Re: Perdita dello stato militare.
Inviato: gio apr 02, 2015 8:09 pm
da panorama
1) - danno all’erario conseguente a condotta integrante il reato di concussione ( mutamento della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, da perpetua a temporanea. + danno immagine )
2) - Quanto al fatto materiale causativo del danno, il giudicato penale ha riconosciuto il convenuto responsabile del delitto di concussione consumata ex art. 317 c.p., in quanto, nella veste di capo ufficio diporto dell’ufficio circondariale marittimo, abusando della qualità di pubblico ufficiale e dei poteri in concreto rivestiti (tempistica di trattazione delle pratica, con rilascio di certificato provvisorio per la circolazione), in più occasioni (circa 30 tra la primavera del 2003 all’estate del 2006), costringeva o comunque induceva un privato (OMISSIS) titolare di un’agenzia nautica a corrispondere euro 100,00 a pratica.
3) - la Corte di Cassazione con sentenza dell’11/2/2013, confermando la sentenza della Corte d’Appello, salva la rideterminazione della pena della reclusione in anni 2 e mesi 2 e il mutamento della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, da perpetua a temporanea.
4) - la Procura presso questa Sezione, ravvisando gli estremi della responsabilità amministrativa per danno all’erario, ha notificato al OMISSIS invito a dedurre, evidenziando l’intervenuto giudicato penale sulla vicenda e la sua vincolatività ai fini della responsabilità amministrativa, e quantificando il conseguente danno all’immagine in euro 8.000.
Ricorso RESPINTO
Il resto leggetelo qui sotto.
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VENETO SENTENZA 196 21/10/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 196 2014 RESPONSABILITA' 21/10/2014
N. 196/2014
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL VENETO
Composta dai Sigg. ri Magistrati
Angelo Buscema Presidente
Natale Longo …………… Giudice estensore
Giuseppina Mignemi Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 29682 del registro di Segreteria, promosso dal Vice Procuratore Generale presso questa Sezione dott. Giancarlo Di Maio nei confronti di OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, elettivamente domiciliato presso il proprio studio in Venezia OMISSIS.
Visto l’atto introduttivo del giudizio, la memoria di costituzione, gli altri atti e documenti tutti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 15 ottobre 2014, con l’assistenza del segretario sig.ra Elisabetta Bruni, il Giudice relatore, dott. Natale Longo, il vice Procuratore Generale, dott. Giancarlo Di Maio, l’avv. OMISSIS in rappresentanza di OMISSIS.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione depositato il 24.10.2013 (ritualmente notificato con il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza) la Procura Regionale della Corte dei conti per il Veneto conveniva, dinanzi questa Sezione Giurisdizionale, il signor OMISSIS, per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell’Amministrazione dello Stato-Ministero della Difesa, della somma di €. 8.000 (o, in subordine, alla somma di €. 6.000), oltre agli interessi e alle spese di giustizia, quale danno all’erario conseguente a condotta integrante il reato di concussione, per come accertato con sentenza penale passata in giudicato.
Quanto alla notitia damni, la Procura erariale ha ricevuto formale comunicazione, datata 29 aprile 2013, da parte della Corte d’Appello di OMISSIS, Sezione Penale, in ordine alla intervenuta irrevocabilità (a seguito di sentenza della Corte di Cassazione datata 11.02.2013) della sentenza n. 314 del 5/3/2012, resa dal medesimo giudice di appello, in data 05.03.2012, nei confronti di OMISSIS.
Quanto al fatto materiale causativo del danno, il giudicato penale ha riconosciuto il convenuto responsabile del delitto di concussione consumata ex art. 317 c.p., in quanto, nella veste di capo ufficio diporto dell’ufficio circondariale marittimo di OMISSIS, abusando della qualità di pubblico ufficiale e dei poteri in concreto rivestiti (tempistica di trattazione delle pratica, con rilascio di certificato provvisorio per la circolazione), in più occasioni (circa 30 tra la primavera del 2003 all’estate del 2006), costringeva o comunque induceva un privato (OMISSIS) titolare di un’agenzia nautica a corrispondere euro 100,00 a pratica.
Più precisamente, in primo grado il Tribunale di OMISSIS, con sentenza del 24/3/2011, riconosceva il OMISSIS responsabile, oltre che del suddetto delitto, anche di due tentate concussioni, nel 2004 e nel 2006, rappresentate da richieste di denaro per la rapida evasione di pratiche di immatricolazioni di imbarcazioni presentate da OMISSIS, titolare di altra agenzia; queste ipotesi di reato sono tuttavia state riqualificate dalla menzionata sentenza della Corte d’appello di OMISSIS come istigazioni alla corruzione ex art. 322 c.p., reato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione.
Quindi sulla vicenda si è pronunziata, come già accennato, la Corte di Cassazione con sentenza dell’11/2/2013, confermando la sentenza della Corte d’Appello, salva la rideterminazione della pena della reclusione in anni 2 e mesi 2 e il mutamento della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, da perpetua a temporanea.
Conseguentemente, la Procura presso questa Sezione, ravvisando gli estremi della responsabilità amministrativa per danno all’erario, ha notificato al OMISSIS invito a dedurre, evidenziando l’intervenuto giudicato penale sulla vicenda e la sua vincolatività ai fini della responsabilità amministrativa, e quantificando il conseguente danno all’immagine in euro 8.000.
Il OMISSIS ha quindi presentato controdeduzioni in data 10/09/2013, sottoscritta dagli avvocati OMISSIS, valorizzando ex adverso la difficile situazione economica dell’assistito (destituito dall’incarico, privo di reddito e con due figli minorenni), la scarsissima eco mediatica della vicenda, i motivi di astio delle persone offese nei riguardi dell’assistito, il suo brillante curriculum militare (encomi e note di servizio eccellenti) e l’avvenuto riconoscimento nella sentenza penale dell’attenuante di cui all’articolo 323 bis c.p. (“particolare tenuità” del fatto).
Peraltro, nel corso della richiesta audizione, il sig. OMISSIS ha sottolineato di avere consapevolezza dell’errore commesso e, ribadite le difficoltà economiche in cui versa, ha fatto nuovamente istanza di riduzione del danno.
Conseguentemente, la Procura presso questa Sezione, stante l’intervenuto giudicato in ordine alla concussione posta in essere dal OMISSIS nei confronti del OMISSIS e la sua vincolatività ex art. 651 c.p.p nel giudizio in ordine alla responsabilità amministrativa, ha citato in giudizio l’ex militare, ritenendo che dall’illecito sia derivato un danno all’immagine della Pubblica amministrazione, sub specie della perdita di credibilità e prestigio della Marina militare, come peraltro evincibile dal risalto, tutt’altro che limitato, conferito alla notizia dagli organi di informazione, per come documentato da articoli giornalistici prodotti in giudizio.
Ad avviso della Procura, inoltre, la situazione di precarietà economica e i buoni precedenti del convenuto, invocati nelle controdeduzioni, non appaiono suscettibili di inficiare l’impianto dell’imputazione, potendo esclusivamente esser valutati dal giudice in sede di eventuale esercizio del potere riduttivo.
Pertanto, in sede di citazione la Procura erariale ha ritenuto di poter quantificare ex art. 1226 c.c. il danno subito dall’erario in euro 8.000, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la gravità del tipo di reato, il ruolo di capo ufficio del dipendente e l’avvenuta protrazione nel tempo di una condotta particolarmente disdicevole.
In proposito, in via subordinata e qualora si ritenesse applicabile, ratione temporis, il disposto dell’articolo 1, c. 62, L. 6/11/2012 n. 190, la Procura ha prospettato la possibilità di determinare il danno all’erario facendo applicazione dei criteri ivi previsti, che condurrebbero nella specie alla quantificazione in euro 6.000,00, tenuto che nella sentenza penale si è accertata la verificazione di circa trenta episodi concussivi comportanti un versamento di euro 100,00 ciascuno.
Con memoria in atti al 21 luglio 2014, si è costituito in giudizio il sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dall’Avv. OMISSIS del foro di Venezia, presso il cui studio in Venezia, via ……., ha eletto domicilio.
Nella comparsa di costituzione, il OMISSIS, pur definendosi “innocente ed estraneo ai fatti”, “con senso di responsabilità” si è detto “consapevole ….. dell’irrevocabilità della sentenza di condanna”, ma nel contempo evidenziando innanzitutto come la Corte di Cassazione, nella menzionata sentenza dell’11.02.2013, ha riqualificato il titolo di reato contestato nella nuova figura delittuosa di cui all’art. 319 quater (“induzione indebita a dare o promettere utilità”), ipotesi criminosa retroattivamente applicata e sicuramente meno grave di quella della concussione o della corruzione propria, che avrebbe comportato, ove il fatto di reato fosse stato commesso sotto la vigenza della nuova norma, la punibilità anche del principale accusatore, peraltro non costituitosi parte civile in sede penale.
Secondo la difesa, tale elemento “dovrà essere valutato da codesta Corte qualora ……fosse ritenuto provato il lamentato danno all’immagine di cui all’atto di citazione”, in quanto “è plausibile ritenere che la p.o. non avrebbe accusato (per spirito di rivalsa come è stato nel caso di specie!) anche se stesso del reato commesso in concorso con il convenuto e, comunque, le dichiarazioni accusatorie sarebbero state rilasciate da un soggetto colpevole di aver commesso un reato con le dovute conseguenze sul piano probatorio!”.
La difesa ha inoltre insistito sulla natura minimale dei fatti contestati e delle somme percepite, come peraltro ritenuto dalla stessa sentenza di condanna, che ha applicato il minimo edittale di pena e ha riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 323 bis c.p..
Inoltre, il giudicato penale ha fatto emergere, sostiene la difesa, ulteriori fatti (l’ufficio diretto era “perfettamente funzionante”; gestione delle pratiche in ordine cronologico; pieno rispetto della legge; encomi scritti e note di servizio eccellenti; conseguimento del “massimo grado tra i sottufficiali”) che il giudice contabile non potrebbe non valutare in sede di eventuale dosimetria del danno all’erario.
Conseguentemente, la difesa del OMISSIS ha eccepito la mancata prova del danno (“scarsissima rilevanza ed attenzione da parte dei mass media”) e comunque l’eccessività della pretesa avanzata dalla Procura, chiedendone, in via subordinata rispetto al rigetto della domanda tout court, il radicale ridimensionamento, tanto più che l’ex militare non percepisce alcun reddito, deve mantenere due figli, pagare un mutuo per la casa familiare e vive esclusivamente del lavoro saltuario/stagionale della moglie.
Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2014, il magistrato requirente richiamava l’atto introduttivo del giudizio, illustrando ulteriormente le argomentazioni a sostegno della domanda e insistendo nelle conclusioni ivi rassegnate.
La parte convenuta, a sua volta, richiamate le argomentazioni svolte nella memoria di costituzione, insisteva su tesi e richieste ivi compendiate, come da verbale di udienza.
DIRITTO
[1] Avuto riguardo alla preesistenza, rispetto all’azione per responsabilità amministrativa, di un giudicato penale di condanna, occorre preliminarmente accennare alla problematica degli effetti delle sentenze penali irrevocabili di condanna sul giudizio di responsabilità per danno all’erario, fattispecie che l’univoca giurisprudenza contabile (da ultimo, III sez. appello, sent. n. 53/2014) ritiene direttamente disciplinata dall’articolo 651 c.p.p., a norma del quale “la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”.
Conseguentemente, la giurisprudenza contabile ha altresì puntualizzato (sez. Calabria, n. 1272014; cfr. Corte dei conti, Sez. III, 22 luglio 2013, n.522) che ai fini del giudizio di responsabilità, la sentenza irrevocabile di condanna penale fa stato quanto all’accertamento sia dei fatti materiali sia della condotta illecita dell’autore, venendo così preclusa al Giudice contabile ogni diversa asserzione che venga a collidere con i presupposti logico-giuridici, espliciti o impliciti, e con le risultanze e le affermazioni conclusionali della pronuncia penale in merito agli stessi fatti contestati dal P.M. contabile (cfr. Corte dei conti, Sez. giurisd. Sicilia, 11 luglio 2013, n.2680).
In proposito, la stessa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 651 cod. proc. pen., prospettata in riferimento all'art. 103 Cost., nella parte in cui attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale di condanna nel giudizio amministrativo per risarcimento del danno che si svolge davanti alla Corte dei conti, in quanto deve esser ascritta alla discrezionalità del legislatore - secondo quanto affermato anche dalla Corte costituzionale – la possibilità di regolamentare la definizione dei rapporti tra la giurisdizione penale e quella contabile, e l'art. 651 cod. proc. pen. costituisce un'eccezione espressamente disciplinata rispetto alla regola generale dell'autonomia tra il giudizio penale e quelli civili e amministrativi (cfr. Cass., SS.UU., 9 giugno 2011, n. 12539).
Pertanto, dovendosi ritenere per accertati nel presente giudizio di responsabilità amministrativa la “sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e l'affermazione che l'imputato lo ha commesso” contenute nel giudicato penale, questo Giudice può limitarsi a richiamare sinteticamente la ricostruzione dei fatti contenuta nel giudicato penale, ovvero che l’odierno convenuto, nella veste di capo ufficio diporto dell’ufficio circondariale marittimo di OMISSIS, abusando della qualità di pubblico ufficiale e dei poteri in concreto rivestiti (tempistica di trattazione delle pratica, con rilascio di certificato provvisorio per la circolazione), in più occasioni (circa 30 tra la primavera del 2003 all’estate del 2006), costringeva o comunque induceva un privato (OMISSIS) titolare di un’agenzia nautica a corrispondere (formulando espresse richieste di denaro) euro 100,00 a pratica.
Risultano conseguentemente ormai definitivamente accertati gli elementi costitutivi dell’illecito erariale consistenti nella condotta illecita, ivi compresa la percezione di emolumenti, e nel dolo del militare.
In proposito, giova altresì evidenziare, anche avuto riguardo alle eccezioni difensive avanzate dall’odierno convenuto, come la Corte di appello di OMISSIS, nella menzionata sentenza, avesse qualificato il fatto illecito in termini di concussione per induzione ex art. 317 c.p., valorizzando il fatto che il militare, formulando dette richieste di denaro per definire speditamente ciascuna delle 30 pratiche di immatricolazione di natanti presentate dal OMISSIS, avesse abusato della qualità e dei poteri di responsabile di quelle procedure, quale Capo ufficio diporto dell'Ufficio circondariale marittimo di OMISSIS, avendo fatto valere la sua posizione di supremazia, derivante dall'esercizio della pubblica funzione affidatagli, per indurre il privato (c.d. metus publicae potestatis) all'indebito.
Né d’altro canto, diversamente da quanto prospettato dall’odierno convenuto, la Corte di Cassazione, nella menzionata sentenza n. 11792 del 2013, ha diversamente ricostruito la vicenda sul terreno fattuale nonché giuridico, essendosi limitata a prendere atto di un fenomeno di successione nel tempo di leggi penali e ad applicarne conseguentemente la disciplina codicistica, riconoscendo anzi la continuità del tipo di illecito tra la “nuova” norma penale di cui all’articolo 319 quater c.p. e la superata fattispecie astratta di concussione per induzione ex art. 317 c.p..
In particolare, la Corte di cassazione, nella menzionata sentenza, ha evidenziato come la legge 6 novembre 2012, n. 190 ("Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione"), allo scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione contro la corruzione approvata in ambito ONU nel 2003 ed a quelli della Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo, approvata in ambito di Consiglio d'Europa nel 1999 - ratificate in Italia rispettivamente dalla L. n. 116 del 2009. e da quella L. n. 110 del 2012, abbia sostituito l'art. 317 c.p., con l'introduzione di una nuova fattispecie di "concussione", configurabile ora solo per costrizione e nel contempo introdotto l'art. 319 quater c.p., riguardante la nuova figura criminosa della "induzione indebita a dare o promettere utilità", fattispecie che sostanzialmente si pone in una posizione intermedia tra la residua figura della condotta concussiva sopraffattrice e l'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dagli artt. 318 o 319 c.p..
Orbene, sul terreno della valutazione degli effetti della novella normativa in tema di tipizzazione degli illeciti e conseguentemente di trattamento sanzionatorio, la Corte di Cassazione ha evidenziato per un verso come la c.d. concussione per costrizione rimanga disciplinata dall’articolo 317, che tuttavia nella nuova formulazione più non contempla tra i soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio e nel contempo prevede un inasprimento del limite minimo edittale di pena.
Quanto invece alla c.d. concussione per induzione, essa viene "scorporata" dal previgente art. 317 c.p., e testualmente disciplinata dall'art. 319 quater c.p., innovativamente rubricato "induzione indebita a dare o promettere utilità", norma che incrimina, "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, sanzionandolo con la pena della reclusione da tre ad otto anni. Inoltre, detta innovativa fattispecie normativa determina, giusta la previsione contenuta nello stesso art. 319 quater c.p., comma 2, la punibilità anche del destinatario della pretesa che "da o promette denaro o altra utilità", il quale, da persona offesa nell'originaria ipotesi di concussione per induzione, diventa concorrente necessario nella nuova fattispecie di reato.
Tuttavia, per quel che più conta ai fini della ricostruzione della fattispecie concreta sub iudice, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la novella normativa, con riguardo alla fattispecie di concussione per induzione, non concreti una abolitio criminis, ai sensi del'art. 2 c.p., comma 2, bensì un mero fenomeno di successione di leggi penali nel tempo regolata dall'art. 2 c.p., comma 4, ciò in quanto risulta “riconoscibile una continuità di tipo di illecito tra il precedente reato di concussione per induzione ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui al più volte citato art. 319 quater c.p.”. Ciò in quanto anche la “struttura bilaterale” del nuovo reato (che incrimina anche il privato) “non modifica affatto una fattispecie che, con riferimento alla posizione del pubblico funzionario, resta immutata nei suoi elementi strutturali (salva, come detto, la diversa cornice sanzionatoria)”.
Conseguentemente, con riferimento alle condotte illecite contestate al OMISSIS, la Corte di Cassazione ha lasciato sostanzialmente inalterato l’accertamento giuridico-fattuale effettuato dal giudice di appello, essendosi limitata a ridurre la pena irrogata in applicazione dell’art. 2, comma 4, del codice penale, norma che prevede, in ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, l'applicazione retroattiva della disposizione sopravvenuta, più favorevole al reo (c.d. principio del favor rei).
Alla luce della riferita ricostruzione giuridico-fattuale del fenomeno successorio normativo in relazione alla fattispecie concreta, emerge di tutta evidenza l’infondatezza delle eccezioni avanzate, sul punto, dalla difesa del OMISSIS, fondate sulla minore gravità del nuovo reato, sulla punibilità anche del privato, che verosimilmente con la nuova disciplina “non avrebbe accusato per spirito di rivalsa” e le cui dichiarazioni (di correo) avrebbero avuto ben diversa disciplina processualistica.
Innanzitutto si osserva come i fatti accertati siano stati commessi in epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 190/2012, e che in materia di responsabilità amministrativa per danni all’erario non si riscontra normativamente un principio di retroattività della legge successiva più favorevole al reo, norma tipica del sistema penale.
D’altra parte, e per quel che più rileva, ai fini dell’illecito erariale appare sostanzialmente ininfluente, quanto meno ai fini dell’an della responsabilità, la qualificazione dell’illecito penale in termini di concussione per induzione (“vecchio” art. 317 c.p.), ovvero di "induzione indebita a dare o promettere utilità" (art. 319 quater c.p.) ovvero ancora (ipotesi meno grave eppure “sufficiente” a dar luogo a responsabilità amministrativa) di corruzione.
Così come ininfluente risulta, sul terreno ordinamentale e quanto meno ai fini dell’an della responsabilità amministrativa, il trattamento giuridico riservato al privato coinvolto nell’illecito, come appare pacifico in giurisprudenza sulla scorta delle numerose ipotesi di condanna per danni all’erario di funzionari corrotti.
Né d’altra parte possono assumere un benché minimo rilievo argomentativo ex adverso le affermazioni meramente apodittiche in ordine agli ipotetici effetti della nuova disciplina ex art. 319 quater in ordine alla probabilità di denunzia da parte del privato e alla utilizzabilità probatoria delle sue dichiarazioni (di correo), trattandosi di fatti di reato già avvenuti e di accertamenti processuali ormai confluiti in un giudicato penale.
[2.1] Quanto all’elemento costitutivo della responsabilità amministrativa del danno erariale, la Procura erariale ha contestato esclusivamente il c.d. danno all’immagine della pubblica amministrazione, ricostruito per come già puntualmente descritto.
In tema, occorre evidenziare che l’art. 17, comma 30 ter del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78 (convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102 (modificato dal decreto legge n. 103 del 2009, convertito con legge n. 141 del 2009), testualmente prevede che : “Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”.
Quest’ultima norma, dal canto suo, dispone che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Secondo l’interpretazione ormai consolidata nella giurisprudenza costituzionale (C. Cost. sentenza n. 355/2010, ”circoscrive oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa”) e contabile (ex aliis: sez. III appello, sent. nn. 716/2003; 658/2013 e 781/2013) del menzionato ordito normativo, l’art. 7 della legge n. 97 del 2001 individua nella previa sussistenza di una sentenza penale irrevocabile di condanna per reati contro la PA. una vera e propria condizione dell’azione di responsabilità per danno all’immagine, in difetto della quale consegue la nullità degli atti giuridici compiuti dall’Organo requirente, tanto in fase preprocessuale (sostanziale in senso lato), quanto in fase di giudizio (processuale), vizio tuttavia non rilevabile dal giudice ex officio (Corte Conti, SS.RR., sent. 03/08/2011, n. 13).
Nella specie, peraltro, l’azione di responsabilità amministrativa ha preso le mosse successivamente al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna e dunque la Procura erariale ha correttamente esercitato il proprio officio in materia di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, inteso come nocumento non patrimoniale al prestigio della persona giuridica pubblica.
[2.2] Sul terreno eminentemente sostanziale, peraltro, ormai da lungo tempo la giurisprudenza contabile ha progressivamente enucleato la categoria dogmatica del detrimento all’immagine della P.A., inteso quale forma di danno di natura “pseudo-esistenziale” i cui effetti si perpetuano nel tempo sub specie di una “carica di disdoro e di discredito difficilmente cancellabile nel circuito di relazioni che, attraverso la proposizione verso la collettività dei propri servizi ed uffici, integrano e fondano il concetto e la realtà stessa dell’immagine della pubblica Amministrazione" (Sez. Basilicata, 21/9/2005, n. 198).
La giurisprudenza delle sezioni riunite di questa Corte ha progressivamente chiarito (Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 10/QM del 23 aprile 2003), coerentemente con il profilo ontologico del detrimento, che il danno all’immagine riveste natura di danno-evento e non di danno conseguenza, come tale risarcibile a prescindere dalla effettuazione di spese di ripristino dei beni immateriali lesi, potendo essere liquidato con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. anche sulla base di norme presuntive ed elementi indiziari (cfr. anche Sez. I giur. c.le appello, sentt. 20/9/2004, n. 334/A, 31/5/2005, n. 184/A e 17/11/2005, n. 378/A; Sez. giur. Basilicata, sent. 2/12/2004, n. 297).
Orientamento peraltro del tutto in linea con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine all’interpretazione dell’articolo 2059 c.c. sul c.d. danno non patrimoniale, tematica in ordine alla quale la Suprema Corte ha esteso l’ambito di risarcibilità di detta tipologia di danno varcando la frontiera degli atti costituenti illecito penale, a condizione che si realizzi la lesione di un interesse giuridicamente protetto di rilievo costituzionale, nella specie individuabile nei principi costituzionali di buon andamento, imparzialità (art. 97 Cost.) e necessario adempimento delle funzioni pubbliche “con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.).
Quanto all’analisi della fattispecie concreta e alla prova dell’an del detrimento all’immagine della P.A., l’analisi dei fatti di causa, per come emergenti dalla documentazione probatoria agli atti del giudicato penale, evidenzia ictu oculi che la condotta posta in essere dal OMISSIS ha indubbiamente leso l’immagine della Marina militare e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in ragione della intrinseca gravità dei fatti concussivi, del grado rivestito dal soggetto (apicale dei sottufficiali) e soprattutto della loro sistematicità-reiterazione nel tempo, tale da evidenziare una grossolana deviazione dai doveri di servizio propri di un militare.
In proposito, pare del tutto evidente che il OMISSIS ha abusato dell’appartenenza alla Marina militare, mortificando continuativamente l’appartenenza all’Arma e la propria divisa a fini delittuosi e di arricchimento personale.
Parimenti, dalla documentazione versata in atti emerge di tutta evidenza il detrimento patito dall’immagine del Corpo, in ragione anche delle modalità commissive dell’illecito, delle “modalità relazionali” poste in essere nei confronti dell’utenza, e del c. d. strepitus fori (per come emergente dagli articoli di stampa alleati dall’Organo requirente).
Ritiene pertanto il Collegio che sia stata compiutamente comprovata in giudizio la sussistenza del danno all’immagine della pubblica amministrazione, trattandosi di comportamenti illeciti che hanno indotto, nei soggetti coinvolti nella vicenda e nella platea più vasta venuta a conoscenza dei fatti tramite i media, la convinzione che i pubblici funzionari – e, quindi, la pubblica amministrazione in nome della quale essi agiscono – siano avvezzi ad abusare della propria veste istituzionale per ottenere indebiti vantaggi; e ciò a prescindere dall’entità del corrispettivo, dalla sua integrale percezione e dalla sua finalizzazione ultima.
[2.3] Relativamente alla quantificazione del danno all’erario sub specie di detrimento all’immagine della P.A., il Collegio ritiene di dover primariamente puntualizzare, anche in relazione alla argomentazioni avanzate dalle parte in sede processuale, l’inapplicabilità alla fattispecie concreta sub iudice, ratione temporis, del disposto dell’art. 1, comma 62 della legge 6 novembre 2012 n. 190 (che ha novellato il comma 1 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20), norma che ha statuito che l'entità del danno all'immagine della Pubblica Amministrazione derivante da giudicato penale di condanna per un reato commesso contro la stessa, “si presume pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
In proposito, la giurisprudenza contabile ha univocamente chiarito che la disposizione de qua contempla un criterio legale presuntivo iuris tantum di determinazione del quantum di detrimento risarcibile, e riveste dunque natura sostanziale e non processuale, rimanendo conseguentemente soggetta agli ordinari criteri ermeneutici che regolano la successione di leggi nel tempo in ambito non penalistico (c.d. principio di irretroattività della legge ex art. 11 delle disp. prel. al codice civile; Sez. App. Sicilia n. 132/2013; Sez. Giur. Marche, nn. 16 e 21/2014; Sez. Lazio 395/2014).
Orbene, poiché le condotte contestate al OMISSIS risultano ampiamente precedenti l'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, la prova del quantum di danno risarcibile deve esser raggiunta necessariamente mediante l’utilizzo degli ordinari strumenti interpretativi propri del giudice, tra i quali l’impiego del potere di determinazione equitativa del danno ex art. 1226 e 2056 c.c..
In particolare, secondo la giurisprudenza della suprema Corte, il giudice può far ricorso al potere di determinazione equitativa del danno non soltanto quando sia assolutamente impossibile stimare con precisione l’entità dello stesso, ma anche qualora, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione del pregiudizio patrimoniale si riveli ardua (“rilevante difficoltà assoluta” per tutte, Cass., Sez. III, n. 19148 del 29 settembre 2005; cfr., Corte dei conti, Sez. III, n. 501 del 31 dicembre 2007); peraltro, nell'operare la valutazione equitativa il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo necessario e sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata.
Quanto all’esame e alla valutazione della situazione processuale, vengono poi in rilievo i criteri interpretativi enucleati dalle Sezioni Riunite di questa Corte (in particolare, sentenza n. 10/QM/2003), richiamati dalla giurisprudenza contabile successiva, nonché quelli individuati dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite Penali, nella sentenza n. 15208/2010 e, in particolare:
a) la qualifica posseduta dal convenuto al momento della commissione dell’illecito (nel caso di specie il convenuto era un militare della Marina rivestente il grado apicale del ruolo dei sottufficiali, provvisto di margini di autonomia nella gestione del procedimento);
b) il notevole disvalore giuridico-sociale connesso alla gravità dell’illecito penale commesso dal OMISSIS, che ha posto in essere condotte sostanzialmente estorsive (qualificate inizialmente come concussione per induzione e successivamente come induzione indebita a dare o promettere utilità) a danno di privati e a proprio vantaggio patrimoniale.
c) l’intenzionalità dell’illecito, per giunta caratterizzato, sul terreno dell’elemento soggettivo del reato, dalla diacronica ponderazione e reiterazione del reato (dolo c.d. “di proposito”);
d) il mercimonio e anzi lo sviamento del munus publicum quale strumento estorsivo ai danni degli utenti del servizio, che hanno evidentemente percepito detta logica di formazione e manifestazione del pubblico potere;
e) la diffusione mediatica della vicenda, come comprovato dalla pubblicistica prodotta dal Pubblico Ministero (n. 6 articoli “dedicati” ai fatti accertati);
f) l’entità non elevata dell’ingiusto profitto ricavato dall’ex militare.
Alla luce dei parametri sopra indicati, ivi compresa la tenuità del profitto lucrato dal OMISSIS, la sua condotta processuale e il suo stato di servizio, il Collegio ritiene di dovere determinare il danno, in via equitativa, nella misura di euro 6.000,00.
Quanto poi alla richiesta di utilizzo del potere riduttivo ex artt. 83 del R.D. 18.11.1923, n.2440 e 52 del R.D. n. 1214/1934, il Collegio ritiene che non ricorrano i presupposti per la sua corretta applicazione, avuto riguardo, in particolare, alla natura dolosa dell’illecito penale accertato (cfr, ex multis e da ultimo, sez. appello Sicilia, sent. n. 53, 2014) e alla reiterazione plurima e pluriennale della condotta concussiva.
[3] Quanto alle spese del giudizio, le stesse seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando:
1. Nel merito, accoglie la domanda attorea e condanna il sig. OMISSIS al pagamento in favore del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti – Corpo delle capitanerie di porto - della somma di euro 6,000,00 maggiorati degli interessi legali a decorrere dal deposito della sentenza e fino all’effettivo soddisfo;
2. Le spese di giudizio, che seguono la soccombenza, si liquidano in complessivi € 439,72 (euro quattrocentotrentanove/72).
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio, all’esito della pubblica udienza del 15 ottobre 2014.
Il Giudice Estensore Il Presidente
f.to(Dott. Natale Longo) f.to (Dott. Angelo Buscema)
Depositata in Segreteria il 21/10/2014
Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo
Re: Perdita dello stato militare.
Inviato: mar mar 08, 2016 6:17 pm
da panorama
1) - perdita del grado per rimozione a seguito della conclusione di un procedimento penale.
2) - veniva riconosciuta la pensione privilegiata di VIII ctg. per un importo pari al 30% della base pensionabile,
3) - si costituiva in giudizio la Guardia di Finanza che confermava la legittimità del provvedimento ai sensi dell’art. 37 legge 31 luglio 1954 n. 599, l’art. 67 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 ed in applicazione della normativa sulla verifica dei presupposti per la fruizione di trattamento pensionistico ordinario (art. 6, comma 2, D.Lgs. 30 aprile 1997 n. 165 ed art. 59, comma 6, Tab. D della legge 27 dicembre 1997 n. 449, avendo il ricorrente maturato 35 anni, 2 mesi e 28 giorni di servizio con età anagrafica di 49 anni.
Leggete il tutto qui sotto le motivazioni.
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TOSCANA SENTENZA 13 13/01/2016
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA SENTENZA 13 2016 PENSIONI 13/01/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al n. 59996/PM del registro di Segreteria, proposto dal sig. G. M., rappresentato e difeso dall’avv. Nicola Colombini pec:
nicola.colombini@pecordineavvocatipisa.it, presso il quale è elettivamente domiciliato in Pisa, via A. Vaccà Berlinghieri n. 20 contro:
a) l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore
b) il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore
c) il Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Comandante Generale pro tempore, per l’accertamento e la declaratoria del diritto della parte ricorrente al trattamento pensionistico privilegiato di VIII ctg. con attribuzione dell’importo di pensione più favorevole ai sensi dell’art. 67, IV comma D.P.R. n. 1092/1973 e condanna delle Amministrazioni convenute al menzionato trattamento pensionistico , oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria a far data dal 9 dicembre 2008 o da latra data ritenuta spettante.
Nella udienza pubblica del 12 gennaio 2016 sono comparsi l’avv. Francesco Monceri, su delega dell’avv. Nicola Colombini per la parte ricorrente, il mar. capo P. A. per la Guardia di Finanza e l’avv. Massimiliano Gorgoni per l’INPS.
FATTO e DIRITTO
Con atto introduttivo del giudizio pervenuto alla segreteria di questa la parte ricorrente ha proposto l’impugnativa volta alla declaratoria di migliore trattamento pensionistico .
La parte ricorrente, arruolatasi in data 4 aprile 1979, successivamente al congedo dal servizio militare, prestava servizio presso la Compagnia della Guardia di Finanza di OMISSIS, nella qualità di vicebrigadiere, sino al 9 dicembre 2008 in cui veniva comminata a suo danno (decreto del Comandante Interregionale dell’Italia Centrosettentrionale) la perdita del grado per rimozione a seguito della conclusione di un procedimento penale.
Deduceva, il sig. M…, che a tale data aveva maturato un’anzianità di servizio pari a 35 anni di servizio contributivo .
In data 11 dicembre 2013 con decreto n. 137094 del Comando Generale della Guardia di Finanza riconosceva, a far data dal 9 dicembre 2008 veniva riconosciuta la pensione privilegiata di VIII ctg. per un importo pari al 30% della base pensionabile, sulla scorta del parere della CMO Interforze presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale di La Spezia reso il 5 maggio 2013 secondo cui sussisteva il quadro patologico: a) gastrite cronica antrale HP correlata; b) note di spondiloartrosi lombare.
La parte ricorrente deduceva l’erronea applicazione dell’art. 67, primo comma, del D.P.R. n. 1092/1973, in luogo della misura massima prevista di cui al quarto comma del medesimo articolo, pari a quella che avrebbe dovuto essere erogata per la pensione normale aumentata di un decimo se più favorevole, nel caso in cui l’interessato avesse maturato l’anzianità di quindici anni di servizio utile di cui dodici effettivi.
In sede amministrativa l’Amministrazione, con nota prot. n. 0191969/14 del 4 luglio 2014, ribadiva la corretta applicazione della normativa in quanto il sig. M… era stato posto in congedo per perdita del grado.
La parte ricorrente deduceva la violazione dell’art. 67 del D.P.R. 29 gennaio 1973 n. 1092 e dell’art. 1 legge 8 giugno 1966 n. 424, eccependo ulteriori profili di illegittimità, eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia ed illogicità manifesta e violazione del giusto procedimento amministrativo.
Con memoria del 7 luglio 2015 si costituiva in giudizio l’INPS che eccepiva l’inammissibilità del ricorso ex art. 71 lett. b) R.D. n. 1038/1933 per assenza del provvedimento amministrativo, il difetto di legittimazione passiva vertendo la controversia al rapporto di servizio tra il sig. M… e l’Amministrazione di appartenenza.
Concludeva l’istituto previdenziale per l’inammissibilità del ricorso, il rigetto della domanda e, in subordine, la responsabilità diretta ed esclusiva dell’Amministrazione di appartenenza del ricorrente ovvero, in alternativa, il diritto di rivalsa dell’INPS nei confronti dell’Amministrazione stessa, con ogni consequenziale condanna dell’INPS alle spese di giudizio.
In data 17 dicembre 2015 si costituiva in giudizio la Guardia di Finanza che confermava la legittimità del provvedimento ai sensi dell’art. 37 legge 31 luglio 1954 n. 599, l’art. 67 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 ed in applicazione della normativa sulla verifica dei presupposti per la fruizione di trattamento pensionistico ordinario (art. 6, comma 2, D.Lgs. 30 aprile 1997 n. 165 ed art. 59, comma 6, Tab. D della legge 27 dicembre 1997 n. 449, avendo il ricorrente maturato 35 anni, 2 mesi e 28 giorni di servizio con età anagrafica di 49 anni e ritenuto che la disciplina delineata dal legislatore in materia di perdita di grado è finalizzata a dare prevalenza al titolo della perdita del grado nell’individuazione della causa giuridica di cessazione dal servizio.
Concludeva, l’Amministrazione, per il rigetto del ricorso e la condanna della controparte alle spese di giudizio ai sensi degli artt. 91 e 96 c.p.c..
Nella odierna discussione le parti costituite in giudizio ribadivano quanto rassegnato con gli atti defensionali; quindi la causa veniva introitata per la decisione.
Osserva l’autorità giudicante che oggetto del presente giudizio è la valutazione, ai fini del riconoscimento dell’attribuzione del trattamento pensionistico , della sussistenza dei requisiti fissati dalla normativa di specie nell’ipotesi di applicazione della causa di cessazione dal servizio per “perdita del grado” nei confronti del militare
In sostanza occorre stabilire gli effetti, al fine del riconoscimento e del diritto al trattamento pensionistico di anzianità, se la cessazione dal servizio per “perdita del grado” abbia effetti retroattivi e vincolanti sul diritto a pensione.
Il nucleo argomentativo della parte ricorrente afferma che il sopravvenuto provvedimento di perdita del grado rimarrebbe irrilevante agli effetti pensionistici una volta acquisito il diritto a pensione, in quanto i relativi presupposti restano cristallizzati e, pertanto, intangibili, al momento del collocamento in congedo.
Il ricorso è infondato e va rigettato con tutte le conseguenze di legge.
Osserva l’autorità giudicante che, è da preferire la tesi sposata, anche di recente, dalle Sezioni Centrali, ma anche da alcuni orientamenti delle Sezioni Giurisdizionali Regionali.
L’art. 37 della legge n. 599 del 1954 dispone: “1. Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare; 2: qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
A seguito della cessazione dal servizio alla data del 9 dicembre 2008 35 anni, 2 mesi e 28 giorni di servizio utile e con un’età di 49 anni, il servizio dell’odierno ricorrente non era sufficiente per la maturazione dei requisiti previsti dalla legge essendo possibile invocare nella specie le comuni regole generali sul trattamento di quiescenza di cui all’art. 59, commi 6 e ss. della l. 449/1997 e dell’art. 6 D.Lgs. n. 165/1997, che richiama l’art. 1, commi 24 e 25 della l. 335/1995 i quali chiedono una maggiore anzianità di servizio, rispetto a quella posseduta dall’interessato, al fine di maturare il trattamento pensionistico .
Legittimamente ha operato, pertanto, la Guardia di Finanza – Centro Informatico Amministrativo Nazionale – a calcolare la pensione privilegiata per un importo pari al 30% della base pensionabile, in applicazione dell’art. 67, 1° comma, del D.P.R. n. 1092/1973, in quanto il medesimo ricorrente è stato posto in congedo per perdita del grado di rimozione.
Nella stessa direzione Sez. III Centr. 9 gennaio 2013 n. 5 secondo cui l’art. 37 della legge n. 599/1954, che non è una norma relativa al trattamento di quiescenza, ma una norma che regola principalmente lo status di sottufficiale e la sua cessazione dal servizio permanente (e in particolare causa e tempo della cessazione dal servizio). La norma ha riflessi anche sul trattamento di quiescenza, ma ciò non equivale a dire che si tratta di norma relativa al trattamento di quiescenza, né la citata norma, vista la peculiarità del regime in cui opera, è stata abrogata dal d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092.
Infatti unicamente con l’entrata in vigore dell’art. 2268 d.lgs. 66/2010 è stata determinata l’abrogazione espressa della legge n. 599/1954.
Né può affermarsi per quale motivo , qualora intervenga la perdita del grado, la cessazione dal servizio non debba intendersi intervenuta anche per i profili pensionistici: cfr. anche Sez. Giurisdizionale Appello per la Regione Siciliana 26 settembre 2013 n. 331 e sezione giurisdizionale Regione Piemonte 25 febbraio 2014 n. 21.
Va, pertanto, dichiarata l’infondatezza del ricorso dell’odierno ricorrente, visti anche gli esiti del procedimento penale e disciplinare: cfr. Sez. I Centr. 25 marzo 2014 n. 491.
Va pertanto rigettato il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Vista la controvertibilità del diritto e la complessità della questione, va dichiarata la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Regione Toscana – Giudice Unico delle Pensioni - definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal sig. G. M. contro: a) l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore b) il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore c) il Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Comandante Generale pro tempore), respinta ogni contraria istanza ed eccezione, rigetta il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze nella Camera di Consiglio del 12 gennaio 2016 successiva all’udienza del 12 gennaio 2016.
La presente sentenza è stata pronunciata all’udienza odierna ai sensi dell’art. 429 c.p.c. (come modificato dall’art. 53, comma 2, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133) dando lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, con deposito contestuale in segreteria.
Il Giudice Unico
F.to cons. Angelo Bax
Depositata in Segreteria il 13/01/2016
Il Direttore di Segreteria
F.to Paola Altini