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Danni per dequalificazione Prof. e demansionamento. Accolto.

Inviato: dom apr 18, 2010 10:46 pm
da panorama
Buona sentenza del Tar Lombardia.
N. 00369/2010 REG.SEN.
N. 00746/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 746 del 2007, proposto da:
V. A., rappresentato e difeso dall’avvocato G. G., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato L. L. in Milano, …….;
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Milano Via Freguglia n. 1;
per l’affermazione:
- del diritto del ricorrente di vedersi riconosciuto, a tutti gli effetti, come prestato presso il Reparto di appartenenza, Comando 2^ Reggimento Bersaglieri di Legnano, il periodo dal 24.03.2000 al 21.09.2000 durante il quale, con provvedimento prot. 0818/2710 del 10.04.2001, emesso dal comando del 2^ Reggimento Bersaglieri, fu trasferito in forza assente presso il Distretto Militare di Milano con ogni conseguente statuizione di natura caratteristica, economica, retributiva e contributiva e con conseguente correzione del foglio matricolare; con condanna altresì del Ministero al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente a seguito della dequalificazione professionale e del demansionamento di cui il ricorrente è stato vittima, nonché dell’illegittima propalazione di notizie riservate riguardanti la vicenda.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12/01/2010 il dott. Stefano Celeste Cozzi;
Uditi l’avv. G. G. per il ricorrente e l’avv. Caridi per l'Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente è un sottufficiale dell’esercito e presta attualmente servizio presso la Caserma di Solbiate Olona.
1.1. In data 1 marzo 2000, mentre era in forza presso il 2^ Reggimento Bersaglieri di Legnano, venne colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere in quanto sottoposto ad un processo penale pendente presso il Tribunale di …..
1.2. Scarcerato in data 4 marzo 2000, gli furono poi comminati gli arresti domiciliari sino al 24 marzo 2000.
1.3. Successivamente, conclusasi l’applicazione delle succitate misure, il ricorrente, con atto emesso dal Comando del 2^ Reggimento Bersaglieri datato 10 aprile 2000, fu collocato in forza assente presso il Distretto Militare di Milano a decorrere dal 24 marzo 2000.
1.4. Tale provvedimento ha impedito al ricorrente medesimo di riprendere effettivo servizio; finché il Distretto Militare di Milano, con nota del 21 settembre 2000 (e quindi dopo un periodo di circa sei mesi nel corso dei quali all’interessato non è stato di fatto affidato alcun incarico) ha rilevato che il Maresciallo ….. sarebbe dovuto transitare nella forza effettiva del Comando 2^ Reggimento Bersaglieri di Legnano a decorre dalla medesima data in cui quest’ultimo lo aveva collocato in forza assente, e cioè sempre dal 24 marzo 2000.
1.5. In sostanza, secondo il Distretto Militare, una volta terminata l’applicazione delle misure cautelari disposte dal giudice penale, il ricorrente non avrebbe dovuto essere collocato in forza assente, ma avrebbe dovuto al contrario riprendere sin da subito servizio presso il Comando di provenienza.
1.6. Dopo la trasmissione della nota testé menzionata, e pertanto solo dal 22 settembre 2000, il Comando di Legnano ha consentito quindi al ricorrente di riprendere effettivamente servizio.
1.7. Con il ricorso in esame, l’interessato chiede che venga dichiarato da questo giudice il suo diritto di vedersi riconosciuto, a tutti gli effetti, come prestato presso il Reparto di appartenenza, Comando 2^ Reggimento Bersaglieri di Legnano, il periodo dal 24.03.2000 al 21.09.2000; e che di conseguenza venga ordinata la ricostruzione della sua carriera.
1.8. Lamenta inoltre che dopo la riassunzione in servizio gli sarebbero stati affidati incarichi non confacenti al suo grado di Maresciallo, e di aver subito quindi un demansionamento il quale gli avrebbe a sua volta provocato danni di natura patrimoniale, biologica, esistenziale e morale, di cui chiede il risarcimento.
1.9. Causa di ulteriore danno sarebbero state poi le modalità attraverso le quali le autorità militari hanno fatto circolare, fra i diversi reparti, le notizie che riguardavano il procedimento penale al quale egli era sottoposto.
1.10. Anche di tale voce di danno il ricorrente chiede il risarcimento.
1.11. Costituitosi in giudizio, il Ministero della Difesa si oppone all’accoglimento del ricorso.
1.12. La Sezione, con sentenza non definitiva n. 5757 del 10 dicembre 2008, ha accolto la domanda di accertamento volta al riconoscimento, come servizio prestato a tutti gli effetti, del periodo 24 marzo 2000 – 21 settembre 2000, e la conseguente domanda di condanna dell’Amministrazione alla ricostruzione di carriera; ha respinto in parte la domanda di condanna al risarcimento dei danni (con particolare riferimento a quelli dovuti alla circolazione delle notizie riguardanti la vicenda giudiziaria, e a quelli di natura patrimoniale); ha stabilito di procedere con una consulenza tecnica d’ufficio per l’accertamento della sussistenza e della consistenza del danno biologico, disponendo che su tale voce di danno (così come per i danni esistenziali e morali lamentati dal ricorrente) si sarebbe pronunciato dopo l’espletamento dell’incombente istruttorio.
1.13. Compiuto quest’ultimo, la Causa è stata chiamata all’udienza pubblica del 12 gennaio 2010, ad esito della quale il Collegio ha trattenuta la stessa in decisione.
2. La controversia in esame, dopo la sentenza interlocutoria n. 5757/08, riguarda ormai solo la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali che il ricorrente afferma di aver patito a causa dell’ingiusto demansionamento inflittogli dall’amministrazione intimata, dopo le vicende giudiziarie che lo hanno colpito.
2.1. Conviene innanzitutto precisare che la sentenza appena richiamata ha accertato: a) che il ricorrente è stato ingiustamente collocato nella forza assente nel periodo 24 marzo 2000 – 21 settembre 2000, durante il quale non gli è stato attribuito alcun incarico; b) che al rientro in servizio l’Amministrazione gli ha conferito mansioni non confacenti al suo grado di Maresciallo; c) che i danni patrimoniali occorsi al ricorrente, afferenti al lamentato rallentamento dello sviluppo di carriera, non sono stati adeguatamente dimostrati; d) che parimenti non è stata dimostrata la violazione delle disposizioni che disciplinano la circolazione delle informazione fra i reparti dell’amministrazione intimata, e che dunque non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali causati dalla diffusione delle notizie riguardanti il procedimento penale cui è stato sottoposto il ricorrente.
2.2. Questi punti, pertanto, non possono più essere messi in discussione in questa fase della controversia.
3. Di conseguenza restano da esaminare le seguenti domande, riguardanti: a) il risarcimento del danno biologico connesso alla malattia psichica che, a dire dell’interessato, il summenzionato demansionamento gli avrebbe cagionato; b) il risarcimento del danno morale; c) il risarcimento del danno esistenziale connesso al mutamento delle proprie condizioni di vita (dovuto soprattutto all’azzeramento delle relazioni interpersonali che intercorrevano con colleghi), provocato, a dire dell’interessato, dall’atteggiamento vessatorio tenuto dall’Amministrazione datrice di lavoro.
3.1. Il Collegio deve in primo luogo verificare se tutte le summenzionate voci di danno siano effettivamente risarcibili nel caso di specie.
3.2. Deve premettersi che, sebbene la giurisprudenza, nelle più recenti decisioni, abbia chiarito che il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria, che trova il proprio fondamento normativo nell’art. 2059 del codice civile, secondo cui, per tale figura di danno, può essere disposto il risarcimento “solo nei casi determinati dalla legge” (cfr. Cass. Civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), nel prosieguo continueranno comunque ad utilizzarsi le espressioni “danno morale”, “danno esistenziale” e “danno biologico”, pur se a fini puramente descrittivi, onde pervenire ad una corretta determinazione dell’entità del risarcimento riconoscibile al danneggiato.
4. Ciò premesso, va osservato che il citato art. 2059 c.c. non configura un’autonoma fattispecie di illecito, contrapposta a quella generale individuata dall’art. 2043 c.c., ma consente solo che, in determinati casi, sia dato risarcimento anche al danno non patrimoniale; sempre che ricorrano tutti gli elementi richiamati dal citato art. 2043 c.c., e che quindi sussista: una condotta riferibile al danneggiante; un evento di danno (danno evento) connotato da ingiustizia (determinata quest’ultima da una lesione, non giustificata, di un interesse meritevole di tutela); un nesso di causalità fra condotta ed evento; un danno conseguente all’evento (danno-conseguenza).
4.1. Il danno-conseguenza può poi essere di natura patrimoniale o non patrimoniale, a seconda che l’interesse leso sia, o meno, suscettibile di valutazione economica: ed è proprio il ricorrere di quest’ultima evenienza (la non commisurabilità del danno in termini economici) che determina l’applicazione dell’art. 2059 c.c..
4.2. La peculiarità del danno non patrimoniale sta dunque unicamente nel fatto che la sua risarcibilità non dipende esclusivamente dal ricorrere degli elementi di cui all’art. 2043 c.c., essendo necessario che la lesione sia perpetrata mediante il realizzarsi di una fattispecie riconducibile ad una delle ipotesi predeterminate dalla legge. L’illecito che dà luogo a danno non patrimoniale risarcibile è dunque connotato dalla tipicità, a differenza dell’illecito che provoca danni patrimoniali, che è invece sempre risarcibile, ed è quindi atipico.
4.3. Il legislatore ha introdotto nell’ordinamento diverse norme che individuano fattispecie tipiche di risarcibilità del danno non patrimoniale: la più importante è l’art. 185 c.p., dettato per le ipotesi di danno cagionato da reato; vi sono poi l’art. 2 della legge n. 117/98, riguardante i danni per gli illeciti derivanti da ingiusta detenzione; l’art. 9 della legge n. 675/96, riguardante l’impiego di modalità illecite per la raccolta dei dati personali; l’art. 44 del d.lgs n. 286/98, riguardante l’illecito derivante da discriminazioni etniche, razziali o religiose; ed infine, l’art. 2 della legge n. 89/2001 che concerne la violazione del termine di ragionevole durata dei processi.
4.4. Accanto a queste ipotesi predefinite dalla legge, la giurisprudenza ne ha individuata un’altra di carattere generale riguardante i casi in cui la lesione abbia ad oggetto un diritto inviolabile della persona, presidiato da norme di rango costituzionale (ingiustizia costituzionalmente qualificata): in caso di lesioni di tal genere, la risarcibilità dei danni non patrimoniali è ammessa anche ove non vi sia una espressa statuizione in tal senso da parte del legislatore, atteso che, da un lato, tale misura costituisce uno strumento minimo di tutela che un ordinamento democratico non può non apprestare per la difesa dei diritti fondamentali della persona e che, da altro lato, le norme costituzionali, nel riconoscere tali diritti, esigono (anche se implicitamente) siffatta risarcibilità, e costituiscono dunque un valido punto di approdo per il rinvio alla legge operato dall’art. 2059 del codice civile (cfr. Cass. Civ., sez. III, 31 maggio n. 8827; id, 31 maggio 2003 n. 8828) . Si parla comunemente in tal caso di danno esistenziale il quale, come detto, non ha una sua autonomia concettuale, ma è un elemento da considerare, ove ricorra il presupposto della sua "serietà", nell’ambito del danno non patrimoniale: esso si identifica quindi in ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore (come avviene per il danno morale), ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cassazione civile , sez. III, 21 luglio 2009 , n. 16914).
4.5. La stessa giurisprudenza ha inoltre chiarito che, in questo specifico caso, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., impone che il danno non patrimoniale debba essere risarcito anche nell’ambito della responsabilità contrattuale, nonostante, come noto, la summenzionata norma sia stata dettata in tema di responsabilità aquiliana. La ragione di questa estensione applicativa risiede proprio nella natura degli interessi tutelati i quali, data la loro rilevanza costituzionale e la loro pertinenza ad aspetti legati alla personalità, non possono ricevere una minore tutela solo perché l’illecito che li colpisce si configura di tipo contrattuale; senza contare che la rilevanza, in ambito contrattuale, degli interessi non patrimoniali, viene espressamente riconosciuta dall’art. 1174 c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore (Cass. Civ. sez. un. n. 26972/2009 cit.) .
4.6. Tipica ipotesi in tal senso è il danno non patrimoniale cagionato al lavoratore in caso di demansionamento: per questa ipotesi di illecito (senz’altro di tipo contrattuale, in quanto implicante la violazione delle specifiche obbligazioni che derivano dal rapporto di lavoro) non vi è alcuna norma legislativa specifica che preveda la risarcibilità del danno non patrimoniale ad esso conseguente; che tuttavia è ugualmente ammessa proprio perché derivante dalla lesione di interessi della personalità presidiati dagli art. 1, 2, 4 e 35 della carta fondamentale.
4.7. La definizione di danno esistenziale abbraccia anche il pregiudizio alla vita di relazione, dovuto alla compromissione, conseguente all’illecito, delle relazioni intersoggettive del danneggiato la quale, se dimostrata in giudizio, deve dunque essere presa in considerazione ai fini della determinazione dell’entità del risarcimento.
4.8. Va tuttavia osservato che la giurisprudenza ormai consolidata, ritiene che, per evitare duplicazioni risarcitorie, il danno alla vita di relazione, se a sua volta provocato da lesioni all’integrità psico-fisica, deve essere ricompreso nel danno biologico (cfr. Cass. Civ., sez. III, 21 luglio 2009 , n. 16914; id. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 cit.). Questa conclusione è avvalorata dall’art. 139, comma 2, del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (recante “Codice delle assicurazioni private”) che, nel definire il danno biologico come lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, ne sottolinea, sotto l’aspetto funzionale, l’incidenza negativa “…sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
5. Il danno morale si distingue dal danno esistenziale e si identifica con il patema d’animo, la sofferenza interna, che il danneggiato subisce a causa dell’illecito.
5.1. Tale tipologia di danno, secondo la giurisprudenza, è risarcibile solo allorché l’illecito sia ascrivibile ad una ipotesi di reato.
5.2. Invero, mentre per la fattispecie di cui all’art. 185 c.p., il legislatore non opera alcuna selezione degli interessi non patrimoniali risarcibili (con la conseguenza che il danno non patrimoniale, in caso di condotta integrante reato, può essere risarcito nella sua massima espansione), per quanto riguarda le ipotesi di lesione dei diritti fondamentali della persona (e quindi di danno esistenziale), la risarcibilità, proprio perché funzionale alla tutela di interessi particolarmente sensibili e non esplicitamente prevista dalla legge, riguarda solamente quello specifico interesse preso in considerazione dalla norma costituzionale: il danno morale strettamente inteso scaturisce dalla lesione di un interesse non preso in considerazione dalle disposizioni di rango costituzionale (che pur tutelano i diritti fondamentali della persona), e può pertanto essere risarcito solo quando la condotta dell’autore dell’illecito, oltre ad essere pregiudizievole per tali diritti, integri, anche in via meramente astratta, un’ipotesi di reato (cfr. Cass. Sez. Un. n. 26972/2008 cit; Consiglio di stato, sez. VI, 23 marzo 2009 , n. 1716; Corte appello Napoli, 10 giugno 2009; contra Cassazione civile, sez. lav., 19 dicembre 2008 , n. 29832 che sul punto tuttavia, pur affermando di volervi aderire, contraddice Cass. Sez. Un. n. 26972/2008).
5.3. Anche con riferimento al danno morale occorre prestare attenzione affinché vengano scongiurate duplicazioni risarcitorie; sicché qualora le sofferenze morali degenerino in alterazioni patologiche dello stato di salute, tale tipologia di danno non può essere risarcita in sé ma va a confluire nel danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura costituisce componente (cfr. Cass. Civ., sez. un., n. 26972 cit.; Cass. Civ., sez. lav., 30 novembre 2009 n. 25236).
6. Nel caso concreto, come in parte anticipato, il ricorrente ha certamente subito una lesione ad interessi fondamentali della persona connessi al suo status di lavoratore, presidiati dagli artt. 2, 3, 4 e 35 della Costituzione; ed inoltre poiché, come si vedrà, la condotta dell’Amministrazione gli ha provocato una malattia, può affermarsi che l’illecito (perlomeno in astratto) integri un’ipotesi di reato.
6.1. Tuttavia la sofferenza morale di cui l’interessato si lamenta è degenerata, come si è detto e come si dirà innanzi, in uno stato patologico; sicché essa costituisce una componente del danno biologico di cui verrà disposto il risarcimento, e non può quindi trovare autonomo ristoro.
7. Nella fattispecie concreta, inoltre l’interessato deduce che il comportamento illecito tenuto dall’Amministrazione gli avrebbe provocato danni alla vita di relazione, dovuti all’azzeramento dei rapporti interpersonali intrattenuti soprattutto (ma non solo) con i colleghi che, in passato, erano invece intensi e costituivano una delle modalità di realizzazione della propria personalità in ambito extra-lavorativo.
7.1. Sul punto va tuttavia considerato che, come afferma lo stesso ricorrente, tale riflesso negativo sulle abitudini di vita non dipende dal demansionamento in sé considerato ma, principalmente, dal fatto che i colleghi (e gli altri soggetti) erano venuti a conoscenza delle gravi accuse rivoltegli dall’autorità giudiziaria; ed inoltre dal disagio che il ricorrente stesso comunque provava nell’intrattenere rapporti interpersonali, anche con persone che non conoscevano la sua vicenda processuale.
7.2. Per ciò che concerne il primo aspetto, la sentenza n. 5757/08 ha escluso che la circolazione delle notizie riguardanti le suindicate vicende fosse dipesa da un illecito perpetrato dall’Amministrazione; sicché, sotto tale profilo, questa voce di danno non può essere ascritta alla responsabilità di quest’ultima.
7.3. Per ciò che concerne invece il secondo profilo, vale quanto sopra precisato in punto di assorbimento del danno alla vita di relazione nel danno biologico, giacché si deve ritenere che il turbamento che impediva (ed impedisce) al ricorrente di relazionarsi con altre persone (non a conoscenza delle accuse a lui rivolte) sia una delle conseguenze della malattia pisco-fisica che lo ha colpito, e di cui si tratterà nel prosieguo.
7.4. Da tutto quanto sopra discende che, così come per il danno morale, anche del danno alla vita di relazione non si potrà tener conto ai fini della quantificazione del risarcimento.
8. Può quindi ora passarsi alla trattazione del danno biologico.
8.1. Come anticipato, la Sezione ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare se il comportamento illecito tenuto dall’Amministrazione, consistente nel demansionamento dell’interessato, avesse effettivamente provocato a quest’ultimo una malattia di natura psichica, e di accertarne quindi, in caso di risposta affermativa, la consistenza.
8.2. Il Consulente ha risposto affermativamente al questo, riferendo che il ricorrente soffre di “Disturbo dell’Adattamento con Ansia e Umore Depresso Misti”, e che per tale ragione può essere riconosciuta la sussistenza di un danno biologico permanente valutato nell’ordine del 7%; al quale va aggiunto un danno biologico temporaneo, per un periodo di 24 mesi in cui la malattia si è manifestata in forma più acuta, valutato nell’ordine del 50% per sei mesi e del 25% per i restanti mesi.
8.3. Ritiene il Collegio che non vi sia motivo per discostarsi dalle risultanze della perizia redatta dal CTU, avendo questi ben messo in evidenza che la suindicata malattia è casualmente riconducibile al demansionamento ad alle altre vessazione subite dall’interessato in ambito lavorativo; con ciò smentendo la principale critica mossa dall’Amministrazione, secondo la quale la causa dello stato patologico andrebbe individuata esclusivamente nella vicenda giudiziaria che ha coinvolto il medesimo interessato.
8.4. A conforto di tale conclusione conviene riportare alcuni passaggi della perizia, laddove si afferma che la malattia si è “sviluppata in coincidenza con una situazione di grande stress lavorativo”, e che quindi il disturbo “...può a ragione essere posto in relazione causale allo stress emotivo ad al carico di tensione che si sono accumulati nel periodo di tempo in cui il soggetto ha vissuto una realtà lavorativa “ostile” ben rappresentata dal demansionamento subito”.
8.5. L’Amministrazione deve quindi essere condannata al risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’integrità psico-fisica da essa provocato al ricorrente.
9. Trattandosi di danno non patrimoniale, la quantificazione non può che avvenire in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. (tenendo conto delle Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, ma considerando che queste, nella nuova formulazione, comprendono anche la quota afferente ai danni morali ed ai danni alla vita di relazione di cui nello specifico si è esclusa la computabilità ai fini quantificatori).
9.1. Complessivamente pertanto l’Amministrazione deve essere condannata a corrispondere all’interessato la somma già rivalutata di Euro 28.552,38, oltre interessi sino al soddisfo.
10. Le spese, che vengono liquidate in dispositivo, seguono la regola generale della soccombenza
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte e per l’effetto condanna l’Amministrazione a versare al ricorrente la somma di Euro 28.552, 38 oltre ad interessi, come indicato in motivazione.
Condanna l’Amministrazione a rifondere al ricorrente le spese di giudizio che liquida in complessive Euro 6.501,81, di cui Euro 1000 per diritti ed onorari, 5.501,81 per esborsi, oltre IVA e c.p.a. se dovuti.
Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese per il compenso del CTU che quantifica in Euro 1.500 più IVA, dedotto quanto già versato dal ricorrente a titolo di fondo spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12/01/2010 con l'intervento dei Magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Referendario, Estensore
Dario Simeoli, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2010

Re: Danni per dequalificazione Prof. e demansionamento. Acco

Inviato: gio apr 26, 2012 5:21 pm
da panorama
Dequalificazione del dipendente pubblico: sì al danno esistenziale
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Si al risarcimento del danno esistenziale nel caso di dequalificazione del dipendente pubblico. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro del Tribunale di Brindisi, con la sentenza 10 febbraio 2012, n. 561.
Il caso vedeva una lavoratrice, dipendente pubblico, rientrare al lavoro dopo una lunga assenza giustificata da una malattia, ed essere destinataria di un demansionamento, con conseguente dequalificazione, che l'avevano portata ad un pensionamento anticipato con disturbo depressivo cronico e conseguenti sofferenze psichiche ed alterazioni delle proprie abitudini di vita.
La donna, che, dal momento del demansionamento, non era più riuscita a guidare l'automobile, a coltivare amicizie e ad evitare qualsiasi occasione di dialogo, agiva in giudizio chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale, sotto forma del danno esistenziale e del danno biologico.
I giudici brindisini premettono come, in fase di riorganizzazione generale di un servizio e di soppressione di precedenti uffici, l'impiegato non possa rivendicare un diritto soggettivo ad un incarico piuttosto che ad un altro, ma solo pretendere il rispetto della professionalità acquisita che, non avendo ancora preso funzioni in concreto, il giudice può valutare solo con riferimento al confronto dell'equivalenza delle mansioni descritte e della correttezza e lealtà delle relazioni lavorative in cui la trasformazione organizzativa è avvenuta.
Una volta provato il demansionamento, la dequalificazione professionale ben può comportare la lesione della dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo.
Già la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Lav., sent. n. 19785 del 17.09.2010), ebbe modo di statuire come, in tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Infatti, "mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni".
In merito alla quantificazione di tale voce di danno, il tribunale giunge alla conclusione che "la situazione di mortificazione e frustrazione in termini di disagio oggettivo che consegue all'inadempimento datoriale ben può essere misurata attendibilmente facendo riferimento alla retribuzione, quest'ultima essendo indice anche dell'apprezzamento della professionalità, in senso lato, del lavoratore, e non solo del prezzo della prestazione resa".
In conclusione, i giudici ritengono che la ricorrente abbia diritto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdurante dequalificazione con particolare riferimento alle ripercussioni nella vita personale e relazionale.

Re: Danni per dequalificazione Prof. e demansionamento. Acco

Inviato: ven apr 27, 2012 1:07 pm
da hirundo
Spett.Redazione
IL mio caso è molto simile,sono in malattia per stato ansioso e ancora oggi non mi capacito di quello che mi è successo.Gradirei se fosse possibile di indicarmi il nominativo dell avvocato o dello studio legale che ha promosso questa causa poichè il mio caso ricade nella stessa regione.
RIngrazio anticipatamente
distinti saluti