Per nanni35.
Scusa ma leggendo i post precedenti e sentiti alcuni transitati i quali riferiscono della diminuzione dell'assegno mi potresti postare la circolare che dicevi, possibile che vi siano trattamenti diversi tra impiegati civili dei ministeri interessati?
Mi scuso in anticipo e ti ringrazio.
Non Idoneità al servizio
Re: Non Idoneità al servizio
Messaggio da pos »
Premesso che parlo da profano e ignorante
Mi sono andato a leggere l'articolo 202 del DPR n.3 del 10/01/1957 a cui fa riferimento la legge 537/93 che avete citato. C'è scritto "Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica." C'è un contrasto in tema di riassorbimento o sbaglio?
Fonte: http://www.edscuola.it/archivio/norme/d ... 03_57.html" onclick="window.open(this.href);return false;

Fonte: http://www.edscuola.it/archivio/norme/d ... 03_57.html" onclick="window.open(this.href);return false;
Re: Non Idoneità al servizio
Ciao Nanni,
anch'io sono un transitato (nel 2008 e sono un ex Ten. Col.). Nel mio ente ormai siamo in 7. Sono interessato all'argomento assegno ad personam e mi piacerebbe che mi inviassi la documentazione di cui parlavi (buste paga) perchè vogliamo anche noi partire a testa bassa.
Grazie
anch'io sono un transitato (nel 2008 e sono un ex Ten. Col.). Nel mio ente ormai siamo in 7. Sono interessato all'argomento assegno ad personam e mi piacerebbe che mi inviassi la documentazione di cui parlavi (buste paga) perchè vogliamo anche noi partire a testa bassa.
Grazie
Re: Non Idoneità al servizio
- diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile
1) - Espone l’odierno ricorrente, già in servizio presso il Corpo di Polizia Penitenziaria, di essere transitato nei ruoli tecnici amministrativi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dal 24 settembre 1999, con conservazione del trattamento economico in godimento in quanto più favorevole, e mantenimento di assegno personale pensionabile di lire 3.921.654 pari a 168,78 euro al mese.
2) - Con provvedimento del 19 maggio 2008, il Ministero della Giustizia ha disposto il non riconoscimento del suddetto assegno, in concomitanza del passaggio del ricorrente dall’area B posizione economica “B3” ad Esperto informatico area 3 fascia retributiva “F1” già posizione economica “C1”.
IL TAR DI PERUGIA scrive:
(ecco alcuni brani)
- Ai sensi dell’art. 3 commi 57 e 58 della Legge 24 dicembre 1993, n. 537 OMISSIS
3) - Vi è dunque una specifica norma, pur oggi abrogata per effetto dell’entrata in vigore dell'articolo 1, comma 458, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che riconosce al personale in questione un assegno personale pensionabile, testualmente qualificato come “non riassorbibile e non rivalutabile” anche in ipotesi di progressioni di carriera.
4) - Stante l’univocità del tenore letterale della norma, non ritiene il Collegio di potere condividere la tesi interpretativa restrittiva prospettata dalla difesa erariale e non solo perché in contrasto con il primario canone ermeneutico di cui all’art. 12 delle preleggi al codice civile. Infatti, il citato comma 57 costituisce attuazione del generale principio del c.d. divieto di reformatio in peius tutt’ora vigente nel pubblico impiego (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 7 dicembre 2007, n.6295; id. sez. III, 30 aprile 2013, n.2368; Cassazione civ. sez. lav. 2 febbraio 2007, n.2265) e costituisce una speciale disposizione di privilegio, vietando il riassorbimento.
Ricorso Accolto.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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06/05/2014 201400248 Sentenza 1
N. 00248/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00086/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 86 del 2012, proposto da:
V. F., rappresentato e difeso dall'avv. Federica Boldrini, con domicilio eletto presso Federica Boldrini, in Perugia, via Volte della Pace, 9;
contro
Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria in Perugia, via degli Offici, 14;
Casa di Reclusione di Spoleto;
per l'accertamento
- del diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 euro mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e D.P.C.M. 3.3.1995 e 18.3.1996 concernenti il C.C.N.L. Comparto Ministeri e per l’effetto condannare il Ministero resistente a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena qui quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, per un totale, calcolato dal 19.05.2008 al gennaio 2009 pari a 1.317,36 euro, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2014 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Espone l’odierno ricorrente, già in servizio presso il Corpo di Polizia Penitenziaria, di essere transitato nei ruoli tecnici amministrativi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dal 24 settembre 1999, con conservazione del trattamento economico in godimento in quanto più favorevole, e mantenimento di assegno personale pensionabile di lire 3.921.654 pari a 168,78 euro al mese.
Con provvedimento del 19 maggio 2008, il Ministero della Giustizia ha disposto il non riconoscimento del suddetto assegno, in concomitanza del passaggio del ricorrente dall’area B posizione economica “B3” ad Esperto informatico area 3 fascia retributiva “F1” già posizione economica “C1”.
L’odierno istante ha dunque adito il Tribunale civile di Spoleto al fine dell’accertamento del proprio diritto a percepire il suddetto assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile, nonchè della condanna del Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria al ripristino dell’assegno ed alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto, unitamente a rivalutazione ed interessi.
Con sentenza n. 81 del 10 ottobre 2011 il giudice del lavoro ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del g.a. trattandosi di controversia inerente un rapporto di lavoro non privatizzato.
Con il ricorso in epigrafe F. V. ripropone l’azione di accertamento e condanna già promossa innanzi al Tribunale civile di Spoleto, deducendo in sintesi le seguenti argomentazioni:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 commi 57 - 58 della legge 24 dicembre 1993 n. 537; eccesso di potere: la spettanza dell’assegno pari a 168,78 euro mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e D.P.C.M. 3.3.1995 e 18.3.1996 concernenti il C.C.N.L. Comparto Ministeri sarebbe tutt’ora garantita dal disposto di cui all’art. 3 c. 57 della legge 537/93 laddove sarebbe testualmente previsto il carattere “non riassorbibile né rivalutabile” nei casi di passaggio di carriera; nell’ambito del pubblico impiego privatizzato non sussisterebbe alcun principio di riassorbimento, demandando l’art. 2 c. 3 del D.lgs. 165/2001 alla contrattazione collettiva l’eventuale riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli in godimento, ragione per cui non essendo mai la contrattazione collettiva di comparto intervenuta in subiecta materia, non sarebbe consentito all’Amministrazione procedere “sua sponte” a bloccare l’erogazione dell’assegno de quo.
Si è costituito il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, chiedendo il rigetto del gravame, stante l’infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, in sintesi evidenziando:
- gli effetti di cui all’art. 3 c. 57 e 58 della legge 537/93 dovrebbero intendersi come limitati al primo transito nei ruoli civili, apparendo del tutto irragionevole la intangibilità dell’assegno ad personam anche in caso di successivo accesso a qualifiche superiori;
- la lettura restrittiva della norma in esame sarebbe suggerita anche dal disposto di cui all’art. 45 del D.lgs. 165/2001 nella parte in cui afferma la garanzia per tutto il personale pubblico di parità di trattamento economico, oltre dal principio secondo cui nel pubblico impiego il divieto di reformatio in peius riguarderebbe soltanto le voci retributive di carattere fisso e continuativo e non gli emolumenti quali quello per cui è causa.
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 9 aprile 2014, nella quale la causa è passata in decisione.
2. E’ materia del contendere l’accertamento del diritto del ricorrente, transitato nel 1999 nel ruolo tecnico amministrativo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a percepire l'assegno personale già in godimento non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena (pari a 168,78 euro mensili) in applicazione della norma di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993.
3. Preliminarmente, anche ai sensi del comma 3 dell’art. 11 cod. proc. amm., va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, come condivisibilmente statuito dall’adito Tribunale civile di Spoleto.
Infatti, il rapporto di lavoro dei dipendenti del Corpo di polizia penitenziaria (istituito con L. n. 395 del 1990, che ha soppresso il Corpo degli agenti di custodia), espressamente incluso dal legislatore tra le Forze di polizia di Stato, è soggetto, ai sensi dell'art. 3, comma 1, D.lgs. n. 165 del 2001, alla disciplina pubblicistica; non rileva in senso contrario la qualificazione dello stesso come "corpo civile", conseguente alla smilitarizzazione e non implicante la privatizzazione del rapporto di lavoro, ovvero l'esistenza di una espressa connotazione pubblicistica del rapporto di lavoro del personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria (ex art. 2 della successiva L. n. 154 del 2005), giacché tale personale, pur contemplato nella L. n. 395 cit., non fa parte del Corpo di polizia penitenziaria, ma del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alle cui dipendenze detto Corpo è posto (così Cassazione civile Sez. Un., 24 marzo 2010, n. 6997; T.A.R. Toscana sez I, 1 marzo 2011, n.375; T.A.R. Umbria 5 dicembre 2013, n.561).
Ne consegue che la domanda proposta da un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, con qualifica non dirigenziale, transitato nel ruolo amministrativo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire l’ assegno personale già in godimento, non riassorbibile e non rivalutabile, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 134 c. 1 lett. i) cod. proc. amm.
3.1. Va dunque affermata la giurisdizione del g.a.
4. Nel merito il ricorso è fondato è va accolto.
4.1. Ai sensi dell’art. 3 commi 57 e 58 della Legge 24 dicembre 1993, n. 537 “ Interventi correttivi di finanza pubblica” “57. Nei casi di passaggio di carriera di cui all'art. 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all'atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione. 58. L'assegno personale di cui al comma 57 non è cumulabile con indennità fisse e continuative, anche se non pensionabili, spettanti nella nuova posizione, salvo che per la parte eventualmente eccedente.”
Vi è dunque una specifica norma, pur oggi abrogata per effetto dell’entrata in vigore dell'articolo 1, comma 458, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che riconosce al personale in questione un assegno personale pensionabile, testualmente qualificato come “non riassorbibile e non rivalutabile” anche in ipotesi di progressioni di carriera.
Stante l’univocità del tenore letterale della norma, non ritiene il Collegio di potere condividere la tesi interpretativa restrittiva prospettata dalla difesa erariale e non solo perché in contrasto con il primario canone ermeneutico di cui all’art. 12 delle preleggi al codice civile. Infatti, il citato comma 57 costituisce attuazione del generale principio del c.d. divieto di reformatio in peius tutt’ora vigente nel pubblico impiego (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 7 dicembre 2007, n.6295; id. sez. III, 30 aprile 2013, n.2368; Cassazione civ. sez. lav. 2 febbraio 2007, n.2265) e costituisce una speciale disposizione di privilegio, vietando il riassorbimento.
Al fine di superare tale disciplina speciale, sia per ragioni di contenimento della spesa pubblica che di perequazione retributiva tra lavoratori aventi la medesima qualifica ed anzianità di servizio, l’art. 2 comma 3 del D.lgs. 165/2001 (c.d. Codice del pubblico impiego) stabilisce la cessazione di efficacia delle disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale ed il riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli in godimento, “con le modalità e le misure previste dai contratti collettivi”.
Risulta quindi demandato dalla legge alla contrattazione collettiva la questione dell’eventuale riassorbimento, volendo sintetizzare sia quanto all’an che al quantum.
Essendo incontestato tra le parti il mancato intervento della contrattazione collettiva di comparto sull’eventuale riassorbimento dell’indennità in questione, non può che conseguirne l’illegittimità del disposto riassorbimento, dovendosi all’uopo naturalmente disapplicare la circolare interpretativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze - IGOP ufficio IV prot. 97452 del 5 agosto 2004 citata dall’Avvocatura dello Stato, priva di qualsivoglia efficacia anche interna all’Amministrazione in quanto contra legem (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4859; id. sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7521).
Preme precisare che se deve condividersi l’assunto della difesa erariale circa l’operatività del divieto di reformatio in peius soltanto in riferimento alle voci retributive di carattere fisso e continuativo (Consiglio di Stato sez. V, 24 aprile 2013, n.2275) l’assegno di cui gode il ricorrente per effetto dell’art. 3 commi 57 - 58 rientra appieno nella struttura retributiva, poiché secondo quanto allegato e non contestato dall’Amministrazione resistente, in sede di contrattazione collettiva del Comparto Ministeri è ricompresa nella struttura della retribuzione, accanto allo stipendio tabellare, alla retribuzione individuale di anzianità ed alla indennità integrativa speciale, anche “altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge” il che comprova oltre la volontà di escludere il riassorbimento, la sua collocazione nella parte fissa della retribuzione.
Infine, non ravvisa il Collegio nell’assegno in questione alcun carattere di specifica connessione con lo svolgimento di determinate attività nell’ambito di un determinato contesto lavorativo, tale da escludere - secondo un criterio di ragionevolezza - l’operatività del divieto di riassorbimento.
Preme altresì osservare come l’esistenza di differenze di trattamento retributivo con riguardo alle medesime posizioni lavorative non appaia neppure in contrasto con il principio di parità di trattamento pur enunciato dal vigente art. 45 c. 2 del D.lgs. 165/2000, in quanto esso non esclude che i contratti individuali possano stabilire trattamenti economici in misura superiore (Cassazione civ. 1999, n.81141; Tribunale civ. Camerino 15 ottobre 2008, n.95).
4.2. Tanto premesso, per quanto non eccepito dalle parti, non ritiene il Collegio di limitare l’accoglimento della domanda giudiziale per effetto dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2014 n. 147/2013, il cui art. 1 c. 458 ha espressamente abrogato i commi 57 e 58 dell’art. 3 della legge 537/93 affermando che” L'articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, e' sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianita'.”
Benché la norma possa intendersi quale tendenziale riassorbimento delle indennità ad personam in godimento nel settore pubblico a parziale superamento del richiamato principio di divieto di reformatio in peius, assume rilievo dirimente secondo il Collegio, a norma del richiamato art. 2 c. 3 del D.lgs. 165/2001, la mancata disciplina del riassorbimento in sede di contrattazione collettiva, unica fonte allo stato deputata dalla legge ad intervenire in materia, essendo la questione delle retribuzioni tutt’ora devoluta alla contrattazione collettiva, pur a seguito delle modifiche all’art. 2 c. 2 del D.lgs. 165/2001 apportate dalla legge 4 marzo 2009 n.15.
5. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere integralmente accolto, con conseguente accertamento del diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e condanna del Ministero resistente a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena come sopra quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze sino all’effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto così decide:
- accerta il diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale già in godimento non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993;
- condanna conseguentemente il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena come sopra quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze sino all’effettivo soddisfo.
Condanna il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente, in misura di 2.000,00 euro, oltre accessori ai sensi di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2014
1) - Espone l’odierno ricorrente, già in servizio presso il Corpo di Polizia Penitenziaria, di essere transitato nei ruoli tecnici amministrativi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dal 24 settembre 1999, con conservazione del trattamento economico in godimento in quanto più favorevole, e mantenimento di assegno personale pensionabile di lire 3.921.654 pari a 168,78 euro al mese.
2) - Con provvedimento del 19 maggio 2008, il Ministero della Giustizia ha disposto il non riconoscimento del suddetto assegno, in concomitanza del passaggio del ricorrente dall’area B posizione economica “B3” ad Esperto informatico area 3 fascia retributiva “F1” già posizione economica “C1”.
IL TAR DI PERUGIA scrive:
(ecco alcuni brani)
- Ai sensi dell’art. 3 commi 57 e 58 della Legge 24 dicembre 1993, n. 537 OMISSIS
3) - Vi è dunque una specifica norma, pur oggi abrogata per effetto dell’entrata in vigore dell'articolo 1, comma 458, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che riconosce al personale in questione un assegno personale pensionabile, testualmente qualificato come “non riassorbibile e non rivalutabile” anche in ipotesi di progressioni di carriera.
4) - Stante l’univocità del tenore letterale della norma, non ritiene il Collegio di potere condividere la tesi interpretativa restrittiva prospettata dalla difesa erariale e non solo perché in contrasto con il primario canone ermeneutico di cui all’art. 12 delle preleggi al codice civile. Infatti, il citato comma 57 costituisce attuazione del generale principio del c.d. divieto di reformatio in peius tutt’ora vigente nel pubblico impiego (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 7 dicembre 2007, n.6295; id. sez. III, 30 aprile 2013, n.2368; Cassazione civ. sez. lav. 2 febbraio 2007, n.2265) e costituisce una speciale disposizione di privilegio, vietando il riassorbimento.
Ricorso Accolto.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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06/05/2014 201400248 Sentenza 1
N. 00248/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00086/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 86 del 2012, proposto da:
V. F., rappresentato e difeso dall'avv. Federica Boldrini, con domicilio eletto presso Federica Boldrini, in Perugia, via Volte della Pace, 9;
contro
Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria in Perugia, via degli Offici, 14;
Casa di Reclusione di Spoleto;
per l'accertamento
- del diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 euro mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e D.P.C.M. 3.3.1995 e 18.3.1996 concernenti il C.C.N.L. Comparto Ministeri e per l’effetto condannare il Ministero resistente a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena qui quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, per un totale, calcolato dal 19.05.2008 al gennaio 2009 pari a 1.317,36 euro, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2014 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Espone l’odierno ricorrente, già in servizio presso il Corpo di Polizia Penitenziaria, di essere transitato nei ruoli tecnici amministrativi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dal 24 settembre 1999, con conservazione del trattamento economico in godimento in quanto più favorevole, e mantenimento di assegno personale pensionabile di lire 3.921.654 pari a 168,78 euro al mese.
Con provvedimento del 19 maggio 2008, il Ministero della Giustizia ha disposto il non riconoscimento del suddetto assegno, in concomitanza del passaggio del ricorrente dall’area B posizione economica “B3” ad Esperto informatico area 3 fascia retributiva “F1” già posizione economica “C1”.
L’odierno istante ha dunque adito il Tribunale civile di Spoleto al fine dell’accertamento del proprio diritto a percepire il suddetto assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile, nonchè della condanna del Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria al ripristino dell’assegno ed alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto, unitamente a rivalutazione ed interessi.
Con sentenza n. 81 del 10 ottobre 2011 il giudice del lavoro ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del g.a. trattandosi di controversia inerente un rapporto di lavoro non privatizzato.
Con il ricorso in epigrafe F. V. ripropone l’azione di accertamento e condanna già promossa innanzi al Tribunale civile di Spoleto, deducendo in sintesi le seguenti argomentazioni:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 commi 57 - 58 della legge 24 dicembre 1993 n. 537; eccesso di potere: la spettanza dell’assegno pari a 168,78 euro mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e D.P.C.M. 3.3.1995 e 18.3.1996 concernenti il C.C.N.L. Comparto Ministeri sarebbe tutt’ora garantita dal disposto di cui all’art. 3 c. 57 della legge 537/93 laddove sarebbe testualmente previsto il carattere “non riassorbibile né rivalutabile” nei casi di passaggio di carriera; nell’ambito del pubblico impiego privatizzato non sussisterebbe alcun principio di riassorbimento, demandando l’art. 2 c. 3 del D.lgs. 165/2001 alla contrattazione collettiva l’eventuale riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli in godimento, ragione per cui non essendo mai la contrattazione collettiva di comparto intervenuta in subiecta materia, non sarebbe consentito all’Amministrazione procedere “sua sponte” a bloccare l’erogazione dell’assegno de quo.
Si è costituito il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, chiedendo il rigetto del gravame, stante l’infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, in sintesi evidenziando:
- gli effetti di cui all’art. 3 c. 57 e 58 della legge 537/93 dovrebbero intendersi come limitati al primo transito nei ruoli civili, apparendo del tutto irragionevole la intangibilità dell’assegno ad personam anche in caso di successivo accesso a qualifiche superiori;
- la lettura restrittiva della norma in esame sarebbe suggerita anche dal disposto di cui all’art. 45 del D.lgs. 165/2001 nella parte in cui afferma la garanzia per tutto il personale pubblico di parità di trattamento economico, oltre dal principio secondo cui nel pubblico impiego il divieto di reformatio in peius riguarderebbe soltanto le voci retributive di carattere fisso e continuativo e non gli emolumenti quali quello per cui è causa.
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 9 aprile 2014, nella quale la causa è passata in decisione.
2. E’ materia del contendere l’accertamento del diritto del ricorrente, transitato nel 1999 nel ruolo tecnico amministrativo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a percepire l'assegno personale già in godimento non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena (pari a 168,78 euro mensili) in applicazione della norma di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993.
3. Preliminarmente, anche ai sensi del comma 3 dell’art. 11 cod. proc. amm., va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, come condivisibilmente statuito dall’adito Tribunale civile di Spoleto.
Infatti, il rapporto di lavoro dei dipendenti del Corpo di polizia penitenziaria (istituito con L. n. 395 del 1990, che ha soppresso il Corpo degli agenti di custodia), espressamente incluso dal legislatore tra le Forze di polizia di Stato, è soggetto, ai sensi dell'art. 3, comma 1, D.lgs. n. 165 del 2001, alla disciplina pubblicistica; non rileva in senso contrario la qualificazione dello stesso come "corpo civile", conseguente alla smilitarizzazione e non implicante la privatizzazione del rapporto di lavoro, ovvero l'esistenza di una espressa connotazione pubblicistica del rapporto di lavoro del personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria (ex art. 2 della successiva L. n. 154 del 2005), giacché tale personale, pur contemplato nella L. n. 395 cit., non fa parte del Corpo di polizia penitenziaria, ma del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alle cui dipendenze detto Corpo è posto (così Cassazione civile Sez. Un., 24 marzo 2010, n. 6997; T.A.R. Toscana sez I, 1 marzo 2011, n.375; T.A.R. Umbria 5 dicembre 2013, n.561).
Ne consegue che la domanda proposta da un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, con qualifica non dirigenziale, transitato nel ruolo amministrativo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire l’ assegno personale già in godimento, non riassorbibile e non rivalutabile, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 134 c. 1 lett. i) cod. proc. amm.
3.1. Va dunque affermata la giurisdizione del g.a.
4. Nel merito il ricorso è fondato è va accolto.
4.1. Ai sensi dell’art. 3 commi 57 e 58 della Legge 24 dicembre 1993, n. 537 “ Interventi correttivi di finanza pubblica” “57. Nei casi di passaggio di carriera di cui all'art. 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all'atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione. 58. L'assegno personale di cui al comma 57 non è cumulabile con indennità fisse e continuative, anche se non pensionabili, spettanti nella nuova posizione, salvo che per la parte eventualmente eccedente.”
Vi è dunque una specifica norma, pur oggi abrogata per effetto dell’entrata in vigore dell'articolo 1, comma 458, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), che riconosce al personale in questione un assegno personale pensionabile, testualmente qualificato come “non riassorbibile e non rivalutabile” anche in ipotesi di progressioni di carriera.
Stante l’univocità del tenore letterale della norma, non ritiene il Collegio di potere condividere la tesi interpretativa restrittiva prospettata dalla difesa erariale e non solo perché in contrasto con il primario canone ermeneutico di cui all’art. 12 delle preleggi al codice civile. Infatti, il citato comma 57 costituisce attuazione del generale principio del c.d. divieto di reformatio in peius tutt’ora vigente nel pubblico impiego (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 7 dicembre 2007, n.6295; id. sez. III, 30 aprile 2013, n.2368; Cassazione civ. sez. lav. 2 febbraio 2007, n.2265) e costituisce una speciale disposizione di privilegio, vietando il riassorbimento.
Al fine di superare tale disciplina speciale, sia per ragioni di contenimento della spesa pubblica che di perequazione retributiva tra lavoratori aventi la medesima qualifica ed anzianità di servizio, l’art. 2 comma 3 del D.lgs. 165/2001 (c.d. Codice del pubblico impiego) stabilisce la cessazione di efficacia delle disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale ed il riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli in godimento, “con le modalità e le misure previste dai contratti collettivi”.
Risulta quindi demandato dalla legge alla contrattazione collettiva la questione dell’eventuale riassorbimento, volendo sintetizzare sia quanto all’an che al quantum.
Essendo incontestato tra le parti il mancato intervento della contrattazione collettiva di comparto sull’eventuale riassorbimento dell’indennità in questione, non può che conseguirne l’illegittimità del disposto riassorbimento, dovendosi all’uopo naturalmente disapplicare la circolare interpretativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze - IGOP ufficio IV prot. 97452 del 5 agosto 2004 citata dall’Avvocatura dello Stato, priva di qualsivoglia efficacia anche interna all’Amministrazione in quanto contra legem (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4859; id. sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7521).
Preme precisare che se deve condividersi l’assunto della difesa erariale circa l’operatività del divieto di reformatio in peius soltanto in riferimento alle voci retributive di carattere fisso e continuativo (Consiglio di Stato sez. V, 24 aprile 2013, n.2275) l’assegno di cui gode il ricorrente per effetto dell’art. 3 commi 57 - 58 rientra appieno nella struttura retributiva, poiché secondo quanto allegato e non contestato dall’Amministrazione resistente, in sede di contrattazione collettiva del Comparto Ministeri è ricompresa nella struttura della retribuzione, accanto allo stipendio tabellare, alla retribuzione individuale di anzianità ed alla indennità integrativa speciale, anche “altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge” il che comprova oltre la volontà di escludere il riassorbimento, la sua collocazione nella parte fissa della retribuzione.
Infine, non ravvisa il Collegio nell’assegno in questione alcun carattere di specifica connessione con lo svolgimento di determinate attività nell’ambito di un determinato contesto lavorativo, tale da escludere - secondo un criterio di ragionevolezza - l’operatività del divieto di riassorbimento.
Preme altresì osservare come l’esistenza di differenze di trattamento retributivo con riguardo alle medesime posizioni lavorative non appaia neppure in contrasto con il principio di parità di trattamento pur enunciato dal vigente art. 45 c. 2 del D.lgs. 165/2000, in quanto esso non esclude che i contratti individuali possano stabilire trattamenti economici in misura superiore (Cassazione civ. 1999, n.81141; Tribunale civ. Camerino 15 ottobre 2008, n.95).
4.2. Tanto premesso, per quanto non eccepito dalle parti, non ritiene il Collegio di limitare l’accoglimento della domanda giudiziale per effetto dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2014 n. 147/2013, il cui art. 1 c. 458 ha espressamente abrogato i commi 57 e 58 dell’art. 3 della legge 537/93 affermando che” L'articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, e' sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianita'.”
Benché la norma possa intendersi quale tendenziale riassorbimento delle indennità ad personam in godimento nel settore pubblico a parziale superamento del richiamato principio di divieto di reformatio in peius, assume rilievo dirimente secondo il Collegio, a norma del richiamato art. 2 c. 3 del D.lgs. 165/2001, la mancata disciplina del riassorbimento in sede di contrattazione collettiva, unica fonte allo stato deputata dalla legge ad intervenire in materia, essendo la questione delle retribuzioni tutt’ora devoluta alla contrattazione collettiva, pur a seguito delle modifiche all’art. 2 c. 2 del D.lgs. 165/2001 apportate dalla legge 4 marzo 2009 n.15.
5. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere integralmente accolto, con conseguente accertamento del diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993 e condanna del Ministero resistente a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena come sopra quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze sino all’effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto così decide:
- accerta il diritto del ricorrente a percepire l'assegno personale già in godimento non riassorbibile e non rivalutabile in misura piena pari a 168,78 mensili di cui all’art. 3 c. 57-58 della L. 537/1993;
- condanna conseguentemente il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a ripristinare l’assegno personale anzidetto nella misura piena come sopra quantificata ed a corrispondere le differenze dovute fino al ripristino, oltre alla restituzione di quanto trattenuto in busta paga, il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze sino all’effettivo soddisfo.
Condanna il Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente, in misura di 2.000,00 euro, oltre accessori ai sensi di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/05/2014
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