La CdC respinge il ricorso del ricorrente
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- promozione conseguita alla qualifica superiore
- Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012
1) - In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
La CdC scrive:
2) - Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 94 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13970 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
R. C. , nato il omissis ad omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC:
mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. R. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
Lamenta al riguardo che, viceversa, l’INPS ha determinato l’importo della pensione spettantegli assumendo come parametro la qualifica di Dirigente superiore. In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
Rispetto alla summenzionata disposizione il ricorrente richiama a sostegno delle proprie ragioni una recente pronuncia di questa Corte (Sez. giur. Sicilia n. 652/2016), nella quale si è affermato che i vincoli da essa posti sul piano retributivo non concernono, invece, il trattamento pensionistico per il quale dunque deve dispiegare i propri effetti la promozione conseguita alla qualifica superiore.
Chiamata la causa nella pubblica udienza del 13/06/2018, questo Giudice rilevava l’erroneità della notificazione del ricorso, non conforme alla previsione di cui all’art. 155 c.g.c. e disponeva, pertanto, con ordinanza a verbale il rinnovo della stessa, rinviando la trattazione del giudizio all’udienza del 17/10/2018.
Con memoria depositata in data 05/10/2018 si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo la reiezione del ricorso sulla base di un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, pone in rilievo come la promozione conseguita dal ricorrente alla vigilia del pensionamento sia stata certamente assoggettata alla previsione limitativa di cui all’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, producendo soltanto effetti giuridici, con la conseguenza che questi non ha mai concretamente percepito la maggior retribuzione prevista per la qualifica di Dirigente generale e, quindi, non ricorrono i presupposti di cui all’art. 53 del T.U. n. 1092/1973 per valorizzare il più alto grado in termini economici nel calcolo della pensione.
Secondariamente segnala che, a fronte del precedente di questa Corte citato dal ricorrente, si registrano decisioni più recenti di segno contrario sia in primo grado che in Appello: in particolare richiama la sentenza della Sezione II centrale d’Appello n. 409/2018, nella quale si è affermato appunto che la progressione di carriera in questione rientra in quelle sottoposte alla limitazione dell’efficacia ai soli fini giuridici.
In fine, l’Istituto previdenziale evidenzia come – sul piano strettamente economico – il riconoscimento della pretesa attorea comporterebbe l’attribuzione di un trattamento pensionistico superiore a quello di colleghi di pari grado, collocati in quiescenza con il sistema retributivo fino al 31/12/2011: per effetto della legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011), infatti, il sig. R. ha conseguito una terza quota di pensione, calcolata con il metodo contributivo, con riferimento al periodo gennaio-aprile 2012, la quale è altresì soggetta alla consistente rivalutazione prevista dall’art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997 (“Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione.
Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”).
Chiamata la causa nella pubblica udienza odierna, l’avv. Barca ha confermato le ragioni per l’accoglimento dell’impugnativa, a sostegno delle quali ha riportato due recenti pronunce favorevoli del Tribunale amministrativo del Lazio, che hanno riconosciuto la spettanza del trattamento retributivo commisurato alla qualifica di Direttore generale, giudicando esclusa la tipologia di promozione in discussione (di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005) dalla limitazione degli effetti ai soli fini giuridici, in quanto direttamente disposta dalla legge. L’avv. Iero, nell’interesse dell’INPS, pur prendendo atto di tali pronunce, ha ribadito la rilevanza nel caso in esame del diverso orientamento determinatosi presso il giudice contabile.
L’avv. Barca è stato autorizzato al deposito in udienza delle citate sentenze (TAR Lazio, sez. I ter, n. 02024/2017; TAR Lazio, sez. I quater, n. 09440/2018).
Considerato in
DIRITTO
Il ricorso non può essere accolto, alla luce della normativa applicabile al caso e della interpretazione della stessa offerta nella più recente giurisprudenza di questa Corte.
In primo luogo, giova richiamare il testo della previsione su cui si basa l’impugnativa, ovverosia l’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005, a norma del quale “In conseguenza di quanto previsto dal comma 259, a decorrere dal 1° gennaio 2006, sono attribuiti: a) ai dirigenti generali di pubblica sicurezza con almeno quattro anni nella qualifica al momento della cessazione dal servizio, il trattamento di quiescenza, normale e privilegiato, e l'indennità di buonuscita spettanti ai dirigenti generali di pubblica sicurezza di livello B, con analoga anzianità di servizio; b) ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio.”
Rispetto alla formulazione del testo può notarsi come, mentre nella lettera a) il legislatore ha stabilito espressamente un’equiparazione piena del trattamento di quiescenza e di fine servizio dei dirigenti generali di P.S. con almeno quattro di anzianità nella qualifica con quello dei dirigenti generali di livello B; invece, nella lettera b), per i dirigenti superiori con almeno cinque di anzianità, ha introdotto soltanto una progressione di qualifica alla vigilia del pensionamento.
Lo specifico tenore di tale seconda previsione va posto necessariamente in correlazione con le norme successivamente adottate dal legislatore medesimo per il contenimento della spesa pubblica e, in particolare, con l’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010 secondo cui “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”
Questa disposizione, infatti, si presenta chiaramente finalizzata ad impedire nel triennio 2011-2013 l’operatività economica dei principali strumenti di incremento delle retribuzioni del personale non contrattualizzato (art. 3, D.lgs. n. 165/2001): “meccanismi di adeguamento”, “progressioni automatiche degli stipendi”, “progressioni di carriera comunque denominate”. [detta ratio legis è esplicitata altresì nel precedente comma 1 della norma: “Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto previsto dal comma 17, secondo periodo, e dall'articolo 8, comma 14”.]
Con riguardo al caso in esame va posto l’accento sul carattere onnicomprensivo del riferimento alle progressioni di carriera, che non si reputa lasci spazio ad alcuna diversificazione di interpretazione in ragione della natura delle medesime: ciò in particolare nel senso che risultano assoggettate al limite di efficacia tutte le forme di progressione, siano esse disposte dalle amministrazioni secondo le rispettive procedure, ovvero discendano direttamente da previsioni di legge. L’espressione “comunque denominate”, infatti, ha un significato obiettivamente volto a riguardare ogni possibile meccanismo di avanzamento, al fine di sterilizzarne gli effetti economici.
Va ricordato, inoltre, che tale misura di contenimento della spesa è stata prorogata al 31/12/2014 con l’art. 1, lett. a) del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013 (“1. In attuazione a quanto previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111: a) le disposizioni recate dall'articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2014.”). Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Le osservazioni che precedono portano questo Giudice a ritenere che la previsione di cui ha beneficiato il ricorrente sia foriera esclusivamente di effetti giuridici ed in tal senso si è correttamente orientata l’amministrazione dell’interno, che non ha corrisposto al ricorrente alcun emolumento riconducibile alla qualifica di dirigente generale: da ciò consegue, altrettanto fisiologicamente, che nessuna valorizzazione di tale maggior qualifica può essere disposta a fini pensionistici, imponendosi il rispetto del principio generale posto nell’art. 53 del D.P.R. n. 1092/1973, per il quale “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, escluso quello indicato nell'articolo 54, penultimo comma, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento….”.
Nei descritti termini non può, dunque, essere condivisa la lettura della normativa offerta nel precedente di questa Corte del 2016, richiamato da parte attrice, secondo cui – viceversa - la limitazione ai soli effetti giuridici della progressione di carriera in esame non opererebbe sul piano pensionistico, poiché induce in via interpretativa una cesura, non ammissibile, tra emolumenti percepiti in servizio e base pensionabile, consentendo di valorizzare nella seconda un trattamento retributivo mai effettivamente conseguito. Sul punto deve piuttosto ribadirsi – riprendendo le affermazioni rese dalla Sezione II centrale d’Appello nella sentenza n. 409/2018 – come i commi 1 e 21 del citato art. 9 del D.L. n. 78/2010 <<..debbano essere letti ed interpretati in chiave sistematica, avuto riguardo alla ratio complessiva della norma quale esplicitata più volte dalla Corte Costituzionale, …. (v. sentt. C. Cost. 304 e 310/2013, 154/2014). Ed invero, il legislatore ha inteso conseguire un risparmio della spesa in materia di pubblico impiego, congelando “il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio” da erogarsi nel triennio 2011-2013 (poi esteso a tutto il 2014), nell’importo pari a quello “ordinariamente spettante per il 2010”, importo che non avrebbe potuto “in ogni caso” essere superato (v. art. 9 comma 1). La “cristallizzazione” così operata al 2010, è stata evidentemente concepita come omnicomprensiva, investendo il trattamento economico dei dipendenti pubblici complessivamente considerato, vale a dire nelle sue componenti principali ed accessorie.>> Da tale opzione ermeneutica consegue, invero, il riconoscimento che <<la promozione al grado superiore rientri, inequivocabilmente tra “le progressioni di carriera” che ai sensi del citato comma 21 “hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”. Ciò stante, il suddetto avanzamento di grado, riconosciuto a detti fini, non può produrre alcun effetto economico sicché il relativo parametro stipendiale non spetta perché espressamente vietato dalla citata disposizione normativa.>>
L’interpretazione prospettata dal Giudice di secondo grado (cfr. in termini, Sez. giur. Toscana, sent. n. 133/2018) va condivisa anche sotto il profilo della rispondenza ai principi reiteratamente declinati dalla Corte Costituzionali in tema di ammissibilità di trattamenti retributivi/previdenziali differenziati, laddove legati a non irrazionali scelte legislative di necessario contenimento della spesa pubblica. In particolare, sull’art. 1, commi 9 e 21, il Giudice delle leggi ha reso più di una pronuncia, sempre riconoscendo il non irragionevole esercizio della discrezionalità da parte del legislatore [cfr. sentenza n. 304/2013, in cui si è affermato che “la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”].
Peraltro, risulta di precipuo rilievo in relazione alla questione della disparità di trattamento dei dipendenti soggetti al blocco dei miglioramenti retributivi rispetto ai colleghi esenti, l’ultima pronuncia resa dalla Corte in questa materia (sent. n. 154/2014): ivi si afferma che “Con specifico riferimento alla disparità di trattamento con i colleghi che hanno raggiunto il grado superiore o maturato l’anzianità prima del 2011, viene in rilievo uno degli elementi cui è connessa la disciplina economica del rapporto. Infatti coloro che si sono visti riconoscere il migliore trattamento retributivo hanno raggiunto il grado superiore o maturato la maggiore anzianità di servizio prima rispetto ai ricorrenti nel giudizio a quo, per i quali tali condizioni si sono verificate a partire dal 1° gennaio 2011. Come già affermato da questa Corte, ciò costituisce un elemento che di per sé può giustificare un diverso trattamento retributivo (sentenza n. 304 del 2013). In particolare, si è ritenuto che non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013).”
Con riguardo alla fattispecie in esame risulta altrettanto significativa la statuizione del Giudice delle leggi con cui si è disattesa l’asserita violazione dell’art. 36 Cost., poiché si è ribadito che, rispetto a tale parametro costituzionale, il giudizio sulla norma scrutinata “non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n. 304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994)”.
Deve infatti notarsi, sul punto, che la difesa dell’INPS ha sottolineato come il ricorrente – cui si applica, per il periodo gennaio-aprile 2012 la legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011) e, contestualmente, il peculiare meccanismo di supervalutazione dei periodi di anzianità maturati secondo il sistema contributivo (art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997) - ove conseguisse anche la valorizzazione a fini pensionistici della promozione alla qualifica di dirigente generale, otterrebbe un trattamento di quiescenza superiore ai colleghi di pari grado collocati in pensione con il sistema retributivo entro il 31/12/2011. In ciò emergendo l’effetto distorsivo, che conseguirebbe alla “forzatura ermeneutica” del dato normativo, in tal modo portato “fuori” dal sistema ordinamentale in cui è inserito.
Quanto sin qui osservato, infine, conduce questo Giudice a ritenere non percorribile la diversa interpretazione dell’art. 9, comma 21 del D.L. n. 78/2010, prospettata dal Giudice amministrativo in recenti sentenze – allegate dal ricorrente - secondo cui la promozione alla qualifica di dirigente generale di P.S. di cui all’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005 non rientra nel novero delle progressioni di carriera sottoposte al limite di efficacia ivi previsto, poiché discende direttamente dalla legge e non dalle ordinarie procedure amministrative di avanzamento professionale. Né persuade, ancorché si presenti suggestivo, l’ulteriore assunto per il quale il blocco di ogni effetto economico della promozione si tradurrebbe a carico dei soggetti interessati in un vincolo, non transeunte, ma permanente sul versante pensionistico.
Il tenore assolutamente generale della norma limitativa (i cui effetti sono stati estesi al 31/12/2014), la successiva abrogazione della promozione in questione dall’1/01/2015, la lettura sistematica e costituzionalmente conforme del quadro normativo offerta dal Giudice delle leggi, nonché gli effetti sostanzialmente distorsivi nei rapporti tra dipendenti di pari grado che deriverebbero dall’accoglimento di tale tesi ricostruttiva suffragano pienamente, infatti, il consolidamento dell’indirizzo negativo espresso dalla Sezione centrale II d’appello di questa Corte.
Da ultimo va sottolineato che anche presso il medesimo Giudice amministrativo sono state rese affermazioni di diverso segno, essendosi statuito che “una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore dei ricorrenti, i successivi effetti sulla quantificazione del trattamento pensionistico assumono carattere necessitato, costituendo la naturale conseguenza dell’applicazione delle particolari norme di favore di cui beneficia il personale diplomatico, per il quale la pensione e l’indennità di fine rapporto sono parametrate all’ultima retribuzione percepita al momento della cessazione dal servizio. Non viene in considerazione, in sostanza, l’introduzione di un blocco o di un prelievo su entrate previdenziali già percepite, rispetto alle quali si potrebbe astrattamente porre la questione della natura non transitoria del sacrificio imposto legislativamente al lavoratore in quiescenza, in termini simili a quelli paventati nelle difese formulate dai ricorrenti.” (TAR Lazio, sez. I, sent. n. 05672/2017).
Alla luce delle motivazioni esposte il ricorso va dunque respinto.
La complessità delle questioni trattate e l’evoluzione della pertinente giurisprudenza consentono di disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle pensioni, definitivamente pronunciando nei termini di cui in motivazione, respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Il Giudice
Cons. Giulia De Franciscis
f.to
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Trieste, 6 novembre 2018
Il Direttore della Segreteria
(Dott.ssa Anna De Angelis)
f.to