gerarchia delle fonti; violazione e/o erronea applicazione e/o interpretazione degli artt. 2 e 2 bis della Legge n. 241/1990;
eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione;
ingiustizia manifesta, disparità di trattamento.
Assume, nella sostanza, il ricorrente l’illegittimità del provvedimento impugnato, che, nel non accordargli la possibilità di fruire dei permessi di riposo giornalieri per accudire la figlia nel suo primo anno di vita, ai sensi dell’art. 40 del D. Lgs. n.151/2001, si porrebbe in contrasto con il principio della parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne, posto a base dell’istituto in questione, e con quell’orientamento interpretativo giurisprudenziale che equipara la madre casalinga alla lavoratrice non dipendente, così come affermato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sent. n. 4293/2008.
Evidenzia che il successivo parere n. 2732 del 22.10.2009 del Consiglio di Stato, che ha fornito una diversa chiave di lettura alla richiamata sentenza, esprimendo un orientamento contrario alla concessione del beneficio, rappresenterebbe posizione isolata e minoritaria.
Pertanto, sostiene il ricorrente, poiché la casalinga va equiparata alla donna lavoratrice, i permessi dalla stessa non fruiti debbono essere attribuiti al padre.
Richiama, al riguardo, una serie di recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa, che si sarebbe attestata in linea con tale interpretazione. In tal senso, si sarebbero mossi anche il Ministro del Lavoro e l’INPS, che con diverse circolari avrebbero riconosciuto il diritto del padre lavoratore di fruire dei riposi giornalieri anche qualora la madre svolga attività di lavoro casalingo.
Illegittima sarebbe la motivazione posta a base del provvedimento di diniego, in quanto tutte le disposizioni regolamentari citate dall’Amministrazione a sostegno del rigetto dell’istanza debbono ritenersi a loro volta illegittime, in quanto contrastanti con norme di rango superiore e principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, nonché della Costituzione.
Sussisterebbe, inoltre, violazione dell’art. 1493 del D. Lgs. n. 66/2010 per disparità di trattamento del personale militare rispetto agli altri settori dell’impiego pubblico e privato, ove viene concesso il beneficio di cui si discorre.
Evidenzia, altresì, di aver subito un danno grave e irreparabile dal diniego impugnato, nonché dal ritardo con cui l’Amministrazione ha definito il procedimento amministrativo, in violazione dell’art. 2 della L. 241/1990, essendo stato il provvedimento gravato notificato all’interessato oltre il termine di trenta giorni previsto dalla citata normativa.
Il Ministero riferente ritiene il ricorso infondato.
Nel procedere ad una ricostruzione dell’istituto di cui al D.Lgs. n. 151/2001, il Ministero osserva come il Consiglio di Stato, con il parere n. 2732 del 22 ottobre 2009, abbia espresso avviso contrario all’assimilabilità dell’attività della casalinga a quella della lavoratrice autonoma, ai fini della configurazione del presupposto utile per ammettere il padre al godimento del beneficio in tema, evidenziando come la statuizione della Sezione VI del medesimo Consiglio di Stato (n. 4293/2008) attenga alla valutazione economica del lavoro domestico, in relazione a profili di natura previdenziale e risarcitoria, mentre non risulta estensibile alle norme sulla tutela della maternità e della paternità.
Né, sostiene il Ministero, possono essere richiamate nel caso di specie norme (tra le quali quella del C.o.m., ex art. 1493 D.Lgs.n.66/2010, secondo il quale “al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità, nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione”) ed interpretazioni (riferite a sentenze della giurisprudenza amministrativa di primo grado) più favorevoli al ricorrente, ma successive alla presentazione dell’istanza (7.11.2008), dovendo la rivalutazione del provvedimento impugnato avvenire alla luce delle disposizioni normative e del quadro interpretativo vigenti al momento della sua adozione, che a quel tempo chiaramente escludevano il riconoscimento del beneficio richiesto in caso di lavoro casalingo svolto da altro genitore.
Con atto in data 2 giugno 2013, il ricorrente, nel confermare quanto già dedotto nel ricorso principale, controbatte alle argomentazioni poste a fondamento della relazione ministeriale, contestando, in particolare, la presunta, errata affermazione della dicitura “ogni atto va valutato secondo la normativa vigente al momento del suo compimento”, in ragione della possibile emanazione nell’ordinamento di “leggi ordinarie con efficacia retroattiva con possibile effetto ablativo di tutti gli atti posti in essere in applicazione di quelle norme (che siano suscettibili di valutazione perché non ancora definitivi)”. Peraltro, secondo il ricorrente, il quadro normativo di settore prevedeva sin dal momento della presentazione della sua richiesta in data 07.11.2008 la concessione dei permessi anche al padre lavoratore nel caso in cui la moglie sia casalinga, come stabilito, in particolare, dalla sentenza n. 4293/2008 del 09.09.2008 del Consiglio di Stato (tra l’altro, confermativa di una precedente pronuncia del Tar Toscana n. 2737 del 25.11.2002), laddove, invece, il successivo parere del Consiglio di Stato n. 2732/2009, assunto dal Ministero della Difesa a sostegno della propria posizione, risale all’ottobre 2009, ossia ad un’epoca successiva rispetto alla nascita della figlia, avvenuta oltre un anno prima.
Osserva che sul sito internet del Ministero della Difesa, nella sezione dedicata al personale civile, è presente una nota di commento alla norma in discussione in favore della concessione del beneficio in parola. Tale evidenza mostrerebbe come la posizione assunta dall’Amministrazione della Difesa incorra in una disparità di trattamento tra personale appartenente allo stesso comparto.
Conclude evidenziando che il diniego dei permessi sia divenuto un atto definitivo in data 24.12.2012 (con l’emanazione del provvedimento che, in sede di esame del ricorso gerarchico, ha confermato nel merito l’atto impugnato), allorquando, quindi, era già vigente un quadro normativo e giurisprudenziale favorevole alla concessione dell’agevolazione nel senso auspicato dall’interessato.
Il Ministero nella propria relazione integrativa conferma tutto quanto già dedotto in sede di relazione principale. Afferma, in particolare, che “non è stata emanata alcuna disposizione normativa che dia efficacia retroattiva all’art. 40 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001 e, pertanto, deve necessariamente applicarsi il richiamato principio [tempus regit actum]”. Evidenzia, inoltre, che il provvedimento adottato nel 2012, a seguito di annullamento dell’atto impugnato per meri vizi di forma, è stato assunto secondo le norme vigenti nel 2008 e, pertanto, con identica valutazione di merito a quello del 2009 e, in ordine alla nota di commento presente sul sito del comparto Difesa per il personale civile, che la stessa non risulta avere alcuna rilevanza per ciò che qui interessa, trattandosi di personale in diverso regime giuridico.
Considerato:
Il ricorso è fondato, nei sensi di cui appresso.
La questione, sottoposta all’esame odierno, concerne l’interpretazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. In particolare, si dibatte se con l’espressione “non ... lavoratrice dipendente” il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa.
L’istituto del riposo giornaliero è stato introdotto nel nostro ordinamento come un beneficio strettamente collegato al parto ed alle esigenze fisiologiche ad esso connesse, come si ricava chiaramente dall’art. 9 della Legge 26 agosto 1950 n. 860, che lo condizionava alla necessità di soddisfare i bisogni dell’allattamento.
Successivamente, l’art. 10 della Legge n. 1204 del 1971, non menzionando più la necessità dell’allattamento e, anzi, prescindendo espressamente da essa, ha modificato la natura e la finalità dell’istituto, il cui scopo è divenuto (come, del resto, indicato nella relazione illustrativa alla legge) quello di consentire alla madre di attendere ai molteplici compiti, tutti delicati e impegnativi, connessi con l’assistenza del bambino nel primo anno di vita.
Tale finalità è stata ribadita dall’art. 10 del D.P.R. 25 novembre 1776 n. 1076 (Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del 1971), in cui si è affermato che “i riposi di cui all’art. 10 devono assicurare alla lavoratrice la possibilità di provvedere alla assistenza diretta del bambino”.
Sennonché, una volta spostato il centro di attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, non poteva non essere presa in considerazione, nell’ambito del principio paritario affermato nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia di cui alla Legge 19 maggio 1975, n. 151, e di quello sulla parità di trattamento sul lavoro di entrambi i sessi, di cui alla Legge 9 dicembre 1977 n. 903, anche la posizione del padre.
In particolare, l’art. 7 di quest’ultima legge aveva attribuito al lavoratore padre la possibilità di usufruire - in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui solo affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata di sei mesi nel primo anno di vita del bambino, riconoscendo, così, l’idoneità anche dell’uomo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore, senza, peraltro, estendere allo stesso l’istituto del riposo giornaliero.
E’, pertanto, con riferimento al descritto quadro normativo, venutosi a delineare anche a seguito dell’intervento del giudice delle leggi, che va valutato il disposto dell’art. 6 ter, introdotto, nella Legge n. 903 del 1977, dalla Legge 8 marzo 2000, n. 53, ai sensi del quale “i periodi di riposo di cui all’articolo 10 della Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, e i relativi trattamenti economici sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Norma, quest’ultima, poi recepita nell’art. 40 del Testo unico di cui al D. Lgs. 26 marzo 2001 n. 151 (del quale si discute in questa sede).
E’ necessario, in particolare, valutare se la madre “casalinga” possa farsi rientrare nell’ipotesi di cui alla lett. c) del più volte citato art. 40, che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio. La soluzione affermativa, che ha indotto l’Amministrazione a richiedere il parere di questo Consiglio di Stato, si fonda essenzialmente sull’evoluzione della giurisprudenza del giudice civile, secondo la quale chi svolge attività domestica nell’ambito del proprio nucleo familiare (attività tradizionalmente attribuita alla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge, tuttavia, un’attività lavorativa (ovviamente non dipendente), suscettibile di valutazione economica. Da qui, la conclusione della equiparabilità della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, ai sensi e per gli effetti dell’attribuzione al padre del beneficio del riposo giornaliero nel primo anno di vita del bambino.
Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4293 del 9.9.2008 (che, esaminando analoga problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente), l’opposto diniego si riveli illegittimo.
Ha rilevato, infatti, tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e, pur tuttavia, impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato.
A sostegno della condivisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.
E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).
Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque, quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga), e pur se l’attività si svolga prettamente tra le mura domestiche, maggiormente a contatto, dunque, con il bambino da assistere. Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.
In tal senso, peraltro, si è pronunciato, più di recente, questo Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione III, n. 4618 del 19 giugno 2014.
Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
Del resto, è stato spesso ribadito come i compiti esercitati dalla casalinga risultino di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909). Ciò vale ancor di più nel caso di specie, se si considera la necessità di accudire ben sei figli.
Come evidenziato dalla menzionata sentenza n. 4618/2014, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità (Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’onere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo. Proprio, dunque, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone, comunque, la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore. Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore, ma, allorché uno dei due, per una ragione qualsiasi, non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e, dunque, anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.
Si ritengono, infine, assorbite le richieste del ricorrente tese al ristoro dei pregiudizi patiti, peraltro inammissibili in sede di ricorso straordinario.
P.Q.M.
esprime il parere il ricorso debba essere accolto, nei sensi di cui in motivazione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicolo' Pollari Gerardo Mastrandrea
IL SEGRETARIO
Maria Grazia Nusca
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mer nov 01, 2017 12:10 pm
da panorama
Il Ministero dell'Interno vince l'Appello.
Il CdS ci ripensa su tutta la norma circa la moglie casalinga e sulle sentenze precedenti, sia per Militari che per le FF.OO..
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Il CdS scrive:
1) - Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
N.B.: i punti cruciali sono indicati al n. 11.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201704993 - Public 2017-10-30 -
Pubblicato il 30/10/2017
N. 04993/2017REG.PROV.COLL.
N. 00140/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 140 del 2017, proposto da Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Friuli – Venezia Giulia n. 323 del 24 giugno 2016, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di fruizione di periodi di riposo ex art. 40, lett. c), d.lgs. n. 151/2001.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato, ha proposto ricorso di fronte al T.a.r., competente ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento del Questore di Gorizia prot. n. ... del 26 giugno 2012, con cui è stata rigettata la sua istanza di fruizione dei periodi di riposo previsti dall’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 del 2001 (ai sensi del quale “I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore … c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”).
1.1. Il sig. -OMISSIS- ha chiesto, sul presupposto della spettanza del diritto alla fruizione dei periodi in parola, l’annullamento del provvedimento e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale subito, di importo “pari al numero dei permessi negati”.
1.2. Il ricorrente, in particolare, ha censurato l’esegesi della disposizione operata dall’Amministrazione ed ha, di contro, sostenuto di avere diritto a fruire dei periodi di riposo, giacché la sua compagna, in quanto casalinga, non sarebbe per definizione una “lavoratrice dipendente”.
2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto all’istanza demolitoria, mentre ha rigettato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, la conseguente richiesta risarcitoria.
2.1. Il Tribunale ha in particolare sostenuto, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151, che, “trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di "casalinga" ), che la distolgano dalla cura del neonato”.
3. Il Ministero dell’interno ha interposto appello, interamente incentrato sulla critica dell’esegesi dell’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 sostenuta in prima cure.
4. Il sig. -OMISSIS-, nonostante la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio.
5. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 28 settembre 2017, merita accoglimento.
6. Il Collegio, preliminarmente, affronta la problematica dell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, della normativa dettata dal d.lgs. n. 151.
7. Per esigenze sistematiche, lo scrutinio di siffatta questione viene effettuato nell’ambito della più ampia disamina circa l’applicabilità della disciplina in questione anche alle Forze Armate (ed alle Forze di Polizia ad ordinamento militare).
7.1. Inizialmente la giurisprudenza, chiamata ad occuparsi dell’istituto della “assegnazione temporanea” contemplato dall’art. 42-bis (come noto introdotto nel corpo del d.lgs. n. 151 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), escluse, con valutazioni per vero potenzialmente estensibili a tutte le misure di ausilio alla genitorialità introdotte da detto decreto, che l’istituto in questione potesse essere applicato al personale appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia tutte, in relazione al particolare status rivestito e agli speciali compiti istituzionali svolti da tali organizzazioni (ex multis Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2010, n. 3278, tutte peraltro relative ad appartenenti alla Polizia di Stato).
7.2. La successiva giurisprudenza, tuttavia, ha mutato indirizzo.
7.2.1. In particolare questa Sezione, proseguendo una traiettoria esegetica anticipata dalle sentenze della Sesta Sezione 21 maggio 2013, n. 2730 e della stessa Quarta Sezione 10 luglio 2013, n. 3683, ha da ultimo ribadito, con la pronuncia 23 maggio 2016, n. 2113, relativa ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri, che “in linea generale deve osservarsi che il t.u. n. 151 del 2001 (in particolare gli artt. 1 e 2), non contiene alcuna limitazione soggettiva capace di escludere dal suo ambito applicativo gli appartenenti alle Forze armate e di Polizia, anzi, dall’esame degli artt. 9 e 10 si desume che esso potesse trovare integrale applicazione a tali categorie di personale; si tenga poi presente che l’art. 10 cit. è stato riassettato all’interno del codice (sub art. 1494), con sua contestuale abrogazione, per cui risulta ancor più evidente l’applicazione della specifica normativa al personale militare”.
7.2.2. La pronuncia, peraltro, aggiunge che il primario valore degli interessi pubblici perseguiti dalle Forze Armate e di Polizia rende non automatico e meccanicistico l’accoglimento degli istituti plasmati per l’impiego civile e, in particolare, di quelli individuati dal decreto n. 151; di contro, molteplici spunti normativi inducono a ritenere che l’introduzione di tali istituti nella disciplina ordinamentale delle Forze Armate e di Polizia incontri il limite della concreta compatibilità con le peculiarità del relativo impiego.
8. Invero, questo spunto pretorio trova una solida base normativa in alcuni articoli del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).
8.1. Giova richiamare, in particolare:
- l’articolo 625, che stabilisce espressamente il principio, di generale valenza (anche ermeneutica, ai sensi dell’art. 12, primo comma, delle preleggi), della specificità ed autosufficienza dell’ordinamento del personale militare;
- l’art. 1465, secondo cui, premesso che “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, “per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali”;
- l’art. 1493, di rilevante interesse nella presente vicenda, che subordina l’applicazione della normativa vigente per il personale delle Pubbliche Amministrazioni in materia di maternità e paternità alle condizioni proprie del “particolare stato rivestito” dal militare.
8.2. La disciplina dettata dal codice dell’ordinamento militare - coerentemente con la propria natura codicistica ed in applicazione della Costituzione, che all’art. 52, si riferisce espressamente ad un vero e proprio “ordinamento” delle Forze Armate - è, ove apprezzata con un approccio ermeneutico di ampio respiro, con ogni evidenza atta a connotare l’impiego militare di un carattere certamente separato dalle altre forme di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e connotato da forti elementi di specialità (in questo senso, ex plurimis e da ultimo, Corte cost., n. 268 del 2016; Cons. stato, sez. IV, ord. 4 maggio 2017, n. 2043).
8.3. In particolare, l’osmosi con gli istituti dettati per gli impieghi civili alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è mediata, filtrata e conformata da un principio generale di preservazione delle specificità settoriali delle Forze Armate e di tutti i Corpi di Polizia, traguardate non come valore finale in sé, bensì come ineludibile esigenza strumentale, necessaria per consentire l’ottimale perseguimento delle peculiari e delicate funzioni loro proprie (ossia la difesa militare dello Stato per terra, mare ed aria e la prevenzione e repressione, anche con l’uso della forza, dei reati).
8.4. Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la trasposizione in ambiente militare (ivi incluse le Forze di Polizia ad ordinamento militare), fra l’altro, degli istituti a tutela della paternità e maternità dettati dall’ordinaria disciplina privatistica del rapporto di lavoro (e, dunque, applicabili anche all’impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, come noto retto da stilemi privatistici – cfr., del resto, gli artt. 2, comma 1, lett. e] del d.lgs. n. 151 del 2001 e 2, commi 2 e 3, t.u. n. 165 del 2001), sebbene sia in linea generale possibile giacché i militari sono pur sempre lavoratori dipendenti, è comunque in concreto limitata dalle eventuali “ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (così la richiamata sentenza n. 2113, cui si opera integrale riferimento).
8.5. Questa specificità strutturale dell’impiego militare è, per vero, propria anche del rapporto d’impiego alle dipendenze della Polizia di Stato, benché retta da un ordinamento civile.
8.5.1. Pur se estranee all’ambito ordinamentale propriamente militare, infatti, le Forze di Polizia ad ordinamento civile (la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria) sono state escluse dalla generale riconduzione a stilemi privatistici della disciplina del pubblico impiego (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001): evidentemente, la specificità dei relativi compiti è tale che, pur se con un ordinamento di carattere non militare, comunque le Forze di Polizia partecipano di quella stretta connessione con il nucleo vivo del pubblico potere da non tollerare l’assoggettamento all’ordinaria regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.
8.5.2. D’altronde, mentre la natura giuridica degli elementi portanti ordinamentali ha rilievo per così dire “interno” al Corpo, quale connotato della sua struttura, l’esclusione dalla generale privatizzazione del pubblico impiego riveste, ai fini della presente disamina, un significato ben maggiore, in quanto dimostra per tabulas la ontologica specificità del lavoro prestato da un poliziotto rispetto a quello prestato da un dipendente civile dello Stato.
8.5.3. La pregnanza del vincolo di dipendenza funzionale dai superiori, l’esercizio di poteri afferenti alla libertà personale dei cittadini, la strutturale dotazione di strumenti, quali le armi, di norma non disponibili per l’ordinario civis, la previsione di una normativa speciale di carattere sia ampliativo (art. 53 c.p.) sia riduttivo (art. 195, comma 4, c.p.p.) rispetto alle normali facoltà del cittadino costituiscono elementi oggettivi di rottura della continuità tipologica rispetto alle ordinarie forme di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione che, come hanno determinato sul piano legislativo l’esclusione dalla privatizzazione, così impongono, sul crinale interpretativo, di ritenere che l’applicazione degli istituti dettati con riferimento generale al lavoro dipendente (di diritto privato) debba avvenire nei limiti e con le modulazioni necessarie a preservare le peculiari connotazioni strutturali del Corpo.
8.6. In linea, del resto, con l’opinione di un’applicazione non automatica degli istituti del d.lgs. n. 151 all’impiego militare e di polizia (sia civile sia militare) è il vigente disposto dell’art. 32 del d.lgs. n. 151, novellato nel 2015: infatti, a tenore del comma 1-bis del menzionato articolo: “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo” parentale.
8.7. E’, d’altronde, nota la teorica dei “diritti tiranni” elaborata dalla Corte costituzionale: la Corte, nella sentenza 9 maggio 2013 n. 85, ha statuito che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, tra cui vi è anche la difesa militare dello Stato (che l’art. 52 della Carta definisce “sacra”) e la prevenzione e repressione dei reati, condotte violative dell’ordine costituito che minacciano le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo, la cui pronta ed efficace tutela è condizione imprescindibile per la preservazione stessa dell’assetto costituzionale.
8.8. Tali affermazioni del Giudice delle leggi sono state, poi, riprese e consolidate in più recenti pronunce anche nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali dell’uomo (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24; 2 marzo 2016, n. 63).
8.9. Può, pertanto, concludersi questa necessaria premessa osservando che gli istituti introdotti dal decreto n. 151 trovano sì applicazione per le Forze Armate e di Polizia (sia civile sia militare), ma con i limiti ed i vincoli rivenienti dalle specificità ordinamentali, operative ed organizzative di tali Corpi.
8.10. Per quanto qui di interesse, dunque, le istanze volte ad ottenere permessi e riposi a tutela della genitorialità debbono essere preliminarmente vagliate dall’Amministrazione, titolare in proposito di un potere valutativo – da esercitare caso per caso in considerazione delle complessive esigenze degli uffici ed in base a criteri di rigorosa proporzionalità e di necessaria strumentalità – teso non a delibare l’an del diritto, per vero stabilito a monte dalla legge, bensì a conformarne il quomodo in relazione alla tutela di puntuali, oggettive ed ineludibili ragioni organizzative, operative o logistiche.
8.11. Peraltro, si aggiunge incidenter tantum, benché la tutela della genitorialità non sia contenuta nell’elenco delle materie oggetto di concertazione di cui agli articoli 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 195 del 1995, cionondimeno le disposizioni dei vari provvedimenti di concertazione susseguitisi nel tempo hanno normato in ordine, tra l’altro, ai riposi giornalieri, per vero con disposizioni che non consentono né giustificano approdi ermeneutici diversi da quelli appena divisati.
8.11.1. In particolare:
- il d.p.r. n. 164 del 2002, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003”, ha stabilito che per le Forze di Polizia ad ordinamento civile si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” e che, per le Forze di Polizia ad ordinamento militare, “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del testo unico a tutela della maternità non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità” (articoli 17, comma 1 e 58, comma 8);
- il d.p.r. n. 170 del 2007, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007” ha previsto, con riferimento a tutte le Forze di Polizia che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità” (articoli 15, comma 8 e 33, comma 8);
- il d.p.r. n. 51 del 2009, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”, ha statuito, con riferimento a tutte le Forze di Polizia, ad ordinamento tanto civile quanto militare, che si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” (articoli 18 e 41).
8.11.2. Di contenuto analogo i provvedimenti di concertazione relativi al personale delle Forze Armate: l’art 14, comma 9, del d.p.r. n. 163 del 2002 e l’art. 15, comma 8, del d.p.r. n. 171 del 2007 stabiliscono che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità”, mentre l’art. 17 del d.p.r. n. 52 del 2009 prevede che al personale delle Forze armate si applica “quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.
8.11.3. Viene, dunque, ribadita l’applicabilità settoriale delle disposizioni recate, in punto di riposi giornalieri, dal d.lgs. n. 151, senza, però, aggiungere (con previsione questa sì innovativa) che l’Amministrazione non ha, in proposito, quella discrezionalità in ordine al quomodo della relativa fruizione che, secondo l’impostazione esegetica qui accolta, è di contro intrinseca alle funzioni, all’assetto, alla struttura stessa delle Forze Armate e di Polizia e che può esplicarsi sia con provvedimenti di carattere generale, sia con (rigorosamente motivate) decisioni afferenti a singole istanze.
9. Tutto quanto sopra premesso, può ora passarsi alla specifica problematica oggetto del presente giudizio, ossia l’interpretazione da riconoscere al mentovato art. 40 del decreto in commento.
9.1. Giova, preliminarmente, rilevare che l’Amministrazione ha fondato la reiezione dell’istanza del sig. -OMISSIS- solo sull’esegesi dell’art. 40 e non (come pure in linea teorica avrebbe potuto) su specifici profili di concreta incompatibilità della fruizione dei riposi, così come richiesti, con le esigenze operative del Corpo.
9.2. Orbene, il d.lgs. n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, stabilisce, inter alia, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40) lavoratori dipendenti alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.
9.2.1. In particolare, l’art. 39 dispone che “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.
9.2.2. L’art. 40, similmente, prevede che “1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
10. L’orientamento esegetico della giurisprudenza di questo Consiglio è, per vero, ondivago in ordine all’interpretazione da riconoscere alla locuzione “lavoratrice dipendente” di cui alla riferita lett. c) dell’art. 40.
10.1. Inizialmente la Sez. VI, nella sentenza 9 settembre 2008 n. 4293, ha ritenuto che, “posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
10.2. Di lì a poco, tuttavia, la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta.
10.2.1. In tale arresto la Sezione, premesso un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha premesso che l’articolo 40 del d.lgs. n. 151 costituisce espressione del principio dell’alternatività della cura del minore, cui la legge vuole assicurare la presenza di almeno uno dei due genitori, stimati ambedue parimenti idonei a prestare la necessaria assistenza.
10.2.2. In tale ottica, ha argomentato la Sezione, la donna casalinga non può, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, essere parificata alla donna “non lavoratrice dipendente”, posto che “la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
10.2.3. In definitiva, ha concluso la Sezione, con la disposizione in commento “il legislatore ha inteso tutelare le esigenze” del minore “garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)”.
10.3. In seguito, tuttavia, la Sezione III, con la pronuncia 10 settembre 2014, n. 4618 è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali sia sistematici.
10.3.1. Sul crinale testuale, si è ivi sostenuto che il tenore letterale della disposizione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”) include, “secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula <<nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente>>. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.
10.3.2. Sul crinale sistematico-teleologico, poi, si è affermato che “Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.
10.4. Su una posizione intermedia si è collocato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la pronuncia 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che “il padre”, cui la legge non riconoscerebbe “un diritto «proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre” alla fruizione dei riposi giornalieri, “deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino”.
10.5. In direzione analoga si era orientata anche la giurisprudenza di merito.
10.5.1. In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222 (relativa ad un appartenente alla Polizia di Stato e poi, peraltro, riformata dalla menzionata sentenza di questo Consiglio n. 4618 del 2014) sosteneva, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, che, “con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre; ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza”.
11. Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.
11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.
11.3. Del resto, benché l’istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.
11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.
11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.
11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.
11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.
11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.
11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.
11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.
11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.
11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.
11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151.
11.14. Peraltro, se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.
11.15. In proposito il Collegio rileva che non risulta che il sig. -OMISSIS- abbia dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole: l’unico elemento addotto, per vero, è rappresentato dall’allegata mancanza, in capo alla signora, della patente di guida, profilo che, tuttavia, non è materialmente di ostacolo alla prestazione domestica di cure al neonato.
11.16. Più in generale, il Collegio osserva che il tenore testuale della disposizione, dettata nell’ambito della disciplina privatistica del rapporto di lavoro, lumeggia l’intenzione del Legislatore di raggiungere una soluzione bilanciata che consenta di tutelare il fondamentale interesse del bambino con il minimo sacrificio possibile per il datore di lavoro e, in generale, per le esigenze della produzione, cui pure è annesso (e dalla norma in questione implicitamente riconosciuto e qualificato) un rilievo sì recessivo e cedevole, ma non del tutto obliterabile (cfr. la richiamata teorica dei “diritti tiranni”).
11.17. A fortiori, in considerazione del rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.
12. In conclusione, l’appello merita accoglimento, con conseguente integrale rigetto del ricorso svolto in prime cure dal sig. -OMISSIS-.
13. La particolarità e novità della quaestio juris sottesa alla presente causa giustifica, a mente del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mar gen 30, 2018 10:35 pm
da panorama
Il CdS accoglie l'appello dell'Amministrazione e si sta andando in discesa.
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- ) - PolStato, coniugato con moglie casalinga.
- ) - sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269
Il CdS precisa:
1) - Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016.
2) - Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga.
3) - Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201800628
- Public 2018-01-30 -
Pubblicato il 30/01/2018
N. 00628/2018 REG. PROV. COLL.
N. 08831/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8831 del 2017, proposto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della P.S., Direzione centrale per le risorse umane - Questura di Gorizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;
Il signor -OMISSIS-, sovrintendente P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.
Con provvedimento del Questore di Gorizia del 6 aprile 2017, la domanda è stata respinta.
Il signor -OMISSIS- ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, ha accolto con sentenza in forma semplificata 2 agosto 2017, n. 269, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 24 giugno 2016, n. 323.
L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 269/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.
L’originario ricorrente non si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2018, nella quale nessuna delle parti è comparsa, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.
Nella sussistenza dei presupposti di legge, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.
Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016. Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.
A tale precedente il Collegio stima di conformarsi integralmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.
Di conseguenza - come detto - l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Filippo Patroni Griffi
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mar mar 06, 2018 2:02 pm
da naturopata
Per quanto d'interesse la nuova circolare M_D GMIL REG2018 0160908 05-03-2018:
MINISTERO DELLA DIFESA
DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE MILITARE
Indirizzo Postale: Viale dell’Esercito, 186 – 00143 ROMA
Posta Elettronica:
persomil@postacert.difesa.it persomil@persomil.difesa.it
All.: 3; ann.: //.
OGGETTO: Riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento). Modifica delle disposizioni vigenti.
A (VEDASI ELENCO INDIRIZZI IN ALLEGATO A)
^^^ ^^^ ^^^ ^^^ Seguito:
a. circolare n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015 (Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari);
b. circolare n. M_D GMIL 0431884 del 22 luglio 2015;
c. circolare n. M_D GMIL 0855250 del 3 dicembre 2015 (Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi).
^^^ ^^^ ^^^ ^^^
1. I riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento), previsti dagli artt. 39 e 40 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono stati disciplinati da questa Direzione Generale con il compendio a seguito a., come successivamente modificato dalla circolare a seguito b..
2. L’istituto in esame è stato oggetto negli ultimi anni di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla concessione dei riposi giornalieri al lavoratore padre nel caso di madre casalinga.
Con sentenza n. 4993/2017, il Consiglio di Stato ha definitivamente risolto i dubbi interpretativi, affermando, in sostanza, che al padre non spetta il beneficio nel caso di madre casalinga, in quanto la presenza domestica di quest’ultima rende possibile l’attenzione ai bisogni del neonato; l’Alto Consesso ha, comunque, riconosciuto al padre la possibilità di fruirne in casi eccezionali, e cioè quando la madre casalinga non possa attendere alla cura del neonato per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni.
3. Sono state, pertanto, apportate le dovute modifiche al:
paragrafo 7 del Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari (Allegato B alla presente circolare);
a pagina 17 dell’allegato B dello Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi
(Allegato C alla presente circolare).
4. Gli Enti in indirizzo sono invitati a curare la capillare diramazione della presente circolare, consultabile, tra l’altro, sul sito
http://www.persomil.difesa.it" onclick="window.open(this.href);return false; di questa Direzione Generale, a tutti i Comandi/Enti dipendenti.
d’ordine
IL VICE DIRETTORE GENERALE
(C.A. Enrico GIURELLI)
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mar mar 06, 2018 4:19 pm
da panorama
vedi leggi e scarica PDF se d'interesse
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mar mar 06, 2018 4:20 pm
da panorama
vedi allegati B e C
Re: allattamento al padre con madre casalinga
Inviato: mar lug 19, 2022 11:10 pm
da panorama
CdS Ord. di remissione all'Adu.Plen. sui riposi giornalieri artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001.
Il Ministero dell'Interno ha Appellato la sentenza del Tar del 2017 positiva al collega della PolStato.
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
Tutto ciò precisato, in considerazione delle divergenze esegetiche desumibili dagli indirizzi giurisprudenziali evidenziati e delle osservazioni fin qui svolte, la Sezione ritiene di dover rimettere all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 5, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni:
a) se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre, in caso di richiesta di permesso da parte del padre, lavoratore dipendente, del minore di anni uno, si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla casalinga, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero-professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;
b) in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;
c) quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.
Valuterà l’Adunanza Plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio.
N.B.: ora bisogna attendere il definitivo.