Ricordo che oltre al Veneto, c'è anche l'Abruzzo che respinge, un Giudice in Lombardia e anche mi sembra Bolzano
REPUBBLICA ITALIANA Sent. 140/2019
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE VENETO
in composizione monocratica nella persona del Consigliere Marta Tonolo, in funzione di Giudice Unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30925 del registro di segreteria promosso dal sig. M. M. Omissis rappresentato e difeso, come da procura in calce al presente ricorso, dall’Avv. Paolo Celli (C.F. CLLPLA64A25H501Q), pec
paolocelli@ordineavvocatiroma.org) ed elettivamente domiciliato presso il di lui studio sito in Roma alla Via Luigi Rizzo n. 72
CONTRO
- Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede territoriale in Padova (PD) alla via Dario Delù n.3;
- Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede nazionale in Roma alla Via Ciro il Grande n. 21;
VISTO il ricorso depositato presso la segreteria di questa Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti il 7 giugno 2019;
ESAMINATI tutti gli atti e documenti di causa;
CHIAMATO il giudizio alla pubblica udienza del giorno 20 settembre 2019 con
2
l’assistenza della segretaria sig.ra Doriana Tornielli, sono presenti l’avv. Karandei Rossi, su delega dell’avv. Paolo Celli, per il ricorrente e l’avv. Aldo Tagliente per l’INPS;
FATTO
1.Con il gravame in epigrafe, il ricorrente – Primo Maresciallo dell’Esercito Italiano fino alla data del 31.7.2018 - intende far valere il proprio diritto al ricalcolo e alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento, con applicazione, alla parte retributiva della pensione, dell’aliquota di rendimento del 44% ai fini del calcolo della base pensionabile secondo il disposto dell’art. 54, comma 1, del TU n. 1092 del 1973.
In particolare, fa presente che il proprio trattamento di quiescenza è stato liquidato con il cd. sistema misto in applicazione dell’art. 1 della L. 335/1995 e che la quota della sua pensione da calcolarsi con il sistema retributivo è stata determinata applicando l’aliquota del 35% di cui all’art. 44 del D.P.R. 1092/1973 (“Personale civile”), anziché l’aliquota maggiorata del 44% di cui all’art. 54 del D.P.R. 1092/1973 (“personale militare”). Al riguardo, rileva che dal tenore letterale della norma si evince chiaramente come “ il 44 per cento della base pensionabile spetti al militare che ha compiuto almeno 15 anni di servizio, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile (cfr. Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Calabria, sentenza n. 12/2017 e sentenza n. 157/2018, Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Sardegna, sentenza n. 2/2018, Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Liguria, sentenza n, 224/2018, Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Puglia, sentenza n. 446/2018 e sentenza n. 468/2018)”.
3
Fa presente che la giurisprudenza è favorevole nell’applicare il coefficiente di rendimento del 44 per cento ai militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione in parola, la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità superiore (seguito da Sez. Sardegna n. 87/2017 e Sez. Piemonte n. 3/2018).
Conclude per l’accoglimento del ricorso con conseguente condanna dell’INPS al pagamento degli arretrati su cui vanno altresì applicati gli interessi anatocistici, ai sensi dell’art. 1283 cod. civ. (cfr. Sez. II Appello, n. 888/2017) oltre alla rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 167, comma 3 c.g.c., da calcolarsi, secondo quanto specificato dalle SS.RR. (n. 10/2002/QM), quale parziale possibile integrazione degli interessi al saggio legale, ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi;
2. Con memoria datata 3 settembre 2019, si è costituito in giudizio l’INPS il quale rileva, innanzitutto, come parte ricorrente chieda di estendere una disposizione, testualmente destinata a chi va in pensione con un’anzianità complessivamente pari a quella indicata dall’art. 54 d.p.r. 1092/73 (tra i 15 e i 20 anni), a coloro che vi accedono con un’anzianità complessivamente maggiore, frammentando l’anzianità contributiva complessiva, aumentando artificiosamente il peso della quota retributiva (anteriore al 31.12.1995) ed utilizzando in tal modo l’art. 54 cit. come parametro per la determinazione della successione dei regimi previdenziali nel tempo.
L’Istituto contesta, quindi, la fondatezza delle argomentazioni attoree rilevando come la norma in esame riguardi i soli militari che, all’atto del congedo, abbiano
4
maturato un’anzianità di servizio utile a pensione tra i 15 e i 20 anni. La disposizione, a parere dell’Istituto previdenziale, troverebbe la propria ratio nella volontà del legislatore di assicurare un trattamento pensionistico minimo ai militari cessati dal servizio con un’anzianità limitata e non potrebbe, quindi, trovare applicazione nei confronti del militare posto in quiescenza con un’anzianità ben superiore in quanto ciò altererebbe il rapporto tra quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al regime c.d. misto creando, altresì, situazioni di ingiustificabile disparità di trattamento tra gli stessi militari.
Osserva, inoltre, che la norma in questione non è stata confermata dalla riforma di cui al d.lgs. 165/1997 che applica al personale militare il principio di cui alla legge n. 335/1995, né è stata richiamata al fine di disciplinare la successione nel tempo dei diversi regimi pensionistici.
Conclude per il rigetto del ricorso richiamandosi alle argomentazioni di cui alle sentenze di questa Sezione giurisdizionale nn. 47/2019 e 71/2019.
3. All'odierna udienza, il difensore del ricorrente ha argomentato come da atti scritti e ha depositato la sentenza n. 422 del 2018 della Prima Sezione Centrale d’Appello nonché la decisione della Sez. Giurisdizionale Lazio n. 201/2019. L’avvocato dell’Istituto previdenziale ha insistito per la reiezione del gravame.
Il Giudice Unico, previa camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo della presente decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso dev’ essere respinto.
2. In via preliminare, questo Giudice prende atto del contrasto giurisprudenziale che si è formato sulla questione sottoposta al proprio esame - concernente
5
l’applicazione dell’art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973 - nonché delle argomentazioni esposte, anche dal Giudice d’appello di questa Corte, con le sentenze (Sez. I Centr. Appello sentenza n. 422/2018, Sez. Giurisd. Calabria n. 39/2019, Sez. II Giurisd. App. n. 61/2019) richiamate dalla difesa del ricorrente.
Tuttavia, non reputa di aderire all’impianto motivazionale che ha indotto le diverse Sezioni di questa Corte ad accogliere i ricorsi dei militari afferenti la medesima questione di cui è causa, ritenendo, viceversa, di condividere la lineare ricostruzione normativa e le argomentazioni delineate con le sentenze di questa Sezione giurisdizionale nn. 42, 43, 54, 55 del 2019 nonché con la recentissima decisione della Sezione Giurisdizionale per l’Abruzzo n. 76 del 2019 alla quale si riporta integralmente.
Le richiamate pronunce affrontano, infatti, tutte le tesi poste a sostegno dell’accoglimento dei gravami proposti, innanzi al Giudice contabile, dai militari tratteggiando, preliminarmente e compiutamente, l’evolversi della normativa pensionistica di cui va tenuto conto nella risoluzione delle sollevate questioni interpretative.
E’ stato evidenziato, innanzitutto, come il contesto normativo [D.P.R. n. 1092/1973 - Capo II: Personale militare. Art. 52 (diritto al trattamento normale), Art. 53 (Base pensionabile); Art. 54 (misura del trattamento nomale)] e il tenore letterale della norma di cui si chiede l’applicazione (“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”) consentano di affermare che, con l’art. 54 del D.P.R. cit., il legislatore abbia inteso attribuire – nella vigenza di un sistema pensionistico “retributivo puro” (art. 53 - ultima retribuzione percepita) - un trattamento di
6
favore nei confronti di una limitata categoria di militari (ove certamente non rientra l’odierno ricorrente) e cioè a favore di coloro che cessavano dal servizio avendo maturato il minimo pensionabile (15 anni) senza poter contare su vent’anni di servizio utile, salvo prevedere un aumento percentuale di 1,80 per ogni anno di servizio utile in più oltre al ventesimo.
In tal senso, è stato, già, correttamente rilevato che “la previsione del secondo comma dell’art. 54, riferita ai militari con un’anzianità di servizio superiore ai vent’anni, in verità non presuppone il trattamento più favorevole dettato dal primo comma dell’art. 54, ma l’applicazione del trattamento ordinario previsto all’art. 44 e applicato dall’Inps all’odierno ricorrente. Secondo tale disposizione, infatti al dipendente che venga posto in quiescenza con 15 anni di servizio, spetta una pensione calcolata nella misura del 35% della base pensionabile e per gli anni successivi si applica l’aliquota annua dell’1,80% sino al raggiungimento del massimo dell’80%. A ben vedere, dunque al dipendente, civile o militare che sia, che ha raggiunto l’anzianità di servizio utile di vent’anni, spetta una pensione calcolata nella misura del 44% della base pensionabile (35%+ 1,80%x 5= 44); per gli anni successivi l’aliquota è in ogni caso pari all’1,80% con il tetto massimo dell’80%. Ciò conferma che il primo comma dell’art. 54 costituisce disposizione di favore per coloro che siano costretti a cessare dal servizio con un’anzianità compresa tra i 15 e i vent’anni mentre il secondo comma si limita a ribadire che, per coloro che maturano un’anzianità di servizio maggiore, continuano a valere le aliquote previste dall’art. 44. Deve, infine, considerarsi che è principio generale che il trattamento di quiescenza si determina con riferimento alla situazione e alle norme vigenti al momento della cessazione dal servizio (Sezione Terza Centrale, sent. n. 273/2018) ed è incontestato che ricorrente è stato posto in quiescenza,
7
nella vigenza della legge n. 335/1995” (Sez. Giurisd. Emilia-Romagna sent. n. 197/2018).
Di conseguenza, “con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il conseguimento del diritto a pensione a vent’anni ad opera del decreto legislativo n. 503 del 1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso utilità essendone venuta meno la ratio” (Sez. Giurisd. Veneto sent. n. 43/2019 cit.).
Il richiamato decreto legislativo n. 503, infatti, nel prevedere all’art. 2, I comma, che: “ Nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti”, ha posto nel nulla la previsione dell’art. 54 cit. innalzando il diritto a pensione a vent’anni ed estendendo, di fatto, l’aliquota del 44% a tutti i dipendenti, civili e militari.
Quanto alle modalità di computo della pensione di cui è causa (cessazione al 2018), dunque, trova applicazione, per il periodo precedente al 31.12.1995, il sistema retributivo risultante dalla riforma del 1992 secondo cui “il diritto alla pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al D.Lgs n. 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi) e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44% tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al 31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle ultime retribuzioni, ed in cui anzianità
8
inferiori dovevano essere valorizzate con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni anno di servizio utile. Il sistema retributivo vigente non era, quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari)” (Sez. Giurisd. Veneto sent. n. 43/2019).
Meritano, inoltre, piena condivisione, le osservazioni svolte, nelle richiamate pronunce di questa Sezione, circa l’interpretazione dell’art. 1867 C.O.M. (“1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione è determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”) il quale fa riferimento alla disposizione di cui all’art. 54, comma 1, cit. soltanto per fissare un limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (a decorrere dall’1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94.
In un contesto normativo teso ad armonizzare i regimi pensionistici come
9
espressamente previsto dall’art. 1839 del C.O.M., ( “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilità, é corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”) non è dato ritenere ancora applicabile una normativa che aveva una sua precisa ratio nella vigenza di un diverso sistema pensionistico e che a tutt’oggi non risulta applicabile essendo stata confermata la soglia minima per il diritto a pensione in 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 è collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di età, se in possesso dell'anzianità contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.” - art. 1840, II comma, C.O.M.).
Conclusivamente, per le motivazioni esposte, questo Giudice ritiene che la domanda attorea non meriti accoglimento.
3. Le spese processuali, visti i contrasti giurisprudenziali in materia, possono essere integralmente compensate ai sensi dell’art. 31, comma 3, D.Lgs n. 174/2016.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica quale Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.
Compensa le spese processuali ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c..
Così deciso, in Venezia, alla pubblica udienza del giorno 20 settembre 2019.
IL GIUDICE UNICO
F.to Cons. Marta TONOLO
10
Depositata in Segreteria il 23/09/2019
IL FUNZIONARIO PREPOSTO
F.to Stefano Mizgur