REPUBBLICA ITALIANA Sent. N. 17/2018
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere Maria Elisabetta LOCCI, quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24.038 del registro di Segreteria, proposto dal sig. G. M., nato a Omissis il Omissis (C.F. Omissis), rappresentato e difeso dagli Avvocati Andrea PETTINAU ed Elena PETTINAU (CF: PTTLNE65D70B354Y – PEC
elena.avvpettinau@legalmail.it), presso il cui studio, sito in Cagliari, Piazza Gramsci n° 18, ha eletto domicilio, contro l’INPS, Gestione Dipendenti Pubblici.
Udito, nella pubblica udienza del 24 gennaio 2018, il difensore del ricorrente, Avvocato Elena PETTINAU; non rappresentata l’Amministrazione.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Ritenuto in
FATTO
Il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, depositato il 13 settembre 2017, ha precisato di aver prestato servizio nell’ex Corpo degli Agenti di Custodia dal 12 gennaio 1982 al 13 aprile 2011, conseguendo dall’Istituto Previdenziale il relativo trattamento vitalizio.
Successivamente, in data 18/02/2017, ha inoltrato all’INPS istanza, ex lege 241/1990, di riliquidazione del proprio trattamento sulla scorta del dettato di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Il riscontro dell’INPS, peraltro, è stato negativo, essendo stato confermato l’importo della pensione già erogata.
Secondo quanto precisato dall’INPS, la norma richiamata non sarebbe applicabile ai pensionati del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma esclusivamente al personale ex militare, stante l’assenza di richiami normativi espressi.
Ad avviso del ricorrente, la tesi dell’INPS sarebbe errata, in quanto al personale proveniente dal disciolto Corpo degli agenti di custodia, in virtù del Decreto Legislativo n. 443 del 1992, art. 73, commi 3 e 4, per la determinazione della massima anzianità contributiva, continuerebbe ad applicarsi l’art. 6 della L. n. 1543 del 1963.
Secondo tale disposizione, il massimo della pensione si consegue al raggiungimento di trenta anni di servizio utile e l’importo della pensione, calcolato sulla base dell’ultimo stipendio (complessivo), è ragguagliato, al compimento dei venti anni di servizio, al 44% della base pensionabile, mentre per ogni anno in più sino al decimo, “la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.
Lo stesso art. 6 del D.lgs. n. 165/1997 ha ribadito che, per tali soggetti, “il diritto alla pensione di anzianità si consegue, altresì, al raggiungimento della massima anzianità contributiva prevista dagli ordinamenti di appartenenza...” e ciò “in considerazione della specificità del rapporto di impiego e delle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività”.
La medesima disposizione, per quanto riguarda le aliquote annue di rendimento, a far data dal 1° gennaio 1998, ha reso applicabile l’art. 17 della L. 724/1994, che le ha stabilite in misura pari al 2%.
L’intricata situazione normativa renderebbe complicato il calcolo della pensione per coloro i quali, come il ricorrente, hanno prestato servizio nel Corpo degli Agenti di Custodia dai primi degli anni 80 e sino al gennaio 1991, allorquando sono divenuti, ex lege, dipendenti del Corpo della Polizia Penitenziaria, ad ordinamento civile e non più militare.
In ogni modo, nei confronti di detti soggetti, secondo la difesa del ricorrente, dovrebbero trovare applicazione le norme sopra citate, con conseguente calcolo della pensione sulla base delle aliquote di rendimento già previste dalla normativa di cui all’art. 6 della legge 1543 del 1963, sino al 1° gennaio 1998. Mentre per i periodi di servizio (e contributivi) successivi alla suddetta data l’aliquota annua di rendimento andrà rapportata al 2% annuo, in ragione del disposto del richiamato D.lgs. n. 165 del 1997.
È stato conclusivamente richiesto che la domanda venga accolta e che sia accertato il diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensionistico secondo la normativa sopra citata (L. n° 1543 del 1963, D.lgs. n° 443 del 1992, L. n° 335 del 1995 e D.lgs. n° 165 del 1997, nonché art. 54 del DPR n° 1092 del 1973) e conseguente corresponsione delle somme arretrate dovute, oltre accessori di legge. Con vittoria di spese da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.
L’INPS, cui il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, risulta ritualmente notificato, non si è costituito in giudizio.
Nell’udienza del 24 gennaio 2018, fissata per la discussione della causa, l’avvocato PETTINAU ha integralmente confermato le conclusioni in atti.
Considerato in
DIRITTO
Come traspare dalla narrativa del fatto, il ricorrente ha chiesto la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico mediante applicazione delle aliquote di rendimento previste dagli artt. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, e 6 della legge n. 1543/1963.
Va però osservato che le norme citate hanno contenuti dispositivi differenti, di talché solo la seconda appare concretamente applicabile nel caso di specie.
Difatti, l’art. 54 DPR 1092/1973 ha disposto che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
La legge n. 1543 del 03/11/1963, ha disciplinato, in maniera specifica, gli organici e il trattamento economico dei sottufficiali e militari di truppa dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato, prevedendo all’art. 6, che la pensione del personale destinatario delle disposizioni (tra cui il Corpo degli agenti di custodia), “è liquidata sulla base dell’importo complessivo dell’ultimo stipendio o paga e delle indennità pensionabili godute. Essa è ragguagliata, al compimento del ventesimo anno di servizio, al 44 per cento della base pensionabile come sopra determinata. Per ciascun anno di servizio oltre il ventesimo e per non più di dieci anni successivamente compiuti, la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.
Successivamente, il D.lgs. 30/10/1992, n. 443, ha disciolto il Corpo degli agenti di custodia, ad ordinamento militare, trasformandolo nel Corpo di polizia penitenziaria, ad ordinamento civile.
L’art. 73 della legge, espressamente intitolato “Trattamento pensionistico nella fase di transizione”, al comma 3, ha stabilito che “al personale proveniente dai ruoli del disciolto Corpo degli agenti di custodia continua ad applicarsi l’articolo 6 della legge 3 novembre 1963, n. 1543”.
La permanenza in vigore dell’art. 6 da ultimo richiamato, è stata mantenuta dal comma 1 dell'art. 1, D.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, in combinato disposto con l'allegato 1 allo stesso decreto, come modificato dall'allegato C al D.lgs. 13 dicembre 2010, n. 213.
Così ricostruito il quadro normativo, come già affermato da questa Sezione (cfr. sentenza n. 161 del 18/12/2017), è proprio l’art. 6 che deve essere applicato ai fini della liquidazione del trattamento pensionistico del ricorrente, avendo egli iniziato a prestare servizio nell’anno 1982, nell’ex Corpo degli Agenti di Custodia.
Peraltro, non può essere dimenticato che l’ordinamento italiano è stato interessato, nei primi anni novanta da un’integrale riforma del sistema pensionistico, che ha preso avvio con il D.lgs. n. 503 del 30.12.1992, il quale ha recepito i principi e criteri direttivi della legge delega, n° 421 del 23 ottobre 1992, ed è proseguita, per l’aspetto che qui interessa, con la legge 8 agosto 1995 n° 335, la quale ha introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni, dal sistema retributivo (imperniato sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi), al sistema contributivo (basato sull’ammontare dei contributi versati nell’intera vita lavorativa).
La stessa legge n° 335 (art. 1 comma 13), ha fatto salva, in regime transitorio, a favore dei dipendenti che avevano maturato, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di oltre diciotto anni, la liquidazione della pensione “secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo” (calcolata, dunque, tenuto conto della retribuzione pensionabile, dell’anzianità contributiva e dell’aliquota di rendimento).
Per i dipendenti che, alla medesima data, avevano un’anzianità inferiore, il trattamento pensionistico è attribuito con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), in cui le anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 vengono calcolate secondo il sistema retributivo (quota A), mentre le anzianità successivamente maturate sono computate secondo il sistema contributivo (cfr. art. 1 comma 12, legge n. 335/1995).
Ne consegue che le modalità di calcolo della pensione e le relative aliquote, previste sia dall’art. 54 DPR 1092/1973, sia dall’art. 6 della legge n. 1543 del 03/11/1963, potranno trovare applicazione, in maniera integrale, laddove la pensione sia liquidata interamente secondo il sistema retributivo, o in maniera parziale, qualora la pensione medesima sia attribuita con il sistema misto (quindi sulla parte del trattamento che “rimane” in retributivo).
Rapportando tali principi al caso di specie, va rilevato che il G. M. aveva, alla data indicata dalla norma, anni 16 e mesi otto di servizio utile.
Conseguentemente, secondo il criterio di calcolo indicato dall’art. 6 cit. poteva vedersi attribuita una percentuale di pensione, ragguagliata all’anzianità, pari al 36,666% della base pensionabile (cifra ottenuta secondo il seguente calcolo: l’importo del 44% ai venti anni, conduce a una percentuale annua del 2,2% per sedici anni, ovvero 35,2 %, cui vanno sommati gli ulteriori otto mesi, ossia 8/12 di 2,2=1,466%).
Ne consegue che, seppure in via teorica possa affermarsi la fondatezza della pretesa, nei fatti il differente calcolo, erroneamente operato dall’Istituto previdenziale, ha condotto ad un risultato di favore per il ricorrente.
Difatti l’INPS ha applicato (cfr. decreto di pensione versato in atti) l’aliquota prevista dall’art. 44 del D.P.R. n. 1092/1973 per il personale civile, attribuendo il 35% della base pensionabile per i primi quindici anni di servizio, e 1,80% per ogni anno ulteriore (considerando un anno e otto mesi).
Si arriva, in tal modo, alla considerazione di un’aliquota maggiore rispetto a quella dovuta (è stato attribuito il 38%), e alla conseguente liquidazione di una pensione di importo superiore a quella spettante.
Tale evenienza determina, all’evidenza, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.; art. 7, comma 2 CGC).
Detto interesse, difatti, presuppone la necessità di una tutela, ricollegabile ad una contestazione oggettiva, attuale, ed idonea a ledere il diritto vantato, e deve portare ad una utilità concreta che, dall’esercizio della giurisdizione, possa derivare a chi propone l’azione (Corte di cassazione: Sez. lavoro, 14 giugno 1986, n. 3978; e Sez. II civile, 28 ottobre 1993, n. 10708), mentre nel caso di specie la domanda giudiziale appare diretta ad ottenere un beneficio, o meglio, un emolumento, già percepito dal ricorrente in misura maggiore a quella attribuibile nell’ipotesi di accoglimento del ricorso.
Stante la mancata costituzione dell’INPS, non è luogo a pronuncia sulle spese.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso proposto dal sig. G. M..
Nulla per le spese.
Fissa in venti giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell'udienza del 24 gennaio 2018.
Il Giudice unico
f.to Maria Elisabetta LOCCI
Depositata in Segreteria il 31 gennaio 2018.
Il Dirigente
f.to Giuseppe Mullano