A futura memoria (o per gli smemorati)
Meno di tre mesi fa, sul balcone di palazzo Chigi, Luigi Di Maio aveva abolito la povertà e promesso la felicità agli italiani. In una storica diretta Facebook il capo politico M5S annunciava trionfante la manovra al 2,4 per cento. Era la notte del 27 settembre. Rivediamola. Di Maio fissa la telecamera, dietro di lui i ministri Toninelli, Fraccaro, Bonafede, Lezzi, Grillo, Costa, Trenta, si abbracciano, ridono, l'aria goliardica da cena di fine anno scolastico. Tria è sconfitto, l'Europa piegata, "si fa finalmente la manovra del popolo", scandisce il leader. Poi Toninelli urla "uuuhu", e scatena l'applauso da spogliatoio. Di Maio sguscia allora sul balcone per concedersi all'abbraccio dei parlamentari con le bandiere nella piazza: "Ce l'abbiamo fatta!".
Salvini ha maramaldeggiato per settimane. "
2,4? I mercati se ne faranno una ragione" (28 settembre). "
Non ci muoviamo di un millimetro" (14 novembre). "
Bruxelles ci permetterà di fare quello che è un bene per gli italiani" (18 novembre). "
È arrivata la lettera di Bruxelles? Aspetto anche quella di Babbo Natale" (21 novembre). "
Noi abbiamo sempre detto 2,4 e arriviamo al 2,4". (Di Maio, 29 novembre). Il quattro è rimasto, ma è uno 0,4: forse per mantenere un'illusione ottica. "Chissenefrega di questo spread. Incide sulle vostre vite quando la mattina uscite di casa?", aveva detto Beppe Grillo ai militanti riuniti al Circo Massimo per la festa nazionale.
Per partecipare al party natalizio ogni Cinquestelle ha sborsato 40 euro, 60 euro se accompagnato, al tesoriere Sergio Battelli. E mentre si dimenavano ai ritmi pop degli anni Novanta, è stato calcolato quanto ci è costato il braccio di ferro con l'Europa: un miliardo di euro. Un militante nella bacheca di Di Maio ha scritto: "Tutti uguali".
Ricapitoliamo
FLAT TAX.
La Lega aveva promesso un’aliquota unica del 15% per tutte le famiglie (Irpef) e tutte le imprese (Ires).
Niente di tutto questo è stato inserito in legge di bilancio 2019. Sulle famiglie non c’è assolutamente nessun intervento e rimangono le solite 5 aliquote Irpef; sulle imprese (dove la flat tax c’era già dal 1973), l’aliquota ordinaria Ires rimane al 24%, dove l’aveva portata (abbassandola dal 27,5%) il governo Renzi. La tassazione viene portata al 15% solo per la parte di utili destinata all’incremento di investimenti e assunzioni e per poche centinaia di migliaia di partite IVA, per i quali viene esteso il regime forfettario del governo Renzi. Ma questi due piccoli interventi vengono ampiamente compensato da altri incrementi di tassazione:
come confermato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel 2019 le imprese italiane pagheranno complessivamente 6,143 miliardi di tasse in più per effetto della manovra del governo.
REDDITO DI CITTADINANZA
Il M5S aveva promesso di erogare un sussidio di 780 euro al mese ad ogni individuo single in condizione di povertà; tale sussidio saliva a 1680 euro al mese in caso di due figli. La platea, così individuata, è di circa 5 milioni di persone.
Nella legge di bilancio 2019 c’è uno stanziamento netto aggiuntivo di 5,8 miliardi di euro (rispetto a quanto già previsto dallo strumento esistente, il Reddito di Inclusione, creato dal Governo Renzi). Una semplice divisione matematica (5,8 mld diviso 5 milioni di poveri diviso 12 mesi) ci rivela che questo corrisponde a 96,6 euro mensili (133 se includessimo - in uno sforzo di generosità - anche i soldi del Rei già presenti), ben lontani dai 780 o 1680 promessi.
Con la retromarcia annunciata nei giorni scorsi sul deficit/Pil (che passa dal 2,4% al 2%) in queste ore il governo deve tagliare circa 7 miliardi di nuove spese. È quindi certo che lo stanziamento previsto per le future norme del Reddito di cittadinanza verrà ulteriormente ridotto.
ABOLIZIONE DELLA RIFORMA FORNERO SULLE PENSIONI.
Lega e M5S avevano promesso di abolire in via permanente la riforma Fornero, intesa - in parte impropriamente - come norme che fissavano a 67 anni l’età pensionabile a regime.
Nella legge di bilancio 2019 non c’è nessuna abolizione della legge Fornero, tantomeno permanente. Vi era un fondo di 6,8 miliardi per ciascuno degli anni dal 2019 al 2021 da utilizzare per la cosiddetta “quota 100”.
“Quota 100” significa che alle persone con almeno 62 anni di età e 38 di contributi verrà concesso di andare in pensione.
Tuttavia, il fatto che la cifra stanziata sia la stessa per tre anni significa che tale possibilità verrà data solo nel 2019, perché altrimenti negli anni seguenti la cifra avrebbe dovuto essere via via sempre maggiore (per ricomprendere i nuovi i flussi di neo-pensionati che si sarebbero - nel 2020 e 2021 - aggiunti a quelli del 2019).
Inoltre, la retromarcia sul deficit ha ulteriormente ridotto lo stanziamento, che scende da 6,8 mld a 4,7 miliardi; al fine di far bastare questi soldi, verranno introdotti una serie di disincentivi ad avvalersi di questo pensionamento anticipato: il divieto di cumulo - cioè il divieto di svolgere qualsivoglia attività lavorativa mentre si è in pensione (e poiché andare in pensione 5 anni prima comporterà un taglio dell’assegno del 30% questo sarà un forte disincentivo) - e la presenza di poche “finestre” (cioè questa opportunità temporanea non sarà concessa per tutto il 2019 ma solo in corrispondenza di momenti definiti).
Quindi riassumendo: una misura valida solo per un anno, a cui si potrà accedere solo rinunciando fino al 30% della pensione (e senza poterci sommare redditi da lavoro occasionale) e solo in determinate “finestre”.
CONCLUSIONE
Le tre principali promesse elettorali di M5S-Lega sono rimaste quasi del tutto inattuate: sono presenti solo elementi-spot che - nelle intenzioni dei comunicatori - vogliono far credere agli italiani di aver soddisfatto quanto loro promesso. Gli stessi comunicatori che non dicono 2% come nuovo obiettivo di deficit, bensì 2.04%: che equivale al 2% (le grandezze di finanza pubblica si approssimano al primo decimale), ma almeno così la presenza del numero 4 - se la cifra viene pronunciata velocemente - può far credere che in realtà il deficit sia rimasto al 2,4%.