Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da serraciro »
Si ma questo ricorso e stato fatto avverso la destituzione,e non avverso la revoca della pensione-Perchè la competenza e della Corte dei Conti-Ed il Consiglio di Stato si e pronunciato esclusivamente sulla perdita del grado.-
Per cui anche se la perdita del grado è retroattiva, la pensione per dispensa se è stata decretata, ha diritto a mantenerla-Per gli appartenenti della P.S. avviene cosi. Conosco molti colleghi che si trovavano nella stessa situazione del ricorrente ed hanno mantenuto la dispensa dal servizio.
Nonostante siano stati destituiti con data retroattiva.Penso che la normativa è la stessa sia per i militari che le per le forze di Polizia ad ordinamento civile.
Per cui anche se la perdita del grado è retroattiva, la pensione per dispensa se è stata decretata, ha diritto a mantenerla-Per gli appartenenti della P.S. avviene cosi. Conosco molti colleghi che si trovavano nella stessa situazione del ricorrente ed hanno mantenuto la dispensa dal servizio.
Nonostante siano stati destituiti con data retroattiva.Penso che la normativa è la stessa sia per i militari che le per le forze di Polizia ad ordinamento civile.
Re: Perdita grado x rimoz. x motivi disc., sosp. tratt. pens.
Il Tar Lazio ha accolto il ricorso del collega della GdF.
N. 03836/2011 REG.PROV.COLL.
N. 07744/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7744 del 2005, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Omissis, con domicilio eletto presso ….. in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Comando Generale Guardia di Finanza;
per l'annullamento
della determinazione del 19/05/05 che ha disposto la perdita del grado per rimozione e la messa a disposizione del distretto militare competente come semplice soldato
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2011 il dott. Luigi Tosti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso depositato il 23 agosto 2005 il Sig. OMISSIS, brigadiere della guardia di finanza,
chiedeva l’annullamento della determinazione 19 maggio 2005, a lui notificata il 6 giugno 2005, con la quale, all’esito di procedimento disciplinare, gli era inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione dall’impiego.
Dopo avere riassunto i punti salienti della vicenda che lo aveva coinvolto in un procedimento penale (definito con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere per maturata prescrizione del reato) e che aveva costituito poi la ragione dell’inchiesta disciplinare conclusa con la misura espulsiva il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
Illegittimità per violazione dell’art. 120 primo comma del D.P.R. 1957 n. 3, per essersi il procedimento estinto con il decorso di oltre novanta giorni tra la data di chiusura dell’attività demandata alla Commissione di disciplina e quella di notifica al destinatario della sanzione della perdita del grado.
Illegittimità per violazione dell’articolo 97 del D.P.R. 1957 n. 3 ed eccesso di potere per errore sul presupposto, in quanto la potestà disciplinare si era estinta con la conoscenza, da parte dell’Amministrazione della prima sentenza pronunciata nei riguardi del ricorrente per lo stesso fatto storico. Detta sentenza aveva assolto l’imputato con formula piena (perchè il fatto non sussiste). Il procedimento disciplinare doveva quindi essere ritualmente avviato nel termine di 180 giorni dalla notizia della sentenza assolutoria, essendo invece ininfluente il successivo giudicato di estinzione per prescrizione relativo alla medesima vicenda.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, carenza di autonoma valutazione dei fatti posti a fondamento della sanzione, carenza di motivazione in merito agli elementi a discarico del ricorrente; violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 comma 3 della legge n. 241/1990.
Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di motivazione in merito alle concrete modalità di svolgimento da parte del ricorrente del fatto addebitato.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità e/o carenza dei presupposti, illogicità, carenza di motivazione, violazione del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione, irragionevolezza.
Con atto di motivi aggiunti il ricorrente deduceva inoltre:
violazione dell’art. 21 bis della legge n. 241 del 1990, nel testo introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, in quanto il provvedimento di perdita del grado per rimozione contiene una illegittima clausola di immediata efficacia;
illegittimità per violazione dello stesso art. 21 bis , eccesso di potere per difetto di motivazione sull’apposizione della clausola di immediata efficacia.
violazione del citato art. 21 bis in quanto il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha determinato la perdita del grado è intervenuto successivamente all’estinzione del procedimento disciplinare di stato, verificatosi ex lege per il decorso di un lasso temporale superiore a 90 giorni dal compimento dell’ultimo atto (verdetto di non meritevolezza a conservare il grado).
Alla Camera di Consiglio del 29 settembre 2005 questa Sezione respingeva la domanda di sospensiva. Ma l’istanza cautelare era accolta dal giudice amministrativo di appello con ordinanza n. 5857 del 2005.
L’Amministrazione resistente, nella memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.
DIRITTO
Il ricorso si appalesa fondato, in relazione al motivo di estinzione del procedimento disciplinare per decorso del termine di 90 giorni prescritto dall’articolo 120 del T.U. approvato con D.P.R. 1957 n. 3 dedotto nell’atto introduttivo del giudizio e di violazione dell’articolo 21 bis della legge 1990 n. 241, nel testo introdotto dalla legge 2005 n. 15, vigente alla data di definizione del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, dedotto con l’atto di motivi aggiunti.
In punto di fatto è incontestato che l’ultimo atto rilevante della procedura è costituito dalla delibera della Commissione di disciplina in data 21 febbraio 2005; che il decreto di destituzione (perdita del grado per rimozione) fu sottoscritto e datato il 19 maggio 2005 ma venne notificato al destinatario soltanto il successivo 6 giugno, e quindi oltre il termine di estinzione, se (come esattamente chiede il ricorrente) computato dalla data della pronuncia dell’organo collegiale.
Il Collegio, pur consapevole della prevalenza di orientamenti contrari alla tesi dell’istante, ritiene fondate le censure dallo stesso dedotte per le seguenti considerazioni:
i termini perentori imposti dalla legge per il compimento dell’attività disciplinare (ed in primo luogo quello di chiusura dei 90 giorni previsto in via generale dall’articolo 120 del testo unico del 1957) sono dettati a tutela del dipendente incolpato, che non può essere esposto per tempi troppo lunghi alla potestà sanzionatoria con incertezza sul proprio stato di impiego. Non si vede perché la tutela accordata dall’articolo 120 non debba comprendere anche la conoscenza dell’atto terminale del procedimento, tanto più quando si tratti di misura espulsiva che inibisce l’ulteriore prosecuzione del rapporto.
È vero che la notifica del provvedimento finale è atto successivo alla chiusura dell’inchiesta disciplinare ma nel caso si tratta di tipico atto recettizio, la cui operatività è rimessa alla collaborazione del destinatario il quale, dalla data di conoscenza della misura sanzionatoria, dovrà alla stessa attenersi, astenendosi dall’ulteriore prestazione lavorativa, nel caso di destituzione.
Né al riguardo sembra utile invocare il dato fattuale prevalente, relativo all’ordinaria posizione di sospensione cautelare dall’impiego in dipendenza del procedimento disciplinare ed anche anteriormente, in pendenza del procedimento penale ormai definito, trattandosi di circostanza irrilevante in punto di diritto.
Viene quindi in rilievo, quale ulteriore elemento di interpretazione dell’articolo 120 nella questione in esame, l’art, 21 bis della legge sul procedimento amministrativo, nel testo vigente alla data di pronuncia della commissione di disciplina e quindi delle successive fasi dell’iter sanzionatorio a carico del ricorrente, per il quale “ il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata”.
La norma, dettata in favore degli amministrati, ha l’evidente fine di tutelare i destinatari di provvedimenti con effetti negativi e rende essenziale la comunicazione, quale momento di inizio degli effetti dell’atto lesivo.
In tal modo, nel procedimento segnato dagli atti contemplati dalla suddetta norma, si verifica una significativa dequotazione del momento perfezionativo del provvedimento destinato ad incidere sulla sfera giuridica del soggetto privato (Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 73 del 2008).
Deve quindi concludersi nel senso che l’effetto estintivo previsto dall’articolo 120, per il decorso di oltre novanta giorni tra uno ed altro atto della procedura disciplinare, si produce non solo con la mancata adozione nei termini della sanzione, ma anche con la notifica tardiva al dipendente, trattandosi di atto a carattere recettizio e ritenuto quindi che il decorso del tempo di attesa assegnato al soggetto passivo è idoneo a radicare nello stesso la ragionevole convinzione che l’attività sanzionatoria si sia conclusa senza conseguenze lesive, così ponendo fine allo stato di incertezza e di ansia legato alla sottoposizione all’attività repressiva dell’Amministrazione.
Il ricorso deve essere quindi accolto, restando assorbito dalla ritenuta tardività dell’atto finale del procedimento l’esame di ogni altra censura dedotta.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente, Estensore
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Salvatore Mezzacapo, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2011
N. 03836/2011 REG.PROV.COLL.
N. 07744/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7744 del 2005, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Omissis, con domicilio eletto presso ….. in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Comando Generale Guardia di Finanza;
per l'annullamento
della determinazione del 19/05/05 che ha disposto la perdita del grado per rimozione e la messa a disposizione del distretto militare competente come semplice soldato
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2011 il dott. Luigi Tosti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso depositato il 23 agosto 2005 il Sig. OMISSIS, brigadiere della guardia di finanza,
chiedeva l’annullamento della determinazione 19 maggio 2005, a lui notificata il 6 giugno 2005, con la quale, all’esito di procedimento disciplinare, gli era inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione dall’impiego.
Dopo avere riassunto i punti salienti della vicenda che lo aveva coinvolto in un procedimento penale (definito con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere per maturata prescrizione del reato) e che aveva costituito poi la ragione dell’inchiesta disciplinare conclusa con la misura espulsiva il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
Illegittimità per violazione dell’art. 120 primo comma del D.P.R. 1957 n. 3, per essersi il procedimento estinto con il decorso di oltre novanta giorni tra la data di chiusura dell’attività demandata alla Commissione di disciplina e quella di notifica al destinatario della sanzione della perdita del grado.
Illegittimità per violazione dell’articolo 97 del D.P.R. 1957 n. 3 ed eccesso di potere per errore sul presupposto, in quanto la potestà disciplinare si era estinta con la conoscenza, da parte dell’Amministrazione della prima sentenza pronunciata nei riguardi del ricorrente per lo stesso fatto storico. Detta sentenza aveva assolto l’imputato con formula piena (perchè il fatto non sussiste). Il procedimento disciplinare doveva quindi essere ritualmente avviato nel termine di 180 giorni dalla notizia della sentenza assolutoria, essendo invece ininfluente il successivo giudicato di estinzione per prescrizione relativo alla medesima vicenda.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, carenza di autonoma valutazione dei fatti posti a fondamento della sanzione, carenza di motivazione in merito agli elementi a discarico del ricorrente; violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 3 comma 3 della legge n. 241/1990.
Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di motivazione in merito alle concrete modalità di svolgimento da parte del ricorrente del fatto addebitato.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità e/o carenza dei presupposti, illogicità, carenza di motivazione, violazione del principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione, irragionevolezza.
Con atto di motivi aggiunti il ricorrente deduceva inoltre:
violazione dell’art. 21 bis della legge n. 241 del 1990, nel testo introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, in quanto il provvedimento di perdita del grado per rimozione contiene una illegittima clausola di immediata efficacia;
illegittimità per violazione dello stesso art. 21 bis , eccesso di potere per difetto di motivazione sull’apposizione della clausola di immediata efficacia.
violazione del citato art. 21 bis in quanto il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha determinato la perdita del grado è intervenuto successivamente all’estinzione del procedimento disciplinare di stato, verificatosi ex lege per il decorso di un lasso temporale superiore a 90 giorni dal compimento dell’ultimo atto (verdetto di non meritevolezza a conservare il grado).
Alla Camera di Consiglio del 29 settembre 2005 questa Sezione respingeva la domanda di sospensiva. Ma l’istanza cautelare era accolta dal giudice amministrativo di appello con ordinanza n. 5857 del 2005.
L’Amministrazione resistente, nella memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.
DIRITTO
Il ricorso si appalesa fondato, in relazione al motivo di estinzione del procedimento disciplinare per decorso del termine di 90 giorni prescritto dall’articolo 120 del T.U. approvato con D.P.R. 1957 n. 3 dedotto nell’atto introduttivo del giudizio e di violazione dell’articolo 21 bis della legge 1990 n. 241, nel testo introdotto dalla legge 2005 n. 15, vigente alla data di definizione del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, dedotto con l’atto di motivi aggiunti.
In punto di fatto è incontestato che l’ultimo atto rilevante della procedura è costituito dalla delibera della Commissione di disciplina in data 21 febbraio 2005; che il decreto di destituzione (perdita del grado per rimozione) fu sottoscritto e datato il 19 maggio 2005 ma venne notificato al destinatario soltanto il successivo 6 giugno, e quindi oltre il termine di estinzione, se (come esattamente chiede il ricorrente) computato dalla data della pronuncia dell’organo collegiale.
Il Collegio, pur consapevole della prevalenza di orientamenti contrari alla tesi dell’istante, ritiene fondate le censure dallo stesso dedotte per le seguenti considerazioni:
i termini perentori imposti dalla legge per il compimento dell’attività disciplinare (ed in primo luogo quello di chiusura dei 90 giorni previsto in via generale dall’articolo 120 del testo unico del 1957) sono dettati a tutela del dipendente incolpato, che non può essere esposto per tempi troppo lunghi alla potestà sanzionatoria con incertezza sul proprio stato di impiego. Non si vede perché la tutela accordata dall’articolo 120 non debba comprendere anche la conoscenza dell’atto terminale del procedimento, tanto più quando si tratti di misura espulsiva che inibisce l’ulteriore prosecuzione del rapporto.
È vero che la notifica del provvedimento finale è atto successivo alla chiusura dell’inchiesta disciplinare ma nel caso si tratta di tipico atto recettizio, la cui operatività è rimessa alla collaborazione del destinatario il quale, dalla data di conoscenza della misura sanzionatoria, dovrà alla stessa attenersi, astenendosi dall’ulteriore prestazione lavorativa, nel caso di destituzione.
Né al riguardo sembra utile invocare il dato fattuale prevalente, relativo all’ordinaria posizione di sospensione cautelare dall’impiego in dipendenza del procedimento disciplinare ed anche anteriormente, in pendenza del procedimento penale ormai definito, trattandosi di circostanza irrilevante in punto di diritto.
Viene quindi in rilievo, quale ulteriore elemento di interpretazione dell’articolo 120 nella questione in esame, l’art, 21 bis della legge sul procedimento amministrativo, nel testo vigente alla data di pronuncia della commissione di disciplina e quindi delle successive fasi dell’iter sanzionatorio a carico del ricorrente, per il quale “ il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata”.
La norma, dettata in favore degli amministrati, ha l’evidente fine di tutelare i destinatari di provvedimenti con effetti negativi e rende essenziale la comunicazione, quale momento di inizio degli effetti dell’atto lesivo.
In tal modo, nel procedimento segnato dagli atti contemplati dalla suddetta norma, si verifica una significativa dequotazione del momento perfezionativo del provvedimento destinato ad incidere sulla sfera giuridica del soggetto privato (Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. n. 73 del 2008).
Deve quindi concludersi nel senso che l’effetto estintivo previsto dall’articolo 120, per il decorso di oltre novanta giorni tra uno ed altro atto della procedura disciplinare, si produce non solo con la mancata adozione nei termini della sanzione, ma anche con la notifica tardiva al dipendente, trattandosi di atto a carattere recettizio e ritenuto quindi che il decorso del tempo di attesa assegnato al soggetto passivo è idoneo a radicare nello stesso la ragionevole convinzione che l’attività sanzionatoria si sia conclusa senza conseguenze lesive, così ponendo fine allo stato di incertezza e di ansia legato alla sottoposizione all’attività repressiva dell’Amministrazione.
Il ricorso deve essere quindi accolto, restando assorbito dalla ritenuta tardività dell’atto finale del procedimento l’esame di ogni altra censura dedotta.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente, Estensore
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Salvatore Mezzacapo, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2011
Re: Perdita grado x rimoz. x motivi disc., sosp. tratt. pens.
Messaggio da vincent62 »
Caro panorama, tutte le sentenze che proponi al forum sono indiscutibilmente importanti ai fini di una valutazione soggettiva (intendo caso per caso). Detto questo, bisogna guardare anche l'spetto del singolo reato, ritorno a ripetere che ci sono reati ^^ipotizzati^^ che sono inclusi nel nostro codice/regolamento (anche se io faccio parte di quello a partecipazione civile, facendo parte della P.di S., che nulla cambia da quello militare), casi invece che non fanno parte di reati cosiddetti contro la Pubblica Amministrazione, che non vanno ad intaccare il regolamento militare, per cui ci debba essere una rimozione del grado perchè si è venuti meno ai doveri prestati nel giuramento.
Se si viene condannati (ripeto) per reati contro la Pubblica Amministrazione o meglio specificati come quelli che rientrano nella sfera ^^ contrari ai doveri di ufficio^^, basta anche un solo 1 gg. di condanna, per essere destutuiti.
Se si viene condannati (ripeto) per reati contro la Pubblica Amministrazione o meglio specificati come quelli che rientrano nella sfera ^^ contrari ai doveri di ufficio^^, basta anche un solo 1 gg. di condanna, per essere destutuiti.
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da PAOLO4769 »
Buona sera a tutti un quesito dal novembre 2009 sono iscritto come indagato per un procedimento penale con l'accusa di lesioni (penso massimo 6 giorni di prognosi della controparte), al momento non sono mai stato citato in giudizio ma solamente in attesa di giudizio o archiviazione dello stesso anche se dubito visto il tempo che risulta dal casellario, e da febbraio 2011 sono stato posto in congedo per infermità. Premetto che non mi è mai stata aperta la relativa pratica disciplinare perchè il mio comandante di reparto voleva attendere l'esito della giustizia ordinaria. Se dovessi essere magari condannato adesso da pensionato o nei prossimi mesi, potrebbe essermi revocata la pensione ?
Inoltre avevo un altro procedimento disciplinare in corso durante il mio periodo di aspettativa il quale mi è stato comunicato che a causa della riforma è stato archiviato. Una volta chiuso lo stesso non può essere riaperto e magari soggetto ancora alla revoca della mia pensione, che tra l'altro non mi è ancora arrivata ? Grazie mille a tutti, ma dopo aver letto sul forum di colleghi che sono stati esonerati e privati della pensione, ho paura per il procedimento penale ancora in corso e magari la riapertura di quello già archiviato a seguito del mio congedo per infermità.
Paolo
Inoltre avevo un altro procedimento disciplinare in corso durante il mio periodo di aspettativa il quale mi è stato comunicato che a causa della riforma è stato archiviato. Una volta chiuso lo stesso non può essere riaperto e magari soggetto ancora alla revoca della mia pensione, che tra l'altro non mi è ancora arrivata ? Grazie mille a tutti, ma dopo aver letto sul forum di colleghi che sono stati esonerati e privati della pensione, ho paura per il procedimento penale ancora in corso e magari la riapertura di quello già archiviato a seguito del mio congedo per infermità.
Paolo
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da PAOLO4769 »
Scusate la data di iscrizione del procedimento è 2008 e non 2009 a novembre sono 3 anni che il fatto è successo.
Paolo
Paolo
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da PAOLO4769 »
Buona sera a tutti un quesito dal novembre 2008 sono iscritto come indagato per un procedimento penale con l'accusa di lesioni (penso massimo 6 giorni di prognosi della controparte), al momento non sono mai stato citato in giudizio ma solamente in attesa di giudizio o archiviazione dello stesso anche se dubito visto il tempo che risulta dal casellario, e da febbraio 2011 sono stato posto in congedo per infermità. Premetto che non mi è mai stata aperta la relativa pratica disciplinare perchè il mio comandante di reparto voleva attendere l'esito della giustizia ordinaria. Se dovessi essere magari condannato adesso da pensionato o nei prossimi mesi, potrebbe essermi revocata la pensione ?
Inoltre avevo un altro procedimento disciplinare in corso durante il mio periodo di aspettativa il quale mi è stato comunicato che a causa della riforma è stato archiviato. Una volta chiuso lo stesso non può essere riaperto e magari soggetto ancora alla revoca della mia pensione, che tra l'altro non mi è ancora arrivata ? Grazie mille a tutti, ma dopo aver letto sul forum di colleghi che sono stati esonerati e privati della pensione, ho paura per il procedimento penale ancora in corso e magari la riapertura di quello già archiviato a seguito del mio congedo per infermità.
Ci sono a riguardo molte sentenze che dicono che la la pensione viene cristallizata al momento del congedo ed un eventuale punizione disciplinare (per il mio reato penale se dovessi essere condannato) potrebbe essere retroattiva o meno. Grazie a tutti e spero di ricevere delle risposte rassicuranti per il mio futuro, visto i tempi che corrono sono pochi soldi al mese ma almeno sono sicuri per sempre.
Paolo
Inoltre avevo un altro procedimento disciplinare in corso durante il mio periodo di aspettativa il quale mi è stato comunicato che a causa della riforma è stato archiviato. Una volta chiuso lo stesso non può essere riaperto e magari soggetto ancora alla revoca della mia pensione, che tra l'altro non mi è ancora arrivata ? Grazie mille a tutti, ma dopo aver letto sul forum di colleghi che sono stati esonerati e privati della pensione, ho paura per il procedimento penale ancora in corso e magari la riapertura di quello già archiviato a seguito del mio congedo per infermità.
Ci sono a riguardo molte sentenze che dicono che la la pensione viene cristallizata al momento del congedo ed un eventuale punizione disciplinare (per il mio reato penale se dovessi essere condannato) potrebbe essere retroattiva o meno. Grazie a tutti e spero di ricevere delle risposte rassicuranti per il mio futuro, visto i tempi che corrono sono pochi soldi al mese ma almeno sono sicuri per sempre.
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Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da luigino2010 »
PAOLO4769 ha scritto:Buona sera a tutti un quesito dal novembre 2009 sono iscritto come indagato per un procedimento penale con l'accusa di lesioni (penso massimo 6 giorni di prognosi della controparte), al momento non sono mai stato citato in giudizio ma solamente in attesa di giudizio o archiviazione dello stesso anche se dubito visto il tempo che risulta dal casellario, e da febbraio 2011 sono stato posto in congedo per infermità. Premetto che non mi è mai stata aperta la relativa pratica disciplinare perchè il mio comandante di reparto voleva attendere l'esito della giustizia ordinaria. Se dovessi essere magari condannato adesso da pensionato o nei prossimi mesi, potrebbe essermi revocata la pensione ?
Inoltre avevo un altro procedimento disciplinare in corso durante il mio periodo di aspettativa il quale mi è stato comunicato che a causa della riforma è stato archiviato. Una volta chiuso lo stesso non può essere riaperto e magari soggetto ancora alla revoca della mia pensione, che tra l'altro non mi è ancora arrivata ? Grazie mille a tutti, ma dopo aver letto sul forum di colleghi che sono stati esonerati e privati della pensione, ho paura per il procedimento penale ancora in corso e magari la riapertura di quello già archiviato a seguito del mio congedo per infermità.
Paolo
Una volta che il procedimento penale sarà passato in giudicato , l' amministrazione ha un certo periodo di tempo per aprirti un procedimento disciplinare di stato a seguito della condanna (mi sembra 180 gg) - e quindi la rimozione dal grado e destituzione con data retroattiva al giorno del congedo per infermità con la revoca della pensione di invalidità. Però non tutte le condanne penali sono sufficenti per destituirti - seconde me la tua eventuale condanna per lesioni non dovrebbe essere sufficente per una destituzione. Anche se nell'ultimo periodo l' arma sta adottando la rimozione anche per reati minori - per esempio un mio collega è stato destituito e congedato per una condanna penale di un anno per il reato di truffa, con la revoca della pensione di invalidità.
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da PAOLO4769 »
Grazie mille Luigino, ma che mi dici delle sentenze riportate sul forum che parlano della impossibilità della retroattività della destituzione o meglio la cristallizzazione della pensione al momento del congedo. Immagino anch'io per per 6 giorni di lesioni (da provare poi) l'Arma non possa arrivare a tanto. Speriamo bene, la truffa infatti è molto più grave del mio vicino che si inventa di essere stato picchiato dallo scrivente, che te ne pare? Buona giornata
-
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Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da luigino2010 »
Stai tranquillo non penso proprio che ti possano destituire per un risibile reato di 6 giorni di lesioni.PAOLO4769 ha scritto:Grazie mille Luigino, ma che mi dici delle sentenze riportate sul forum che parlano della impossibilità della retroattività della destituzione o meglio la cristallizzazione della pensione al momento del congedo. Immagino anch'io per per 6 giorni di lesioni (da provare poi) l'Arma non possa arrivare a tanto. Speriamo bene, la truffa infatti è molto più grave del mio vicino che si inventa di essere stato picchiato dallo scrivente, che te ne pare? Buona giornata
Per quanto riguarsa le sentenze non so che dirti certo è che nell'ipotesi della revoca della pensione si devono fare tutti i ricorsi possibili. Mi puoi postare per favore i link relativi alle sentenze in questione. grazie . ciao
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
Messaggio da PAOLO4769 »
Grazie della risposta mi sento più tranquillo. Come faccio a postare il link della sentenza in questione ?
Se in MP mi mandi la tua mail privata ti allego il file in acrobat, buona giornata
Paolo
Se in MP mi mandi la tua mail privata ti allego il file in acrobat, buona giornata
Paolo
Re: Revoca pensioni per infermità dopo riforma?
In questa sentenza del Consiglio di Stato si parla oltre alla perdita del grado per procedimento penale ed altro anche del relativo trattamento pensionistico avvenuto a seguito di riforma da parte della CMO.
Posto solamente la parte economica poichè il resto potete leggerlo in sentenza.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
L'INTERESSATO:
Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.
IL CONSIGLIO DI STATO precisa al numero 2.4. (cmq. vi rimando alla lettura della sentenza):
2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.
Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.
Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.
L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).
La censura, conclusivamente, è infondata.
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N. 04292/2012REG.PROV.COLL.
N. 05518/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5518 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Discepolo, con domicilio eletto presso Maurizio Discepolo in Roma, via Conca D'Oro, 184/190;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. delle MARCHE – Sede di ANCONA- SEZIONE I n. 00097/2010, resa tra le parti, concernente SANZIONE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato Diego Perucca in sostituzione di Maurizio Discepolo e l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellante signor OMISSIS l’annullamento del decreto del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza datato 4 marzo 2008, con cui gli era stata applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione.
Questi aveva esposto di essere stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 (come da verbale della C.M.O. di Chieti in data 19/4/2007, di cui l’Amministrazione aveva preso atto con decreto n. …… in data 5/9/2007 del Comandante della Regione Marche della Guardia di Finanza) ed aveva quindi impugnato la detta determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, con cui era stata rideterminata la causa della cessazione dal servizio (da infermità a rimozione con perdita del grado).
La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante - imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p.- aveva subito una condanna ad anni due di reclusione ex art. 444 cpp (condanna divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione).
L’originario ricorrente aveva proposto tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, ipotizzando, da un canto, la illegittima compressione del diritto quesito al trattamento di quiescenza e, per altro verso la violazione degli artt. 37 e 60 della legge n. 599/1954 (in quanto la sentenza penale pronunciata a suo carico non recava la sanzione accessoria della perdita del grado ed il procedimento penale era stato avviato dopo che egli era già cessato dal servizio, mentre l’art. 60 della citata legge prevedeva che la perdita del grado decorresse dalla data del decreto ministeriale che la disponeva).
Sotto altro profilo, aveva ipotizzato la violazione art. 29 c.p.m.p. (sostenendo che alla perdita del grado di Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza non poteva seguite la retrocessione a soldato semplice, ma semmai al grado più basso della gerarchia del Corpo).
Il Tribunale amministrativo regionale, ricostruita analiticamente la disciplina sottesa alla vicenda processuale ha partitamente esaminato le dedotte doglianze ed ha definito la causa nel merito respingendo il ricorso.
Quanto alla prime due censure, il primo giudice ha ritenuto che fossero stati correttamente applicati gli artt. 37 e 61 della legge 31 luglio 1954 n. 599 che costituivano eccezione alla regola generale di cui all’art. 60 della citata legge.
Sotto altro profilo, posto che ex art. 60 della legge citata il sottufficiale della Guardia di Finanza poteva incorrere nella perdita del grado sia in conseguenza di una condanna penale o dell’applicazione di misure di sicurezza (ex art. 60, n. 7), sia a seguito di procedimento disciplinare, (art. 60, n. 6) non era rilevante il fatto che la sentenza pronunciata a suo carico dal giudice penale non contemplasse anche la sanzione accessoria della perdita del grado.
Né poteva sostenersi che l’Amministrazione avesse illegittimamente inciso su un diritto quesito, in quanto costituiva un principio generale dell’ordinamento quello secondo cui il trattamento di quiescenza che viene erogato al pubblico dipendente al momento della cessazione dal servizio è provvisorio, sia per quanto riguarda l’an, sia per ciò che attiene al quantum.
Del pari, ad avviso del primo giudice, meritava reiezione l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il OMISSIS aveva censurato la propria “retrocessione” a soldato semplice in forza al Centro Documentale (ex Distretto Militare) di Ancona: ciò perché la retrocessione al grado più basso della gerarchia costituiva una conseguenza giuridica della perdita del grado, per cui non rilevava il fatto che l’originario ricorrente fosse stato riconosciuto non idoneo in assoluto al servizio militare.
Avverso la sentenza in epigrafe l’ originario ricorrente rimasto soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello chiedendone la riforma.
Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.
La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante era stato imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p., aveva subito una condanna di anni due di reclusione ex art. 444 cpp resa dal tribunale d Ancona in data …. luglio 2006, divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione (in data 9 luglio 2007).
L’inchiesta disciplinare era stata avviata nel settembre 2007 e si era conclusa nel novembre 2007, ed all’esito della stessa egli era stato ritenuto non meritevole della conservazione del grado.
L’azione amministrativa (e la sentenza che ne aveva affermato la esattezza) era gravemente viziata.
La sentenza penale di condanna a suo carico, infatti, non aveva disposto la rimozione né la perdita del grado; il procedimento disciplinare era stato avviato dopo la sentenza di condanna, ma altresì successivamente al collocamento in congedo.
Ne discendeva che era stato fatto malgoverno degli artt. artt. 37, 60 e 26 della L. n. 599/1954.
Non poteva applicarsi, infatti, né l’art. 37 comma 2 della legge n. 599/1954 (perché la sentenza penale non aveva statuito sul punto della rimozione) né simili conseguenze avrebbero potuto discendere dal procedimento disciplinare avviato, in quanto promosso successivamente ed impingente con un diritto quesito dell’appellante (e comunque, a tutto concedere, ex art. 60 della L. n. 599/1954 la perdita del grado avrebbe dovuto avere la stessa decorrenza del decreto che l’aveva disposta e non avrebbe potuto spiegare effetti retroattivi).
Per altro verso, illegittimamente era stata disattesa dal primo giudice la interpretazione dell’art. 29 del cpmp resa in passato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006: illegittimamente l’appellante era stato posto a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice, piuttosto che fatto ridiscendere al grado più basso della scala gerarchica della Guardia di Finanza.
L’appellante ha puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate note d’udienza, riepilogative dell’intero contenzioso.
L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello è infondato e va respinto.
2.Quanto alla prima censura prospettata, nessuna delle articolazioni in cui la stessa si struttura persuade il Collegio.
2.1. In particolare, preme al Collegio anticipare che la tesi appellatoria secondo cui, a cagione della circostanza che la condanna penale pronunciata a carico dell’appellante non conteneva la sanzione della perdita del grado (e del corollario per cui questa sanzione, conseguentemente, non sarebbe stata irrogabile in sede di procedimento disciplinare) l’azione amministrativa sarebbe stata gravemente viziata, appare del tutto destituita di fondamento.
La detta tesi, infatti, come meglio si vedrà immediatamente di seguito, non soltanto collide con la lettera della legge ( nella parte in cui consente che la predetta sanzione possa essere applicata a conclusione di un giudizio disciplinare regolandone la decorrenza) ma, soprattutto, perviene ad una interpretazione certamente non desumibile dalla lettera della legge e del tutto illogica.
Deve considerarsi infatti, che la sanzione penale venne applicata all’appellante a conclusione di un procedimento di cui agli arrt. 444 e segg del codice di rito penale, e che l’art.445 comma 1 del predetto codice di procedura penale stabilisce che “La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale”.
Posto che l’appellante chiese ed ottenne di essere processato con il rito del “patteggiamento”, è evidente che la sentenza applicativa della pena resa dal Giudice penale e regiudicata non avrebbe potuto applicare alcuna sanzione accessoria: fare da ciò discendere una preclusione rispetto alla applicazione di puntuali disposizioni di legge, od alla successiva instaurazione di un procedimento disciplinare, appare senz’altro errato.
La tesi prospettata dall’appellante, soprattutto – ed a prescindere dalla circostanza che, come meglio si vedrà, la stessa appare smentita dalle positive disposizioni di cui alla legge n. 599/1954- appare illogica in quanto farebbe discendere dalla scelta processuale effettuata dall’imputato in sede penale (che, allo stato della legislazione processualpenalistica si configura, sostanzialmente, come un vero e proprio diritto potestativo) circostanze preclusive in sede disciplinare non desumibili per via interpretativa e contrarie alla logica.
2.2. Ciò premesso, stabilisce l’art. 26 della legge 31 luglio 1954 n. 599, che “Il sottufficiale cessa dal servizio permanente per una delle seguenti cause:
a) età;
b) infermità;
c) non idoneità alle attribuzioni del grado o scarso rendimento;
d) domanda;
e) Omissis (1);
f) nomina all'impiego civile;
g) perdita del grado.
Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto ministeriale”.
Dalla testuale lettura della suindicata disposizione emerge senz’altro, quindi, che la cessazione dal servizio discende (anche) dalla pronuncia con la quale viene stabilita la perdita del grado.
Il successivo art. 37 della citata legge, invece, prevede che: “il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta.”.
La detta disposizione connette (e legittima) il mutamento della “causale” della cessazione dal servizio disposta per causa diversa dalla perdita del grado, alla circostanza che la perdita del grado suddetta sia stata disposta con “una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina”, ma non dispone affatto che il relativo procedimento disciplinare dovesse essere già avviato antecedentemente alla cessazione del servizio, in quanto i due commi del citato art. 37 disciplinano fattispecie diverse, in parte intersecantisi, ma non totalmente coincidenti: il primo comma testimonia della impossibilità di trattenere in servizio un sottufficiale, nei cui confronti si sia verificata “una delle cause di cessazione dal servizio permanente” anche laddove lo stesso fosse già stato sottoposto a procedimento disciplinare al momento del congedo.
Il comma secondo, disciplina gli effetti della sentenza o del giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, sul sottufficiale cessato per altra causa.
Ma – e qui riposa un altro non irrilevante errore prospettico contenuto nell’appello- ciò non implica affatto che, perché la sentenza o il giudizio di Commissione di disciplina potessero produrre il citato effetto occorreva necessariamente che essi fossero già stati rispettivamente instaurati al momento in cui il sottufficiale cessava dal servizio per altra causa.
Si evidenzia in proposito che l’art. 60 della citata legge prevede che il grado si perde per una delle seguenti cause:
1) perdita della cittadinanza;
2) assunzione di servizio, non autorizzata, in Forze armate di Stati esteri;
3) assunzione di servizio con qualsiasi grado in una Forza armata diversa da quella cui il sottufficiale appartiene o nella Guardia di finanza o nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza o nel Corpo degli agenti di custodia delle carceri, ovvero, con grado inferiore a quello di sottufficiale, nella Forza armata di appartenenza;
4) interdizione civile o inabilitazione civile;
5) irreperibilità accertata;
6) rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina;
7) condanna:
a) nei casi in cui, ai sensi della legge penale militare, importi la pena accessoria della rimozione;
b) per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste ai nn. 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale.
Il grado si perde altresì per decisione del Ministro, sentito il parere del Tribunale supremo militare, quando il sottufficiale prosciolto dal giudice penale sia stato sottoposto ad una delle misure di sicurezza personali prevedute dall'articolo 215 del Codice penale comune, ovvero quando il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato a cagione di infermità psichica, in una casa di cura o di custodia. Nel caso che il sottufficiale, prosciolto, sia stato ricoverato in un manicomio giudiziario ai sensi dell'art. 222 del Codice penale comune, e nel caso che il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato per infermità psichica in una casa di cura o di custodia ai sensi dell'art. 219 di detto codice, la decisione del Ministro è presa quando il sottufficiale ne viene dimesso.” e, secondariamente, che il successivo art. 61, da leggersi in combinato disposto con l’art. 37 comma 2 il cui testo è stato prima richiamato, prevede che “ La perdita del grado è disposta con decreto ministeriale.
La perdita del grado decorre dalla data del decreto nei casi di cui ai commi primo, nn. 1, 5 e 6, e secondo dell'art. 60, dalla data di assunzione del servizio nei casi di cui al predetto primo comma, nn. 2 e 3, e dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza nei casi di cui allo stesso primo comma, nn. 4 e 7, dell'art. 60.
Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
Proprio l’ultimo comma della disposizione in ultimo citata, “legandosi” al comma 2 dell’art. 37, non a caso ivi espressamente richiamato, consente di affermare che la disposta perdita del grado, in quanto causa di rimozione superveniens, retroagisce alla data in cui (per diversa causa) il sottufficiale ebbe a cessare dal servizio permanente.
2.3. Cadono così le censure fondate sulla asserita intangibilità di alcun diritto quesito, posto che è la stessa legge a non individuare come tale quello relativo alla motivazione con la quale venne in precedenza disposta la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo (al contrario prevedendo un mutamento retroattivo della “causale” della cessazione dal servizio permanente) e cade, soprattutto la tesi per cui sarebbe sufficiente per il sottufficiale indagato od imputato in sede penale di adire il rito ex art. 444 cpp per privare irreversibilmente l’Amministrazione di attivare il procedimento finalizzato alla declaratoria della perdita del grado.
Ciò perché, non potendosi iniziare alcun procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale, si verificherebbe l’evenienza per cui la sentenza resa ex art. 444 cpp non “può “ disporre pene accessorie, ed il sottufficiale nel frattempo cessato dal servizio non potrebbe, ad avviso dell’appellante, subire la sanzione della rimozione per perdita del grado incidente sulla causale del collocamento in congedo medio tempore disposto.
La complessa censura, conclusivamente, è del tutto destituita di fondamento, e, ovviamente, neppure giova all’appellante rimarcare che la propria infermità fosse stata positivamente delibata al momento della “prima” collocazione in congedo: nessuno invero dubita di tale circostanza.
E’ la stessa legge, tuttavia, che considera detta “causale” del congedo rimuovibile ex post, nella particolare evenienza in cui, a seguito di giudizio di disciplina, il sottufficiale venga privato del grado.
Inoltre l’appellante introduce un motivo confusorio, allorchè afferma che la perdita del grado avrebbe dovuto avere la decorrenza prevista dall’art. 60 della citata legge 31 luglio 1954 n. 599 (e cioè dalla dalla data del decreto, ai sensi del penultimo comma del predetto art. 60), trascurando la circostanza che l’ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”: anche tale segmento della censura merita la reiezione, quindi.
2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.
Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.
Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.
L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).
La censura, conclusivamente, è infondata.
3.Non migliore sorte merita, ad avviso del Collegio, la seconda doglianza proposta, incentrata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 29 del rD 20 febbraio1941 n. 303 (c.d. “codice penale militare di pace”: “La rimozione si applica a tutti i militari rivestiti di un grado o appartenenti a una classe superiore all'ultima; è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe. La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione:
1) per gli ufficiali e sottufficiali, quando è inflitta per durata superiore a tre anni;
2) per gli altri militari, quando è inflitta per durata superiore a un anno”) ratione temporis applicabile alla fattispecie.
3.1. Non ignora, il Collegio, la circostanza che in passato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006 abbia reso una intepretazione sostanzialmente coincidente con le critiche mosse alla sentenza di primo grado dall’appellante.
3.2. Si evidenzia in proposito, però, che - ad avviso del Collegio- gli approdi cui è giunto il primo giudice (che ha peraltro funditus vagliato gli argomenti rassegnati in proposito dall’odierno appellante, e fondati proprio sulla richiamata decisione) paiono del tutto condivisibili.
Ritiene in proposito il Collegio di dovere affermare la propria condivisione della opposta interpretazione ermeneutica resa nel parere della Sezione III di questo Consiglio di Stato n. 128/2007 secondo il quale “…ai sensi dell’art. 33 lett. h) L. 10 aprile 1954 n. 113 l’ufficiale cessa dal servizio permanente per perdita del grado a qualunque titolo comminata, dunque anche in conseguenza della perdita del grado per rimozione a titolo di sanzione penale accessoria ex art. 29 Cod. pen. mil. di pace. Tanto si evince dal combinato disposto dell’art. 33 lett. h) e dell’art. 70 legge n. 113 del 1954. Invero, l’art. 33 lett. h), prevede la cessazione dal servizio permanente effettivo per perdita del grado; l’art. 70, a sua volta, elenca le cause di perdita del grado, menzionando espressamente, al n. 5 lett. a), l’ipotesi di condanna penale comportante anche la pena accessoria della rimozione. Analoga disposizione è dettata per i sottufficiali. Dunque chiaro che vi è una incompatibilità normativa tra perdita del grado e permanenza nel servizio permanente.
Non vi è pertanto spazio per una diversa interpretazione dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace, che collochi il destinatario della rimozione al primo grado del volontario di truppa in servizio permanente effettivo, interpretazione non consentita dal chiaro dettato letterale di una norma varata in un’epoca che già conosceva la distinzione tra leva obbligatoria e servizio permanente effettivo.
E, invero, dal combinato disposto dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace e dei citati articoli 33 lett. h) e 70 n. 5 lett. a) legge n. 113 del 1954, si evince che la perdita del grado, quale che ne sia la ragione (anche a titolo di sanzione penale accessoria), comporta sempre la cessazione dal servizio permanente effettivo. Vi è dunque una ontologica incompatibilità tra perdita del grado e possibilità di permanere in servizio permanente effettivo, a riprova che l’art. 29 Cod. pen. mil. di pace non si presta ad essere interpretato nel senso di consentire il permanere del militare rimosso dal grado in servizio permanente effettivo…”.
Si aggiunga in proposito che occorre considerare che la norma di cui all'art. 29 del c.p.m.p., invocata, disciplina l'istituto della rimozione quale pena accessoria da infliggere al militare condannato alla pena della reclusione militare.
Nel caso concreto, tuttavia, il ricorrente non è stato sottoposto a processo penale dinnanzi alla magistratura militare, e non è stato condannato alla pena della reclusione militare; egli al contrario è stato sottoposto a procedimento disciplinare per grave violazione dei doveri assunti con il giuramento: la misura della perdita del grado inflitta a quest'ultimo non ha pertanto natura di pena accessoria (che come tale avrebbe potuto peraltro essere comminata solo dall'autorità giudiziaria militare, e non già dagli organi dell'amministrazione), bensì di sanzione disciplinare.
La norma applicata nel caso concreto non sarebbe dunque il citato art. 29 del c.p.m.p., ma l'art. 60 punto 6 della legge 31 luglio 1954 n. 599, pacificamente applicabile al personale della Guardia di Finanza come dianzi affermato, e come non contestato dallo stesso appellante, in virtù del richiamo operato dall'art. 1, comma 1, della legge 17 aprile 1957 n. 260 (recante "Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza"), in base al quale la suindicata sanzione può essere comminata in caso di "...violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina".
Ciò premesso, va rilevato che, contrariamente a quanto avviene per l'analoga misura prevista dall'art. 29 del c.p.m.p., l'art. 26, comma 1, lett. g), della citata legge n. 599/54, ricollega espressamente alla sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, prevista dal summenzionato art. 60, la conseguenza della cessazione dal servizio permanente per il sottufficiale che ne sia colpito.
L'Amministrazione ha dunque operato correttamente nel disporre la risoluzione del rapporto di lavoro (la messa a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice non è indice della instaurazione di un nuovo e diverso rapporto lavorativo con la pubblica amministrazione, ma costituisce proprio conseguenza della misura espulsiva -tutti gli ex militari ancora potenzialmente idonei ad essere richiamati alle armi sono posti a disposizione del Centro Documentale, ex Distretto militare- e pertanto non è neppure incompatibile con la riscontrata inabilità dell’appellante al servizio).
4. Conclusivamente, l’appello è certamente infondato e merita la reiezione.
5.La natura della controversia e la parziale novità e complessità delle questioni esaminate giustificano la compensazione tra le parti le spese processuali sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 5518 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/07/2012
Posto solamente la parte economica poichè il resto potete leggerlo in sentenza.
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L'INTERESSATO:
Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.
IL CONSIGLIO DI STATO precisa al numero 2.4. (cmq. vi rimando alla lettura della sentenza):
2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.
Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.
Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.
L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).
La censura, conclusivamente, è infondata.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
N. 04292/2012REG.PROV.COLL.
N. 05518/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5518 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Discepolo, con domicilio eletto presso Maurizio Discepolo in Roma, via Conca D'Oro, 184/190;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. delle MARCHE – Sede di ANCONA- SEZIONE I n. 00097/2010, resa tra le parti, concernente SANZIONE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato Diego Perucca in sostituzione di Maurizio Discepolo e l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellante signor OMISSIS l’annullamento del decreto del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza datato 4 marzo 2008, con cui gli era stata applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione.
Questi aveva esposto di essere stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 (come da verbale della C.M.O. di Chieti in data 19/4/2007, di cui l’Amministrazione aveva preso atto con decreto n. …… in data 5/9/2007 del Comandante della Regione Marche della Guardia di Finanza) ed aveva quindi impugnato la detta determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, con cui era stata rideterminata la causa della cessazione dal servizio (da infermità a rimozione con perdita del grado).
La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante - imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p.- aveva subito una condanna ad anni due di reclusione ex art. 444 cpp (condanna divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione).
L’originario ricorrente aveva proposto tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, ipotizzando, da un canto, la illegittima compressione del diritto quesito al trattamento di quiescenza e, per altro verso la violazione degli artt. 37 e 60 della legge n. 599/1954 (in quanto la sentenza penale pronunciata a suo carico non recava la sanzione accessoria della perdita del grado ed il procedimento penale era stato avviato dopo che egli era già cessato dal servizio, mentre l’art. 60 della citata legge prevedeva che la perdita del grado decorresse dalla data del decreto ministeriale che la disponeva).
Sotto altro profilo, aveva ipotizzato la violazione art. 29 c.p.m.p. (sostenendo che alla perdita del grado di Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza non poteva seguite la retrocessione a soldato semplice, ma semmai al grado più basso della gerarchia del Corpo).
Il Tribunale amministrativo regionale, ricostruita analiticamente la disciplina sottesa alla vicenda processuale ha partitamente esaminato le dedotte doglianze ed ha definito la causa nel merito respingendo il ricorso.
Quanto alla prime due censure, il primo giudice ha ritenuto che fossero stati correttamente applicati gli artt. 37 e 61 della legge 31 luglio 1954 n. 599 che costituivano eccezione alla regola generale di cui all’art. 60 della citata legge.
Sotto altro profilo, posto che ex art. 60 della legge citata il sottufficiale della Guardia di Finanza poteva incorrere nella perdita del grado sia in conseguenza di una condanna penale o dell’applicazione di misure di sicurezza (ex art. 60, n. 7), sia a seguito di procedimento disciplinare, (art. 60, n. 6) non era rilevante il fatto che la sentenza pronunciata a suo carico dal giudice penale non contemplasse anche la sanzione accessoria della perdita del grado.
Né poteva sostenersi che l’Amministrazione avesse illegittimamente inciso su un diritto quesito, in quanto costituiva un principio generale dell’ordinamento quello secondo cui il trattamento di quiescenza che viene erogato al pubblico dipendente al momento della cessazione dal servizio è provvisorio, sia per quanto riguarda l’an, sia per ciò che attiene al quantum.
Del pari, ad avviso del primo giudice, meritava reiezione l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il OMISSIS aveva censurato la propria “retrocessione” a soldato semplice in forza al Centro Documentale (ex Distretto Militare) di Ancona: ciò perché la retrocessione al grado più basso della gerarchia costituiva una conseguenza giuridica della perdita del grado, per cui non rilevava il fatto che l’originario ricorrente fosse stato riconosciuto non idoneo in assoluto al servizio militare.
Avverso la sentenza in epigrafe l’ originario ricorrente rimasto soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello chiedendone la riforma.
Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.
La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante era stato imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p., aveva subito una condanna di anni due di reclusione ex art. 444 cpp resa dal tribunale d Ancona in data …. luglio 2006, divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione (in data 9 luglio 2007).
L’inchiesta disciplinare era stata avviata nel settembre 2007 e si era conclusa nel novembre 2007, ed all’esito della stessa egli era stato ritenuto non meritevole della conservazione del grado.
L’azione amministrativa (e la sentenza che ne aveva affermato la esattezza) era gravemente viziata.
La sentenza penale di condanna a suo carico, infatti, non aveva disposto la rimozione né la perdita del grado; il procedimento disciplinare era stato avviato dopo la sentenza di condanna, ma altresì successivamente al collocamento in congedo.
Ne discendeva che era stato fatto malgoverno degli artt. artt. 37, 60 e 26 della L. n. 599/1954.
Non poteva applicarsi, infatti, né l’art. 37 comma 2 della legge n. 599/1954 (perché la sentenza penale non aveva statuito sul punto della rimozione) né simili conseguenze avrebbero potuto discendere dal procedimento disciplinare avviato, in quanto promosso successivamente ed impingente con un diritto quesito dell’appellante (e comunque, a tutto concedere, ex art. 60 della L. n. 599/1954 la perdita del grado avrebbe dovuto avere la stessa decorrenza del decreto che l’aveva disposta e non avrebbe potuto spiegare effetti retroattivi).
Per altro verso, illegittimamente era stata disattesa dal primo giudice la interpretazione dell’art. 29 del cpmp resa in passato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006: illegittimamente l’appellante era stato posto a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice, piuttosto che fatto ridiscendere al grado più basso della scala gerarchica della Guardia di Finanza.
L’appellante ha puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate note d’udienza, riepilogative dell’intero contenzioso.
L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello è infondato e va respinto.
2.Quanto alla prima censura prospettata, nessuna delle articolazioni in cui la stessa si struttura persuade il Collegio.
2.1. In particolare, preme al Collegio anticipare che la tesi appellatoria secondo cui, a cagione della circostanza che la condanna penale pronunciata a carico dell’appellante non conteneva la sanzione della perdita del grado (e del corollario per cui questa sanzione, conseguentemente, non sarebbe stata irrogabile in sede di procedimento disciplinare) l’azione amministrativa sarebbe stata gravemente viziata, appare del tutto destituita di fondamento.
La detta tesi, infatti, come meglio si vedrà immediatamente di seguito, non soltanto collide con la lettera della legge ( nella parte in cui consente che la predetta sanzione possa essere applicata a conclusione di un giudizio disciplinare regolandone la decorrenza) ma, soprattutto, perviene ad una interpretazione certamente non desumibile dalla lettera della legge e del tutto illogica.
Deve considerarsi infatti, che la sanzione penale venne applicata all’appellante a conclusione di un procedimento di cui agli arrt. 444 e segg del codice di rito penale, e che l’art.445 comma 1 del predetto codice di procedura penale stabilisce che “La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale”.
Posto che l’appellante chiese ed ottenne di essere processato con il rito del “patteggiamento”, è evidente che la sentenza applicativa della pena resa dal Giudice penale e regiudicata non avrebbe potuto applicare alcuna sanzione accessoria: fare da ciò discendere una preclusione rispetto alla applicazione di puntuali disposizioni di legge, od alla successiva instaurazione di un procedimento disciplinare, appare senz’altro errato.
La tesi prospettata dall’appellante, soprattutto – ed a prescindere dalla circostanza che, come meglio si vedrà, la stessa appare smentita dalle positive disposizioni di cui alla legge n. 599/1954- appare illogica in quanto farebbe discendere dalla scelta processuale effettuata dall’imputato in sede penale (che, allo stato della legislazione processualpenalistica si configura, sostanzialmente, come un vero e proprio diritto potestativo) circostanze preclusive in sede disciplinare non desumibili per via interpretativa e contrarie alla logica.
2.2. Ciò premesso, stabilisce l’art. 26 della legge 31 luglio 1954 n. 599, che “Il sottufficiale cessa dal servizio permanente per una delle seguenti cause:
a) età;
b) infermità;
c) non idoneità alle attribuzioni del grado o scarso rendimento;
d) domanda;
e) Omissis (1);
f) nomina all'impiego civile;
g) perdita del grado.
Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto ministeriale”.
Dalla testuale lettura della suindicata disposizione emerge senz’altro, quindi, che la cessazione dal servizio discende (anche) dalla pronuncia con la quale viene stabilita la perdita del grado.
Il successivo art. 37 della citata legge, invece, prevede che: “il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta.”.
La detta disposizione connette (e legittima) il mutamento della “causale” della cessazione dal servizio disposta per causa diversa dalla perdita del grado, alla circostanza che la perdita del grado suddetta sia stata disposta con “una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina”, ma non dispone affatto che il relativo procedimento disciplinare dovesse essere già avviato antecedentemente alla cessazione del servizio, in quanto i due commi del citato art. 37 disciplinano fattispecie diverse, in parte intersecantisi, ma non totalmente coincidenti: il primo comma testimonia della impossibilità di trattenere in servizio un sottufficiale, nei cui confronti si sia verificata “una delle cause di cessazione dal servizio permanente” anche laddove lo stesso fosse già stato sottoposto a procedimento disciplinare al momento del congedo.
Il comma secondo, disciplina gli effetti della sentenza o del giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, sul sottufficiale cessato per altra causa.
Ma – e qui riposa un altro non irrilevante errore prospettico contenuto nell’appello- ciò non implica affatto che, perché la sentenza o il giudizio di Commissione di disciplina potessero produrre il citato effetto occorreva necessariamente che essi fossero già stati rispettivamente instaurati al momento in cui il sottufficiale cessava dal servizio per altra causa.
Si evidenzia in proposito che l’art. 60 della citata legge prevede che il grado si perde per una delle seguenti cause:
1) perdita della cittadinanza;
2) assunzione di servizio, non autorizzata, in Forze armate di Stati esteri;
3) assunzione di servizio con qualsiasi grado in una Forza armata diversa da quella cui il sottufficiale appartiene o nella Guardia di finanza o nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza o nel Corpo degli agenti di custodia delle carceri, ovvero, con grado inferiore a quello di sottufficiale, nella Forza armata di appartenenza;
4) interdizione civile o inabilitazione civile;
5) irreperibilità accertata;
6) rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina;
7) condanna:
a) nei casi in cui, ai sensi della legge penale militare, importi la pena accessoria della rimozione;
b) per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste ai nn. 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale.
Il grado si perde altresì per decisione del Ministro, sentito il parere del Tribunale supremo militare, quando il sottufficiale prosciolto dal giudice penale sia stato sottoposto ad una delle misure di sicurezza personali prevedute dall'articolo 215 del Codice penale comune, ovvero quando il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato a cagione di infermità psichica, in una casa di cura o di custodia. Nel caso che il sottufficiale, prosciolto, sia stato ricoverato in un manicomio giudiziario ai sensi dell'art. 222 del Codice penale comune, e nel caso che il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato per infermità psichica in una casa di cura o di custodia ai sensi dell'art. 219 di detto codice, la decisione del Ministro è presa quando il sottufficiale ne viene dimesso.” e, secondariamente, che il successivo art. 61, da leggersi in combinato disposto con l’art. 37 comma 2 il cui testo è stato prima richiamato, prevede che “ La perdita del grado è disposta con decreto ministeriale.
La perdita del grado decorre dalla data del decreto nei casi di cui ai commi primo, nn. 1, 5 e 6, e secondo dell'art. 60, dalla data di assunzione del servizio nei casi di cui al predetto primo comma, nn. 2 e 3, e dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza nei casi di cui allo stesso primo comma, nn. 4 e 7, dell'art. 60.
Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
Proprio l’ultimo comma della disposizione in ultimo citata, “legandosi” al comma 2 dell’art. 37, non a caso ivi espressamente richiamato, consente di affermare che la disposta perdita del grado, in quanto causa di rimozione superveniens, retroagisce alla data in cui (per diversa causa) il sottufficiale ebbe a cessare dal servizio permanente.
2.3. Cadono così le censure fondate sulla asserita intangibilità di alcun diritto quesito, posto che è la stessa legge a non individuare come tale quello relativo alla motivazione con la quale venne in precedenza disposta la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo (al contrario prevedendo un mutamento retroattivo della “causale” della cessazione dal servizio permanente) e cade, soprattutto la tesi per cui sarebbe sufficiente per il sottufficiale indagato od imputato in sede penale di adire il rito ex art. 444 cpp per privare irreversibilmente l’Amministrazione di attivare il procedimento finalizzato alla declaratoria della perdita del grado.
Ciò perché, non potendosi iniziare alcun procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale, si verificherebbe l’evenienza per cui la sentenza resa ex art. 444 cpp non “può “ disporre pene accessorie, ed il sottufficiale nel frattempo cessato dal servizio non potrebbe, ad avviso dell’appellante, subire la sanzione della rimozione per perdita del grado incidente sulla causale del collocamento in congedo medio tempore disposto.
La complessa censura, conclusivamente, è del tutto destituita di fondamento, e, ovviamente, neppure giova all’appellante rimarcare che la propria infermità fosse stata positivamente delibata al momento della “prima” collocazione in congedo: nessuno invero dubita di tale circostanza.
E’ la stessa legge, tuttavia, che considera detta “causale” del congedo rimuovibile ex post, nella particolare evenienza in cui, a seguito di giudizio di disciplina, il sottufficiale venga privato del grado.
Inoltre l’appellante introduce un motivo confusorio, allorchè afferma che la perdita del grado avrebbe dovuto avere la decorrenza prevista dall’art. 60 della citata legge 31 luglio 1954 n. 599 (e cioè dalla dalla data del decreto, ai sensi del penultimo comma del predetto art. 60), trascurando la circostanza che l’ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”: anche tale segmento della censura merita la reiezione, quindi.
2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.
Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.
Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.
L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).
La censura, conclusivamente, è infondata.
3.Non migliore sorte merita, ad avviso del Collegio, la seconda doglianza proposta, incentrata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 29 del rD 20 febbraio1941 n. 303 (c.d. “codice penale militare di pace”: “La rimozione si applica a tutti i militari rivestiti di un grado o appartenenti a una classe superiore all'ultima; è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe. La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione:
1) per gli ufficiali e sottufficiali, quando è inflitta per durata superiore a tre anni;
2) per gli altri militari, quando è inflitta per durata superiore a un anno”) ratione temporis applicabile alla fattispecie.
3.1. Non ignora, il Collegio, la circostanza che in passato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006 abbia reso una intepretazione sostanzialmente coincidente con le critiche mosse alla sentenza di primo grado dall’appellante.
3.2. Si evidenzia in proposito, però, che - ad avviso del Collegio- gli approdi cui è giunto il primo giudice (che ha peraltro funditus vagliato gli argomenti rassegnati in proposito dall’odierno appellante, e fondati proprio sulla richiamata decisione) paiono del tutto condivisibili.
Ritiene in proposito il Collegio di dovere affermare la propria condivisione della opposta interpretazione ermeneutica resa nel parere della Sezione III di questo Consiglio di Stato n. 128/2007 secondo il quale “…ai sensi dell’art. 33 lett. h) L. 10 aprile 1954 n. 113 l’ufficiale cessa dal servizio permanente per perdita del grado a qualunque titolo comminata, dunque anche in conseguenza della perdita del grado per rimozione a titolo di sanzione penale accessoria ex art. 29 Cod. pen. mil. di pace. Tanto si evince dal combinato disposto dell’art. 33 lett. h) e dell’art. 70 legge n. 113 del 1954. Invero, l’art. 33 lett. h), prevede la cessazione dal servizio permanente effettivo per perdita del grado; l’art. 70, a sua volta, elenca le cause di perdita del grado, menzionando espressamente, al n. 5 lett. a), l’ipotesi di condanna penale comportante anche la pena accessoria della rimozione. Analoga disposizione è dettata per i sottufficiali. Dunque chiaro che vi è una incompatibilità normativa tra perdita del grado e permanenza nel servizio permanente.
Non vi è pertanto spazio per una diversa interpretazione dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace, che collochi il destinatario della rimozione al primo grado del volontario di truppa in servizio permanente effettivo, interpretazione non consentita dal chiaro dettato letterale di una norma varata in un’epoca che già conosceva la distinzione tra leva obbligatoria e servizio permanente effettivo.
E, invero, dal combinato disposto dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace e dei citati articoli 33 lett. h) e 70 n. 5 lett. a) legge n. 113 del 1954, si evince che la perdita del grado, quale che ne sia la ragione (anche a titolo di sanzione penale accessoria), comporta sempre la cessazione dal servizio permanente effettivo. Vi è dunque una ontologica incompatibilità tra perdita del grado e possibilità di permanere in servizio permanente effettivo, a riprova che l’art. 29 Cod. pen. mil. di pace non si presta ad essere interpretato nel senso di consentire il permanere del militare rimosso dal grado in servizio permanente effettivo…”.
Si aggiunga in proposito che occorre considerare che la norma di cui all'art. 29 del c.p.m.p., invocata, disciplina l'istituto della rimozione quale pena accessoria da infliggere al militare condannato alla pena della reclusione militare.
Nel caso concreto, tuttavia, il ricorrente non è stato sottoposto a processo penale dinnanzi alla magistratura militare, e non è stato condannato alla pena della reclusione militare; egli al contrario è stato sottoposto a procedimento disciplinare per grave violazione dei doveri assunti con il giuramento: la misura della perdita del grado inflitta a quest'ultimo non ha pertanto natura di pena accessoria (che come tale avrebbe potuto peraltro essere comminata solo dall'autorità giudiziaria militare, e non già dagli organi dell'amministrazione), bensì di sanzione disciplinare.
La norma applicata nel caso concreto non sarebbe dunque il citato art. 29 del c.p.m.p., ma l'art. 60 punto 6 della legge 31 luglio 1954 n. 599, pacificamente applicabile al personale della Guardia di Finanza come dianzi affermato, e come non contestato dallo stesso appellante, in virtù del richiamo operato dall'art. 1, comma 1, della legge 17 aprile 1957 n. 260 (recante "Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza"), in base al quale la suindicata sanzione può essere comminata in caso di "...violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina".
Ciò premesso, va rilevato che, contrariamente a quanto avviene per l'analoga misura prevista dall'art. 29 del c.p.m.p., l'art. 26, comma 1, lett. g), della citata legge n. 599/54, ricollega espressamente alla sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, prevista dal summenzionato art. 60, la conseguenza della cessazione dal servizio permanente per il sottufficiale che ne sia colpito.
L'Amministrazione ha dunque operato correttamente nel disporre la risoluzione del rapporto di lavoro (la messa a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice non è indice della instaurazione di un nuovo e diverso rapporto lavorativo con la pubblica amministrazione, ma costituisce proprio conseguenza della misura espulsiva -tutti gli ex militari ancora potenzialmente idonei ad essere richiamati alle armi sono posti a disposizione del Centro Documentale, ex Distretto militare- e pertanto non è neppure incompatibile con la riscontrata inabilità dell’appellante al servizio).
4. Conclusivamente, l’appello è certamente infondato e merita la reiezione.
5.La natura della controversia e la parziale novità e complessità delle questioni esaminate giustificano la compensazione tra le parti le spese processuali sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 5518 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/07/2012
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