Re: 6 scatti
Inviato: lun giu 22, 2020 10:31 pm
ricorso Accolto come da sentenza.
1) - Il TAR Piemonte si pronuncia nel 2017 sul ricorso proposto dal Prefetto cessato dal servizio, per raggiunti limiti di età, quindi, collocato in pensione a far data dal 1 novembre 2010, per ottenere gli interessi legali e la maggior somma derivante dalla svalutazione monetaria sull'indennità di fine servizio erogata dall'INPS con atto in data 22.4.2014, n. 6884;
nonchè
2) - per la condanna dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale al pagamento in favore del ricorrente della somma come sopra determinata a sua volta integrata con gli interessi e la rivalutazione fino al saldo
3) - L'INPS non teneva conto di sei scatti stipendiali che avrebbero invece dovuto essere considerati sia ai fini della erogazione del trattamento pensionistico, sia al fine della erogazione della indennità di fine servizio.
4) - La suddetta contestazione è stata accolta solo con atto dell’INPS del 22 aprile 2014, adottato dopo il parere n. 3826 dell’11 settembre 2013 del Consiglio di Stato.
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SENTENZA sede di TORINO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201701232 ,
Pubblicato il 17/11/2017
N. 01232/2017 REG. PROV. COLL.
N. 00210/2016 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 210 del 2016, proposto da:
Bruno Vittorio D'Alfonso, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso il di lui studio in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
contro
Inps - Gestione Dipendenti Pubblici, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Ruta, Patrizia Sanguineti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giorgio Ruta in Torino, via dell'Arcivescovado, 9;
per :
l'accertamento del diritto del ricorrente, già Prefetto della Repubblica collocato in pensione a far data dal 1 novembre 2010, di ottenere gli interessi legali e la maggior somma derivante dalla svalutazione monetaria sull'indennità di fine servizio erogata dall'INPS con atto in data 22.4.2014, n. 6884;
nonchè per la condanna dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale al pagamento in favore del ricorrente della somma come sopra determinata a sua volta integrata con gli interessi e la rivalutazione fino al saldo
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps - Gestione Dipendenti Pubblici;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2017 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente è stato Prefetto della Repubblica ed è cessato dal servizio, per raggiunti limiti di età, al 1° novembre 2010.
Il 10 dicembre 2010 egli ha ricevuto la liquidazione del trattamento di fine servizio, che però il dott. Bruno ha contestato immediatamente (ossìa con missiva del 18 gennaio 2011) in quanto non teneva conto di sei scatti stipendiali che avrebbero invece dovuto essere considerati sia ai fini della erogazione del trattamento pensionistico, sia al fine della erogazione della indennità di fine servizio.
La suddetta contestazione è stata accolta solo con atto dell’INPS del 22 aprile 2014, adottato dopo il parere n. 3826 dell’11 settembre 2013 del Consiglio di Stato: questo, infatti, richiesto di dirimere un contrasto interpretativo insorto tra l’INPS, gestione ex INPDAP, ed il Ministero dell’Interno, si è espresso nel senso di ritenere il beneficio previsto dall’art. 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, consistente in 6 aumenti periodici di stipendio in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante ed in luogo della soppressa promozione alla vigilia, applicabile sia ai fini della liquidazione della pensione sia ai fini del calcolo dell’indennità di buona uscita da corrispondere ai prefetti all’atto del congedo, e ciò anche dopo la riforma della carriera prefettizia attuata con il D. L.vo 139/2000 e dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 316/2001, che ha recepito il primo accordo per il personale della carriera prefettizia.
Con missiva del 22 maggio 2014 il ricorrente ha chiesto che su tale somma gli fossero riconosciuti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, dal giorno della fine servizio a quello della effettiva erogazione: tale richiesta è tuttavia stata respinta dall’INPS sul rilievo che solo il 29 marzo 2014 il Ministero dell’Interno, richiamando il ricordato parere del Consiglio di Stato, ha trasmesso all’INPS un nuovo progetto di liquidazione dell’indennità di buonuscita, comprendente anche i 6 scatti stipendiali periodici, e pertanto solo da tale data il credito del dott. Bruno sarebbe divenuto certo ed esigibile.
Il ricorso è stato chiamato per la discussione del merito alla pubblica udienza del 27 settembre 2017, allorché, previo scambio di memorie, è stato introitato a decisione.
La tesi della Amministrazione resistente, per quanto suggestiva, non convince il Collegio.
Sostiene la difesa dell’INPS che la certezza della debenza sarebbe stata acquisita dall’Istituto previdenziale solo a seguito della nota 29 marzo 2014 del Ministero dell’Interno: solo da tale momento, pertanto, decorrerebbe il termine di 90 giorni entro il quale, ai sensi dell’art. 3 comma 2 del D.L. 79/1997, nella versione vigente all’epoca dei fatti, l’importo avrebbe dovuto essere liquidato a favore del ricorrente.
In disparte la considerazione che la norma da ultimo citata, né altra tra quelle che vengono in considerazione nel caso di specie, non subordina il diritto del lavoratore a percepire il trattamento di che trattasi alla condizione che il credito sia “certo”, si deve dire che la nozione di “certezza del credito” allude alla venuta ad esistenza dei requisiti costitutivi di esso, e deve essere tenuta distinta dalla nozione di “liquidità del credito”, che allude invece all’essere il credito quantificato o quantificabile per essere disponibili tutti gli elementi che occorrono alla esatta determinazione.
Con riferimento ad un credito ascrivibile alla indennità di fine rapporto o fine servizio, essendo l’esistenza di un tale credito collegata alla pregressa esistenza di un rapporto di lavoro o di servizio nonché alla successiva risoluzione di esso, perché si possa affermare che un tale credito è “certo” è sufficiente che si abbia la prova, e non vi sia contestazione, in ordine alla sussistenza di tali fatti giuridici, mentre qualsiasi altro elemento, di fatto o diritto, caratterizzante il rapporto di lavoro o di servizio (durata, livello stipendiale, etc. etc.) non può che esplicare efficacia sulla mera quantificazione di detto credito, ossìa sulla liquidazione di esso: eventuali contestazioni che abbiano ad oggetto elementi influenti sulla mera quantificazione del credito non fanno dunque venir meno la “certezza” del credito relativo al trattamento di fine rapporto o servizio, che in base alle norme citate dall’Istituto previdenziale deve essere senz’altro liquidato, evidentemente in misura corretta e satisfattiva, nel termine massimo previsto dalla legge (termine che l’art. 3 comma 2 del D.L. 79/1997, nella versione vigente all’epoca dei fatti, era di 105 giorni dalla cessazione del servizio dovuta a raggiungimento dei limiti di età), oltre il quale sono dovuti anche gli interessi, senza previsione di causa giustificativa alcuna che esoneri l’ente previdenziale dall’obbligo di corrisponderli, in particolare in dipendenza da incertezze determinate da difficoltà interpretative della legge.
Tanto basta per respingere le argomentazioni sulla base delle quali l’Istituto previdenziale ha tentato di sostenere che la somma di cui alla nota del 22 aprile 2014 sarebbe stata liquidata “tempestivamente”, e che pertanto sulla medesima non sono dovuti interessi né rivalutazione monetaria: il diritto del ricorrente a percepire l’indennizzo di fine servizio, infatti, non è mai stato contestato in sé, e la questione interpretativa sottoposta al Consiglio di Stato aveva rilevanza solo ai fini della determinazione complessiva dell’indennità, che nella liquidazione originaria non era satisfattiva per la ragione sopra ricordata.
Va soggiunto che il ricorrente all’indomani del ricevimento del primo atto di liquidazione dell’indennità di fine rapporto ha contestato l’errore insito nel non aver tenuto conto dei 6 scatti periodici dello stipendio: la tempestività di tale contestazione avrebbe consentito all’Istituto previdenziale di corrispondere tutto il dovuto entro il termine massimo previsto dal legislatore, e quindi il ritardato pagamento in definitiva deve addebitarsi unicamente alla scelta consapevole dell’INPS di contestare tale modalità di calcolo dell’indennità, rivelatasi successivamente corretta.
Non ricorrono, conclusivamente, ragioni logiche e giuridiche per affermare che l’INPS non era/è tenuto a corrispondere gli interessi sulla somma liquidata con nota del 22 marzo 2014.
Quanto alla rivalutazione monetaria, che pure sarebbe dovuta in applicazione dell’art. 429 comma 3 c.p.c. ed in considerazione della ascrivibilità della indennità in questione alla categoria dei “crediti di lavoro”, venendo in considerazione un credito venuto ad esistenza dopo il 31 dicembre 1994, va escluso che essa possa cumularsi con gli interessi.
Come chiarito anche nella pronuncia della Adunanza Plenaria n. 3/98, l’art. 22 comma 36 della L. n. 724/1994, ha esteso “ anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza” la previsione di cui all’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, secondo il quale "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. L'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito", di guisa che relativamente ai crediti riferiti alle indicate causali, sorti in epoca successiva al 31 dicembre 1994, deve ritenersi definitivamente superata la regola del cumulo tra gli interessi e la rivalutazione, con calcolo dei primi sulla somma rivalutata.
In attuazione dell’art. 22 comma 36 della L. 724/94 è stato successivamente adottato il D.M. 1 settembre 1998, n. 352, il quale ha definito le modalità di calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dovuti sui crediti di lavoro spettanti a dipendenti pubblici: all’art. 3 il ricordato Decreto afferma che “1. Gli interessi legali o la rivalutazione monetaria decorrono dalla data di maturazione del credito principale, ovvero dalla scadenza del termine previsto ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l'adozione del relativo provvedimento e sono dovuti fino alla data di emissione del titolo di pagamento, da comunicare all'interessato nel termine di trenta giorni. 2. Gli interessi legali o la rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali. È escluso l'anatocismo. 3. Sulle somme da liquidare a titolo di interesse legale o rivalutazione monetaria è applicata la ritenuta fiscale ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314”
Nel caso in esame, dunque, gli interessi e la rivalutazione dovranno essere calcolati separatamente a far tempo dalla scadenza del 90° giorno entro il quale avrebbe dovuto avvenire la liquidazione della indennità di fine servizio, ma al ricorrente dovrà essere corrisposta (soltanto) “la maggior somma tral'ammontare degli interessi e quello della rivalutazione monetaria, non essendo a ciò di ostacolo la sentenza n. 459 del 2000 della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, dell'art. 22, comma 36, cit., limitatamente alle parole "e privati". (Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 4366 del 23/02/2009; C.d.S., Sez. IV. Sent. n. 6561/2010). Detti accessori, inoltre, dovranno essere calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali.
Il ricorso va conclusivamente accolto nei sensi di cui in motivazione.
Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della domanda, si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto accerta il diritto del ricorrente a vedersi riconoscere la maggior somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria calcolati separatamente sull’indennità liquidata con nota dell’INPS con atto n. 6884 del 22.4.2014, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali.
Condanna l’INPS al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio, che si liquidano in Euro 1.000,00 (euro mille) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberta Ravasio Domenico Giordano
IL SEGRETARIO
1) - Il TAR Piemonte si pronuncia nel 2017 sul ricorso proposto dal Prefetto cessato dal servizio, per raggiunti limiti di età, quindi, collocato in pensione a far data dal 1 novembre 2010, per ottenere gli interessi legali e la maggior somma derivante dalla svalutazione monetaria sull'indennità di fine servizio erogata dall'INPS con atto in data 22.4.2014, n. 6884;
nonchè
2) - per la condanna dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale al pagamento in favore del ricorrente della somma come sopra determinata a sua volta integrata con gli interessi e la rivalutazione fino al saldo
3) - L'INPS non teneva conto di sei scatti stipendiali che avrebbero invece dovuto essere considerati sia ai fini della erogazione del trattamento pensionistico, sia al fine della erogazione della indennità di fine servizio.
4) - La suddetta contestazione è stata accolta solo con atto dell’INPS del 22 aprile 2014, adottato dopo il parere n. 3826 dell’11 settembre 2013 del Consiglio di Stato.
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SENTENZA sede di TORINO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201701232 ,
Pubblicato il 17/11/2017
N. 01232/2017 REG. PROV. COLL.
N. 00210/2016 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 210 del 2016, proposto da:
Bruno Vittorio D'Alfonso, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso il di lui studio in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
contro
Inps - Gestione Dipendenti Pubblici, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Ruta, Patrizia Sanguineti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giorgio Ruta in Torino, via dell'Arcivescovado, 9;
per :
l'accertamento del diritto del ricorrente, già Prefetto della Repubblica collocato in pensione a far data dal 1 novembre 2010, di ottenere gli interessi legali e la maggior somma derivante dalla svalutazione monetaria sull'indennità di fine servizio erogata dall'INPS con atto in data 22.4.2014, n. 6884;
nonchè per la condanna dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale al pagamento in favore del ricorrente della somma come sopra determinata a sua volta integrata con gli interessi e la rivalutazione fino al saldo
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps - Gestione Dipendenti Pubblici;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2017 la dott.ssa Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente è stato Prefetto della Repubblica ed è cessato dal servizio, per raggiunti limiti di età, al 1° novembre 2010.
Il 10 dicembre 2010 egli ha ricevuto la liquidazione del trattamento di fine servizio, che però il dott. Bruno ha contestato immediatamente (ossìa con missiva del 18 gennaio 2011) in quanto non teneva conto di sei scatti stipendiali che avrebbero invece dovuto essere considerati sia ai fini della erogazione del trattamento pensionistico, sia al fine della erogazione della indennità di fine servizio.
La suddetta contestazione è stata accolta solo con atto dell’INPS del 22 aprile 2014, adottato dopo il parere n. 3826 dell’11 settembre 2013 del Consiglio di Stato: questo, infatti, richiesto di dirimere un contrasto interpretativo insorto tra l’INPS, gestione ex INPDAP, ed il Ministero dell’Interno, si è espresso nel senso di ritenere il beneficio previsto dall’art. 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, consistente in 6 aumenti periodici di stipendio in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante ed in luogo della soppressa promozione alla vigilia, applicabile sia ai fini della liquidazione della pensione sia ai fini del calcolo dell’indennità di buona uscita da corrispondere ai prefetti all’atto del congedo, e ciò anche dopo la riforma della carriera prefettizia attuata con il D. L.vo 139/2000 e dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 316/2001, che ha recepito il primo accordo per il personale della carriera prefettizia.
Con missiva del 22 maggio 2014 il ricorrente ha chiesto che su tale somma gli fossero riconosciuti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, dal giorno della fine servizio a quello della effettiva erogazione: tale richiesta è tuttavia stata respinta dall’INPS sul rilievo che solo il 29 marzo 2014 il Ministero dell’Interno, richiamando il ricordato parere del Consiglio di Stato, ha trasmesso all’INPS un nuovo progetto di liquidazione dell’indennità di buonuscita, comprendente anche i 6 scatti stipendiali periodici, e pertanto solo da tale data il credito del dott. Bruno sarebbe divenuto certo ed esigibile.
Il ricorso è stato chiamato per la discussione del merito alla pubblica udienza del 27 settembre 2017, allorché, previo scambio di memorie, è stato introitato a decisione.
La tesi della Amministrazione resistente, per quanto suggestiva, non convince il Collegio.
Sostiene la difesa dell’INPS che la certezza della debenza sarebbe stata acquisita dall’Istituto previdenziale solo a seguito della nota 29 marzo 2014 del Ministero dell’Interno: solo da tale momento, pertanto, decorrerebbe il termine di 90 giorni entro il quale, ai sensi dell’art. 3 comma 2 del D.L. 79/1997, nella versione vigente all’epoca dei fatti, l’importo avrebbe dovuto essere liquidato a favore del ricorrente.
In disparte la considerazione che la norma da ultimo citata, né altra tra quelle che vengono in considerazione nel caso di specie, non subordina il diritto del lavoratore a percepire il trattamento di che trattasi alla condizione che il credito sia “certo”, si deve dire che la nozione di “certezza del credito” allude alla venuta ad esistenza dei requisiti costitutivi di esso, e deve essere tenuta distinta dalla nozione di “liquidità del credito”, che allude invece all’essere il credito quantificato o quantificabile per essere disponibili tutti gli elementi che occorrono alla esatta determinazione.
Con riferimento ad un credito ascrivibile alla indennità di fine rapporto o fine servizio, essendo l’esistenza di un tale credito collegata alla pregressa esistenza di un rapporto di lavoro o di servizio nonché alla successiva risoluzione di esso, perché si possa affermare che un tale credito è “certo” è sufficiente che si abbia la prova, e non vi sia contestazione, in ordine alla sussistenza di tali fatti giuridici, mentre qualsiasi altro elemento, di fatto o diritto, caratterizzante il rapporto di lavoro o di servizio (durata, livello stipendiale, etc. etc.) non può che esplicare efficacia sulla mera quantificazione di detto credito, ossìa sulla liquidazione di esso: eventuali contestazioni che abbiano ad oggetto elementi influenti sulla mera quantificazione del credito non fanno dunque venir meno la “certezza” del credito relativo al trattamento di fine rapporto o servizio, che in base alle norme citate dall’Istituto previdenziale deve essere senz’altro liquidato, evidentemente in misura corretta e satisfattiva, nel termine massimo previsto dalla legge (termine che l’art. 3 comma 2 del D.L. 79/1997, nella versione vigente all’epoca dei fatti, era di 105 giorni dalla cessazione del servizio dovuta a raggiungimento dei limiti di età), oltre il quale sono dovuti anche gli interessi, senza previsione di causa giustificativa alcuna che esoneri l’ente previdenziale dall’obbligo di corrisponderli, in particolare in dipendenza da incertezze determinate da difficoltà interpretative della legge.
Tanto basta per respingere le argomentazioni sulla base delle quali l’Istituto previdenziale ha tentato di sostenere che la somma di cui alla nota del 22 aprile 2014 sarebbe stata liquidata “tempestivamente”, e che pertanto sulla medesima non sono dovuti interessi né rivalutazione monetaria: il diritto del ricorrente a percepire l’indennizzo di fine servizio, infatti, non è mai stato contestato in sé, e la questione interpretativa sottoposta al Consiglio di Stato aveva rilevanza solo ai fini della determinazione complessiva dell’indennità, che nella liquidazione originaria non era satisfattiva per la ragione sopra ricordata.
Va soggiunto che il ricorrente all’indomani del ricevimento del primo atto di liquidazione dell’indennità di fine rapporto ha contestato l’errore insito nel non aver tenuto conto dei 6 scatti periodici dello stipendio: la tempestività di tale contestazione avrebbe consentito all’Istituto previdenziale di corrispondere tutto il dovuto entro il termine massimo previsto dal legislatore, e quindi il ritardato pagamento in definitiva deve addebitarsi unicamente alla scelta consapevole dell’INPS di contestare tale modalità di calcolo dell’indennità, rivelatasi successivamente corretta.
Non ricorrono, conclusivamente, ragioni logiche e giuridiche per affermare che l’INPS non era/è tenuto a corrispondere gli interessi sulla somma liquidata con nota del 22 marzo 2014.
Quanto alla rivalutazione monetaria, che pure sarebbe dovuta in applicazione dell’art. 429 comma 3 c.p.c. ed in considerazione della ascrivibilità della indennità in questione alla categoria dei “crediti di lavoro”, venendo in considerazione un credito venuto ad esistenza dopo il 31 dicembre 1994, va escluso che essa possa cumularsi con gli interessi.
Come chiarito anche nella pronuncia della Adunanza Plenaria n. 3/98, l’art. 22 comma 36 della L. n. 724/1994, ha esteso “ anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza” la previsione di cui all’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, secondo il quale "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. L'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito", di guisa che relativamente ai crediti riferiti alle indicate causali, sorti in epoca successiva al 31 dicembre 1994, deve ritenersi definitivamente superata la regola del cumulo tra gli interessi e la rivalutazione, con calcolo dei primi sulla somma rivalutata.
In attuazione dell’art. 22 comma 36 della L. 724/94 è stato successivamente adottato il D.M. 1 settembre 1998, n. 352, il quale ha definito le modalità di calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dovuti sui crediti di lavoro spettanti a dipendenti pubblici: all’art. 3 il ricordato Decreto afferma che “1. Gli interessi legali o la rivalutazione monetaria decorrono dalla data di maturazione del credito principale, ovvero dalla scadenza del termine previsto ai sensi dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l'adozione del relativo provvedimento e sono dovuti fino alla data di emissione del titolo di pagamento, da comunicare all'interessato nel termine di trenta giorni. 2. Gli interessi legali o la rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali. È escluso l'anatocismo. 3. Sulle somme da liquidare a titolo di interesse legale o rivalutazione monetaria è applicata la ritenuta fiscale ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314”
Nel caso in esame, dunque, gli interessi e la rivalutazione dovranno essere calcolati separatamente a far tempo dalla scadenza del 90° giorno entro il quale avrebbe dovuto avvenire la liquidazione della indennità di fine servizio, ma al ricorrente dovrà essere corrisposta (soltanto) “la maggior somma tral'ammontare degli interessi e quello della rivalutazione monetaria, non essendo a ciò di ostacolo la sentenza n. 459 del 2000 della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, dell'art. 22, comma 36, cit., limitatamente alle parole "e privati". (Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 4366 del 23/02/2009; C.d.S., Sez. IV. Sent. n. 6561/2010). Detti accessori, inoltre, dovranno essere calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali.
Il ricorso va conclusivamente accolto nei sensi di cui in motivazione.
Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della domanda, si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto accerta il diritto del ricorrente a vedersi riconoscere la maggior somma tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria calcolati separatamente sull’indennità liquidata con nota dell’INPS con atto n. 6884 del 22.4.2014, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali.
Condanna l’INPS al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio, che si liquidano in Euro 1.000,00 (euro mille) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberta Ravasio Domenico Giordano
IL SEGRETARIO