La proposta di legge presentata dal Capogruppo di Fdi in Commissione Difesa Salvatore Deidda, sottoscritta dalla collega del gruppo Wanda Ferro e dai colleghi del gruppo, intende correggere alcuni effetti distorsivi determinati dal “blocco retributivo” introdotto nel 2010, con riferimento al Personale del Comparto Sicurezza e Difesa.
In particolare il blocco ha determinato una cristallizzazione delle retribuzioni del Comparto Difesa e Sicurezza per un quadriennio ma ha inoltre ha sostanzialmente congelato il naturale maturarsi anche dei meccanismi di adeguamento retributivo.
Dal 1° gennaio 2015 gli effetti del blocco sono cessati ma solamente in favore del personale ancora in servizio, il quale si è visto riconoscere, correttamente, a tale data, gli effetti economici delle promozioni e progressioni di carriera maturate durante il quadriennio 2011 – 2014.
Purtroppo non è avvenuto – pur non essendo tale esclusione in alcun modo previsto dalla normativa – in favore del personale che nell’arco del medesimo quadriennio abbia lasciato il servizio, in particolare perché collocato in quiescenza: infatti, il personale ha visto negarsi il riconoscimento degli effetti economici delle promozioni e progressioni di carriera maturate (e giuridicamente valide) con conseguente decurtamento del trattamento pensionistico in quanto determinato sulla base dell’ammontare dell’ultimo stipendio percepito nell’anno 2010.
La stessa Corte Costituzionale, pur ritenendo legittimo il blocco, per le note finalità di contenimento della spesa pubblica, ha precisato che la stessa debba comunque rivestire il carattere dell’eccezionalità e che i conseguenti effetti debbono necessariamente essere limitati
Dunque, il presente disegno di legge, presentato da Fratelli d’Italia, vuole mettere fine a tale ingiustizia e dopo diverse interrogazioni che non hanno mai avuto risposta, ora presenta la proposta di legge per dare seguito anche a diverse sentenze di Tribunali.
Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
Riguardo a chi, ancora in servizio, ha subito il blocco nel quadriennio in oggetto, desidero precisare che gli stessi non hanno ottenuto 'correttamente' il dovuto ma solo un una tantum, tant'è che per noi malcapitati nel periodo incriminato gli importi stipendiali che saranno oggetto di conteggio ai fini pensionistici sono quelli percepiti in parola e non quelli che avremmo dovuto percepire per il grado superiore e/o per l'assegno di funzione maturato.
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
Messaggio da naturopata »
Esatto, infatti questo discorso avrebbe un senso in un retributivo e non in un contributivo, tuttavia anche quelli in pensione avranno l'incremento solo per l'anno in cui sono andati in pensione (periodo dal 2011 al 2014) e quindi una miseria comunque, forse paragonabile alla una tantum.Alessio60 ha scritto: ↑ven mar 08, 2019 7:01 pm Riguardo a chi, ancora in servizio, ha subito il blocco nel quadriennio in oggetto, desidero precisare che gli stessi non hanno ottenuto 'correttamente' il dovuto ma solo un una tantum, tant'è che per noi malcapitati nel periodo incriminato gli importi stipendiali che saranno oggetto di conteggio ai fini pensionistici sono quelli percepiti in parola e non quelli che avremmo dovuto percepire per il grado superiore e/o per l'assegno di funzione maturato.
Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
Ricorso perso
- ) - il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 147 Pubblicazione 08/04/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
In composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Nicola Ruggiero, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio iscritto al n. 61033 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 25 maggio 2018 e proposto dal Sig. M.. G.., nato a OMISSIS (LT) il ........ 1955 e residente in Grosseto, via OMISSIS (C.F.: OMISSIS), rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Andrea Saccucci e dall’Avv. Matteo Magnano ed elettivamente domiciliato presso il loro Studio legale in Roma, Via Lisbona n. 9;
contro
- Ministero dell’Economia e Finanze, in persona del Ministero pro-tempore, nonché la Guardia di Finanza, in persona del Comandante generale p.t.;
- INPS, in persona del legale rappresentante p.t.;
per
in via principale,
a) l’accertamento e declaratoria del diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondere al ricorrente, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;
in via subordinata,
c) la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014, anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost.,
nella parte in cui,
per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017,
non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 27 settembre 2018, celebrata con l’assistenza del Segretario, Sig. Carmina Calini, l’Avv. Andrea Saccucci per il ricorrente ed il M.A. Pietro Agosta per il Comando Generale della Guardia di Finanza, non comparso l’INPS;
Ritenuto in
FATTO
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, preceduto da istanza amministrativa del 9.10.2017, rigettata dall’Amministrazione con nota dell’8.2.2018, il ricorrente ha evidenziato di essere un Ufficiale superiore della Guardia di Finanza in pensione, cessato dal servizio, per età, in data 10.5.2015, con il grado di Colonnello, collocato in ausiliaria a decorrere dalla medesima data ed in riserva a decorrere dall’1.11.2015.
Ha aggiunto di appartenere ad una categoria di personale che fruisce di meccanismi di progressione automatica degli stipendi.
Nondimeno, la sua pensione è stata calcolata in relazione ad una base pensionabile che non tiene conto delle classi e degli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015 e che risulta, dunque, inferiore a quella cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in assenza del cd blocco retributivo previsto dall’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010.
Tale ultima disposizione avrebbe, invero, determinato nei confronti del ricorrente non soltanto un effetto temporaneo sul trattamento retributivo, ma anche, secondo l’interpretazione datane dall’Amministrazione, un effetto permanente sul trattamento pensionistico
In sede di gravame, il ricorrente ha, in primo luogo, provveduto ad una puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Si è, dunque, soffermato sui limiti, quali enucleati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, alla ragionevolezza delle misure legislative incidenti sul trattamento retributivo dei pubblici dipendenti, per fini di contenimento della spesa pubblica.
A tal riguardo, ha sostenuto la legittimità di tali misure, solo a condizione che i sacrifici imposti abbiano carattere eccezionale, definito nel tempo, non arbitrario, consentaneo allo scopo e temporalmente limitato.
Con riferimento alle disposizioni rilevanti nella fattispecie all’esame, ha sostenuto, anche attraverso richiami giurisprudenziali, la necessità che le stesse siano interpretate nel senso che, ai fini della determinazione della base pensionabile, si tenga conto anche degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il cd blocco retributivo (2011-2015) e degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in conseguenza delle progressioni di carriera disposte durante il cd blocco retributivo (2011-2014).
Nello specifico, tale interpretazione “costituzionalmente orientata”, consentirebbe di evitare “un’evidente illegittimità, che altrimenti deriverebbe dagli effetti permanenti, per effetto di una disposizione di natura eccezionale e di carattere esclusivamente temporaneo e consentaneo allo scopo di un risparmio di spesa pubblica, per un periodo di tempo limitato” (così, pag. 9 del ricorso).
Nell’ipotesi in cui non si aderisse a tale interpretazione, risulterebbe la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.
A tal riguardo, il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.
Orbene, le medesime ragioni di violazione dell’art. 3 Cost., prefigurate nella predetta ordinanza, sussisterebbero per la fattispecie qui all’esame (relativa al secondo periodo del medesimo art. 9, comma 21).
Tutto ciò sotto il duplice profilo della ragionevolezza (per la dedotta presenza di sacrifici permanenti) e della disparità di trattamento (tra gli ufficiali cessati dal servizio durante il blocco e quelli cessati successivamente, nonché tra gli ufficiali cessati dal servizio dopo la fine del blocco, ma prima del 1 gennaio 2018, e quelli cessati dopo tale data).
In conclusione, il ricorrente ha chiesto:
a) in via principale, l’accertamento e declaratoria del proprio diritto alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondergli, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;
c) in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014,
anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
d) in via istruttoria, di ordinare all’Amministrazione convenuta di depositare in giudizio il foglio matricolare e lo stato di servizio, nonché tutti i documenti in base ai quali è stata determinata la base pensionabile.
In data 8 agosto 2018, la difesa del ricorrente ha depositato documentazione attestante la notifica del ricorso (e del decreto di fissazione d’udienza) nei confronti delle Amministrazioni resistenti.
2. Con memoria pervenuta in data 7 settembre 2018, la Guardia di Finanza, nel richiamare due decisioni di rigetto rese da altre Sezioni di questa Corte su casi analoghi, ha chiesto il rigetto del ricorso, per infondatezza dello stesso, con condanna della controparte alle spese di giudizio.
A tal riguardo, ha fatto presente che, anche ai sensi dell’art. 1866 del d.lgs n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento militare), la base pensionabile si determinerebbe con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio.
Ha aggiunto che, per effetto delle disposizioni in materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile (art.2, commi 9, 10 e 11, legge 335/95), il trattamento di quiescenza andrebbe rapportato alla contribuzione versata, in concorso, dal dipendente e dallo Stato, quale datore di lavoro, durante tutto il rapporto d’impiego e quindi agli emolumenti percepiti in servizio.
Ha, inoltre, richiamato le precedenti pronunce (nn. 219/2014 e 310/2013), con le quali la Corte Costituzionale ha già riconosciuto, sia pure sotto angolazioni specifiche, la legittimità delle misure contenute nel d.l. n. 78/2010.
In via gradata, ha sollevato l’eccezione di prescrizione quinquennale.
3. In data 27 settembre 2018, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire la nota spese e copia di talune pronunce di altre Sezioni della Corte dei conti, favorevoli all’accoglimento delle pretese attoree.
Alla pubblica udienza del 27 settembre 2018, l’Avv. Andrea Saccucci, per il ricorrente, ha depositato documentazione già trasmessa in via telematica (documentazione attestante la notifica del ricorso, nota spese e pronunce giurisprudenziali).
Nel merito, ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate con il ricorso.
Il M.A. Pietro Agosta, per il Comando Generale della Guardia di Finanza, si è riportato agli scritti difensivi, insistendo per il rigetto del ricorso.
Il giudizio è passato, dunque, in decisione, con lettura del dispositivo in udienza.
Considerato in
DIRITTO
1. Il presente ricorso risulta infondato e va, come tale, rigettato.
A tal riguardo, giova osservare che, in base all’art. 9, comma 21, del d.l. n.78/2010, "I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.
Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti” (tale ultima disposizione è stata prorogata dapprima “fino al 31 dicembre 2014” e successivamente “fino al 31 dicembre 2015”, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 122/2013 e dell’art.1, comma 256, legge n. 190/2014).
Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” (tale ultima disposizione è stata prorogata “fino al 31 dicembre 2014” ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) D.P.R. n. 122/2013).
Il chiaro tenore letterale della norma sopra riportata -con particolare riferimento al secondo periodo, d’interesse in questa sede- esclude che gli incrementi stipendiali automatici maturati nel periodo di vigenza del “blocco” siano mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, non potendo conseguentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile.
Sul punto, va evidenziato che ai sensi dell’art.53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, occorre far riferimento alla base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili nella medesima norma indicati, integralmente percepiti.
Tale previsione risulta, invero, espressamente richiamata nell’art. 1866 “Base contributiva e pensionabile” di cui al Codice dell’Ordinamento militare, D.lgs. n.66/2010, il quale, al primo comma, prevede che “1. La pensione, nel sistema di calcolo retributivo, viene determinata sulla base dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e degli emolumenti retributivi espressamente definiti pensionabili dalla legge, ai sensi dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
Senonché, gli emolumenti qui in rilievo, come anticipato, non sono mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, atteso che “….gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, non potendo conseguentemente entrare a far parte delle corrispondente base pensionabile.
Tutto ciò anche alla luce del principio per cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Piemonte, 7 giugno 2016, n. 195).
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, non può trovare accoglimento la domanda principale, volta ad ottenere la rideterminazione della base pensionabile e, conseguentemente, della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, mediante valorizzazione degli incrementi stipendiali automatici non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.
2. Allo stesso modo, deve essere disattesa la domanda, formulata in via gradata e finalizzata ad ottenere la proposizione della questione di legittimità costituzionale della normativa de qua (art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, e norme successive collegate).
Sul punto, giova ribadire che la Corte Costituzionale più volte si è pronunciata in fattispecie analoghe affermando la legittimità del meccanismo del blocco stipendiale "in quanto la misura adottata è giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità non irrazionali ed arbitrarie, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti' (Corte Cost., nn.304 e 310 del 2013; id. n.219 del 2014).
Il carattere della transitorietà e dell'eccezionalità degli interventi di contenimento della spesa pubblica hanno consentito alle norme sui c.d. “blocchi” stipendiali di superare il vaglio di costituzionalità, più volte invocato, respingendosi le censure di illegittimità costituzionale delle misure contenute nel decreto-legge n.78/2010. Il blocco delle retribuzioni è dunque legittimo (Corte costituzionale, n.178 del 2015 e n. 96 del 2016), in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponde all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno.
In definitiva, la valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata.
Va, pertanto, esclusa la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.
Stessa conclusione s’impone l’asserita lesione del medesimo art. 3 sotto il diverso profilo del principio di uguaglianza (alias, parità di trattamento).
Sul punto, va ribadito che la base pensionabile, per il personale militare, si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio, dovendosi conseguentemente tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis.
Sotto questo punto di vista, il trattamento differenziato, riservato ad una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di uguaglianza, spettando alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme, sicchè, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (Corte Cost., n. 104/2018).
3. In conclusione, per tutto quanto sopra visto, il presente ricorso va rigettato (in termini analoghi, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. 9 luglio 2018, nn. 137 e 138).
Nondimeno, nella complessità delle questioni trattate e nella sussistenza di pronunce di segno contrario nella materia de qua, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 27 settembre 2018.
IL GIUDICE
f.to dott. Nicola RUGGIERO
Depositato in Segreteria il 08/04/2019
p.Il Direttore della Segreteria
f.to Chiara Berardengo
Sentenza
n.147/2019
- ) - il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 147 Pubblicazione 08/04/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
In composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Nicola Ruggiero, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio iscritto al n. 61033 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 25 maggio 2018 e proposto dal Sig. M.. G.., nato a OMISSIS (LT) il ........ 1955 e residente in Grosseto, via OMISSIS (C.F.: OMISSIS), rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Andrea Saccucci e dall’Avv. Matteo Magnano ed elettivamente domiciliato presso il loro Studio legale in Roma, Via Lisbona n. 9;
contro
- Ministero dell’Economia e Finanze, in persona del Ministero pro-tempore, nonché la Guardia di Finanza, in persona del Comandante generale p.t.;
- INPS, in persona del legale rappresentante p.t.;
per
in via principale,
a) l’accertamento e declaratoria del diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondere al ricorrente, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;
in via subordinata,
c) la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014, anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost.,
nella parte in cui,
per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017,
non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 27 settembre 2018, celebrata con l’assistenza del Segretario, Sig. Carmina Calini, l’Avv. Andrea Saccucci per il ricorrente ed il M.A. Pietro Agosta per il Comando Generale della Guardia di Finanza, non comparso l’INPS;
Ritenuto in
FATTO
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, preceduto da istanza amministrativa del 9.10.2017, rigettata dall’Amministrazione con nota dell’8.2.2018, il ricorrente ha evidenziato di essere un Ufficiale superiore della Guardia di Finanza in pensione, cessato dal servizio, per età, in data 10.5.2015, con il grado di Colonnello, collocato in ausiliaria a decorrere dalla medesima data ed in riserva a decorrere dall’1.11.2015.
Ha aggiunto di appartenere ad una categoria di personale che fruisce di meccanismi di progressione automatica degli stipendi.
Nondimeno, la sua pensione è stata calcolata in relazione ad una base pensionabile che non tiene conto delle classi e degli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015 e che risulta, dunque, inferiore a quella cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in assenza del cd blocco retributivo previsto dall’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010.
Tale ultima disposizione avrebbe, invero, determinato nei confronti del ricorrente non soltanto un effetto temporaneo sul trattamento retributivo, ma anche, secondo l’interpretazione datane dall’Amministrazione, un effetto permanente sul trattamento pensionistico
In sede di gravame, il ricorrente ha, in primo luogo, provveduto ad una puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Si è, dunque, soffermato sui limiti, quali enucleati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, alla ragionevolezza delle misure legislative incidenti sul trattamento retributivo dei pubblici dipendenti, per fini di contenimento della spesa pubblica.
A tal riguardo, ha sostenuto la legittimità di tali misure, solo a condizione che i sacrifici imposti abbiano carattere eccezionale, definito nel tempo, non arbitrario, consentaneo allo scopo e temporalmente limitato.
Con riferimento alle disposizioni rilevanti nella fattispecie all’esame, ha sostenuto, anche attraverso richiami giurisprudenziali, la necessità che le stesse siano interpretate nel senso che, ai fini della determinazione della base pensionabile, si tenga conto anche degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il cd blocco retributivo (2011-2015) e degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in conseguenza delle progressioni di carriera disposte durante il cd blocco retributivo (2011-2014).
Nello specifico, tale interpretazione “costituzionalmente orientata”, consentirebbe di evitare “un’evidente illegittimità, che altrimenti deriverebbe dagli effetti permanenti, per effetto di una disposizione di natura eccezionale e di carattere esclusivamente temporaneo e consentaneo allo scopo di un risparmio di spesa pubblica, per un periodo di tempo limitato” (così, pag. 9 del ricorso).
Nell’ipotesi in cui non si aderisse a tale interpretazione, risulterebbe la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.
A tal riguardo, il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.
Orbene, le medesime ragioni di violazione dell’art. 3 Cost., prefigurate nella predetta ordinanza, sussisterebbero per la fattispecie qui all’esame (relativa al secondo periodo del medesimo art. 9, comma 21).
Tutto ciò sotto il duplice profilo della ragionevolezza (per la dedotta presenza di sacrifici permanenti) e della disparità di trattamento (tra gli ufficiali cessati dal servizio durante il blocco e quelli cessati successivamente, nonché tra gli ufficiali cessati dal servizio dopo la fine del blocco, ma prima del 1 gennaio 2018, e quelli cessati dopo tale data).
In conclusione, il ricorrente ha chiesto:
a) in via principale, l’accertamento e declaratoria del proprio diritto alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondergli, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;
c) in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014,
anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;
d) in via istruttoria, di ordinare all’Amministrazione convenuta di depositare in giudizio il foglio matricolare e lo stato di servizio, nonché tutti i documenti in base ai quali è stata determinata la base pensionabile.
In data 8 agosto 2018, la difesa del ricorrente ha depositato documentazione attestante la notifica del ricorso (e del decreto di fissazione d’udienza) nei confronti delle Amministrazioni resistenti.
2. Con memoria pervenuta in data 7 settembre 2018, la Guardia di Finanza, nel richiamare due decisioni di rigetto rese da altre Sezioni di questa Corte su casi analoghi, ha chiesto il rigetto del ricorso, per infondatezza dello stesso, con condanna della controparte alle spese di giudizio.
A tal riguardo, ha fatto presente che, anche ai sensi dell’art. 1866 del d.lgs n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento militare), la base pensionabile si determinerebbe con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio.
Ha aggiunto che, per effetto delle disposizioni in materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile (art.2, commi 9, 10 e 11, legge 335/95), il trattamento di quiescenza andrebbe rapportato alla contribuzione versata, in concorso, dal dipendente e dallo Stato, quale datore di lavoro, durante tutto il rapporto d’impiego e quindi agli emolumenti percepiti in servizio.
Ha, inoltre, richiamato le precedenti pronunce (nn. 219/2014 e 310/2013), con le quali la Corte Costituzionale ha già riconosciuto, sia pure sotto angolazioni specifiche, la legittimità delle misure contenute nel d.l. n. 78/2010.
In via gradata, ha sollevato l’eccezione di prescrizione quinquennale.
3. In data 27 settembre 2018, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire la nota spese e copia di talune pronunce di altre Sezioni della Corte dei conti, favorevoli all’accoglimento delle pretese attoree.
Alla pubblica udienza del 27 settembre 2018, l’Avv. Andrea Saccucci, per il ricorrente, ha depositato documentazione già trasmessa in via telematica (documentazione attestante la notifica del ricorso, nota spese e pronunce giurisprudenziali).
Nel merito, ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate con il ricorso.
Il M.A. Pietro Agosta, per il Comando Generale della Guardia di Finanza, si è riportato agli scritti difensivi, insistendo per il rigetto del ricorso.
Il giudizio è passato, dunque, in decisione, con lettura del dispositivo in udienza.
Considerato in
DIRITTO
1. Il presente ricorso risulta infondato e va, come tale, rigettato.
A tal riguardo, giova osservare che, in base all’art. 9, comma 21, del d.l. n.78/2010, "I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.
Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti” (tale ultima disposizione è stata prorogata dapprima “fino al 31 dicembre 2014” e successivamente “fino al 31 dicembre 2015”, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 122/2013 e dell’art.1, comma 256, legge n. 190/2014).
Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” (tale ultima disposizione è stata prorogata “fino al 31 dicembre 2014” ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) D.P.R. n. 122/2013).
Il chiaro tenore letterale della norma sopra riportata -con particolare riferimento al secondo periodo, d’interesse in questa sede- esclude che gli incrementi stipendiali automatici maturati nel periodo di vigenza del “blocco” siano mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, non potendo conseguentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile.
Sul punto, va evidenziato che ai sensi dell’art.53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, occorre far riferimento alla base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili nella medesima norma indicati, integralmente percepiti.
Tale previsione risulta, invero, espressamente richiamata nell’art. 1866 “Base contributiva e pensionabile” di cui al Codice dell’Ordinamento militare, D.lgs. n.66/2010, il quale, al primo comma, prevede che “1. La pensione, nel sistema di calcolo retributivo, viene determinata sulla base dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e degli emolumenti retributivi espressamente definiti pensionabili dalla legge, ai sensi dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
Senonché, gli emolumenti qui in rilievo, come anticipato, non sono mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, atteso che “….gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, non potendo conseguentemente entrare a far parte delle corrispondente base pensionabile.
Tutto ciò anche alla luce del principio per cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Piemonte, 7 giugno 2016, n. 195).
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, non può trovare accoglimento la domanda principale, volta ad ottenere la rideterminazione della base pensionabile e, conseguentemente, della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, mediante valorizzazione degli incrementi stipendiali automatici non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.
2. Allo stesso modo, deve essere disattesa la domanda, formulata in via gradata e finalizzata ad ottenere la proposizione della questione di legittimità costituzionale della normativa de qua (art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, e norme successive collegate).
Sul punto, giova ribadire che la Corte Costituzionale più volte si è pronunciata in fattispecie analoghe affermando la legittimità del meccanismo del blocco stipendiale "in quanto la misura adottata è giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità non irrazionali ed arbitrarie, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti' (Corte Cost., nn.304 e 310 del 2013; id. n.219 del 2014).
Il carattere della transitorietà e dell'eccezionalità degli interventi di contenimento della spesa pubblica hanno consentito alle norme sui c.d. “blocchi” stipendiali di superare il vaglio di costituzionalità, più volte invocato, respingendosi le censure di illegittimità costituzionale delle misure contenute nel decreto-legge n.78/2010. Il blocco delle retribuzioni è dunque legittimo (Corte costituzionale, n.178 del 2015 e n. 96 del 2016), in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponde all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno.
In definitiva, la valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata.
Va, pertanto, esclusa la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.
Stessa conclusione s’impone l’asserita lesione del medesimo art. 3 sotto il diverso profilo del principio di uguaglianza (alias, parità di trattamento).
Sul punto, va ribadito che la base pensionabile, per il personale militare, si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio, dovendosi conseguentemente tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis.
Sotto questo punto di vista, il trattamento differenziato, riservato ad una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di uguaglianza, spettando alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme, sicchè, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (Corte Cost., n. 104/2018).
3. In conclusione, per tutto quanto sopra visto, il presente ricorso va rigettato (in termini analoghi, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. 9 luglio 2018, nn. 137 e 138).
Nondimeno, nella complessità delle questioni trattate e nella sussistenza di pronunce di segno contrario nella materia de qua, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 27 settembre 2018.
IL GIUDICE
f.to dott. Nicola RUGGIERO
Depositato in Segreteria il 08/04/2019
p.Il Direttore della Segreteria
f.to Chiara Berardengo
Sentenza
n.147/2019
Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
Ricorso perso.
1) - I ricorrenti chiedono la riliquidazione della pensione provvisoria o definitiva a far data dalla cessazione dal servizio, o quantomeno dal 1.1.2016, con gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo 1.1.2011-31.12.2015.
2) - I ricorrenti hanno sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/2010, dell’art. 1, comma 1, lett. a) DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014. In merito, con la citata ordinanza n. 4/2019, la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha rimesso la questione della legittimità delle predette norme alla Corte costituzionale.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 123 Pubblicazione 14/03/2019
Sentenza
n. 123 /2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Pia Manni, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 61162 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 12.10.2018 e proposto dai Sigg.:
DELLA VALLE Roberto, nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
DI DOMENICANTONIO Domenico nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
GHIOZZI Antonio nato a OMISSIS, residente in Calcinaia (PI), OMISSIS
MARSILI Umberto nato a OMISSIS, residente Livorno, OMISSIS
MARTORELLA Paolo nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
PIERONI Franco nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
REGALI Diego nato a OMISSIS, residente in Vicchio (FI), OMISSIS
SCARFI Renato nato a OMISSIS, residente in San Giuliano Terme, OMISSIS
TIRALONGO Antonio nato a OMISSIS, residente in Collesalvetti (LI), OMISSIS
UCCIARDELLO Antonio nato a OMISSIS, residente in San Giuliano Terme (PI), OMISISS
tutti elettivamente domiciliati in Roma, via Giuseppe Ferrari 4, presso gli avv. ti Umberto Coronas e Salvatore Coronas per deleghe in calce al ricorso
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro della Difesa in carica pro tempore
INPS, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Firenze, viale Belfiore 28/a presso gli Avv.ti Ilario Maio e Marco Fallaci, che lo rappresentano e difendono in forza di procura generale alle liti del Presidente pro-tempore dell’Istituto
e nei confronti di
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica pro tempore
per
l’accertamento e la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad ottenere il ricalcolo del trattamento di quiescenza (provvisorio-inclusa l’indennità di ausiliaria e/o definitivo) dalla data di cessazione dal servizio o, quantomeno, dal 1.12016, da calcolare comprendendo nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti per ed in relazione al quinquennio 2011-2015, (inclusi quelli ex art. 24 L. 1998/448 ed ex art. 161 L. 19807312);
la condanna del Ministero della Difesa e dell’INPS, per quanto di rispettiva competenza, a rideterminare come sopra il trattamento di quiescenza spettante a ciascun ricorrente e a corrispondere ad ognuno le differenze dovute a tale titolo, con interessi legali e rivalutazione monetaria; previo annullamento di tutti gli atti ostativi alla pretesa dei ricorrenti comprese le determine del trattamento di quiescenza corrisposto a ciascuno dei ricorrenti e, per quanto occorra,
della Circolare del Ministero della Difesa, Direzione generale per il Personale Militare, prot. M D GMIL REG 2016 0146134 in data 8.3.2016 e la Circolare dello Stato Maggiore della Difesa, Centro Unico Stipendiale Interforze, prot. M D SSMD REG 2016 0075489 in data 25.5.2016;
previo annullamento di tutti gli atti di diniego della pretesa dei ricorrenti, comunicati e comunicandi, espressi e taciti, compresi:
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083586 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083684 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083547 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0077497 in data 15.6.2018;
il Foglio del centro Unico Stipendiale dell’Esercito-CUSE prot. M D E25720 REEG 2018 0065313 del 27.7.2018;
previa, se del caso, rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 98/2011 e dell’art. 1, comma 1, lett. a) del DPR n. 122/2013 e dell’art. unico, comma 256, della legge n. 190/104 nella parte in cui hanno prorogato al 2014-15 il “blocco” ivi previsto.
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 19 febbraio 2019, celebrata con l’assistenza del Segretario Simonetta Agostini, l’avv. Maurizio Fino per delega dell’avv. Salvatore Coronas per i ricorrenti, l’avv. Antonella Francesca Paola Micheli per l’INPS, nessuno presente per il Ministero della Difesa e per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in
FATTO
I ricorrenti sono Ufficiali generali e Ufficiali Superiori dell’Esercito, della Marina, Corpo delle Capitanerie di Porto incluso e dell’Aeronautica, percettori in servizio del trattamento economico previsto per il personale dirigente del Comparto Sicurezza e Difesa. Lamentano i ricorrenti la mancata inclusione nel trattamento di quiescenza provvisorio e/o definitivo degli scatti stipendiali che non sono maturati nel quinquennio 2011-2015 per effetto del c.d. “blocco” determinato dall’art. 9, comma 21, d.l. 78/2010, conv. in L. 122/2010, e delle successive norme che hanno prorogato il blocco fino al 31.12.2015.
Nel quinquennio 2011-2015 le retribuzioni dei ricorrenti hanno subito il blocco stabilito dalle suddette norme. Nel corso del quinquennio tutti i ricorrenti sono anche cessati dal servizio per limiti di età, o a domanda, per essere prossimi i limiti di età, e sono stati collocati in posizione di ausiliaria o direttamente nella riserva. Il calcolo del trattamento di previdenza e di quiescenza (provvisorio e/o definitivo) dei ricorrenti è stato operato sulla base della retribuzione congelata all’ultima classe o scatto maturati prima dell’inizio del blocco, ossia anteriormente al 1.1.2011, sena tener conto di tutti gli incrementi retributivi spettanti dal 1.1.2011 in poi, fino alla data di cessazione dal servizio.
I ricorrenti hanno diffidato tra il 15.5.2018 e il 15.6.2018 il Ministero della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare e Direzione Generale per la Previdenza Militare e l’INPS a ricalcolare il trattamento di fine servizio e di quiescenza. Il Ministero della Difesa ha rigettato, esplicitamente o implicitamente, tutte le istanze e l’INPS non ha risposto.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno chiesto di accertare il diritto ad ottenere il ricalcolo del trattamento di quiescenza (provvisorio-inclusa l’indennità di ausiliaria e/o definitivo) dalla data di cessazione dal servizio o, quantomeno, dal 1.1.2016, da calcolare comprendendo nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti per ed in relazione al quinquennio 2011-2015, (inclusi quelli ex art. 24 L. 1998/448 ed ex art. 161 L. 19807312); la condanna del Ministero della Difesa e dell’INPS, per quanto di rispettiva competenza, a rideterminare come sopra il trattamento di quiescenza spettante a ciascun ricorrente e a corrispondere ad ognuno le differenze dovute a tale titolo, con interessi legali e rivalutazione monetaria; previo annullamento di tutti gli atti ostativi e di tutti gli atti di diniego alla pretesa dei ricorrenti e previa, se del caso, rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 98/2011 e dell’art. 1, comma 1, lett. a) del DPR n. 122/2013 e dell’art. unico, comma 256, della legge n. 190/104 nella parte in cui hanno prorogato al 2014-15 il “blocco” ivi previsto, con vittoria di spese e onorari di giudizio.
L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 17.12.2018. Sostiene l’Istituto che l’art. 9 d.l. 2010/78, conv. in l. 2010/122 si inserisce in un piano più ampio con il quale il legislatore ha inteso dettare misure urgenti per assicurare una maggiore stabilità a livello economico finanziario al paese. Il limite stabilito dalla predetta norma ha una valenza di carattere generale finalizzata a garantire l’invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento. Solo dal 1.1.2016 è intervenuto lo sblocco di tale situazione e sono ripresi gli aumenti contrattuali del pubblico impiego, le progressioni di carriera e il rinnovo perequativo delle pensioni. Tale ripresa ha interessato soltanto coloro che erano in servizio a quella data. Coloro che erano già cessati dal servizio non possono invece chiedere il riconoscimento di aumenti di classi e scatti stipendiali di anzianità di servizio che non sono maturate neppure per coloro che erano ancora in servizio alla data del 1.1.2016. Allo stesso modo quanto previsto dall’art. 11, comma 7, d.lgs 2017/94 interessa soltanto coloro che erano in servizio a tale data e non coloro che, come i ricorrenti, sono cessati dal servizio prima del 2018. Conseguentemente, secondo l’INPS, i ricorrenti, che sono cessati dal servizio nel corso della vigenza del blocco, non possono beneficiare, neanche ai fini pensionistici, degli aumenti stipendiali derivanti dai meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato in quanto i predetti meccanismi non si applicano per gli anni 2011-2015. Se così non fosse, il risparmio economico derivante dalla disposizione del blocco verrebbe vanificato. Quanto, infine, alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010 e delle successive norme che hanno prorogato il blocco, osserva il convenuto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata la questione.
Ha chiesto, quindi, in via preliminare il rigetto della domanda di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e, nel merito, il rigetto di tutte le domande e in ogni caso, il rigetto della domanda di condanna al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria e di somme arretrate con decorrenza anteriore al quinquennio della domanda, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite.
Il Ministero della Difesa si è costituito con memoria depositata in data 15.1.2019 affermando che la domanda dei ricorrenti non può essere accolta in quanto vi osta l’art. 9, comma 21, secondo periodo, DL 31.5.2010 n. 78. Circa i dubbi di costituzionalità della suddetta norma ha richiamato la recente sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale pronunciata con riguardo all’art. 9, comma 21, terzo periodo, DL 31.5.2010 n. 78, i cui principi, possono essere estesi anche al secondo periodo del comma 21 del predetto art. 9. Ha chiesto, quindi, l’estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva in relazione ai ricorrenti transitati direttamente nella riserva post 31.12.2009 e il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di giudizio.
In data 22.1.2019 i ricorrenti hanno depositato memoria nella quale, preso atto del deposito della sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, DL 2010/78, hanno rilevato che i principi affermati nella suddetta sentenza non possono essere estesi al presente giudizio, principalmente in quanto la questione oggetto del presente giudizio si basa sulla disposizione del secondo periodo del medesimo comma 21 dell’art. 9 predetto della quale ribadiscono le censure di illegittimità.
All’udienza del 22 gennaio 2019, su istanza dei ricorrenti, è stato concesso un termine per il deposito dell’ordinanza della sezione Lombardia di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della stessa questione di legittimità formulata con il ricorso introduttivo. In data 6.2.2019 i ricorrenti hanno depositato una memoria con allegata copia dell’ordinanza n. 4/2019 con la quale la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 2010/78, conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2010/122; dell’art. 16, comma 1, lett. b) d.l. 2011/98 conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2011/111, come specificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR 2013/122; dell’art. 1, comma 256, L. 2014/190 anche in considerazione dell’art. 11, comma 7, D.lgs 2017/94 “per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dette norme, per il personale di cui all’art. 3 D.Lgs 2001/165, e successive modificazioni, cessato dal servizio dal omissis al omissis, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal omissis al omissis”.
Considerato in
DIRITTO
I ricorrenti chiedono la riliquidazione della pensione provvisoria o definitiva a far data dalla cessazione dal servizio, o quantomeno dal 1.1.2016, con gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo 1.1.2011-31.12.2015.
L’art. 9, comma 21, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, tuttavia, prevede che: “Per le categorie di personale di cui all’art. 3 D.Lgs n. 165 del 2001 ss.mm. che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, previsione estesa agli anni 2014 e 2015 dal DPR 122/2013 e dalla L. 190/2014. L’Amministrazione, pertanto, non ha riconosciuto ai ricorrenti le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate per il periodo 2011-2015.
E’ da escludere, innanzitutto, che le norme che hanno stabilito il predetto c.d. “blocco” si possano interpretare nel senso che la maturazione delle classi e degli scatti di stipendio non avvenga negli anni 2011-2015, ma a partire dal 1.1.2016. Tale interpretazione non è condivisibile in quanto la scelta del legislatore, con il “blocco” è stata quella di realizzare un taglio alla spesa, piuttosto che un rinvio, né la norma prevede il differimento del ricomputo a data successiva a quella coperta dal “blocco” e “se un incremento stipendiale…non è mai entrato nella base retributiva…e contributiva del ricorrente, non può dunque coerentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile” (sez. Lombardia, 7.6.2018 n. 120).
I ricorrenti hanno sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/2010, dell’art. 1, comma 1, lett. a) DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014. In merito, con la citata ordinanza n. 4/2019, la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha rimesso la questione della legittimità delle predette norme alla Corte costituzionale.
Ritiene questo Giudice che la questione debba essere risolta sulla base dei principi già dettati dalla Corte Costituzionale e ancora recentemente affermati con la sentenza n. 200/2018.
La legittimità di queste norme, infatti, è già stata affermata dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 304-310/2013; 178/2015; 96/2016 e 200/2018) in quanto la giurisprudenza costituzionale ha affermato che i sacrifici imposti ai dipendenti pubblici attraverso la previsione di blocchi stipendiali sono consentiti, purchè eccezionali e funzionali alle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli effetti dell’entrata in vigore dell’art. 11, comma 7, D.Lgs 94/2017 il quale dispone che “In fase di prima applicazione del presente decreto legislativo, gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato”.
Per effetto di tale norma, lamentano i ricorrenti, tutti gli ufficiali rimasti in servizio al 1° gennaio 2018 sono stati reinquadrati, recuperando così tutte le classi biennali stipendiali e le quote mensili, comprese quelle del periodo di blocco, mentre il blocco delle progressioni automatiche di stipendio varrebbe all’infinito per il personale andato in quiescenza dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017.
Tuttavia come si ritiene in giurisprudenza “La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale” (sez. Piemonte, 16.10.2018 n. 110).
Per quanto le citate pronunce della Corte Costituzionale abbiano riguardato l’art. 9, comma 21, terzo periodo (blocco degli aumenti retributivi derivanti da progressioni di carriera comunque disposte) “non v’è dubbio che i principi ivi affermati debbano ritenersi applicabili, per identità di ratio, anche alla disposizione recata dal secondo periodo dell’art. 9, comma 21 (blocco dei meccanismi di progressione automatica delle retribuzioni fondati su classi e scatti di stipendio) che forma oggetto di specifica disamina nel presente giudizio…non assume alcun significativo rilievo la circostanza che l’incremento stipendiale consegua a meccanismi di progressione automatica ovvero a progressioni di carriera comunque denominate, la previsione recata dal secondo periodo dell’art. 9, co. 21 del DL n. 78/2010, interpretata alla stregua dei criteri dettati dalla Corte Costituzionale con riferimento al terzo periodo della medesima norma, consente di escludere, per le posizioni degli odierni ricorrenti, la violazione del parametro costituzionale di uguaglianza rispetto alla posizione di coloro che sono stati collocati in quiescenza dopo la scadenza del periodo di blocco delle retribuzioni” (sez. Friuli Venezia Giulia, 12.12.2018 n. 111).
Il ricorso deve, quindi essere respinto.
La complessità della questione giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dai sigg. Della Valle Roberto, Di Domenicantonio Domenico, Ghiozzi Antonio, Marsili Umberto, Martorella Paolo, Pieroni Franco, Regali Diego, Scarfi Renato, Tiralongo Antonio, Ucciardello Antonio, respinge il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 19 febbraio 2019.
IL GIUDICE
f.to dott. Pia Manni
Depositato in Segreteria il 14/03/2019
Il Direttore della Segreteria
f.to Paola Altini
1) - I ricorrenti chiedono la riliquidazione della pensione provvisoria o definitiva a far data dalla cessazione dal servizio, o quantomeno dal 1.1.2016, con gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo 1.1.2011-31.12.2015.
2) - I ricorrenti hanno sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/2010, dell’art. 1, comma 1, lett. a) DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014. In merito, con la citata ordinanza n. 4/2019, la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha rimesso la questione della legittimità delle predette norme alla Corte costituzionale.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 123 Pubblicazione 14/03/2019
Sentenza
n. 123 /2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Pia Manni, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 61162 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 12.10.2018 e proposto dai Sigg.:
DELLA VALLE Roberto, nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
DI DOMENICANTONIO Domenico nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
GHIOZZI Antonio nato a OMISSIS, residente in Calcinaia (PI), OMISSIS
MARSILI Umberto nato a OMISSIS, residente Livorno, OMISSIS
MARTORELLA Paolo nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
PIERONI Franco nato a OMISSIS, residente in Livorno, OMISSIS
REGALI Diego nato a OMISSIS, residente in Vicchio (FI), OMISSIS
SCARFI Renato nato a OMISSIS, residente in San Giuliano Terme, OMISSIS
TIRALONGO Antonio nato a OMISSIS, residente in Collesalvetti (LI), OMISSIS
UCCIARDELLO Antonio nato a OMISSIS, residente in San Giuliano Terme (PI), OMISISS
tutti elettivamente domiciliati in Roma, via Giuseppe Ferrari 4, presso gli avv. ti Umberto Coronas e Salvatore Coronas per deleghe in calce al ricorso
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro della Difesa in carica pro tempore
INPS, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Firenze, viale Belfiore 28/a presso gli Avv.ti Ilario Maio e Marco Fallaci, che lo rappresentano e difendono in forza di procura generale alle liti del Presidente pro-tempore dell’Istituto
e nei confronti di
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica pro tempore
per
l’accertamento e la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad ottenere il ricalcolo del trattamento di quiescenza (provvisorio-inclusa l’indennità di ausiliaria e/o definitivo) dalla data di cessazione dal servizio o, quantomeno, dal 1.12016, da calcolare comprendendo nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti per ed in relazione al quinquennio 2011-2015, (inclusi quelli ex art. 24 L. 1998/448 ed ex art. 161 L. 19807312);
la condanna del Ministero della Difesa e dell’INPS, per quanto di rispettiva competenza, a rideterminare come sopra il trattamento di quiescenza spettante a ciascun ricorrente e a corrispondere ad ognuno le differenze dovute a tale titolo, con interessi legali e rivalutazione monetaria; previo annullamento di tutti gli atti ostativi alla pretesa dei ricorrenti comprese le determine del trattamento di quiescenza corrisposto a ciascuno dei ricorrenti e, per quanto occorra,
della Circolare del Ministero della Difesa, Direzione generale per il Personale Militare, prot. M D GMIL REG 2016 0146134 in data 8.3.2016 e la Circolare dello Stato Maggiore della Difesa, Centro Unico Stipendiale Interforze, prot. M D SSMD REG 2016 0075489 in data 25.5.2016;
previo annullamento di tutti gli atti di diniego della pretesa dei ricorrenti, comunicati e comunicandi, espressi e taciti, compresi:
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083586 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083684 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0083547 in data 28.6.2018;
il Foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale del Personale Militare, prot. M D GPREV REG 2018 0077497 in data 15.6.2018;
il Foglio del centro Unico Stipendiale dell’Esercito-CUSE prot. M D E25720 REEG 2018 0065313 del 27.7.2018;
previa, se del caso, rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 98/2011 e dell’art. 1, comma 1, lett. a) del DPR n. 122/2013 e dell’art. unico, comma 256, della legge n. 190/104 nella parte in cui hanno prorogato al 2014-15 il “blocco” ivi previsto.
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 19 febbraio 2019, celebrata con l’assistenza del Segretario Simonetta Agostini, l’avv. Maurizio Fino per delega dell’avv. Salvatore Coronas per i ricorrenti, l’avv. Antonella Francesca Paola Micheli per l’INPS, nessuno presente per il Ministero della Difesa e per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in
FATTO
I ricorrenti sono Ufficiali generali e Ufficiali Superiori dell’Esercito, della Marina, Corpo delle Capitanerie di Porto incluso e dell’Aeronautica, percettori in servizio del trattamento economico previsto per il personale dirigente del Comparto Sicurezza e Difesa. Lamentano i ricorrenti la mancata inclusione nel trattamento di quiescenza provvisorio e/o definitivo degli scatti stipendiali che non sono maturati nel quinquennio 2011-2015 per effetto del c.d. “blocco” determinato dall’art. 9, comma 21, d.l. 78/2010, conv. in L. 122/2010, e delle successive norme che hanno prorogato il blocco fino al 31.12.2015.
Nel quinquennio 2011-2015 le retribuzioni dei ricorrenti hanno subito il blocco stabilito dalle suddette norme. Nel corso del quinquennio tutti i ricorrenti sono anche cessati dal servizio per limiti di età, o a domanda, per essere prossimi i limiti di età, e sono stati collocati in posizione di ausiliaria o direttamente nella riserva. Il calcolo del trattamento di previdenza e di quiescenza (provvisorio e/o definitivo) dei ricorrenti è stato operato sulla base della retribuzione congelata all’ultima classe o scatto maturati prima dell’inizio del blocco, ossia anteriormente al 1.1.2011, sena tener conto di tutti gli incrementi retributivi spettanti dal 1.1.2011 in poi, fino alla data di cessazione dal servizio.
I ricorrenti hanno diffidato tra il 15.5.2018 e il 15.6.2018 il Ministero della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare e Direzione Generale per la Previdenza Militare e l’INPS a ricalcolare il trattamento di fine servizio e di quiescenza. Il Ministero della Difesa ha rigettato, esplicitamente o implicitamente, tutte le istanze e l’INPS non ha risposto.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno chiesto di accertare il diritto ad ottenere il ricalcolo del trattamento di quiescenza (provvisorio-inclusa l’indennità di ausiliaria e/o definitivo) dalla data di cessazione dal servizio o, quantomeno, dal 1.1.2016, da calcolare comprendendo nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti per ed in relazione al quinquennio 2011-2015, (inclusi quelli ex art. 24 L. 1998/448 ed ex art. 161 L. 19807312); la condanna del Ministero della Difesa e dell’INPS, per quanto di rispettiva competenza, a rideterminare come sopra il trattamento di quiescenza spettante a ciascun ricorrente e a corrispondere ad ognuno le differenze dovute a tale titolo, con interessi legali e rivalutazione monetaria; previo annullamento di tutti gli atti ostativi e di tutti gli atti di diniego alla pretesa dei ricorrenti e previa, se del caso, rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione, dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 98/2011 e dell’art. 1, comma 1, lett. a) del DPR n. 122/2013 e dell’art. unico, comma 256, della legge n. 190/104 nella parte in cui hanno prorogato al 2014-15 il “blocco” ivi previsto, con vittoria di spese e onorari di giudizio.
L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 17.12.2018. Sostiene l’Istituto che l’art. 9 d.l. 2010/78, conv. in l. 2010/122 si inserisce in un piano più ampio con il quale il legislatore ha inteso dettare misure urgenti per assicurare una maggiore stabilità a livello economico finanziario al paese. Il limite stabilito dalla predetta norma ha una valenza di carattere generale finalizzata a garantire l’invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento. Solo dal 1.1.2016 è intervenuto lo sblocco di tale situazione e sono ripresi gli aumenti contrattuali del pubblico impiego, le progressioni di carriera e il rinnovo perequativo delle pensioni. Tale ripresa ha interessato soltanto coloro che erano in servizio a quella data. Coloro che erano già cessati dal servizio non possono invece chiedere il riconoscimento di aumenti di classi e scatti stipendiali di anzianità di servizio che non sono maturate neppure per coloro che erano ancora in servizio alla data del 1.1.2016. Allo stesso modo quanto previsto dall’art. 11, comma 7, d.lgs 2017/94 interessa soltanto coloro che erano in servizio a tale data e non coloro che, come i ricorrenti, sono cessati dal servizio prima del 2018. Conseguentemente, secondo l’INPS, i ricorrenti, che sono cessati dal servizio nel corso della vigenza del blocco, non possono beneficiare, neanche ai fini pensionistici, degli aumenti stipendiali derivanti dai meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato in quanto i predetti meccanismi non si applicano per gli anni 2011-2015. Se così non fosse, il risparmio economico derivante dalla disposizione del blocco verrebbe vanificato. Quanto, infine, alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010 e delle successive norme che hanno prorogato il blocco, osserva il convenuto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata la questione.
Ha chiesto, quindi, in via preliminare il rigetto della domanda di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e, nel merito, il rigetto di tutte le domande e in ogni caso, il rigetto della domanda di condanna al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria e di somme arretrate con decorrenza anteriore al quinquennio della domanda, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite.
Il Ministero della Difesa si è costituito con memoria depositata in data 15.1.2019 affermando che la domanda dei ricorrenti non può essere accolta in quanto vi osta l’art. 9, comma 21, secondo periodo, DL 31.5.2010 n. 78. Circa i dubbi di costituzionalità della suddetta norma ha richiamato la recente sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale pronunciata con riguardo all’art. 9, comma 21, terzo periodo, DL 31.5.2010 n. 78, i cui principi, possono essere estesi anche al secondo periodo del comma 21 del predetto art. 9. Ha chiesto, quindi, l’estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva in relazione ai ricorrenti transitati direttamente nella riserva post 31.12.2009 e il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di giudizio.
In data 22.1.2019 i ricorrenti hanno depositato memoria nella quale, preso atto del deposito della sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, DL 2010/78, hanno rilevato che i principi affermati nella suddetta sentenza non possono essere estesi al presente giudizio, principalmente in quanto la questione oggetto del presente giudizio si basa sulla disposizione del secondo periodo del medesimo comma 21 dell’art. 9 predetto della quale ribadiscono le censure di illegittimità.
All’udienza del 22 gennaio 2019, su istanza dei ricorrenti, è stato concesso un termine per il deposito dell’ordinanza della sezione Lombardia di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della stessa questione di legittimità formulata con il ricorso introduttivo. In data 6.2.2019 i ricorrenti hanno depositato una memoria con allegata copia dell’ordinanza n. 4/2019 con la quale la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 2010/78, conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2010/122; dell’art. 16, comma 1, lett. b) d.l. 2011/98 conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2011/111, come specificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR 2013/122; dell’art. 1, comma 256, L. 2014/190 anche in considerazione dell’art. 11, comma 7, D.lgs 2017/94 “per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dette norme, per il personale di cui all’art. 3 D.Lgs 2001/165, e successive modificazioni, cessato dal servizio dal omissis al omissis, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal omissis al omissis”.
Considerato in
DIRITTO
I ricorrenti chiedono la riliquidazione della pensione provvisoria o definitiva a far data dalla cessazione dal servizio, o quantomeno dal 1.1.2016, con gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo 1.1.2011-31.12.2015.
L’art. 9, comma 21, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, tuttavia, prevede che: “Per le categorie di personale di cui all’art. 3 D.Lgs n. 165 del 2001 ss.mm. che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, previsione estesa agli anni 2014 e 2015 dal DPR 122/2013 e dalla L. 190/2014. L’Amministrazione, pertanto, non ha riconosciuto ai ricorrenti le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate per il periodo 2011-2015.
E’ da escludere, innanzitutto, che le norme che hanno stabilito il predetto c.d. “blocco” si possano interpretare nel senso che la maturazione delle classi e degli scatti di stipendio non avvenga negli anni 2011-2015, ma a partire dal 1.1.2016. Tale interpretazione non è condivisibile in quanto la scelta del legislatore, con il “blocco” è stata quella di realizzare un taglio alla spesa, piuttosto che un rinvio, né la norma prevede il differimento del ricomputo a data successiva a quella coperta dal “blocco” e “se un incremento stipendiale…non è mai entrato nella base retributiva…e contributiva del ricorrente, non può dunque coerentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile” (sez. Lombardia, 7.6.2018 n. 120).
I ricorrenti hanno sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/2010, dell’art. 1, comma 1, lett. a) DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014. In merito, con la citata ordinanza n. 4/2019, la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha rimesso la questione della legittimità delle predette norme alla Corte costituzionale.
Ritiene questo Giudice che la questione debba essere risolta sulla base dei principi già dettati dalla Corte Costituzionale e ancora recentemente affermati con la sentenza n. 200/2018.
La legittimità di queste norme, infatti, è già stata affermata dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 304-310/2013; 178/2015; 96/2016 e 200/2018) in quanto la giurisprudenza costituzionale ha affermato che i sacrifici imposti ai dipendenti pubblici attraverso la previsione di blocchi stipendiali sono consentiti, purchè eccezionali e funzionali alle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli effetti dell’entrata in vigore dell’art. 11, comma 7, D.Lgs 94/2017 il quale dispone che “In fase di prima applicazione del presente decreto legislativo, gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato”.
Per effetto di tale norma, lamentano i ricorrenti, tutti gli ufficiali rimasti in servizio al 1° gennaio 2018 sono stati reinquadrati, recuperando così tutte le classi biennali stipendiali e le quote mensili, comprese quelle del periodo di blocco, mentre il blocco delle progressioni automatiche di stipendio varrebbe all’infinito per il personale andato in quiescenza dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017.
Tuttavia come si ritiene in giurisprudenza “La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale” (sez. Piemonte, 16.10.2018 n. 110).
Per quanto le citate pronunce della Corte Costituzionale abbiano riguardato l’art. 9, comma 21, terzo periodo (blocco degli aumenti retributivi derivanti da progressioni di carriera comunque disposte) “non v’è dubbio che i principi ivi affermati debbano ritenersi applicabili, per identità di ratio, anche alla disposizione recata dal secondo periodo dell’art. 9, comma 21 (blocco dei meccanismi di progressione automatica delle retribuzioni fondati su classi e scatti di stipendio) che forma oggetto di specifica disamina nel presente giudizio…non assume alcun significativo rilievo la circostanza che l’incremento stipendiale consegua a meccanismi di progressione automatica ovvero a progressioni di carriera comunque denominate, la previsione recata dal secondo periodo dell’art. 9, co. 21 del DL n. 78/2010, interpretata alla stregua dei criteri dettati dalla Corte Costituzionale con riferimento al terzo periodo della medesima norma, consente di escludere, per le posizioni degli odierni ricorrenti, la violazione del parametro costituzionale di uguaglianza rispetto alla posizione di coloro che sono stati collocati in quiescenza dopo la scadenza del periodo di blocco delle retribuzioni” (sez. Friuli Venezia Giulia, 12.12.2018 n. 111).
Il ricorso deve, quindi essere respinto.
La complessità della questione giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dai sigg. Della Valle Roberto, Di Domenicantonio Domenico, Ghiozzi Antonio, Marsili Umberto, Martorella Paolo, Pieroni Franco, Regali Diego, Scarfi Renato, Tiralongo Antonio, Ucciardello Antonio, respinge il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 19 febbraio 2019.
IL GIUDICE
f.to dott. Pia Manni
Depositato in Segreteria il 14/03/2019
Il Direttore della Segreteria
f.to Paola Altini
Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"
Ricorso dichiarato estinto
1) - determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all'attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il c.d. "blocco retributivo"
----------------------------------------------------------------
Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE VENETO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 50 Pubblicazione 11/04/2019
N. 50/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,
nella pubblica udienza del giorno 09-04-2019, ha pronunziato
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30581, del registro di segreteria, proposto con ricorso da:
D. S. M., nato a Omissis rappresentato e difeso dall'avv. Mario Bacci, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, Via Luigi Capuana n. 207. RICORRENTE
contro
Ministero dell'Economia e Finanza, domiciliato ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia
e contro
Comando Generale della Guardia di Finanza, domiciliato ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia
e contro
I.N.P.S. (quale successore universale dell’I.N.P.D.A.P., ex art. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214), in persona del Direttore legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Filippo Doni, con il quale è elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale INPS di Venezia, Dorsoduro 3500/d,
RESISTENTE
Per il riconoscimento del diritto, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all'attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il c.d. "blocco retributivo", perpetrato ad opera dell'art. 9, comma 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, a far data dalla cessazione del regime di blocco dal 1° gennaio 2015, oltre interessi legali e rivalutazione fino all'effettivo soddisfo;
in via subordinata, disporre la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione, dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 nella parte in cui stabilisce che "le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011,2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici"; dell'art. 16, comma 1 lett. b) del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, che ha successivamente prorogato il predetto termine all'anno 2014, qualora dette norme siano interpretate nel senso di "cristallizzare", alla data del 31/12/2010, il trattamento economico utile ai fini della determinazione della base pensionabile per i pubblici dipendenti di cui all'art. 3 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, cessati dal servizio, per età, nel periodo del 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2014, i quali abbiano conseguito avanzamenti di carriera nello stesso periodo.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.
VISTO il codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.
ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 21/03/2018, parte ricorrente ha chiesto a questa Corte dei Conti quanto indicato in epigrafe.
La Guardia di Finanza, con nota del 9/4/2018 ha trasmesso copia del fascicolo amministrativo, mentre con memoria del 21/6/2018, ha chiesto il rigetto del ricorso, con condanna della controparte alle spese di giudizio ex artt. 91 e 96 c.p.c., in subordine, ha eccepito la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2 della legge n.428/85, per i ratei precedentemente maturati.
La difesa dell’I.N.P.S. (ex I.N.P.D.A.P.), con memoria del 27-7-2018, ha formulato le seguenti conclusioni: preliminarmente: dichiararsi parte ricorrente decaduta dal diritto di chiedere il ricalcolo del trattamento oggetto di causa; pregiudizialmente: dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del resistente Istituto, in quanto spetta esclusivamente all'Ente datore di lavoro comunicare le retribuzioni rilevanti ai fini pensionistici; nel merito: rigettarsi l'avverso ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto, e comunque non provato; nel merito, in via subordinata:
computarsi tutta l'eventuale maggior contribuzione utile in quota B, in quanto il periodo si sarebbe svolto tutto successivamente al 2011;
- computarsi solo le retribuzioni virtuali in ipotesi maturate alla data di cessazione del rapporto di impiego;
- ridursi la condanna per gli accessori del credito alla maggior misura tra rivalutazione ed interessi legali, con esclusione di ogni anatocismo.
La Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, con memoria depositata il 29 agosto 2018, ha chiesto il rigetto del ricorso perché assolutamente infondato, con condanna della controparte alle spese di giudizio ex artt. 91 e 96 c.p.c..
La parte ricorrente, con memoria depositata il 10 settembre 2018, chiede la sospensione c.d. impropria ex art. 295 c.p.c. del giudizio pensionistico, segnalando che il giorno 20 giugno 2018 la Corte Costituzionale ha trattato la questione relativa alla legittimità costituzionale dell'art. art. 9, c. 21°, terzo periodo, decreto-legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30/07/2010, n. 122; art. 16, c. 1° lett. b), decreto-legge 06/07/2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15/07/2011, n. 111, come specificato da art. 1, c. 1°, lett a), primo periodo, decreto Presidente della Repubblica del 04/09/2013, n. 1, sollevata dalla Corte dei Conti per la Regione Liguria con ordinanza 13 gennaio 2017, ma che ad oggi non risulta ancora pubblicata la sentenza.
Con ordinanza n. 48 del 2018 ha disposto la sospensione del processo pensionistico, ai sensi dell’art. 106, comma 1, del codice di giustizia contabile, sino alla definizione del giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza della Corte dei conti.
Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale, la causa veniva posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione sollevata dall'Istituto previdenziale di decadenza del diritto del ricorrente alla modifica del provvedimento definitivo di pensione per violazione del termine triennale previsto dall’art. 205 del DPR 1092/73.
Secondo la tesi dell’INPS il ricorrente sarebbe decaduto dalla possibilità di chiedere la riliquidazione, perché il decreto 205 del 04/09/2008 è stato applicato nel marzo 2011 e comunicato al pensionato con nota del 05/04/2011, mentre la domanda giudiziale è stata notificata all'Istituto solo in data 27/04/2016.
Ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d), del Codice di giustizia contabile (approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 174), per la valutazione della fondatezza della eccezione di decadenza rinvia a quanto già statuito da questa Sezione con la sentenza n. 210 del 2016, da cui non ha motivo di discostarsi.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, condivisa da questo Giudice, (Sez. II d'Appello, sent. n. 132 del 2016; Sez. Veneto, sent. n. 210 del 2016) i termini di decadenza stabiliti dall'art. 205 del DPR n. 1092 del 1973, riguardano solo la fase del ricorso amministrativo e non quella giudiziaria davanti alla Corte dei Conti.
Il termine triennale di decadenza è un limite per la tutela in sede amministrativa, ma non pregiudica il diritto a ricorrere in sede giurisdizionale, il cui esercizio è regolato dal codice di giustizia contabile.
Ai sensi dell’art. 307, comma 3, c.p.c.:
“Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresi' qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.”
Ai sensi dell’art. 107, comma 1, del codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo n. 174 del 2016 (Prosecuzione o riassunzione di processo sospeso):
“I. Salva l'ipotesi di regolamento di competenza proposto ai sensi dell'articolo 119, se con il provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia di cui all'articolo 106, comma 1, le parti debbono chiedere al giudice, che provvede con decreto, la fissazione d'udienza in prosecuzione”.
Inoltre l’art. 111, comma 1, del c.g.c. (Estinzione del processo):
I. “Oltre che nei casi previsti dall'articolo 110, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.
Nel caso di specie il giudizio proviene dalla precedente ordinanza n. 48 del 2018 di questa Sezione con cui il Giudice ha disposto la sospensione del presente giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale ed ha assegnato alle parti, per la riassunzione del processo, il termine di tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della decisione della Corte costituzionale (avvenuta il 6 dicembre 2017).
Entro il termine perentorio previsto (nella fattispecie il 6 marzo 2018), non risulta depositato agli atti di questo giudizio l’atto di riassunzione, pertanto ai sensi dell’art. 111, comma 4, del c.g.c.:
“L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con sentenza”.
A riguardo si rileva che la estinzione del giudizio può essere evitata solo con il deposito tempestivo dell’atto di riassunzione (Corte dei conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 4/QM/2013).
Mentre ai sensi dell’art. 111, comma 8, del c.g.c.:
“Le spese del giudizio estinto restano a carico delle parti che le hanno sostenute”.
In applicazione dell’art. 429 c.p.c., come modificato dall’art. 53 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 13 (cfr. art. 56 D.L. citato), nel caso in esame si rende necessaria la fissazione di un termine di 20 giorni per il deposito della sentenza comprensiva della motivazione.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
DICHIARA
L’estinzione del presente giudizio.
Spese di giudizio a carico delle parti che le hanno sostenute.
Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Venezia, il 09-04-2018.
IL GIUDICE
F.to (Cons. Maurizio Massa)
Depositata in Segreteria 11/04/2019
p. Il Funzionario preposto
Dott.ssa Cristina Guarino
1) - determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all'attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il c.d. "blocco retributivo"
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE VENETO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 50 Pubblicazione 11/04/2019
N. 50/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,
nella pubblica udienza del giorno 09-04-2019, ha pronunziato
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30581, del registro di segreteria, proposto con ricorso da:
D. S. M., nato a Omissis rappresentato e difeso dall'avv. Mario Bacci, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, Via Luigi Capuana n. 207. RICORRENTE
contro
Ministero dell'Economia e Finanza, domiciliato ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia
e contro
Comando Generale della Guardia di Finanza, domiciliato ex lege presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia
e contro
I.N.P.S. (quale successore universale dell’I.N.P.D.A.P., ex art. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214), in persona del Direttore legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Filippo Doni, con il quale è elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale INPS di Venezia, Dorsoduro 3500/d,
RESISTENTE
Per il riconoscimento del diritto, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all'attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il c.d. "blocco retributivo", perpetrato ad opera dell'art. 9, comma 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, a far data dalla cessazione del regime di blocco dal 1° gennaio 2015, oltre interessi legali e rivalutazione fino all'effettivo soddisfo;
in via subordinata, disporre la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione, dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 nella parte in cui stabilisce che "le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011,2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici"; dell'art. 16, comma 1 lett. b) del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, che ha successivamente prorogato il predetto termine all'anno 2014, qualora dette norme siano interpretate nel senso di "cristallizzare", alla data del 31/12/2010, il trattamento economico utile ai fini della determinazione della base pensionabile per i pubblici dipendenti di cui all'art. 3 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, cessati dal servizio, per età, nel periodo del 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2014, i quali abbiano conseguito avanzamenti di carriera nello stesso periodo.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.
VISTO il codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.
ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 21/03/2018, parte ricorrente ha chiesto a questa Corte dei Conti quanto indicato in epigrafe.
La Guardia di Finanza, con nota del 9/4/2018 ha trasmesso copia del fascicolo amministrativo, mentre con memoria del 21/6/2018, ha chiesto il rigetto del ricorso, con condanna della controparte alle spese di giudizio ex artt. 91 e 96 c.p.c., in subordine, ha eccepito la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2 della legge n.428/85, per i ratei precedentemente maturati.
La difesa dell’I.N.P.S. (ex I.N.P.D.A.P.), con memoria del 27-7-2018, ha formulato le seguenti conclusioni: preliminarmente: dichiararsi parte ricorrente decaduta dal diritto di chiedere il ricalcolo del trattamento oggetto di causa; pregiudizialmente: dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del resistente Istituto, in quanto spetta esclusivamente all'Ente datore di lavoro comunicare le retribuzioni rilevanti ai fini pensionistici; nel merito: rigettarsi l'avverso ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto, e comunque non provato; nel merito, in via subordinata:
computarsi tutta l'eventuale maggior contribuzione utile in quota B, in quanto il periodo si sarebbe svolto tutto successivamente al 2011;
- computarsi solo le retribuzioni virtuali in ipotesi maturate alla data di cessazione del rapporto di impiego;
- ridursi la condanna per gli accessori del credito alla maggior misura tra rivalutazione ed interessi legali, con esclusione di ogni anatocismo.
La Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, con memoria depositata il 29 agosto 2018, ha chiesto il rigetto del ricorso perché assolutamente infondato, con condanna della controparte alle spese di giudizio ex artt. 91 e 96 c.p.c..
La parte ricorrente, con memoria depositata il 10 settembre 2018, chiede la sospensione c.d. impropria ex art. 295 c.p.c. del giudizio pensionistico, segnalando che il giorno 20 giugno 2018 la Corte Costituzionale ha trattato la questione relativa alla legittimità costituzionale dell'art. art. 9, c. 21°, terzo periodo, decreto-legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30/07/2010, n. 122; art. 16, c. 1° lett. b), decreto-legge 06/07/2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15/07/2011, n. 111, come specificato da art. 1, c. 1°, lett a), primo periodo, decreto Presidente della Repubblica del 04/09/2013, n. 1, sollevata dalla Corte dei Conti per la Regione Liguria con ordinanza 13 gennaio 2017, ma che ad oggi non risulta ancora pubblicata la sentenza.
Con ordinanza n. 48 del 2018 ha disposto la sospensione del processo pensionistico, ai sensi dell’art. 106, comma 1, del codice di giustizia contabile, sino alla definizione del giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza della Corte dei conti.
Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale, la causa veniva posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione sollevata dall'Istituto previdenziale di decadenza del diritto del ricorrente alla modifica del provvedimento definitivo di pensione per violazione del termine triennale previsto dall’art. 205 del DPR 1092/73.
Secondo la tesi dell’INPS il ricorrente sarebbe decaduto dalla possibilità di chiedere la riliquidazione, perché il decreto 205 del 04/09/2008 è stato applicato nel marzo 2011 e comunicato al pensionato con nota del 05/04/2011, mentre la domanda giudiziale è stata notificata all'Istituto solo in data 27/04/2016.
Ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d), del Codice di giustizia contabile (approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 174), per la valutazione della fondatezza della eccezione di decadenza rinvia a quanto già statuito da questa Sezione con la sentenza n. 210 del 2016, da cui non ha motivo di discostarsi.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, condivisa da questo Giudice, (Sez. II d'Appello, sent. n. 132 del 2016; Sez. Veneto, sent. n. 210 del 2016) i termini di decadenza stabiliti dall'art. 205 del DPR n. 1092 del 1973, riguardano solo la fase del ricorso amministrativo e non quella giudiziaria davanti alla Corte dei Conti.
Il termine triennale di decadenza è un limite per la tutela in sede amministrativa, ma non pregiudica il diritto a ricorrere in sede giurisdizionale, il cui esercizio è regolato dal codice di giustizia contabile.
Ai sensi dell’art. 307, comma 3, c.p.c.:
“Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresi' qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.”
Ai sensi dell’art. 107, comma 1, del codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo n. 174 del 2016 (Prosecuzione o riassunzione di processo sospeso):
“I. Salva l'ipotesi di regolamento di competenza proposto ai sensi dell'articolo 119, se con il provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia di cui all'articolo 106, comma 1, le parti debbono chiedere al giudice, che provvede con decreto, la fissazione d'udienza in prosecuzione”.
Inoltre l’art. 111, comma 1, del c.g.c. (Estinzione del processo):
I. “Oltre che nei casi previsti dall'articolo 110, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.
Nel caso di specie il giudizio proviene dalla precedente ordinanza n. 48 del 2018 di questa Sezione con cui il Giudice ha disposto la sospensione del presente giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale ed ha assegnato alle parti, per la riassunzione del processo, il termine di tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della decisione della Corte costituzionale (avvenuta il 6 dicembre 2017).
Entro il termine perentorio previsto (nella fattispecie il 6 marzo 2018), non risulta depositato agli atti di questo giudizio l’atto di riassunzione, pertanto ai sensi dell’art. 111, comma 4, del c.g.c.:
“L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con sentenza”.
A riguardo si rileva che la estinzione del giudizio può essere evitata solo con il deposito tempestivo dell’atto di riassunzione (Corte dei conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 4/QM/2013).
Mentre ai sensi dell’art. 111, comma 8, del c.g.c.:
“Le spese del giudizio estinto restano a carico delle parti che le hanno sostenute”.
In applicazione dell’art. 429 c.p.c., come modificato dall’art. 53 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 13 (cfr. art. 56 D.L. citato), nel caso in esame si rende necessaria la fissazione di un termine di 20 giorni per il deposito della sentenza comprensiva della motivazione.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
DICHIARA
L’estinzione del presente giudizio.
Spese di giudizio a carico delle parti che le hanno sostenute.
Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Venezia, il 09-04-2018.
IL GIUDICE
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