Trasferimento sensi art. 33, co. 5, legge n. 104 del 1992

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Trasferimento sensi art. 33, co. 5, legge n. 104 del 1992

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Per notizia anche una sentenza in favore di un collega del Corpo Forestale.

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1) - Quanto, innanzi tutto, alla circostanza che il ricorrente non avrebbe dato prova dell’«esclusività» e della «continuità» dell’attività assistenziale a lui facente capo, il Collegio non può che rilevare come, a séguito delle modifiche apportate dall’art. 24 della legge n. 183 del 2010, i suindicati requisiti siano oramai venuti meno dalla fattispecie normativa in esame, sicché non può più l’Amministrazione farvi richiamo per giustificare il rigetto dell’istanza, neppure ove si tratti del personale di Polizia, delle Forze armate e dei Vigili del Fuoco (v. Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 2012 n. 5378, 30 luglio 2012 n. 4291 e 9 luglio 2012 n. 4047; Sez. III, 7 marzo 2012 n. 1293; TAR Piemonte, Sez. I, 25 gennaio 2013 n. 105; TAR Calabria, Reggio Calabria, 24 ottobre 2012 n. 636).

Ricorso Accolto nei limiti di cui in motivazione che vi invito ha leggere qui sotto.

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08/03/2013 201300178 Sentenza 1


N. 00178/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01046/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 1046 del 2011 proposto da D. F., rappresentato e difeso dall’avv. Silvia Contestabile e dall’avv. Andrea De Marchi, con domicilio presso la Segreteria della Sezione;

contro
il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege;

per l'annullamento
– quanto all’atto introduttivo della lite – della nota prot. n. 15140/11 del 5 luglio 2011, con cui il Capo del Corpo Forestale dello Stato ha disposto il rigetto dell’istanza di trasferimento presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992;
– quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 9 maggio 2012 – della nota prot. n. 3455/2012 del 21 febbraio 2012, con cui il Capo del Corpo Forestale dello Stato ha confermato il rigetto dell’istanza di trasferimento presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992;
……………………….per la condanna ………
dell’Amministrazione al risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;
Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 9 maggio 2012;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 21 febbraio 2013 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
In servizio presso il Comando regionale dell’Emilia-Romagna del Corpo Forestale dello Stato con la qualifica di “agente”, nel giugno 2011 il ricorrente chiedeva di essere trasferito ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 per assistere il padre affetto da grave invalidità, ed indicava a tal fine, in alternativa, le sedi del Comando Stazione di Tuscania, del Comando Stazione di Civita Castellana e dell’Ispettorato generale di Roma, in quanto ubicate a distanza utile da OMISSIS (Viterbo). L’istanza veniva tuttavia rigettata, con la motivazione che le sedi di Tuscania e Civita Castellana non recavano posti vacanti, mentre la sede di Roma non rientrava tra quelle considerate dalla legge non essendo la “…sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere …” (v. nota prot. n. 15140/11 del 5 luglio 2011, a firma del Capo del Corpo Forestale dello Stato).

Avverso il diniego ha proposto impugnativa l’interessato. Assume sussistenti tutte le condizioni previste dalla legge per il trasferimento in questione; denuncia, poi, l’insufficienza ed erroneità dell’istruttoria e della motivazione, per non essersi tenuto adeguato conto delle finalità sottese all’istituto del trasferimento ex art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, e per non essersi, in particolare, data puntuale indicazione delle effettive ragioni ostative all’assegnazione anche in sovrannumero alle sedi indicate, mentre per la sede di Roma non si è considerato che, pur non essendo la più vicina al domicilio del disabile, essa avrebbe comunque consentito l’attività di assistenza al genitore invalido; lamenta, infine, la carenza del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato e di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.

Si è costituito in giudizio il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.

L’istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 13 ottobre 2011 (ord. n. 850/11), con decisione poi però riformata dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. III, ord. 14 gennaio 2012 n. 117).

A seguito del conseguente riesame dell’istanza del ricorrente, l’Amministrazione confermava l’originario rigetto, per non essere stato documentato che l’interessato fosse l’unico familiare effettivamente investito delle funzioni di assistenza del genitore invalido e che difettassero altri parenti in grado di provvedervi, per non risultare posti vacanti e disponibili presso le sedi di Tuscania e Civita Castellana e per essere gravemente pregiudizievole per la sede attuale di servizio la perdita di un’unità operativa (v. nota prot. n. 3455/2012 del 21 febbraio 2012, a firma del Capo del Corpo Forestale dello Stato).

Avverso il nuovo provvedimento di diniego ha proposto un’ulteriore impugnativa il ricorrente a mezzo di atto di “motivi aggiunti” depositato il 9 maggio 2012. Assume solo apparentemente eseguita l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato (che aveva disposto il riesame dell’istanza), per essersi in realtà ribadita l’insussistenza di posti vacanti presso le sedi di Tuscania e Civita Castellana ed essersi, per il resto, richiamate ragioni ostative che avrebbero dovuto semmai essere addotte fin dal primo diniego, mentre nulla è stato chiarito circa l’inidoneità della sede di Roma; imputa, poi, all’Amministrazione di avere ignorato che, in virtù della novella legislativa del 2010, l’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 non contempla più i requisiti dell’«esclusività» e della «continuità», sicché erroneo è il riferimento alla necessità di provare l’effettivo svolgimento dell’attività di assistenza e la carenza di altri parenti in grado di dare ausilio alla persona invalida; si duole, ancora, dell’inadeguato vaglio delle esigenze del richiedente e dell’approssimativa indicazione delle ragioni di servizio ostative al trasferimento, oltre che di un’insufficiente istruttoria e di un’inidonea motivazione; censura, infine, la carenza di comunicazione di avvio del procedimento e l’insussistenza del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

La nuova istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 14 giugno 2012 (ord. n. 335/12), con decisione poi però riformata dal giudice d’appello (Cons. Stato, Sez. III, ord. 1° settembre 2012 n. 3558).

All’udienza del 21 febbraio 2013, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è fondato, ma nei limiti che saranno precisati.

Quanto al diniego impugnato con l’atto introduttivo della lite, l’Amministrazione ha opposto la duplice ragione ostativa dell’inesistenza di posti vacanti e disponibili nelle sedi di Tuscania e Civita Castellana e della non riconducibilità della sede dell’Ispettorato generale di Roma a quella “…più vicina al domicilio della persona da assistere …”.

Il Collegio ritiene legittimo il primo motivo di diniego ma illegittimo il secondo.

Come la giurisprudenza ha più volte avuto modo di rilevare, nell’àmbito del beneficio previsto dall’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 l’aspettativa a vedersi assegnati ad una struttura lavorativa più prossima al luogo di assistenza del familiare con handicap è suscettibile di soddisfazione solo se compatibile con le specifiche esigenze funzionali dell’Amministrazione di appartenenza, cui si può ben chiedere di tenere in debito conto i bisogni, personali e familiari, dei suoi dipendenti, ma non certo di subordinare agli stessi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, contraddistinti – nel bilanciamento – da priorità assoluta, in quanto preordinati a quella cura di interessi pubblici che non tollera soluzione di continuità, con la conseguenza che si è coerentemente rinvenuta una condizione preclusiva del beneficio nell’inesistenza di un posto disponibile corrispondente alla qualifica e al profilo professionale del dipendente nella pianta organica della sede cui egli chiede di essere trasferito (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2005 n. 5218), così da restarne esclusa la pretesa all’assegnazione in posizione soprannumeraria (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2000 n. 2069). Nella fattispecie, allora, non v’è ragione di imputare all’Amministrazione un’errata applicazione della normativa, laddove ha motivato il diniego di trasferimento alle sedi di Tuscania e Civita Castellana con l’inesistenza di posti disponibili, circostanza di per sé sufficiente a sorreggere in parte qua il provvedimento negativo, senza necessità di ulteriori spiegazioni, e anche con l’inutilità di un preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 che non avrebbe comunque consentito di conseguire risultati diversi a fronte dell’insuperabile dato oggettivo della carenza di posti vacanti.

Per quel che riguarda, invece, la sede dell’Ispettorato generale di Roma, non si presenta conforme a legge il diniego motivato con il rilievo che non si tratta della sede di lavoro in assoluto più prossima al domicilio della persona da assistere. La previsione di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, nel testo attualmente vigente (“Il lavoratore … ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere …”) risponde all’esigenza di consentire al dipendente pubblico l’assegnazione ad una sede che ne renda possibile la presenza continuativa presso la residenza del congiunto, nell’assunto che, se anche non estesa all’effettuazione delle attività materiali necessarie e se anche non consistente in una convivenza, l’assistenza prevista dalla legge richiede tuttavia che il familiare curi personalmente e ininterrottamente la gestione di tutto quanto necessario per la tutela psico-fisica del disabile, operazioni che, per implicare anche una sorveglianza costante della situazione e l’esigenza di fornire un sostegno morale all’assistito, impongono necessariamente la stabile presenza in loco del soggetto; pertanto la “…sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere …” non è necessariamente e solo quella in assoluto meno distante di altre dal congiunto con handicap, rientrandovi in realtà qualsiasi sede che, tra quelle prossime al luogo in cui va effettuata l’assistenza (e quindi più vicina rispetto all’originaria sede di lavoro), permetta in concreto l’attività di ausilio considerata dalla legge. In quest’ottica, la soluzione legata al trasferimento a Roma appare coerente con la ratio della norma, perché renderebbe possibile – pur in presenza di sedi più vicine – lo svolgimento del servizio in una località raggiungibile quotidianamente dal comune di dimora del congiunto bisognevole di assistenza.

Di qui l’illegittimità del diniego così motivato e, quindi, l’annullamento della nota prot. n. 15140/11 del 5 luglio 2011 nella parte relativa al rigetto della domanda di trasferimento all’Ispettorato generale di Roma.
Quanto, poi, al diniego impugnato con l’atto di “motivi aggiunti”, l’Amministrazione ha opposto la mancata prova dell’essere il ricorrente l’unico familiare effettivamente investito delle funzioni di assistenza del genitore invalido e del non esservi altri parenti in grado di provvedervi, ha confermato inoltre l’insussistenza di posti vacanti e disponibili presso le sedi di Tuscania e Civita Castellana, e ha addotto, infine, le gravi conseguenze pregiudizievoli per la regolarità dei servizi istituzionali della struttura di appartenenza del ricorrente nel caso di suo allontanamento.

Se, per la parte inerente le sedi di Tuscania e Civita Castellana, va ribadita l’insuperabilità del carattere ostativo al trasferimento derivante dall’assenza di posti vacanti e disponibili – per le ragioni già illustrate –, il diniego si presenta ancora una volta illegittimo nella parte che riguarda la richiesta di assegnazione all’Ispettorato generale di Roma.

Quanto, innanzi tutto, alla circostanza che il ricorrente non avrebbe dato prova dell’«esclusività» e della «continuità» dell’attività assistenziale a lui facente capo, il Collegio non può che rilevare come, a séguito delle modifiche apportate dall’art. 24 della legge n. 183 del 2010, i suindicati requisiti siano oramai venuti meno dalla fattispecie normativa in esame, sicché non può più l’Amministrazione farvi richiamo per giustificare il rigetto dell’istanza, neppure ove si tratti del personale di Polizia, delle Forze armate e dei Vigili del Fuoco (v. Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 2012 n. 5378, 30 luglio 2012 n. 4291 e 9 luglio 2012 n. 4047; Sez. III, 7 marzo 2012 n. 1293; TAR Piemonte, Sez. I, 25 gennaio 2013 n. 105; TAR Calabria, Reggio Calabria, 24 ottobre 2012 n. 636).

Quanto, poi, alle esigenze organizzative che osterebbero al trasferimento del ricorrente, l’Amministrazione richiama genericamente il pregiudizio per la regolarità dei servizi istituzionali e l’impossibilità di sostituire l’unità partente in ragione delle significative carenze di organico nell’intero territorio regionale. Sennonché, tale motivazione appare insufficiente, avendo la giurisprudenza sottolineato che, per non svuotare di significato la norma, essa va interpretata nel senso che, all’esito di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il trasferimento può essere negato solo se ne conseguano effettive e ben individuate criticità per l’Amministrazione, la quale ha l’onere di indicarle in maniera compiuta per rendere percepibile di quali reali pregiudizi risentirebbe la sua azione, mentre non può limitarsi ad invocare generiche esigenze di corretta organizzazione e buon andamento (v. TAR Marche 9 marzo 2012 n. 189), così come è avvenuto nella fattispecie con l’apodittico richiamo alle carenze di organico delle strutture locali.

Di qui l’illegittimità del diniego così motivato e, pertanto, l’annullamento della nota prot. n. 3455/2012 del 21 febbraio 2012 nella parte relativa al rigetto della domanda di trasferimento all’Ispettorato generale di Roma.

In conclusione, assorbite le restanti doglianze, il ricorso va accolto nei limiti suindicati, con conseguente annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati. Generica, invece, e per questo insuscettibile di accoglimento, si presenta l’istanza risarcitoria contenuta nell’atto introduttivo della lite, perché non assistita da prova circa il pregiudizio patrimoniale che avrebbe eventualmente sofferto il ricorrente per effetto del protrarsi del procedimento.

Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione, e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la nota prot. n. 15140/11 del 5 luglio 2011 e la nota prot. n. 3455/2012 del 21 febbraio 2012, entrambe nella parte relativa al rigetto della domanda di trasferimento del ricorrente all’Ispettorato generale di Roma.

Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 21 febbraio 2013, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Calvo, Presidente
Ugo Di Benedetto, Consigliere
Italo Caso, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/03/2013


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Re: Trasferimento sensi art. 33, co. 5, legge n. 104 del 199

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Le norme qui sotto, sono quelle di cui al Quesito posto dal Ministero della Difesa -Stato Maggiore dell’Esercito- Dipartimento impiego del personale, che posterò a seguire.
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LEGGE 4 novembre 2010, n. 183
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchè misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.

Art. 19.

(Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonchè dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni
democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonchè per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.

2. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie.

3. Il Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) partecipa, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte in attuazione delle finalità di cui al comma 1 e concernenti il trattamento economico del medesimo personale.

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DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

Articolo 78

Doveri e condizione giuridica

OMISSIS

6. Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato. La richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità. Nell'assegnazione della sede per l'espletamento del servizio militare di leva o di sue forme sostitutive è riconosciuta agli amministratori locali la priorità per la sede di espletamento del mandato amministrativo o per le sedi a questa più vicine. Il servizio sostitutivo di leva non può essere espletato nell'ente nel quale il soggetto è amministratore o in un ente dipendente o controllato dalla medesima amministrazione.

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Poi, l’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, e l’art. 42-bis del d.lgs. n. 151/2001 li conoscete abbastanza bene, quindi è inutile postare il loro contenuto.
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N.B.: per fortuna che il CdS tiene a freno il M.D. facendogli capire che la Legge è al di sopra di tutto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201702515 - Public 2017-12-01 -

Numero 02515/2017 e data 01/12/2017 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 18 ottobre 2017


NUMERO AFFARE 01327/2017

OGGETTO:
Ministero della difesa -Stato Maggiore dell’Esercito- Dipartimento impiego del personale.


Quesito relativo alla rilevabilità della specificità delle Forze Armate, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 183 del 2010, nella disamina delle istanze di applicazione dei benefici di cui agli artt. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, 42-bis del d.lgs. n. 151/2001 e 78, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000, con particolare riferimento all’esigenza di mantenimento della prontezza operativa delle Unità di impiego.

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. nr. 0055374 dell’11 luglio 2017, con la quale il Ministero della difesa, Dipartimento impiego del personale, ha chiesto un parere a questo Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Antonella Manzione.


Premesso:

1. In data 11 luglio 2017 il Ministero della difesa ha chiesto a questo Consiglio di Stato un parere in ordine alla possibilità di valorizzare la specificità delle Forze Armate, espressamente riconosciuta anche dall’art. 19 della l. 4 novembre 2010, n. 183, per statuire a livello generale, con apposita direttiva, un diniego di concessione, oltre certi limiti percentuali, di alcuni benefici di legge previsti per i dipendenti pubblici.

Suddetto limite percentuale, individuato nella soglia del 5 % della forza organicamente prevista delle Unità operative per ciascuna categoria di personale (Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Militari di truppa), troverebbe il suo fondamento scientifico in studi condotti dal Reparto Impiego delle Forze dello Stato Maggiore della Difesa, con specifico riferimento alle principali fonti che, a livello NATO, individuano gli standard di prontezza operativa/combat che necessariamente devono essere comuni a tutte le Forze facenti parte dell’Alleanza Atlantica.

2. Premesso che l’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 pone il principio generale secondo cui determinate categorie di pubblici dipendenti, tra cui il personale militare, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti, il quadro normativo risulta correttamente ricostruito come segue:

a) in ragione del rinvio contenuto nel menzionato T.U.P.I., l’ordinamento militare è oggi regolamentato dal testo unico adottato con il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, cosiddetto codice dell’ordinamento militare (C.O.M.);

b) gli istituti dei quali è discussione sono disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 33 della l. 5 febbraio 1992, n. 104, 42-bis del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e 78 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Trattasi di disposizioni che, a vario titolo, prevedono anche regole di mobilità a domanda per il personale, funzionali alla fruizione di diritti costituzionalmente garantiti, quali la salute, la tutela della paternità/maternità e l’elettorato passivo; ma che nella loro apparente assertività rischiano di collidere con le altrettanto prioritarie esigenze sottese all’azione delle Forze Armate e sussunte nel ricordato principio di specificità delle stesse di cui all’art. 19 legge 4 novembre 2010, n. 183.

c) l’applicabilità degli istituti in questione anche al pubblico impiego non contrattualizzato, nel quale rientra il personale delle Forze Armate, è espressamente riconosciuta da varie disposizioni-cerniera del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, che di fatto, pur con qualche precisazione di contesto, estendono le guarentigie previste al riguardo per il dipendente pubblico all’appartenente alle Forze Armate, dando anche attuazione al disposto dell’art. 52 della Costituzione.

d) in particolare, l’art. 981 C.O.M., alle lettere b) e c), dichiara applicabili al personale militare, “compatibilmente con il proprio stato”, l’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e l’art. 78, comma 6, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267;

e) l’art. 1493, comma 1, contiene, a sua volta, un rinvio generale al t.u. sulla tutela della genitorialità, sebbene anche in questo caso con richiamo a modalità tali da garantire comunque l’esercizio della funzione militare;

f) l’art. 2209-xxxxxxxxxxxx, infine, ancorché in un’ottica transitoria di lungo periodo, demanda al piano di programmazione di cui all'articolo 2209-quater, ferma la prioritaria necessità di garantire il regolare svolgimento del servizio, l’adozione delle “modalità di attuazione della disciplina intesa a favorire l'assegnazione a domanda presso enti o reparti limitrofi di coniugi entrambi dipendenti del Ministero della difesa, compresi gli appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto, secondo criteri prestabiliti per garantire il ricongiungimento familiare, tra i quali è espressamente richiamato, per il caso di coniugi con figli minori fino a tre anni di età, l'articolo 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”;

g) nell’ elencazione delle norme percepite come distoniche rispetto alla peculiarità della funzione militare, il Ministero della difesa riporta anche l’art. 53 del d.lgs. n. 151/2001, laddove viene sancita la non obbligatorietà di prestare lavoro notturno per la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Considerato:

3. In via preliminare occorre contestualizzare ulteriormente le norme richiamate, dovendosi evidenziare la non irrilevante modifica intervenuta anche in epoca successiva all’entrata in vigore del ricordato art. 19 della l. n. 183/2010, sotto la cui egida l’Amministrazione vorrebbe ricondurre la legittimazione a scelte operative di validità generalizzata.

In particolare, con il d.lgs. 28 gennaio 2014, n. 8, recante “Disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione, a norma degli articoli 2, comma 1, lettere c) ed e), 3, commi 1 e 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge 31 dicembre 2012, n. 244” si è intervenuti anche sulle norme di interesse, peraltro rafforzando, ove possibile, la limitabilità della concessione degli istituti, ma nel contempo omogeneizzandone ulteriormente la disciplina complessiva rispetto a quella prevista in via generale per i dipendenti pubblici. Il già citato art. 981 C.O.M., ad esempio, nella sua attuale stesura nasce dalla novellazione apportata dall’art. 4 del d.lgs. n. 8/2014, che vi ha introdotto l’inciso “nel limite per il personale di Esercito italiano, Marina militare, Aeronautica militare e Arma dei Carabinieri, delle posizioni organiche previste per il ruolo e il grado, vacanti nella sede di richiesta destinazione”, non senza aggiungere anche, però, che: “In costanza di riconoscimento del diritto previsto da tale norma, il personale dell'Esercito italiano, della Marina militare, dell'Aeronautica militare e dell'Arma dei carabinieri interessato non è impiegabile in operazioni in ambito internazionale o in attività addestrative propedeutiche alle stesse”.

Come può vedersi, il legislatore del 2014 torna sulla disciplina dell’applicabilità in concreto dell’istituto della mobilità a domanda per l’assistenza a disabili gravi e lo fa avendo alle spalle la già avvenuta legificazione del concetto di specificità delle Forze Armate. Nell’introdurre limitazioni aggiuntive, si cerca dunque un punto di mediazione imprescindibile, ma anche invalicabile, cui deve attenersi la risposta del datore di lavoro, senza abdicare però alle proprie competenze esclusive al riguardo, in favore di altri strumenti di regolazione o di indirizzo, quali in particolare le direttive. Si legge, in proposito, nella relazione illustrativa: “Ciò (ovvero l’introduzione del limite delle dotazioni organiche, n.d.r.) anche al fine di evitare che l’applicazione della menzionata disciplina nell’ambito delle Forze Armate comporti gravi ripercussioni sull’attività, sull’organizzazione e sulla funzionalità dello strumento militare, soprattutto in quelle particolari realtà in cui ogni componente risulta fondamentale e la continuità nel rapporto di lavoro costituisce la condizione basilare per l’efficienza e l’efficacia”.

Ad ulteriore riprova della sussistenza del principio della non comprimibilità, se non per prioritarie esigenze concrete da valutare caso per caso, dei diritti dei lavoratori, va ricordato come si debba al medesimo d.lgs. n. 8/2014 l’introduzione della lettera “h-bis” nel corpo dell’art. 1506 del C.O.M.

L’intento, egualmente esplicitato, è quello già ricordato, ovvero omogeneizzare il più possibile l’ habeascorpus del militare rispetto a quello del dipendente pubblico in genere: si ovvia perciò ad una pregressa lacuna di tutela mediante l’introduzione del richiamo anche al comma 3 dell’art. 33 della l. n. 104, concernente il regime dei permessi mensili per l’assistenza al familiare o affine affetto da grave disabilità; e in perfetto parallelismo con quanto già previsto in relazione ai soggetti fruitori della mobilità a domanda, anche per quelli che beneficiano del regime dei permessi mensili si prevede, onde garantire l’effettività nell’esercizio del diritto, che non possano essere impiegati in operazioni in ambito internazionale o ad esse propedeutiche.

4. Possono essere opportunamente richiamati anche gli artt. 625 e 1465 del d.lgs. n. 66/2010: la prima disposizione si occupa proprio dei rapporti con l’ordinamento generale del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e stabilisce inequivocabilmente che al personale militare si applicano le disposizioni contenute nel libro IV del Codice, chiarendo così anche perché nel corpo dell’art. 981 non figuri il richiamo all’art. 42 bis del d.lgs. n. 151/2001, che sarebbe risultato ultroneo; la seconda conferma che ai militari spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, pur nel rispetto del principio per il quale ad essi sono imposte limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri, per garantire alle Forze Armate il miglior assolvimento dei propri compiti istituzionali.

5. Risulta, pertanto, chiaro che il legislatore abbia inteso in vario modo attribuire rilievo alla specificità delle Forze Armate, dando vita ad un sistema necessariamente omologo a quello del dipendente pubblico in genere, ma senza rinnegarne le peculiarità. Tale “sistema nel sistema”, d’altro canto, è ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, che ha via via legittimato dinieghi, purché motivati, opposti dall’Amministrazione di appartenenza ad istanze di benefici come quelli di cui trattasi, proprio nel superiore interesse dell’efficienza della “specifica” articolazione territoriale interessata al procedimento, con particolare riferimento, peraltro, alle esigenze dell’ufficio “rilasciante”, anziché alle sole potenzialità di quello “ricevente”.

5.1 In relazione, ad esempio, all’esatto significato da attribuire all’inciso “tenendo conto del particolare stato rivestito” contenuto nel ricordato art. 1493 del d.lgs. n. 66/2010, si è affermato che esso non si identifica nelle generiche e complessive esigenze dell’ufficio, che comunque presidiano anche la disciplina prevista dall’art. 42-bis per tutti i pubblici dipendenti; bensì in un “quid pluris che sottende ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. IV, n. 2113 del 23 maggio 2016). Si è detto poi che in caso di diniego della mobilità a domanda avente ad oggetto la fruizione di un diritto legato alla genitorialità, non sarebbe neppure necessario l’inoltro dell’avviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, in quanto l’urgenza intrinseca alla stessa, in ragione del suo motivarsi nella necessità di attendere alle funzioni nascenti dalla propria qualità di genitore di minore in tenera età, lo renderebbe non soltanto superfluo, ma per certi versi deleterio, facendo apparire “paradossale che da simile ragionevole condotta venga fatto discendere un vizio infraprocedimentale” (Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2017 n. 2352). In termini, è stata considerata pienamente giustificata, ai fini della motivazione di diniego dell’assegnazione richiesta, l’esigenza di non depauperare il complesso delle risorse disponibili in un certo ambito (cfr. Cons. di Stato, n. 2113/2016, cit.). E ancora, in relazione alla fruizione dei diritti di elettorato passivo, si è rimarcato come, al di fuori delle ordinarie movimentazioni, resti salva e intatta la discrezionalità dell’Amministrazione militare nell’apprezzare le esigenze di più agevole svolgimento del munuspublicum in raffronto a quelle organizzative relative alla situazione organica della sede a quo (Cons. Stato, Sez. IV, 2 luglio 2012, n. 3865; Sez. III, 4 giugno 2014, n. 2863; Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2226).

5.2 In termini ancor più generali, la qualificazione come interesse legittimo e non diritto soggettivo della posizione giuridica in capo al dipendente che avanza istanza di mobilità per una delle ragioni sottese alle tre normative speciali più volte ricordate, pressoché unanime in giurisprudenza, rende riconducibile alla discrezionalità del potere concessorio la decisione dell’Amministrazione datrice di lavoro, che negherà il beneficio ove lo impongano le esigenze di servizio dell’ufficio di appartenenza dell’istante, anche correlate a deficitarie situazioni di organico, o di quello della destinazione richiesta (cfr. Cons. St., Sez. III, 3 aprile 2014, n. 1677; id., 13 novembre 2014 n. 6031 e 20 maggio 2015, n. 3805).

6. Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che dalla ricostruzione fin qui effettuata emergano chiaramente due postulati di partenza pregiudiziali alla disamina della tematica affrontata:

a) è innegabile che il sistema delle guarentigie a tutela di diritti fondamentali del lavoratore sotteso a determinate discipline previste per i dipendenti pubblici trovi applicazione anche per quelli appartenenti alle Forze Armate, ancorché con alcuni temperamenti funzionali volti a mitigarne l’impatto sulle esigenze di specifica efficienza richieste alle stesse;

b) la giurisprudenza amministrativa, da parte sua, non ha mancato di assecondare in un certo qual modo tale ricostruzione, valorizzando, ogni qualvolta possibile, suddetta specificità, anche alla luce delle clausole a vario titolo inserite nelle ricordate norme-cerniera contemplate nel COM.

7. Orbene l’odierno quesito ministeriale sembra trarre spunto dalla pronunzia di questo Consiglio di Stato (Sez. IV) n. 4047 del 14 luglio 2012, nella quale si è affermata l’applicabilità anche al personale delle Forze Armate della nuova formulazione dell’art. 33, comma 5, della l. n. 104/1992, conseguente alla novella apportata con l’art. 24 della legge n. 183/2010. Nella motivazione della stessa può leggersi che il venir meno, a seguito della riforma dell’istituto, dei requisiti della cosiddetta continuità ed esclusività nell’assistenza, quali presupposti necessari alla concessione del beneficio, non può non valere anche per la valutazione delle istanze avanzate dal personale militare, proprio in ragione del fatto che la novella “interviene a modificare la normativa dettata dalla legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, con ciò lasciando intendere che la materia è oggetto di considerazione autonoma e trasversale, impingendo su problematiche di carattere sociale più ampio”.

8. Ma, occorre ricordare, l’art. 19 della l. 183 /2010 (collegato lavoro), che nel dettare principi e criteri generalissimi di delega per il riordino degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela pensionistica, economica e previdenziale delle Forze armate, riconosce espressamente, al comma 1, la “specificità del ruolo delle Forze armate…, nonché dello stato giuridico del personale in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativi richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”.

L’indicazione è sufficientemente chiara ma, in base al comma 2, “La disciplina attuativa dei princìpi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie”.

Resta sullo sfondo, dunque, il problema di definire il valore di questi principi generalissimi di indirizzo, rimasti almeno formalmente inattuati. Orbene, per ciò che qui rileva, l’indicazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale appare duplice: innanzitutto, i principi e i criteri direttivi sono idonei a produrre effetti nell'ordinamento in modo del tutto autonomo rispetto al successivo esercizio della delega da parte del legislatore delegato; in secondo luogo, l'individuazione di tali effetti è operazione da farsi caso per caso, valutandone la struttura del contenuto precettivo e il grado di determinatezza.

9.1 Può tornare, al riguardo, nuovamente utile quanto affermato nella ricordata sentenza n. 4047/2012 di questo Consiglio di Stato, ovvero l’impossibilità di declassare l’art. 19 a semplice norma “manifesto”, sminuendone l’ innegabile portata innovativa: il solo fatto di aver elevato a rango di norma primaria la “specificità” delle Forze Armate, infatti, introduce innegabilmente un canone ermeneutico cui deve ispirarsi in primo luogo l’interprete nella ricerca di soluzioni applicative che richiedano, con riguardo al caso concreto, la comparazione di interessi contrapposti.

9.2 Ma una cosa, dunque, è fornire a livello generale un suggerimento operativo, desunto da indicazioni metodologiche internazionali, per coadiuvare le Amministrazioni interessate nell’esercizio del relativo potere, valutando l’incidenza della mobilità a domanda sull’efficienza operativa della singola struttura anche alla luce di tali indicazioni; senza tuttavia, ovviamente, perdere di vista l’onere motivazionale, che non potrà ridursi a mera clausola di stile concretizzantesi nel richiamo al superamento del predeterminato limite percentuale; altro è, invece, introdurre una disciplina di dettaglio utilizzando lo strumento della direttiva di vertice, così da “ingessare” le potenzialità discrezionali di esercizio del potere concessorio delle articolazioni organizzative interessate, e con ciò indebitamente sostituendosi al legislatore delegato.

10. Il richiamo, contenuto in alcune sentenze ed indirettamente ripreso dal Ministero, anche attraverso il riferimento all’art. 2209 xxxxxxxxxxxx del C.O.M., alla possibilità di effettuare scelte a carattere generale necessita a sua volta di una indispensabile precisazione. Se si prescinde dalla possibilità, di cui al paragrafo precedente, di ricordare a tutta la struttura l’esistenza di studi che hanno fornito indicazioni statistiche di efficienza minima in termini percentuali, è evidente che nessun’altra possibilità di indicazione cogente che finisca per integrare il dato normativo possa essere fornita con lo strumento della direttiva.

10.1 Nella stessa logica, del resto, si pone il procedimento declinato dall’art. 2209 xxxxxxxxxxxx del C.O.M., invocato impropriamente dal Ministero della difesa a supporto della propria tesi interpretativa. La norma, infatti, prevede le linee guida da seguire per i ricongiungimenti familiari tra coniugi entrambi appartenenti alla Difesa e fissa una corsia preferenziale per la trattazione delle istanze di trasferimento in presenza di prole in minore età, precisando che, in caso di coniugi con figli minori fino ai 3 anni di età, si applica l’art. 42 bis del decreto legislativo n. 151/2001 e sancendo, in caso di coniugi entrambi militari, che ne sia evitato il contestuale impiego in attività operative continuative fuori dall’ordinaria sede di servizio. Le linee guida devono inserirsi nel contesto del piano di programmazione triennale scorrevole per il progressivo raggiungimento delle dotazioni organiche complessive di Esercito italiano, Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e Aeronautica militare indicate all’articolo 798, e della relativa ripartizione previsto dall’art. 2209 quater, a partire dall’anno 2016 e sino all’anno 2024, prevedendo che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tale piano sia annualmente adottato allo scopo di definire le modalità di attuazione: dei transiti di personale militare in servizio permanente non dirigente e non soggetto a obblighi di ferma nei ruoli civili dell’amministrazione della Difesa o di altre amministrazioni pubbliche, con esclusione delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, secondo i criteri stabiliti al successivo articolo 2209 quinquies; delle riserve di posti nei concorsi pubblici, estese anche al personale militare in servizio permanente. Si evidenzia che a monte dell’articolo vi è la individuazione delle eventuali eccedenze (ai sensi del precedente articolo 2209 ter, comma 1, con determinazione del Ministro della difesa).

Orbene, non vi è chi non veda come a fronte della scelta del legislatore di ricondurre ad un complesso e dettagliato iter (D.P.C.M. con tutti i passaggi procedurali ricordati) un segmento minimo della materia in esame (le domande di mobilità di coniugi entrambi militari con figli di età inferiore a tre anni, da gestire ai sensi dell’art. 42 bis del d.lgs. 151, ma da computare nella programmazione ora in esame) risulterebbe paradossale, per la rimanente casistica, poter procedere autonomamente con direttiva a carattere generale.

11. Ritiene dunque in definitiva la Sezione che la “specificità” dell’ordinamento militare, delle esigenze connesse al suo buon andamento e di quanto queste possano influire sullo status e sulle situazioni degli appartenenti all’ordinamento medesimo, vada sviluppata e valorizzata nella valutazione di compatibilità - e solo in quella, in assenza dei decreti legislativi attuativi previsti dal comma 2 dell’art. 19 della l. n. 183/2010 - da effettuarsi in concreto, o in atti di programmazione delle risorse a carattere generale, ma contingente al periodo di riferimento. Indicazioni percentuali prestabilite assumono l’innegabile merito divulgativo di rendere note le risultanze di analisi scientifiche sull’efficienza strutturale, cui le decisioni dell’Amministrazione datrice di lavoro possono ispirarsi nella motivazione di eventuali provvedimenti di diniego. Senza dimenticare, peraltro, che la valutazione della sussistenza della necessità di utilizzare il militare in un certo ufficio o in un certo incarico si appalesa come valutazione di stretto merito, come tale, ove non palesemente irrazionale, non sindacabile in sede giurisdizionale se non a condizione di sostituire la determinazione amministrativa, come sorretta dalla detta valutazione, con quella operata dal Giudice, che è risultato evidentemente inammissibile nell’attuale sistema delle tutele.

P.Q.M.

Nei sensi di cui in motivazione è il parere della Sezione sul quesito in oggetto.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Manzione Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
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Re: Trasferimento sensi art. 33, co. 5, legge n. 104 del 199

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Legge 104, il dipendente può rifiutare il trasferimento.


Sez. LAVORO CIVILE, Sentenza n.24015 del 12/10/2017 (CASS. 2017/24015 CIV), udienza del 10/05/2017, Presidente NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore TORRICE AMELIA


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