VITTIME DEL TERRORISMO

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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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Rideterminazione dei benefici economici ai familiari delle vittime del terrorismo – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3286/2011 del 31/05/2011


Il conguaglio con le elargizioni già erogate – non diversamente dallo speciale assegno vitalizio – di cui all’art. 5 della legge n. 206 del 2004 – Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice – compete esclusivamente in favore delle vittime di atti di terrorismo o eversione o stragi, e non anche ai soggetti rientranti più ampio contesto delle vittime del dovere e dunque, non rappresenta un mero strumento di riliquidazione dei benefici comunque già concessi


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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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Questa è una sentenza interessante che sicuramente potrà interessare a qualcuno che si trova nelle medesime situazioni da pensionato/congedato.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 34 05/05/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 34 2014 PENSIONI 05/05/2014



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL
FRIULI VENEZIA GIULIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13484 del registro di Segreteria, del registro di Segreteria, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. A. L., giusta mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio, nonché dagli avv.ti F. P. e R. R., giusta procura speciale alle liti per notaio OMISSIS del 12.2.2014 rep. n. 47331, nei confronti del Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;

Alla pubblica udienza del 9 aprile 2014, con l’assistenza del Segretario sig.ra Laura Peres, udito l’avv. F. P. per il ricorrente, non rappresentato il Ministero della Difesa;

Visti gli atti e i documenti di causa;
Considerato in

FATTO

Con il ricorso in epigrafe il Gen. OMISSIS, assistito dall’avv. A. L., ha impugnato il decreto n. 257/2013, con il quale il Ministero della Difesa, nell’ applicare la sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale - anticipativa alla data del 1.1.2003 della decorrenza dei benefici previsti dalla legge n. 296/2004 - ha riliquidato in peius la pensione definitiva già concessa con il decreto n. 161/2010, modificando i criteri di determinazione della stessa.

Ad avviso del ricorrente, in sede di riliquidazione del trattamento di pensione l’Amministrazione della Difesa avrebbe negato i benefici combattentistici di cui all’art. 3 della legge n. 336/1970, l’aumento stipendiale di classi e/o scatti previsto per il trattamento di attività dei dirigenti, nonché l’indennità perequativa e l’assegno integrativo di Tab. E, ½ lettera H, riducendo, altresì, gli importi dell’indennità operativa e di aeronavigazione. Il decreto di pensione n. 257/2013 risulterebbe, dunque, illegittimo per aver rideterminato, sulla base di una diversa interpretazione della legge n. 206/2004, un trattamento già concesso in via definitiva, non potendo assumere alcun rilievo la circostanza che trattasi di riliquidazione disposta in applicazione della sentenza n. 56/2012, posto che le statuizioni di quest’ultima devono ritenersi limitate alla decorrenza (anticipata al 1.1.2003) dei benefici previsti dalla legge n. 206/2004.

Nella prospettazione attorea l’ operato del Ministero della Difesa andrebbe ritenuto illegittimo, considerato che le previsioni di cui agli artt. 203 e segg. del D.P.R. n. 1092/1973 non contemplano l’errore di diritto tra i motivi che possono determinare la modifica dei trattamenti di pensione. La ratio di tale esclusione andrebbe ravvisata nell’ esigenza di garantire la certezza del diritto nel campo pensionistico e la tutela dell’affidamento del pensionato nell’ esatta determinazione del trattamento di pensione.

Ribadita, dunque, l’ illegittimità della rideterminazione del trattamento definitivo sulla base di criteri adottati in esito ad una nuova ed errata interpretazione della normativa in vigore, il Gen. OMISSIS ha concluso per l’accertamento del diritto a conservare il trattamento pensionistico già liquidato con il decreto n. 161/2010 in misura comprensiva dell’assegno integrativo ex artt. 14 e 15 D.P.R. n. 915/1978, nella misura di ½ lett. E / H, salva la retrodatazione dei benefici ivi concessi al 1.1.2003, quale effetto del giudicato formatosi sulla sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale, con la rifusione di spese, diritti ed onorari di giudizio da distrarsi in favore del difensore antistatario.

Costituendosi in giudizio, il Ministero della Difesa ha preliminarmente evidenziato di aver disposto, con il decreto n. 692/2013, la correzione degli importi attribuiti a titolo di indennità operativa / aeronavigazione. Quanto alle ulteriori doglianze mosse dal ricorrente, l’Amministrazione resistente ha confermato la piena legittimità del proprio operato; in particolare ha rilevato come ai fini dell’applicazione dei benefici previsti dalla legge n. 206/2004, l’adeguamento costante della misura delle pensioni al trattamento in godimento dei lavoratori in attività si concretizzi nell’adeguamento annuo previsto con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Quanto alla doglianza relativa al mancato aumento di 10 anni di servizio, il Ministero della Difesa ha osservato come nella fattispecie in esame l’aumento figurativo di anzianità contributiva richiesto dal Gen. OMISSIS risulterebbe ininfluente, avendo l’interessato conseguito la massima valorizzazione possibile del servizio prestato. La stessa Amministrazione ha rilevato che la retribuzione da considerarsi ai fini della determinazione della pensione è quella in godimento alla data del collocamento in congedo; trattandosi, tuttavia, di aumento meramente figurativo, nell’assenza di un’effettiva prestazione del servizio, non sarebbe possibile riconoscere l’omogeneizzazione al grado di Generale di Brigata.

Quanto all’indennità perequativa, la domanda del Gen. OMISSIS risulterebbe priva di fondamento giuridico, trattandosi di beneficio introdotto da una data successiva a quella del congedo e comunque correlato all’effettivo svolgimento in servizio di funzioni dirigenziali, fattispecie non ricorrente nel caso in esame. Nel riservare ulteriori approfondimenti in merito al mancato riconoscimento dell’assegno integrativo di Tab. E, ½ lettera H, il Ministero della Difesa ha infine precisato che la modifica del precedente decreto del 2010 è stata determinata dalla necessità di ovviare ad un errore nel computo dei servizi, fattispecie idonea a legittimare, ai sensi dell’art. 204, lett. b) del D.P.R. n. 1092/1973, la revoca o la modifica del trattamento di pensione. Sulla base di tali premesse l’Amministrazione resistente ha concluso per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere in ordine alla rideterminazione dell’indennità di aeronavigazione / operativa nonchè per la reiezione delle ulteriori doglianze, con vittoria di spese di lite o, in subordine, con integrale compensazione delle stesse.

All’udienza del 13.11.2013 il difensore del ricorrente ha chiesto un congruo rinvio dell’udienza per verificare il contenuto del decreto di riliquidazione della pensione emesso dal Ministero della Difesa in corso di giudizio e depositato copia della sentenza emessa dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’Appello che ha confermato le statuizioni contenute nella sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale. Con provvedimento istruttorio assunto in udienza, è stato ordinato al Ministero della Difesa di far pervenire copia integrale del fascicolo pensionistico, unitamente all’originale della memoria di costituzione in giudizio già trasmessa a mezzo PEC, autorizzandosi il ricorrente a depositare una memoria difensiva integrativa.

Con memoria del 5.3.2014 gli avv.ti F. P. e R. R., costituitisi in giudizio nell’interesse del Gen. OMISSIS, hanno ribadito le argomentazioni poste a fondamento del ricorso, osservando come il Ministero della Difesa, con il contestato decreto n. 257/2013, anzichè limitarsi a far decorrere dal 1.1.2013 i benefici economici, previdenziali, assistenziali e fiscali già riconosciuti con il precedente decreto n. 161/2010, abbia provveduto a riliquidare il trattamento di pensione definitivo, rideterminando i benefici di cui alla legge n. 206/2004, nonostante gli stessi fossero stati concessi con provvedimenti non più revocabili.

Ad avviso dei nominati difensori sarebbe viziato da illegittimità anche il successivo decreto n. 692/2013, emesso in sostituzione del decreto n. 257/2013, in quanto ulteriormente modificativo, a normativa invariata, del provvedimento definitivo di applicazione dei benefici previsti dalla legge n. 206/2004. In particolare, l’Amministrazione avrebbe operato in contrasto con il giudicato formatosi sulla posizione pensionistica del ricorrente, già sottoposta a sindacato giurisdizionale e non più rivalutabile sotto profili in relazione ai quali non era stato, in precedenza, sollecitato alcun esame. In secondo luogo, la natura di provvedimento di pensione definitivo, propria del decreto n. 161/2010 - peraltro riconosciuta dalla stessa Amministrazione - sarebbe sufficiente a far ritenere l’illegittimità anche del successivo decreto di annullamento n. 692/2013, emesso in sostituzione del decreto n. 257/2013.

La difesa del Gen. OMISSIS ha ricordato, sul punto, come ai sensi degli artt. 203 e 204 del D.P.R. n. 1092/1973, la revoca o la modifica di un trattamento di pensione definitivo possa aversi nei casi di errore di fatto, di omessa considerazione di elementi risultanti dagli atti, di errore nel computo dei servizi o nel calcolo della pensione ovvero nei casi in cui il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi. Nella fattispecie in esame, per contro, non ricorrerebbe alcuno dei suindicati presupposti, avendo l’Amministrazione disposto la riliquidazione del trattamento pensionistico del Gen. OMISSIS sulla base di una diversa interpretazione della normativa in riferimento.

Il nominato patrocinio ha peraltro rilevato come tra le ipotesi tassative previste dagli art. 203 e segg. del D.P.R. n. 1092/1973 non sia ricompreso l’errore di diritto, e tanto farebbe ritenere illegittima la modifica o la revoca del decreto di pensione qualora tali provvedimenti fossero motivati da una diversa od errata interpretazione delle disposizioni di legge. Ha poi osservato come ai fini della decorrenza del termine triennale previsto dall’art. 205 del D.P.R. n. 1092/1973 per la revoca o modifica del decreto di pensione, venuta meno la registrazione, debba considerarsi la data di comunicazione del decreto di pensione; in applicazione di tale criterio, l’esame delle date apposte sulle lettere di comunicazione dei decreti 161/2010 e 257/2013, confermerebbe l’avvenuto decorso del termine triennale.

Da ultimo, la difesa del ricorrente ha sottolineato la correttezza dei criteri adottati dal Ministero della Difesa ai fini della liquidazione del trattamento di pensione disposta con il decreto n. 161/2010, sotto i diversi profili della parametrazione alla retribuzione dirigenziale di colonnello percepita al momento del collocamento in congedo, dell’adeguamento della pensione alle retribuzioni dei lavoratori in attività di servizio, dell’aumento figurativo dell’anzianità contributiva, nonché con riferimento all’ indennità operativa e di aeronavigazione, all’indennità perequativa ed all’assegno di superinvalidità.

Ha inoltre rilevato come l’indennità integrativa speciale, calcolata nel decreto n. 692/2013 con riferimento al grado di tenente colonnello e non al grado di colonnello, sia stata arbitrariamente sospesa. In relazione a tale profilo di doglianza, il patrocinio del ricorrente, nel rimarcare come il diritto alla percezione di tale assegno sia stato già riconosciuto con sentenza n. 145/1999 di questa Sezione giurisdizionale, ha chiesto la restituzione delle somme trattenute per il periodo di prestata opera retribuita alle dipendenze dello Stato. In ragione delle considerazioni innanzi esposte, la difesa del Gen. OMISSIS ha concluso per il riconoscimento dei benefici di cui alla legge n. 206/2004 a decorrere dal 1.1.2003, in misura comprensiva dell’assegno di superinvalidità previsto dagli artt. 14 e 15 del D.P.R. n. 915/1978, con integrale rifusione di spese e compensi di lite.

In allegato alla nota del 28.3.2014 il Ministero della Difesa ha trasmesso alcuni atti inerenti la posizione pensionistica del ricorrente nonchè la memoria di costituzione in giudizio, completa di allegati, già inoltrata a mezzo PEC, precisando di aver riconosciuto in favore del ricorrente, con decreto del 3.3.2014, l’assegno integrativo di Tab. E, ½ lett. H.

All’udienza di discussione del 9 aprile 2014, l’avv. F. P. si è riportato alle difese in atti, illustrandone gli aspetti di maggior rilievo. Nessuno è comparso in rappresentanza del Ministero della Difesa. La causa è stata quindi decisa, con lettura del dispositivo in udienza, sulla base delle ragioni che si vanno di seguito ad esporre.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe il Gen. OMISSIS, titolare di trattamento pensionistico definitivo liquidato con decreto n. 161/2010, si duole delle riliquidazioni in peius disposte dall’Amministrazione della Difesa, dapprima con il decreto n. 257/2013 e, da ultimo, con il decreto n. 692/2013. A sostegno del gravame parte ricorrente ha innanzi tutto invocato il giudicato formatosi sulla propria posizione pensionistica, da ritenersi esteso al contenuto del decreto n. 161/2010, provvedimento già sottoposto a sindacato giurisdizionale ed asseritamente non più rivalutabile a seguito dell’irrevocabilità delle statuizioni contenute nella sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale.

Sotto diverso profilo l’interessato ha posto in evidenza come per effetto degli artt. 203 e segg. del D.P.R. n. 1092/1973 il decreto n. 161/2010, in quanto provvedimento di pensione definitivo, non può ritenersi soggetto a revoca o modifica in relazione a fattispecie diverse da quelle tipizzate dal Legislatore, ed in particolare, all’ annullamento per errore di diritto, tenuto anche conto che nella fattispecie all’esame risulterebbe spirato il termine triennale previsto dall’art. 205 del D.P.R. n. 1092/1973. Ha infine rilevato come le modifiche in peius del trattamento di pensione disposte con i decreti n. 257/2013 e n. 692/2013 non troverebbero alcun fondamento giuridico, sicchè anche sotto tale profilo l’operato dell’Amministrazione andrebbe ritenuto lesivo del diritto al mantenimento della pensione liquidata con il decreto n. 161/2010 in conformità ai criteri dettati dalla legge n. 206/2004.

Ciò premesso, giova innanzi tutto sgombrare il campo dall’eccezione di giudicato formulata dal ricorrente, dovendosi in proposito rilevare come la sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale si sia occupata unicamente della doglianza relativa alla decorrenza dei benefici previsti dalla legge n. 206/2004 per le vittime del terrorismo. Appare di tutta evidenza come tale decisione, resa su una domanda circoscritta nel petitum e nella causa petendi, non possa ritenersi idonea ad assumere una generale valenza definitoria della posizione pensionistica del Gen. OMISSIS, nè comportare l’immodificabilità del trattamento di pensione liquidato con il decreto n. 161/2010 sotto profili diversi da quelli che hanno formato oggetto di esame in sede giudiziale.

Meritevole di accoglimento va invece ritenuta la doglianza relativa alla rideterminazione in peius del trattamento di pensione già riconosciuto all’interessato, in via definitiva, con il decreto n. 161/2010. Sul punto deve innanzi tutto rilevarsi come ai sensi dell’art. 204 del D.P.R. n. 1092/1973 la revoca o la modifica del trattamento di pensione può aver luogo quando:

“a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;

b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione, assegno o indennità;

c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento;

d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.

Il delineato contesto normativo è stato ritenuto espressivo del principio di tendenziale immodificabilità della pensione, avente lo scopo di favorire la stabilità e la certezza del rapporto pensionistico. E’ bene rilevare come una parte della giurisprudenza, coerentemente con tali principi, abbia ritenuto che l’ annullamento d’ufficio del decreto di pensione per errore di diritto debba ritenersi una fattispecie estranea ai casi previsti dall’ art. 204 del D.P.R. n. 1092/1973, che non trova applicazione nell’ordinamento pensionistico dei dipendenti pubblici. Si richiama, in proposito, la sentenza n. 113/2001 della Sezione seconda centrale d’ Appello, in cui si è affermato che “la reinterpretazione di norme giuridiche, evidenziando null’altro che l’errore di diritto in cui è incorsa l’Amministrazione in occasione della liquidazione pensionistica, non costituisce ammissibile motivo di revoca o modifica della pensione definitiva, giusta quanto disposto dall’art. 204 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092” (vd., anche, C.d.C., Sez. II n. 176/2011; vd., anche, Sez. Appello Sicilia n. 128/2014, n. 267/2011 e n. 67/2009; Sez. Sicilia n. 359/2014 e n. 1125/2010). E’ bene altresì ricordare che le stesse Sezioni Riunite della Corte dei conti, in una recente pronuncia, hanno negato che l’Amministrazione possa ritenersi titolare di un generale potere di annullamento, in autotutela, dei provvedimenti attributivi di trattamenti pensionistici che risultino viziati da errori di diritto (C.d.C., SS.R. n. 15/2011/Q.M.).

Secondo un diverso indirizzo giurisprudenziale la disciplina contenuta negli artt. 203 e segg. del D.P.R. n. 1092/1973 non precluderebbe la possibilità di un annullamento d’ufficio dei provvedimenti pensionistici, dovendosi garantire in capo all’Amministrazione il potere di agire in autotutela a fini correttivi di provvedimenti viziati da illegittimità ed ingiustamente pregiudizievoli delle ragioni dell’Erario. Secondo tale orientamento, non potrebbe negarsi all’Amministrazione il generale potere, spettante ad ogni organo pubblico, di annullamento degli atti viziati da illegittimità, purchè sussista un interesse attuale all’annullamento ed ove, nel corso del tempo, non si sia verificato un consolidamento di situazioni giuridiche del destinatario dell’atto tale da determinare una turbativa all’ordine giuridico più grave di quella cagionata dalla persistenza dell’atto viziato (così: C.d.C., Sez. III n. 581/2013; vd., anche, C.d.C. Sez. Sicilia n. 528/2000; id Sez. Abruzzo n. 420/2004; id. Sez. Veneto n. 1639/2004; id. Sez. Trento n. 63/2005).

E’ opinione di questo Giudice che il punto di incontro di tali contrapposte esigenze possa essere individuato nella disciplina prevista per l’annullamento d’ufficio degli atti illegittimi (art. 21 nonies della legge n. 241/1990), la cui applicazione, al centro di un persistente dibattito giurisprudenziale, non può ritenersi esclusa sul mero rilievo che la disciplina recata dal D.P.R. n. 1092/1073 contemplerebbe i soli casi di revoca o modifica dei trattamenti di pensione. Giova, infatti, ricordare che ai sensi dell’ art. 21 nonies della legge n. 241/1990 il provvedimento amministrativo illegittimo “può essere annullato d’ufficio, sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei contro interessati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge”. La richiamata previsione normativa ha sostanzialmente recepito quell’ orientamento del Giudice Amministrativo che riteneva insufficente, ai fini dell’annullamento d’ufficio, il riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, affermando la necessità di accertare non solo la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla sua eliminazione, ma anche gli interessi privati dei soggetti che sull’atto stesso avevano fatto affidamento (vd. C.d.S. n. 721/1982; id. n. 803/1993, id. n. 709/1997; id. n. 6113/2002).

In linea di continuità con i suddetti principi, la più recente giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, in sede di applicazione dell’art. 21 novies della legge n. 241/1990, che “l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale” (T.A.R. Campania. Sez. Napoli n. 239/2013; vd., anche, T.A.R. Campania – Sez. Napoli n. 1130/2012; C.d.S. n. 6656/2004).

Passando all’esame del merito, va osservato come i decreti n. 257/2013 e n. 692/2013 siano intervenuti su un provvedimento di pensione definitivo (tale dovendosi ritenere, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 166 della legge n. 312/1980, il decreto di pensione non più soggetto a registrazione) per correggere i supposti profili di illegittimità emersi a seguito di una nuova interpretazione della portata dispositiva della legge n. 206/2004. In disparte ogni considerazione sul fondamento giuridico dei nuovi criteri interpretativi adottati dall’Amministrazione, osserva questo Giudice che in materia di diritti pensionistici, il particolare valore da riconoscersi alla certezza ed alla stabilità dei rapporti tra l’Amministrazione ed il pensionato, fa sì che l’annullamento in autotutela di un provvedimento di pensione definitivo non possa prescindere da una valutazione che tenga conto dell’ entità del sacrificio imposto all’interesse privato e ciò, a maggior ragione, nei casi in cui per effetto del tempo trascorso, il beneficiario del provvedimento che si intende annullare abbia maturato un legittimo affidamento in ordine alla stabilità dello stesso.

In tale prospettiva la disciplina recata dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 - la quale, va incidentalmente rilevato, trova pacifica applicazione nell’Assicurazione Generale Obbligatoria gestita dall’I.N.P.S. - sembra offrire un’ adeguata soluzione all’esigenza di contemperare il rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento della P.A. con l’interesse del privato alla conservazione di un beneficio pensionistico che gli sia stato attribuito in via definitiva e si sia consolidato nel tempo. In applicazione del suddetto criterio ermeneutico, dato per pacifico l’interesse del Gen. OMISSIS alla conservazione dei benefici acquisiti in forza del decreto n. 161/2010, la valutazione dell’operato dell’Amministrazione non potrà che afferire alla “ragionevolezza” del termine entro il quale è intervenuto il provvedimento di annullamento con il quale è stato posto rimedio alla ritenuta illegittimità del decreto di pensione definitiva.

L’esigenza di disporre di un parametro di riferimento che dia concretezza, in ambito pensionistico, al criterio del “termine ragionevole” per l’esercizio del potere di annullamento previsto dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, induce a fare applicazione, in via analogica, del limite temporale di tre anni previsto dall’art. 205 del D.P.R. n. 1092/1973 per le ipotesi di revoca o modifica d’ufficio dei provvedimenti di pensione, termine peraltro richiamato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti quale riferimento per la formazione del legittimo affidamento del percettore in buona fede degli importi di pensione indebitamente percepiti (C.d.C., SS.RR. n. 2/2012/Q.M.).

Ineludibili esigenze di “certezza” nei rapporti tra pensionato e Amministrazione impongono di considerare, quale termine di scadenza del triennio, la data di comunicazione, all’interessato, del decreto di annullamento. In ragione di tali premesse, reputa questo Giudice che nella fattispecie all’esame i decreti n. 257/2013 e n. 692/2013 non possano avere un effetto modificativo, in peius, della prestazione pensionistica riconosciuta, in via definitiva, al Gen. OMISSIS con il decreto n. 161/2010, tenuto conto dell’interesse del ricorrente alla conservazione del trattamento di pensione definitivo, nonché del superamento del “termine ragionevole” entro il quale si sarebbe potuto ritenere ammissibile l’ esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento in autotutela (la comunicazione del decreto n. 257/2013 risulta effettuata in data 8.4.2013 e, dunque, a distanza di oltre tre anni dall’adozione del decreto n. 161 del 30.3.2010, come si evince dal doc. n. 26 allegato alla memoria difensiva del ricorrente in data 5.3.2014). Va da sé che quanto maggiore è il periodo intercorso dall’originaria liquidazione della pensione, tanto più attenuata dovrà ritenersi la concretezza e l’attualità dell’interesse dell’Amministrazione alla rimozione in autotutela di un atto che abbia riconosciuto un beneficio pensionistico non spettante.

Per quanto attiene al motivo di gravame concernente la sospensione dell’indennità integrativa speciale per il periodo in cui il ricorrente ha prestato opera retribuita alle dipendenze dello Stato, va osservato che trattasi di richiesta nuova rispetto a quelle contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, che risulta formulata dal Gen. OMISSIS solo con la memoria difensiva del 5.3.2014. Trattandosi di domanda fondata su una causa petendi diversa ed ampliativa dell’originario petitum della domanda giudiziale, in relazione alla quale non è stata chiesta dal ricorrente né autorizzata in corso di causa la modifica delle originarie conclusioni (art. 420 c.p.c.) e sulla quale non può ritenersi instaurato un regolare contraddittorio con l’Amministrazione della Difesa, non vi può essere luogo a pronuncia da parte di questo Giudice.

Con riferimento, invece, alla domanda avente ad oggetto il riconoscimento dell’assegno integrativo di Tab. E, ½ lettera H, va preso atto di quanto dichiarato dall’Amministrazione della Difesa circa l’avvenuta concessione del predetto beneficio con il decreto n. 1/E/76 – 2014/PPO del 3.3.2014. Tale assegno andrà ad integrare il trattamento pensionistico riconosciuto con decreto n. 161 del 30.3.2010, i cui benefici dovranno essere integralmente ripristinati con la decorrenza fissata nella sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale, con ogni utile effetto, anche in relazione al pagamento degli arretrati e dei relativi accessori di legge (interessi legali e rivalutazione monetaria) che andranno liquidati in conformità ai criteri stabiliti dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con sentenza n. 10/2002/Q.M.

In applicazione del principio della soccombenza, si dispone la condanna del Ministero della Difesa al pagamento dei compensi di giudizio, che liquidati nella misura complessiva di euro 1.800,00 oltre al rimborso delle spese generali (15%), C.P.A. ed I.V.A., vanno corrisposti nella misura del 50% in favore dell’avv. A. L., quale dichiarato antistatario, e per il restante 50% in favore del ricorrente per l’attività prestata dagli avv.ti F. P. e R. R..

P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, dichiara, nei termini di cui in motivazione, il diritto del ricorrente al mantenimento del trattamento pensionistico già riconosciuto in via definitiva con decreto n. 161 del 30.3.2010, unitamente all’assegno integrativo di 1^ ctg. Tab. E, 1/2 lett. H e con l’attribuzione, in virtù del giudicato formatosi sulla sentenza n. 56/2012 di questa Sezione giurisdizionale, dei benefici previsti dalla legge n. 206/2004 a far data dal 1.1.2003.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento dei compensi di giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 1.800,00 oltre al rimborso delle spese generali (15%), C.P.A. ed I.V.A. da pagarsi per il 50% in favore dell’avv. A. L., quale dichiarato antistatario, e per il restante 50% in favore del ricorrente, per l’attività prestata dagli avv.ti F. P. e R. R.. Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.

Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Trieste nella pubblica udienza del 9 aprile 2014.

Il Giudice Unico delle Pensioni
f.to Dott. Giancarlo Di Lecce

Depositata in Segreteria il 5.5.2014

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
f.to dott. Alessandra Vidulli
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Decorrenza del beneficio di cui al titolo del post

Il Ministero della Difesa perde l'Appello
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PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 843 16/10/2013
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 843 2013 PENSIONI 16/10/2013



843/2013/A


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DELPOPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE I GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai magistrati
Maria FRATOCCHI Presidente
Mauro OREFICE Consigliere
Rita LORETO Consigliere
Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere
Massimo DI STEFANO Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio d’appello iscritto al n. R.G. 44140 proposto dal Ministero della Difesa – Direzione generale della previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei militari congedati, in persona del direttore di divisione dott.ssa Maria De Paolis

contro il Gen. F. R., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Lippi;

Esaminati gli atti e i documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 25 giugno 2013, il Consigliere relatore dott. Massimo DI STEFANO, il dott. Michele Grisolia, per il Ministero della Difesa, e l’Avv. Andrea Lippi, per la parte appellata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima sentenza ha accolto il ricorso del Generale dell’Esercito Italiano R. F. riconoscendo, a suo favore, i benefici spettanti alle vittime del terrorismo , con decorrenza dal 1° gennaio 2003, perché, durante una missione in Libano, il 17 febbraio 1994, subiva gravi lesioni a causa di un attentato di matrice terroristica, con il conseguente collocamento in congedo assoluto.

In particolare il primo giudice ha fatto applicazione del disposto dell’art. 1 della legge 26 agosto 2004, n. 206 che ha previsto l’applicazione dei benefici spettanti alle vittime del terrorismo , disciplinati dalla medesima legge, “a tutte le vittime degli atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, compiuti sul territorio nazionale o exstranazione, se coinvolgenti cittadini italiani.... ” e dell’art. 15, comma 1, della stessa legge 206/2004 che stabilisce che “i benefici di cui alla presente legge si applicano agli eventi verificatisi sul territorio nazionale a decorrere dal 1° gennaio 1961 ....per gli eventi coinvolgenti cittadini italiani verificatisi all’estero, i benefici di cui alla presente legge si applicano a decorrere dal primo gennaio 2003....” .

Dunque, in base a tali disposizioni la prima sentenza ha riconosciuto al Generale R. F. il diritto ai benefici in questione a decorrere dal 1° gennaio 2003.

L’appellante Ministero della Difesa ha impugnato tale sentenza – con istanza di sospensiva respinta da questa Sezione I centrale d’appello con ordinanza 11 gennaio 2013, n.5 - sostenendo che invece il diritto al trattamento pensionistico a favore del Gen. F.. derivi dall’art. 2 – c. 106 della legge 244/2007 (legge finanziaria per l’anno 2008) che nel prevedere l’applicazione dei benefici di cui alla legge 206/2004 “.... agli eventi verificatisi all’estero a decorrere dal 1° gennaio 1961, dei quali siano rimasti vittima cittadini italiani residenti in Italia al momento dell’evento” avrebbe innovato rispetto alla precedente normativa, con la conseguenza che il beneficio dovrebbe ritenersi esteso ai cittadini italiani residenti in Italia al momento dell’evento soltanto a decorrere dall’entrata in vigore delle legge 244/2007.

Ha resistito all’appello il Gen. R. F., che ha chiesto la conferma integrale della sentenza di primo grado. All’udienza del 25 giugno 2013 i rappresentanti delle parti hanno ribadito le loro rispettive posizioni.

°°°°°°°

Dal tenore letterale del comma 2 dell’art. 15 cit. si rileva chiaramente che il legislatore ha inteso distinguere il requisito temporale riferito all’evento dannoso (che deve essersi verificato alla data 1° gennaio 1961) dalla data di decorrenza del beneficio, che è stata invece fissata per i cittadini italiani che avessero subito l’evento all’estero, dal primo gennaio 2003. Questa interpretazione, oltre che desumersi da dato testuale, per la diverse espressioni usate, laddove letteralmente nel primo periodo la decorrenza è riferita “agli eventi verificatisi.... a decorrere dal “ mentre nel secondo periodo la decorrenza si riferisce al beneficio, poggia anche su ragioni di ordine logico e sistematico, poiché la previsione di cui al primo periodo del comma 2 dell’art. 15 era chiaramente rivolta ad estendere il beneficio agli eventi verificatisi all’estero ma limitandone la decorrenza economica, per esigenze di contenimento della spesa, dal 1° gennaio 2003.

Ha ragione pertanto il primo giudice nel ritenere che il disposto aggiunto dal comma 106 dell’art. 2 della legge 244/2007 ha soltanto precisato un elemento già implicito nella preesistente disposizione, cioè che il beneficio era esteso ai fatti verificatisi dal 1° gennaio 1961. La formulazione del primo periodo poteva infatti prestarsi a confusione, quanto agli eventi verificatisi all’estero, tra la decorrenza del beneficio e la delimitazione dell’epoca dei fatti ai quali il beneficio stesso andava applicato.

P.Q.M.
La Corte dei Conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, respinge l’appello, e conferma integralmente la prima sentenza.

Condanna il Ministero appellante alla rifusione delle spese processuali alla parte appellata che si liquidano in € 1.000,00 (mille/00).
Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 25 giugno 2013.
L’Estensore Il Presidente f.f.
F.to Dott. Massimo Di Stefano F.to dott.ssa Matia Fratocchi


Depositata in segreteria il 16 ottobre 2013

Il Dirigente
F.to Dott. Massimo Biagi
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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1) - è stata negata la speciale elargizione prevista dall’articolo 1079 del D.P.R. n. 90/2010, in quanto non ricompreso in alcuna delle categorie di possibili destinatari.

2) - istanza per ottenere la elargizione di cui all’articolo 5 della legge n. 206/2004, avendo contratto una neoplasia ad asserita causa dell’esposizione all’uranio impoverito e alle nano particelle di minerali pesanti prodotte dall’esplosione di materiale bellico.

3) - Nell’istanza, si faceva riferimento alla qualità di cittadino italiano residente nelle aree limitrofe ( ad una distanza superiore a 1,5 km dal poligono) alla base del -OMISSIS- e si precisava quale causa o circostanza determinante l’infermità l’avere effettuato in un periodo decennale lavori edili presso il predetto Reggimento (in particolare Poligono di tiro).

Ricorso straordinario ACCOLTO.
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12/06/2014 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 20/11/2013




REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 20 novembre 2013

NUMERO AFFARE ...../2011

OGGETTO:
Ministero della difesa.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor -OMISSIS- per l’annullamento dell’atto ministeriale del 18 novembre 2010 con cui gli è stata negata la speciale elargizione prevista dall’articolo 1079 del D.P.R. n. 90/2010, in quanto non ricompreso in alcuna delle categorie di possibili destinatari;

LA SEZIONE
Vista la relazione 6 luglio 2011 con la quale il Ministero della difesa, direzione generale della previdenza militare della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati ha chiesto al Consiglio di Stato il previsto parere sul ricorso straordinario sopraindicato;
visto il ricorso straordinario proposto con atto notificato il 24 marzo 2011;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Carlo Mosca.

Premesso:

1. il ricorrente aveva presentato, in data 3 novembre 2009, istanza per ottenere la elargizione di cui all’articolo 5 della legge n. 206/2004, avendo contratto una neoplasia ad asserita causa dell’esposizione all’uranio impoverito e alle nano particelle di minerali pesanti prodotte dall’esplosione di materiale bellico.

Nell’istanza, si faceva riferimento alla qualità di cittadino italiano residente nelle aree limitrofe alla base del -OMISSIS- e si precisava quale causa o circostanza determinante l’infermità l’avere effettuato in un periodo decennale lavori edili presso il predetto Reggimento (in particolare Poligono di tiro).

Con atto ministeriale del 18 novembre 2010 era negata la elargizione prevista dal d.P.R. n. 37/2009 , in quanto il ricorrente non era ricompreso in alcuna delle categorie di possibili destinatari elencati nella norma medesima

L’atto negativo rilevava in dettaglio che:

-l’abitazione del signor -OMISSIS- si trova ad una distanza superiore a 1,5 km dal poligono di -OMISSIS- ( e ciò in relazione all’art. 2 comma 2 lettera e) del sopracitato d.P.R. n. 37/2009 a norma del quale tra i beneficiari dell’indennizzo sono compresi e) i cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree di cui alla lettera b) . Per zone adiacenti si intendono quelle rientranti nella fascia di territorio della larghezza di 1,5 chilometri circostante il perimetro delle basi militari o delle aree di cui alla lettera b) (vale a dire i poligoni di tiro e i siti in cui vengono stoccati munizionamenti;

- l’art. 2 d.P.R. n. 37/2009 prende in considerazione, tra i possibili destinatari del beneficio, i cittadini che siano residenti nelle zone adiacenti e non anche quelli che hanno svolto per un determinato periodo, attività lavorativa nei pressi o nell’ambito dei siti militari;

- per quanto sopra esposto, avendo accertato la mancanza del presupposto di legge..la domanda, a prescindere dall' esame di merito, non potrà avere ulteriore corso

2. Con il ricorso straordinario il signor -OMISSIS- ha lamentato l’illegittimità dell’atto impugnato e ha ritenuto il rigetto dell’istanza ingiusto ed errato, avendo svolto la propria attività lavorativa, dal 1980 al 1990, all’interno del poligono di -OMISSIS- e rimanendo così esposto, si sostiene, in modo significativo all’uranio impoverito e alle nano particelle di minerali pesanti prodotte dall’esplosione di materiale bellico. Il ricorrente ha specificato che tale attività è stata svolta in esecuzione di specifici contratti, reiterati continuativamente per dieci anni, con il Ministero della Difesa, come da documentazione allegata.

L’Amministrazione ha respinto ogni censura, sottolineando che il ricorrente non può rientrare tra il personale civile poiché la norma richiamata si riferisce ai pubblici dipendenti dell’Amministrazione della difesa o di altre pubbliche Amministrazioni, come è dato evincere dall’analisi letterale del testo e da una lettura sistematica del D.P.R. n. 90/2010, in cui è confluito il regolamento di cui al DPR n. 37/2009. Per completezza d’esame ha richiamato interventi parlamentari dei ministri pro tempore secondo cui non risulta dimostrato da alcuna ricerca, che esista un nesso di causalità tra le patologie contratte dal personale in servizio presso i poligoni e l’esposizione all’uranio impoverito

Considerato:

1. Il ricorso è fondato.

L’atto impugnato appare viziato nella parte in cui non ricomprende il ricorrente tra il personale civile impiegato nei Poligoni di tiro, sul rilievo che trattasi di soggetto privato non legato da un rapporto di impiego con una Amministrazione pubblica.

L’elargizione, è regolata, pro tempore, anzitutto dall’art. 603 del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66
(Codice dell'ordinamento militare)

Art. 603 Autorizzazione di spesa per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio
1. Al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui sono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nano particelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, ovvero al coniuge, al convivente, ai figli superstiti, ai genitori nonché ai fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti in caso di decesso a seguito di tali patologie, è autorizzata la spesa di euro 10 milioni per ciascun anno del triennio 2008-2010.

3. La normativa regolamentare a sua volta (art.1083 D.P.R. n.90/2010) disciplina il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio ai fini della attribuzione della elargizione stabilendo tra l’altro che la competente Direzione generale del Ministero della difesa
- provvede a ricevere le domande dei soggetti non dipendenti pubblici per l’attribuzione dell’elargizione;

- cura l’istruttoria delle domande, accertando presso le Forze armate o le Forze di polizia, ad ordinamento militare o civile, le circostanze di tempo e di luogo indicate dall’interessato, e redige un dettagliato rapporto avendo cura di far risultare se siano in corso procedimenti da parte dell’autorità giudiziaria;

- accertata la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 1907 del codice, adotta il provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio sulle domande presentate dai dipendenti del Ministero della difesa e dai soggetti non dipendenti pubblici. Per i dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, provvede alla trasmissione degli atti alle Amministrazioni competenti ai fini dell’adozione del provvedimento.

4. Ancora l’art, 1079 DPR 15 marzo 2010, n. 90 stabilisce nel dettaglio le categorie di soggetti che possono essere destinatari del beneficio comprendendo tra gli altri a determinate condizioni il personale militare e civile italiano.

In particolare tra i possibili destinatari della elargizione è compreso b) il personale militare e civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti. Ma se, per il primo, il riferimento consente di individuare una precisa categoria di dipendenti dell’Amministrazione pubblica, quello di personale civile italiano sembra avere un contenuto più generale consentendo di includervi il personale non militare, ivi compresi tutti i soggetti che in concreto abbiano svolto attività lavorativa presso le aree a rischio, sulla base di un rapporto sostanziale indipendentemente dalla qualità formale di dipendente pubblico, Tale sembra il caso del ricorrente che per quanto consta agli atti, è stato impiegato, quale titolare dell’omonima impresa edile, continuativamente 1980 dal al 1990 presso la caserma -OMISSIS- all’interno del Poligono di tiro.

Sul piano letterale l’accezione non appare incompatibile con le previsioni normative, sul piano logico e sistematico il sistema agevolativo si basa non tanto sulla qualità del soggetto che svolge attività presso l’Amministrazione pubblica , quanto sul fatto che l’attività viene svolta su aree a rischio e che la elargizione viene erogata quale indennizzo per i danni subiti in dipendenza della attività stessa .

Alla stregua di tali elementi e considerato anche un intento solidaristico del legislatore, questa Sezione ritiene che nella categoria dei soggetti beneficiari di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 1079 del D.P.R. n. 90/2010, possa essere ricompreso, tra il personale civile, quello impiegato per soddisfare esigenze contrattuali relative a lavori eseguiti nell’ambito dei siti in cui vengono stoccati munizionamenti e assimilabile per caratteristiche del rapporto ad un pubblico impiegato, come allo stato degli atti appare quello di specie.

Del resto, appare incongrua, tenendo conto della ratio di tutela del diritto alla salute sottesa alle norme di cui trattasi, una interpretazione della suesposta normativa che escluda dal beneficio un soggetto che ha svolto per dieci anni attività lavorativa in un’area a rischio e che, oltre tutto, essendo residente , sia pure, a distanza di poche centinaia di metri superiore ai limiti di legge, dimostra comunque una consuetudine di vita personale e professionale idonea a configurare come possibile la dipendenza della infermità dal rischio e a rendere necessario un accertamento al riguardo e riscontri motivazionali non strettamente legati a profili formali.

Illegittimamente l’Amministrazione ha negato il beneficio senza entrare nel merito della istanza del signor OMISSIS.

5. Ciò posto, anche al fine di evitare qualunque tipo di discriminazione formale, e fermi restando l’esito della istruttoria e dell’accertamento medico legale secondo le procedure normativamente stabilite, il ricorso deve essere accolto.

P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere accolto, fermi restando gli accertamenti in particolare di carattere medico legale che l’Amministrazione dovrà attivare per il riconoscimento dei benefici previsti.

OMISSIS.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Mosca Pier Giorgio Trovato




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se può interessare a qualche familiare ...
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concessione dei benefìci a titolo di trattamento equipollente al trattamento di fine rapporto per le vittime del terrorismo di cui alle leggi 20 ottobre 1990 n. 302 e 3 agosto 2004 n. 206.

1) - con il decreto impugnato è stata riconosciuta la somma di 19.304,68 euro a titolo di trattamento equipollente al trattamento di fine rapporto, con il ricorso in esame sostiene che tale importo, determinato dall’istituto nazionale della previdenza sociale per conto del ministero dell’interno in forza di una convenzione stipulata tra le due parti, è stato calcolato unicamente sulla voce TFR (trattamento di fine rapporto) all’interno del prospetto di liquidazione a suo tempo redatto dalla società FIAT s.p.a., presso la quale il ricorrente ha prestato servizio dall'1 settembre 1953 al 30 dicembre 1993.

2) - Ciò senza tener conto di una cifra pari ad euro 320.033,48 sulla quale procedere alla riparametrazione per differenza del maggior valore di TFR da liquidare per effetto dell’incremento dei 10 anni d’anzianità lavorativa.

IL CdS dichiara:

3) - La materia dei benefìci di cui all’art. 1, comma 796 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 e alla legge 3 agosto 2004 n. 206 non rientra tra le materie attribuite al giudice amministrativo; per cui, essendo il ricorso straordinario ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa (art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo emanato con decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104) dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso in esame.

Il resto leggetelo qui sotto.
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23/07/2014 201209019 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 04/06/2014


Numero 02420/2014 e data 23/07/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 4 giugno 2014

NUMERO AFFARE 09019/2012

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor F. V., nato il ….. 1938 a …. ed ivi residente, avverso il decreto ministeriale 13 giugno 2011 n. 21/2009/tfr, di concessione dei benefìci a titolo di trattamento equipollente al trattamento di fine rapporto per le vittime del terrorismo di cui alle leggi 20 ottobre 1990 n. 302 e 3 agosto 2004 n. 206.

LA SEZIONE
Vista la relazione 9 ottobre 2012 prot. n. 9880 con la quale il ministero dell’interno, dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso;

visto il ricorso, pervenuto alla Presidenza della Repubblica il 12 gennaio 2012;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Hans Zelger.

Premesso:

Con il ricorso in oggetto il signor F. V., al quale con il decreto impugnato è stata riconosciuta la somma di 19.304,68 euro a titolo di trattamento equipollente al trattamento di fine rapporto, con il ricorso in esame sostiene che tale importo, determinato dall’istituto nazionale della previdenza sociale per conto del ministero dell’interno in forza di una convenzione stipulata tra le due parti, è stato calcolato unicamente sulla voce TFR (trattamento di fine rapporto) all’interno del prospetto di liquidazione a suo tempo redatto dalla società FIAT s.p.a., presso la quale il ricorrente ha prestato servizio dall'1 settembre 1953 al 30 dicembre 1993. Ciò senza tener conto di una cifra pari ad euro 320.033,48 sulla quale procedere alla riparametrazione per differenza del maggior valore di TFR da liquidare per effetto dell’incremento dei 10 anni d’anzianità lavorativa.

Il ministero conclude per l’inammissibilità del ricorso perché ai sensi dell’art. 7, comma 8, del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104 il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, mentre nel caso di specie la domanda è d’accertamento di un diritto e ricade nella giurisdizione del giudice ordinario.

Considerato:

Le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, qual è il ricorrente, hanno diritto all’erogazione di una speciale elargizione, in ordine ai cui presupposti ed alla cui entità la pubblica amministrazione è priva di ogni potestà discrezionale. La relativa controversia verte quindi su un’obbligazione pecuniaria, e rientra nella generale giurisdizione del giudice ordinario (art. 2907 del codice civile: «Alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte»), mentre il giudice amministrativo, che giudica sull’impugnazione di provvedimenti amministrativi - ossia di atti con i quali pubblica autorità determina unilateralmente, in forza dei poteri conferitile dalla legge, posizioni giuridiche dei privati - o su altre materie specificamente previste dalla legge, difetta di giurisdizione (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 settembre 2009 n. 5618 e 15 luglio 2010 n. 4568). La materia dei benefìci di cui all’art. 1, comma 796 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 e alla legge 3 agosto 2004 n. 206 non rientra tra le materie attribuite al giudice amministrativo; per cui, essendo il ricorso straordinario ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa (art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo emanato con decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104) dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso in esame.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Hans Zelger Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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Anche se è del 2001 potrebbe interessare a qualcuno.
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"Disposizioni in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata" – Applicazione dei benefici agli aventi diritto. – Quesito.
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Adunanza della Sezione Prima 7 Novembre 2001
N. Sezione 123/2001.

La Sezione

oggetto:
Ministero dell'Interno – Direzione Generale dei Servizi Civili – Servizio Affari Assistenziali Speciali – Divisione Interventi Assistenziali Straordinari - Legge finanziaria n. 388 del 23 dicembre 2000 – Art. 82 "Disposizioni in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata" – Applicazione dei benefici agli aventi diritto. – Quesito.

Vista la relazione prot. n. 3097/VT del 29.1.2001 (trasmessa con nota di uguale protocollo in pari data), con la quale il Ministero dell’interno chiede il parere del Consiglio di Stato in ordine al quesito indicato in oggetto;

VISTA la propria pronuncia interlocutoria n. 123/2001 del 14 febbraio 2001 ed il successivo adempimento da parte del Ministero dell’interno, di cui alla nota della Direzione Generale dei Servizi Civili – Servizio Affari Assistenziali Speciali – Div. Interventi Assistenziali Straordinari – prot. n. 2956/IAS/L.FIN/2001 in data 11 ottobre 2001;

ESAMINATI gli atti e udito il relatore-estensore Consigliere Giuseppe Faberi;

PREMESSO:

1 - Espone l’Amministrazione che la legge 23 dicembre 2000, n. 388, all’art. 82 ha modificato e sostituito alcune disposizioni contenute nelle precedenti leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990, n. 302 e 23 novembre 1998, n. 407.

Infatti il 1° comma del predetto art. 82 dispone, tra l’altro, che ai destinatari della legge n. 302 del 20 ottobre 1990 è assicurata, a decorrere dal 1° gennaio 1990, l’applicazione dei benefici previsti dalle citate leggi n. 302/1990 e n. 407 del 23 novembre 1998.

Il successivo comma 5 prevede, invece, che i suddetti benefici in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata si applicano a decorrere dal 1° gennaio 1967.

La lettura dei due commi genera una notevole perplessità in quanto essi stabiliscono due diverse decorrenze per l’attribuzione dei benefici agli stessi soggetti.

In proposito è da considerare che se notevole sarà l’aggravio all’erario dello Stato in conseguenza dell’applicazione del 1° comma del citato articolo che fa retrocedere al 1° gennaio 1990 la data di decorrenza per la concessione dei benefici, anziché come praticato finora dal 26 ottobre 1990 (data di entrata in vigore della legge n. 302/90), molto più rilevante sarà l’aggravio di spesa qualora si debba applicare retrodatando al 1° gennaio 1967, e quindi di 34 anni, il calcolo delle provvidenze alle vittime, così come previsto dal richiamato 5° comma dell’art. 82 della legge finanziaria.

Se si tiene peraltro conto della legge n. 407/98, la quale all’art. 3, comma 2 lett. a), dispone testualmente che "I benefici di cui alla presente legge si applicano alle vittime e ai superstiti per gli eventi verificatisi successivamente alla data del 1° gennaio 1969", si potrebbe presupporre, per analogia, che la dizione di cui al citato 5° comma "I benefici…, si applicano a decorrere dal 1° gennaio 1967", sia da interpretare più correttamente come "I benefici…, si applicano per gli eventi verificatisi, a decorrere dal 1° gennaio 1967".

In altre parole, si ritiene che la lettura del predetto comma 5, pur nella previsione della decorrenza dei benefici dal 1° gennaio 1990, introdotta dal 1° comma del medesimo art. 82, sia riferita agli "eventi" criminosi di terrorismo e criminalità organizzata di stampo mafioso che andrebbero considerati dal 1° gennaio 1967 (mentre la legge n. 407/98 all’art. 3, comma 2, lett. a) n. 1 considera gli eventi verificatisi successivamente al 1° gennaio 1969).

A completamento di quanto sopra indicato il Ministero dell’interno aggiunge poi che finora le provvidenze economiche sono state concesse ai richiedenti, su istanze presentate sia ai sensi della legge n. 302/1990 che della legge n. 407/1998, di modificazione e di integrazione della precedente, con decorrenza di attribuzione dei benefici dal 26 ottobre 1990 per i primi, e dall’11 dicembre 1998 per i secondi, rispettivamente date di entrata in vigore delle leggi medesime.

Un eventuale riesame delle moltissime istanze, già definite o in corso, pervenute a tutt’oggi per l’applicazione delle leggi sopra indicate in riferimento alle novità introdotte dalla recente legge finanziaria 2001 comporterebbe, come è evidente, la riconsiderazione dei benefici da elargire per molti anni di arretrati, senza contare l’eventualità di ulteriori nuove istanze riferite alla decorrenza 1° gennaio 1967. La legge n. 407/98, infatti, modificando le precedenti norme, all’art. 1, comma 3, punto 1 non prevede termini per la presentazione delle domande, come invece era stabilito agli artt. 6 e 12 della più volte richiamata legge n. 302.

Al riguardo, sempre da parte della richiedente amministrazione, si sottolinea che l’attuale stanziamento di bilancio al capitolo 2313 per il corrente esercizio finanziario, qualora si dovesse considerare la decorrenza per l’attribuzione dei benefici dal 1° gennaio 1967, basterebbe soltanto a coprire un numero limitato di casi, rispetto alle numerosissime domande già in corso per effetto della riapertura dei termini di presentazione delle istanze (stabilita, come già precisato, dalla legge n. 407/98), tenuto conto che, per ogni somma concessa a titolo di elargizione (una tantum), va calcolato l’indice ISTAT di cui all’art. 8 della legge n. 302, e la perequazione automatica, se si tratta dell’assegno vitalizio (come previsto dall’art. 2 della legge n. 407).

2 - Altra questione è contenuta poi all’art. 82, comma 4, della stessa legge n. 388 del 2000. In proposito si prevede che gli importi già corrisposti a titolo di speciale elargizione di cui alla legge n. 466/1980 a coloro che, per effetto di ferite o lesioni a causa di atti di terrorismo, abbiano subito un’invalidità permanente non inferiore all’80% della capacità lavorativa, o che comunque abbiano comportato la cessazione dell’attività lavorativa, siano soggetti a riliquidazione tenendo conto dell’aumento previsto dall’art. 2 della legge n. 302/1990.

La riliquidazione degli importi corrisposti ai sensi della legge n. 466/1980 era stata già prevista dall’art. 3, comma 2, della legge n. 407/1998 e, ai sensi di quest’ultima disposizione, si è provveduto a corrispondere ai feriti con invalidità superiore all’80% la riliquidazione pari a L. 1.500.000 per ciascun punto percentuale che superi il citato limite di invalidità, così come previsto dall’art. 1 comma 1 della legge n. 302/1990.

Il Ministero dell’interno fa presente, al riguardo, che l’ulteriore norma introdotta dall’art. 82 della legge finanziaria, porterà ad attribuire la riliquidazione della differenza della speciale elargizione fino al massimo di L. 50.000.000 (art. 3, 2° comma lett. b) della legge n. 407/98) a tutti coloro che hanno già percepito l’elargizione di L. 100.000.000 ai sensi della legge n. 466/1980, indipendentemente dai punti percentuali di invalidità che superino l’80%. La nuova norma, quindi, sembra essere destinata esclusivamente ai beneficiari della legge n. 466/80 (e successive modificazioni apportate con legge n. 720/1981) e non anche a coloro che hanno fatto domanda in base alla successiva legge n. 302/90, creando, quindi, disparità di trattamento.

Premesso tutto quanto precede, viene quindi richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine ai punti suindicati.

Con pronuncia interlocutoria n. 123/2001 del 14.2.2001 è stata richiesta – a cura del Ministero dell’interno – l’acquisizione dell’avviso in materia del Ministero del tesoro (ora Ministero dell’economia e delle finanze), adempimento questo al quale è stato dato corso con nota del Ministero dell’interno – Direzione Generale dei Servizi Civili – prot. n. 2956/IAS/LFIN/2001 in data 11 ottobre 2001.

CONSIDERATO:

1 - Con riferimento alla prima parte del quesito (concernente il significato delle decorrenze contenute nel comma 1 e nel comma 5 della legge 23 dicembre 2000, n. 388) che viene sottoposto a questo Consesso, si ritiene (come del resto evidenziato anche dal Ministero dell’economia e delle finanze, il cui avviso in materia è stato acquisito a cura del richiedente Ministero dell’interno) che, relativamente all’interpretazione delle formule di retroattività contenute nel comma 1 e nel comma 5 dell’art. 82 della legge n. 388 del 2000 (ossia con riferimento alle espressioni – rispettivamente – "a decorrere dal 1° gennaio 1990" e "a decorrere dal 1° gennaio 1967"), queste vadano ambedue correlate agli "eventi" verificatisi a partire dalle predette date.

Ed infatti il comma 1 è da riferire alle vittime del dovere (di cui all’art. 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466) ferite o decedute a causa di azioni criminose ed ai loro superstiti, nonché ai destinatari della legge 20 ottobre 1990, n. 302 (ossia le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, compresi evidentemente i pubblici dipendenti di cui alla menzionata legge n. 466 del 1980 ed i loro superstiti) al fine dell’applicazione, nei loro confronti, dei benefici previsti dalla citata legge n. 302 del 1990 e dalla legge 23 novembre 1998, n. 407, senza discriminazioni o differenziazioni, in ragione degli "eventi" verificatisi a decorrere dalla data del 1° gennaio 1990.

Il comma 5, a sua volta, retrodata al 1° gennaio 1967 la rilevanza degli "eventi" che danno luogo ai benefici previsti dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302 e dalla legge 23 novembre 1998, n. 407, con riferimento alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata tutelati da tali norme.

L’interpretazione in questione (che esclude quindi, tanto per il comma 1 che per il comma 5 dell’art. 82 della legge n. 388 del 2000, ogni riferimento diretto alla "decorrenza delle connesse elargizioni") è suffragata dalla considerazione che – posto che le leggi di settore già fissano tale principio in connessione con le rispettive decorrenze (cfr. l’art. 5 della legge n. 407 del 1998, il quale prevede che i relativi benefici si applicano "agli eventi verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 1969" nonché l’art. 12 della legge n. 302 del 1990, il quale parimenti prevede che i relativi benefici si applicano "alle vittime e ai superstiti per gli eventi verificatisi successivamente alla data del 1° gennaio 1969, termini questi, a loro volta, retrodatati al 1° gennaio 1967 proprio per effetto della disposizione del comma 5 dell’art. 82 della legge n. 388/2000 in esame) – ferme restando, evidentemente, le decorrenze degli eventi fissate dalle singole leggi di settore (poi ulteriormente retrodatate per effetto del summenzionato comma 5 dell’art. 82 della legge n. 388 del 2000), la data del 1° gennaio 1990 di cui al comma 1 non può che indicare a sua volta la decorrenza degli eventi in relazione ai quali si rendono applicabili, in via di estensione e senza discriminazione alcuna, alle vittime di cui alle leggi n. 466 del 1980 e n. 302 del 1990 (tra le quali segnatamente le vittime del dovere ferite o decedute a causa di azioni criminose ed i destinatari della più volte menzionata legge n. 302 del 1990 e successive modificazioni, in quanto vittime delle medesime azioni criminose a causa di servizio) i benefici disposti da tale ultima legge e dalla legge 23 novembre 1998, n. 407.

Parimenti, per le stesse ragioni, la data del 1° gennaio 1967 (di cui al comma 5 della legge n. 388) non può che indicare la decorrenza degli eventi in relazione ai quali (ferme restando, ovviamente, le ulteriori diverse decorrenze delle relative elargizioni già previste per i beneficiari) si rendono applicabili i benefici in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata previsti dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302, nonché dalla legge 23 novembre 1998, n. 407.

2 - Con riferimento poi alla seconda parte del quesito (concernente la questione relativa all’interpretazione del comma 4 della legge n. 388 in quanto questo – prevedendo la riliquidazione, in caso di ferite o lesioni che hanno comportato una invalidità permanente non inferiore all’ottanta per cento, soltanto a favore dei superstiti di atti di terrorismo ai quali sono stati corrisposti importi a titolo di speciale elargizione ai sensi della legge n. 468 del 1980, e non anche a coloro che nelle stesse condizioni di invalidità hanno fatto domanda in base alla successiva legge n. 302 del 1990 – potrebbe comportare una ipotizzabile disparità di trattamento rispetto a questi ultimi) si osserva che la volontà legislativa risulta univoca nell’attribuire la riliquidazione degli importi in questione solamente in favore dei destinatari delle speciali elargizioni già corrisposte ai sensi della legge n. 466 del 1980 e con riferimento all’importo pieno (pari a lire 150 milioni) indicato nell’articolo 2 della legge n. 302 del 1990.

La norma in questione, in sostanza, estende quindi, nei confronti dei superstiti di atti di terrorismo di cui all’art. 82, comma 4, della legge n. 388 del 2000, il disposto dell’articolo 2 della legge n. 302 (che, a sua volta, già prevedeva in generale, tale riliquidazione per i beneficiari della legge n. 466 del 1980, ma solo con riferimento – originariamente – agli eventi successivi alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 302).

Alla stregua di quanto precede non sembra consentito procedere ad un’interpretazione soggettivamente estensiva della disposizione in esame (anche nell’ipotesi in cui dovessero ravvisarsi eventuali difformità di trattamento, nei confronti di coloro che, trovandosi nelle stesse condizioni d’invalidità per eventi verificatisi successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 302 del 1990, e successive modifiche ed integrazioni, hanno ottenuto la liquidazione della speciale elargizione, sulla base dei punti percentuali di invalidità riconosciuta, ai sensi di tale ultima legge e successive modifiche), giacchè le categorie dei destinatari dei benefici previsti dalla legge n. 302, in caso di invalidità permanente che abbia gravemente menomato (o addirittura impedito) la capacità lavorativa, sono più ampie e comunque diversificate rispetto a quelle destinatarie dei benefici previsti dalla legge n. 466 del 1980 e successive modifiche ed integrazioni.

P.Q.M.

Nelle suesposte considerazioni è il parere.

Per estratto dal verbale

Il Segretario dell’Adunanza
(Elvio Piccini)

Visto

Il Presidente della Sezione
(Salvatore Giacchetti)
christian71
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

Messaggio da christian71 »

Grazie panorama, molto interessante...anche questa aggiunta alla mia raccolta personale...

Saluti
Christian
panorama
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

Messaggio da panorama »

Almeno chi cerca trova tutto in questo post
ciao
panorama
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

Messaggio da panorama »

diniego di riconoscimento dei benefìci riservati alle vittime della criminalità organizzata.
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1) - Nel febbraio 2011 aveva presentato istanza chiedendo l’attribuzione dei benefìci previsti per le “vittime della criminalità organizzata”, ai sensi delle leggi n. 302 del 1990 e 407 del 1998, in luogo di quelli per le “vittima del dovere” precedentemente concessi. La sua richiesta si fondava sull’asserzione che uno degli autori del delitto era affiliato all’organizzazione criminale “Sacra corona unita”.

2) - L’Amministrazione decide (art. 7 della legge n. 302 del 1990) sulla richiesta d’erogazione dell’elargizione anzitutto in base a quanto attestato in sede giurisdizionale con sentenza, ancorchè non definitiva, ovvero, in mancanza, sulla base delle informazioni acquisite e delle indagini esperite (comma 1), pronunciandosi perciò sulla natura delle azioni criminose lesive, sul nesso di causalità e sui singoli presupposti stabiliti dalla legge (comma 2).

Ricorso Straordinario al PDR respinto.
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16/09/2014 201301763 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 14/05/2014


Numero 02938/2014 e data 16/09/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 14 maggio 2014

NUMERO AFFARE 01763/2013

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor OMISSIS, contro il diniego di riconoscimento dei benefìci riservati alle vittime della criminalità organizzata.

LA SEZIONE
Vista la relazione 4 aprile 2013 prot. n. 559/C/3/E/8/CC/399 con la quale il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso;

visto il ricorso, datato 14 agosto 2012 e pervenuto alla Presidenza della Repubblica il 21 agosto 2012;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Anna Leoni.

Premesso:

Il signor OMISSIS aveva riportato ferite e lesioni il 14 dicembre 2004, a seguito di un servizio di controllo del territorio nel quale, nel corso di un inseguimento di un autocarro costituente compendio di furto, aveva perso il controllo dell’auto da lui guidata, che si era ribaltata, urtando contro un albero e finendo in un canale di raccolta delle acque al bordo della strada. Nell’incidente aveva riportato, come detto, gravi ferite e lesioni, mentre il capo dell’equipaggio era deceduto.

Nel febbraio 2011 aveva presentato istanza chiedendo l’attribuzione dei benefìci previsti per le “vittime della criminalità organizzata”, ai sensi delle leggi n. 302 del 1990 e 407 del 1998, in luogo di quelli per le “vittima del dovere” precedentemente concessi. La sua richiesta si fondava sull’asserzione che uno degli autori del delitto era affiliato all’organizzazione criminale “Sacra corona unita”.

Il ministero aveva interessato la prefettura di Lecce, chiedendole il parere in merito alla riconducibilità dell’evento alla normativa prevista per le vittime della criminalità organizzata.

La prefettura aveva risposto segnalando che, sebbene il Comando provinciale dei carabinieri di Lecce avesse ritenuto l’evento maturato e compiuto nel quadro di un contesto criminale di tipo mafioso, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lecce, in sede di giudizio abbreviato, con la sentenza del 2007 divenuta irrevocabile dal 20 novembre 2009 aveva ritenuto che il fatto era privo di collegamento con altri delitti commessi nell’ambito di qualsivoglia associazione criminosa, nonché insussistente l’aggravante di cui alla legge n. 152 del 1991 (particolari modalità mafiose della condotta). Per tale motivo l’Amministrazione aveva ritenuto che l’evento delittuoso in questione non fosse conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416-bis del codice penale, presupposto per l’applicazione delle leggi nn. 302 del 1990 e 407 del 1998. Con nota del 22 novembre 2011 aveva quindi comunicato preavviso di diniego al signor OMISSIS, il quale aveva replicato.

Sulla scorta della successiva conferma da parte della prefettura del suo parere negativo (nota del 2 febbraio 2012) il Capo della Polizia con decreto 16 marzo 2012 prot. n. 559/C/3/E/8/CC/399, notificato al signor OMISSIS il 19 aprile 2012, ha respinto l’istanza tendente ad ottenere i benefìci previsti dalle leggi 20 ottobre 1990 n. 302 e 23 novembre 1998 n. 407.

Con il ricorso in esame il signor OMISSIS contesta il decreto del Capo della Polizia e i pareri resi dalla prefettura di Lecce, lamentando anche la disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi incorsi in eventi analoghi.

Il ministero eccepisce l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, nonché la sua infondatezza, tenuto conto delle norme di diritto applicate, delle risultanze oggettive, costituite dalle sentenze acquisite agli atti nonché del parere ostativo reso dalla prefettura di Lecce.

Considerato:

Si prescinde dall’esame delle eccezioni preliminari dell’Amministrazione riferente, perchè il ricorso è infondato.

La speciale elargizione prevista dal comma 1 dell’art. 1 della legge 20 ottobre 1990 n. 302 in favore di chiunque subisca un’invalidità permanente a causa di ferite o lesioni in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, è estesa, per effetto del successivo secondo comma, anche a chiunque subisca un’invalidità permanente a causa di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi sul territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416-bis del codice penale, a condizione che;

a) il soggetto leso non abbia concorso alla commissione del fatto delittuoso lesivo ovvero di reati che con il medesimo siano connessi ai sensi dell’art. 12 del codice di procedura penale;
b) il soggetto leso risulti essere, al tempo dell’evento, estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, salvo che si dimostri l’accidentalità del suo coinvolgimento passivo nell’azione criminosa lesiva, ovvero risulti che il medesimo, al tempo dell’evento, si era già dissociato o comunque estraniato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava.

L’Amministrazione decide (art. 7 della legge n. 302 del 1990) sulla richiesta d’erogazione dell’elargizione anzitutto in base a quanto attestato in sede giurisdizionale con sentenza, ancorchè non definitiva, ovvero, in mancanza, sulla base delle informazioni acquisite e delle indagini esperite (comma 1), pronunciandosi perciò sulla natura delle azioni criminose lesive, sul nesso di causalità e sui singoli presupposti stabiliti dalla legge (comma 2).

Occorre, inoltre, la dimostrazione che il fatto delittuoso, a causa del quale si è verificata la lesione, sia stato commesso per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416-bis del codice penale (Cons. Stato, IV Sez., decisione n. 6273 del 2000). Scopo della norma, infatti, è quello di assicurare una forma di tutela a chiunque si trovi accidentalmente ed inconsapevolmente coinvolto in episodi di criminalità organizzata a cui è estraneo.

È tuttavia necessario un sicuro e qualificato legame teleologico tra il fatto e la sua attuazione nell’ambito delle attività mafiose, non potendo ritenersi sufficiente una mera ipotesi di connessione tra l’attività delle associazioni ed il singolo fatto (Cons. Stato, IV Sez., n. 962 del 1999).

Nel caso in esame, correttamente l’Amministrazione ha negato il riconoscimento dell’elargizione.

Non è emerso nessun elemento che facese ritenere che l’evento nel quale il ricorrente ha riportato ferite e lesioni fosse stato commesso per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416-bis del codice penale.

In tal senso è la sentenza del 2007 del giudice per le indagini preliminari di Lecce, divenuta irrevocabile dal 20 novembre 2009 - che per sua natura deve ritenersi assorbente rispetto a quanto contrariamente ritenuto dal Comando provinciale del carabinieri di Lecce - nella quale si afferma che “il fatto per cui è processo è un fatto del tutto occasionale, assolutamente privo di qualunque collegamento con altri delitti commessi nell’ambito di qualsivoglia associazione criminosa, né esiste alcun richiamo all’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 152 del 1991, per particolari modalità mafiose della condotta…”.

Alla luce di quanto affermato nella sentenza non assume nessun rilievo l’ipotizzata appartenenza di uno degli autori del delitto a danno del ricorrente alla “Sacra Corona Unita”, in quanto tale elemento, ancorchè si rivelasse fondato, nulla comproverebbe circa il necessario nesso teleologico fra il fatto delittuoso ed il perseguimento delle finalità di cui all’art. 416bis, il quale unicamente legittima l’erogazione dell’elargizione.

In conclusione, sulla base delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto, essendo stati correttamente valutati dall’Amministrazione i fatti, gli atti e gli esiti delle indagini al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di legge per l’erogazione della speciale elargizione in argomento.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Anna Leoni Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
Paola Rossi
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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1) - il ricorrente – Sovraintendente della Polizia Penitenziaria in quiescenza – ha impugnato i provvedimenti in epigrafe, recanti il mancato riconoscimento della causa di servizio delle infermità da questi sofferte,

2) - Premette in fatto la parte di essere stato vittima di un sequestro ad opera di un commando di detenuti aderenti alle Brigate Rosse , durante il periodo in cui prestava servizio presso il carcere di Trani, e di aver riportato a seguito di tale episodio un’infermità pari al 15% della capacità lavorativa, ottenendo poi il riconoscimento quale vittima di terrorismo con Decreto del Capo della Polizia del 17.6.2002.

3) - In data 25.5.2007 il ricorrente era stato sottoposto a visita di revisione della percentuale di invalidità, all’esito della quale veniva riscontrato un aggravamento sino al 25% della capacità lavorativa, poi confermato anche dal Comitato di verifica per le cause di servizio.

4) - Ai fini del riconoscimento dell’adeguamento economico dei benefici concessi in virtù della L. n. 206/04, a fronte dell’inerzia delle competenti Amministrazioni, il ricorrente ha adito nuovamente il TAR che con sentenza n. 204/10 ha accolto il ricorso avverso il silenzio, intimando le Amministrazioni a concludere il procedimento.

5) - Nelle more, il ricorrente veniva sottoposto a visita presso la CMO di Bari per la verifica della dipendenza da causa di servizio delle patologie riscontrate

Accolto in parte.

Per completezza dell'argomento leggete il tutto qui sotto.
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16/09/2014 201401117 Sentenza 2


N. 01117/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00737/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 737 del 2010, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto il suo studio in Bari, Via Nicolai, 29;

contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso la quale è domiciliato in Bari, Via Melo, 97; Ministero dell'Economia e delle Finanze; Ministero dell'Interno; Comitato di Verifica per le Cause di Servizio;

per l'annullamento
- del Decreto del 11.02.2010, del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, recante il mancato riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio;
- del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio –Ministero dell’Economia e delle Finanze, posizione n. 29756/2007, reso in data 28.07.2008;
di ogni altro atto ad essi comunque connesso, presupposto e/o consequenziale, ancorché non conosciuto;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'Udienza Pubblica del giorno 26 giugno 2014 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori avv. Ciro Testini, su delega dell'avv. Aldo Loiodice, e avv. dello Stato, Donatella Testini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Col presente gravame, il ricorrente – Sovraintendente della Polizia Penitenziaria in quiescenza – ha impugnato i provvedimenti in epigrafe, recanti il mancato riconoscimento della causa di servizio delle infermità da questi sofferte, chiedendone l’annullamento.

Avverso tali provvedimenti deduce violazione di legge, eccesso di potere per contradditorietà, carenza di motivazione, ingiustizia manifesta e travisamento dei fatti, infine violazione art.10bis, L. n.241/90.

Premette in fatto la parte di essere stato vittima di un sequestro ad opera di un commando di detenuti aderenti alle Brigate Rosse , durante il periodo in cui prestava servizio presso il carcere di Trani, e di aver riportato a seguito di tale episodio un’infermità pari al 15% della capacità lavorativa, ottenendo poi il riconoscimento quale vittima di terrorismo con Decreto del Capo della Polizia del 17.6.2002.

In data 25.5.2007 il ricorrente era stato sottoposto a visita di revisione della percentuale di invalidità, all’esito della quale veniva riscontrato un aggravamento sino al 25% della capacità lavorativa, poi confermato anche dal Comitato di verifica per le cause di servizio.

Ai fini del riconoscimento dell’adeguamento economico dei benefici concessi in virtù della L. n. 206/04, a fronte dell’inerzia delle competenti Amministrazioni, il ricorrente ha adito nuovamente il TAR che con sentenza n. 204/10 ha accolto il ricorso avverso il silenzio, intimando le Amministrazioni a concludere il procedimento.

Nelle more, il ricorrente veniva sottoposto a visita presso la CMO di Bari per la verifica della dipendenza da causa di servizio delle patologie riscontrate - -OMISSIS-

Tuttavia il Comitato di Verifica per le cause di servizio, chiamato a pronunciarsi per le infermità ex nn. 1 e 2 – le stesse per cui il ricorrente era stato riconosciuto quale vittima di terrorismo – ha emesso il parere negativo qui impugnato, sulla base del quale il Ministero della Giustizia ha poi notificato alla parte il decreto di diniego, anche esso oggetto del presente gravame.

Lo stesso parere reso dal Comitato di Verifica veniva frattanto posto alla base anche del provvedimento successivo adottato dalla stessa Amministrazione all’esito del procedimento avviato per l’adeguamento dei benefici economici conseguenti all’aggravamento delle infermità, e recante il rigetto della relativa istanza.

Quest’ultimo provvedimento, unitamente al predetto parere, è stato anche esso impugnato dal ricorrente, nel diverso ricorso n.1724 del 2010, innanzi codesto TAR, il quale ha accolto in parte il gravame e per l’effetto ha annullato i provvedimenti medesimi, con sentenza n. 1750 del 18.11.2011, depositata in atti.
Con atto di costituzione formale, si è ritualmente costituito il Ministero della Giustizia.

All’Udienza Pubblica del 26.06.2014, la causa è stata trattenuta in decisione - con decisione riservata - e alla Camera di Consiglio del 29.07.2014 è stata sciolta la riserva.

Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte fondato e meritevole di accoglimento, per le seguenti ragioni.
Il Collegio rileva infatti come il parere del Comitato di Verifica, posizione n. 29756/2007 del 28.07.2008, sia stato già oggetto di pronuncia di questo Giudice, il quale con la sopradetta Sentenza n. 1750 lo ha ormai annullato.

Pertanto, va dichiarata l’inammissibilità dell’azione impugnatoria avente ad oggetto il citato parere.
Per la restante parte, ne deriva che il Decreto impugnato, che poggia unicamente sul parere annullato quale “parte integrante del provvedimento”, risulta illegittimo per carenza di motivazione, essendo venuto a mancare il suo presupposto di fatto e di diritto (parere del Comitato).

L’Amministrazione dovrà quindi adottare una nuova conclusiva determinazione in ordine all’istanza di riconoscimento della causa di servizio, a seguito di un nuovo pronunciamento del Comitato di Verifica sul punto.

Il ricorso va dunque accolto relativamente all’azione impugnatoria avverso il Decreto del 11.02.2010, atteso il vizio assorbente della carenza di motivazione.

Sussistono giuste ragioni per compensare le spese.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile, in parte lo accoglie, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Bari nelle Camere di Consiglio del 26 giugno 2014 e del 29 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/09/2014
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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vittime di terrorismo e della criminalità organizzata

Quesito relativo all’interpretazione dell’art. 2-quinquies della legge 28 novembre 2008, n. 186.

Cmq. questa è tutt'altra cosa.
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16/10/2014 201302969 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 27/08/2014


Numero 03153/2014 e data 16/10/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 27 agosto 2014

NUMERO AFFARE 02969/2013

OGGETTO:
Ministero dell'interno - Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze.

Quesito relativo all’interpretazione dell’art. 2-quinquies della legge 28 novembre 2008, n. 186;

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione in data 25/07/2013 con la quale il Ministero dell'interno - Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:

Il Ministero dell’interno chiede al Consiglio di Stato di esprimere un parere sull’istanza di -OMISSIS- per il riconoscimento dei benefici quale vittima della criminalità organizzata, per l’uccisione – allorquando aveva solo nove mesi – della madre -OMISSIS- ad opera di soggetti e in un contesto riconducibili all’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”.

Ostativo a tale beneficio sarebbe la circostanza che -OMISSIS- è figlia di -OMISSIS- (autore del delitto), affiliato alla predetta associazione mafiosa.

La Commissione competente, pur tenendo conto della volontà di -OMISSIS- di recidere nettamente qualsiasi forma di contatto con la famiglia paterna, testimoniata dal cambiamento del cognome, non ha potuto fare a meno di evidenziare che tale valutazione s’infrange contro il dettato dell’art. 2-quinquies della legge 28 novembre 2008, n. 186, il quale sembra prescindere dai rapporti effettivamente intercorrenti nell'ambiente familiare, limitandosi piuttosto a considerare oggettivamente il vincolo di parentela come preclusivo per la concessione dei benefici richiesti.

Il Ministero riferente si dice consapevole dei limiti posti al proprio potere di accertamento dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che le vittime di terrorismo e della criminalità organizzata sono titolari, in presenza della condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all'erogazione della speciale elargizione prevista dalla normativa in materia, essendo la p.a. priva di ogni potestà discrezionale sia con riguardo all'entità della somma da erogare, prefissata dalla legge, sia con riguardo ai presupposti della derogabilità, rispetto ai quali l'Amministrazione svolge un accertamento che, ove dovesse avere carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo, è estraneo al concetto di discrezionalità amministrativa.

Rigettare l’istanza, tuttavia, sarebbe irragionevole, considerato che -OMISSIS- all’epoca dell’evento aveva pochi mesi di vita, sicché la parentela non esprimeva alcun collegamento con l’ambiente mafioso, e che successivamente si è mantenuta lontana dal contesto delinquenziale cui appartiene il padre.

Ciò posto, il Ministero domanda se vi sia un’interpretazione della legge che eviti tale conseguenza nel caso in esame.

CONSIDERATO:

La possibilità di rivolgere quesiti al Consiglio di Stato rientra nella generale previsione dell’art. 14, n. 1, R.D. 26-6-1924 n. 1054 (Art. 10 del testo unico 17 agosto 1907, n. 638). secondo cui “Il Consiglio di Stato dà parere sopra le proposte di legge e sugli affari di ogni natura, pei quali sia interrogato dai Ministri del Re”.

Anche quando il Consiglio di Stato si esprime in sede consultiva opera come soggetto in posizione di terzietà e indipendenza (Cons. Stato, Ad. Gen. parere n. 4/03) ed è espressione dello Stato-ordinamento (o, più modernamente, dello Stato-comunità) e non dello Stato-apparato. Perciò la consultazione del Consiglio di Stato può essere richiesta non solo dal Governo ma anche dal Parlamento, dalle Regioni e dalle Autorità indipendenti.

D’altro canto – sotto un profilo finalistico – ai pareri del Consiglio è estranea qualsiasi considerazione o rappresentazione di interessi di parte, ivi compresi quelli dell'Amministrazione che richiede il parere.

Tali caratteristiche distinguono il parere del Consiglio di Stato dalle attività consultive affidate ad altri organi, che rispondono a diverse esigenze, come i pareri dell’Avvocatura dello Stato.

In definitiva, quindi, l’attività consultiva è anch’essa un’attività di garanzia, svolta, come quella giurisdizionale, secondo canoni di assoluta neutralità, esercitata non nell’interesse della Pubblica Amministrazione ma nell’interesse generale.

Per effetto dell’accennata evoluzione, la citata disposizione è stata interpretata nel senso che l’Amministrazione può chiedere pareri sull’esatta interpretazione o applicazione di disposizioni legislative o regolamentari. Sono le ipotesi in cui l’Amministrazione, in via preventiva ed astratta, chiede al Consiglio lumi sull’applicazione da dare alle fonti normative di dubbia interpretazione. Tali pareri, né obbligatori né vincolanti, svolgono un’importante funzione di guida e di indirizzo nello svolgimento dell’azione amministrativa.

Peraltro, al fine di evitare commistioni tra attività consultiva e attività giurisdizionale, assegnando al parere l’autorevolezza di una pronunciamento anticipato su una specifica questione, già l’art. 33, R.D. 26-6-1924 (Art. 25 del testo unico 17 agosto 1907, n. 638) prevede che “Negli affari che, a norma della presente legge, possono formare oggetto di ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, il Governo, avuto il parere della sezione competente, non può richiedere, in via amministrativa, l'esame del Consiglio di Stato in adunanza generale”.

Il quesito in oggetto non riguarda direttamente l’astratta interpretazione di fonti normative, ma la concreta soluzione di un caso.

Tuttavia ogni caso postula l’applicazione di norme giuridiche e la giurisprudenza consultiva ha ammesso quesiti che, pur traendo spunto da specifiche situazioni, possano risolversi nel fissare i presupposti giuridici, che spetterà all’Amministrazione applicare. Pertanto la Sezione prescinde dalla concreta vicenda sottopostagli, astraendone i tratti tipici, che si possono sostanzialmente sintetizzare nel quesito se l’art. 2-quinquies, comma 1, lett. a), della legge 28 novembre 2008, n. 186 debba essere interpretato nel senso che il rapporto di parentela è sempre preclusivo del beneficio, oppure faccia eccezione il caso in cui tale rapporto non sia idoneo a esprimere alcun collegamento con ambienti delinquenziali.

L’art. 2-quinquies, comma 1, lett. a), della legge 28 novembre 2008, n. 186 stabilisce che “1. Ferme le condizioni stabilite dall'articolo 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, e successive modificazioni, i benefici previsti per i superstiti sono concessi a condizione che:

a) il beneficiario non risulti coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l'applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale;

b) il beneficiario risulti essere del tutto estraneo ad ambienti o rapporti delinquenziali ovvero risulti, al tempo dell'evento, già dissociato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava”.

La ratio della previsione è facilmente intuibile, ed è quella di escludere dal beneficio chi abbia rapporti con appartenenti alla criminalità.

Mettendo a raffronto le due ipotesi, tuttavia, si nota una differenza: nella prima si tratta di criminalità organizzata, nella seconda anche di criminalità comune.

Ciò perché nella seconda ipotesi il collegamento è di fatto (appartenenza ad ambienti delinquenziali), mentre nella prima il collegamento è puramente giuridico (coniugio, affinità, parentela). Il legislatore ha posto sullo stesso piano le due fattispecie facendo leva sulla massima d’esperienza per cui il vincolo di parentela con un mafioso implica un legame effettivo con l’organizzazione.

Solo a tale condizione l’equiparazione è ragionevole, non potendosi dare uno stesso effetto giuridico per un identico scopo a fronte di elementi costitutivi che divergono su un aspetto significativo rispetto a tale scopo.

Per quanto, dunque, la lett. a) sembri chiara, il superiore principio di non contraddizione impone un’esegesi restrittiva (plus dixit quam voluit), nel senso di ravvisarvi una presunzione relativa – e non assoluta – di impedimento al beneficio.

Nella giurisprudenza costituzionale è consolidata la tesi secondo cui le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’idquod plerumque accidit. In particolare, l’irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (sentenza n. 139 del 2010).

La presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare per i delitti di mafia si fonda sulla legge criminologica secondo cui l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice, ragion per cui misure minori sono insufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità.

Mutatis mutandis, la presunzione ostativa al riconoscimento dei benefici come vittima della criminalità organizzata legata al rapporto di parentela opera purché non vi siano elementi tali da escludere la rilevanza fattuale di tale rapporto. In tali casi la presunzione sarebbe sfornita di fondamento empirico, restando una pura scelta normativa, del tutto irragionevole però e contraria all’intenzione del legislatore.

Ciò, ad esempio, è quanto accade nell’ipotesi in cui la vittima sia, all’epoca dell’evento da cui sorge il beneficio, incapace d’intendere o di volere, per età o altre condizioni personali.

Si obietterà che tali deroghe devono essere espressamente previste, attraverso le consuete formule («salvo che», «fuori dei casi in cui», etc), ma così non è.

Trattandosi – la parentela – di elemento normativo della fattispecie, il cui significato è definito dal diritto civile, la presenza di un dato che modifichi quel significato nell’ordinamento di provenienza e che sia rilevante rispetto alla ratio della norma che lo fa proprio non ha bisogno di essere esplicitata. Proprio in ciò è l’utilità della tecnica di redazione sintetica della legge.

La condizione di incapacità naturale che incide sui rapporti giuridici civilistici (negoziali, non negoziali, di status), unitamente alla ratio della norma in esame volta a sanzionare legami con ambienti criminali, priva il rapporto civilistico di parentela del valore che esso assume all’interno della disposizione in esame.

In conclusione tale disposizione deve essere interpretata nel senso che in caso di incapacità naturale del beneficiario, i rapporti civilistici di coniugio, convivenza, parentela o affinità di cui all’art. 2 quinques, comma 1, lett. a) l. n. 186/2008, non precludono il riconoscimento del beneficio.

P.Q.M.

Esprime il parere nei sensi di cui in motivazione.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

Messaggio da panorama »

Segretariato generale della Giustizia amministrativa

Il Segretario Generale

Circolare del 18 ottobre 2011

ISTRUZIONI SULL'APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI CONTRIBUTO UNIFICATO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (aggiornate al 22 ottobre 2014)


Le seguenti istruzioni recano la forma di risposte a quesiti per favorire successive integrazioni che si rendano opportune alla stregua della pratica applicativa degli uffici della Giustizia amministrativa, nonché delle eventuali osservazioni o dei quesiti formulati dagli avvocati, cui 000 si fornirà UDO specifico riscontro, ma che, se ritenuti condivisibili, comporteranno esclusivamente l'aggiornamento del testo delle istruzioni stesse. Per favorire il reperimento delle novità che si andranno ad introdurre, si provvederà ad evidenziare temporaneamente le parti del documento che le contengono.

OMISSIS ( metto la parte che interessa)


E.8) RICORSI DELLE VITTIME DELLA CRIMINALITA' ORGANIZZATA E DELLE VITTIME DEL DOVERE

l ricorsi anzidetti non soggiacciono al pagamento del contributo unificato, potendosi estendere
ad essi la norma di esenzione, contemplata dall'art. 10 della legge n. 206 del 2004 per le "vittime
del terrorismo".
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antoniomlg
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

Messaggio da antoniomlg »

ciao e grazie del tu continuo, infallibile contributo alla materia

Ti/VI chiedo
è solo per i ricorsi al Tar ?
oppure anche per il 1° grado del giudice ordinario?

grzie
panorama
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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Se può interessare a qualcuno.
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Cosa si intende per invalidità permanente e quando spetta, lo spiega la Cassazione
(Corte di Cassazione - III Sezione Civile Sentenza 17 marzo 2015, n.5197)
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Con la sentenza che di seguito si riporta, la Corte di Cassazione ha esaminato un interessante caso in cui si parla di invalidità permanente e, più nello specifico, ha spiegato che con questa espressione deve intendersi “uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all’esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna invalidità permanente“

Nel caso in esame, la Corte di Cassazione era stata chiamata ad esprimere il proprio giudizio poichè era stata stipulata una polizza assicurativa che copriva anche il rischio di invalidità permanente causata da malattia e, il contraente, dopo qualche tempo decedeva per aver contratto un tumore allo stomaco.

L’assicurazione rifiutava il pagamento sia dell’indennizzo che per l’invalidità permanente e, pertanto, dopo i due gradi di giudizio in cui veniva accolta parzialmente la domanda attorea e, quindi, si rendeva necessario instaurare un giudizio innanzi ai giudici di Piazza Cavour affinchè si pronunciasse sulla richiesta di condanna al pagamento anche dell’indennizzo dovuto per l’invalidità permanente che la Corte di merito aveva rigettato.
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Per conoscere le motivazioni della decisione



invalidità permanente

Corte di Cassazione – III Sezione Civile
Sentenza 17 marzo 2015, n.5197
Pres. Russo – est. Rossetti


Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.. Assumono violati gli artt. 1325 e 1882 c.c..
Espongono, al riguardo, che il contratto di assicurazione stipulato da F.R. copriva il rischio di ‘invalidità permanente’, definito nelle condizioni generali come la ‘perdita o diminuzione, definitiva irrimediabile, della capacità dell’esercizio della propria professione (…) e di ogni altro lavoro (…), conseguente a malattia’.

Nel caso di specie l’assicurato, a causa del tumore, perse la capacità di lavoro: e dunque si era avverato il rischio assicurato.

La Corte d’appello invece, aveva – errando – ritenuto che nella specie nessuna ‘invalidità permanente’ fosse insorta, perché quest’ultima è concepibile solo quando, guarita la malattia, questa abbia lasciato postumi permanenti all’ammalato.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Ad onta della sua intitolazione formale, infatti, il motivo pone esclusivamente una questione di interpretazione del contratto: ovvero quale dovesse essere il senso da attribuire all’espressione ‘invalidità permanente’ in esso contenuta.

Le norme che i ricorrenti assumono violate (gli artt. 1325 e 1882 c.c.) sono del tutto irrilevanti nel presente giudizio, nel quale mai si è fatta questione né di quali fossero gli elementi essenziali del contratto (art. 1325 c.c.), né del fatto che quello stipulato tra le parti fosse un contratto di assicurazione (art. 1882 c.c.).

Né ovviamente è consentito a questa Corte supplire a carenze motivazionali dei ricorsi, andando a ricercare d’ufficio quali fossero le norme che il ricorrente intendeva assumere come violate.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., che la sentenza impugnata abbia violato le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c..

2.1.1. Il criterio di interpretazione letterale sarebbe stato violato a causa del senso attribuito dalla Corte d’appello all’espressione ‘invalidità permanente’. Espongono i ricorrenti che secondo l’interpretazione del giudice di merito una invalidità permanente può concepirsi solo quando la malattia sia esaurita ed il paziente sia guarito con postumi: ma tale interpretazione sarebbe in contrasto con la chiara lettera del contratto, che definiva l’invalidità come la perdita definitiva della capacità di lavoro, perdita che nel caso di specie si è verificata già nel corso della malattia patita dall’assicurato, a nulla rilevando che la malattia stessa fosse inguaribile ed abbia condotto a morte l’assicurato, e quindi che non sia mai avvenuta una guarigione clinica.

2.1.2. La Corte d’appello avrebbe trascurato, poi, di valutare la condotta delle parti successiva alla conclusione del contratto: ed infatti nella fase stragiudiziale la Helvetia aveva rifiutato il pagamento dell’indennizzo assumendo che il diritto all’indennizzo non fosse trasferibile agli eredi, mentre nulla aveva eccepito circa la sussistenza nella specie d’un danno da invalidità temporanea.

2.1.3. La Corte d’appello avrebbe violato altresì il criterio di interpretazione complessiva del contratto (art. 1363 c.c.), là dove ha desunto la nozione di ‘invalidità permanente’ posta a fondamento della decisione dalla clausola contrattuale che impediva l’accertamento della suddetta invalidità prima del decorso d’un anno dalla denuncia della malattia: clausola che, secondo i ricorrenti, disciplinava il quantum dell’indennizzo e non l’indennizzabilità dell’infortunio.

2.1.4. Infine, i ricorrenti lamentano che la decisione del Tribunale abbia violato il criterio di interpretazione del contratto secondo buona fede (art. 1366 c.c.), perché escluderebbe l’indennizzabilità di tutte le malattie ad esito infausto, alterando l’equilibrio contrattuale e ‘l’equo contemperamento degli interessi delle parti’.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato in tutti e quattro i profili in cui si articola.

Non vi è stata, in primo luogo, alcuna violazione del criterio di interpretazione letterale.

La Corte d’appello era chiamata infatti ad interpretare un contratto di assicurazione contro le malattie.
L’assicuratore, in forza di tale contratto, si era obbligato al pagamento in favore dell’assicurato d’un indennizzo nel caso in cui la malattia avesse causato una ‘invalidità permanente’.

Quest’ultima era contrattualmente definita come la ‘perdita o diminuzione, definitiva e irrimediabile, della capacità dell’esercizio della propria professione (…) e di ogni altro lavoro (…), conseguente a malattia’.

Secondo la Corte d’appello, la suddetta ‘perdita o diminuzione’ non potrebbe che concepirsi una volta esaurita la fase acuta della malattia.

Secondo i ricorrenti, invece, una ‘invalidità permanente’ potrebbe concepirsi anche a malattia in corso, quando questa sia destinata ad avere un esito infausto.

2.3. L’interpretazione letterale propugnata dai ricorrenti è erronea.

Un contratto è un testo giuridico.

Le espressioni in esso contenute, se potenzialmente ambivalenti, vanno interpretate secondo il senso che è loro proprio nel contesto giuridico, non certo secondo il buon senso od il linguaggio comune.

Il lemma ‘invalidità’ è un lemma tecnico. Esso è frutto di una elaborazione ormai quasi secolare in ambito medico legale.

Essa designa uno stato menomativo che può essere transeunte (invalidità temporanea) o permanente (invalidità permanente).

L’espressione ‘invalidità temporanea’ designa lo stato menomativo causato da una malattia, durante il decorso di questa.

L’espressione ‘invalidità permanente’ designa lo stato menomativo che residua dopo la cessazione d’una malattia.

L’esistenza d’una malattia in atto e l’esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili: sinché durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, ma non v’è ancora invalidità permanente; se la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più invalidità temporanea; se la malattia dovesse condurre a morte l’ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea.

2.4. I principi appena esposti sono stati mutuati dal legislatore in numerosissime norme. Per tutte, basterà ricordare:

(a) l’art. 137, comma 1, d.lgs. 7.9.2005 n. 209 (codice delle assicurazioni), il quale distinguendo il danno patrimoniale da inabilità temporanea rispetto a quello da invalidità permanente, implicitamente conferma che quest’ultima presuppone l’avvenuta guarigione, con postumi, della vittima;

(b) l’art. 138, comma 2, d.lgs. 209/05, cit., il quale distingue anch’esso il danno non patrimoniale temporaneo da quello permanente (definito ‘invalidità permanente’), in tal modo dimostrando che l’invalidità permanente non può cominciare a computarsi sinché duri l’invalidità temporanea;

(c) le infinite norme assicurative e previdenziali che, stabilendo la misura della invalidità permanente oltre la quale è dovuto il trattamento indennitario (due terzi, quattro quinti, eco), lasciano anch’esse intendere che in tanto è concepibile e misurabile una ‘invalidità permanente’, in quanto la malattia che l’ha causata sia cessata ed i postumi si siano stabilizzati: sarebbe infatti concepibile misurare i ‘due terzi’ d’una validità instabile ed in divenire (cfr., ex permultis, l’art. 302, comma 2, cod. ass., in tema di danni indennizzabili dal fondo di garanzia vittime della caccia; l’art. 1, comma 1, l. 20.10.1990 n. 302, in tema di provvidenze alle vittime del terrorismo).

2.5. I principi appena esposti, infine, sono già stati affermati da questa Corte, sia pure in fattispecie concrete diverse.

Infatti, chiamata a stabilire se spettasse o meno il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente in un caso in cui le lesioni patite dalla vittima avevano causato la morte di questa a distanza di tempo dall’infortunio, questa Corte ha già stabilito che ‘se la morte [della vittima] è stata causata dalle lesioni, l’unico danno biologico risarcibile è quello correlato dall’inabilità temporanea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente. Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione dell’integrità psicofisica consegue sempre un periodo di invalidità temporanea, alla quale può conseguire talora un’invalidità permanente. Per l’esattezza l’invalidità permanente si considera insorta allorché, dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, l’individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.

Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medicolegale di invalidità permanente presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l’organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.

Si intende, pertanto, come nell’ipotesi di morte causata dalla lesione, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in senso medicolegale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti permanenti, ma determina la morte dell’individuo’ (sono parole di Sez. 3, Sentenza n. 7632 del 16/05/2003, Rv. 563159, p.3.3 dei ‘Motivi della decisione’).

A tale decisione possono, infine, affiancarsi tutte le altre – numerosissime – le quali hanno negato che l’invalidità permanente e quella temporanea possano sovrapporsi (ad es., ai fini del decorso della prescrizione o della quantificazione del risarcimento): in tutte queste decisioni si è costantemente affermato che sino a quando perdura l’invalidità temporanea, non sorge quella permanente; e quando viene ad esistenza quest’ultima, è necessariamente cessata la prima (così, ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 3806 del 25/02/2004, Rv. 570534, secondo cui ‘in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno’).

L’interpretazione del contratto adottata dalla Corte d’appello, in conclusione, lungi dall’essere arbitraria rispetto al testo della polizza, è la sola coerente con quello, alla luce del seguente principio di diritto:

L’espressione ‘invalidità permanente’ designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all’esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna ‘invalidità permanente’. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall’assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale.

2.6. Nemmeno sussiste la violazione, da parte della Corte d’appello, del criterio di interpretazione fondato sulla condotta tenuta dalle parti dopo la stipula del contratto.

La circostanza che la Helvetia, nella fase delle trattative stragiudiziali, non abbia ritenuto di sollevare l’eccezione di non indennizzabilità del danno da invalidità permanente, è infatti irrilevante ai fini dell’interpretazione del contratto:

- sia perché tale scelta costituisce frutto di una facoltà del debitore, ovviamente non preclusiva della facoltà di sollevare la suddetta eccezione in giudizio;

- sia perché la ‘condotta delle parti’ cui fa riferimento l’art. 1362 c.c. è quella esecutiva del contratto, non certo quella consistita nel replicare alla pretesa di adempimento formulata ex adverso;

- sia, soprattutto, perché la condotta delle parti quale criterio interpretativo del contratto può venire in rilievo quando il testo non sia sufficientemente chiaro, e come si è visto nel caso di specie il testo contrattuale era chiarissimo.

2.7. Inammissibile, per difetto di concreta rilevanza, è poi l’allegazione secondo cui la Corte avrebbe violato il criterio dell’interpretazione complessiva (art. 1363 c.c.), là dove ha ritenuto di suffragare la propria decisione facendo leva sulla clausola contrattuale che impediva l’accertamento dell’invalidità permanente prima d’un anno dalla denuncia della malattia.

Nella struttura della sentenza impugnata, infatti, tale argomento viene utilizzato dalla Corte d’appello ad abundantiam, e dunque quale che ne fosse la correttezza, l’espunzione di esso dalla motivazione della sentenza, impugnata non renderebbe quest’ultima immotivata.

2.8. Insussistente, infine, è la violazione del criterio di interpretazione secondo buona fede: sia perché anche tale criterio è suppletivo, e non viene in rilievo quando la lettera del contratto sia inequivoca; sia perché è proprio l’interpretazione propugnata dai ricorrente a sovvertire l’equilibrio contrattuale, pretendendo il pagamento dell’indennizzo dovuto per l’invalidità permanente in un caso in cui la malattia dell’assicurato aveva causato la morte dell’assicurato, non la sua invalidità: così trasformando una polizza malattia in una polizza vita.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sia affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..

Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione lacunosa, non indicando la fonte della nozione di ‘invalidità permanente’ da essa adottata.

3.2. Il motivo è tanto inammissibile quanto infondato.

È inammissibile perché il vizio di motivazione è concepibile solo con riferimento all’accertamento di fatti, e nel presente giudizio non si controverte sull’accertamento del contenuto oggettivo del contratto (il quale soltanto costituirebbe un accertamento di fatto), ma sul senso da attribuire ad una clausola contrattuale il cui terso non è in discussione e sul rispetto, da parte del giudicante, dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.: il che costituisce una questione di diritto, rispetto alla quale non è concepibile il vizio di motivazione, ma solo la violazione di legge.

Il motivo è tuttavia anche infondato, giacché per quanto detto la nozione di ‘invalidità permanente’ fatta propria dalla Corte d’appello è quella condivisa dalla unanime dottrina medico legale, dal legislatore e da questa Corte.

4. Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna F.C. , F.A. e F.G. , in solido, alla rifusione in favore di Helvetia Compagnia Svizzera di Assicurazioni S.A. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 7.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.
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Re: VITTIME DEL TERRORISMO

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LEGGE 24 dicembre 2003, n. 350
Art. 4
238. Con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell'assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili.

LEGGE 23 novembre 1998, n. 407
Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
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per l'ottemperanza
della sentenza della Corte d'Appello di Genova n. 644/2012.

1) - Lamentano che l’amministrazione della difesa corrisponda l’assegno in questione nell’importo di € 258,03 mensili, come originariamente determinato dall’art. 2 della legge n. 407/1998, anziché nella misura di € 500,00 mensili, come riliquidato a seguito dell’adeguamento disposto dall’art. 4 comma 238 della legge 24.12.2003, n. 350 (a mente del quale: “con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell'assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili”).

Ricorso Accolto.
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SENTENZA ,sede di GENOVA ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201500405 - Public 2015-04-27 -


N. 00405/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00101/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 101 del 2015, proposto da:
OMISSIS vedova OMISSIS e OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avv. A. B., con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via di Sottoripa 1 A/35;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane n. 2;

per l'ottemperanza
della sentenza della Corte d'Appello di Genova n. 644/2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2015 il dott. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ex art. 112 e ss. c.p.a. notificato in data 9.2.2015 la signora OMISSIS ed OMISSIS, rispettivamente vedova ed orfano del militare OMISSIS, deceduto a bordo di un elicottero caduto in occasione di una esercitazione internazionale, agiscono per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di Appello di Genova 11.6.2012, n. 644, che ha riconosciuto loro il diritto all’assegno vitalizio ex art. 2 della legge 23.11.1998, n. 407.

Lamentano che l’amministrazione della difesa corrisponda l’assegno in questione nell’importo di € 258,03 mensili, come originariamente determinato dall’art. 2 della legge n. 407/1998, anziché nella misura di € 500,00 mensili, come riliquidato a seguito dell’adeguamento disposto dall’art. 4 comma 238 della legge 24.12.2003, n. 350 (a mente del quale: “con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell'assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili”).

Si è costituito in giudizio il Ministero della difesa, sostenendo che la disposizione da ultimo citata “deve essere considerata alla luce della copertura finanziaria dei provvedimenti”, copertura che si sarebbe rivelata insufficiente.

All’udienza del 23 aprile 2015 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.

Il collegio può applicare in questo caso l’art. 74 c.p.a. e decidere in forma semplificata, atteso che la giurisprudenza – anche della sezione - si è già pronunciata in argomento, assecondando le tesi dei ricorrenti (Cons. di St., IV, 20.12.2013, n. 6156; T.A.R. Liguria, II, 24.7.2014, n. 1179).

L’amministrazione della difesa deve essere pertanto condannata a dare piena esecuzione alla sentenza della Corte di Appello di Genova 11.6.2012, n. 644, liquidando l’assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407 nella misura di € 500 mensili, a far tempo dall’1.1.2010.

Le spese seguono la soccombenza e sono equamente liquidate nel dispositivo, tenuto conto del valore della lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda)

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina all’amministrazione della difesa di dare integrale esecuzione, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla sua notificazione, se anteriore, alla sentenza della Corte di Appello di Genova 11.6.2012, n. 644, liquidando l’assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407 nella misura di € 500 mensili, a far tempo dall’1.1.2010.

Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di causa sostenute dai ricorrenti, che liquida in euro 2.000,00 (duemila), oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:
Roberto Pupilella, Presidente
Luca Morbelli, Consigliere
Angelo Vitali, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2015
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