Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015
Inviato: lun dic 28, 2020 3:48 pm
Appello rigettato.
CdC Sezione 3^ d’Appello n. 210/2020 depositata in data 24/11/2020 in Rif. alla CdC Toscana n. 123/2019 del 19.02.2019, depositata in data 14.03.2019.
1) - Ufficiali generali ed Ufficiali superiori dell'esercito, della Marina, del Corpo delle Capitanerie di Porto e dell'Aereonautica, cessati dal servizio prima del 1° gennaio 2018, adivano la competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti al fine di ottenere l'accertamento e la declaratoria del diritto alla rideterminazione del trattamento di quiescenza, dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016 .
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Sent.210/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE d’APPELLO
composta dai seguenti Magistrati:
Luciano Calamaro Presidente
Giuseppina Maio Consigliere
Marco Smiroldo Consigliere
Giancarlo Astegiano Consigliere
Patrizia Ferrari Consigliere relatore
SENTENZA
Sull’appello in materia di pensioni iscritto al n. 54880 proposto da
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, ed ivi residente, in xx
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato ad xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx,
tutti rappresentati e e difesi dall'Avvocato Umberto Coronas e dall'Avvocato Salvatore Coronas con studio in Roma , Via Giuseppe Ferrari n.4, e presso gli stessi elettivamente domiciliati.
CONTRO
· il Ministero della Difesa — Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, in persona del legale rappresentante pro tempore;
· l'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale — I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Patteri, Sergio Preden e Giuseppina Giannico;
nonché nei confronti
· della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica pro tempore;
avverso e per l'annullamento
della sentenza della Sezione Giurisdizionale della regione Toscana n. 123/2019 del 19.02.2019, depositata in data 14.03.2019 e notificata dall'I.N.P.S. il 05.06.2019,
AVVERSO
Visto l’atto di appello.
Esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa.
Uditi alla pubblica udienza del 25 settembre 2020 , con l’assistenza del Segretario Elisabetta Sfrecola, l’avv. Umberto Coronas per gli appellanti, l’avv. Giuseppina Giannico per l’INPS e la dott.ssa Iris Marocchini per il Ministero della Difesa
FATTO
1. Risulta dagli atti di giudizio che il Sig. xx ed altri, Ufficiali generali ed Ufficiali superiori dell'esercito, della Marina, del Corpo delle Capitanerie di Porto e dell'Aereonautica, cessati dal servizio prima del 1° gennaio 2018, adivano la competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti al fine di ottenere l'accertamento e la declaratoria del diritto alla rideterminazione del trattamento di quiescenza , dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016 . Gli odierni appellanti richiedevano l’applicazione di tutti gli automatismi retributivi spettanti per ed in relazione agli anni 2011-2015 (inclusi quelli ex art. 24 della Legge n. 448/1998 e ex art.161 della Legge n. 312/1980). La richiesta era , in sintesi, determinata dall’esigenza di impedire un effetto permanente del cosiddetto blocco stipendiale.
Chiedevano in subordine che fosse proposta questione di illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, del decreto legge n. 78 del 2010.
Con l’appellata decisione la Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana ha respinto il ricorso . Nello specifico, richiamate le sentenze della Consulta n. 304 del 2013, n. 310 del 2013, n. 154 del 2014 e n. 200 del 2018, il giudice di primo grado ha stabilito che non spetta agli odierni appellanti alcuna rideterminazione della pensione sulla base di una retribuzione virtuale, pari all'importo che la remunerazione lavorativa avrebbe raggiunto se fossero intervenuti gli incrementi e gli scatti stipendiali non riconosciuti in base al disposto dell'art. 9, comma 21, del decreto legge n.78 del 2010. Né tale pretesa avrebbe potuto trovare fondamento a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7, del decreto legislativo n. 94 del 2017, applicabile nei confronti degli Ufficiali generali e superiori entrati in quiescenza successivamente al 1° gennaio 2018.
2. Con il gravame all’esame gli epigrafati appellanti hanno impugnato la richiamata decisione ritenuta erronea per i seguenti motivi :
1) Violazione e falsa applicazione dell'art.9. comma 21 del D.L. n.78/2010, convertito con modificazioni dalla Legge n.122/2010 e delle successive disposizioni di proroga. Violazione e falsa applicazione degli artt.3 e 53 del d.P.R. 29.12.1973, n.1092 e 1866 del d.Lgs. 15.03.2010, n.66. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.
Sostiene la difesa degli appellanti che, contrariamente a quanto ritenuto dall'adita Corte dei conti, l'art.9, comma 21, secondo periodo del d.L. n.78/2010, pur nel silenzio del legislatore, può e deve essere inteso analogamente all'art.7, comma 3, e cioè nel senso che “ la corresponsione degli incrementi stipendiali spettanti per il quinquennio di "blocco" 2011-2015 fosse soltanto da differire al 1° gennaio 2016, senza corresponsione di arretrati, ma con salvezza dell'ordinaria decorrenza di maturazione dei successivi automatismi e con diritto del personale cessato dal servizio nel corso del quinquennio di differimento alla rideterminazione della base pensionale comprendendo gli incrementi spettanti per lo stesso periodo, se non già dalla data di cessazione dal servizio, quanto meno dal 1° gennaio 2016.”
2) Error in iudicando — Violazione di legge sotto il profilo della erroneamente ritenuta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale subordinatamente dedotta per violazione degli artt.2. 3, 36, 38, 53 e 117 Cost. (quest'ultimo per contrasto con i parametri interposti di cui all'art.1 del Protocollo n.1 ed all'art.1 del Protocollo n.12 della C.E.D.U.), dell'art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010, convertito con modifiche dalla L. n.122/2010, e successive disposizioni di proroga (di cui all'art.16, comma 1. lett. b, del d.l. n.98/2011, convertito dalla L.n.111/2011, all'art.1, comma 1, lett. a, del d.P.R. n.122/2013, n.122 e all'articolo unico, comma 256, della l.n.190/2014), anche in ragione di quanto disposto dall'art.11, comma 7, del d.Lgs. n.94/2017. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.
Sostiene la difesa degli appellanti che contrariamente a quanto è stato erroneamente ritenuto nella decisione appellata, la misura di "blocco" così come intesa ed applicata presenta, anche in ragione di quanto poi disposto dall'art.11, comma 7, del d.Lgs. n.94/2017, palesi profili di illegittimità costituzionale per irragionevolezza ed ingiustificata disparità di trattamento, che non appaiono superabili neppure con il richiamo a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n.200/2018, relativa al terzo e non al secondo periodo del comma 21 dell'art.9 del d.l.n.78/2010 e, soprattutto, riguardante fattispecie anteriore al sopravvenire della disposizione del decreto di c.d. riordino che ha retroattivamente disposto il reinquadramento stipendiale del personale ancora in servizio al 1° gennaio 2018.
II primo Giudice non avrebbe tenuto conto del fatto che, a disciplina del trattamento economico immutata, Ufficiali aventi parità di grado e di funzioni si sono trovati a percepire trattamenti diversi : se cessati dal servizio entro il 31 dicembre 2010, hanno avuto tutta la retribuzione loro ordinariamente spettante e, una volta collocati in quiescenza, un trattamento di pensione corrispondente ; se cessati dal servizio una volta terminato il blocco e dopo il 31 dicembre 2017, hanno avuto anch'essi tutta la retribuzione ordinariamente spettante e, una volta collocati in quiescenza, un trattamento di pensione corrispondente;
se cessati dal servizio nel quinquennio di "blocco" e fino al 31 dicembre 2017, hanno avuto e mantenuto la retribuzione "congelata" per gli anni 2011-2015 e, quindi, un trattamento di pensione calcolato sulla retribuzione così decurtata. Detta situazione integrerebbe una palese disparità di trattamento in contrasto con il principio di eguaglianza. Il primo Giudice, non avrebbe , inoltre, esaminato il profilo relativo al rapporto tra la ratio della misura di blocco e gli effetti che ne sono scaturiti nel quadro normativo.
La difesa degli appellanti ha, quindi, rassegnato le seguenti conclusioni : “ annullare la sentenza impugnata e per l'effetto, accertare e dichiarare il diritto degli appellanti alla rideterminazione del trattamento di quiescenza [provvisorio (inclusa l'indennità di ausiliaria) e/o definitivo)], dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016, da calcolare tenendo conto anche di tutti gli incrementi retributivi spettanti per gli anni 2011-2015 (inclusi quelli ex art.24 Legge n.448/1998 ed ex art.161 Legge n.312/1980), e quindi condannare il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S., per quanto di rispettiva competenza, a rideterminarne come sopra il trattamento di quiescenza [provvisorio (inclusa l'indennità d'ausiliaria) e/o definitivo)] e a corrispondere loro tutte le differenze spettanti a tale titolo, con interessi legali e con rivalutazione monetaria, dalla debenza al soddisfo, secondo le modalità indicate dalla sentenza 18.10.2002, n.10 delle SS.RR. della Corte dei Conti, previo annullamento di tutti gli atti ostativi e di diniego alla pretesa fatta valere e previa, se ritenuto necessario, remissione alla Corte Costituzionale degli atti di giudizio per la decisione della questione di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt.2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Cost. (parametri interposti artt.1 Protocollo n.1 e n.12 della C.E.D.U.), dell'art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010, e successive proroghe, anche in ragione di quanto disposto dall'art.11, comma 7, del D.Lgs. 29.5.2017, n.94, o previa sospensione del presente giudizio in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulle analoghe questioni già rimessele dalla Corte dei Conti della Lombardia con ordinanza n.4/2019 e dalla Corte dei Conti dell'Abruzzo con ordinanza n.12/2019.
Con ogni conseguenza di legge, anche in ordine alla rifusione di spese ed onorari del doppio grado di giudizio”.
3. Con memoria ritualmente depositata l’INPS ha affermato la correttezza della impugnata decisione . Ha sostenuto che la decisione della Sezione territoriale si pone in linea con i principi stabiliti dalla Consulta in varie sentenze, nonché con il principio fondamentale sul quale è incentrato il nostro ordinamento previdenziale ossia che la pensione è determinata in raffronto con i redditi effettivamente percepiti, quindi commisurata ai contributi versati (salva l'eccezione di norme speciali che dispongano l'accredito figurativo), non potendo essere incluse nella base pensionabile voci fittizie e non corrispondenti a retribuzione effettiva o figurativa.
Ha rilevato come la normativa oggi all’esame sia stata ripetutamente scrutinata dal Giudice delle leggi che ne ha sempre riconosciuta la piena conformità al dettato costituzionale. Da ultimo, proprio con riferimento alle ordinanze di remissione citate da controparte, ha ricordato che la Consulta si è espressa con la sentenza 167 del 2020, ribadendo la conformità a Costituzione della norma oggi invocata. Ha insistito , pertanto per il rigetto dell’appello.
4. Con ulteriore memoria difensiva la gli appellanti, preso atto della sopravvenienza della sentenza n.167/2020 – con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010 e successive proroghe, sollevate dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale della regione Abruzzo e da quella della Lombardia ha rappresentato che se, dopo la sentenza n.167/2020, non è più possibile la lettura costituzionalmente orientata dell’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 che si era proposta e devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale della suddetta disposizione come articolate nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio e reiterate nel presente giudizio di appello, si confida, però, che codesta Corte voglia adesso ritenere rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dedotte sotto il profilo sopra specificato, che emerge e residua a seguito della decisione della Corte Costituzionale, e quindi voglia ad essa rimettere gli atti del giudizio affinché si pronunci sulle stesse. In subordine, per la denega ipotesi che la Corte ritenga di non poter dare accesso a questa richiesta, si confida che voglia, quanto meno, compensare per intero tra le parti le spese e gli onorari di giudizio ex art.31, comma 3, del D.Lgs.n.174/2016, considerato che, sulla questione per la quale è causa, v’è stato sinora un orientamento tutt’altro che univoco e che, laddove, come qui richiesto in via principale, non sia di nuovo rimesso alla Corte Costituzionale, il contenzioso relativo alla misura di cui all’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 e successive proroghe può dirsi concluso nell’ordinamento interno solo a seguito e per effetto della sentenza n.167/2020, successiva all’instaurazione del presente giudizio.
4. All’odierna pubblica udienza, l’avv. Umberto Coronas per gli appellanti, l’avv. Giuseppina Giannico per l’INPS e la dott.ssa Iris Marocchini per il Ministero della Difesa hanno richiamato le posizioni in atti; la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Rileva preliminarmente il Collegio che tutti gli asseriti profili di illegittimità costituzionale ventilati dagli appellanti nel proprio atto di gravame sono stati vagliati e respinti dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 167 del 2020, con la quale la Consulta ha scrutinato le ordinanze di rimessione delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le regioni Lombardia ed Abruzzo citate dagli appellanti.
Con specifico riferimento alla asserita violazione dell'art. 1 del Prot. n.12 CEDU, la Corte costituzionale ha dichiarato la «manifesta inammissibilità della censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000, per l'assorbente ragione della mancata ratifica di tale Protocollo (cfr. sentenza n. 194 del 2018 con riferimento alla mancata ratifica di un accordo OIL)». (Corte cost., n.167 del 2020, punto 3).
Non meritevoli di accoglimento appaiono, pertanto, le richieste volte ad una nuova rimessione delle questioni, nei termini proposti dalla difesa degli appellanti , al giudice delle leggi.
2. Passando al merito, con la richiamata decisione la Consulta ha ribadito che nell’attuale sistema previdenziale non può trovare ingresso il principio secondo cui la liquidazione di una pensione può avvenire sulla base di una retribuzione virtuale, non effettivamente percepita. In particolare si afferma che “sono state ritenute non fondate le questioni relative alle ricadute "pensionistiche" del blocco stipendiale (sentenza n. 200 del 2018). Il contenimento della retribuzione nel periodo suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione, calcolata con il criterio limitativo in questione, è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo… il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quinquennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d l. n. 78 del 2010, sia al comma 2 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia al comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive» (sentenza n. 223 del 2012)….Né, in generale, per il pubblico impiego è prevista alcuna contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini pensionistici” (Corte cost. n.167 del 2020).
Quanto alla portata dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, che secondo gli odierni appellanti avrebbe , con modalità discriminante, sanato gli effetti pregiudizievoli del blocco stipendiale per gli ufficiali superiori entrati in quiescenza dal 1° gennaio 2018, la Consulta con la richiamata decisione ha sottolineato che “In realtà così non è perché non c'è stata questa predicata rivalutazione, ai fini pensionistici, degli incrementi retributivi automatici, non percepiti nel periodo del blocco” (Corte cost. n.167 del 2020, punto 9).
Chiarisce la Corte costituzionale che “Tale norma - riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della dinamica stipendiale - non è affatto volta a eliminare, per il passato, gli effetti del blocco degli automatismi retributivi, previsto dalle disposizioni censurate, quanto, piuttosto, a razionalizzare, per il futuro, il trattamento economico legato al riordino delle carriere, agganciando la determinazione della retribuzione a un dato oggettivo, qual è il numero degli anni di servizio effettivo dell'ufficiale. Si tratta essenzialmente di un reinquadramento retributivo che non tocca affatto la contribuzione ai fini pensionistici per il periodo del blocco (semmai ci sarebbe solo un'incidenza limitata, e comunque meramente indiretta, quanto alla quota retributiva del trattamento pensionistico nella misura in cui essa ancora residualmente rilevi). In ogni caso si ha che, anche per questa limitata categoria di personale militare (ufficiali superiori e ufficiali generali), rimane che la retribuzione pensionabile nel periodo del blocco stipendiale fa riferimento a quella percepita senza gli automatismi retributivi, sulla quale è destinata a essere calcolata la contribuzione utile al fine della liquidazione della pensione
Va quindi ribadito, in conclusione, che in nessun caso - salvo disposizioni a carattere straordinario e derogatorio (e tale non è l'art. 11, comma 7, citato) - è possibile ottenere un trattamento pensionistico che prescinda dalla contribuzione effettivamente versata” (Corte cost. n.167 del 2020, punto 9).
3. Alla luce di quanto sopra esposto, l’appello è da rigettare.
Le spese di lite possono essere compensate considerato che sulla questione per la quale è causa, vi è stato un orientamento tutt’altro che univoco sul quale è stata fatta chiarezza dalla richiamata decisione della Corte cost. n.167 del 2020 intervenuta nelle more della definizione del giudizio all’esame .
P.Q.M.
la Corte dei conti Sezione Terza Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello. Spese compensate .
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 25.9.2020 .
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Patrizia Ferrari F.to Luciano Calamaro
Depositata il 24-11-2020
Il Dirigente
F.to Antonio Salvatore Sardella
CdC Sezione 3^ d’Appello n. 210/2020 depositata in data 24/11/2020 in Rif. alla CdC Toscana n. 123/2019 del 19.02.2019, depositata in data 14.03.2019.
1) - Ufficiali generali ed Ufficiali superiori dell'esercito, della Marina, del Corpo delle Capitanerie di Porto e dell'Aereonautica, cessati dal servizio prima del 1° gennaio 2018, adivano la competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti al fine di ottenere l'accertamento e la declaratoria del diritto alla rideterminazione del trattamento di quiescenza, dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016 .
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Sent.210/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE d’APPELLO
composta dai seguenti Magistrati:
Luciano Calamaro Presidente
Giuseppina Maio Consigliere
Marco Smiroldo Consigliere
Giancarlo Astegiano Consigliere
Patrizia Ferrari Consigliere relatore
SENTENZA
Sull’appello in materia di pensioni iscritto al n. 54880 proposto da
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, ed ivi residente, in xx
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx;
xx, nato ad xx, il xx, residente in xx;
xx, nato a xx, il xx, residente in xx,
tutti rappresentati e e difesi dall'Avvocato Umberto Coronas e dall'Avvocato Salvatore Coronas con studio in Roma , Via Giuseppe Ferrari n.4, e presso gli stessi elettivamente domiciliati.
CONTRO
· il Ministero della Difesa — Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, in persona del legale rappresentante pro tempore;
· l'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale — I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Patteri, Sergio Preden e Giuseppina Giannico;
nonché nei confronti
· della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica pro tempore;
avverso e per l'annullamento
della sentenza della Sezione Giurisdizionale della regione Toscana n. 123/2019 del 19.02.2019, depositata in data 14.03.2019 e notificata dall'I.N.P.S. il 05.06.2019,
AVVERSO
Visto l’atto di appello.
Esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa.
Uditi alla pubblica udienza del 25 settembre 2020 , con l’assistenza del Segretario Elisabetta Sfrecola, l’avv. Umberto Coronas per gli appellanti, l’avv. Giuseppina Giannico per l’INPS e la dott.ssa Iris Marocchini per il Ministero della Difesa
FATTO
1. Risulta dagli atti di giudizio che il Sig. xx ed altri, Ufficiali generali ed Ufficiali superiori dell'esercito, della Marina, del Corpo delle Capitanerie di Porto e dell'Aereonautica, cessati dal servizio prima del 1° gennaio 2018, adivano la competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti al fine di ottenere l'accertamento e la declaratoria del diritto alla rideterminazione del trattamento di quiescenza , dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016 . Gli odierni appellanti richiedevano l’applicazione di tutti gli automatismi retributivi spettanti per ed in relazione agli anni 2011-2015 (inclusi quelli ex art. 24 della Legge n. 448/1998 e ex art.161 della Legge n. 312/1980). La richiesta era , in sintesi, determinata dall’esigenza di impedire un effetto permanente del cosiddetto blocco stipendiale.
Chiedevano in subordine che fosse proposta questione di illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, del decreto legge n. 78 del 2010.
Con l’appellata decisione la Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana ha respinto il ricorso . Nello specifico, richiamate le sentenze della Consulta n. 304 del 2013, n. 310 del 2013, n. 154 del 2014 e n. 200 del 2018, il giudice di primo grado ha stabilito che non spetta agli odierni appellanti alcuna rideterminazione della pensione sulla base di una retribuzione virtuale, pari all'importo che la remunerazione lavorativa avrebbe raggiunto se fossero intervenuti gli incrementi e gli scatti stipendiali non riconosciuti in base al disposto dell'art. 9, comma 21, del decreto legge n.78 del 2010. Né tale pretesa avrebbe potuto trovare fondamento a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7, del decreto legislativo n. 94 del 2017, applicabile nei confronti degli Ufficiali generali e superiori entrati in quiescenza successivamente al 1° gennaio 2018.
2. Con il gravame all’esame gli epigrafati appellanti hanno impugnato la richiamata decisione ritenuta erronea per i seguenti motivi :
1) Violazione e falsa applicazione dell'art.9. comma 21 del D.L. n.78/2010, convertito con modificazioni dalla Legge n.122/2010 e delle successive disposizioni di proroga. Violazione e falsa applicazione degli artt.3 e 53 del d.P.R. 29.12.1973, n.1092 e 1866 del d.Lgs. 15.03.2010, n.66. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.
Sostiene la difesa degli appellanti che, contrariamente a quanto ritenuto dall'adita Corte dei conti, l'art.9, comma 21, secondo periodo del d.L. n.78/2010, pur nel silenzio del legislatore, può e deve essere inteso analogamente all'art.7, comma 3, e cioè nel senso che “ la corresponsione degli incrementi stipendiali spettanti per il quinquennio di "blocco" 2011-2015 fosse soltanto da differire al 1° gennaio 2016, senza corresponsione di arretrati, ma con salvezza dell'ordinaria decorrenza di maturazione dei successivi automatismi e con diritto del personale cessato dal servizio nel corso del quinquennio di differimento alla rideterminazione della base pensionale comprendendo gli incrementi spettanti per lo stesso periodo, se non già dalla data di cessazione dal servizio, quanto meno dal 1° gennaio 2016.”
2) Error in iudicando — Violazione di legge sotto il profilo della erroneamente ritenuta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale subordinatamente dedotta per violazione degli artt.2. 3, 36, 38, 53 e 117 Cost. (quest'ultimo per contrasto con i parametri interposti di cui all'art.1 del Protocollo n.1 ed all'art.1 del Protocollo n.12 della C.E.D.U.), dell'art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010, convertito con modifiche dalla L. n.122/2010, e successive disposizioni di proroga (di cui all'art.16, comma 1. lett. b, del d.l. n.98/2011, convertito dalla L.n.111/2011, all'art.1, comma 1, lett. a, del d.P.R. n.122/2013, n.122 e all'articolo unico, comma 256, della l.n.190/2014), anche in ragione di quanto disposto dall'art.11, comma 7, del d.Lgs. n.94/2017. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.
Sostiene la difesa degli appellanti che contrariamente a quanto è stato erroneamente ritenuto nella decisione appellata, la misura di "blocco" così come intesa ed applicata presenta, anche in ragione di quanto poi disposto dall'art.11, comma 7, del d.Lgs. n.94/2017, palesi profili di illegittimità costituzionale per irragionevolezza ed ingiustificata disparità di trattamento, che non appaiono superabili neppure con il richiamo a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n.200/2018, relativa al terzo e non al secondo periodo del comma 21 dell'art.9 del d.l.n.78/2010 e, soprattutto, riguardante fattispecie anteriore al sopravvenire della disposizione del decreto di c.d. riordino che ha retroattivamente disposto il reinquadramento stipendiale del personale ancora in servizio al 1° gennaio 2018.
II primo Giudice non avrebbe tenuto conto del fatto che, a disciplina del trattamento economico immutata, Ufficiali aventi parità di grado e di funzioni si sono trovati a percepire trattamenti diversi : se cessati dal servizio entro il 31 dicembre 2010, hanno avuto tutta la retribuzione loro ordinariamente spettante e, una volta collocati in quiescenza, un trattamento di pensione corrispondente ; se cessati dal servizio una volta terminato il blocco e dopo il 31 dicembre 2017, hanno avuto anch'essi tutta la retribuzione ordinariamente spettante e, una volta collocati in quiescenza, un trattamento di pensione corrispondente;
se cessati dal servizio nel quinquennio di "blocco" e fino al 31 dicembre 2017, hanno avuto e mantenuto la retribuzione "congelata" per gli anni 2011-2015 e, quindi, un trattamento di pensione calcolato sulla retribuzione così decurtata. Detta situazione integrerebbe una palese disparità di trattamento in contrasto con il principio di eguaglianza. Il primo Giudice, non avrebbe , inoltre, esaminato il profilo relativo al rapporto tra la ratio della misura di blocco e gli effetti che ne sono scaturiti nel quadro normativo.
La difesa degli appellanti ha, quindi, rassegnato le seguenti conclusioni : “ annullare la sentenza impugnata e per l'effetto, accertare e dichiarare il diritto degli appellanti alla rideterminazione del trattamento di quiescenza [provvisorio (inclusa l'indennità di ausiliaria) e/o definitivo)], dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016, da calcolare tenendo conto anche di tutti gli incrementi retributivi spettanti per gli anni 2011-2015 (inclusi quelli ex art.24 Legge n.448/1998 ed ex art.161 Legge n.312/1980), e quindi condannare il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S., per quanto di rispettiva competenza, a rideterminarne come sopra il trattamento di quiescenza [provvisorio (inclusa l'indennità d'ausiliaria) e/o definitivo)] e a corrispondere loro tutte le differenze spettanti a tale titolo, con interessi legali e con rivalutazione monetaria, dalla debenza al soddisfo, secondo le modalità indicate dalla sentenza 18.10.2002, n.10 delle SS.RR. della Corte dei Conti, previo annullamento di tutti gli atti ostativi e di diniego alla pretesa fatta valere e previa, se ritenuto necessario, remissione alla Corte Costituzionale degli atti di giudizio per la decisione della questione di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt.2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Cost. (parametri interposti artt.1 Protocollo n.1 e n.12 della C.E.D.U.), dell'art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010, e successive proroghe, anche in ragione di quanto disposto dall'art.11, comma 7, del D.Lgs. 29.5.2017, n.94, o previa sospensione del presente giudizio in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulle analoghe questioni già rimessele dalla Corte dei Conti della Lombardia con ordinanza n.4/2019 e dalla Corte dei Conti dell'Abruzzo con ordinanza n.12/2019.
Con ogni conseguenza di legge, anche in ordine alla rifusione di spese ed onorari del doppio grado di giudizio”.
3. Con memoria ritualmente depositata l’INPS ha affermato la correttezza della impugnata decisione . Ha sostenuto che la decisione della Sezione territoriale si pone in linea con i principi stabiliti dalla Consulta in varie sentenze, nonché con il principio fondamentale sul quale è incentrato il nostro ordinamento previdenziale ossia che la pensione è determinata in raffronto con i redditi effettivamente percepiti, quindi commisurata ai contributi versati (salva l'eccezione di norme speciali che dispongano l'accredito figurativo), non potendo essere incluse nella base pensionabile voci fittizie e non corrispondenti a retribuzione effettiva o figurativa.
Ha rilevato come la normativa oggi all’esame sia stata ripetutamente scrutinata dal Giudice delle leggi che ne ha sempre riconosciuta la piena conformità al dettato costituzionale. Da ultimo, proprio con riferimento alle ordinanze di remissione citate da controparte, ha ricordato che la Consulta si è espressa con la sentenza 167 del 2020, ribadendo la conformità a Costituzione della norma oggi invocata. Ha insistito , pertanto per il rigetto dell’appello.
4. Con ulteriore memoria difensiva la gli appellanti, preso atto della sopravvenienza della sentenza n.167/2020 – con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010 e successive proroghe, sollevate dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale della regione Abruzzo e da quella della Lombardia ha rappresentato che se, dopo la sentenza n.167/2020, non è più possibile la lettura costituzionalmente orientata dell’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 che si era proposta e devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale della suddetta disposizione come articolate nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio e reiterate nel presente giudizio di appello, si confida, però, che codesta Corte voglia adesso ritenere rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dedotte sotto il profilo sopra specificato, che emerge e residua a seguito della decisione della Corte Costituzionale, e quindi voglia ad essa rimettere gli atti del giudizio affinché si pronunci sulle stesse. In subordine, per la denega ipotesi che la Corte ritenga di non poter dare accesso a questa richiesta, si confida che voglia, quanto meno, compensare per intero tra le parti le spese e gli onorari di giudizio ex art.31, comma 3, del D.Lgs.n.174/2016, considerato che, sulla questione per la quale è causa, v’è stato sinora un orientamento tutt’altro che univoco e che, laddove, come qui richiesto in via principale, non sia di nuovo rimesso alla Corte Costituzionale, il contenzioso relativo alla misura di cui all’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 e successive proroghe può dirsi concluso nell’ordinamento interno solo a seguito e per effetto della sentenza n.167/2020, successiva all’instaurazione del presente giudizio.
4. All’odierna pubblica udienza, l’avv. Umberto Coronas per gli appellanti, l’avv. Giuseppina Giannico per l’INPS e la dott.ssa Iris Marocchini per il Ministero della Difesa hanno richiamato le posizioni in atti; la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Rileva preliminarmente il Collegio che tutti gli asseriti profili di illegittimità costituzionale ventilati dagli appellanti nel proprio atto di gravame sono stati vagliati e respinti dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 167 del 2020, con la quale la Consulta ha scrutinato le ordinanze di rimessione delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le regioni Lombardia ed Abruzzo citate dagli appellanti.
Con specifico riferimento alla asserita violazione dell'art. 1 del Prot. n.12 CEDU, la Corte costituzionale ha dichiarato la «manifesta inammissibilità della censura di violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Prot. n. 12 CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000, per l'assorbente ragione della mancata ratifica di tale Protocollo (cfr. sentenza n. 194 del 2018 con riferimento alla mancata ratifica di un accordo OIL)». (Corte cost., n.167 del 2020, punto 3).
Non meritevoli di accoglimento appaiono, pertanto, le richieste volte ad una nuova rimessione delle questioni, nei termini proposti dalla difesa degli appellanti , al giudice delle leggi.
2. Passando al merito, con la richiamata decisione la Consulta ha ribadito che nell’attuale sistema previdenziale non può trovare ingresso il principio secondo cui la liquidazione di una pensione può avvenire sulla base di una retribuzione virtuale, non effettivamente percepita. In particolare si afferma che “sono state ritenute non fondate le questioni relative alle ricadute "pensionistiche" del blocco stipendiale (sentenza n. 200 del 2018). Il contenimento della retribuzione nel periodo suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione, calcolata con il criterio limitativo in questione, è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo… il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quinquennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d l. n. 78 del 2010, sia al comma 2 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia al comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive» (sentenza n. 223 del 2012)….Né, in generale, per il pubblico impiego è prevista alcuna contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini pensionistici” (Corte cost. n.167 del 2020).
Quanto alla portata dell'art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 94 del 2017, che secondo gli odierni appellanti avrebbe , con modalità discriminante, sanato gli effetti pregiudizievoli del blocco stipendiale per gli ufficiali superiori entrati in quiescenza dal 1° gennaio 2018, la Consulta con la richiamata decisione ha sottolineato che “In realtà così non è perché non c'è stata questa predicata rivalutazione, ai fini pensionistici, degli incrementi retributivi automatici, non percepiti nel periodo del blocco” (Corte cost. n.167 del 2020, punto 9).
Chiarisce la Corte costituzionale che “Tale norma - riconducibile al normale sviluppo, nel tempo, della dinamica stipendiale - non è affatto volta a eliminare, per il passato, gli effetti del blocco degli automatismi retributivi, previsto dalle disposizioni censurate, quanto, piuttosto, a razionalizzare, per il futuro, il trattamento economico legato al riordino delle carriere, agganciando la determinazione della retribuzione a un dato oggettivo, qual è il numero degli anni di servizio effettivo dell'ufficiale. Si tratta essenzialmente di un reinquadramento retributivo che non tocca affatto la contribuzione ai fini pensionistici per il periodo del blocco (semmai ci sarebbe solo un'incidenza limitata, e comunque meramente indiretta, quanto alla quota retributiva del trattamento pensionistico nella misura in cui essa ancora residualmente rilevi). In ogni caso si ha che, anche per questa limitata categoria di personale militare (ufficiali superiori e ufficiali generali), rimane che la retribuzione pensionabile nel periodo del blocco stipendiale fa riferimento a quella percepita senza gli automatismi retributivi, sulla quale è destinata a essere calcolata la contribuzione utile al fine della liquidazione della pensione
Va quindi ribadito, in conclusione, che in nessun caso - salvo disposizioni a carattere straordinario e derogatorio (e tale non è l'art. 11, comma 7, citato) - è possibile ottenere un trattamento pensionistico che prescinda dalla contribuzione effettivamente versata” (Corte cost. n.167 del 2020, punto 9).
3. Alla luce di quanto sopra esposto, l’appello è da rigettare.
Le spese di lite possono essere compensate considerato che sulla questione per la quale è causa, vi è stato un orientamento tutt’altro che univoco sul quale è stata fatta chiarezza dalla richiamata decisione della Corte cost. n.167 del 2020 intervenuta nelle more della definizione del giudizio all’esame .
P.Q.M.
la Corte dei conti Sezione Terza Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello. Spese compensate .
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 25.9.2020 .
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Patrizia Ferrari F.to Luciano Calamaro
Depositata il 24-11-2020
Il Dirigente
F.to Antonio Salvatore Sardella