Quando il diritto diventa anarchia e autarchia. Rimosso dal grado dopo essere stato precauzionalmente sospeso, si è fatto riformare, aveva la pensione provvisoria, il ministero giustamente gliela revoca, i Giudici gli danno ragione. La 2^ sez. centrale crea un contrasto cn la 1, la 3 e l'appello Sicilia, ma non rimette alle SS.RR.. Ora tutti gli ex colleghi citati n questa sentenza passati dalla 1,3 e Sicilia, si sono visti togliere la pensione, questo passato dalla 2 mantiene la pensione. Ditemi voi se qui non doveva andarsi alle SS.RR..
SENT. 47/2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai magistrati:
Dott. Andrea LUPI Presidente
Dott. Domenico GUZZI Consigliere
Dott. Roberto RIZZI Consigliere relatore
Dott.ssa Maria Cristina RAZZANO Consigliere
Dott.ssa Erika GUERRI I Referendario
pronuncia la seguente
SENTENZA
sull’appello, in materia di pensioni, iscritto al n. 55341 del registro di
segreteria
avverso
la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana n.
424/2019, depositata il 29/10/2019 e notificata in data 13/11/2019
proposto da:
MINISTERO DELLA DIFESA - Ministero della Difesa Direzione
generale della previdenza militare e della leva, con sede in Roma, Via
dell’Esercito n.186 in persona del dirigente pro tempore
nei confronti di
OMISSIS, nato il OMISSIS a OMISSIS, rappresentato e difeso dagli
Avv.ti Ezio Maria Zuppardi e Biagio Romano, elettivamente
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domiciliato in Roma, alla Via Sistina n. 121 presso l’Avv. Giovanna
Corrias Lucente (Studio Legale Abbamonte) nonché presso gli indirizzi
PEC
eziomariazuppardi@avvocatinapoli.legalmail.it e
biagioromano@avvocatinapoli.legalmail.it.
VISTO l’atto di appello.
VISTI tutti gli altri atti e documenti di causa.
UDITI, nell’udienza del 28 gennaio 2021, il relatore Cons. Roberto Rizzi, la
Dott.ssa Maia Luisa Margherita Guttuso, in rappresentanza del Ministero della
Difesa, e l’Avv. Biagio Romano, in rappresentanza dell’appellato.
FATTO
Con sentenza n. 424/2019, depositata il 29/10/2019 e notificata il 13/11/2019,
la Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana accoglieva il ricorso
promosso da OMISSIS, sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri in congedo per
infermità dal 16/6/2008, riconoscendogli il diritto a fruire del trattamento
pensionistico che era stato revocato in conseguenza dell’irrogazione della
sanzione disciplinare della perdita del grado per avere, nel periodo compreso
tra il 30 settembre 1994 e il 25 giugno 2002, in qualità di Pubblico Ufficiale
nell'esercizio delle sue funzioni, in servizio presso le Stazioni Carabinieri di
Vico Equense (NA), Pomigliano d'Arco (NA) e Follonica (GR), con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con il Procuratore
Capo ed il Dirigente della Segreteria della Procura della Repubblica di Torre
Annunziata, formato falsi mandati di pagamenti per anticipi di spese per
missioni fuori sede per lo svolgimento di attività di indagine delegate dalla
citata Procura della Repubblica.
Più in dettaglio, nell’agosto 2003, nei confronti dell’allora Luogotenente
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OMISSIS
veniva disposta, a decorrere dal 26 luglio 2003, la "sospensione
precauzionale dall’impiego" ai sensi dell'articolo 20, comma 2, della l. 31
luglio1954, n. 599, fino a tutta la durata della misura cautelare interdittiva
disposta con ordinanza del OMISSIS. Con tale provvedimento il GIP del
Tribunale di OMISSIS, fra l’altro, aveva disposto la «sospensione dell'ufficio
di Pubblico Ufficiale derivante dalla sua appartenenza all'Arma dei
Carabinieri», interdicendo al medesimo tutte le attività ad esso inerenti.
Con decreto n. OMISSIS del OMISSIS il Lgt. OMISSIS cessava dal servizio
permanente per infermità e veniva collocato in congedo assoluto a decorrere
dal 16/6/2008, iniziando a percepire la pensione “normale ordinaria”
provvisoria.
Con sentenza del OMISSIS, il Tribunale di OMISSIS, fra l’altro, condannava
il Sottufficiale alla pena di anni 4 di reclusione, per i reati di “concorso in
falsità materiale commessa dal Pubblico Ufficiale in atti pubblici continuata”,
“falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale, continuata e aggravata" e
"peculato continuato". Inoltre, dichiarava nei suoi confronti l'interdizione
temporanea dai Pubblici uffici, applicando la pena accessoria dell'estinzione
del rapporto di lavoro.
Con decreto n. OMISSIS del OMISSIS, il Comando Generale dell’Arma dei
Carabinieri - C.N.A attribuiva al pensionato la pensione definitiva.
Nel provvedimento veniva specificato che «Si potrà dare corso al recupero
dei ratei corrisposti in esecuzione del presente provvedimento, limitatamente
agli effetti dovuti alla eventuale intervenuta prescrizione, qualora, alla data
della cessazione dal servizio siano mutate la posizione dello stato giuridico in
ragione di eventuale determinazione di diverse cause della cessazione
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medesima».
Con sentenza n OMISSIS del OMISSIS, la Corte di Appello di OMISSIS, in
riforma del giudizio di primo grado, dichiarava di non doversi procedere, nei
confronti del militare, poiché i reati ascrittigli si erano estinti per prescrizione.
Il processo penale veniva esitato con la sentenza n. OMISSIS del OMISSIS
della Corte di cassazione, con la quale veniva dichiarata l’inammissibilità del
ricorso proposto dal OMISSIS.
Dopo la conclusione del processo penale, in data OMISSIS, il Ministero della
difesa avviava il procedimento disciplinare per i medesimi fatti, pervenendo
all’irrogazione, con decreto OMISSIS del OMISSIS, della massima sanzione
disciplinare di stato, ossia della “perdita del grado per rimozione per motivi
disciplinari”.
Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri - C.N.A., con decreto n.
OMISSIS del OMISSIS, annullava il decreto n. OMISSIS in data OMISSIS.
A tale determinazione giungeva rilevando che poiché, per effetto del disposto
dell’art. 923, comma 5, del d.lgs. n. 66/2010, la cessazione dal servizio era da
considerare avvenuta a causa della sanzione di stato e non più per infermità,
al fine del riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico assumevano
rilievo i requisiti minimi contributivi e anagrafici di cui all’art. 59, comma 6,
della legge 449/1997 nonché all’art. 6 del d.lgs. 165/1997, previsti per la
pensione di anzianità (aver maturato la massima anzianità contributiva per
l'ordinamento di appartenenza e un’età anagrafica non inferiore ai 53 anni,
ovvero, aver maturato il requisito contributivo di anni 40 di servizio utile):
poiché il servizio utile maturato dall'interessato alla data di cessazione (16
giugno 2008) era pari ad anni 34, mesi 11 e giorni 15, il medesimo risultava
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non aver ancora maturato il diritto a pensione.
Conseguentemente, in data 10/9/2018, l’amministrazione avviava il
procedimento per il recupero dell’importo ritenuto indebitamente percepito a
titolo di pensione, pari ad € 18.722,56.
Il primo giudice, chiarito che gli effetti retroattivi annessi alla sanzione della
perdita del grado (previsti dall’art. 37 della l. n. 599 del 1954 e
sostanzialmente ribaditi dall’art. 867, comma 5, del cod militare) dovevano
ritenersi condizionati alla pendenza, all’atto della cessazione dal servizio, di
un procedimento penale o disciplinare esitato con quella statuizione, rilevava
che, all’epoca della cessazione dal servizio, era pendente solo il procedimento
penale che, tuttavia sia era concluso con una sentenza dichiarativa di
prescrizione. La condanna alla perdita del grado era, infatti, conseguenza del
procedimento disciplinare avviato quando il OMISSIS era già stato posto in
quiescenza.
Per tale ragione, veniva esclusa l’applicabilità alla vicenda esaminata della
richiamata normativa (in specie, art. 37 l. n. 599/1954 ed art. 867, comma 5,
D.Lgs. 66/2010), con consequenziale accoglimento del ricorso e dichiarazione
di definitività del provvedimento con il quale il ricorrente era stato collocato
in congedo assoluto per infermità il 16 giugno 2008 e dichiarazione di
insussistenza del titolo fondante il recupero del credito previdenziale vantato
dall’INPS.
Avverso la suddetta sentenza il Ministero della difesa interponeva appello
dolendosi della «Violazione e falsa applicazione degli artt. 37 Legge
599/1954; articolo 923, comma 5, C.O.M.; articolo 59 Legge n. 449/1997 e
D.Lgs. n. 165/1997».
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Secondo l’appellante, in conseguenza della novazione del titolo della
cessazione, da riforma per “inabilità assoluta” a “perdita del grado per
sanzione”, per accedere alla pensione, l’ex militare non avrebbe potuto
vantare il requisito dei 20 anni di servizio effettivo (previsto dall’art. 52 del
d.P.R. 1092/1973) ma avrebbe dovuto possedere i più stringenti requisiti
previsti dall’art. 59 della l. n. 449/1997 e art. 6 del d.lgs. n. 165/1997, che
richiama l’art. 1, comma 24 e 25, della l. 335/1995 («40 anni contributivi,
oppure di 35 anni maturati e contestualmente 57 anni anagrafici già compiuti,
ovvero di 53 anni anagrafici ed il raggiungimento della massima anzianità
contributiva corrispondente all’aliquota dell'80% ai sensi dell'art. 59, comma
6, della legge 27.12.1997, n. 449 e dell'art. 6, comma 1. del D. Lgs.I65/1997,
ovvero, i requisiti previsti dal successivo comma 2 art. 6 del citato d.lgs.
165/97»).
Poiché tali più rigorosi requisiti non erano posseduti dal OMISSIS, quanto
erogato a titolo di pensione era da ritenere non dovuto.
Evidenziava inoltre, che i precedenti giurisprudenziali favorevoli alle ragioni
dell’appellato trascuravano di considerare la c.d. “pregiudiziale penale”, in
base alla quale «Qualora per il fatto addebitabile all'impiegato sia stata
iniziata azione penale, il procedimento disciplinare non può essere promosso
fino al termine di quello penale, e se già iniziato, deve essere sospeso» (art.117
del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, applicabile ratione temporis alla vicenda,
ma sostanzialmente sovrapponibile al disposto dell’art. 1393 cod mil. entrato
in vigore nelle more).
All'epoca della cessazione per inidoneità al servizio militare incondizionato a
decorrere dal OMISSIS, il OMISSIS era sottoposto a procedimento penale,
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tant’è che venne disposta la sospensione precauzionale obbligatoria
dall'impiego con decreto del OMISSIS.
Ancora, poneva in evidenza l’irrilevanza, nella vicenda in esame,
dell’attribuzione del trattamento definitivo di pensione.
Concludeva chiedendo:
- previa sospensione cautelare dell’esecutività, l’annullamento della
sentenza impugnata;
- la dichiarazione che al OMISSIS non è dovuto alcun trattamento
pensionistico ordinario, non avendo il medesimo maturato i requisiti
necessari;
- la condanna del OMISSIS alla rifusione, in favore
dell’Amministrazione della Difesa delle somme erogate a titolo di
quiescenza.
Con memoria di costituzione depositata in data OMISSIS, il OMISSIS,
preliminarmente, eccepiva l’inammissibilità dell’appello sotto due diversi
profili.
Per un verso, veniva denunciato un difetto di rappresentanza («(…)
inammissibilità dell’appello per violazione degli artt. 190, comma 2 e 3, e 158,
comma 2, del Codice di giustizia contabile e dell’art. 417 bis del Codice di
procedura civile»).
Secondo l’appellante, l’impugnazione avrebbe dovuto essere sottoscritta da
un avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori e non
da un dipendente del Ministero della Difesa E ciò sull’assunto, argomentato
valorizzando il rinvio contenuto nell’art. 417 bis c.p.c. all’art. 413 c.p.c, che
la facoltà di stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti
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sarebbe limitata alle «sole amministrazioni statali i cui rapporti d’impiego
sono stati oggetto di privatizzazione e, pertanto, soggetti alla giurisdizione del
giudice del lavoro».
In definitiva, poiché il OMISSIS «era dipendente del Ministero della Difesa
e titolare di un rapporto di lavoro rimasto soggetto ai regimi pubblicistici (…)
il Ministero della Difesa, nel caso di specie, non può essere ritenuto
amministrazione soggetta al regime di pubblico impiego privatizzato e,
pertanto, rientrare nel novero delle P.A. prese in considerazione dall’art. 413
CPC espressamente richiamato dall’art. 417 – bis come riferimento per le
amministrazioni alle quali è concesso di essere rappresentate in giudizio
attraverso propri dipendenti».
Per altro verso, l’appello era dedotta l’inammissibilità dell’appello, per
assenza di specificità dei motivi di gravame, ai sensi dell’art. 190, comma 2,
c.g.c.
Al riguardo rilevava che il Ministero appellante non aveva assunto alcuna
posizione rispetto alla motivazione esposta nella sentenza, al fine di
contestarne il fondamento logico giuridico.
Nel merito, contestava le ragioni di doglianza, sostenendo, in aderenza alla
tesi accolta nella decisione impugnata, che il mutamento retroattivo del titolo
della cessazione dal servizio poteva aver luogo solo ove la perdita del grado
per rimozione scaturisse da un procedimento, penale o disciplinare, pendente
al momento del collocamento in quiescenza.
Infine, riproponeva i motivi non delibati dal giudice di prime cure perché
implicitamente ritenuti assorbiti:
- violazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092/1973. eccesso di potere per
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carenza dei presupposti legali necessari per l’adozione del
provvedimento. Violazione del principio di divieto di reformatio in
peius del trattamento previdenziale. Violazione del principio di
legalità»;
- «Violazione dell’art. 206 del d.P.R. n. 1092/1973. Violazione dei
principi in materia di irripetibilità delle somme erroneamente
corrisposte al pensionato in buona fede. Violazione dei principi in
materia di legittimo affidamento».
Con ordinanza 10/2020 del 2/4/2020, questa Sezione rigettava l’istanza di
sospensione dell’esecuzione «tenuto conto della giurisprudenza formatasi in
materia (ex multis: Seconda Sezione Centrale d’appello 27 novembre 2018, n.
640)».
All’udienza del 28/1/2021, il rappresentante del Ministero della Difesa ed il
difensore della parte appellata ribadivano le rispettive conclusioni,
svolgendone i motivi. Il primo depositava copia della Delega
La causa veniva, quindi, posta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, deve essere valutata l’ammissibilità dell’appello,
contestata dalla parte appellata sotto due distinti profili.
1.1. In primo luogo, l’impugnazione sarebbe stata irritualmente proposta
siccome sottoscritta da un dirigente del Ministero della Difesa, anziché da un
avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.
La preclusione per il Ministero ad avvalersi di propri dirigenti o funzionari per
coltivare, innanzi alla Corte dei conti, il contenzioso in materia pensionistica
in grado di appello, deriverebbe, secondo la prospettazione del resistente, dal
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fatto che il rinvio contenuto nell’art. 158, comma 2, c.g.c., all’art. 417 bis
c.p.c., ingloberebbe - per effetto di una concatenazione di rinvii (l’art. 417 bis
che rinvia all’art. 413 che, a sua volta, rinvia all’art. 409 del medesimo codice
per la selezione delle controversie) – la delimitazione del perimetro entro cui
alle pubbliche amministrazioni è consentito di ricorrere a quella peculiare
modalità di difesa.
In altri termini, posto che innanzi al giudice del lavoro posso essere esaminate
solo controversie riguardanti rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato,
sfuggendo il rapporto di lavoro del OMISSIS in precedenza in essere da quel
regime (poiché devoluto dalla legge ad altro giudice), sarebbe precluso, nella
controversia pensionistica che in tale rapporto ha radici, che
l’amministrazione ex datore di lavoro possa avvalersi della facoltà di
esercitare le prerogative di difesa avvalendosi di personale intero sprovvisto
dell’abilitazione alla difesa innanzi alle magistrature superiori.
Tale soluzione interpretativa è basata su una macroscopica confusione di
piani: viene impropriamente importato in un plesso giudiziario (quello della
Corte dei conti) l’asseto calibrato per un diverso plesso (quello del G.O. in
funzione di giudice del lavoro).
Nei giudizi in materia pensionistica che si celebrano davanti alla Corte dei
conti, infatti, la facoltà di promuovere un contenzioso o resistere in un
contezioso da altri iniziato avvalendosi della modalità di difesa alternativa al
patrocinio tecnico - riservato ad avvocati abilitati alla difesa innanzi alle
magistrature superiori, fra cui procuratori ed avvocati dello Stato (cfr. Corte
cost. sent. n. 245 del 24/11/2017 e Cons. Stato sent. n. 769 del 11/2/2013) –
non è limitata ai casi in cui gli eventuali profili patologici del rapporto di
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lavoro nel quale sono maturati i requisiti per la pensione sarebbero stati di
competenza del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro e,
correlativamente, esclusa per vicende nelle quali quel rapporto di lavoro sia
devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63,
comma 4, del d.lgs. 165/2001.
Risulta totalmente irrilevante la distribuzione della giurisdizione sulle
controversie relative ai rapporti di lavoro.
Attraverso il richiamo all’art. 417 bis c.p.c., l’art. 158 c.g.c. ha solo
identificato una modalità di difesa delle pubbliche amministrazioni opzionale.
Sicché, nei giudizi pensionistici, in primo grado, l’amministrazione può farsi
rappresentare in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario
appositamente delegato; in grado di appello, di tale facoltà è previsto che
possano avvalersi «le amministrazioni statali e equiparate» (comma 2).
Alla luce di tali considerazioni, quindi, l’impugnazione è stata ritualmente
promossa attraverso un atto sottoscritto da un dirigente del Ministero della
difesa.
In secondo luogo, la parte appellata ha contestato l’ammissibilità
dell’iniziativa giudiziaria da quest’ultimo intrapresa, ritenendo incongrui i
contenuti critici del gravame.
L’atto di appello, infatti, non conterrebbe alcun riferimento alla statuizione
impugnata ed alle motivazioni che hanno condotto all’accoglimento del
ricorso proposto dal OMISSIS.
La doglianza è infondata.
L’art. 190 c.g.c. richiede che l’appello, a pena d’inammissibilità, debba
contenere «la specificazione delle ragioni in fatto e in diritto sulle quali si
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fonda il gravame con l’indicazione:
a) dei capi della decisione che si intende appellare e delle modifiche che
vengono richieste alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo
grado;
b) delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro
rilevanza ai fini della decisione impugnata».
Tali indispensabili contenuti sono indubbiamente presenti nella citazione con
la quale è stato dato avvio al giudizio di appello.
A fronte della illustrazione del percorso argomentativo seguito dal giudice per
motivare la non condivisa soluzione interpretativa, sono state argomentate le
ragioni di dissenso ed illustrate le conseguenti, auspicate modifiche.
In definitiva, nell’appello sono contenuti gli elementi per innescare un esame
critico delle argomentazioni svolte dal primo giudice e chiaramente fornita la
ricostruzione alternativa proposta degli accadimenti in fatto.
2. Nel merito, l’appello è infondato.
La sequenza temporale degli accadimenti è incontroversa:
- OMISSIS, sospensione precauzionale dall'impiego ai sensi
dell'articolo 20, comma 2, della l. 31 luglio1954, n. 599 in conseguenza
della misura cautelare interdittiva disposta nell’ambito del
procedimento penale avviato per i reati di “concorso in falsità
materiale commessa dal Pubblico Ufficiale in atti pubblici continuata”,
“falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale, continuata e
aggravata" e "peculato continuato";
- OMISSIS: cessazione dal servizio permanente per infermità e
conseguente collocamento in congedo assoluto con trattamento di
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pensione “normale ordinaria” provvisorio;
- OMISSIS pubblicazione della sentenza di condanna a quattro anni di
reclusione, recante anche la dichiarazione dell'interdizione temporanea
dai Pubblici uffici e l’applicazione della pena accessoria
dell'estinzione del rapporto di lavoro;
- OMISSIS decreto di attribuzione della pensione definitiva con la
specificazione che «Si potrà dare corso alt recupero dei ratei
corrisposti in esecuzione del presente provvedimento, limitatamente
agli effetti dovuti alla eventuale intervenuta prescrizione, qualora, alla
data della cessazione dal servizio siano mutate la posizione dello stato
giuridico in ragione di eventuale determinazione di diverse cause della
cessazione medesima»;
- OMISSIS pubblicazione della sentenza della Corte di Appello di
OMISSIS con la quale, in riforma del giudizio di primo grado, è stata
dichiarato di non doversi procedere, nei confronti dell’ex militare,
poiché i reati ascrittigli erano estinti per prescrizione;
- OMISSIS dichiarazione, da parte della Corte di cassazione,
dell’inammissibilità del ricorso e conseguente consolidamento della
riconosciuta prescrizione dei reati;
- OMISSIS, avvio, da parte del Ministero della difesa, del procedimento
disciplinare per i medesimi fatti già oggetto del processo penale;
- OMISSIS emanazione del decreto di irrogazione della sanzione della
“perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;
- OMISSIS, annullamento, da parte del Ministero della difesa, del
decreto di attribuzione della pensione definitiva per constatata
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insussistenza dei requisiti di accesso al trattamento di quiescenza, e
conseguente avvio del recupero dei ratei indebitamente erogati.
Il profilo controverso che riveste carattere pregiudiziale è se la sanzione della
“perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, irrogata all’esito di
un procedimento disciplinare avviato nei confronti di un appartenente
all’Arma dei Carabinieri in quiescenza, dopo la conclusione di un processo
penale a sua volta iniziato quando il medesimo soggetto era ancora in servizio,
possa dispiegare effetti retroattivi, mutando il titolo della cessazione dal
servizio, da riforma per “inabilità assoluta” a “perdita del grado per sanzione”.
L’insensibilità dell’assetto pensionistico del OMISSIS alla sanzione
disciplinare, secondo il giudice di prime cure, deriva dalla constatazione
secondo cui al momento del collocamento in quiescenza (beneficiando degli
estremamente favorevoli requisiti accordati a coloro che versassero in
condizioni di inabilità) non era pendente il procedimento disciplinare ed il
processo penale, che avrebbe potuto determinare un effetto analogo a quello
poi ottenuto attraverso il procedimento disciplinare, si è arenato sulla
prescrizione.
L’art. 37 della l. n. 599 del 31/7/1954 (“Stato dei sottufficiali dell'Esercito,
della Marina e dell'Aeronautica”) prevedeva che «Il sottufficiale, nei cui
riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente
previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a
procedimento penale o disciplinare.
Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di
Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del
sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto,
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per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta».
Tale disposizione è stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 15
marzo 2010, n. 66, rubricato “Codice dell'ordinamento militare” (a decorrere
dal 9/10/2010).
Attualmente la disciplina delle cause che determinano la cessazione del
rapporto d’impiego del militare è contenuta nell’art. 923 di detto codice.
Per quanto di rilievo in questa sede, il comma 5 del citato art. 923 prevede che
«Il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica
una delle predette cause, anche se si trova sottoposto a procedimento penale
o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un
provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera
avvenuta per tali cause».
Per dirimere la questione controversa occorre avere riguardo alla disciplina
vigente al momento del collocamento in quiescenza, in base al principio
tempus regit actum.
Nell’art. 37 della l. n. 599 del 31/7/1954 l’efficacia retroattiva del
procedimento comportante la perdita del grado era condizionata alla pendenza
del procedimento che tale epilogo ha avuto già all’epoca della cessazione dal
servizio.
In altri termini, l’automatica riqualificazione della causa di cessazione dal
servizio in termini di cessazione per perdita del grado poteva avere luogo solo
ove vi fosse piena sovrapponibilità di tipologia («penale o disciplinare») tra il
procedimento pendente al momento della cessazione dal servizio ed il
procedimento a cui è seguita la perdita del grado.
La retroattività non era cioè una caratteristica insita nella misura afflittiva
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disposta nei confronti del sottufficiale ma un effetto generato dalla postuma
definizione di un procedimento già in corso al momento del pensionamento:
non poteva ritenersi sufficiente la pendenza di un qualsiasi procedimento
potenzialmente in grado di essere esitato con una pronuncia che importasse la
perdita del grado, ma accorreva che quest’ultima conseguisse specificamente
al procedimento in corso al momento della cessazione dal servizio.
A rafforzare tale conclusione, deponeva anche la considerazione
dell’inidoneità del procedimento penale a precludere l’avvio di un
procedimento disciplinare per i medesimi fatti penalmente rilevanti.
La pregiudiziale penale, seppure introdotta con il cod. militare (cfr.
l’originaria formulazione dell’art. 1393, comma 1, vigente dal 9/10/2010 al
27/8/2015, a tenore della quale «Se per il fatto addebitato al militare è stata
esercitata azione penale, ovvero è stata disposta dall'autorità giudiziaria una
delle misure previste dall'articolo 915, comma 1, il procedimento disciplinare
non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e,
se già iniziato, deve essere sospeso») è venuta meno a seguito delle modifiche
successivamente introdotte (dapprima con l’art. 15 della l. 124/2015 - c.d.
legge Madia - che ha previsto «In caso di procedimento disciplinare che abbia
ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità
giudiziaria, si applica la disciplina in materia di rapporti fra procedimento
disciplinare e procedimento penale di cui all’articolo 55-ter del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165» e poi, dall’art. 4, comma 1, lett. t), d.lgs.
26 aprile 2016, n. 91 che ha introdotto l’attuale formulazione «Il procedimento
disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali
procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in
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pendenza del procedimento penale (…)»)
Ove l’amministrazione avesse voluto evitare il consolidamento degli effetti
del pensionamento, ben avrebbe potuto, anziché passivamente attendere gli
sviluppi del processo penale, promuovere un procedimento disciplinare per i
gravi fatti emersi a carico del OMISSIS ed eventualmente, ravvisandone
l’opportunità, sospenderlo nelle more della celebrazione del primo.
Ad indurre a dare continuità all’orientamento interpretativo costantemente
seguito da questa Sezione (cfr. sentt. 618 e 640/2018, 391/2017, 789/2015,
256-257-258/2016), vi è poi la constatazione che con, l’art. 1, comma 1, lett.
s), nn. 1) e 2), d.lgs. 27/12/2019, n. 173 è stato aggiunto un periodo al comma
5 dell’art. 923, del cod. militare a tenore del quale la disposizione che prevede
l’effetto retroattivo del provvedimento di perdita del grado «si applica anche
nel caso in cui la perdita del grado derivi da un procedimento disciplinare di
stato instaurato dopo la definizione del procedimento penale che era pendente
all'atto della cessazione dal servizio».
L’intervenuta specificazione dell’irrilevanza (per il futuro) di quale
procedimento fosse pendente all’epoca della cessazione dal servizio
costituisce inequivoca conferma che, precedentemente, tale rilevanza vi fosse
e condizionasse gli effetti temporali del provvedimento comportante la perdita
del grado.
Anche alla luce di tale ulteriore considerazione, il Collegio reputa che i
difformi orientamenti assunti dalle altre Sezioni di appello (Sez. I App sentt.
50/2020, 52/2019, 64-118/2019, 383-391/2017; Sez. III App sentt. 42/2019,
46/2018, 527/2017; Sez. App. Sicilia sentt. 2-49/2018) non diano luogo ad un
contrasto, bisognevole di essere composto attraverso un intervento
nomofilattico, ai sensi dell’art. 114 c.g.c.
Attesa la particolare complessità delle questioni, della quale è sintomo il
contrasto degli orientamenti giurisprudenziali sulla questione di merito,
appare equo disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello
definitivamente pronunciando, rigetta l’appello.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2021.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dott. Roberto Rizzi Dott. Andrea Lupi
F.to digitalmente F.to digitalmente
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 11 FEB. 2021
IL DIRIGENTE
Dott.ssa Sabina Rago
F.to digitalmente
DECRETO
Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
dispone
che, a cura della Segreteria, sia apposta l’annotazione di cui al comma 1 di
detto articolo 52, a tutela dei diritti delle parti private.
IL PRESIDENTE
Dott. Andrea Lupi
F.to digitalmente
SENT. 47/2021
19
Depositato in Segreteria il 11 FEB. 2021
IL DIRIGENTE
Dott.ssa Sabina Rago
F.to digitalmente
In esecuzione del provvedimento collegiale, visto l’art. 52 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione: omettere le generalità
e gli altri dati identificativi delle parti private.
Roma, 11 FEB. 2021