Pensionati d’oro scatta la rivolta "Assegni tagliati frutto del rancore, quei soldi ce li siamo guadagnati”. Si guarda alla Consulta
«Oro? Che pensioni d’oro! Le nostre al massimo sono di rame. E questi sono Robin Hood da strapazzo. Gente che prende i soldi a chi è stato leale con l’Italia e li dà a chi non li merita». Fulgenzio Ierino, 77 anni d’età, 44 di contributi come medico e un assegno previdenziale (« scriva uno stipendio differito, quello è») da poco più di 90mila euro l’anno, una giornata così non se l’aspettava. La scena al Teatro Nuovo di Milano è quella tumultuosa delle assemblee universitarie del ’68 e del ’77. Platea gremita, decine di persone in piedi, toni da autunno caldo. L’Italia gialloverde che « ha invidia sociale per le competenze», come dice Giuseppe Roma, ex direttore generale del Censis, vuole sforbiciare le pensioni di chi prende più di 90mila euro l’anno. E le vittime predestinate — medici, manager d’azienda, magistrati e liberi professionisti — sono pronte ad affrontare lo scontro finale: «Resistere, resistere, resistere » arringa la folla Giovanni Rossi dell’associazione magistrati e avvocati dello Stato in pensione rispolverando gli slogan di Mani Pulite. «Non siamo gilet gialli, ma la lotta sarà dura — rilancia Giuseppe Ambrosioni, numero uno della Cida, organizzatrice dell’incontro — . Oggi parte la guerra e andremo fino in fondo, alla Corte costituzionale ». Obiettivo: far saltare «lo scippo» dell’esecutivo Conte, figlio del «rancore diventato metodo di governo» (copyright di Ambrosioni) dei grillini. Con la complicità — in sala faticano a mandarlo giù — dell’ex-amico Matteo Salvini.
Certo — ammettono tutti — esistono i casi abnormi: pensioni retributive quasi milionarie, gente che prende assegni da mille e una notte dopo aver lavorato sì e no tre lustri. Ma uno non vale uno, dicono al Nuovo, e quelle sono eccezioni. «Qui in teatro non ci sono privilegiati — spiega Domenico Bruzzone, ex dirigente petrolifero che grazie a 43 anni di contributi prende 6.300 euro al mese —. Sono soldi che abbiamo meritato e versato, stringendo un patto con lo Stato. E le regole si rispettano » . « Pacta sunt servanda — gli fa eco Fulgenzio — . Se si possono riscrivere ogni mattina a seconda di come ti svegli ».
«Il senso di responsabilità civile non ci manca — spiega Mara Caputo, dirigente d’azienda che dopo 38 anni di lavoro prende poco più di 4.500 euro — . Non viviamo mica sulla luna. Ci rendiamo conto della realtà che ci circonda. La mia pensione negli ultimi anni è stata tagliata di 2-300 euro per i contributi di solidarietà. E non mi sono lamentata, l’ho fatto con piacere » . Ma se bisogna far cassa per il welfare — è il ritornello collettivo — «i soldi si ricavano dalla fiscalità generale, non trattando noi come bancomat ». Sullo schermo dietro i relatori gira un video che riassume i mille attacchi di Luigi Di Maio sul tema pensioni d’oro. « Oggi noi non siamo altro che qualche migliaio scalpi da mostrare a una tribù per fini elettorali», accusa Guido Carella di Manager Italia. Nessuno si fa troppe illusioni. «Siamo come Leonida alle Termopili — tuona un relatore dal palco — . Arrenderci? Mai! Devono venire a prendersi le nostre armi » . Rossi, pragmatico, getta acqua sul fuoco: «Ci metteranno le mani nelle tasche, dobbiamo prepararci al piano B » . Quello legale. Con la patata bollente delle presunte pensioni d’oro pronta a planare per incostituzionalità sul tavolo della Consulta.
Intanto quota 100 "light" solo per 350 mila, agli altri resta la Fornero
Nel 2019 gli italiani avranno sei opzioni per andare in pensione. Dal 2020 solo tre. E dal 2022 “ quota 100” sarà rimpiazzata da “ quota 41”. O meglio, secondo le intenzioni del governo, confinata ad alcune categorie di lavoratori disagiati. Ma in tutti i casi la riforma Fornero non viene abolita né smontata. Rimane viva e vegeta. Solo affiancata da qualche alternativa in più.

Andiamo per ordine. Il prossimo anno chi pensa di andare in pensione ha sei vie di fuga. Solo una in più di oggi: “quota 100”, riservata a quanti possono vantare almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi. Il “ quotista” non potrà però cumulare pensione e lavoro (al massimo guadagnare 5 mila euro di reddito extra all’anno). E sa già che il suo assegno sarà ridotto fino a un terzo - per i minori contributi versati - benché incassato per più anni, al massimo cinque. Come pure sa che l’uscita sarà scaglionata per finestre. Chi matura i requisiti a gennaio, prenderà la prima pensione ad aprile ( se dipendente privato) o a luglio ( statale, settembre se insegnante). Chi li matura a febbraio uscirà a maggio o agosto. E così via. Una tecnica usata dal governo per abbassare la spesa. La platea potenziale, nelle prime stime, è di 350 mila nuovi pensionati, di cui 160 mila statali. Non tutti però sceglieranno “ quota 100”. E gli altri? Le alternative sono cinque. Le due classiche della Fornero: 67 anni di età (con almeno 20 di contributi) o 42 anni e 10 mesi di contributi. E le tre speciali: Ape sociale (63 anni se disoccupato o con malati da accudire), Opzione donna (58 anni e 35 di contributi), precoci e usuranti (41 anni di contributi).
Nel 2020 e 2021
Cosa succede dopo? Il governo sostiene ora che “ quota 100” è una via di uscita sperimentale. Sarà dunque possibile fare domanda solo nel triennio 2019- 2021. Sebbene lo stanziamento - quasi 21 miliardi, divisi così: 4,7 il primo anno, poi 8 e

appaia risicato, come ribadito in più occasioni dal presidente Inps Tito Boeri ma anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio, certificatore indipendente della manovra. Le opzioni di uscita nel biennio 2020-2021 si dimezzano. Le tre speciali ( Ape, donne, precoci) non saranno rifinanziate, per quanto se ne sa ora. Rimangono le due Fornero ( vecchiaia e anticipata) e “quota 100”. Con una sola novità: nel 2021 il requisito per la vecchiaia sarà adeguato alla speranza di vita. Dunque non più 67 anni. Ma 67 anni e qualche mese, ad esempio 2 o 3. Ma questo lo sapremo solo nel 2020, dopo i calcoli Istat.
Nel 2022
Arrivati al quarto anno, scenderebbe in campo “quota 41”. Il condizionale è d’obbligo, perché non è scontato che il governo la preveda ora per allora nel decreto collegato alla manovra, in arrivo dopo Natale o più realisticamente a gennaio. In ogni caso, nel 2022 - così la raccontano gli esperti gialloverdi - le tre opzioni per l’uscita sarebbero queste: “quota 41” (si va in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età), “ quota 100” speciale ( solo per i lavori usuranti e altre categorie svantaggiate) e naturalmente 67 anni più qualcosa, il solito requisito della vecchiaia. Una schema non lontano da quello della Fornero, se si esclude il requisito per la pensione anticipata che anziché salire a 43 anni e 3 mesi, viene in un primo tempo bloccato a 42 anni e 10 mesi (com’è oggi) e poi ridotto a 41.
Oro, minime e rivalutazione
Le novità previdenziali non finiscono qui. Le pensioni sopra i 90 mila euro saranno tagliate per scaglioni con aliquote dal 10 al 40%: circa 700 milioni di incasso nel quinquennio. Le pensioni integrate al minimo e quelle di invalidità diventeranno di cittadinanza, passando a 780 euro: non tutte, solo le 300 mila percepite dai soggetti più poveri. Le pensioni fino a 4 volte il minimo ( 2 mila euro) saranno rivalutate all’inflazione al 100%. Le altre in parte. Per nulla quelle sopra i 4.500 euro netti al mese.