Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
questa sentenza della Corte dei Conti richiama anche la sentenza della Corte dei Conti Sardegna n. 93/2014 a favore del nostro ex collega CC. in pensione da me quì postata in data 14/11/2014.
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La Corte dei Conti del F.V.G. ha dato ragione a questa ricorrente, e pertanto vi consiglio a tutti di leggerla attentamente circa l'arrotondamento ed altro.
1) - maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
2) - L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.
3) - l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2016 RESPONSABILITA 13/12/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13788 del registro di Segreteria, proposto da IANNI Isabella, nata a Gorizia in data Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Genovese ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, giusta mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio, nei confronti dell’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Iero, Aldo Formicola e Marilina Rando, giusta procura generale alle liti per notaio Paolo Castellini di Roma del 21.7.2015, rep. n. 80974, rog. n. 21569, elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale della Direzione Provinciale INPS di Trieste, Via Sant’Anastasio n. 5;
Alla pubblica udienza del 16 novembre 2016, con l’assistenza del segretario dott.ssa Alessandra Vidulli, uditi l’avv. Rossella Genovese per delega dell’avv. Luigi Genovese e l’avv. Luca Iero;
Esaminati gli atti e i documenti di causa;
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Isabella Ianni ha convenuto in giudizio l’I.N.P.S. al fine di vedersi riconoscere la pensione anticipata con effetto dal 30.12.2015. A fondamento della pretesa azionata la ricorrente ha dedotto di essere in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, essendo cessata dal servizio in data 1.4.2015 ed avendo maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.
Costituitosi in giudizio con memoria difensiva depositata il 3.8.2016, l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.
Tale indirizzo interpretativo, peraltro, avrebbe trovato conferma nella giurisprudenza della Corte dei conti (C.d.C., Sez. Lazio n. 253/2015; id n. Sez. Marche n. 50/2015).
In siffatto contesto, le istruzioni impartite dall’ I.N.P.S. con il messaggio n. 3305/2015 farebbero ritenere applicabile la disciplina prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 limitatamente ai pensionamenti antecedenti alla data del 30.4.2015. Ne discenderebbe, in definitiva, l’insussistenza del presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva, posto che la ricorrente, alla data del 30.4.2015, non aveva ancora maturato il diritto a pensione ed era stata ammessa alla prosecuzione volontaria.
Con provvedimento istruttorio assunto all’udienza del 21 settembre 2016, è stato ordinato all’I.N.P.S. di trasmettere il fascicolo amministrativo unitamente ad una relazione volta ad acquisire elementi informativi utili ai fini della decisione. Espletata l’ordinanza istruttoria, alla successiva udienza del 16 novembre 2016, l’avv. Rossella Genovese ha insistito per l’accoglimento del ricorso, con il favore delle spese di lite. L’avv. Luca Iero, nel rimarcare le difficoltà interpretative poste dalla questione in esame, si è riportato alle richieste formulate in atti. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti la causa è stata decisa, mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza, per le ragioni in diritto che si vanno di seguito ad esporre.
Considerato in
DIRITTO
A seguito della posizione assunta dall’I.N.P.S. in ordine alle richieste formulate con l’ordinanza istruttoria del 21 settembre 2016, può ritenersi che l’unico elemento ostativo al riconoscimento, in favore della ricorrente, della pensione anticipata con decorrenza 30 dicembre 2015, sia dato dalla ritenuta inoperatività, da parte dell’I.N.P.S., dei criteri di arrotondamento dell’anzianità assicurativa previsti dall’art. 59, co. 1, lett. B) della legge n. 449/1997. In particolare, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, maturata dalla sig.ra Ianni al 30 dicembre 2015, non è stata ritenuta arrotondabile a mese intero ( anni 41 e mesi 6), e ciò ha determinato il diniego di accesso alla pensione anticipata.
Ciò premesso, deve rilevarsi come in materia di calcolo dell’ anzianità contributiva, l’art. 3 della legge n. 274/1991 ha previsto, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, che “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
Per quanto di specifico interesse nella fattispecie in esame, va richiamata la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”. Tale norma, nell’interpretazione adottata dall’I.N.P.D.A.P., avrebbe sostituito il principio dell’arrotondamento ad anno intero (art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973) con quello dell’arrotondamento a mese intero mutuato dall’art. 3 della legge n. 274/1991, alla stregua del quale va trascurata la frazione di mese non superiore a quindici giorni e computata, per un mese, quella superiore (vd. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).
La giurisprudenza della Corte dei conti ha ritenuto condivisibile tale orientamento osservando che “il legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del sistema privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria” e ponendo, altresì, in evidenza che, in difetto di una norma direttamente disciplinante la fattispecie, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (C.d.C., Sez. Sardegna n. 93/2014).
Così delineato il quadro normativo di riferimento, rileva questo Giudice come la normativa richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata (legge n. 247/2007; art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011) non preveda alcuna disposizione abrogativa dell’ indicato criterio dell’arrotondamento a mese intero. Né, a maggior ragione, la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi superata dalle mutevoli e contraddittorie interpretazioni adottate, nel tempo, dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. e trasposte in atti privi di efficacia normativa (circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
Per quanto attiene alla posizione della sig.ra Ianni, è significativo rilevare come, non senza contraddizioni, l’I.N.P.S., pur ritenendo operante, fino al mese di aprile 2015, gli arrotondamenti per frazione di mese di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997 (vd. nota della Sede I.N.P.S. di Trieste del 18 ottobre 2016), abbia negato, in concreto, l’applicazione di tale criterio. Tale diniego, tuttavia, si pone in contrasto con le direttive contenute nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, la cui applicazione avrebbe dovuto indurre gli stessi uffici amministrativi dell’I.N.P.S. a disporre l’arrotondamento a mese intero sul presupposto che l’interessata, alla data del 30 aprile 2015, aveva già risolto il rapporto di lavoro. A ben vedere, poi, non è dato vedere su quale base normativa trovi fondamento la tesi difensiva dell’Ente previdenziale secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’arrotondamento, rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (fattispecie, questa, espressamente prevista nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015), ma l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni ed in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si ravvisano i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata dalla ricorrente alla data del 30 dicembre 2015, pari ad anni 41, mesi 5 e giorni 16, venga arrotondata ad anni 41 e mesi 6.
Conclusivamente, nella ravvisata sussistenza dei presupposti di legge, va riconosciuto il diritto della sig.ra Isabella Ianni a fruire della pensione anticipata dal 30 dicembre 2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.
In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), C.A.P e I.V.A..
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, dichiara il diritto della ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 30.12.2015, con ogni effetto di legge. Condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), CAP e IVA.
Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Trieste nella pubblica udienza del 16 novembre 2016.
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Giancarlo Di Lecce
f.to
Depositata in Segreteria il 13 dicembre 2016
IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
dott. ANNA DE ANGELIS
f.to
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La Corte dei Conti del F.V.G. ha dato ragione a questa ricorrente, e pertanto vi consiglio a tutti di leggerla attentamente circa l'arrotondamento ed altro.
1) - maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
2) - L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.
3) - l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2016 RESPONSABILITA 13/12/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13788 del registro di Segreteria, proposto da IANNI Isabella, nata a Gorizia in data Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Genovese ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, giusta mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio, nei confronti dell’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Iero, Aldo Formicola e Marilina Rando, giusta procura generale alle liti per notaio Paolo Castellini di Roma del 21.7.2015, rep. n. 80974, rog. n. 21569, elettivamente domiciliato presso l’Ufficio Legale della Direzione Provinciale INPS di Trieste, Via Sant’Anastasio n. 5;
Alla pubblica udienza del 16 novembre 2016, con l’assistenza del segretario dott.ssa Alessandra Vidulli, uditi l’avv. Rossella Genovese per delega dell’avv. Luigi Genovese e l’avv. Luca Iero;
Esaminati gli atti e i documenti di causa;
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, la sig.ra Isabella Ianni ha convenuto in giudizio l’I.N.P.S. al fine di vedersi riconoscere la pensione anticipata con effetto dal 30.12.2015. A fondamento della pretesa azionata la ricorrente ha dedotto di essere in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, essendo cessata dal servizio in data 1.4.2015 ed avendo maturato, al 30.12.2015, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 41 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
L’interessata ha contestato il diniego della pensione opposto dall’I.N.P.S., ponendo in evidenza come il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non abbia abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, in proposito, il messaggio n. 3305 del 14.5.2015, con il quale lo stesso Ente previdenziale ha confermato l’ operatività di tale beneficio nei confronti di coloro che, alla data del 30.4.2015, risultassero già cessati dal lavoro.
Costituitosi in giudizio con memoria difensiva depositata il 3.8.2016, l’I.N.P.S. ha contestato la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997.
Tale indirizzo interpretativo, peraltro, avrebbe trovato conferma nella giurisprudenza della Corte dei conti (C.d.C., Sez. Lazio n. 253/2015; id n. Sez. Marche n. 50/2015).
In siffatto contesto, le istruzioni impartite dall’ I.N.P.S. con il messaggio n. 3305/2015 farebbero ritenere applicabile la disciplina prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 limitatamente ai pensionamenti antecedenti alla data del 30.4.2015. Ne discenderebbe, in definitiva, l’insussistenza del presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva, posto che la ricorrente, alla data del 30.4.2015, non aveva ancora maturato il diritto a pensione ed era stata ammessa alla prosecuzione volontaria.
Con provvedimento istruttorio assunto all’udienza del 21 settembre 2016, è stato ordinato all’I.N.P.S. di trasmettere il fascicolo amministrativo unitamente ad una relazione volta ad acquisire elementi informativi utili ai fini della decisione. Espletata l’ordinanza istruttoria, alla successiva udienza del 16 novembre 2016, l’avv. Rossella Genovese ha insistito per l’accoglimento del ricorso, con il favore delle spese di lite. L’avv. Luca Iero, nel rimarcare le difficoltà interpretative poste dalla questione in esame, si è riportato alle richieste formulate in atti. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti la causa è stata decisa, mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza, per le ragioni in diritto che si vanno di seguito ad esporre.
Considerato in
DIRITTO
A seguito della posizione assunta dall’I.N.P.S. in ordine alle richieste formulate con l’ordinanza istruttoria del 21 settembre 2016, può ritenersi che l’unico elemento ostativo al riconoscimento, in favore della ricorrente, della pensione anticipata con decorrenza 30 dicembre 2015, sia dato dalla ritenuta inoperatività, da parte dell’I.N.P.S., dei criteri di arrotondamento dell’anzianità assicurativa previsti dall’art. 59, co. 1, lett. B) della legge n. 449/1997. In particolare, l’anzianità contributiva di anni 41, mesi 5 e giorni 16, maturata dalla sig.ra Ianni al 30 dicembre 2015, non è stata ritenuta arrotondabile a mese intero ( anni 41 e mesi 6), e ciò ha determinato il diniego di accesso alla pensione anticipata.
Ciò premesso, deve rilevarsi come in materia di calcolo dell’ anzianità contributiva, l’art. 3 della legge n. 274/1991 ha previsto, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, che “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
Per quanto di specifico interesse nella fattispecie in esame, va richiamata la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”. Tale norma, nell’interpretazione adottata dall’I.N.P.D.A.P., avrebbe sostituito il principio dell’arrotondamento ad anno intero (art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973) con quello dell’arrotondamento a mese intero mutuato dall’art. 3 della legge n. 274/1991, alla stregua del quale va trascurata la frazione di mese non superiore a quindici giorni e computata, per un mese, quella superiore (vd. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).
La giurisprudenza della Corte dei conti ha ritenuto condivisibile tale orientamento osservando che “il legislatore non ha mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del sistema privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria” e ponendo, altresì, in evidenza che, in difetto di una norma direttamente disciplinante la fattispecie, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (C.d.C., Sez. Sardegna n. 93/2014).
Così delineato il quadro normativo di riferimento, rileva questo Giudice come la normativa richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata (legge n. 247/2007; art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011) non preveda alcuna disposizione abrogativa dell’ indicato criterio dell’arrotondamento a mese intero. Né, a maggior ragione, la previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi superata dalle mutevoli e contraddittorie interpretazioni adottate, nel tempo, dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. e trasposte in atti privi di efficacia normativa (circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
Per quanto attiene alla posizione della sig.ra Ianni, è significativo rilevare come, non senza contraddizioni, l’I.N.P.S., pur ritenendo operante, fino al mese di aprile 2015, gli arrotondamenti per frazione di mese di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997 (vd. nota della Sede I.N.P.S. di Trieste del 18 ottobre 2016), abbia negato, in concreto, l’applicazione di tale criterio. Tale diniego, tuttavia, si pone in contrasto con le direttive contenute nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, la cui applicazione avrebbe dovuto indurre gli stessi uffici amministrativi dell’I.N.P.S. a disporre l’arrotondamento a mese intero sul presupposto che l’interessata, alla data del 30 aprile 2015, aveva già risolto il rapporto di lavoro. A ben vedere, poi, non è dato vedere su quale base normativa trovi fondamento la tesi difensiva dell’Ente previdenziale secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’arrotondamento, rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (fattispecie, questa, espressamente prevista nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015), ma l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni ed in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si ravvisano i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata dalla ricorrente alla data del 30 dicembre 2015, pari ad anni 41, mesi 5 e giorni 16, venga arrotondata ad anni 41 e mesi 6.
Conclusivamente, nella ravvisata sussistenza dei presupposti di legge, va riconosciuto il diritto della sig.ra Isabella Ianni a fruire della pensione anticipata dal 30 dicembre 2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.
In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), C.A.P e I.V.A..
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, dichiara il diritto della ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 30.12.2015, con ogni effetto di legge. Condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.380,00 oltre spese forfettarie (15%), CAP e IVA.
Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Trieste nella pubblica udienza del 16 novembre 2016.
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Giancarlo Di Lecce
f.to
Depositata in Segreteria il 13 dicembre 2016
IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
dott. ANNA DE ANGELIS
f.to
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Non ci voleva la corte dei conti per stabilire che la frazione di mese superiore a 15 giorno va conteggiata per mese intero,lo prevede la legge
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
ottima Sentenza/Ordinanza in favore nostro (con riserva), poichè, l'INPDAP oggi INPS perdono l'Appello.
- ) - buona fede del percipiente
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1) - Con la sentenza impugnata è stato accolto parzialmente il ricorso proposto dal Sig. P.. Carmelo, volto a far valere l’irripetibilità dell’indebito.
2) - Il giudice monocratico ha dichiarato irripetibile l’indebito pagamento pensionistico, disponendo la restituzione delle somme già trattenute con gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale, compensando le spese del giudizio.
La Corte dei Conti d'Appello precisa:
3) - Ebbene nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, pur emessa anteriormente al nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Riunite nel 2012, non appare carente in riferimento alla valutazione dell’esistenza dello stato di affidamento secondo i criteri ivi indicati, di talché non occorre, ad avviso del Collegio, nella specifica fattispecie, rinviare gli atti al primo giudice, non essendo necessario effettuare ulteriori accertamenti al riguardo (questa Sezione, n. 271 del 14.03.2016 e precedenti ivi richiamati).
4) - In tali premesse il giudice lombardo ha fondato l’accoglimento del ricorso sulla base della “tardività del provvedimento definitivo (dopo circa 5 anni dal collocamento in quiescenza) e del provvedimento d’ingiunzione emesso nel 2007” e della “buona fede dell’istante”, entrambe considerate pacifiche.
5) - Si perviene all’esame del motivo di appello proposto in via subordinata, con il quale l’INPS ha contestato il capo della sentenza che ha riconosciuto, sulle somme da restituire al sig. P.., gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale.
6) - Senonchè, essendo stata rimessa alle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale (questa Sezione, sentenza/ordinanza n. 24/2017) la decisione di analogo motivo d’appello dell’INPS, volto a negare che “spettino gli interessi legali sulle somme da restituire in esecuzione della sentenza impugnata”, con fissazione dell’udienza pubblica del 07 giugno 2017 (giudizio n.544/SR/MD), si reputa opportuno disporre un rinvio della discussione, in pendenza della pubblicazione della relativa decisione.
N.B.: leggete il tutto qui sotto e si fa riserva su quest'ultimo pezzo qui sopra.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA\ORDINANZA 93 14/02/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA/ORDINANZA 93 2017 PENSIONI 14/02/2017
SENT-ORD 93/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai magistrati:
Dott. Stefano IMPERIALI Presidente
Dott. Angela SILVERI Consigliere
Dott. Piero Carlo FLOREANI Consigliere
Dott. Francesca PADULA Consigliere relatore
Dott. Marco SMIROLDO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA - ORDINANZA
sull’appello, iscritto al n. 39710 del registro generale, proposto dall’INPDAP, cui è succeduto ex lege I’INPS, nella persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Passarelli, contro il Sig. P.. Carmelo, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Fratini, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Nicola Caricaterra in Roma, via Costantino Morin n. 45 e nei confronti della Guardia di Finanza- Centro Informatico Amministrativo Nazionale - UCTE, rappresentata dal Col. T. ISSMI Mauro Lolli;
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 805/09 del 27.11.2009;
esaminati gli atti e i documenti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 24 gennaio 2017 il relatore, Cons. Francesca Padula, l’Avv. Lidia Carcavallo per l’INPS ed il luogotenente Ignazio Romeo per l’appellata Guardia di Finanza, non comparso l’appellato P...
FATTO
Con la sentenza impugnata è stato accolto parzialmente il ricorso proposto dal Sig. P.. Carmelo, volto a far valere l’irripetibilità dell’indebito, per somme corrisposte in misura maggiore al dovuto, pari ad € 6.364,52, sulla pensione del ricorrente.
Come si apprende dalla sentenza, l’indebito era stato accertato nei confronti dell’appellato, ex sottufficiale della Guardia di Finanza collocato a riposo per dimissioni volontarie con decorrenza dal 21.09.1999, a seguito delle operazioni di conguaglio tra gli importi corrisposti in via provvisoria e quelli risultanti effettivamente dovuti sulla base del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento di quiescenza (decreto n. 4990 del 03.05.2004 emesso dalla Guardia di Finanza). L’INPDAP comunicava (provvedimento di addebito n. 118276 del 18.12.2007) l’accertamento dell’indebito a carico del P.. mediante ritenuta mensile di € 489,58 a far data da gennaio 2008 a tutto gennaio 2009 sulla pensione intestata al ricorrente.
Il giudice monocratico ha dichiarato irripetibile l’indebito pagamento pensionistico, disponendo la restituzione delle somme già trattenute con gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale, compensando le spese del giudizio.
Ha interposto appello, depositato il 19.01.2011, l’INPDAP, cui è succeduto ex lege l’INPS.
Ha dedotto:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 162 e 206 del d.P.R. 1092/1973 nonché dell’art. 2033 c.c..
L’appellante ha evidenziato l’obbligo, che grava sull’Istituto, di effettuare i conguagli sul trattamento pensionistico definitivo.
Ha richiamato la sentenza delle Sezioni Riunite n. 1/QM/1999, alle cui motivazioni si è riportato, in particolare evidenziando i punti in cui si sostiene che l’esplicita natura provvisoria dell’iniziale trattamento erogato non consente l’ingenerarsi di un legittimo affidamento sull’entità del trattamento. La consapevolezza di dover restituire le somme indebite deriverebbe dalla riserva di conguaglio contenuta nel provvedimento concessivo del trattamento provvisorio.
L’appellante ha evidenziato che, sussistendo nell’ordinamento previdenziale pubblico puntuale disciplina (artt. 203 e ss. d.P.R. 1092/1073) dei casi di irripetibilità, non opererebbero i principi affermati dalla Corte costituzionale circa l’esclusione in materia pensionistica della regola codicistica dell’incondizionata ripetibilità dell’indebito.
La sentenza impugnata avrebbe anche contraddetto i principi generali civilistici in tema di indebito, fissati nell’art. 2033 c.c., operanti data la natura paritetica e privatistica del rapporto pensionistico ed in considerazione dell’interesse alla corretta gestione del pubblico denaro. Non spettano, ad avviso dell’INPDAP, al giudice interpretazioni di tipo equitativo con effetti abrogativi delle norme vigenti;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311/2004, legge finanziaria per l’anno 2005.
Ha affermato di non condividere la sentenza n. 7/QM/2007, perché in contrasto con l’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, che consente sempre, al fine di conseguire minori oneri finanziari, l’annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, anche se in corso di esecuzione, norma che riguarderebbe tutti gli atti amministrativi e non solo quelli provvedimentali. Inoltre l’art. 21 nonies della l. 241/1990, modificata dalla l. n. 15/2005, nel prevedere l’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo per ragioni di interesse pubblico e tenendo conto degli interessi dei destinatari, non ha fissato un termine prestabilito.
L’INPDAP ha anche richiamato copiosa giurisprudenza che ha disatteso i principi affermati dalla sentenza n. 7/QM/2007;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. e dell’art. 2033 c.c. sul diritto agli accessori sulle somme da restituire a seguito dell’accoglimento del ricorso.
L’appellante ha rilevato che non possono computarsi sulle somme da restituire gli accessori di legge, in quanto trattasi di somme non dovute ab origine. Ha richiamato giurisprudenza.
L’appellante ha conclusivamente chiesto: - in via principale l’annullamento/riforma della impugnata sentenza, ritenendosi corretta e dovuta l’azione restitutoria, dichiarandosi che nulla è dovuto a titolo di restituzione di indebito; in via subordinata l’annullamento/riforma della impugnata sentenza nella parte in cui ha disposto la restituzione della somma, ponendo a carico dell’INPDAP anche gli interessi legali, ritenendo dovuta l’eventuale restituzione del solo importo recuperato, con declaratoria del diritto di ripetere quanto eventualmente versato in conseguenza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, con il favore delle spese o in subordine, nell’ipotesi di soccombenza dell’Istituto, con compensazione delle stesse (per la difformità tra l’orientamento giurisprudenziale e la norma impositiva).
Con atto depositato il 28.10.2011 si è costituito in giudizio il Sig. P.. Carmelo, il quale ha evidenziato la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, richiamando ampia giurisprudenza sul principio di tutela dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede.
Ha sottolineato il lungo tempo intercorso tra la liquidazione della pensione provvisoria, il provvedimento definitivo (cinque anni) e il conguaglio da parte dell’INPDAP (ulteriori tre anni e tre mesi).
Ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto infondato in fatto e in diritto e la conferma della sentenza con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Con memoria pervenuta a mezzo PEC il 13.01.2016 si è costituita in giudizio la Guardia di Finanza – Centro Informatico Amministrativo nazionale- UCTE, chiedendo di essere estromessa dal giudizio “ in quanto l’Istituto previdenziale appellante non ha sollevato alcuna censura né richiesta nei confronti” della stessa Amministrazione “con il ricorso in appello in esame” e “atteso che la legittimazione attiva e passiva alla controversia appare competere ad altri soggetti”.
Nella pubblica udienza, l’Avv. Lidia Carcavallo ha insistito sulle conclusioni in atti. Ha precisato di aver notificato l’atto di appello all’amministrazione delle finanze unicamente per essere stata essa parte nel giudizio di primo grado. Il luogotenente Ignazio Romeo si è riportato alla memoria.
DIRITTO
Va pregiudizialmente respinta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Guardia di Finanza, avendo l’INPDAP correttamente notificato ad essa l’appello, sussistendo un litisconsorzio necessario processuale ex art. 331 c.p.c., essendo l’Amministrazione suddetta parte costituita in primo grado, mediante deposito di una memoria in cui essa aveva chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.
Con riferimento alla ripetizione dell’indebito in sede di conguaglio fra trattamento definitivo e provvisorio, nella sentenza n. 2/QM/2012 del 02.07.2012, le Sezioni Riunite di questa Corte, riconsiderando quanto ritenuto nella decisione n. 7/QM/2007 del 07.08.2007, hanno affermato che: “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto–dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria”.
“Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione , le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.
L’autorevole Collegio ha osservato che “nel rapporto Pubblica amministrazione-cittadino ( in specie: cittadino pensionato), alla situazione giuridica di potere dell’Amministrazione si contrappone, in capo al pensionato, la situazione giuridica di legittimo affidamento, fondato sull’assenza di dolo e sulla buona fede del percipiente, oltre che sul lungo decorso del tempo” e che pertanto “deve ritenersi che il diritto–dovere (recte: potere) dell’Amministrazione di procedere, in sede di conguaglio … al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo la scadenza dei termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, può essere attenuato dalla situazione di legittimo affidamento del privato consolidatasi attraverso un lungo decorso del tempo, e cioè, la plausibile convinzione, da parte del pensionato, di avere titolo ad un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario stesso della sua stabilità”.
Le Sezioni Riunite hanno osservato poi che “considerato … che … l’affidamento si configura e va identificato attraverso una serie di elementi …, qualora sulla ripetizione dell’indebito penda il giudizio in appello … sarà cura del giudice valutare se il sindacato può ricondursi a profili di diritto ovvero, nella ipotesi in cui concerne questioni di fatto, rinviare gli atti al primo giudice, non potendo il giudice di appello, ai sensi della suddetta disposizione di legge, conoscere questioni di fatto”.
Rileva quindi il Collegio che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 19 del 14.01.1994 (di conversione del d.l. n. 453 del 15.11.1993) come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 543 del 23.10.1996 convertito in legge n. 639 del 20.12.1996, l’appello in materia pensionistica è consentito solo per motivi di diritto.
Le Sezioni Riunite di questa Corte, con sentenza n. 10/QM/2000 del 24.10.2000, hanno puntualizzato i criteri per la distinzione tra motivi di diritto e motivi di fatto, precisando che: a) i motivi di diritto devono investire la portata dispositiva di una norma giuridica e/o il suo ambito applicativo a fattispecie astratte, dalle quali consegue in via immediata la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta; b) rientrano nei motivi di diritto i vizi che comportino la nullità della sentenza o del processo, trattandosi di violazione di regole giuridiche; c) il vizio di difetto di motivazione su questioni di fatto è deducibile in appello soltanto ove la sentenza impugnata manchi in modo assoluto di motivazione o abbia motivazione apparente.
Ebbene nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, pur emessa anteriormente al nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Riunite nel 2012, non appare carente in riferimento alla valutazione dell’esistenza dello stato di affidamento secondo i criteri ivi indicati, di talché non occorre, ad avviso del Collegio, nella specifica fattispecie, rinviare gli atti al primo giudice, non essendo necessario effettuare ulteriori accertamenti al riguardo (questa Sezione, n. 271 del 14.03.2016 e precedenti ivi richiamati).
Infatti il primo giudice ha aderito alla “giurisprudenza antecedente alla pronuncia n. 7/2007/QM”, così sostanzialmente ritenendo sussistente l’esigenza di dare attuazione al concetto di “affidamento riposto nell’Amministrazione”, valorizzando “il consolidarsi nel tempo del provvedimento originariamente provvisorio” e la “situazione complessa composta dal decorso del tempo e dalla buona fede dell’interessato, che non è soltanto assenza di dolo, bensì è da intendersi come impossibilità di individuare o conoscere, usando la normale diligenza, l'errore commesso dalla p.a.”.
In tali premesse il giudice lombardo ha fondato l’accoglimento del ricorso sulla base della “tardività del provvedimento definitivo (dopo circa 5 anni dal collocamento in quiescenza) e del provvedimento d’ingiunzione emesso nel 2007” e della “buona fede dell’istante”, entrambe considerate pacifiche.
Si tratta di valutazioni sufficienti a manifestare l’iter logico giuridico del decisum e dunque non censurabili per i vizi sottoposti alla cognizione del Collegio, anche tenuto conto che l’appellante non ha proposto specifici argomenti, sulla base di elementi fattuali opposti nel primo grado di giudizio, atti a smentire l’assunto del decidente.
Il motivo principale è, pertanto, da respingere, restando confermate l’irripetibilità dell’indebito erariale accertato in sede di liquidazione della pensione definitiva e la disposta restituzione delle somme trattenute in via cautelare.
Si perviene all’esame del motivo di appello proposto in via subordinata, con il quale l’INPS ha contestato il capo della sentenza che ha riconosciuto, sulle somme da restituire al sig. P.., gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale.
La questione, deferita alle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti, in sede di soluzione di questione di massima, è stata decisa con sentenza n. 11/QM/2015 del 24.03.2015, con la quale è stata data la seguente soluzione al quesito sollevato con l’ordinanza di rimessione:<< In caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria >>.
Senonchè, essendo stata rimessa alle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale (questa Sezione, sentenza/ordinanza n. 24/2017) la decisione di analogo motivo d’appello dell’INPS, volto a negare che “spettino gli interessi legali sulle somme da restituire in esecuzione della sentenza impugnata”, con fissazione dell’udienza pubblica del 07 giugno 2017 (giudizio n.544/SR/MD), si reputa opportuno disporre un rinvio della discussione, in pendenza della pubblicazione della relativa decisione.
La decisione in ordine alle spese del giudizio è rinviata alla sentenza definitiva.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale,
- RESPINGE il motivo principale e per l’effetto conferma il capo della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 805/09 del 27.11.2009 che ha affermato l’irripetibilità dell’indebito oggetto del provvedimento impugnato ed il conseguente diritto del sig. P.. Carmelo alla restituzione delle somme trattenute in via cautelare;
- RINVIA la discussione del motivo concernente la questione della spettanza degli interessi legali sulle somme da restituire all’appellato all’udienza del giorno 05.12.2017;
- RINVIA alla sentenza definitiva la pronuncia sulle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 gennaio 2017.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Francesca PADULA) (Stefano IMPERIALI)
F.to Francesca Padula F.to Stefano Imperiali
Depositata in Segreteria il 14/02/2017
IL DIRIGENTE
(Dr.ssa Sabina Rago)
F.to Sabina Rago
- ) - buona fede del percipiente
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1) - Con la sentenza impugnata è stato accolto parzialmente il ricorso proposto dal Sig. P.. Carmelo, volto a far valere l’irripetibilità dell’indebito.
2) - Il giudice monocratico ha dichiarato irripetibile l’indebito pagamento pensionistico, disponendo la restituzione delle somme già trattenute con gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale, compensando le spese del giudizio.
La Corte dei Conti d'Appello precisa:
3) - Ebbene nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, pur emessa anteriormente al nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Riunite nel 2012, non appare carente in riferimento alla valutazione dell’esistenza dello stato di affidamento secondo i criteri ivi indicati, di talché non occorre, ad avviso del Collegio, nella specifica fattispecie, rinviare gli atti al primo giudice, non essendo necessario effettuare ulteriori accertamenti al riguardo (questa Sezione, n. 271 del 14.03.2016 e precedenti ivi richiamati).
4) - In tali premesse il giudice lombardo ha fondato l’accoglimento del ricorso sulla base della “tardività del provvedimento definitivo (dopo circa 5 anni dal collocamento in quiescenza) e del provvedimento d’ingiunzione emesso nel 2007” e della “buona fede dell’istante”, entrambe considerate pacifiche.
5) - Si perviene all’esame del motivo di appello proposto in via subordinata, con il quale l’INPS ha contestato il capo della sentenza che ha riconosciuto, sulle somme da restituire al sig. P.., gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale.
6) - Senonchè, essendo stata rimessa alle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale (questa Sezione, sentenza/ordinanza n. 24/2017) la decisione di analogo motivo d’appello dell’INPS, volto a negare che “spettino gli interessi legali sulle somme da restituire in esecuzione della sentenza impugnata”, con fissazione dell’udienza pubblica del 07 giugno 2017 (giudizio n.544/SR/MD), si reputa opportuno disporre un rinvio della discussione, in pendenza della pubblicazione della relativa decisione.
N.B.: leggete il tutto qui sotto e si fa riserva su quest'ultimo pezzo qui sopra.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA\ORDINANZA 93 14/02/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA/ORDINANZA 93 2017 PENSIONI 14/02/2017
SENT-ORD 93/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai magistrati:
Dott. Stefano IMPERIALI Presidente
Dott. Angela SILVERI Consigliere
Dott. Piero Carlo FLOREANI Consigliere
Dott. Francesca PADULA Consigliere relatore
Dott. Marco SMIROLDO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA - ORDINANZA
sull’appello, iscritto al n. 39710 del registro generale, proposto dall’INPDAP, cui è succeduto ex lege I’INPS, nella persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Passarelli, contro il Sig. P.. Carmelo, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Fratini, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Nicola Caricaterra in Roma, via Costantino Morin n. 45 e nei confronti della Guardia di Finanza- Centro Informatico Amministrativo Nazionale - UCTE, rappresentata dal Col. T. ISSMI Mauro Lolli;
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 805/09 del 27.11.2009;
esaminati gli atti e i documenti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 24 gennaio 2017 il relatore, Cons. Francesca Padula, l’Avv. Lidia Carcavallo per l’INPS ed il luogotenente Ignazio Romeo per l’appellata Guardia di Finanza, non comparso l’appellato P...
FATTO
Con la sentenza impugnata è stato accolto parzialmente il ricorso proposto dal Sig. P.. Carmelo, volto a far valere l’irripetibilità dell’indebito, per somme corrisposte in misura maggiore al dovuto, pari ad € 6.364,52, sulla pensione del ricorrente.
Come si apprende dalla sentenza, l’indebito era stato accertato nei confronti dell’appellato, ex sottufficiale della Guardia di Finanza collocato a riposo per dimissioni volontarie con decorrenza dal 21.09.1999, a seguito delle operazioni di conguaglio tra gli importi corrisposti in via provvisoria e quelli risultanti effettivamente dovuti sulla base del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento di quiescenza (decreto n. 4990 del 03.05.2004 emesso dalla Guardia di Finanza). L’INPDAP comunicava (provvedimento di addebito n. 118276 del 18.12.2007) l’accertamento dell’indebito a carico del P.. mediante ritenuta mensile di € 489,58 a far data da gennaio 2008 a tutto gennaio 2009 sulla pensione intestata al ricorrente.
Il giudice monocratico ha dichiarato irripetibile l’indebito pagamento pensionistico, disponendo la restituzione delle somme già trattenute con gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale, compensando le spese del giudizio.
Ha interposto appello, depositato il 19.01.2011, l’INPDAP, cui è succeduto ex lege l’INPS.
Ha dedotto:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 162 e 206 del d.P.R. 1092/1973 nonché dell’art. 2033 c.c..
L’appellante ha evidenziato l’obbligo, che grava sull’Istituto, di effettuare i conguagli sul trattamento pensionistico definitivo.
Ha richiamato la sentenza delle Sezioni Riunite n. 1/QM/1999, alle cui motivazioni si è riportato, in particolare evidenziando i punti in cui si sostiene che l’esplicita natura provvisoria dell’iniziale trattamento erogato non consente l’ingenerarsi di un legittimo affidamento sull’entità del trattamento. La consapevolezza di dover restituire le somme indebite deriverebbe dalla riserva di conguaglio contenuta nel provvedimento concessivo del trattamento provvisorio.
L’appellante ha evidenziato che, sussistendo nell’ordinamento previdenziale pubblico puntuale disciplina (artt. 203 e ss. d.P.R. 1092/1073) dei casi di irripetibilità, non opererebbero i principi affermati dalla Corte costituzionale circa l’esclusione in materia pensionistica della regola codicistica dell’incondizionata ripetibilità dell’indebito.
La sentenza impugnata avrebbe anche contraddetto i principi generali civilistici in tema di indebito, fissati nell’art. 2033 c.c., operanti data la natura paritetica e privatistica del rapporto pensionistico ed in considerazione dell’interesse alla corretta gestione del pubblico denaro. Non spettano, ad avviso dell’INPDAP, al giudice interpretazioni di tipo equitativo con effetti abrogativi delle norme vigenti;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311/2004, legge finanziaria per l’anno 2005.
Ha affermato di non condividere la sentenza n. 7/QM/2007, perché in contrasto con l’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, che consente sempre, al fine di conseguire minori oneri finanziari, l’annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, anche se in corso di esecuzione, norma che riguarderebbe tutti gli atti amministrativi e non solo quelli provvedimentali. Inoltre l’art. 21 nonies della l. 241/1990, modificata dalla l. n. 15/2005, nel prevedere l’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo per ragioni di interesse pubblico e tenendo conto degli interessi dei destinatari, non ha fissato un termine prestabilito.
L’INPDAP ha anche richiamato copiosa giurisprudenza che ha disatteso i principi affermati dalla sentenza n. 7/QM/2007;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. e dell’art. 2033 c.c. sul diritto agli accessori sulle somme da restituire a seguito dell’accoglimento del ricorso.
L’appellante ha rilevato che non possono computarsi sulle somme da restituire gli accessori di legge, in quanto trattasi di somme non dovute ab origine. Ha richiamato giurisprudenza.
L’appellante ha conclusivamente chiesto: - in via principale l’annullamento/riforma della impugnata sentenza, ritenendosi corretta e dovuta l’azione restitutoria, dichiarandosi che nulla è dovuto a titolo di restituzione di indebito; in via subordinata l’annullamento/riforma della impugnata sentenza nella parte in cui ha disposto la restituzione della somma, ponendo a carico dell’INPDAP anche gli interessi legali, ritenendo dovuta l’eventuale restituzione del solo importo recuperato, con declaratoria del diritto di ripetere quanto eventualmente versato in conseguenza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, con il favore delle spese o in subordine, nell’ipotesi di soccombenza dell’Istituto, con compensazione delle stesse (per la difformità tra l’orientamento giurisprudenziale e la norma impositiva).
Con atto depositato il 28.10.2011 si è costituito in giudizio il Sig. P.. Carmelo, il quale ha evidenziato la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, richiamando ampia giurisprudenza sul principio di tutela dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede.
Ha sottolineato il lungo tempo intercorso tra la liquidazione della pensione provvisoria, il provvedimento definitivo (cinque anni) e il conguaglio da parte dell’INPDAP (ulteriori tre anni e tre mesi).
Ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto infondato in fatto e in diritto e la conferma della sentenza con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Con memoria pervenuta a mezzo PEC il 13.01.2016 si è costituita in giudizio la Guardia di Finanza – Centro Informatico Amministrativo nazionale- UCTE, chiedendo di essere estromessa dal giudizio “ in quanto l’Istituto previdenziale appellante non ha sollevato alcuna censura né richiesta nei confronti” della stessa Amministrazione “con il ricorso in appello in esame” e “atteso che la legittimazione attiva e passiva alla controversia appare competere ad altri soggetti”.
Nella pubblica udienza, l’Avv. Lidia Carcavallo ha insistito sulle conclusioni in atti. Ha precisato di aver notificato l’atto di appello all’amministrazione delle finanze unicamente per essere stata essa parte nel giudizio di primo grado. Il luogotenente Ignazio Romeo si è riportato alla memoria.
DIRITTO
Va pregiudizialmente respinta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Guardia di Finanza, avendo l’INPDAP correttamente notificato ad essa l’appello, sussistendo un litisconsorzio necessario processuale ex art. 331 c.p.c., essendo l’Amministrazione suddetta parte costituita in primo grado, mediante deposito di una memoria in cui essa aveva chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.
Con riferimento alla ripetizione dell’indebito in sede di conguaglio fra trattamento definitivo e provvisorio, nella sentenza n. 2/QM/2012 del 02.07.2012, le Sezioni Riunite di questa Corte, riconsiderando quanto ritenuto nella decisione n. 7/QM/2007 del 07.08.2007, hanno affermato che: “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto–dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria”.
“Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione , le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.
L’autorevole Collegio ha osservato che “nel rapporto Pubblica amministrazione-cittadino ( in specie: cittadino pensionato), alla situazione giuridica di potere dell’Amministrazione si contrappone, in capo al pensionato, la situazione giuridica di legittimo affidamento, fondato sull’assenza di dolo e sulla buona fede del percipiente, oltre che sul lungo decorso del tempo” e che pertanto “deve ritenersi che il diritto–dovere (recte: potere) dell’Amministrazione di procedere, in sede di conguaglio … al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo la scadenza dei termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, può essere attenuato dalla situazione di legittimo affidamento del privato consolidatasi attraverso un lungo decorso del tempo, e cioè, la plausibile convinzione, da parte del pensionato, di avere titolo ad un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario stesso della sua stabilità”.
Le Sezioni Riunite hanno osservato poi che “considerato … che … l’affidamento si configura e va identificato attraverso una serie di elementi …, qualora sulla ripetizione dell’indebito penda il giudizio in appello … sarà cura del giudice valutare se il sindacato può ricondursi a profili di diritto ovvero, nella ipotesi in cui concerne questioni di fatto, rinviare gli atti al primo giudice, non potendo il giudice di appello, ai sensi della suddetta disposizione di legge, conoscere questioni di fatto”.
Rileva quindi il Collegio che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 19 del 14.01.1994 (di conversione del d.l. n. 453 del 15.11.1993) come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 543 del 23.10.1996 convertito in legge n. 639 del 20.12.1996, l’appello in materia pensionistica è consentito solo per motivi di diritto.
Le Sezioni Riunite di questa Corte, con sentenza n. 10/QM/2000 del 24.10.2000, hanno puntualizzato i criteri per la distinzione tra motivi di diritto e motivi di fatto, precisando che: a) i motivi di diritto devono investire la portata dispositiva di una norma giuridica e/o il suo ambito applicativo a fattispecie astratte, dalle quali consegue in via immediata la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta; b) rientrano nei motivi di diritto i vizi che comportino la nullità della sentenza o del processo, trattandosi di violazione di regole giuridiche; c) il vizio di difetto di motivazione su questioni di fatto è deducibile in appello soltanto ove la sentenza impugnata manchi in modo assoluto di motivazione o abbia motivazione apparente.
Ebbene nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, pur emessa anteriormente al nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Riunite nel 2012, non appare carente in riferimento alla valutazione dell’esistenza dello stato di affidamento secondo i criteri ivi indicati, di talché non occorre, ad avviso del Collegio, nella specifica fattispecie, rinviare gli atti al primo giudice, non essendo necessario effettuare ulteriori accertamenti al riguardo (questa Sezione, n. 271 del 14.03.2016 e precedenti ivi richiamati).
Infatti il primo giudice ha aderito alla “giurisprudenza antecedente alla pronuncia n. 7/2007/QM”, così sostanzialmente ritenendo sussistente l’esigenza di dare attuazione al concetto di “affidamento riposto nell’Amministrazione”, valorizzando “il consolidarsi nel tempo del provvedimento originariamente provvisorio” e la “situazione complessa composta dal decorso del tempo e dalla buona fede dell’interessato, che non è soltanto assenza di dolo, bensì è da intendersi come impossibilità di individuare o conoscere, usando la normale diligenza, l'errore commesso dalla p.a.”.
In tali premesse il giudice lombardo ha fondato l’accoglimento del ricorso sulla base della “tardività del provvedimento definitivo (dopo circa 5 anni dal collocamento in quiescenza) e del provvedimento d’ingiunzione emesso nel 2007” e della “buona fede dell’istante”, entrambe considerate pacifiche.
Si tratta di valutazioni sufficienti a manifestare l’iter logico giuridico del decisum e dunque non censurabili per i vizi sottoposti alla cognizione del Collegio, anche tenuto conto che l’appellante non ha proposto specifici argomenti, sulla base di elementi fattuali opposti nel primo grado di giudizio, atti a smentire l’assunto del decidente.
Il motivo principale è, pertanto, da respingere, restando confermate l’irripetibilità dell’indebito erariale accertato in sede di liquidazione della pensione definitiva e la disposta restituzione delle somme trattenute in via cautelare.
Si perviene all’esame del motivo di appello proposto in via subordinata, con il quale l’INPS ha contestato il capo della sentenza che ha riconosciuto, sulle somme da restituire al sig. P.., gli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale.
La questione, deferita alle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti, in sede di soluzione di questione di massima, è stata decisa con sentenza n. 11/QM/2015 del 24.03.2015, con la quale è stata data la seguente soluzione al quesito sollevato con l’ordinanza di rimessione:<< In caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria >>.
Senonchè, essendo stata rimessa alle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale (questa Sezione, sentenza/ordinanza n. 24/2017) la decisione di analogo motivo d’appello dell’INPS, volto a negare che “spettino gli interessi legali sulle somme da restituire in esecuzione della sentenza impugnata”, con fissazione dell’udienza pubblica del 07 giugno 2017 (giudizio n.544/SR/MD), si reputa opportuno disporre un rinvio della discussione, in pendenza della pubblicazione della relativa decisione.
La decisione in ordine alle spese del giudizio è rinviata alla sentenza definitiva.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale,
- RESPINGE il motivo principale e per l’effetto conferma il capo della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia n. 805/09 del 27.11.2009 che ha affermato l’irripetibilità dell’indebito oggetto del provvedimento impugnato ed il conseguente diritto del sig. P.. Carmelo alla restituzione delle somme trattenute in via cautelare;
- RINVIA la discussione del motivo concernente la questione della spettanza degli interessi legali sulle somme da restituire all’appellato all’udienza del giorno 05.12.2017;
- RINVIA alla sentenza definitiva la pronuncia sulle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 gennaio 2017.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Francesca PADULA) (Stefano IMPERIALI)
F.to Francesca Padula F.to Stefano Imperiali
Depositata in Segreteria il 14/02/2017
IL DIRIGENTE
(Dr.ssa Sabina Rago)
F.to Sabina Rago
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
L'I.N.P.S., perde il ricorso presso la "Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello".
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1) - recupero di indebito pensionistico, provvedimento intervenuto con ritardi di gran lunga eccedenti i termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, dai Regolamenti procedimentali disciplinanti la materia, ma anche rispetto al termine di tre anni suggerito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 2/2012/QM, quale parametro orientativo di riferimento ricavabile da altre disposizioni in materia pensionistica.
2) - in considerazione: della buona fede del ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione.
3) - rivalsa sulla Guardia di Finanza, già datore di lavoro del pensionato, che deve essere chiamata a rispondere nella sua qualità di liquidatore primario.
4) - spese di lite.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 77 14/02/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 77 2017 PENSIONI 14/02/2017
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
Composta dai Sigg.ri magistrati:
Dott.ssa Fausta Di Grazia Presidente
Dott. Antonio Galeota Consigliere
Dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
Dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
Dott. Giovanni Comite Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso in appello, iscritto al n. 47.668 del registro di Segreteria, proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) – Gestione dipendenti pubblici, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine dello stesso, dall’Avv. Urso Edoardo (C.F. RSU DRD 61L27 H501L), con il quale elettivamente domicilia a Roma (RM), in via Cesare Beccaria n. 29, presso gli uffici dell’Avvocatura Centrale dell’Istituto: ricorrente in appello,
Contro
il sig. L.. Calogero (C.F. OMISSIS) rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce a comparsa di costituzione e risposta in atti al 1° agosto 2014, tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, dagli Avv.ti Mainetti Francesco (C.F. MNT FNC 69L01 H501Q), del Foro di Roma, e Fenoglio Andrea (C.F. FNG NDR 69T09 A571B), del Foro di Torino, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, a Roma (RM), Piazza Mazzini n. 27: resistente in appello,
Avverso e per l’annullamento/riforma
della sentenza n. 152/’13, della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte, depositata in data 08 novembre 2013, non notificata presso il domicilio eletto dai difensori dall’I.N.P.S.
Visti: il ricorso in appello, gli scritti defensionali di parte resistente, gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza in data 11 novembre 2016, con l’assistenza del segretario sig.ra Calabrese Gerarda, il Cons. relatore, dott. Comite Giovanni, l’Avv. Mangiapane Filippo, su delega orale, ex art. 14, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, dell’Avv. Urso Edoardo, per l’INPS appellante, l’Avv. Mainetti Francesco, per parte resistente.
Svolgimento del processo
1. Con l’impugnata sentenza la Sezione territoriale del Piemonte ha accolto, a spese di lite compensate, il ricorso, formulato dal sig. L.. Calogero, e ha dichiarato, per l’effetto, “…irripetibile l’indebito di € 7.341,82, maturato dal 23 febbraio 2007 al 31 ottobre 2012…”, con obbligo restitutorio di quanto eventualmente trattenuto, limitato alla sola sorte capitale. Il suddetto, Appuntato Scelto della Guardia di Finanza, è cessato dal servizio per infermità e collocato in congedo assoluto a far tempo dal 23 novembre 2006, con diritto a trattamento provvisorio di pensione, determinato dall’Ordinatore primario con il sistema misto. Il pagamento effettivo degli acconti veniva, tuttavia, differito al 23 febbraio 2007, in quanto all’interessato, a mente dell’art. 18 della legge n. 833 del 1961, erano attribuiti mesi tre di assegni interi di attività. A far data dal 1° ottobre 2007 la partita pensionistica era trasferita all’allora INPDAP a fini di pagamento. Con Decreto n. 44, del 25 marzo 2011, il reparto Tecnico Logistico Amministrativo Piemonte della Guardia di Finanza liquidava in beneficio del proprio ex dipendente il trattamento definitivo, ma con importo inferiore rispetto a quello corrisposto interinalmente, a causa, verosimilmente, dell’errato riporto delle retribuzioni pensionabili e di taluni emolumenti accessori. Dal conguaglio tra le due liquidazioni emergeva l’indebito di € 7.341,82, siccome costituitosi dal 23 febbraio 2007 al 31 ottobre 2012, ingiunto con nota del 13 dicembre seguente. La Corte territoriale, previo rigetto della pretesa integrazione del contraddittorio a fini di rivalsa, in quanto non ricorrente una ipotesi di litis consorzio necessario per evocare in causa, anche iussu iudicis, il Corpo della inducente, facendo applicazione dei principi enunciati nella sent. n. 2/2012/QM delle Sezioni Riunite, dichiarava l’inesigibilità dell’indebito di € 7.341,82, giacché sussistenti <<…tutti gli elementi per la piena operatività del principio del legittimo affidamento…, in considerazione: della buona fede della ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione>>. Inoltre, né nel decorso del tempo, potenzialmente idoneo a porre le condizioni per l’ingenerarsi di una situazione di affidamento, né nella conoscenza da parte dell’amministrazione di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, potevano ravvisarsi elementi in favore dell’INPS.
2. La sentenza de qua è stata appellata dall’I.N.P.S. – Gestione dipendenti pubblici, con atto ritualmente notificato a parte resistente, recante le seguenti doglianze: “I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 162, 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, art. 2033 c.c. e degli artt. 3, del R.D. n. 295/1939, e 406, del R.D. n. 827 del 1924”. Sosteneva, infatti, che nell’ipotesi di causa avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 162 del T.U. n. 1092 del 1973 e non il successivo art. 206, riguardante la diversa fattispecie di corresponsione indebita di somme ma all’esito dell’emissione di decreto definitivo di pensione. In specie, quindi, doveva trovare esecuzione l’art. 2033 c.c., prevedente i principi generali in materia di indebito oggettivo, avendo l’Amministrazione l’obbligo di recuperare quanto indebitamente corrisposto in più, a prescindere dal decorso del tempo, e non sussistendo alcun potere discrezionale a tal riguardo. Quanto alla violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, e delle altre disposizioni dianzi richiamate, l’Ente osservava che tali discipline prevedevano un generale dovere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari. Conseguentemente, all’inadempimento di un termine procedimentale, come quello previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, non potevano ricollegarsi in via automatica effetti di tipo sostanziale. Quanto ai principi delineati nella sentenza n. 2/2012/QM, l’Ente previdenziale rilevava che “…è possibile ritenere che la sentenza di primo grado abbia fatto erronea applicazione degli stessi, dal momento che non si è tenuto conto, in primo luogo, del fatto che l’atto ingiuntivo scaturiva da un decreto, del competente Ministero, di determinazione della pensione definitiva, emesso solo molto di recente, mentre l’affidamento è stato dedotto in via generica e presuntiva richiamandosi alla precedente decisione delle Sezioni Riunite del 2007 e alla giurisprudenza che a quest’ultima si richiamava”. Quindi, unico responsabile del ritardo doveva ritenersi la Guardia di Finanza, già datore di lavoro del pensionato, che deve essere chiamata a rispondere nella sua qualità di liquidatore primario. Non potendo, quindi, dedurre, come fatto dal primo giudice, il venir meno del diritto al recupero delle somme a conguaglio dal solo superamento del termine procedimentale, la gravata sentenza era meritevole comunque di annullamento. L’Istituto era poi a denunciare:<< II. Violazione, falsa applicazione dei principi in materia di motivazione e conseguente nullità della sentenza e del suo procedimento…ex art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c.>>. In sintesi, il Giudice di primo grado “…ha omesso ogni valutazione ed esame delle circostanze in fatto che renderebbero inibito il recupero di indebito pensionistico che, si ricorda, è doveroso da parte dell’Ente previdenziale, ex art. 162 T.U. n. 1092 del 1973”. Da ultimo, opponeva: <<III Violazione o falsa applicazione degli art. 102, 106 c.p.c. e degli artt. 78 del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, e 62 del R.D. n. 1214 del 1934>>. L’INPS contestava la sentenza gravata nella parte in cui ha disatteso, a proprio dire erroneamente, la domanda di rivalsa nei confronti dell’ordinatore primario di spesa, in quanto unico responsabile del formarsi dell’indebito. Le conclusioni miravano all’annullamento della gravata sentenza, con declaratoria della legittimità dell’azione di recupero, ovvero con ritorno degli atti al primo giudice in diversa composizione, per una nuova valutazione dei fatti; in subordine, all’annullamento della sentenza, con rimessione degli atti al Giudice Unico per la pronuncia sulla trasversale di rivalsa, con ogni conseguenza in ordine alle spese e ai diritti e onorari di lite del grado.
3. Resisteva all’appello il sig. L.. Calogero, che nel breve scritto defensionale, versato in atti il 1° agosto 2014, instava per il rigetto dell’appello, in quanto inammissibile e/o improcedibile e/o comunque infondato, e per la conferma della gravata sentenza, col favore delle spese, di ambedue i gradi di giudizio.
4. Nella successiva memoria, prodotta agli atti il 31 ottobre 2016, parte resistente ribadiva le argomentazioni a supporto dell’inesigibilità dell’indebito, siccome poste in evidenza nella gravata sentenza.
Per ciò, rilevava come la protrazione dell’errata erogazione per oltre sei anni ha ingenerato nel pensionato il legittimo affidamento sulla definitività delle somme percepite. Di fatti, era evidente come il passaggio del tempo faccia inevitabilmente diminuire nel pensionato, fino ad annullarla, la percezione del carattere provvisorio del trattamento inizialmente liquidato. Evidente risultava, inoltre, come con l’ordinaria diligenza, l’odierno resistente mai avrebbe potuto rilevare l’errore commesso dall’amministrazione con riguardo alla maggior somma percepita, attesa la minima differenza tra i due trattamenti. Da ultimo, ai fini della rivalsa, la giurisprudenza degli appelli esclude in specie la ricorrenza di un litisconsorzio necessario inducente ad una integrazione del contraddittorio nei confronti del datore di lavoro. Instava, per ciò, per il rigetto del gravame, con conferma della epigrafata sentenza. Il tutto col favore delle spese, di cui allegava specifica notula per un complessivo importo di € 4.095,73, oltre I.V.A., C.P.A. e R.A. come per legge.
Nel corso dell’odierna pubblica udienza, le parti processuali concludevano come da verbale, ribadendo, per ciò, il contenuto del gravame e degli scritti a difesa, ai quali erano ad operare ogni ritenuto rinvio. Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi del decidere
[1] Il gravame va dichiarato inammissibile, nella parte tesa alla ripetibilità delle somme conferite in più, servendosi in questo di una diversa lettura dei fatti di causa, del tutto improponibile in questa sede, oltre, comunque, ad essere infondato, e quindi da rigettare, per avere adeguatamente motivato sul punto la sentenza di prime cure; di poi, è da rigettare anche in ordine alla pretesa integrazione del contraddittorio, finalizzata all’accoglimento della trasversale di rivalsa.
[2] In primis, la questione all’esame del Collegio flette la recuperabilità o non di somme erogate in eccedenza, sul trattamento provvisorio di pensione dell’appellato, ed emerse dal conguaglio operato, a mente dell’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’Istituto pagatore, a seguito della predisposizione del decreto definitivo da parte dell’Ordinatore primario di spesa, provvedimento intervenuto con ritardi di gran lunga eccedenti i termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, dai Regolamenti procedimentali disciplinanti la materia, ma anche rispetto al termine di tre anni suggerito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 2/2012/QM, quale parametro orientativo di riferimento ricavabile da altre disposizioni in materia pensionistica. Orbene, la disciplina di cui all’art. 162, afferente le obbligatorie operazioni di conguaglio e di recupero sul definitivo delle somme conferite in più, è stata sottoposta a scrutinio interpretativo dalle Sezioni Riunite di questa Corte, tra l’altro, con la sent. n. 7/2007/QM, del 07 agosto 2007, il cui orientamento è stato poi rivisto dalla decisione n. 2/2012/QM, del 02 luglio 2012. L’oggetto del contendere riguardava le fattispecie riconducibili a quelle eccezionali situazioni di affidamento incolpevole, correlate all’inerzia dell’Amministrazione, che la giurisprudenza della Corte dei conti, alla stregua dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 431/1993, considerava e considera idonee a giustificare l’irripetibilità dell’indebito pensionistico. In breve, la sent. n. 7/2007/QM collegava in modo automatico alla scadenza del termine procedimentale, per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, l’irripetibilità dell’indebito emerso in sede di conguaglio con il trattamento provvisorio, percepito nelle more dell’adozione del decreto definitivo di pensione; il nuovo indirizzo nomofilattico, di cui alla sent. n. 2/2012/QM, ha chiarito invece che, fermo il diritto – dovere dell’Amministrazione di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo lo spirare dei termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento definitivo, la scadenza del termine costituisce non l’unico ma uno dei vari elementi che caratterizzano il protrarsi del tempo, attraverso il quale – in concorso con altri indicatori di fatto da valutarsi caso per caso – il legittimo affidamento, giuridicamente tutelato, può formarsi e consolidarsi. In tal modo, l’affidamento è integrato dalla concorrente ricorrenza di elementi oggettivi e soggettivi [aventi valenza di questioni di mero fatto rimesse in esclusiva alla conoscenza del Giudice di prime cure, come affermato da SS.RR. n. 2/2012/QM, id. Sez. 3^ d’app., sentt. n. 544 e n. 548, del 23 luglio 2012] <<...quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo>> (così Corte dei conti SS. RR. sent. n. 2/2012/QM, del 23 maggio – 02 luglio 2012). Volendo sintetizzare, il tempo è funzione dell’affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso oltre ogni ragionevole limite d’incertezza (cfr. in senso conforme Consiglio di Stato, Sezione V, sent. n.1224, del 28 febbraio 2002, e Adunanza Plenaria, dec. n. 20, del 12 dicembre 1992). Per ciò, l’affidamento, quale valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro Ordinamento (si veda al riguardo Corte Costituzionale, sent. n.39, del 10 febbraio 1993, e n. 155, del 04 aprile 1990) e in quello Comunitario, che ha accentuato le tutele dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle Istituzioni europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 luglio 2004, causa C – 459/02), per essere definito legittimo e tutelabile deve collocarsi nel contesto di una condotta, quella del percettore di maggiori somme, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza, come integrata dal decorso del termine procedimentale, previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, e dal concorso di altri parametri <<…quali indicati, seppure a titolo esemplificativo e non tassativo ed esaustivo…>> dalle Sezioni Riunite (cfr. SS.RR. n.2/2012/QM, pag. 25). Un tanto chiarito, osserva il Collegio che nell’ipotesi di causa la sentenza gravata ha fatto buon governo dei principi affermati da tale ultimo indirizzo nomofilattico, per avere motivato sugli elementi costitutivi del legittimo affidamento, sulla mancata emersione di circostanze soggettive di mala fede riconducibili al percettore delle somme e sulla non ricorrenza di elementi dai quali potersi trarre che lo stesso, attraverso l’uso della normale diligenza, poteva avvedersi dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, buona fede che, nel concreto esame delle circostanze operato dalla Corte territoriale, traspariva, in modo evidente, anche dalla stessa entità dell’importo di € 7.341,82, da rapportare al periodo di oltre cinque anni, pari ad un mensile lordo percepito in più (su 13 mensilità) di € 113,00, da non poter destare un ragionevole dubbio né dar corso ad alcuna palese sproporzione rispetto al rateo percepito. Cosicché, la valutazione delle questioni dell’affidamento e della buona fede, alla base della dichiarata inesigibilità, non è stata affidata, come denunciato dall’Istituto appellante, ad elementi presuntivi ma a concrete circostanze nelle quali, come ben evidenziato dalle Sezioni Riunite, era a rientrare anche l’anomalo decorso del tempo, in specie oltre cinque anni in regime di trattamento provvisorio, con condotte esageratamente dilatorie e pur nella disponibilità ab initio, giacché si trattava di un collocamento in congedo assoluto per infermità, di tutti gli elementi idonei a liquidare il trattamento da parte delle Amministrazioni intervenute nel relativo procedimento, che hanno ingiustamente mortificato il legittimo affidamento del pensionato. In breve, la motivazione fornita dava conto della ricorrenza di <<… tutti gli elementi per la piena operatività del principio del legittimo affidamento…, in considerazione: della buona fede del ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione>>. Inoltre, né nel decorso del tempo, potenzialmente idoneo a porre le condizioni per l’ingenerarsi di una situazione di affidamento, né nella conoscenza da parte dell’amministrazione di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, potevano ravvisarsi elementi in favore dell’INPS. Di tal ché, le somme percepite in tale serio lasso temporale hanno determinato un affidamento particolarmente solido in capo al resistente, sfornito, per il tecnicismo intrinseco alle liquidazioni delle pensioni, delle necessarie capacità per avvedersi dell’errore che si annidava nel proprio trattamento interinale, che il tempo ha corroborato in termini di convincimento di giusta debenza. In conclusione, le norme disciplinanti la materia, siccome richiamate anche dall’INPS, <<...non sembrano, allo stato, delineare quell’affermata, illimitata (nel tempo e nello spazio) possibilità di autotutela da parte dell’Ente...con recupero “a man salva” a carico di un incolpevole pensionato...>> (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ d’app. sent. n.451/2011/A, del 07 ottobre 2011), mentre la consapevolezza del carattere provvisorio intrinseco del trattamento, da parte del pensionato stesso, può avere rilievo <<…solo fintanto che non subentri, proprio per l’anomalo perpetuarsi nel tempo della pensione provvisoria, la convinzione che quel trattamento abbia perso la connaturata connotazione di provvisorietà>> (così Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 23 marzo 2012, n.176). Per ciò, può concordarsi con quanto affermato, in tempi risalenti ma con argomentare sempre attuale, da questa Sezione: <<Gli errori commessi nella liquidazione del trattamento pensionistico non debbono far carico, sempre e comunque, ai titolari del vitalizio, a fronte del vantaggio di ricevere tempestivamente gli acconti di pensione, tempestività che non può essere riguardata come un bene aggiuntivo dei pensionati ma come assetto normale e doveroso dei servizi erogati dalla P.A., anche se di faticosa realizzazione>> (così Corte dei conti, Sez. 3^, n.64.543, del 25 gennaio 1991). Alla luce di tale argomentare non può negarsi che, l’Istituto previdenziale, con il formulato gravame, miri ad una revisione nel merito della decisione tramite una diversa considerazione di circostanze già valutate. E poiché nei giudizi in materia di pensioni, l’appello è consentito per soli motivi di diritto (ex art. 1, comma 5, del d.l. n. 543/1993, SS.RR. n. 10/2000/QM) e che in specie la valutazione dell’irripetibilità dell’indebito per legittimo affidamento e buona fede del percettore delle somme non era a concretarsi in una questione di interpretazione ed applicazione di norme giuridiche, venendo ad integrare una questione di fatto, che potrebbe aver rilievo sotto il profilo della “motivazione omessa” o “apparente” della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, in specie non ricorrente, a tanto non può che seguire l’inammissibilità dell’impugnativa. In ogni caso, attesa l’adeguata motivazione fornita sul punto, l’appello è comunque da rigettare e la sentenza epigrafata, per la parte afferente la inesigibilità delle somme corrisposte in più, da confermare.
[3] Quanto, poi, alle doglianze relative alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Ordinatore primario di spesa, in specie del Corpo della Guardia di Finanza, finalizzata all’esperimento dell’azione trasversale di rivalsa, la sentenza del primo Giudice merita di essere condivisa in quanto conforme all’ordinamento processuale e alla giurisprudenza consolidata di questa Corte. In breve, nell’ipotesi tratta a giudizio non ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario. Infatti, una tale fattispecie non può dirsi sussistente giacché la causa odierna sull’indebito, avente come “petitum” l’irripetibilità delle somme ingiunte all’appellato, non è comune al terzo “Guardia di Finanza”. E ciò perché, la regola che stabilisce chi deve partecipare al processo, ossia chi sono le giuste parti, è la regola della legittimazione ad agire, che vuole presenti nel processo coloro che nella domanda sono affermati come soggetto rispettivamente attivo e passivo del rapporto sostanziale (di indebito) che si fa valere. Per cui, la presenza di più parti nella causa non può che dipendere dal fatto che il suddetto rapporto sostanziale fatto valere abbia (o, più esattamente, sia affermato come avente) più di due soggetti. Tale principio è, pertanto, un corollario del fenomeno della legittimazione ad agire necessariamente congiunta, determinata dalla contitolarità (in questo caso affermata) del rapporto sostanziale che si fa valere. Nell’ipotesi di causa non si assiste, tuttavia, a tale contitolarità poiché costituisce una diversa controversia non collimante, perché diversa per petitum e causa petendi, con l’odierno giudizio, quella flettente l’accertamento in merito al riparto tra Enti o Amministrazioni degli oneri finanziari conseguenti all’irripetibilità di un indebito. Interpretazione, questa, validata dall’Appello dell’Istituto, in più casi perfettamente sovrapponibili a quello odierno, nei seguenti termini: <<Deve escludersi, pertanto, nel caso di specie la necessità di integrazione del contraddittorio – come richiesto dall’INPDAP – non sussistendo, nel presente giudizio, litisconsorzio necessario con l’Amministrazione, potendo la domanda di rivalsa essere proposta anche in autonomo giudizio, impregiudicata ogni pronuncia sulla giurisdizione in fase contenziosa>> (cfr. Corte dei conti, Sezione 3^ di app., n. 270/2015, del 28 aprile 2015, id. 341/2015, del 12 giugno 2015, Sez.1^, 04 dicembre 2012, n. 764/2012/A, id. n.229/2013/A e n. 380/2014/A). Di tal ché, in specie, l’azione di rivalsa può essere proposta in autonomo giudizio, chiaramente all’esito del definitivo accertamento dell’irripetibilità del debito nei confronti del pensionato (diversamente la predetta azione non risulterebbe assistita dall’interesse ad agire e a contraddire). In conclusione, la funzione dell’istituto del litisconsorzio necessario è quella di <<...tutelare chi ha proposto la domanda e non potrebbe in realtà, conseguire quanto richiesto se la sentenza non producesse effetti nei confronti di tutti i litisconsorti, e non invece quella di tutelare il diritto di difesa dei litisconsorti pretermessi, già sufficientemente protetti dall’inefficacia, nei loro confronti, di una pronuncia emessa a seguito di un giudizio cui essi siano rimasti estranei>> (così Corte di Cass., Sez.1, sent. 09 marzo 2004, n. 4714). Per ciò, le situazioni sostanziali oggetto dell’odierno giudizio (irripetibilità dell’indebito, invocata dall’attore ora appellato, e rivalsa verso l’ordinatore primario, invocata dall’ente resistente in primo grado, ora appellante) non devono necessariamente essere decise in maniera unitaria atteso che non si è in presenza di un rapporto plurisoggettivo unico ovvero della richiesta di adempimento di una prestazione inscindibilmente comune a più soggetti: onde la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione attiva, Guardia di Finanza, non rende l’emananda sentenza inutiliter data, potendo l’Amministrazione previdenziale promuovere un autonomo giudizio nei confronti dell’Ordinatore primario avente ad oggetto la rivalsa, salvaguardandosi, in tal modo, anche l’effettività della garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dal 2° comma dell’art. 111 della Carta Fondamentale), principio che impone al Giudice (anche nella valutazione dell’estensione del contraddittorio) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa. A tanto consegue il rigetto della formulata doglianza.
Non luogo a provvedere per le spese di giustizia stante la loro sostanziale gratuità. Quanto alle spese di lite, parte appellata nelle conclusioni della prima memoria, prodotta in atti il 1° agosto 2014, instava per il rigetto del gravame e per la conferma della epigrafata sentenza, col favore <<…delle spese ed onorari tutti di giudizio e patrocinio, oltre I.V.A. e C.P.A. sugli importi imponibili, di entrambi i gradi di giudizio>>. Nella successiva memoria difensiva, versata in fascicolo il 31 ottobre 2016, era a ribadire le ragioni a supporto del rigetto dell’appello, <<…con vittoria di spese>>, per le quali allegava notula recante un totale liquidabile di € 4.095,73, “…oltre I.V.A., C.P.A. e R.A. come per legge”.
Rileva il Collegio, in principalità, di dover dichiarare inammissibile, la pretesa, formulata nelle sole conclusioni e volta alla liquidazione delle spese di prime cure, perché non motivata e non contenuta in uno specifico gravame incidentale relativo al capo sulle spese. In secondo luogo, di non potersi attenere all’elencazione dell’importo delle singole voci, siccome operata dai Procuratori in notula.
Mette conto rilevare che il compenso dell’Avvocato, rapportato alla natura, durata, complessità e importanza dell’opera prestata, e il rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15% sul totale della prestazione, deve avvenire secondo i parametri di cui al recente D.M. n. 55, del 10 marzo 2014 - in Gazzetta Ufficiale n. 77, del 2 aprile 2014 - (artt. 2 e 4), recante la specifica tabella n. 11 per le spese inerenti i giudizi dinanzi alla Corte dei conti (vigente dal 3 aprile 2014 e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore), spese da rapportarsi allo scaglione in cui rientrava il valore della prestazione oggetto di causa. Quanto alla determinazione di quest’ultimo, si ha riguardo (ex art. 152 delle Disposizioni di attuazione del codice di rito civile), in ipotesi, alle somme indebite motivo del gravame, formulato dal pensionato in primo grado, e del successivo appello dell’Istituto previdenziale, a ragione della sua soccombenza: in specie il valore è pari ad € 7.341,82, somma da restituire al pensionato, al netto di oneri accessori, e sulla quale è stata, all’evidenza, parametrata ogni singola attività difensiva. Tale importo rientra nello scaglione recante il minimo di € 5.200,01 e il massimo di € 26.000,00: in specie il valore della causa era a tendere verso l’estremo inferiore della forbice dello scaglione. Di tal ché, ravvisa il Collegio che gli importi della fase di studio della controversia, pari al massimo di € 875,00, della fase introduttiva del giudizio, pari ad € 470,00, della fase istruttoria e/o di trattazione, pari ad € 540,00, e della fase decisionale, per € 1.010,00, possano ridursi del 50%, il primo, il secondo e il quarto, e del 70% il terzo, sia per l’assenza di questioni di fatto e di diritto di particolare difficoltà e complessità, in quanto la consolidata giurisprudenza, compresa quella nomofilattica, ha tracciato le linee da seguire in materia di indebiti, sia per il valore della prestazione, appiattito verso la parte più bassa dello scaglione. Conseguentemente, tenendo conto della natura, durata, complessità e importanza dell’opera prestata, il compenso dei patroni è così liquidato: € 437,50, per la fase di studio, € 235,00, per la fase introduttiva, € 162,00, per la fase istruttoria e/o di trattazione, ed € 505,00, per la fase decisionale, per un complessivo di € 1.339,50, importo da aumentare del 15% a titolo di spese forfetarie, pari ad € 200,93, per un complessivo imponibile di € 1.540,43. Per ciò, liquida a titolo si spese di lite e in favore di parte resistente, diversamente da quanto determinato in notula, l’importo onnicomprensivo di € 1.540,43, oltre C.P.A. e I.V.A., qualora dovuta, non risultando la ritenuta in acconto da parte del sostituto d’imposta questione rientrante in questa giurisdizione, e da porre a carico dell’INPS.
P.Q.M
La Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in appello, iscritto al n. 47.668 del registro di Segreteria, e, per l’effetto, conferma la epigrafata sentenza.
Nulla per le spese di giustizia.
Le spese di lite, da porre a carico dell’I.N.P.S. soccombente, si liquidano, in favore di parte appellata, nell’importo onnicomprensivo di € 1.540,43 (euro millecinquecentoquaranta/43), oltre C.P.A. e I.V.A. se dovuta.
Manda alla Segreteria della Sezione per il più a praticarsi.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio, all’esito della pubblica udienza in data 11 novembre 2016.
Il Consigliere Estensore Il Presidente
(F.to Dott. Giovanni Comite) (F.to Dott.ssa Fausta Di Grazia)
Depositata in Segreteria il 14 Febbraio 2017
Il Funzionario Amministrativo
F.to Dott.ssa Anna Maria Guidi
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1) - recupero di indebito pensionistico, provvedimento intervenuto con ritardi di gran lunga eccedenti i termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, dai Regolamenti procedimentali disciplinanti la materia, ma anche rispetto al termine di tre anni suggerito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 2/2012/QM, quale parametro orientativo di riferimento ricavabile da altre disposizioni in materia pensionistica.
2) - in considerazione: della buona fede del ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione.
3) - rivalsa sulla Guardia di Finanza, già datore di lavoro del pensionato, che deve essere chiamata a rispondere nella sua qualità di liquidatore primario.
4) - spese di lite.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 77 14/02/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 77 2017 PENSIONI 14/02/2017
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
Composta dai Sigg.ri magistrati:
Dott.ssa Fausta Di Grazia Presidente
Dott. Antonio Galeota Consigliere
Dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
Dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
Dott. Giovanni Comite Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso in appello, iscritto al n. 47.668 del registro di Segreteria, proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) – Gestione dipendenti pubblici, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine dello stesso, dall’Avv. Urso Edoardo (C.F. RSU DRD 61L27 H501L), con il quale elettivamente domicilia a Roma (RM), in via Cesare Beccaria n. 29, presso gli uffici dell’Avvocatura Centrale dell’Istituto: ricorrente in appello,
Contro
il sig. L.. Calogero (C.F. OMISSIS) rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce a comparsa di costituzione e risposta in atti al 1° agosto 2014, tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, dagli Avv.ti Mainetti Francesco (C.F. MNT FNC 69L01 H501Q), del Foro di Roma, e Fenoglio Andrea (C.F. FNG NDR 69T09 A571B), del Foro di Torino, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, a Roma (RM), Piazza Mazzini n. 27: resistente in appello,
Avverso e per l’annullamento/riforma
della sentenza n. 152/’13, della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte, depositata in data 08 novembre 2013, non notificata presso il domicilio eletto dai difensori dall’I.N.P.S.
Visti: il ricorso in appello, gli scritti defensionali di parte resistente, gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza in data 11 novembre 2016, con l’assistenza del segretario sig.ra Calabrese Gerarda, il Cons. relatore, dott. Comite Giovanni, l’Avv. Mangiapane Filippo, su delega orale, ex art. 14, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, dell’Avv. Urso Edoardo, per l’INPS appellante, l’Avv. Mainetti Francesco, per parte resistente.
Svolgimento del processo
1. Con l’impugnata sentenza la Sezione territoriale del Piemonte ha accolto, a spese di lite compensate, il ricorso, formulato dal sig. L.. Calogero, e ha dichiarato, per l’effetto, “…irripetibile l’indebito di € 7.341,82, maturato dal 23 febbraio 2007 al 31 ottobre 2012…”, con obbligo restitutorio di quanto eventualmente trattenuto, limitato alla sola sorte capitale. Il suddetto, Appuntato Scelto della Guardia di Finanza, è cessato dal servizio per infermità e collocato in congedo assoluto a far tempo dal 23 novembre 2006, con diritto a trattamento provvisorio di pensione, determinato dall’Ordinatore primario con il sistema misto. Il pagamento effettivo degli acconti veniva, tuttavia, differito al 23 febbraio 2007, in quanto all’interessato, a mente dell’art. 18 della legge n. 833 del 1961, erano attribuiti mesi tre di assegni interi di attività. A far data dal 1° ottobre 2007 la partita pensionistica era trasferita all’allora INPDAP a fini di pagamento. Con Decreto n. 44, del 25 marzo 2011, il reparto Tecnico Logistico Amministrativo Piemonte della Guardia di Finanza liquidava in beneficio del proprio ex dipendente il trattamento definitivo, ma con importo inferiore rispetto a quello corrisposto interinalmente, a causa, verosimilmente, dell’errato riporto delle retribuzioni pensionabili e di taluni emolumenti accessori. Dal conguaglio tra le due liquidazioni emergeva l’indebito di € 7.341,82, siccome costituitosi dal 23 febbraio 2007 al 31 ottobre 2012, ingiunto con nota del 13 dicembre seguente. La Corte territoriale, previo rigetto della pretesa integrazione del contraddittorio a fini di rivalsa, in quanto non ricorrente una ipotesi di litis consorzio necessario per evocare in causa, anche iussu iudicis, il Corpo della inducente, facendo applicazione dei principi enunciati nella sent. n. 2/2012/QM delle Sezioni Riunite, dichiarava l’inesigibilità dell’indebito di € 7.341,82, giacché sussistenti <<…tutti gli elementi per la piena operatività del principio del legittimo affidamento…, in considerazione: della buona fede della ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione>>. Inoltre, né nel decorso del tempo, potenzialmente idoneo a porre le condizioni per l’ingenerarsi di una situazione di affidamento, né nella conoscenza da parte dell’amministrazione di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, potevano ravvisarsi elementi in favore dell’INPS.
2. La sentenza de qua è stata appellata dall’I.N.P.S. – Gestione dipendenti pubblici, con atto ritualmente notificato a parte resistente, recante le seguenti doglianze: “I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 162, 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, art. 2033 c.c. e degli artt. 3, del R.D. n. 295/1939, e 406, del R.D. n. 827 del 1924”. Sosteneva, infatti, che nell’ipotesi di causa avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 162 del T.U. n. 1092 del 1973 e non il successivo art. 206, riguardante la diversa fattispecie di corresponsione indebita di somme ma all’esito dell’emissione di decreto definitivo di pensione. In specie, quindi, doveva trovare esecuzione l’art. 2033 c.c., prevedente i principi generali in materia di indebito oggettivo, avendo l’Amministrazione l’obbligo di recuperare quanto indebitamente corrisposto in più, a prescindere dal decorso del tempo, e non sussistendo alcun potere discrezionale a tal riguardo. Quanto alla violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, e delle altre disposizioni dianzi richiamate, l’Ente osservava che tali discipline prevedevano un generale dovere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari. Conseguentemente, all’inadempimento di un termine procedimentale, come quello previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, non potevano ricollegarsi in via automatica effetti di tipo sostanziale. Quanto ai principi delineati nella sentenza n. 2/2012/QM, l’Ente previdenziale rilevava che “…è possibile ritenere che la sentenza di primo grado abbia fatto erronea applicazione degli stessi, dal momento che non si è tenuto conto, in primo luogo, del fatto che l’atto ingiuntivo scaturiva da un decreto, del competente Ministero, di determinazione della pensione definitiva, emesso solo molto di recente, mentre l’affidamento è stato dedotto in via generica e presuntiva richiamandosi alla precedente decisione delle Sezioni Riunite del 2007 e alla giurisprudenza che a quest’ultima si richiamava”. Quindi, unico responsabile del ritardo doveva ritenersi la Guardia di Finanza, già datore di lavoro del pensionato, che deve essere chiamata a rispondere nella sua qualità di liquidatore primario. Non potendo, quindi, dedurre, come fatto dal primo giudice, il venir meno del diritto al recupero delle somme a conguaglio dal solo superamento del termine procedimentale, la gravata sentenza era meritevole comunque di annullamento. L’Istituto era poi a denunciare:<< II. Violazione, falsa applicazione dei principi in materia di motivazione e conseguente nullità della sentenza e del suo procedimento…ex art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c.>>. In sintesi, il Giudice di primo grado “…ha omesso ogni valutazione ed esame delle circostanze in fatto che renderebbero inibito il recupero di indebito pensionistico che, si ricorda, è doveroso da parte dell’Ente previdenziale, ex art. 162 T.U. n. 1092 del 1973”. Da ultimo, opponeva: <<III Violazione o falsa applicazione degli art. 102, 106 c.p.c. e degli artt. 78 del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, e 62 del R.D. n. 1214 del 1934>>. L’INPS contestava la sentenza gravata nella parte in cui ha disatteso, a proprio dire erroneamente, la domanda di rivalsa nei confronti dell’ordinatore primario di spesa, in quanto unico responsabile del formarsi dell’indebito. Le conclusioni miravano all’annullamento della gravata sentenza, con declaratoria della legittimità dell’azione di recupero, ovvero con ritorno degli atti al primo giudice in diversa composizione, per una nuova valutazione dei fatti; in subordine, all’annullamento della sentenza, con rimessione degli atti al Giudice Unico per la pronuncia sulla trasversale di rivalsa, con ogni conseguenza in ordine alle spese e ai diritti e onorari di lite del grado.
3. Resisteva all’appello il sig. L.. Calogero, che nel breve scritto defensionale, versato in atti il 1° agosto 2014, instava per il rigetto dell’appello, in quanto inammissibile e/o improcedibile e/o comunque infondato, e per la conferma della gravata sentenza, col favore delle spese, di ambedue i gradi di giudizio.
4. Nella successiva memoria, prodotta agli atti il 31 ottobre 2016, parte resistente ribadiva le argomentazioni a supporto dell’inesigibilità dell’indebito, siccome poste in evidenza nella gravata sentenza.
Per ciò, rilevava come la protrazione dell’errata erogazione per oltre sei anni ha ingenerato nel pensionato il legittimo affidamento sulla definitività delle somme percepite. Di fatti, era evidente come il passaggio del tempo faccia inevitabilmente diminuire nel pensionato, fino ad annullarla, la percezione del carattere provvisorio del trattamento inizialmente liquidato. Evidente risultava, inoltre, come con l’ordinaria diligenza, l’odierno resistente mai avrebbe potuto rilevare l’errore commesso dall’amministrazione con riguardo alla maggior somma percepita, attesa la minima differenza tra i due trattamenti. Da ultimo, ai fini della rivalsa, la giurisprudenza degli appelli esclude in specie la ricorrenza di un litisconsorzio necessario inducente ad una integrazione del contraddittorio nei confronti del datore di lavoro. Instava, per ciò, per il rigetto del gravame, con conferma della epigrafata sentenza. Il tutto col favore delle spese, di cui allegava specifica notula per un complessivo importo di € 4.095,73, oltre I.V.A., C.P.A. e R.A. come per legge.
Nel corso dell’odierna pubblica udienza, le parti processuali concludevano come da verbale, ribadendo, per ciò, il contenuto del gravame e degli scritti a difesa, ai quali erano ad operare ogni ritenuto rinvio. Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi del decidere
[1] Il gravame va dichiarato inammissibile, nella parte tesa alla ripetibilità delle somme conferite in più, servendosi in questo di una diversa lettura dei fatti di causa, del tutto improponibile in questa sede, oltre, comunque, ad essere infondato, e quindi da rigettare, per avere adeguatamente motivato sul punto la sentenza di prime cure; di poi, è da rigettare anche in ordine alla pretesa integrazione del contraddittorio, finalizzata all’accoglimento della trasversale di rivalsa.
[2] In primis, la questione all’esame del Collegio flette la recuperabilità o non di somme erogate in eccedenza, sul trattamento provvisorio di pensione dell’appellato, ed emerse dal conguaglio operato, a mente dell’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’Istituto pagatore, a seguito della predisposizione del decreto definitivo da parte dell’Ordinatore primario di spesa, provvedimento intervenuto con ritardi di gran lunga eccedenti i termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, dai Regolamenti procedimentali disciplinanti la materia, ma anche rispetto al termine di tre anni suggerito dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 2/2012/QM, quale parametro orientativo di riferimento ricavabile da altre disposizioni in materia pensionistica. Orbene, la disciplina di cui all’art. 162, afferente le obbligatorie operazioni di conguaglio e di recupero sul definitivo delle somme conferite in più, è stata sottoposta a scrutinio interpretativo dalle Sezioni Riunite di questa Corte, tra l’altro, con la sent. n. 7/2007/QM, del 07 agosto 2007, il cui orientamento è stato poi rivisto dalla decisione n. 2/2012/QM, del 02 luglio 2012. L’oggetto del contendere riguardava le fattispecie riconducibili a quelle eccezionali situazioni di affidamento incolpevole, correlate all’inerzia dell’Amministrazione, che la giurisprudenza della Corte dei conti, alla stregua dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 431/1993, considerava e considera idonee a giustificare l’irripetibilità dell’indebito pensionistico. In breve, la sent. n. 7/2007/QM collegava in modo automatico alla scadenza del termine procedimentale, per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, l’irripetibilità dell’indebito emerso in sede di conguaglio con il trattamento provvisorio, percepito nelle more dell’adozione del decreto definitivo di pensione; il nuovo indirizzo nomofilattico, di cui alla sent. n. 2/2012/QM, ha chiarito invece che, fermo il diritto – dovere dell’Amministrazione di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio, anche dopo lo spirare dei termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento definitivo, la scadenza del termine costituisce non l’unico ma uno dei vari elementi che caratterizzano il protrarsi del tempo, attraverso il quale – in concorso con altri indicatori di fatto da valutarsi caso per caso – il legittimo affidamento, giuridicamente tutelato, può formarsi e consolidarsi. In tal modo, l’affidamento è integrato dalla concorrente ricorrenza di elementi oggettivi e soggettivi [aventi valenza di questioni di mero fatto rimesse in esclusiva alla conoscenza del Giudice di prime cure, come affermato da SS.RR. n. 2/2012/QM, id. Sez. 3^ d’app., sentt. n. 544 e n. 548, del 23 luglio 2012] <<...quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo>> (così Corte dei conti SS. RR. sent. n. 2/2012/QM, del 23 maggio – 02 luglio 2012). Volendo sintetizzare, il tempo è funzione dell’affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso oltre ogni ragionevole limite d’incertezza (cfr. in senso conforme Consiglio di Stato, Sezione V, sent. n.1224, del 28 febbraio 2002, e Adunanza Plenaria, dec. n. 20, del 12 dicembre 1992). Per ciò, l’affidamento, quale valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro Ordinamento (si veda al riguardo Corte Costituzionale, sent. n.39, del 10 febbraio 1993, e n. 155, del 04 aprile 1990) e in quello Comunitario, che ha accentuato le tutele dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle Istituzioni europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 luglio 2004, causa C – 459/02), per essere definito legittimo e tutelabile deve collocarsi nel contesto di una condotta, quella del percettore di maggiori somme, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza, come integrata dal decorso del termine procedimentale, previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, e dal concorso di altri parametri <<…quali indicati, seppure a titolo esemplificativo e non tassativo ed esaustivo…>> dalle Sezioni Riunite (cfr. SS.RR. n.2/2012/QM, pag. 25). Un tanto chiarito, osserva il Collegio che nell’ipotesi di causa la sentenza gravata ha fatto buon governo dei principi affermati da tale ultimo indirizzo nomofilattico, per avere motivato sugli elementi costitutivi del legittimo affidamento, sulla mancata emersione di circostanze soggettive di mala fede riconducibili al percettore delle somme e sulla non ricorrenza di elementi dai quali potersi trarre che lo stesso, attraverso l’uso della normale diligenza, poteva avvedersi dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, buona fede che, nel concreto esame delle circostanze operato dalla Corte territoriale, traspariva, in modo evidente, anche dalla stessa entità dell’importo di € 7.341,82, da rapportare al periodo di oltre cinque anni, pari ad un mensile lordo percepito in più (su 13 mensilità) di € 113,00, da non poter destare un ragionevole dubbio né dar corso ad alcuna palese sproporzione rispetto al rateo percepito. Cosicché, la valutazione delle questioni dell’affidamento e della buona fede, alla base della dichiarata inesigibilità, non è stata affidata, come denunciato dall’Istituto appellante, ad elementi presuntivi ma a concrete circostanze nelle quali, come ben evidenziato dalle Sezioni Riunite, era a rientrare anche l’anomalo decorso del tempo, in specie oltre cinque anni in regime di trattamento provvisorio, con condotte esageratamente dilatorie e pur nella disponibilità ab initio, giacché si trattava di un collocamento in congedo assoluto per infermità, di tutti gli elementi idonei a liquidare il trattamento da parte delle Amministrazioni intervenute nel relativo procedimento, che hanno ingiustamente mortificato il legittimo affidamento del pensionato. In breve, la motivazione fornita dava conto della ricorrenza di <<… tutti gli elementi per la piena operatività del principio del legittimo affidamento…, in considerazione: della buona fede del ricorrente (l’indebito si è determinato per ragioni afferenti esclusivamente alla sfera organizzativa dell’Amministrazione), del lasso di tempo trascorso tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, superiore a quello previsto, della non rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione>>. Inoltre, né nel decorso del tempo, potenzialmente idoneo a porre le condizioni per l’ingenerarsi di una situazione di affidamento, né nella conoscenza da parte dell’amministrazione di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, potevano ravvisarsi elementi in favore dell’INPS. Di tal ché, le somme percepite in tale serio lasso temporale hanno determinato un affidamento particolarmente solido in capo al resistente, sfornito, per il tecnicismo intrinseco alle liquidazioni delle pensioni, delle necessarie capacità per avvedersi dell’errore che si annidava nel proprio trattamento interinale, che il tempo ha corroborato in termini di convincimento di giusta debenza. In conclusione, le norme disciplinanti la materia, siccome richiamate anche dall’INPS, <<...non sembrano, allo stato, delineare quell’affermata, illimitata (nel tempo e nello spazio) possibilità di autotutela da parte dell’Ente...con recupero “a man salva” a carico di un incolpevole pensionato...>> (cfr. Corte dei conti, Sez. 1^ d’app. sent. n.451/2011/A, del 07 ottobre 2011), mentre la consapevolezza del carattere provvisorio intrinseco del trattamento, da parte del pensionato stesso, può avere rilievo <<…solo fintanto che non subentri, proprio per l’anomalo perpetuarsi nel tempo della pensione provvisoria, la convinzione che quel trattamento abbia perso la connaturata connotazione di provvisorietà>> (così Corte dei conti, Sez. 2^ di app., 23 marzo 2012, n.176). Per ciò, può concordarsi con quanto affermato, in tempi risalenti ma con argomentare sempre attuale, da questa Sezione: <<Gli errori commessi nella liquidazione del trattamento pensionistico non debbono far carico, sempre e comunque, ai titolari del vitalizio, a fronte del vantaggio di ricevere tempestivamente gli acconti di pensione, tempestività che non può essere riguardata come un bene aggiuntivo dei pensionati ma come assetto normale e doveroso dei servizi erogati dalla P.A., anche se di faticosa realizzazione>> (così Corte dei conti, Sez. 3^, n.64.543, del 25 gennaio 1991). Alla luce di tale argomentare non può negarsi che, l’Istituto previdenziale, con il formulato gravame, miri ad una revisione nel merito della decisione tramite una diversa considerazione di circostanze già valutate. E poiché nei giudizi in materia di pensioni, l’appello è consentito per soli motivi di diritto (ex art. 1, comma 5, del d.l. n. 543/1993, SS.RR. n. 10/2000/QM) e che in specie la valutazione dell’irripetibilità dell’indebito per legittimo affidamento e buona fede del percettore delle somme non era a concretarsi in una questione di interpretazione ed applicazione di norme giuridiche, venendo ad integrare una questione di fatto, che potrebbe aver rilievo sotto il profilo della “motivazione omessa” o “apparente” della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, in specie non ricorrente, a tanto non può che seguire l’inammissibilità dell’impugnativa. In ogni caso, attesa l’adeguata motivazione fornita sul punto, l’appello è comunque da rigettare e la sentenza epigrafata, per la parte afferente la inesigibilità delle somme corrisposte in più, da confermare.
[3] Quanto, poi, alle doglianze relative alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Ordinatore primario di spesa, in specie del Corpo della Guardia di Finanza, finalizzata all’esperimento dell’azione trasversale di rivalsa, la sentenza del primo Giudice merita di essere condivisa in quanto conforme all’ordinamento processuale e alla giurisprudenza consolidata di questa Corte. In breve, nell’ipotesi tratta a giudizio non ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario. Infatti, una tale fattispecie non può dirsi sussistente giacché la causa odierna sull’indebito, avente come “petitum” l’irripetibilità delle somme ingiunte all’appellato, non è comune al terzo “Guardia di Finanza”. E ciò perché, la regola che stabilisce chi deve partecipare al processo, ossia chi sono le giuste parti, è la regola della legittimazione ad agire, che vuole presenti nel processo coloro che nella domanda sono affermati come soggetto rispettivamente attivo e passivo del rapporto sostanziale (di indebito) che si fa valere. Per cui, la presenza di più parti nella causa non può che dipendere dal fatto che il suddetto rapporto sostanziale fatto valere abbia (o, più esattamente, sia affermato come avente) più di due soggetti. Tale principio è, pertanto, un corollario del fenomeno della legittimazione ad agire necessariamente congiunta, determinata dalla contitolarità (in questo caso affermata) del rapporto sostanziale che si fa valere. Nell’ipotesi di causa non si assiste, tuttavia, a tale contitolarità poiché costituisce una diversa controversia non collimante, perché diversa per petitum e causa petendi, con l’odierno giudizio, quella flettente l’accertamento in merito al riparto tra Enti o Amministrazioni degli oneri finanziari conseguenti all’irripetibilità di un indebito. Interpretazione, questa, validata dall’Appello dell’Istituto, in più casi perfettamente sovrapponibili a quello odierno, nei seguenti termini: <<Deve escludersi, pertanto, nel caso di specie la necessità di integrazione del contraddittorio – come richiesto dall’INPDAP – non sussistendo, nel presente giudizio, litisconsorzio necessario con l’Amministrazione, potendo la domanda di rivalsa essere proposta anche in autonomo giudizio, impregiudicata ogni pronuncia sulla giurisdizione in fase contenziosa>> (cfr. Corte dei conti, Sezione 3^ di app., n. 270/2015, del 28 aprile 2015, id. 341/2015, del 12 giugno 2015, Sez.1^, 04 dicembre 2012, n. 764/2012/A, id. n.229/2013/A e n. 380/2014/A). Di tal ché, in specie, l’azione di rivalsa può essere proposta in autonomo giudizio, chiaramente all’esito del definitivo accertamento dell’irripetibilità del debito nei confronti del pensionato (diversamente la predetta azione non risulterebbe assistita dall’interesse ad agire e a contraddire). In conclusione, la funzione dell’istituto del litisconsorzio necessario è quella di <<...tutelare chi ha proposto la domanda e non potrebbe in realtà, conseguire quanto richiesto se la sentenza non producesse effetti nei confronti di tutti i litisconsorti, e non invece quella di tutelare il diritto di difesa dei litisconsorti pretermessi, già sufficientemente protetti dall’inefficacia, nei loro confronti, di una pronuncia emessa a seguito di un giudizio cui essi siano rimasti estranei>> (così Corte di Cass., Sez.1, sent. 09 marzo 2004, n. 4714). Per ciò, le situazioni sostanziali oggetto dell’odierno giudizio (irripetibilità dell’indebito, invocata dall’attore ora appellato, e rivalsa verso l’ordinatore primario, invocata dall’ente resistente in primo grado, ora appellante) non devono necessariamente essere decise in maniera unitaria atteso che non si è in presenza di un rapporto plurisoggettivo unico ovvero della richiesta di adempimento di una prestazione inscindibilmente comune a più soggetti: onde la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione attiva, Guardia di Finanza, non rende l’emananda sentenza inutiliter data, potendo l’Amministrazione previdenziale promuovere un autonomo giudizio nei confronti dell’Ordinatore primario avente ad oggetto la rivalsa, salvaguardandosi, in tal modo, anche l’effettività della garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dal 2° comma dell’art. 111 della Carta Fondamentale), principio che impone al Giudice (anche nella valutazione dell’estensione del contraddittorio) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa. A tanto consegue il rigetto della formulata doglianza.
Non luogo a provvedere per le spese di giustizia stante la loro sostanziale gratuità. Quanto alle spese di lite, parte appellata nelle conclusioni della prima memoria, prodotta in atti il 1° agosto 2014, instava per il rigetto del gravame e per la conferma della epigrafata sentenza, col favore <<…delle spese ed onorari tutti di giudizio e patrocinio, oltre I.V.A. e C.P.A. sugli importi imponibili, di entrambi i gradi di giudizio>>. Nella successiva memoria difensiva, versata in fascicolo il 31 ottobre 2016, era a ribadire le ragioni a supporto del rigetto dell’appello, <<…con vittoria di spese>>, per le quali allegava notula recante un totale liquidabile di € 4.095,73, “…oltre I.V.A., C.P.A. e R.A. come per legge”.
Rileva il Collegio, in principalità, di dover dichiarare inammissibile, la pretesa, formulata nelle sole conclusioni e volta alla liquidazione delle spese di prime cure, perché non motivata e non contenuta in uno specifico gravame incidentale relativo al capo sulle spese. In secondo luogo, di non potersi attenere all’elencazione dell’importo delle singole voci, siccome operata dai Procuratori in notula.
Mette conto rilevare che il compenso dell’Avvocato, rapportato alla natura, durata, complessità e importanza dell’opera prestata, e il rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15% sul totale della prestazione, deve avvenire secondo i parametri di cui al recente D.M. n. 55, del 10 marzo 2014 - in Gazzetta Ufficiale n. 77, del 2 aprile 2014 - (artt. 2 e 4), recante la specifica tabella n. 11 per le spese inerenti i giudizi dinanzi alla Corte dei conti (vigente dal 3 aprile 2014 e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore), spese da rapportarsi allo scaglione in cui rientrava il valore della prestazione oggetto di causa. Quanto alla determinazione di quest’ultimo, si ha riguardo (ex art. 152 delle Disposizioni di attuazione del codice di rito civile), in ipotesi, alle somme indebite motivo del gravame, formulato dal pensionato in primo grado, e del successivo appello dell’Istituto previdenziale, a ragione della sua soccombenza: in specie il valore è pari ad € 7.341,82, somma da restituire al pensionato, al netto di oneri accessori, e sulla quale è stata, all’evidenza, parametrata ogni singola attività difensiva. Tale importo rientra nello scaglione recante il minimo di € 5.200,01 e il massimo di € 26.000,00: in specie il valore della causa era a tendere verso l’estremo inferiore della forbice dello scaglione. Di tal ché, ravvisa il Collegio che gli importi della fase di studio della controversia, pari al massimo di € 875,00, della fase introduttiva del giudizio, pari ad € 470,00, della fase istruttoria e/o di trattazione, pari ad € 540,00, e della fase decisionale, per € 1.010,00, possano ridursi del 50%, il primo, il secondo e il quarto, e del 70% il terzo, sia per l’assenza di questioni di fatto e di diritto di particolare difficoltà e complessità, in quanto la consolidata giurisprudenza, compresa quella nomofilattica, ha tracciato le linee da seguire in materia di indebiti, sia per il valore della prestazione, appiattito verso la parte più bassa dello scaglione. Conseguentemente, tenendo conto della natura, durata, complessità e importanza dell’opera prestata, il compenso dei patroni è così liquidato: € 437,50, per la fase di studio, € 235,00, per la fase introduttiva, € 162,00, per la fase istruttoria e/o di trattazione, ed € 505,00, per la fase decisionale, per un complessivo di € 1.339,50, importo da aumentare del 15% a titolo di spese forfetarie, pari ad € 200,93, per un complessivo imponibile di € 1.540,43. Per ciò, liquida a titolo si spese di lite e in favore di parte resistente, diversamente da quanto determinato in notula, l’importo onnicomprensivo di € 1.540,43, oltre C.P.A. e I.V.A., qualora dovuta, non risultando la ritenuta in acconto da parte del sostituto d’imposta questione rientrante in questa giurisdizione, e da porre a carico dell’INPS.
P.Q.M
La Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in appello, iscritto al n. 47.668 del registro di Segreteria, e, per l’effetto, conferma la epigrafata sentenza.
Nulla per le spese di giustizia.
Le spese di lite, da porre a carico dell’I.N.P.S. soccombente, si liquidano, in favore di parte appellata, nell’importo onnicomprensivo di € 1.540,43 (euro millecinquecentoquaranta/43), oltre C.P.A. e I.V.A. se dovuta.
Manda alla Segreteria della Sezione per il più a praticarsi.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio, all’esito della pubblica udienza in data 11 novembre 2016.
Il Consigliere Estensore Il Presidente
(F.to Dott. Giovanni Comite) (F.to Dott.ssa Fausta Di Grazia)
Depositata in Segreteria il 14 Febbraio 2017
Il Funzionario Amministrativo
F.to Dott.ssa Anna Maria Guidi
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Ricorso ACCOLTO
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1) - nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);
2) - Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);
3) - illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;
4) - irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;
FATTO:
5) - Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 ......, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri,
6) - con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione
7) - A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili.
8) - Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (.....)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
9) - Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
10) Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.
11) - Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.
12) - Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.
13) - Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo.
DIRITTO:
14) - Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.
15) - Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale.
- ) - Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.
16) - Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.
17) - Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte,.......
18) - La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.
19) - La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.
20) - Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.
21) - Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".
22) - Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).
23) - Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato;
- ) - risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.
N.B.: rileggi sopra i n. 20, 22 e 23.
Per completezza dei fatti leggete il tutto qui sotto.
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PIEMONTE SENTENZA 15 29/02/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 15 2016 PENSIONI 29/02/2016
SENT. N. 15/16
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, quale giudice unico ai sensi dell’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato dall’articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19818 proposto da B. Antonio, nato a OMISSIS e residente a OMISSIS (CN), via ………, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Sciolla (C.F. SCLLSN66M31F351J), Sergio Viale (C.F. VLISRG66A15L219Q) e Chiara Forneris (C.F. FRNCHR87D50L219H) del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei primi in Torino, Corso Montevecchio n. 68, come da procura a margine del ricorso
CONTRO
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - con sede in Roma, via Ciro Il Grande n. 21 (C.F. 80078750587), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio Ruta (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia Sanguineti (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Avvocatura dell’Istituto, giusta Procura generale alle liti rilasciata per atto a ministero del notaio Paolo Castellini rep. 80974, Rogito 21569 del 21.7.2015 e con loro elettivamente domiciliato in Torino, via dell’Arcivescovado n. 9;
MINISTERO della DIFESA, in persona del Ministro, legale rappresentante pro-tempore;
ARMA DEI CARABINIERI, in persona del legale rappresentante pro-tempore
“per l’annullamento
- della nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);
- del Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);
nonchè per l’accertamento
- dell’illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;
- dell’irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;
nonchè infine per la condanna
dell’INPS all’erogazione al ricorrente della pensione annua lorda pari ad euro 17.681,38 ed alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente a far data dal febbraio 2015, maggiorate con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, e con ogni ulteriore e conseguenziale statuizione di legge”.
VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI all’udienza del 28 gennaio 2016 l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS;
RILEVATO in
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato alle Amministrazioni convenute e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 24 settembre 2015 il signor Antonio B., già Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 e titolare della pensione iscrizione n. 10291853, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nonché la pronuncia di irripetibilità della somma di euro 3.000,83, richiesta in restituzione dall’INPS, con nota in data 22.12.2014, a titolo di preteso indebito formatosi sulla pensione in godimento; invoca conseguentemente la condanna dell’INPS alla corresponsione a proprio favore della pensione annua lorda sulla base della precedente liquidazione di cui al decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 278 del 26 maggio 2009, pari ad euro 17.681,38, e alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente, a far data dal febbraio 2015, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.
Risulta in atti che a decorrere dal 4.6.2004, data di collocamento del signor B.. in congedo assoluto, il Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva a conferire e liquidare al medesimo il trattamento provvisorio di quiescenza iscrizione n. 10291853.
Successivamente, con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione di euro 15.060,86, a decorrere dal 4.6.2004, adeguato ad euro 15.104,60 a decorrere dal 1.1.2005.
A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili. La pensione ordinaria annua lorda veniva quindi commisurata nella somma di euro 17.625,74 a decorrere dal 4.6.2004, adeguata ad euro 17.681,38 a decorrere dal 1.1.2005.
Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (docc. 6 e 7 – comunicazione del 22/09/2009 e del 28/06/2010)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.
In punto di diritto il ricorrente contesta, nell’ambito del primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 nonché dei principi di proporzionalità, ragionevolezza ed imparzialità oltre al travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti.
Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.
Nell’ambito della citata disciplina il legislatore avrebbe individuato in tre anni il limite temporale entro il quale la Pubblica Amministrazione può modificare il provvedimento di liquidazione definitivo della pensione a seguito di proprio errore; possibilità che sarebbe preclusa una volta superato il predetto termine.
Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.
Tale tipologia di errore rientrerebbe esattamente tra quelle descritte dall’art. 204 lett. a) e b) del D.P.R. n. 1092/1973 in quanto sarebbe causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti e riguarderebbe il calcolo e l’ammontare della pensione: la modifica dell’importo pensionistico sarebbe infatti giustificato dal preteso errore consistente nel non aver tenuto conto che l’interessato aveva meno di 15 anni utili di anzianità al 31.12.1992 ovvero di un elemento già riscontrato in precedenza.
Secondo la tesi difensiva del ricorrente, quindi, una volta rilevato il decorso del termine, andrebbe disposto “il necessario annullamento del decreto n. 66 ed il riconoscimento del diritto del ricorrente a veder disciplinato il proprio trattamento pensionistico, anche per il futuro, in base al solo decreto n. 278 del 26/05/2009, con una pensione annua, “da durare a vita”, pari a euro 17.681,38”, con conseguente richiesta di restituzione di quanto indebitamente trattenuto.
Con un secondo motivo di ricorso il signor B.. rileva che, anche in relazione al merito del preteso errore addotto dall’Amministrazione, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi in quanto adottati in violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 1092/1973, che prevede l’ arrotondamento delle frazioni di anno e stabilisce espressamente che la frazione superiore a sei mesi debba essere computata come anno intero.
Precisa il ricorrente che, seppur la disposizione risulti implicitamente abrogata dall’art. 59 L. n. 449/1997, gli effetti debbano ritenersi operare esclusivamente per le anzianità contributive maturate a partire dal 1.1.1998 e non possa essere applicata al computo degli anni di anzianità fino al 31.12.1992: la disposizione non potrebbe quindi valere per il ricorrente, che avrebbe maturato anteriormente al 31.12.1992 un’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni, con frazione del 14° anno superiore a sei mesi.
Sussisterebbe quindi pienamente il diritto del signor B.. a vedersi riconosciuti 15 anni di anzianità contributiva al 31.12.1992.
Con un terzo motivo di ricorso il signor B.. contesta una violazione dell’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 secondo il quale sarebbe possibile il recupero delle somme corrisposte indebitamente nella sola ipotesi, tassativa, di accertamento di un fatto doloso del pensionato che abbia cagionato la modifica del trattamento pensionistico; circostanza ritenuta insussistente nella fattispecie.
La difesa del ricorrente evidenzia altresì che l’irripetibilità della somma percepita dal ricorrente conseguirebbe, oltre che dalle norme sopra richiamate, anche dalla tutela del legittimo affidamento.
Richiama a tal fine la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo ai principi enunciati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 2/QM/2012. Sarebbe infatti evidente la posizione di legittimo affidamento ingeneratosi nel ricorrente in merito all’ammontare della propria pensione, come individuata in via definitiva nel 2009.
In via di subordine, per la denegata ipotesi in cui dovessero considerarsi ripetibili le somme erogate al ricorrente, la difesa eccepisce la parziale prescrizione del credito vantato dall’INPS, con riguardo alle somme percepite in data anteriore al 31.12.2004 ovvero, in base all’atto di recupero, nel periodo 4.9.2004 -31.12.2004. In ultimo, il ricorrente contesta i conteggi effettuati dall’INPS in relazione alla quantificazione dell’indebito chiedendo che, in caso di mancato accoglimento delle doglianze relative all’illegittimità della modifica della liquidazione definitiva ed all’irripetibilità totale delle somme richieste, la condanna alla restituzione delle somme non dovute sia limitata- sulla base dei conteggi effettuati e depositati dallo stesso ricorrente- all’importo di euro 1.106,12, maggiorati con interessi legali e rivalutazione.
Con memoria difensiva depositata presso la Sezione in data 15 gennaio 2016 si è costituito in giudizio l’INPS chiedendo, in via principale, di rigettare integralmente il ricorso e, in subordine, in ipotesi di pronuncia di irripetibilità delle somme indebitamente percepite da parte ricorrente, di ritenere e dichiarare il diritto dell’Istituto previdenziale ad ottenerne la rifusione da parte del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con conseguente condanna di quest’ultimo a corrispondere all’INPS la somma equivalente a quanto erogato dall’Istituto in eccedenza sul trattamento di quiescenza del ricorrente dal 1.1.2006.
In punto di diritto la difesa dell’INPS argomenta in ordine al preteso “diritto/dovere dell’Istituto di ripetere, ex art. 2033 c.c. e 162 del D.P.R. n. 1092/1973, le somme indebitamente percepite a titolo di trattamento provvisorio di quiescenza”.
Secondo la prospettazione difensiva dell’Istituto previdenziale, ai sensi dell’art. 162 citato, l’azione di ripetizione di quanto indebitamente percepito dal pensionato sul trattamento provvisorio di quiescenza, come accertato e determinato per effetto dell’avvenuta comunicazione, da parte dell’Amministrazione Statale ex datrice di lavoro, del provvedimento di liquidazione del trattamento definitivo, si configurerebbe come atto dovuto, con il limite rappresentato dalle sole modalità di detto recupero, che non dovrebbero essere eccessivamente gravose; l’INPS richiama a supporto della propria tesi la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo alla pronuncia n. 2/QM/2012.
Rileva altresì la difesa dell’Istituto la circostanza che, in tutti i casi in cui il provvedimento di pensione sia stato emesso e riliquidato dall’Amministrazione ex datrice di lavoro, quest’ultima dovrebbe ritenersi il principale interlocutore processuale in quanto ordinatore primario della spesa, avendo proceduto direttamente al calcolo e alla quantificazione dell’ammontare del detto trattamento. Secondo tale prospettazione il fondamento normativo dell’azione di “rivalsa” che l’Istituto intende esperire nei confronti del Dicastero si rinverrebbe quindi nelle disposizioni che disciplinano il procedimento di liquidazione della pensione di cui al D.P.R. n. 1092/1973 e, ove necessario, richiamando in via analogica i principi espressi nell’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 536/1986 e, prima ancora, nell’art. 30, comma 4, del D.L. 28.2.1983 n. 55, convertito nella Legge n. 131/1983.
Richiamando l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi sostenuta la difesa dell’INPS evidenzia inoltre che i principi derivanti da tali disposizioni, tenuto conto della sopravvenuta omogeneizzazione a livello legislativo dei sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici, dovrebbero ritenersi avere valenza generale per cui dovrebbero ritenersi applicabili a tutta la gamma di pensioni amministrate dall’INPS (Gestione ex INPDAP). In ordine alla predetta domanda, anche in linea con il più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, non dovrebbe quindi dubitarsi in ordine alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. L’INPS insiste quindi per l’accoglimento delle rassegnate conclusioni.
Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo. Pertanto il signor B.. vanterebbe il diritto alla reintegrazione della pensione annua lorda di euro 17.681,38, come individuata nel decreto n. 278 del 26.5.2009.
Il ricorrente ha rammentato altresì che nella denegata ipotesi in cui si ritenesse sussistente l’indebito generato sulla pensione il recupero delle somme sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 206 d.p.r. n. 1092/1973. Secondo la prospettazione difensiva l’indebito sarebbe irripetibile anche applicando i principi individuati dalla giurisprudenza per il recupero dei conguagli tra pensione provvisoria e definitiva; da ciò l’illegittimità della trattenuta effettuata dall’INPS e l’obbligo di restituzione maggiorato di interessi e rivalutazione.
All’udienza in data 28 gennaio 2016 sono comparsi l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS. Nessuno è comparso per il Ministero della Difesa e per l’Arma dei Carabinieri.
L’Avv. Alessandro Sciolla ha illustrato i motivi di ricorso replicando alla memoria INPS e sottolineando che la fattispecie in esame riguarderebbe ipotesi di indebito derivante da riliquidazione di una pensione definitiva e non di indebito formatosi per differenza tra liquidazione di trattamento di quiescenza provvisorio e pensione definitiva. Ha altresì evidenziato che tale riliquidazione è dovuta ad errore nel computo o, comunque, ad errore di diritto e sarebbe avvenuta oltre il termine triennale non essendo imputabile a comportamento doloso del ricorrente. Ha infine rilevato che la riliquidazione effettuata nel 2014 è stata disposta d’ufficio e non su istanza del ricorrente insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.
L’Avv. Giorgio Ruta, in rappresentanza dell’INPS, ha richiamato la memoria sottolineando che alcun errore sarebbe comunque imputabile all’Istituto previdenziale, il quale è organo esecutore delle determinazioni dell’Amministrazione datrice di lavoro. Ha inoltre depositato le ordinanze n. 41/2015 e n. 56/2015 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in relazione alla domanda di rivalsa, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.
Ritenuto in
DIRITTO
Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.
Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile –il processo pensionistico pubblico celebrato dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che, ancorché il ricorso venga strutturato come impugnazione di atti del Ministero della Difesa e dell’INPS (peraltro di natura paritetica), lo stesso ha per oggetto il rapporto obbligatorio di quiescenza in essere tra le parti nella sua globalità e non il mero sindacato sulla legittimità degli atti posti a suo fondamento (in tal senso ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur. Puglia, n. 1596/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Liguria, n. 95/2014; Corte dei Conti, Sez. Giur. Trentino, n. 15/2014).
Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale. Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.
Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.
In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.
Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.
Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo, in virtù della disciplina contenuta nelle predette disposizioni di legge.
Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma puntualmente, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria, delineandone i profili di coincidenza e di differenziazione con quella oggetto di scrutinio diretto.
In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e chiusa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela; secondo tale prospettiva la disciplina in esame è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest'ultima, prevede termini precisi entro i quali la "revoca" della pensione può essere disposta.
La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.
La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.
Il Giudice delle Leggi ha posto in chiara evidenza come le diverse ragioni dell'amministrazione e del pensionato trovino equilibrato componimento nella normativa che disciplina la liquidazione della pensione, articolandola in una duplice fase, la prima di liquidazione provvisoria, la seconda di liquidazione definitiva.
Secondo la sentenza citata, tale duplice fase liquidatoria "risponde all'esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest'ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento" (Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
In sostanza, secondo la Corte costituzionale, la fase interinale costituisce un passaggio fisiologico e necessario nel percorso verso la liquidazione definitiva, poiché essa "suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall' art. 2 della L. n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l'adozione del decreto pensionistico definitivo - serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l'amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva"(Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
La Consulta individua quindi una differenziazione netta tra la fase che intercorre tra la liquidazione provvisoria e l’emissione del provvedimento di riconoscimento di pensione definitiva– nell’ambito della quale l'amministrazione conserva ampi margini di revoca o modifica del trattamento pensionistico qualora lo riconosca affetto da errori di qualsiasi genere- e la fase successiva alla liquidazione definitiva, in cui la situazione cambia radicalmente, individuandosi tassativamente i limiti e i termini di modificabilità del provvedimento dettati dalla normativa di settore.
A questo riguardo, la Corte costituzionale ha anche esaminato le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, richiamate dal giudice rimettente quale tertium comparationis con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; in tale contesto, nel valutare le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo in rapporto all’errore di diritto, la Corte Costituzionale ha quindi precisato che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione” (Corte costituzionale, sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
Poste tali premesse, occorre verificare la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al decreto n. 278/2009, in ordine al quale era peraltro già intervenuto il pronunciamento di questa stessa Sezione (sent. n. 231/2009) che, proprio a fronte dell’adozione del predetto atto, aveva dichiarato la parziale cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso illo tempore proposto dal signor B... Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente afferma che la modifica in pejus del proprio trattamento dovrebbe rientrare nella ipotesi di cui ai capi a) e b) dell’art. 204 del T.U. n. 1092/1973 “sia perché è stato causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti (il decreto n. 278 del 26/5/2009 riportava espressamente il computo dell’anzianità al 31/12/1992 in 14 anni, 7 mesi e 2 giorni – cfr. pag. 1 doc. 5 tabella “serie dei servizi quota 2”) sia perché l’errore riguarda il calcolo e l’ammontare della pensione” (pag. 6 ricorso); secondo quanto precisato dalla difesa del ricorrente nel corso dell’udienza di discussione in data 28.1.2016 l’errore di cui trattasi potrebbe comunque qualificarsi come errore di diritto. In entrambe le ipotesi, secondo la tesi attorea, il decreto definitivo di pensione n. 278/2009 non sarebbe più stato modificabile, quantomeno per essere intervenuto oltre i termini di legge.
Orbene, nella vicenda in esame si osserva che la riliquidazione del trattamento pensionistico ordinario del ricorrente, avvenuta con il decreto n. 66 del 24 gennaio 2014 impugnato, appare determinata da una diversa interpretazione dell’art. 40 del d.p.r. n. 1092/1973 in relazione all’art. 59 c. 1 della l. n. 449/1997 con riferimento agli arrotondamenti di frazioni di anno ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva: nell’ambito della liquidazione della pensione ordinaria di cui al decreto n. 278 del 26 maggio 2009 l’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni al 31.12.1992 (già riconosciuta nel prospetto riepilogativo dei servizi utili al trattamento di quiescenza emesso il 11.3.2004 del Comando Regionale Carabinieri di Piemonte e Valle d’Aosta) era stata oggetto di arrotondamento a 15 anni (in forza della disposizione di cui al citato art. 40) mentre nel successivo decreto n. 66/2014 è prevalsa l’interpretazione secondo la quale tale arrotondamento non potesse più ritenersi ammesso, dovendo considerarsi la norma implicitamente abrogata anche con riguardo ai servizi svolti antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 59 L. n. 449/1997.
Per quanto emergente dagli atti di causa l'intervento si appalesa quindi mirato a eliminare un preteso errore di diritto che, secondo costante giurisprudenza, non può ritenersi rientrare tra i casi che consentono interventi modificativi del trattamento pensionistico definitivo.
Ciò in quanto, secondo quanto affermato recentemente dalla Corte Costituzionale, "L'esclusione della rilevanza dell'errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta - come detto - a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l'interesse antagonista del ripristino della legittimità dell'azione amministrativa" (Corte Cost. sent. n. 208/2014).
Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.
Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".
Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).
Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato; risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.
Atteso quanto sopra, ritenute assorbite le diverse censure prospettate da parte ricorrente, anche in forza del criterio della ragione più liquida (cfr. Cass., Sez. VI, n. 12002/2014), consegue che il signor B.. ha diritto ad aver ripristinato l'originario trattamento pensionistico ordinario disposto con Decreto n. 278 del 26.5.2009.
Sulle maggiori somme da corrispondere in relazione ai singoli ratei vanno riconosciuti interessi e rivalutazione secondo il criterio dell'assorbimento.
Va altresì restituita da parte dell’INPS al ricorrente la somma recuperata in seguito all’adozione della nota INPS- Direzione Provinciale di Cuneo del 22.12.2014, in applicazione del Decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri.
In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in carenza di potere perché in violazione del divieto di riforma del provvedimento di liquidazione definitivo oltre il termine triennale di cui all’art.205 d.p.r. n. 1092/1973 e, conseguentemente, la restituzione della somma non è dipesa da un indebito pensionistico, anche sulle somme restituite vanno corrisposti al ricorrente gli accessori di legge (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia, n. 521/2015).
Non può invece ritenersi correttamente proposta né, quindi, esaminata nel merito la domanda di rivalsa avanzata dall'INPS - Gestione ex INPDAP nei confronti del Ministero della Difesa- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, tesa alla rifusione della somma ritenuta irripetibile.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di affermare che, per il giudizio di rivalsa che l'Istituto intende promuovere nei confronti dell'Amministrazione, non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario con l'Amministrazione stessa, nell'ambito del giudizio sulla ripetibilità nei confronti del pensionato e che non sia, quindi, necessaria la contestualità, considerata l'autonomia delle due diverse pretese azionate e la conseguente autonomia dei relativi giudizi (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur I d'Appello, sent. n. 459 del 20.3.2014, sent. n. 418 del 14.3.2014, sent. n. 340 del 28.2.2014).
E’ stato osservato, in proposito, che la domanda subordinata di rivalsa proposta dall'Ente previdenziale introduce una controversia diversa - sia per petitum, che per causa petendi - rispetto alla domanda di irripetibilità del pensionato, ben potendo la predetta domanda essere proposta anche in autonomo giudizio (ex plurimis Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d'Appello n. 764/2012, id. n. 766/2012; Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Veneto n. 42/2013, n. 47/2013).
E’ stato altresì rilevato che la trattazione congiunta alla domanda proposta dal ricorrente, della pretesa di rivalsa avanzata dall’INPS nei confronti del Ministero, ordinatore primario di spesa, espone a dilatare ingiustificatamente ed eccessivamente i tempi di durata e di definizione del processo da contenersi, invece, nei limiti del principio di ragionevolezza, presidiato da norma di rango costituzionale (art. 111, c. 2, Cost.) con conseguente rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio formulata dall'I.N.P.S nelle ipotesi in cui l’Amministrazione datrice di lavoro non sia stata contestualmente evocata in giudizio dallo stesso ricorrente.
Questa Sezione, sulla base di analoghe argomentazioni, ha escluso l’accoglibilità della predetta domanda anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ordinatrice primaria di spesa risultasse già evocata in giudizio dal ricorrente, contestualmente all’INPS (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014; id. n. 142/2014).
La Sezione ha avuto modo di affermare, in proposito, che la domanda, avanzata dall’I.N.P.S. in subordine, di condanna diretta dell’Amministrazione datrice di lavoro, debba ritenersi esulare dal giudizio incardinato dal ricorrente con diverso petitum, facendo rilevare in proposito che “… le attribuzioni di ordinatore principale e secondario di spesa costituiscono una mera ripartizione di competenza di apparati della pubblica amministrazione comunque costituenti nel loro complesso la figura di obbligato passivo (v. C. conti, sez. III, 4 luglio 2001, n. 175/A). Né ai fini del giudizio rileva l’eventuale responsabilità di chi ha concretamente operato, trattandosi soltanto di accertare in questa sede se sussiste o meno il diritto vantato dal ricorrente” (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014).
Si richiama, sul punto l’orientamento espresso dalle Sezioni Centrali d’appello (I^ Sez. Giur. Centr. App. n. 767/2012/A e n. 109/2013) in cui è ribadito “il carattere organizzatorio ed interno della questione relativa all’incidenza finale degli oneri derivanti da una pronuncia di irripetibilità dell’indebito e ciò per la struttura sostanzialmente unitaria dell’Amministrazione e l’estraneità ad un giudizio a tal fine incardinato, della domanda relativa all’individuazione del soggetto cui devono essere addossati da ultimo gli oneri economici risultanti dalla corresponsione delle somme risultate non dovute (e dichiarate, come nella specie, anche se solo in parte, irripetibili) (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 36/2014; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).
In relazione alla medesima domanda di rivalsa appare peraltro dirimente e preliminare ad ogni considerazione di merito il mancato rispetto delle norme circa l’instaurazione del contraddittorio (cfr. Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).
Come evidenziato dalla giurisprudenza contabile in fattispecie analoghe, la pretesa avanzata in via subordinata dall’INPS “non può configurarsi come domanda riconvenzionale, posto che essa non è stata proposta nei confronti dell’attore del presente giudizio, ma nei confronti di altro soggetto convenuto dall’attore e senza le forme che garantiscono il rispetto del principio del contraddittorio” (cfr. Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014; Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015).
Anche volendo ammettersi, quindi, la proponibilità di una domanda trasversale di rivalsa nell’ambito del processo pensionistico avanti alla Corte dei conti, come formulata nel caso di specie dall’Istituto Previdenziale, reputa questo Giudice che la stessa dovrebbe comunque soggiacere all'onere di garantire la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti convenute nelle ipotesi che le stesse spieghino reciprocamente autonome domande (sugli aspetti processuali si fa rinvio alla sentenza di questa Sezione n. 29/2013 che richiama le pronunce delle SS.RR. della Corte dei conti, nn. 2/QM/2002 e 4/QM/2004).
Si rileva appena che la preclusione all’esame nel merito della domanda riconvenzionale nel presente processo non esclude la proponibilità della stessa nell’ambito di un autonomo giudizio.
Quanto alla regolamentazione delle spese, si osserva preliminarmente che risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, la modificazione dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 d.l. n. 132 in data 12.9.2014, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162. Tenuto conto dei richiamati recenti interventi giurisprudenziali sulla questione concernente la “revoca”, per errore, della pensione definitiva si reputano sussistenti i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione
ACCOGLIE
il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, dichiara il diritto del signor B.. Antonio a vedere ripristinato il trattamento pensionistico disposto con decreto n. 278 del 26 maggio 2009 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nonché all’integrale restituzione al medesimo delle somme indebitamente trattenute in forza della nota INPS- Direzione Provinciale di cuneo in data 22.12.2014 ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 429 c.p.c. fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione
Così deciso in Torino il 28 gennaio 2016.
Il GIUDICE
(F.to dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta)
Depositata in Segreteria il 29 Febbraio 2016
Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)
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1) - nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);
2) - Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);
3) - illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;
4) - irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;
FATTO:
5) - Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 ......, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri,
6) - con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione
7) - A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili.
8) - Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (.....)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
9) - Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
10) Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.
11) - Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.
12) - Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.
13) - Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo.
DIRITTO:
14) - Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.
15) - Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale.
- ) - Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.
16) - Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.
17) - Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte,.......
18) - La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.
19) - La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.
20) - Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.
21) - Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".
22) - Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).
23) - Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato;
- ) - risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.
N.B.: rileggi sopra i n. 20, 22 e 23.
Per completezza dei fatti leggete il tutto qui sotto.
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PIEMONTE SENTENZA 15 29/02/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 15 2016 PENSIONI 29/02/2016
SENT. N. 15/16
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, quale giudice unico ai sensi dell’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato dall’articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19818 proposto da B. Antonio, nato a OMISSIS e residente a OMISSIS (CN), via ………, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Sciolla (C.F. SCLLSN66M31F351J), Sergio Viale (C.F. VLISRG66A15L219Q) e Chiara Forneris (C.F. FRNCHR87D50L219H) del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei primi in Torino, Corso Montevecchio n. 68, come da procura a margine del ricorso
CONTRO
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - con sede in Roma, via Ciro Il Grande n. 21 (C.F. 80078750587), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio Ruta (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia Sanguineti (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Avvocatura dell’Istituto, giusta Procura generale alle liti rilasciata per atto a ministero del notaio Paolo Castellini rep. 80974, Rogito 21569 del 21.7.2015 e con loro elettivamente domiciliato in Torino, via dell’Arcivescovado n. 9;
MINISTERO della DIFESA, in persona del Ministro, legale rappresentante pro-tempore;
ARMA DEI CARABINIERI, in persona del legale rappresentante pro-tempore
“per l’annullamento
- della nota in data 22/12/2014 dell’INPS – Direzione Provinciale di Cuneo, con cui è stata comunicata al ricorrente la sussistenza di un indebito generato sulla sua pensione pari ad euro 3.008,83 ed è stato disposto il recupero della somma mediante ritenuta mensile sulla pensione a decorrere dalla rata di febbraio 2015 (doc. 1);
- del Decreto n. 66 del 24/01/2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di Quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con cui è stata modificata la liquidazione della pensione del ricorrente (doc. 2);
nonchè per l’accertamento
- dell’illegittimità della modifica apportata al trattamento pensionistico definitivo del ricorrente e del conseguente diritto dello stesso al mantenimento della liquidazione della propria pensione come individuata nel decreto n. 278 del 26/05/20009;
- dell’irripetibilità della somma di euro 3.008,83 percepita dal ricorrente a titolo di trattamento pensionistico e del conseguente diritto alla restituzione di quanto l’INPS ha già trattenuto sui ratei di pensione del ricorrente erogati dal mese di febbraio 2015;
nonchè infine per la condanna
dell’INPS all’erogazione al ricorrente della pensione annua lorda pari ad euro 17.681,38 ed alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente a far data dal febbraio 2015, maggiorate con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, e con ogni ulteriore e conseguenziale statuizione di legge”.
VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI all’udienza del 28 gennaio 2016 l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS;
RILEVATO in
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato alle Amministrazioni convenute e depositato presso la Segreteria di questa Sezione in data 24 settembre 2015 il signor Antonio B., già Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri, collocato in congedo assoluto a decorrere dal 4 giugno 2004 e titolare della pensione iscrizione n. 10291853, chiede la declaratoria di illegittimità della modifica apportata al proprio trattamento di quiescenza definitivo con decreto n. 66 del 24.1.2014 dell’Ufficio Trattamento Economico di quiescenza del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nonché la pronuncia di irripetibilità della somma di euro 3.000,83, richiesta in restituzione dall’INPS, con nota in data 22.12.2014, a titolo di preteso indebito formatosi sulla pensione in godimento; invoca conseguentemente la condanna dell’INPS alla corresponsione a proprio favore della pensione annua lorda sulla base della precedente liquidazione di cui al decreto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 278 del 26 maggio 2009, pari ad euro 17.681,38, e alla restituzione delle somme trattenute mensilmente sulla pensione del ricorrente, a far data dal febbraio 2015, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.
Risulta in atti che a decorrere dal 4.6.2004, data di collocamento del signor B.. in congedo assoluto, il Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva a conferire e liquidare al medesimo il trattamento provvisorio di quiescenza iscrizione n. 10291853.
Successivamente, con decreto di pensione ordinaria n. 664 del 26 ottobre 2007 veniva conferito il trattamento ordinario definitivo di pensione di euro 15.060,86, a decorrere dal 4.6.2004, adeguato ad euro 15.104,60 a decorrere dal 1.1.2005.
A seguito di ricorso giurisdizionale proposto dal signor B.. avanti a questa Sezione, conclusosi con sentenza n. 231/2009, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri provvedeva, con decreto n. 278 del 26 maggio 2009, a riliquidare la pensione secondo il sistema retributivo, riconoscendo al ricorrente, grazie alla ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge n. 29/1979, un’anzianità contributiva, al 31.12.1995, superiore a diciotto anni utili. La pensione ordinaria annua lorda veniva quindi commisurata nella somma di euro 17.625,74 a decorrere dal 4.6.2004, adeguata ad euro 17.681,38 a decorrere dal 1.1.2005.
Rileva il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio che tale ultima riliquidazione veniva pienamente “recepita dalla sede I.N.P.D.A.P. di Cuneo, che ha rimborsato quanto trattenuto illegittimamente (docc. 6 e 7 – comunicazione del 22/09/2009 e del 28/06/2010)”; osserva altresì che il trattamento pensionistico definitivo sarebbe stato erogato per le annualità dal 2004 al 2015 sulla base della liquidazione effettuata, in via definitiva, con il decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
Successivamente lo stesso Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con decreto n. 66 del 24 gennaio 2014, modificava nuovamente l’ammontare della pensione del ricorrente, adducendo preteso errore nel computo riportato nel decreto n. 278 del 26 maggio 2009.
Con nota del 22.12.2014 la Direzione Provinciale INPS di Cuneo informava il ricorrente dell’intervenuta riliquidazione disponendo contestualmente il recupero della somma di euro 3.008,63 mediante ritenuta mensile imponibile di euro 334,31 sulla pensione in godimento.
In punto di diritto il ricorrente contesta, nell’ambito del primo motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 nonché dei principi di proporzionalità, ragionevolezza ed imparzialità oltre al travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti.
Secondo la prospettazione attorea i provvedimenti oggetto di impugnazione sarebbero illegittimi in quanto opererebbero una modifica del trattamento pensionistico definitivo al di fuori dei limiti tassativi posti dagli artt. 203 e ss. D.P.R. n. 1092/1973.
Nell’ambito della citata disciplina il legislatore avrebbe individuato in tre anni il limite temporale entro il quale la Pubblica Amministrazione può modificare il provvedimento di liquidazione definitivo della pensione a seguito di proprio errore; possibilità che sarebbe preclusa una volta superato il predetto termine.
Nella fattispecie la riliquidazione definitiva della pensione del signor B.. sarebbe avvenuta con decreto n. 278 del 26.5.2009, “registrato in data 01/09/2009”, mentre l’Arma dei Carabinieri avrebbe modificato la liquidazione definitiva pensionistica il 24.01.2014, ossia quattro anni e mezzo dopo la registrazione del provvedimento, asseritamente intervenuta in data 1.9.2009.
Tale tipologia di errore rientrerebbe esattamente tra quelle descritte dall’art. 204 lett. a) e b) del D.P.R. n. 1092/1973 in quanto sarebbe causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti e riguarderebbe il calcolo e l’ammontare della pensione: la modifica dell’importo pensionistico sarebbe infatti giustificato dal preteso errore consistente nel non aver tenuto conto che l’interessato aveva meno di 15 anni utili di anzianità al 31.12.1992 ovvero di un elemento già riscontrato in precedenza.
Secondo la tesi difensiva del ricorrente, quindi, una volta rilevato il decorso del termine, andrebbe disposto “il necessario annullamento del decreto n. 66 ed il riconoscimento del diritto del ricorrente a veder disciplinato il proprio trattamento pensionistico, anche per il futuro, in base al solo decreto n. 278 del 26/05/2009, con una pensione annua, “da durare a vita”, pari a euro 17.681,38”, con conseguente richiesta di restituzione di quanto indebitamente trattenuto.
Con un secondo motivo di ricorso il signor B.. rileva che, anche in relazione al merito del preteso errore addotto dall’Amministrazione, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi in quanto adottati in violazione dell’art. 40 D.P.R. n. 1092/1973, che prevede l’ arrotondamento delle frazioni di anno e stabilisce espressamente che la frazione superiore a sei mesi debba essere computata come anno intero.
Precisa il ricorrente che, seppur la disposizione risulti implicitamente abrogata dall’art. 59 L. n. 449/1997, gli effetti debbano ritenersi operare esclusivamente per le anzianità contributive maturate a partire dal 1.1.1998 e non possa essere applicata al computo degli anni di anzianità fino al 31.12.1992: la disposizione non potrebbe quindi valere per il ricorrente, che avrebbe maturato anteriormente al 31.12.1992 un’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni, con frazione del 14° anno superiore a sei mesi.
Sussisterebbe quindi pienamente il diritto del signor B.. a vedersi riconosciuti 15 anni di anzianità contributiva al 31.12.1992.
Con un terzo motivo di ricorso il signor B.. contesta una violazione dell’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 secondo il quale sarebbe possibile il recupero delle somme corrisposte indebitamente nella sola ipotesi, tassativa, di accertamento di un fatto doloso del pensionato che abbia cagionato la modifica del trattamento pensionistico; circostanza ritenuta insussistente nella fattispecie.
La difesa del ricorrente evidenzia altresì che l’irripetibilità della somma percepita dal ricorrente conseguirebbe, oltre che dalle norme sopra richiamate, anche dalla tutela del legittimo affidamento.
Richiama a tal fine la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo ai principi enunciati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 2/QM/2012. Sarebbe infatti evidente la posizione di legittimo affidamento ingeneratosi nel ricorrente in merito all’ammontare della propria pensione, come individuata in via definitiva nel 2009.
In via di subordine, per la denegata ipotesi in cui dovessero considerarsi ripetibili le somme erogate al ricorrente, la difesa eccepisce la parziale prescrizione del credito vantato dall’INPS, con riguardo alle somme percepite in data anteriore al 31.12.2004 ovvero, in base all’atto di recupero, nel periodo 4.9.2004 -31.12.2004. In ultimo, il ricorrente contesta i conteggi effettuati dall’INPS in relazione alla quantificazione dell’indebito chiedendo che, in caso di mancato accoglimento delle doglianze relative all’illegittimità della modifica della liquidazione definitiva ed all’irripetibilità totale delle somme richieste, la condanna alla restituzione delle somme non dovute sia limitata- sulla base dei conteggi effettuati e depositati dallo stesso ricorrente- all’importo di euro 1.106,12, maggiorati con interessi legali e rivalutazione.
Con memoria difensiva depositata presso la Sezione in data 15 gennaio 2016 si è costituito in giudizio l’INPS chiedendo, in via principale, di rigettare integralmente il ricorso e, in subordine, in ipotesi di pronuncia di irripetibilità delle somme indebitamente percepite da parte ricorrente, di ritenere e dichiarare il diritto dell’Istituto previdenziale ad ottenerne la rifusione da parte del Ministero della Difesa – Arma dei Carabinieri, con conseguente condanna di quest’ultimo a corrispondere all’INPS la somma equivalente a quanto erogato dall’Istituto in eccedenza sul trattamento di quiescenza del ricorrente dal 1.1.2006.
In punto di diritto la difesa dell’INPS argomenta in ordine al preteso “diritto/dovere dell’Istituto di ripetere, ex art. 2033 c.c. e 162 del D.P.R. n. 1092/1973, le somme indebitamente percepite a titolo di trattamento provvisorio di quiescenza”.
Secondo la prospettazione difensiva dell’Istituto previdenziale, ai sensi dell’art. 162 citato, l’azione di ripetizione di quanto indebitamente percepito dal pensionato sul trattamento provvisorio di quiescenza, come accertato e determinato per effetto dell’avvenuta comunicazione, da parte dell’Amministrazione Statale ex datrice di lavoro, del provvedimento di liquidazione del trattamento definitivo, si configurerebbe come atto dovuto, con il limite rappresentato dalle sole modalità di detto recupero, che non dovrebbero essere eccessivamente gravose; l’INPS richiama a supporto della propria tesi la giurisprudenza contabile, con particolare riguardo alla pronuncia n. 2/QM/2012.
Rileva altresì la difesa dell’Istituto la circostanza che, in tutti i casi in cui il provvedimento di pensione sia stato emesso e riliquidato dall’Amministrazione ex datrice di lavoro, quest’ultima dovrebbe ritenersi il principale interlocutore processuale in quanto ordinatore primario della spesa, avendo proceduto direttamente al calcolo e alla quantificazione dell’ammontare del detto trattamento. Secondo tale prospettazione il fondamento normativo dell’azione di “rivalsa” che l’Istituto intende esperire nei confronti del Dicastero si rinverrebbe quindi nelle disposizioni che disciplinano il procedimento di liquidazione della pensione di cui al D.P.R. n. 1092/1973 e, ove necessario, richiamando in via analogica i principi espressi nell’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 536/1986 e, prima ancora, nell’art. 30, comma 4, del D.L. 28.2.1983 n. 55, convertito nella Legge n. 131/1983.
Richiamando l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi sostenuta la difesa dell’INPS evidenzia inoltre che i principi derivanti da tali disposizioni, tenuto conto della sopravvenuta omogeneizzazione a livello legislativo dei sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici, dovrebbero ritenersi avere valenza generale per cui dovrebbero ritenersi applicabili a tutta la gamma di pensioni amministrate dall’INPS (Gestione ex INPDAP). In ordine alla predetta domanda, anche in linea con il più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, non dovrebbe quindi dubitarsi in ordine alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. L’INPS insiste quindi per l’accoglimento delle rassegnate conclusioni.
Con successiva memoria in data 15 gennaio 2016 il signor B.. ha richiamato i contenuti dell’atto introduttivo ribadendo che la riliquidazione della pensione effettuata con il decreto n. 66 del 24.1.2014 si porrebbe in violazione degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. n. 1092/1973 in quanto giunta ben oltre il limite temporale entro il quale può essere revocato o modificato il trattamento pensionistico definitivo. Pertanto il signor B.. vanterebbe il diritto alla reintegrazione della pensione annua lorda di euro 17.681,38, come individuata nel decreto n. 278 del 26.5.2009.
Il ricorrente ha rammentato altresì che nella denegata ipotesi in cui si ritenesse sussistente l’indebito generato sulla pensione il recupero delle somme sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 206 d.p.r. n. 1092/1973. Secondo la prospettazione difensiva l’indebito sarebbe irripetibile anche applicando i principi individuati dalla giurisprudenza per il recupero dei conguagli tra pensione provvisoria e definitiva; da ciò l’illegittimità della trattenuta effettuata dall’INPS e l’obbligo di restituzione maggiorato di interessi e rivalutazione.
All’udienza in data 28 gennaio 2016 sono comparsi l’avv. Alessandro Sciolla e l’avv. Chiara Forneris in rappresentanza e difesa del ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta in rappresentanza e difesa dell’INPS. Nessuno è comparso per il Ministero della Difesa e per l’Arma dei Carabinieri.
L’Avv. Alessandro Sciolla ha illustrato i motivi di ricorso replicando alla memoria INPS e sottolineando che la fattispecie in esame riguarderebbe ipotesi di indebito derivante da riliquidazione di una pensione definitiva e non di indebito formatosi per differenza tra liquidazione di trattamento di quiescenza provvisorio e pensione definitiva. Ha altresì evidenziato che tale riliquidazione è dovuta ad errore nel computo o, comunque, ad errore di diritto e sarebbe avvenuta oltre il termine triennale non essendo imputabile a comportamento doloso del ricorrente. Ha infine rilevato che la riliquidazione effettuata nel 2014 è stata disposta d’ufficio e non su istanza del ricorrente insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.
L’Avv. Giorgio Ruta, in rappresentanza dell’INPS, ha richiamato la memoria sottolineando che alcun errore sarebbe comunque imputabile all’Istituto previdenziale, il quale è organo esecutore delle determinazioni dell’Amministrazione datrice di lavoro. Ha inoltre depositato le ordinanze n. 41/2015 e n. 56/2015 della Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in relazione alla domanda di rivalsa, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni.
Ritenuto in
DIRITTO
Il thema decidendum del presente giudizio concerne la valutazione di ammissibilità e legittimità della modifica in peius del trattamento pensionistico definitivo di quiescenza di titolarità del ricorrente, intervenuta con decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, in riforma del precedente decreto n. 278 del 26 maggio 2009 con il quale lo stesso Comando aveva già disposto una prima riliquidazione del trattamento ordinario definitivo di pensione del signor B.. secondo il sistema retributivo nonchè l’accessoria domanda volta all’accertamento di pretesa irripetibilità della somma di euro 3.008,83, trattenuta a titolo di indebito pensionistico in forza dell’atto di recupero INPS del 22.12.2014.
Va preliminarmente rilevato che - secondo quanto chiarito da un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile –il processo pensionistico pubblico celebrato dinanzi alla Corte dei conti, seppur introdotto mediante ricorso avverso atti o comportamenti della pubblica amministrazione, costituisce espressione di un giudizio sul rapporto anziché sull’atto; questa Corte non conosce, quindi, della legittimità di un atto al fine di eventualmente disporne l'annullamento, bensì valuta, in termini sostanziali, del concreto rapporto pensionistico dedotto in giudizio. Ne consegue che, ancorché il ricorso venga strutturato come impugnazione di atti del Ministero della Difesa e dell’INPS (peraltro di natura paritetica), lo stesso ha per oggetto il rapporto obbligatorio di quiescenza in essere tra le parti nella sua globalità e non il mero sindacato sulla legittimità degli atti posti a suo fondamento (in tal senso ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur. Puglia, n. 1596/2013; Corte dei conti, Sez. Giur. Liguria, n. 95/2014; Corte dei Conti, Sez. Giur. Trentino, n. 15/2014).
Nel merito, per quanto concerne la presente fattispecie, va in primo luogo rilevato che, antecedentemente alla modifica introdotta con il decreto n. 66/2014, la pensione di cui già beneficiava il signor B.. era stata liquidata in via definitiva in forza del decreto n. 278 del 26.5.2009 non emergendo da quest’ultimo provvedimento alcun elemento da cui possa desumersi la natura provvisoria prospettata dalla difesa dell’Istituto previdenziale. Più precisamente, per quanto risultante agli atti, il predetto decreto definitivo di pensione n. 278/2009 era stato adottato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in modifica del precedente provvedimento di riconoscimento di pensione ordinaria n. 664/2007, a seguito di proposizione di un precedente ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale ricorrente.
Deve ritenersi, pertanto, che i parametri normativi per la valutazione dell’azione amministrativa che ha dato luogo alla presente controversia vadano ricercati nell’alveo della disciplina della revoca e della modifica del provvedimento definitivo di quiescenza, di cui agli articoli 203, 204 e 205 del citato D.P.R. 1092 del 1973.
In particolare, l’articolo 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”. Al successivo articolo 204 si legge che “La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell'applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.
Infine, ai sensi dell’articolo 205, primo comma, “Nei casi previsti nelle lett. a) e b) dell'art. 204 il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lett. c) e d) di detto articolo il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti”.
Sulla base del predetto quadro normativo questo Giudice è chiamato valutare se la fattispecie in esame rientri nelle ipotesi in cui sia assentita la modifica del trattamento di pensione definitivo, in virtù della disciplina contenuta nelle predette disposizioni di legge.
Al riguardo va richiamata la pronuncia n. 15/2011/QM con la quale le Sezioni riunite di questa Corte, nell’affrontare la questione della modificabilità del trattamento di quiescenza definitivo per la pensionistica di guerra, hanno preso in esame, incidentalmente ma puntualmente, la disciplina vigente per la pensionistica ordinaria, delineandone i profili di coincidenza e di differenziazione con quella oggetto di scrutinio diretto.
In tale occasione, le Sezioni Riunite hanno precisato che la normativa speciale, di cui agli artt. 203 e ss. del D.P.R. n. 1092 del 1973, ispirata ad un favor nei confronti del pensionato, delinea una casistica compiuta e chiusa dei casi nei quali il provvedimento pensionistico definitivo può essere annullato d'ufficio, dovendosi ritenere che, al di fuori di essa, non sia ammissibile alcuna altra forma di autotutela; secondo tale prospettiva la disciplina in esame è da considerare addirittura più favorevole rispetto a quella della pensionistica di guerra, in quanto, a differenza di quest'ultima, prevede termini precisi entro i quali la "revoca" della pensione può essere disposta.
La pronuncia delle Sezioni Riunite si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale che può dirsi consolidato: in una pluralità di fattispecie il giudice contabile, in ordine a questioni del tutto analoghe, ha statuito che “l'annullamento totale o parziale dei provvedimenti definitivi di quiescenza può ritenersi consentito all'Amministrazione soltanto nelle ipotesi ed alle condizioni espressamente previste dall' art. 203 del D.P.R. n. 1092 del 1973, rimanendo quindi preclusa tale possibilità in presenza di un errore di diritto” (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Sardegna, n. 51/2015; Sez. Giur. Reg. Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 129 del 20 giugno 2001; Sez. Giur. Reg. Sic., sent. n. 2149 del 19 novembre 2002) pur ammettendosi la possibilità, comunque, di modifiche migliorative del trattamento pensionistico, essendovi facoltà in tali casi per l'Amministrazione di emendare i provvedimenti dai precedenti errori, senza però ridurre il trattamento pensionistico in atto attribuito, con preclusione della ripetizione delle maggiori somme eventualmente percepite dal pensionato.
La stessa Corte Costituzionale ha inoltre espressamente escluso l'illegittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (Corte Costituzionale, sent. n. 91/1984) e, recentemente, è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 208 del 16 luglio 2014, sulla questione di illegittimità costituzionale dell'art. 204 cit., laddove tale norma non contempla tra le ipotesi di revoca l'errore di diritto, ribadendo il principio di tassatività che caratterizza le ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione e ritenendone la conformità a Costituzione della predetta disposizione.
Il Giudice delle Leggi ha posto in chiara evidenza come le diverse ragioni dell'amministrazione e del pensionato trovino equilibrato componimento nella normativa che disciplina la liquidazione della pensione, articolandola in una duplice fase, la prima di liquidazione provvisoria, la seconda di liquidazione definitiva.
Secondo la sentenza citata, tale duplice fase liquidatoria "risponde all'esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest'ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento" (Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
In sostanza, secondo la Corte costituzionale, la fase interinale costituisce un passaggio fisiologico e necessario nel percorso verso la liquidazione definitiva, poiché essa "suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall' art. 2 della L. n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l'adozione del decreto pensionistico definitivo - serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l'amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva"(Corte costituzionale, Sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
La Consulta individua quindi una differenziazione netta tra la fase che intercorre tra la liquidazione provvisoria e l’emissione del provvedimento di riconoscimento di pensione definitiva– nell’ambito della quale l'amministrazione conserva ampi margini di revoca o modifica del trattamento pensionistico qualora lo riconosca affetto da errori di qualsiasi genere- e la fase successiva alla liquidazione definitiva, in cui la situazione cambia radicalmente, individuandosi tassativamente i limiti e i termini di modificabilità del provvedimento dettati dalla normativa di settore.
A questo riguardo, la Corte costituzionale ha anche esaminato le diverse ipotesi previste dall'art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, richiamate dal giudice rimettente quale tertium comparationis con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; in tale contesto, nel valutare le ipotesi di revoca e/o modifica del provvedimento definitivo per errore di fatto e per errore di calcolo in rapporto all’errore di diritto, la Corte Costituzionale ha quindi precisato che le situazioni non sono comparabili poiché “mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma…” aggiungendo che, per quanto concerne l’errore di diritto, la sua percezione “… non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione” (Corte costituzionale, sent. n. 208 del 16 luglio 2014).
Poste tali premesse, occorre verificare la natura dell’errore che ha condotto l’Amministrazione a modificare il trattamento definitivo di cui al decreto n. 278/2009, in ordine al quale era peraltro già intervenuto il pronunciamento di questa stessa Sezione (sent. n. 231/2009) che, proprio a fronte dell’adozione del predetto atto, aveva dichiarato la parziale cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso illo tempore proposto dal signor B... Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente afferma che la modifica in pejus del proprio trattamento dovrebbe rientrare nella ipotesi di cui ai capi a) e b) dell’art. 204 del T.U. n. 1092/1973 “sia perché è stato causato dalla mancata considerazione di elementi già risultanti dagli atti (il decreto n. 278 del 26/5/2009 riportava espressamente il computo dell’anzianità al 31/12/1992 in 14 anni, 7 mesi e 2 giorni – cfr. pag. 1 doc. 5 tabella “serie dei servizi quota 2”) sia perché l’errore riguarda il calcolo e l’ammontare della pensione” (pag. 6 ricorso); secondo quanto precisato dalla difesa del ricorrente nel corso dell’udienza di discussione in data 28.1.2016 l’errore di cui trattasi potrebbe comunque qualificarsi come errore di diritto. In entrambe le ipotesi, secondo la tesi attorea, il decreto definitivo di pensione n. 278/2009 non sarebbe più stato modificabile, quantomeno per essere intervenuto oltre i termini di legge.
Orbene, nella vicenda in esame si osserva che la riliquidazione del trattamento pensionistico ordinario del ricorrente, avvenuta con il decreto n. 66 del 24 gennaio 2014 impugnato, appare determinata da una diversa interpretazione dell’art. 40 del d.p.r. n. 1092/1973 in relazione all’art. 59 c. 1 della l. n. 449/1997 con riferimento agli arrotondamenti di frazioni di anno ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva: nell’ambito della liquidazione della pensione ordinaria di cui al decreto n. 278 del 26 maggio 2009 l’anzianità contributiva pari a 14 anni, 7 mesi e 2 giorni al 31.12.1992 (già riconosciuta nel prospetto riepilogativo dei servizi utili al trattamento di quiescenza emesso il 11.3.2004 del Comando Regionale Carabinieri di Piemonte e Valle d’Aosta) era stata oggetto di arrotondamento a 15 anni (in forza della disposizione di cui al citato art. 40) mentre nel successivo decreto n. 66/2014 è prevalsa l’interpretazione secondo la quale tale arrotondamento non potesse più ritenersi ammesso, dovendo considerarsi la norma implicitamente abrogata anche con riguardo ai servizi svolti antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 59 L. n. 449/1997.
Per quanto emergente dagli atti di causa l'intervento si appalesa quindi mirato a eliminare un preteso errore di diritto che, secondo costante giurisprudenza, non può ritenersi rientrare tra i casi che consentono interventi modificativi del trattamento pensionistico definitivo.
Ciò in quanto, secondo quanto affermato recentemente dalla Corte Costituzionale, "L'esclusione della rilevanza dell'errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta - come detto - a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l'interesse antagonista del ripristino della legittimità dell'azione amministrativa" (Corte Cost. sent. n. 208/2014).
Pertanto, poiché i provvedimenti definitivi di pensione non possono essere modificati o revocati esclusivamente in relazione a profili di nuova interpretazione e riconsiderazione, sul piano strettamente giuridico, di elementi già desumibili e verificati nei precedenti provvedimenti deve escludersi che il decreto di liquidazione della pensione ordinaria n. 276/2009 potesse subire la modificazione in peius introdotta con il successivo decreto n. 66/2014.
Peraltro, anche qualora la modifica del trattamento definitivo volesse ascriversi, come inizialmente prospettato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’errore di fatto ovvero nel computo dei servizi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 204 d.p.r. n. 1092/1973, la rideterminazione di cui al decreto n. 66/2014 dovrebbe ritenersi comunque assunto in violazione dell’art. 205 del citato d.p.r. che prevede che "il provvedimento è revocato o modificato non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso".
Termine che dovrebbe ritenersi, a fortiori, superato anche sul rilievo che “i provvedimenti pensionistici, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.20/94 non rientrano più tra quelli sottoposti a controllo preventivo e, pertanto, a maggior ragione il termine triennale previsto dai citati artt.203 e seguenti del D.P.R. n.1092/1973 decorre dalla data della loro emanazione” (Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 150/2010; Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia n. 78/2015).
Il decreto di riliquidazione della pensione ordinaria (n. 66/2014) è stato adottato ben oltre il termine triennale previsto dalla norma su richiamata e, pertanto, anche sotto questo aspetto, l'intervento modificativo non avrebbe potuto essere adottato; risulta infatti che il Decreto definitivo di pensione n. 276 sia stato adottato in data 26 maggio 2009, registrato presso la Ragioneria Provinciale dello Stato de L’Aquila in data 1 settembre 2009 e presso la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo de L’Aquila, il 9 aprile 2010 (cfr. attestazione doc. 2 fascicolo amministrativo prodotto dall’INPS in data 16 ottobre 2015) mentre il decreto qui impugnato n. 66 risulta assunto in data 24.1.2014.
Atteso quanto sopra, ritenute assorbite le diverse censure prospettate da parte ricorrente, anche in forza del criterio della ragione più liquida (cfr. Cass., Sez. VI, n. 12002/2014), consegue che il signor B.. ha diritto ad aver ripristinato l'originario trattamento pensionistico ordinario disposto con Decreto n. 278 del 26.5.2009.
Sulle maggiori somme da corrispondere in relazione ai singoli ratei vanno riconosciuti interessi e rivalutazione secondo il criterio dell'assorbimento.
Va altresì restituita da parte dell’INPS al ricorrente la somma recuperata in seguito all’adozione della nota INPS- Direzione Provinciale di Cuneo del 22.12.2014, in applicazione del Decreto n. 66 del 24.1.2014 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri.
In considerazione della circostanza che, in ordine al predetto recupero, l'Amministrazione ha agito in carenza di potere perché in violazione del divieto di riforma del provvedimento di liquidazione definitivo oltre il termine triennale di cui all’art.205 d.p.r. n. 1092/1973 e, conseguentemente, la restituzione della somma non è dipesa da un indebito pensionistico, anche sulle somme restituite vanno corrisposti al ricorrente gli accessori di legge (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia, n. 521/2015).
Non può invece ritenersi correttamente proposta né, quindi, esaminata nel merito la domanda di rivalsa avanzata dall'INPS - Gestione ex INPDAP nei confronti del Ministero della Difesa- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, tesa alla rifusione della somma ritenuta irripetibile.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di affermare che, per il giudizio di rivalsa che l'Istituto intende promuovere nei confronti dell'Amministrazione, non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario con l'Amministrazione stessa, nell'ambito del giudizio sulla ripetibilità nei confronti del pensionato e che non sia, quindi, necessaria la contestualità, considerata l'autonomia delle due diverse pretese azionate e la conseguente autonomia dei relativi giudizi (ex plurimis Corte dei conti, Sez. Giur I d'Appello, sent. n. 459 del 20.3.2014, sent. n. 418 del 14.3.2014, sent. n. 340 del 28.2.2014).
E’ stato osservato, in proposito, che la domanda subordinata di rivalsa proposta dall'Ente previdenziale introduce una controversia diversa - sia per petitum, che per causa petendi - rispetto alla domanda di irripetibilità del pensionato, ben potendo la predetta domanda essere proposta anche in autonomo giudizio (ex plurimis Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d'Appello n. 764/2012, id. n. 766/2012; Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Veneto n. 42/2013, n. 47/2013).
E’ stato altresì rilevato che la trattazione congiunta alla domanda proposta dal ricorrente, della pretesa di rivalsa avanzata dall’INPS nei confronti del Ministero, ordinatore primario di spesa, espone a dilatare ingiustificatamente ed eccessivamente i tempi di durata e di definizione del processo da contenersi, invece, nei limiti del principio di ragionevolezza, presidiato da norma di rango costituzionale (art. 111, c. 2, Cost.) con conseguente rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio formulata dall'I.N.P.S nelle ipotesi in cui l’Amministrazione datrice di lavoro non sia stata contestualmente evocata in giudizio dallo stesso ricorrente.
Questa Sezione, sulla base di analoghe argomentazioni, ha escluso l’accoglibilità della predetta domanda anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ordinatrice primaria di spesa risultasse già evocata in giudizio dal ricorrente, contestualmente all’INPS (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014; id. n. 142/2014).
La Sezione ha avuto modo di affermare, in proposito, che la domanda, avanzata dall’I.N.P.S. in subordine, di condanna diretta dell’Amministrazione datrice di lavoro, debba ritenersi esulare dal giudizio incardinato dal ricorrente con diverso petitum, facendo rilevare in proposito che “… le attribuzioni di ordinatore principale e secondario di spesa costituiscono una mera ripartizione di competenza di apparati della pubblica amministrazione comunque costituenti nel loro complesso la figura di obbligato passivo (v. C. conti, sez. III, 4 luglio 2001, n. 175/A). Né ai fini del giudizio rileva l’eventuale responsabilità di chi ha concretamente operato, trattandosi soltanto di accertare in questa sede se sussiste o meno il diritto vantato dal ricorrente” (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, sent. n. 36/2014).
Si richiama, sul punto l’orientamento espresso dalle Sezioni Centrali d’appello (I^ Sez. Giur. Centr. App. n. 767/2012/A e n. 109/2013) in cui è ribadito “il carattere organizzatorio ed interno della questione relativa all’incidenza finale degli oneri derivanti da una pronuncia di irripetibilità dell’indebito e ciò per la struttura sostanzialmente unitaria dell’Amministrazione e l’estraneità ad un giudizio a tal fine incardinato, della domanda relativa all’individuazione del soggetto cui devono essere addossati da ultimo gli oneri economici risultanti dalla corresponsione delle somme risultate non dovute (e dichiarate, come nella specie, anche se solo in parte, irripetibili) (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 36/2014; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).
In relazione alla medesima domanda di rivalsa appare peraltro dirimente e preliminare ad ogni considerazione di merito il mancato rispetto delle norme circa l’instaurazione del contraddittorio (cfr. Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015; Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014).
Come evidenziato dalla giurisprudenza contabile in fattispecie analoghe, la pretesa avanzata in via subordinata dall’INPS “non può configurarsi come domanda riconvenzionale, posto che essa non è stata proposta nei confronti dell’attore del presente giudizio, ma nei confronti di altro soggetto convenuto dall’attore e senza le forme che garantiscono il rispetto del principio del contraddittorio” (cfr. Corte dei conti, Sez. Lazio, n. 331/2014; Corte dei conti, Sez. I App. n. 449/2015).
Anche volendo ammettersi, quindi, la proponibilità di una domanda trasversale di rivalsa nell’ambito del processo pensionistico avanti alla Corte dei conti, come formulata nel caso di specie dall’Istituto Previdenziale, reputa questo Giudice che la stessa dovrebbe comunque soggiacere all'onere di garantire la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti convenute nelle ipotesi che le stesse spieghino reciprocamente autonome domande (sugli aspetti processuali si fa rinvio alla sentenza di questa Sezione n. 29/2013 che richiama le pronunce delle SS.RR. della Corte dei conti, nn. 2/QM/2002 e 4/QM/2004).
Si rileva appena che la preclusione all’esame nel merito della domanda riconvenzionale nel presente processo non esclude la proponibilità della stessa nell’ambito di un autonomo giudizio.
Quanto alla regolamentazione delle spese, si osserva preliminarmente che risulta applicabile, ratione temporis, alla fattispecie, la modificazione dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 d.l. n. 132 in data 12.9.2014, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162. Tenuto conto dei richiamati recenti interventi giurisprudenziali sulla questione concernente la “revoca”, per errore, della pensione definitiva si reputano sussistenti i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione, deduzione
ACCOGLIE
il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, dichiara il diritto del signor B.. Antonio a vedere ripristinato il trattamento pensionistico disposto con decreto n. 278 del 26 maggio 2009 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nonché all’integrale restituzione al medesimo delle somme indebitamente trattenute in forza della nota INPS- Direzione Provinciale di cuneo in data 22.12.2014 ed alla corresponsione, su quanto dovuto in esecuzione della presente sentenza, della maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, c.3 c.p.c., tenuto conto dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte dei conti, n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 429 c.p.c. fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione
Così deciso in Torino il 28 gennaio 2016.
Il GIUDICE
(F.to dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta)
Depositata in Segreteria il 29 Febbraio 2016
Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Ricorso Accolto presso la Corte dei Conti.
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1) - Menomale che il collega CC. si è rivolto alla Corte dei Conti per la P.P.O. anche se, il TAR Sicilia sede di Palermo con la sentenza n.2933/15 ha respinto il suo ricorso per il riconoscimento dell’equo indennizzo.
2) - Inoltre, il Ministero della Difesa, nel merito ha chiesto alla Corte dei Conti il rigetto del ricorso vista il parere negativo del Comitato di verifica e stante l’accertamento definitivo stante l’art.12 del DPR 461/2001.
3) - Ma la Corte dei Conti nella propria competenza e autonomia in materia, ha ritenuto allo scopo di dissipare qualunque dubbio richiedere alla Commissione Medico Legale presso quella sezione giurisdizionale, un parere per accertare, anche alla luce della documentazione acquisita agli atti, nel rispetto del contraddittorio tecnico e della comparazione documentale, la sussistenza o meno di una condizione di causalità tra il servizio, e se essa sia ascrivibile alla relativa categoria di pensione privilegiata richiesta.
La Corte dei Conti conclude:
4) - Nel merito il ricorso è fondato sulla base del parere della Commissione medico legale presso questa sezione giurisdizionale, la quale ha confermato la presenza delle patologie di disturbo dell’adattamento cronico e ipertensione arteriosa, presenti alla data del congedo e ritenendole presupposti per il riconoscimento della pensione privilegiata per causa di servizio, ascrivendole complessivamente alla tab. A cat. VIII a vita.
N.B.: per completezza leggete il tutto qui sotto poichè interessante.
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SICILIA SENTENZA 144 06/03/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA SENTENZA 144 2017 PENSIONI 06/03/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME del POPOLO ITALIANO
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Il Giudice Unico delle Pensioni
dott. Giuseppe Grasso
ha pronunciato la seguente
Sentenza N. 144/2017
sul ricorso iscritto al n.59234, depositato il 29/6/2011 del registro di segreteria proposto ad istanza di G. S. rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Spanò, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bronte (CT) via Cavallotti n.20.
nei confronti del Comando generale dei carabinieri , Mistero della difesa.
Visto l'atto introduttivo del giudizio, depositato presso la segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana il 29/6/2011.
Udito nella pubblica udienza del 7/11/2016 l’avv. Spanò per il ricorrente .
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
FATTO
Con il ricorso in esame il signor G.S. già carabiniere, chiede il riconoscimento della pensione privilegiata da dipendenza da causa di servizio dovuta alla patologia di cardiopatia ipertensiva.
Il ricorrente pertanto, ha chiesto in conseguenza che gli sia riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
Si è costituito il Ministero della difesa il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso vista la sentenza del TAR Sicilia PA n.2933/15, passata in giudicato che ha respinto il ricorso dell’odierno ricorrente per il riconoscimento dell’equo indennizzo e nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso vista il parere negativo del Comitato di verifica e stante l’accertamento definitivo stante l’art.12 del DPR 461/2001.
Questo giudice ha ritenuto allo scopo di dissipare qualunque dubbio richiedere alla Commissione Medico Legale presso questa sezione giurisdizionale, un parere per accertare, anche alla luce della documentazione acquisita agli atti, nel rispetto del contraddittorio tecnico e della comparazione documentale, la sussistenza o meno di una condizione di causalità tra il servizio, e se essa sia ascrivibile alla relativa categoria di pensione privilegiata richiesta.
DIRITTO
Il ricorso del signor G. S. deve ritenersi fondato.
Preliminarmente, deve ritenersi ammissibile il ricorso, vista la non rilevanza del giudicato del giudice amministrativo sulla richiesta di riconoscimento di equo indennizzo in questo processo, stante la non rilevanza dell’art.12 del DPR 461/2001, poiché, norma regolamentare, che si pone in contrasto diretto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, negando in concreto la giurisdizione del giudice contabile in materia pensionistica pubblica ad egli attribuita sulla base dell’art.103 comma 2 Cost. difatti il diritto del ricorrente al giudice delle pensioni sulla base di un previo accertamento sull’equo indennizzo, non può essere negato come diritto alla giurisdizione sancito costituzionalmente e tanto meno può essere affermato da una normativa di rango secondario che va disapplicata ai sensi degli art.4 e 5 della legge 2248/1865 all. E, pertanto il ricorso deve ritenersi ammissibile.
Nel merito il ricorso è fondato sulla base del parere della Commissione medico legale presso questa sezione giurisdizionale, la quale ha confermato la presenza delle patologie di disturbo dell’adattamento cronico e ipertensione arteriosa, presenti alla data del congedo e ritenendole presupposti per il riconoscimento della pensione privilegiata per causa di servizio, ascrivendole complessivamente alla tab. A cat. VIII a vita.
Pertanto il ricorso deve essere accolto nei suddetti termini.
P. Q. M.
La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - Il Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso del signor G.S. nei termini di cui in motivazione.
Si ritiene giusta la compensazione delle spese.
Così deciso in Palermo, nella Camera di Consiglio del 7 novembre 2016.
IL GIUDICE UNICO
F.to dott. Giuseppe Grasso
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 27 febbraio 2017
Pubblicata il 6 marzo 2017
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
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1) - Menomale che il collega CC. si è rivolto alla Corte dei Conti per la P.P.O. anche se, il TAR Sicilia sede di Palermo con la sentenza n.2933/15 ha respinto il suo ricorso per il riconoscimento dell’equo indennizzo.
2) - Inoltre, il Ministero della Difesa, nel merito ha chiesto alla Corte dei Conti il rigetto del ricorso vista il parere negativo del Comitato di verifica e stante l’accertamento definitivo stante l’art.12 del DPR 461/2001.
3) - Ma la Corte dei Conti nella propria competenza e autonomia in materia, ha ritenuto allo scopo di dissipare qualunque dubbio richiedere alla Commissione Medico Legale presso quella sezione giurisdizionale, un parere per accertare, anche alla luce della documentazione acquisita agli atti, nel rispetto del contraddittorio tecnico e della comparazione documentale, la sussistenza o meno di una condizione di causalità tra il servizio, e se essa sia ascrivibile alla relativa categoria di pensione privilegiata richiesta.
La Corte dei Conti conclude:
4) - Nel merito il ricorso è fondato sulla base del parere della Commissione medico legale presso questa sezione giurisdizionale, la quale ha confermato la presenza delle patologie di disturbo dell’adattamento cronico e ipertensione arteriosa, presenti alla data del congedo e ritenendole presupposti per il riconoscimento della pensione privilegiata per causa di servizio, ascrivendole complessivamente alla tab. A cat. VIII a vita.
N.B.: per completezza leggete il tutto qui sotto poichè interessante.
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SICILIA SENTENZA 144 06/03/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA SENTENZA 144 2017 PENSIONI 06/03/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME del POPOLO ITALIANO
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Il Giudice Unico delle Pensioni
dott. Giuseppe Grasso
ha pronunciato la seguente
Sentenza N. 144/2017
sul ricorso iscritto al n.59234, depositato il 29/6/2011 del registro di segreteria proposto ad istanza di G. S. rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Spanò, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bronte (CT) via Cavallotti n.20.
nei confronti del Comando generale dei carabinieri , Mistero della difesa.
Visto l'atto introduttivo del giudizio, depositato presso la segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana il 29/6/2011.
Udito nella pubblica udienza del 7/11/2016 l’avv. Spanò per il ricorrente .
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
FATTO
Con il ricorso in esame il signor G.S. già carabiniere, chiede il riconoscimento della pensione privilegiata da dipendenza da causa di servizio dovuta alla patologia di cardiopatia ipertensiva.
Il ricorrente pertanto, ha chiesto in conseguenza che gli sia riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
Si è costituito il Ministero della difesa il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso vista la sentenza del TAR Sicilia PA n.2933/15, passata in giudicato che ha respinto il ricorso dell’odierno ricorrente per il riconoscimento dell’equo indennizzo e nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso vista il parere negativo del Comitato di verifica e stante l’accertamento definitivo stante l’art.12 del DPR 461/2001.
Questo giudice ha ritenuto allo scopo di dissipare qualunque dubbio richiedere alla Commissione Medico Legale presso questa sezione giurisdizionale, un parere per accertare, anche alla luce della documentazione acquisita agli atti, nel rispetto del contraddittorio tecnico e della comparazione documentale, la sussistenza o meno di una condizione di causalità tra il servizio, e se essa sia ascrivibile alla relativa categoria di pensione privilegiata richiesta.
DIRITTO
Il ricorso del signor G. S. deve ritenersi fondato.
Preliminarmente, deve ritenersi ammissibile il ricorso, vista la non rilevanza del giudicato del giudice amministrativo sulla richiesta di riconoscimento di equo indennizzo in questo processo, stante la non rilevanza dell’art.12 del DPR 461/2001, poiché, norma regolamentare, che si pone in contrasto diretto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, negando in concreto la giurisdizione del giudice contabile in materia pensionistica pubblica ad egli attribuita sulla base dell’art.103 comma 2 Cost. difatti il diritto del ricorrente al giudice delle pensioni sulla base di un previo accertamento sull’equo indennizzo, non può essere negato come diritto alla giurisdizione sancito costituzionalmente e tanto meno può essere affermato da una normativa di rango secondario che va disapplicata ai sensi degli art.4 e 5 della legge 2248/1865 all. E, pertanto il ricorso deve ritenersi ammissibile.
Nel merito il ricorso è fondato sulla base del parere della Commissione medico legale presso questa sezione giurisdizionale, la quale ha confermato la presenza delle patologie di disturbo dell’adattamento cronico e ipertensione arteriosa, presenti alla data del congedo e ritenendole presupposti per il riconoscimento della pensione privilegiata per causa di servizio, ascrivendole complessivamente alla tab. A cat. VIII a vita.
Pertanto il ricorso deve essere accolto nei suddetti termini.
P. Q. M.
La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - Il Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso del signor G.S. nei termini di cui in motivazione.
Si ritiene giusta la compensazione delle spese.
Così deciso in Palermo, nella Camera di Consiglio del 7 novembre 2016.
IL GIUDICE UNICO
F.to dott. Giuseppe Grasso
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 27 febbraio 2017
Pubblicata il 6 marzo 2017
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Messaggio da dib0231 »
Pubblico il sito dove si può leggere di una altra sentenza favorevole per quel che concerne l'art. 3 comma 7. Questa volta è la Corte dei Conti del Molise.
https://www.nonsolomarescialli.it/corte ... -servizio/" onclick="window.open(this.href);return false;
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Messaggio da JESSICA1995 »
Non riesco a darmi una risposta al fatto che una legge chiarissima debba essere arbitrariamente interpretata a sfavore dell'avente diritto il quale per far valere le proprie ragioni debba fare ricorso al Giudice.
L'Inps ne prenda atto e aggiorni tutte le pensioni dei militari che ne hanno diritto applicando il moltiplicatore.
L'Inps ne prenda atto e aggiorni tutte le pensioni dei militari che ne hanno diritto applicando il moltiplicatore.
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Bella sentenze della Corte dei Conti a Sezioni Riunite, infatti affermano:
1) - Così rimeditata la questione di massima sottoposta a queste Sezioni riunite, a modifica di quanto affermato con la citata sentenza n. 11/QM/2015, va enunciato il seguente principio di diritto:
- ) - “Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
- ) - Va da sé che, per le trattenute che l’amministrazione abbia continuato ad operare successivamente alla domanda (amministrativa o giudiziale), gli interessi legali spettano dalla data di ciascuna di esse.
N.B.:leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONI RIUNITE SENTENZA 33 12/10/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SEZIONI RIUNITE SENTENZA 33 2017 PENSIONI 12/10/2017
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Sentenza n. 33/2017/MD
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE
IN SEDE GIURISDIZIONALE
composta dai signori magistrati:
Alberto AVOLI Presidente
Antonio CIARAMELLA Consigliere
Pina Maria Adriana LA CAVA Consigliere
Maria Elisabetta LOCCI Consigliere
Giuseppina MAIO Consigliere
Francesca PADULA Consigliere
Gerardo de MARCO Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per riproposizione di questione di massima ex art. 117 cod. giust. cont., iscritto nel registro di segreteria al n. 544/SR/MD di queste Sezioni riunite
rimesso
dalla Sezione seconda giurisdizionale centrale di appello con sentenza-ordinanza n. 24 del 19 gennaio 2017, sull’appello già iscritto al n. 39920 del registro di segreteria della Sezione remittente,
proposto da
INPDAP – Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (c.f. 97095380586), ente confluito ex lege, nelle more del giudizio, in I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (c.f. 80078750587) ai sensi dell’art. 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Caliulo (CLL LGU 54B09 H703F), Edoardo Urso (RSU DRD 61L27 H501L) e Filippo Mangiapane (MNG FPP 64T25 F158Q) della propria Avvocatura Centrale;
contro
Adriano ZOCCOLO (Omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. Diego Modesti (MDS DGI 66H09 L144M)
per l’annullamento
della sentenza in materia pensionistica della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010.
Uditi alla pubblica udienza del 14 giugno 2017 il consigliere relatore Gerardo de Marco, l’avv. Luigi Caliulo per l’INPS ed il pubblico Ministero nella persona del vice Procuratore generale Antongiulio Martina.
F A T T O
1. Con sentenza n. 119 del 2010 la Sezione friulana accolse parzialmente il ricorso del signor Zoccolo, dichiarando la parziale irripetibilità dell’indebito pensionistico discendente dal conguaglio tra la liquidazione provvisoria e quella definitiva della pensione e disponendo che le somme nel frattempo trattenute dall’INPDAP (oggi INPS), per il recupero dell’indebito dichiarato irripetibile, fossero restituite al pensionato con maggiorazione degli interessi legali “da calcolarsi dalla notifica della domanda giudiziale per quel che concerne le somme recuperate antecedentemente a tale data, e dalle singole ritenute mensili per quelle recuperate successivamente”. Il Giudice di primo grado condannò, inoltre, l’INPDAP al pagamento delle spese di lite liquidate “nella somma complessiva di euro 1.200,00 oltre spese generali, C.P.A. ed I.V.A.”.
2. L’INPDAP (oggi INPS) interponeva appello contestando tanto la declaratoria di irripetibilità dell’indebito, quanto il riconoscimento degli interessi legali sulle somme da restituire al pensionato, nonché la condanna alle spese.
Resisteva il pensionato con memoria di costituzione, concludendo in via principale per la reiezione dell’appello o, in via subordinata, per la declaratoria di prescrizione parziale dell’indebito pensionistico formatosi e per l’irripetibilità di un quarto delle somme percepite prima del 1 gennaio 1996 (ex art. 1, comma 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
3. Con sentenza-ordinanza n. 24 del 19 gennaio 2017 la seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello, nel giudicare dell’impugnazione, respingeva il primo motivo di appello, confermando la sentenza di primo grado in punto di declaratoria dell’irripetibilità dell’indebito; ciò alla luce dei principi enunciati da queste Sezioni riunite con sentenza n. 2/QM/2012 del 2 luglio 2012.
Confermava, inoltre, la condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, compensandole invece per il giudizio d’appello.
4. Quanto, invece, all’altro motivo d’appello, concernente la richiesta di restituire le somme al pensionato senza maggiorazione di interessi legali, le Sezione remittente riteneva di essere chiamata a fare applicazione del principio di diritto già enunciato da queste Sezioni riunite con sentenza n. 11/2015/QM del 24 marzo 2015, secondo cui “in caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria”.
Quest’ultimo principio, in particolare, era stato affermato sulla base dei seguenti argomenti:
- “non si verte in ipotesi di omessa o tardiva erogazione di un credito pensionistico bensì si discute del recupero erariale di somme non dovute ma, comunque, percepite in buona fede e che, per inciso, spettano solo in virtù di una riconosciuta irripetibilità decretata dal Giudice”;
- “nella fattispecie manca una originaria obbligazione a carico della Amministrazione in quanto non esiste un effettivo credito previdenziale bensì solo un correttivo ‘ex lege’ alla doverosa azione di recupero erariale, correttivo introdotto da una specifica normativa di settore”, trattandosi “ovviamente della tutela della situazione giuridica di legittimo affidamento”;
- sussiste l’autonomia del “sottosistema pensionistico globalmente inteso”;
- “la disciplina del terzo comma dell’art. 429 c.p.c. (riconoscimento delle somme aggiuntive sui crediti di lavoro)”, applicabile al giudizio pensionistico in virtù del richiamo di cui all’art. 5 della legge 21 aprile 2000, n. 205, “opera solo a tutela dei crediti previdenziali ‘oggettivamente’ spettanti, situazione del tutto dissimile dal diritto alla restituzione di somme pensionistiche solo ‘soggettivamente’ spettanti in virtù di una (giudizialmente) riscontrata tutela dell’affidamento del percipiente”;
- “si tratta di somme indebitamente erogate e percepite, non legate ad un diritto soggettivo, non dipendenti da una preesistente obbligazione pecuniaria, non aventi natura previdenziale e/o pensionistica, somme cui non può accedere alcun importo risarcitorio indipendentemente o meno dalla relativa espressa richiesta”.
5. Il Collegio giudicante remittente ha ritenuto di non condividere il richiamato principio di diritto ed ha, quindi, rimesso a queste Sezioni riunite la decisione dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 117 del codice della giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174.
In particolare, la “riproposizione della questione” discende da un “motivato dissenso” così argomentato:
- “la richiesta di restituzione di un determinato importo pensionistico, a suo tempo percepito in buona fede e pertanto indebitamente recuperato dall’Amministrazione, ha per oggetto un debito di valuta”;
- l’art. 1224, comma 1, c.c. e l’art. 1219, comma 1, c.c. stabiliscono, rispettivamente, che “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali” e che “il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto”;
- l’art. 1284 c.c. precisa che gli “interessi legali” decorrono “dal momento in cui è proposta domanda giudiziale”;
- “un noto e fondamentale principio di civiltà giuridica esige che la necessità e la durata del processo non si risolvano a danno della parte che ‘ha ragione’, la quale, esemplificando, non può ricevere alla fine del processo sempre lo stesso importo, se il processo è durato sei mesi e se è durato sei anni”;
- “un altrettanto noto e fondamentale principio generale, connesso al precedente”, comporta che “tutte le pronunce giudiziali retroagiscono normalmente al momento della domanda (ex aliis: Cass. n. 10600/2005, n. 147/1994, n. 6322/1983)”.
Ritiene, conclusivamente, la Sezione remittente che la negazione degli interessi legali dal giorno della domanda giudiziale sulle somme da restituire al pensionato costituisca una violazione del principio di pronuncia secondo diritto di cui all’art. 113 c.p.c. (oggi art. 95, comma 1, cod. giust. cont.), peraltro neppure potendosi considerare “equo”, ad esempio, riconoscere l’identico bene giuridico a chi ottiene la restituzione di quanto gli è stato indebitamente recuperato senza dover ricorrere a un giudizio, a chi la ottiene dopo un celere giudizio in un unico grado, a chi infine la ottiene dopo un lungo giudizio in più gradi.
Di qui la riproposizione della questione e la remissione a queste Sezioni riunite della decisione dell’impugnazione.
6. Con memoria del 30 maggio 2017, l’INPS, appellante, si è costituito (anche) dinanzi a queste Sezioni riunite, eccependo anzi tutto l’inammissibilità della riproposizione della questione.
In particolare, si osserva che le Sezioni riunite, con la citata sentenza n. 11/2015/QM, hanno già esaminato gli stessi argomenti oggi portati a sostegno del “motivato dissenso”; segnatamente, le Sezioni riunite avevano espressamente richiamato, tra i precedenti giurisprudenziali in contrasto, anche la sentenza n. 602 del 2013, pronunciata dalla stessa seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello, contenente le stesse ragioni di diritto oggi riproposte. Ne discenderebbe che “la mera riproposizione delle questioni già esaminate dalle Sezioni riunite, senza peraltro il corredo di una significativa critica alla diversa soluzione valorizzata nella sentenza del 2015, rende l’iniziativa assunta inammissibile”.
Osserva l’INPS che “in realtà detti importi dovrebbero essere recuperati dall’ente in omaggio al principio generale secondo cui chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere quanto indebitamente erogato per effetto dell’azione erariale sulla cui doverosità ha posto l’accento anche la sentenza n. 2/2012/QM delle stesse SS.RR. L’azione di recupero viene inibita solo a seguito del riconoscimento giudiziale dell’affidamento dell’assicurato maturato per il decorso del tempo e nella ricorrenza di una serie di circostanze elaborate dalla giurisprudenza contabile, che la stessa Corte deve volta per volta valutare”.
Inoltre, il ragionamento svolto nell’ordinanza di riproposizione della questione, nella parte in cui esclude la ricorrenza di un credito previdenziale del pensionato e di un’obbligazione a carico dell’amministrazione, sembra all’INPS non conciliarsi con le successive argomentazioni e, in particolare, con il richiamo agli artt. 1224 e 1219 c.c. che, al contrario, presuppongono la sussistenza di un’obbligazione.
L’INPS ha quindi concluso per la declaratoria di inammissibilità della riproposizione della questione o, comunque, per la conferma del principio di diritto già affermato con la sentenza n. 11/2015/QM, citata.
7. Con memoria del 1 giugno 2017 la Procura generale ha svolto le proprie considerazioni ed ha rassegnato le proprie conclusioni.
7.1. Preliminarmente, la Procura generale ha dedotto l’inammissibilità della riproposizione della questione.
Ciò discenderebbe dalla inapplicabilità dell’art. 117 del codice della giustizia contabile ai giudizi pensionistici, trattandosi di norma inserita nel capo I del Titolo IV della parte II (“giudizi di responsabilità”), non richiamata dalle disposizioni sul giudizio pensionistico.
Il corretto riferimento normativo sarebbe quindi, per i giudizi pensionistici, l’art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19), non espressamente abrogato dal codice, che secondo l’insegnamento delle Sezioni riunite medesime (cfr. sent. 7/QM/2010) impedirebbe che la decisione di un motivo d’appello possa essere rimessa alle Sezioni riunite.
Ma anche a voler ritenere che il citato art. 117 sia applicabile all’appello in materia pensionistica, osserva la Procura generale che il motivato dissenso ex art. 117 potrebbe esercitarsi solo laddove il giudice d’appello “debba fare applicazione” di un principio di diritto per lui vincolante, in quanto già pronunciato su un previo motivato dissenso espresso dal medesimo giudice ex art. 42, secondo comma, ultima parte, della legge 18 giugno 2009, n. 69. L’ulteriore motivato dissenso di cui all’art. 117 del codice presupporrebbe, cioè, che il giudice d’appello abbia già precedentemente riproposto alle Sezioni riunite una questione di massima, nel corso dello stesso giudizio, ma che non intenda uniformarsi, quale giudice a quo, al principio di diritto confermato dalle Sezioni riunite, spogliandosi perciò della decisione della causa per investirne direttamente le Sezioni riunite medesime.
7.2. La questione sarebbe, comunque, inammissibile anche sotto un secondo profilo, stante la necessità che la rimessione della decisione dell’impugnazione sia totale, non potendo essere invece parziale (arg. ex art. 142 disp. att. c.p.c., richiamato dall’art. 25 disp. att. c.g.c.), come nel caso di specie (in cui la Sezione remittente ha trattenuto la decisione di un motivo d’appello per rimettere la decisione del solo secondo motivo).
Peraltro, la rimessione dell’impugnazione ex art. 117 c.g.c. andrebbe riqualificata, nella fattispecie, alla stregua di una rimessione ex art 42, comma 2, della citata legge n. 69 del 2009 o, comunque, quale “ordinario deferimento di questione di massima”, sicché gli atti andrebbero restituiti alla Sezione remittente “previo riesame, se del caso, alla luce delle argomentazioni addotte dalla Sezione centrale rimettente, del principio di diritto già enunciato”.
7.3. Ciò posto, ad avviso della Procura generale, la sentenza-ordinanza di rimessione, ancorché non valida quale “riproposizione di questione in caso di motivato dissenso” (ex art. 117 c.g.c.), proporrebbe comunque una “nuova, articolata interpretazione delle disposizioni normative già oggetto del vaglio delle Sezioni riunite, tali da poter, in astratto, indurre le Sezioni riunite (stesse) ad una rimeditazione della questione già decisa” (cfr. SS.RR., n. 6/QM/2010).
7.4. Venendo quindi ad affrontare la questione di massima riproposta, la Procura generale non condivide né le conclusioni cui è pervenuta la citata sentenza n. 11/2015/QM, né quelle prospettate nell’ordinanza di rimessione qui in discussione.
In particolare, il ragionamento del pubblico Ministero poggia sui seguenti fondamenti:
- l’irripetibilità deriva dalla legge, limitandosi il giudice ad accertarla;
- l’originaria natura indebita delle somme a suo tempo corrisposte al pensionato costituisce un “antefatto” privo di qualsiasi rilievo sulla questione che ne occupa;
- l’ordinamento non consente, infatti, il recupero da parte dell’ente previdenziale delle somme a suo tempo indebitamente corrisposte al pensionato;
- le trattenute effettuate da parte dell’ente previdenziale sulla pensione dell’interessato, per recuperare somme irripetibili, sono da considerare prive di titolo e si risolvono in un inadempimento parziale dell’obbligazione di corrispondere la pensione dovuta;
- in definitiva, la pronuncia che accerti che, per effetto dell’irripetibilità delle somme in precedenza erogate al pensionato, l’ente previdenziale non aveva titolo a recuperare le suddette somme con trattenute sulla pensione , si risolve, senza residui, nell’accertamento dell’inadempimento dell’ente previdenziale dell’obbligo di corrispondere i successivi ratei di pensione nella misura dovuta; accertamento cui non può non seguire la condanna dell’ente stesso, oltre che alla restituzione delle somme indebitamente trattenute (rectius: alla corresponsione dei maggiori importi dovuti a titolo di pensione che, in dipendenza del parziale inadempimento, non erano stati erogati a tempo debito), a corrispondere sulle stesse i relativi accessori ex art. 429 c.p.c. (cfr. SS.RR., sent. 10/2002/QM);
- alla declaratoria giudiziale dell’irripetibilità dell’indebito non può, infatti, essere attribuita efficacia costitutiva, ma deve attribuirsi efficacia meramente dichiarativa, non ricadendosi nei casi di cui all’art. 2908 c.c. e non essendo subordinata detta irripetibilità ad alcun accertamento giurisdizionale;
- deve escludersi che, in fattispecie, il giudice possa pronunciarsi secondo equità, dovendo invece decidere secondo diritto.
Tutto ciò premesso e considerato, la Procura generale osserva di non dover concludere nel merito dell’impugnazione, non configurandosi un interesse generale in relazione ad essa, ma di doversi limitare a prendere posizione sulla sola affermazione del principio di diritto; conclude quindi: 1) per l’inammissibilità della rimessione della decisione dell’impugnazione; 2) per il riesame e la modifica, nei termini dinanzi esposti, del principio di diritto già enunciato dalla citata sentenza n. 11/2015/QM.
8. Il signor Zoccolo, appellato, già costituito nel giudizio di appello dinanzi alla Sezione remittente, non ha presentato memorie dinanzi a queste Sezioni riunite.
9. All’udienza pubblica del 14 giugno 2017, udito il consigliere relatore, non comparso il difensore del pensionato, sono intervenuti l’Avv. Luigi Caliulo per l’INPS e il pubblico Ministero in persona del vice Procuratore generale Antongiulio Martina, come da verbale. Esaurita la discussione orale, la causa è stata trattenuta in camera di consiglio per la decisione.
D I R I T T O
I. In via preliminare, con riferimento alle conclusioni rassegnate dalla Procura generale, va affermata l’applicabilità dell’art. 117 del codice della giustizia contabile anche agli appelli in materia pensionistica, indipendentemente dalla collocazione del Titolo IV (giudizi innanzi le Sezioni riunite) nell’ambito della Parte II (giudizi di responsabilità) del codice. Si tratta di norme che trascendono l’ambito del solo giudizio di responsabilità e, nel combinato disposto con l’art. 11 dello stesso codice, sono suscettibili di applicazione a tutti i giudizi attribuiti alla cognizione delle Sezioni riunite medesime nelle materie sottoposte alla giurisdizione contabile.
Né residuano spazi per la, pur prospettata, ultravigenza dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19), come novellato dall’art. 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69: sebbene manchi una abrogazione espressa, non v’è dubbio che le nuove disposizioni codicistiche abbiano regolato, per quanto qui interessa, l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore (cfr. art. 20, comma 2, lettera n, della legge delega 7 agosto 2015, n. 124), comportandone l’abrogazione tacita ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (cfr. art. 20, comma 3, lettera b della legge delega stessa).
II. Viene ora in rilievo l’ulteriore profilo di inammissibilità, sollevato dalla Procura generale, incentrato sulla circostanza che la Sezione remittente ha già deciso il primo motivo d’appello, con sentenza parziale, rimettendo alle Sezioni riunite la decisione del solo secondo motivo d’appello; ciò comporterebbe la violazione del principio di devoluzione dell’impugnazione nella sua interezza, principio che il pubblico Ministero desume anche dall’art. 142 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, applicabile in forza del rinvio di cui all’art. 25 delle norme di attuazione del codice della giustizia contabile.
Al riguardo, si osserva che la scelta del giudice remittente di decidere subito il primo motivo d’appello (sulla irripetibilità dell’indebito) e di rimettere alle Sezioni riunite la decisione dell’impugnazione con riguardo al consequenziale secondo motivo (sulla spettanza o meno di accessori sulle somme da restituire al pensionato) è ragionevole e conforme al disposto dell’art. 117 del codice, nella parte in cui impone la rimessione della decisione alla “sezione giurisdizionale di appello che ritenga di non condividere un principio di diritto di cui debba fare applicazione, già enunciato dalle Sezioni riunite”.
L’inciso “di cui debba fare applicazione” riveste un duplice significato: sotto il profilo precettivo, esso rafforza la cogenza dei principi di diritto enunciati in sede nomofilattica, configurandone l’applicazione in termini di “dovere” per i giudici d’appello; sotto il profilo procedurale, concorre a definire il presupposto della rimessione, circoscrivendo i casi di “riproposizione di questione” per “motivato dissenso” ai soli principi di diritto che nel giudizio a quo assumono una rilevanza effettiva, concreta ed attuale, non solo astratta ed eventuale.
Nella fattispecie all’esame, è evidente che la doverosa applicazione del principio di diritto enunciato con la citata sentenza n. 11/QM/2015 (non condiviso dalla Sezione remittente), agli effetti del citato art. 117 del codice, viene in questione solo in conseguenza della decisione del primo motivo; pertanto, fino a che il primo motivo non fosse stato definito nel senso della declaratoria di irripetibilità dell’indebito pensionistico, non poteva configurarsi il presupposto del “dover fare applicazione”, da parte del giudice, del consequenziale principio di diritto in tema di corresponsione degli accessori sulle somme oggetto di restituzione al pensionato.
III. Quanto alla inammissibilità della riproposizione di questione per mancanza di motivi nuovi, eccepita dall’INPS, giova anzi tutto precisare che l’art. 117 del codice della giustizia contabile impone che il “dissenso” sia “motivato”. La norma non richiede, quindi, che sussistano necessariamente motivi nuovi da esaminare, essendo piuttosto sufficiente che il giudice remittente renda esplicite le ragioni per le quali “ritenga di non condividere” il principio di diritto già enunciato dalle Sezioni riunite, adeguatamente illustrando le argomentazioni che a suo avviso legittimano la richiesta di riesame del principio stesso; in linea di principio, non è esclusa la riproposizione di motivi già esaminati in precedenza, purché essi siano proposti secondo una diversa prospettazione o un migliore sviluppo argomentativo, anche solo esplicitando con maggior efficacia alcuni passaggi logico-giuridici, ritenuti non sufficientemente valorizzati; ciò che resta esclusa è invece la mera reiterazione, tal quali, degli stessi argomenti già precedentemente vagliati, al solo fine di spogliarsi della decisione della causa disponendo una mera traslazione del giudizio verso le Sezioni riunite (in tema, si vedano le sentenze nn. 6/QM/2010, 7/QM/2010, 8/QM/2010, 9/QM/2010, 2/QM/2011, 3/QM/2011, 4/QM/2011, 5/QM/2011).
In quest’ottica, “spetta al prudente apprezzamento delle Sezioni riunite la delibazione, in via preliminare, circa la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione, nel caso concreto, onde garantire un ‘filtro’ all’accesso alla funzione nomofilattica che bilanci detto accesso con la contrapposta esigenza, parimenti meritevole di considerazione, di ricercare ed affinare le migliori soluzioni in diritto attraverso i fisiologici meccanismi dell’elaborazione giurisprudenziale” (SS.RR., sent. 19/QM/2016): segnatamente, essendo confermato nell’art. 117 del codice il peculiare vincolo “conformativo” dei principi di diritto enunciati su questioni di massima (vincolo già introdotto nel citato articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993, ad opera della legge n. 69 del 2009), la possibilità di “motivata riproposizione” (distinta dalla “mera reiterazione”) della questione costituisce un irrinunciabile contrappeso dell’ordinamento rispetto al dovere di “dare applicazione” ai principi di diritto enunciati in sede nomofilattica. Intanto può sussistere un dovere di conformazione ad un principio in quanto sia reso possibile, per i giudici chiamati a darvi applicazione, motivare il proprio dissenso per sottoporre allo stesso organo di nomofilachia il riesame della questione.
Venendo alla fattispecie concreta in giudizio, è vero che i motivi contenuti nell’odierna ordinanza di remissione erano già presenti, in nuce, nella giurisprudenza a suo tempo esaminata da queste Sezioni riunite; ma è parimenti vero che su quei motivi, all’epoca affrontati per la gran parte solo implicitamente e con fugaci richiami per relationem, è possibile oggi focalizzare maggiormente l’attenzione, alla luce del puntuale ragionamento logico-giuridico prospettato per esteso nell’ordinanza di remissione (a seguito della quale la stessa Sezione remittente ha rinviato la decisione di tutte le impugnazioni della specie: per tutte, v. sentenza-ordinanza n. 213 dell’11 aprile 2017). In tal senso si è espressa anche la Procura generale, ad avviso della quale la sentenza-ordinanza di rimessione propone una ammissibile “nuova, articolata interpretazione delle disposizioni normative già oggetto del vaglio delle Sezioni riunite, tali da poter, in astratto, indurre le Sezioni riunite (stesse) ad una rimeditazione della questione già decisa” (cfr. SS.RR., n. 6/QM/2010 e successive conformi).
La riproposizione della questione, frutto di un dissenso adeguatamente motivato, è quindi ammissibile.
IV. Passando ora ad affrontare il punto di diritto che forma l’oggetto specifico del motivato dissenso, è bene preliminarmente precisare che la fattispecie dedotta in giudizio riguarda l’ipotesi in cui il giudice accerti o dichiari, in virtù del principio di affidamento di cui alla nota sentenza n. 2/QM/2012, cit., l’irripetibilità dell’indebito pensionistico scaturente da conguaglio tra la liquidazione provvisoria e quella definitiva della pensione, disponendo la restituzione al pensionato delle somme medio tempore recuperate dall’ente previdenziale con trattenute sulla pensione. Esulano, quindi, dall’ambito della presente decisione (rendendo inopportuno esprimersi in proposito, quand’anche con obiter dicta), tutte le altre fattispecie, solo in parte similari e variamente affrontate in giurisprudenza, per cui sia invece accertata, ad esempio, l’insussistenza stessa dell’indebito (cfr. Sez. Prima Appello, sent. 129 del 20 aprile 2017) o in cui l’irripetibilità discenda direttamente da una previsione normativa, come nel caso della revoca o modifica del trattamento definitivo di pensione (cfr. Sez. seconda appello, sent. 411 del 18 aprile 2016); come pure esulano dall’ambito della presente decisione le questioni attinenti, a monte, il diritto stesso del pensionato alla restituzione delle trattenute, ad esempio ove esse siano già state interamente recuperate a suo carico precedentemente alla richiesta di restituzione (cfr. Sez. Abruzzo, sent. 383 del 5 novembre 2012), anche sulla base di dilazioni rateali in tutto o in parte esaurite, su istanza del pensionato medesimo (cfr. Sez. seconda appello, sent. 1083 del 25 ottobre 2016).
V. Fatta questa doverosa precisazione occorre, dunque, riesaminare il principio di diritto già enunciato, secondo cui “in caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria”. Al riguardo, ritengono queste Sezioni riunite di non poter ulteriormente confermare il suesposto principio, che ha formato oggetto di rimeditazione anche da parte della stessa Procura generale.
In particolare, pur essendo evidenti le ragioni sottostanti la scelta giurisprudenziale di non riconoscere alcun accessorio sulle somme da restituire al pensionato, nell’intento di evitare, in qualche modo, che al vantaggio del capitale a suo tempo indebitamente erogatogli (e definitivamente acquisito al suo patrimonio) si aggiunga anche il vantaggio dei frutti sul predetto capitale, la soluzione pragmatica così adottata non appare soddisfacente e convincente, né sul piano del diritto, né sul piano dell’equità, come ha correttamente posto in risalto l’ordinanza di remissione.
VI. Sul piano logico-giuridico, pare a questo Collegio giudicante che vi sia una latente contraddizione nel riconoscere, da un lato, il diritto del pensionato alla restituzione delle somme in parola negando però, dall’altro lato, gli interessi legali sulle somme stesse, benché restituite a distanza di anni dalla trattenuta, dalla conseguente richiesta di restituzione e dall’eventuale introduzione del giudizio volto a far dichiarare l’irripetibilità. Il ragionamento fin qui accolto in giurisprudenza, secondo cui non sussisterebbe un’obbligazione pecuniaria in favore del pensionato, né un diritto soggettivo di questi, trattandosi di “somme non dovute ma, comunque, percepite in buona fede e che, per inciso, spettano solo in virtù di una riconosciuta irripetibilità decretata dal Giudice”, non spiega in base a quale titolo il giudice statuisca, in definitiva, la restituzione delle somme stesse al pensionato, con effetto ex nunc. Invero, se l’ente previdenziale è tenuto a restituire le trattenute a suo tempo forzosamente effettuate, un’obbligazione sottostante deve pur esservi, a meno che non si voglia ritenere che il diritto, in capo al pensionato, a trattenere le somme sorga solo per effetto della pronuncia giudiziale, avente natura costitutiva, alla stregua di un diritto potestativo (non di credito) azionabile soltanto in sede giurisdizionale.
Ma, a ben vedere, quest’ultima tesi presta il fianco ad almeno due ordini di obiezioni: in primo luogo, anche in presenza di sentenze aventi natura costitutiva non potrebbero negarsi gli interessi legali almeno dalla data della domanda, come correttamente argomentato dalla Sezione remittente; in secondo luogo, e in via assorbente, deve negarsi la natura costitutiva della sentenza che, in presenza dell’affidamento del pensionato, dichiari irripetibile l’indebito pensionistico, sussistendo il diritto del pensionato medesimo a far proprie le somme percepite a prescindere dalla relativa declaratoria giudiziale.
VII. Sotto il primo profilo, anche nel caso di sentenze aventi natura costitutiva la giurisprudenza di legittimità è orientata nel riconoscere quanto meno gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale: è il caso, ad esempio, delle obbligazioni restitutorie derivanti dalla revocatoria fallimentare, che costituiscono debito di valuta (Cass., SS.UU., sent. 437 del 15.06.2000; Id., sent. 502 del 19.07.2000; Sez. 1, sent. 6369 del 08.05.2001; Id., sent. 7531 del 04.06.2001; Id. sent. 887 del 18.01.2006; Id., sent. 4709 del 03.03.2006; Id., sent. 12736 del 10.06.2011; Id., sent. 27084 del 15.12.2011; v. anche Sez. 1, sent. 13560 del 30.07.2012, che distingue tra “decorrenza” e “scadenza” degli interessi); non mancano, peraltro, pronunce che riconoscono addirittura la natura di debito di valore all’obbligazione restitutoria derivante dalla revocatoria e, per l’effetto, dispongono la spettanza anche della rivalutazione monetaria, sempre dalla data della domanda giudiziale (Cass., Sez. 1, sent. 13244 del 16.06.2011). Lo stesso è a dirsi nelle fattispecie di risoluzione del contratto, la cui pronuncia costitutiva produce effetti retroattivamente, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, sicché gli interessi decorrono quanto meno dalla domanda stessa, tanto per l’obbligazione restitutoria (cfr. Cass., Sez. 1, sent. 17558 del 02.08.2006; Sez. 2, sent. 25847 del 27.10.2008; Sez. 1, sent. 2522 del 03.12.1970) quanto per quella risarcitoria (cfr. Cass., Sez. 2, sent. 3408 del 22.05.1986; Id., sent. 637 del 27.01.1996; Sez. 3, sent. 6545 del 05.04.2016).
Per regola generale, dunque, ancorché si trattasse di pronuncia giudiziale avente natura costitutiva, con efficacia ex nunc, comunque gli interessi legali spetterebbero almeno dalla domanda e non dalla sentenza.
VIII. Sotto il secondo profilo, valgano le seguenti ulteriori considerazioni, che assumono rilievo assorbente.
La giurisprudenza che nega la spettanza degli accessori sulle trattenute da restituire in esito al giudizio pare fondarsi su una più ampia costruzione sistematica secondo cui il diritto del pensionato alla restituzione delle trattenute non potrebbe sorgere che per effetto di una pronuncia giudiziale, avente natura costitutiva, erroneamente ritenuta essa solo idonea a superare il contrapposto “dovere” di ripetizione dell’indebito, gravante sull’ente di previdenza. Questa tesi postula, implicitamente, che il giudice contabile disponga di un potere, incidente sul rapporto pensionistico, di cui l’ente di previdenza sarebbe invece privo: quello di ravvisare il legittimo affidamento del pensionato e, conseguentemente, di soprassedere dal recupero dell’indebito.
Si finisce così, nella prassi, per obbligare l’ente di previdenza ad agire, sempre e comunque, per il recupero dell’indebito derivante da conguaglio tra liquidazione provvisoria e definitiva della pensione , a prescindere da qualsiasi valutazione sull’affidamento del pensionato; si onera, per riflesso, il pensionato ad agire in sede giurisdizionale, al fine di vedere tutelate le proprie ragioni; si grava quindi il giudice contabile del compito di accertare se sussista o meno un affidamento, alla luce dei parametri indicati da queste Sezioni riunite con la nota sentenza n. 2/2012/QM (valutazione che sarebbe, però, preclusa all’amministrazione); si ingenera, infine, il presupposto per la successiva eventuale restituzione delle somme che, nel frattempo, sono state trattenute tanto doverosamente quanto unilateralmente dall’amministrazione a valere sulla pensione dell’interessato.
Il descritto assetto, nel quale ogni fattispecie di indebito pensionistico è necessariamente destinata a trovare soluzione esclusivamente in sede giudiziaria, perché solo al giudice sarebbe concesso di assumere quel provvedimento (la declaratoria di irripetibilità) che l’amministrazione non potrebbe adottare autonomamente, non pare accettabile. La stessa sentenza n. 2/QM/2012 aveva espressamente chiarito in motivazione che il legittimo affidamento, individuabile attraverso una serie di elementi oggettivi e soggettivi, “è opponibile dall’interessato, a seconda delle singole fattispecie, sia in sede amministrativa che giudiziaria” (par. 11), ribadendo lo stesso concetto nell’enunciazione del principio di diritto (par. 14, ripetuto tal quale nel dispositivo).
Se il legittimo affidamento (che preclude la ripetizione dell’indebito) è opponibile dall’interessato (e quindi rilevabile dall’ente previdenziale) già in sede amministrativa, è evidente che non può attribuirsi alcuna efficacia costitutiva alla sentenza del giudice che, in caso di contestazioni sulla fondatezza dell’opposizione, si pronunci per dirimere la controversia. E’ altresì evidente che la determinazione assunta dall’amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico, in caso di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo, non è affatto automatica e necessitata, ma dovrebbe rappresentare la risultante di una previa valutazione circa la sussistenza o meno dell’affidamento del pensionato, sulla base dei parametri indicati in giurisprudenza (decorso del tempo, rilevabilità dell’errore, importo del trattamento e ragioni della relativa modifica, ecc.). Il recupero dell’indebito pensionistico, dunque, è doveroso per l’amministrazione soltanto nella misura in cui essa, esaminata la fattispecie concreta alla luce del diritto vivente (quale desumibile dalla giurisprudenza), ritenga insussistente l’affidamento del pensionato e decida di procedere in tal senso; ove, all’opposto, sia ravvisabile un affidamento del pensionato, l’amministrazione è tenuta a darne atto e a non recuperare l’indebito.
Solo nel caso in cui insorga una controversia sul punto, esauriti se del caso i rimedi amministrativi, vi sarà ragione di adire il giudice, il quale non potrà che pronunciarsi con una sentenza di natura dichiarativa circa la ripetibilità o meno dell’indebito.
IX. Corollario di quanto fin qui esposto è che il pensionato, in presenza di legittimo affidamento, ha diritto fin dall’origine, quindi già in sede amministrativa, di opporre l’irripetibilità all’amministrazione stessa, quando essa gli intimi la restituzione di un indebito pensionistico in realtà non recuperabile ovvero, allo stesso fine, vada ad operare unilateralmente una trattenuta sulla sua pensione. Il diritto del pensionato a far proprie le somme in questione non necessita dunque, in quanto tale, di alcuna intermediazione giudiziale, ben potendo - e dovendo - essere riconosciuto dall’ente di previdenza già nella sede amministrativa. Ne discende ulteriormente che, in presenza di controversia, qualora le ragioni del pensionato si rivelino poi fondate in sede giurisdizionale, le trattenute effettuate sine titulo (quindi indebite) dovranno essere restituite al medesimo con maggiorazione degli interessi legali, a titolo compensativo, fin dalla data della domanda, cioè dal momento in cui questi abbia fatto valere, nei confronti dell’ente di previdenza, il suo diritto alla definitiva acquisizione al suo patrimonio di quelle somme.
In quest’ottica, la trattenuta effettuata per il recupero di un indebito irripetibile può essere qualificata, a sua volta, alla stregua di un indebito oggettivo: infatti, ove sussista l’affidamento del pensionato, il diritto di credito dell’ente di previdenza (per la ripetizione dell’indebito originario) viene meno, stante l’irripetibilità, con la conseguenza che le somme recuperate dall’ente di previdenza finiscono per costituire esse stesse un indebito, agli effetti dell’art. 2033 del codice civile.
Non può ignorarsi, al riguardo, che l’art. 2033 del codice civile, pur essendo formulato con riferimento all’ipotesi del pagamento "ab origine" indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la "causa debendi", così legittimando la corresponsione degli interessi compensativi secondo i criteri ivi stabiliti (Cass., SS.UU., sent. 5624 del 9.3.2009).
Di qui la necessità di riconoscere senz’altro al solvens (cioè al pensionato) gli interessi legali dalla data della domanda, ove l’accipiens sia in buona fede; in tale condizione soggettiva si trova, di regola, l’Istituto di previdenza, dovendo trovare applicazione il principio per cui la buona fede si presume in difetto di specifiche prove contrarie e, in particolare, non restando essa esclusa per la sola circostanza che il solvens abbia effettuato il pagamento contestando di esservi tenuto e che l’accipiens sia stato consapevole di tali contestazioni, atteso che la buona fede di quest’ultimo sussiste anche in presenza di dubbio circa la debenza della somma corrisposta (cfr. Cass., nn. 8587/2004; 8486/1987; 1025/1982, richiamate in Cass. Sez. Lav., sent. 17848 del 31.07.2009).
Quanto alla nozione di “domanda”, la giurisprudenza ha fatto riferimento, a seconda dei casi, tanto alla domanda giudiziale (cfr. Cass., Sez. 3, sent. 4745 del 4.03.2005; Id., sent. 5520 del 29.02.2008; Sez. Lav., sent. 7830 del 15.04.2005; Sez. 6-3, ord. 13424 del 30.06.2015), quanto alla domanda di restituzione svolta in via extragiudiziale o amministrativa (cfr. Sez. Lav., sent. 7740 del 20.10.1987; Id., sent. 8587 del 5.05.2004; Id., sent. 17848 del 31.07.2009; Id., sent. 7586 del 1.04.2011; Cass., Sez. 1, sent. 22852 del 9.11.2015).
Alla tesi estensiva intendono aderire queste Sezioni Riunite, condividendo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini che qui interessano, la domanda amministrativa ha caratteristiche analoghe alla domanda giudiziale quanto alla certezza del "dies a quo" e all’idoneità dell’atto a rendere consapevole l’ “accipiens” dell’indebito (Cass., Sez. Lav., sent. 9399 del 6.9.1991), non esistendo del resto alcun elemento letterale o logico che possa indurre l’interprete a ritenere che per domanda debba intendersi esclusivamente la domanda giudiziale con esclusione di quella proposta in sede amministrativa (Cass., Sez. Lav., sent. 3692 del 25.3.1992); ciò, a maggior ragione, ove l’istanza amministrativa costituisca presupposto inderogabile per l’esercizio dell’azione giudiziaria, non potendo pregiudicare in nessun modo i diritti sostanziali della parte cui è imposto quell’onere (Cass., Sez. Lav., sent. 7769 del 24.6.1992; Id., sent. 596 del 22.1.1994). D’altra parte, un’interpretazione restrittiva del termine “domanda” susciterebbe seri dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., sì da imporre, anche in caso di dubbio, una interpretazione costituzionalmente conforme (Cass., SS.UU., sent. 7269 del 5.08.1994).
Gli stessi giudici di legittimità, più di recente, hanno ritenuto di dover “dare seguito all'indirizzo (inaugurato da Cass. n. 7586/2011 e seguito incidentalmente da Cass. n. 16657/2014) secondo il quale, in tema di ripetizione d'indebito oggettivo, l'espressione ‘domanda’ di cui all'art. 2033 c.c. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma anche ad atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell'art. 1219 c.c.”; invero, “la ragione di decorrenza degli interessi, di cui all'art. 2033 c.c., dalla domanda stragiudiziale invece che da quella giudiziale è di carattere generale. Come ritenuto da Cass. n. 7586/2011, la riconduzione della formula letterale dell'art. 2033, che parla di ‘domanda’ senza aggettivi, alla domanda giudiziale ha un antico fondamento storico che (…) appare non più corrispondente all'attuale sistema del codice civile” (così Cass., SS.UU., sent. 22852 del 9.11.2015).
In definitiva, l’effetto ripristinatorio derivante dalla restituzione della trattenuta, in linea capitale, non può essere disgiunto, a meno di non cadere in parziale contraddizione, da quello compensativo consistente nel correlato riconoscimento degli interessi, dalla data della formale richiesta e fino alla retrocessione di essa al pensionato.
X. La soluzione qui accolta, secondo cui gli interessi legali spettano dalla data della domanda, sia essa amministrativa o giudiziale, ha anche il pregio oggettivo della certezza applicativa e della neutralità: il risultato finale, infatti, è invariante, indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato dal pensionato per far valere l’irripetibilità (se la domanda amministrativa o la domanda giudiziale), dalla posizione assunta nel giudizio (se parte ricorrente o convenuta), dal fondamento delle trattenute (ad esempio, se una sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, o un provvedimento unilaterale dell’amministrazione), dai tempi e dai modi di svolgimento del procedimento amministrativo e dell’eventuale giudizio.
Ciò in linea di continuità con quanto già a suo tempo affermato con la citata sentenza n. 2/QM/2012, secondo cui l’affidamento (e, con esso, l’irripetibilità dell’indebito) può essere fatto valere dal pensionato anche in sede amministrativa e non necessariamente in sede giudiziale.
XI. Così rimeditata la questione di massima sottoposta a queste Sezioni riunite, a modifica di quanto affermato con la citata sentenza n. 11/QM/2015, va enunciato il seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
Va da sé che, per le trattenute che l’amministrazione abbia continuato ad operare successivamente alla domanda (amministrativa o giudiziale), gli interessi legali spettano dalla data di ciascuna di esse.
XII. Trattandosi del primo caso di “motivato dissenso” di cui all’art. 117 del codice di giustizia contabile, occorre ora soffermarsi sull’espressione legislativa secondo cui alle Sezioni riunite è rimessa “la decisione dell’impugnazione”.
Al riguardo, non si ignora che, con sentenza n. 7/QM/2010 del 30 settembre 2010, si era ritenuta solo apparente l’identità tra l’art. 374 del codice di procedura civile e il citato articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993, giungendo alla motivata conclusione secondo cui “le Sezioni riunite potrebbero, in caso di dissenso adeguatamente motivato, rivedere il principio di diritto affermato o dare una diversa soluzione alla questione di massima presentata rispetto a quanto in precedenza enunciato, rimettendo, poi, la definizione del merito della fattispecie agli organi giurisdizionali remittenti”; in particolare, in quella sede non si era ritenuto possibile, siccome contrastante con il quadro normativo e con princìpi costituzionali, che la “rimessione del giudizio debba essere intesa come spogliazione della causa di merito da parte della Sezione regionale o centrale a favore dell’Organo nomofilattico”.
Quest’ultima conclusione deve essere oggi rivisitata, in ragione del mutato contesto normativo, alla luce degli stessi criteri già a suo tempo valorizzati, a contrario, con la citata sentenza n. 7/QM/2010.
In particolare:
- la legge delega 7 agosto 2015, n. 124, all’articolo 20, comma 2, lettera n), nel delegare il governo a “ridefinire e riordinare le norme concernenti il deferimento di questioni di massima e di particolare importanza (…) proponibili alle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale” ha fatto espresso richiamo, tra l’altro, “alle disposizioni dell’articolo 374 del codice di procedura civile, in quanto compatibili”;
- le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti sono oggi configurate dal codice quale “articolazione interna della medesima Corte in sede d’appello” (art. 11);
- tanto il deferimento di questioni di massima di cui all’art. 114 quanto il motivato dissenso di cui all’art. 117 sono testualmente riferiti alle sole sezioni giurisdizionali d’appello;
- l’art. 117 fa oggi espresso ed inequivoco riferimento alla rimessione della “decisione dell’impugnazione”;
- sono stati positivamente sanciti i principi di “concentrazione” (art. 3) e di “ragionevole durata del processo” (art. 4).
Di qui l’inequivoca volontà legislativa di deferire alle Sezioni riunite, a fronte della “riproposizione di questione in caso di motivato dissenso” (art. 117), non soltanto la conferma del principio di diritto o l’enunciazione di un nuovo principio, bensì la decisione stessa dell’impugnazione, senza necessità di un ulteriore passaggio dinanzi al giudice a quo.
Alla predetta conclusione, tenuto anche a mente che la giurisdizione della Corte dei conti è esercitata secondo le norme del codice della giustizia contabile (art. 1, comma 3), non osta la pur residua, innegabile, diversità tra i giudizi per Cassazione (concernenti le sole questioni di diritto) e i giudizi d’appello dinanzi alla Corte dei conti (concernenti, in materia di responsabilità, anche questioni di fatto). Spetta, infatti, alle stesse Sezioni riunite in sede giurisdizionale (le quali “sono l’organo che assicura l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione delle norme di contabilità pubblica” ex art. 11: sono quindi, precipuamente, giudice del diritto) fornire un’interpretazione sistematica dell’art. 117 e, così, farne buon governo nell’applicazione concreta, in coerenza con quegli stessi criteri generali che, nel diverso ambito del processo civile, hanno ad esempio ispirato gli articoli 384 c.p.c. e 142 delle relative disposizioni d’attuazione.
In particolare, spetta alle Sezioni Riunite, nell’affermare il principio di diritto sul quale si è incentrato il motivato dissenso, valutare se si debba, caso per caso, definire l’intero giudizio di impugnazione oppure decidere per tal via solo uno o più dei motivi d’impugnazione (di propria stretta competenza, in quanto vertenti su questioni di massima, in diritto), per poi rimettere alla sezione semplice la causa per la decisione degli ulteriori motivi (rientranti, in linea di principio, nella competenza delle sezioni semplici).
Ogni valutazione, in proposito, non potrà che essere condotta sulla base dell’analisi della fattispecie concreta, anche in considerazione del numero e della natura dei motivi d’impugnazione, degli accertamenti da svolgere, del numero e della posizione delle parti, della possibilità di definire agevolmente l’impugnazione mediante la soluzione delle questioni di diritto sottoposte all’organo di nomofilachia ovvero dell’opportunità di lasciare alla competenza delle sezioni semplici l’apprezzamento dei fatti di causa, ipotesi quest’ultima certamente residuale, che però non può almeno in astratto essere esclusa.
XIII. Nel caso di specie, è evidente che l’intera impugnazione, per la parte non già decisa con la citata sentenza parziale n. 24/2017 della seconda Sezione, può essere agevolmente definita direttamente da queste Sezioni riunite, mediante l’applicazione del principio di diritto dinanzi enunciato, non essendovi ulteriori motivi da esaminare e non essendovi alcuna ragione (alla luce dei richiamati principi di concentrazione, in senso lato, e ragionevole durata del processo) per rimettere le parti dinanzi al giudice a quo al solo fine di vedere applicato il principio affermato in questa sede, cui non può che conseguire il rigetto dell’appello dell’INPS e l’integrale conferma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010.
È appena il caso di rilevare, al riguardo, che la statuizione del giudice di prime cure, nella parte in cui aveva dichiarato il diritto del pensionato agli interessi legali solo dalla domanda giudiziale (e non dalla data della precedente domanda amministrativa, cioè del ricorso al Comitato di vigilanza), non aveva formato oggetto di impugnazione da parte del pensionato, sicché non potrebbe in ogni caso essere riformata in peius in esito all’appello del solo INPS (cfr. Cass., Sez. 2, sent. 25244 del 8.11.2013).
XIV. Le spese di lite, per la parte che non ha già formato oggetto di statuizione con la citata sentenza-ordinanza n. 24/2017, sono integralmente compensate per “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” ex art. 31, comma 3, del codice della giustizia contabile.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, pronunciando sulla riproposizione di questione di massima per motivato dissenso, rimessa ex art. 117 del codice della giustizia contabile dalla Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello con sentenza-ordinanza n. 24/2017,
AFFERMA
il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
Per l’effetto, definitivamente pronunciando,
RESPINGE
l’appello proposto dall’INPDAP e proseguito dall’INPS avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010, per la parte non già decisa con la sentenza-ordinanza della Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello n. 24 del 19 gennaio 2017.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, nelle Camere di consiglio del 14 giugno e del 4 ottobre 2017.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gerardo de Marco Alberto Avoli
Depositato in segreteria in data 12 ottobre 2017
Il Direttore della segreteria
Maria Laura Iorio
1) - Così rimeditata la questione di massima sottoposta a queste Sezioni riunite, a modifica di quanto affermato con la citata sentenza n. 11/QM/2015, va enunciato il seguente principio di diritto:
- ) - “Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
- ) - Va da sé che, per le trattenute che l’amministrazione abbia continuato ad operare successivamente alla domanda (amministrativa o giudiziale), gli interessi legali spettano dalla data di ciascuna di esse.
N.B.:leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONI RIUNITE SENTENZA 33 12/10/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SEZIONI RIUNITE SENTENZA 33 2017 PENSIONI 12/10/2017
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Sentenza n. 33/2017/MD
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE
IN SEDE GIURISDIZIONALE
composta dai signori magistrati:
Alberto AVOLI Presidente
Antonio CIARAMELLA Consigliere
Pina Maria Adriana LA CAVA Consigliere
Maria Elisabetta LOCCI Consigliere
Giuseppina MAIO Consigliere
Francesca PADULA Consigliere
Gerardo de MARCO Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per riproposizione di questione di massima ex art. 117 cod. giust. cont., iscritto nel registro di segreteria al n. 544/SR/MD di queste Sezioni riunite
rimesso
dalla Sezione seconda giurisdizionale centrale di appello con sentenza-ordinanza n. 24 del 19 gennaio 2017, sull’appello già iscritto al n. 39920 del registro di segreteria della Sezione remittente,
proposto da
INPDAP – Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (c.f. 97095380586), ente confluito ex lege, nelle more del giudizio, in I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (c.f. 80078750587) ai sensi dell’art. 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Caliulo (CLL LGU 54B09 H703F), Edoardo Urso (RSU DRD 61L27 H501L) e Filippo Mangiapane (MNG FPP 64T25 F158Q) della propria Avvocatura Centrale;
contro
Adriano ZOCCOLO (Omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. Diego Modesti (MDS DGI 66H09 L144M)
per l’annullamento
della sentenza in materia pensionistica della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010.
Uditi alla pubblica udienza del 14 giugno 2017 il consigliere relatore Gerardo de Marco, l’avv. Luigi Caliulo per l’INPS ed il pubblico Ministero nella persona del vice Procuratore generale Antongiulio Martina.
F A T T O
1. Con sentenza n. 119 del 2010 la Sezione friulana accolse parzialmente il ricorso del signor Zoccolo, dichiarando la parziale irripetibilità dell’indebito pensionistico discendente dal conguaglio tra la liquidazione provvisoria e quella definitiva della pensione e disponendo che le somme nel frattempo trattenute dall’INPDAP (oggi INPS), per il recupero dell’indebito dichiarato irripetibile, fossero restituite al pensionato con maggiorazione degli interessi legali “da calcolarsi dalla notifica della domanda giudiziale per quel che concerne le somme recuperate antecedentemente a tale data, e dalle singole ritenute mensili per quelle recuperate successivamente”. Il Giudice di primo grado condannò, inoltre, l’INPDAP al pagamento delle spese di lite liquidate “nella somma complessiva di euro 1.200,00 oltre spese generali, C.P.A. ed I.V.A.”.
2. L’INPDAP (oggi INPS) interponeva appello contestando tanto la declaratoria di irripetibilità dell’indebito, quanto il riconoscimento degli interessi legali sulle somme da restituire al pensionato, nonché la condanna alle spese.
Resisteva il pensionato con memoria di costituzione, concludendo in via principale per la reiezione dell’appello o, in via subordinata, per la declaratoria di prescrizione parziale dell’indebito pensionistico formatosi e per l’irripetibilità di un quarto delle somme percepite prima del 1 gennaio 1996 (ex art. 1, comma 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
3. Con sentenza-ordinanza n. 24 del 19 gennaio 2017 la seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello, nel giudicare dell’impugnazione, respingeva il primo motivo di appello, confermando la sentenza di primo grado in punto di declaratoria dell’irripetibilità dell’indebito; ciò alla luce dei principi enunciati da queste Sezioni riunite con sentenza n. 2/QM/2012 del 2 luglio 2012.
Confermava, inoltre, la condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, compensandole invece per il giudizio d’appello.
4. Quanto, invece, all’altro motivo d’appello, concernente la richiesta di restituire le somme al pensionato senza maggiorazione di interessi legali, le Sezione remittente riteneva di essere chiamata a fare applicazione del principio di diritto già enunciato da queste Sezioni riunite con sentenza n. 11/2015/QM del 24 marzo 2015, secondo cui “in caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria”.
Quest’ultimo principio, in particolare, era stato affermato sulla base dei seguenti argomenti:
- “non si verte in ipotesi di omessa o tardiva erogazione di un credito pensionistico bensì si discute del recupero erariale di somme non dovute ma, comunque, percepite in buona fede e che, per inciso, spettano solo in virtù di una riconosciuta irripetibilità decretata dal Giudice”;
- “nella fattispecie manca una originaria obbligazione a carico della Amministrazione in quanto non esiste un effettivo credito previdenziale bensì solo un correttivo ‘ex lege’ alla doverosa azione di recupero erariale, correttivo introdotto da una specifica normativa di settore”, trattandosi “ovviamente della tutela della situazione giuridica di legittimo affidamento”;
- sussiste l’autonomia del “sottosistema pensionistico globalmente inteso”;
- “la disciplina del terzo comma dell’art. 429 c.p.c. (riconoscimento delle somme aggiuntive sui crediti di lavoro)”, applicabile al giudizio pensionistico in virtù del richiamo di cui all’art. 5 della legge 21 aprile 2000, n. 205, “opera solo a tutela dei crediti previdenziali ‘oggettivamente’ spettanti, situazione del tutto dissimile dal diritto alla restituzione di somme pensionistiche solo ‘soggettivamente’ spettanti in virtù di una (giudizialmente) riscontrata tutela dell’affidamento del percipiente”;
- “si tratta di somme indebitamente erogate e percepite, non legate ad un diritto soggettivo, non dipendenti da una preesistente obbligazione pecuniaria, non aventi natura previdenziale e/o pensionistica, somme cui non può accedere alcun importo risarcitorio indipendentemente o meno dalla relativa espressa richiesta”.
5. Il Collegio giudicante remittente ha ritenuto di non condividere il richiamato principio di diritto ed ha, quindi, rimesso a queste Sezioni riunite la decisione dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 117 del codice della giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174.
In particolare, la “riproposizione della questione” discende da un “motivato dissenso” così argomentato:
- “la richiesta di restituzione di un determinato importo pensionistico, a suo tempo percepito in buona fede e pertanto indebitamente recuperato dall’Amministrazione, ha per oggetto un debito di valuta”;
- l’art. 1224, comma 1, c.c. e l’art. 1219, comma 1, c.c. stabiliscono, rispettivamente, che “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali” e che “il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto”;
- l’art. 1284 c.c. precisa che gli “interessi legali” decorrono “dal momento in cui è proposta domanda giudiziale”;
- “un noto e fondamentale principio di civiltà giuridica esige che la necessità e la durata del processo non si risolvano a danno della parte che ‘ha ragione’, la quale, esemplificando, non può ricevere alla fine del processo sempre lo stesso importo, se il processo è durato sei mesi e se è durato sei anni”;
- “un altrettanto noto e fondamentale principio generale, connesso al precedente”, comporta che “tutte le pronunce giudiziali retroagiscono normalmente al momento della domanda (ex aliis: Cass. n. 10600/2005, n. 147/1994, n. 6322/1983)”.
Ritiene, conclusivamente, la Sezione remittente che la negazione degli interessi legali dal giorno della domanda giudiziale sulle somme da restituire al pensionato costituisca una violazione del principio di pronuncia secondo diritto di cui all’art. 113 c.p.c. (oggi art. 95, comma 1, cod. giust. cont.), peraltro neppure potendosi considerare “equo”, ad esempio, riconoscere l’identico bene giuridico a chi ottiene la restituzione di quanto gli è stato indebitamente recuperato senza dover ricorrere a un giudizio, a chi la ottiene dopo un celere giudizio in un unico grado, a chi infine la ottiene dopo un lungo giudizio in più gradi.
Di qui la riproposizione della questione e la remissione a queste Sezioni riunite della decisione dell’impugnazione.
6. Con memoria del 30 maggio 2017, l’INPS, appellante, si è costituito (anche) dinanzi a queste Sezioni riunite, eccependo anzi tutto l’inammissibilità della riproposizione della questione.
In particolare, si osserva che le Sezioni riunite, con la citata sentenza n. 11/2015/QM, hanno già esaminato gli stessi argomenti oggi portati a sostegno del “motivato dissenso”; segnatamente, le Sezioni riunite avevano espressamente richiamato, tra i precedenti giurisprudenziali in contrasto, anche la sentenza n. 602 del 2013, pronunciata dalla stessa seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello, contenente le stesse ragioni di diritto oggi riproposte. Ne discenderebbe che “la mera riproposizione delle questioni già esaminate dalle Sezioni riunite, senza peraltro il corredo di una significativa critica alla diversa soluzione valorizzata nella sentenza del 2015, rende l’iniziativa assunta inammissibile”.
Osserva l’INPS che “in realtà detti importi dovrebbero essere recuperati dall’ente in omaggio al principio generale secondo cui chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere quanto indebitamente erogato per effetto dell’azione erariale sulla cui doverosità ha posto l’accento anche la sentenza n. 2/2012/QM delle stesse SS.RR. L’azione di recupero viene inibita solo a seguito del riconoscimento giudiziale dell’affidamento dell’assicurato maturato per il decorso del tempo e nella ricorrenza di una serie di circostanze elaborate dalla giurisprudenza contabile, che la stessa Corte deve volta per volta valutare”.
Inoltre, il ragionamento svolto nell’ordinanza di riproposizione della questione, nella parte in cui esclude la ricorrenza di un credito previdenziale del pensionato e di un’obbligazione a carico dell’amministrazione, sembra all’INPS non conciliarsi con le successive argomentazioni e, in particolare, con il richiamo agli artt. 1224 e 1219 c.c. che, al contrario, presuppongono la sussistenza di un’obbligazione.
L’INPS ha quindi concluso per la declaratoria di inammissibilità della riproposizione della questione o, comunque, per la conferma del principio di diritto già affermato con la sentenza n. 11/2015/QM, citata.
7. Con memoria del 1 giugno 2017 la Procura generale ha svolto le proprie considerazioni ed ha rassegnato le proprie conclusioni.
7.1. Preliminarmente, la Procura generale ha dedotto l’inammissibilità della riproposizione della questione.
Ciò discenderebbe dalla inapplicabilità dell’art. 117 del codice della giustizia contabile ai giudizi pensionistici, trattandosi di norma inserita nel capo I del Titolo IV della parte II (“giudizi di responsabilità”), non richiamata dalle disposizioni sul giudizio pensionistico.
Il corretto riferimento normativo sarebbe quindi, per i giudizi pensionistici, l’art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19), non espressamente abrogato dal codice, che secondo l’insegnamento delle Sezioni riunite medesime (cfr. sent. 7/QM/2010) impedirebbe che la decisione di un motivo d’appello possa essere rimessa alle Sezioni riunite.
Ma anche a voler ritenere che il citato art. 117 sia applicabile all’appello in materia pensionistica, osserva la Procura generale che il motivato dissenso ex art. 117 potrebbe esercitarsi solo laddove il giudice d’appello “debba fare applicazione” di un principio di diritto per lui vincolante, in quanto già pronunciato su un previo motivato dissenso espresso dal medesimo giudice ex art. 42, secondo comma, ultima parte, della legge 18 giugno 2009, n. 69. L’ulteriore motivato dissenso di cui all’art. 117 del codice presupporrebbe, cioè, che il giudice d’appello abbia già precedentemente riproposto alle Sezioni riunite una questione di massima, nel corso dello stesso giudizio, ma che non intenda uniformarsi, quale giudice a quo, al principio di diritto confermato dalle Sezioni riunite, spogliandosi perciò della decisione della causa per investirne direttamente le Sezioni riunite medesime.
7.2. La questione sarebbe, comunque, inammissibile anche sotto un secondo profilo, stante la necessità che la rimessione della decisione dell’impugnazione sia totale, non potendo essere invece parziale (arg. ex art. 142 disp. att. c.p.c., richiamato dall’art. 25 disp. att. c.g.c.), come nel caso di specie (in cui la Sezione remittente ha trattenuto la decisione di un motivo d’appello per rimettere la decisione del solo secondo motivo).
Peraltro, la rimessione dell’impugnazione ex art. 117 c.g.c. andrebbe riqualificata, nella fattispecie, alla stregua di una rimessione ex art 42, comma 2, della citata legge n. 69 del 2009 o, comunque, quale “ordinario deferimento di questione di massima”, sicché gli atti andrebbero restituiti alla Sezione remittente “previo riesame, se del caso, alla luce delle argomentazioni addotte dalla Sezione centrale rimettente, del principio di diritto già enunciato”.
7.3. Ciò posto, ad avviso della Procura generale, la sentenza-ordinanza di rimessione, ancorché non valida quale “riproposizione di questione in caso di motivato dissenso” (ex art. 117 c.g.c.), proporrebbe comunque una “nuova, articolata interpretazione delle disposizioni normative già oggetto del vaglio delle Sezioni riunite, tali da poter, in astratto, indurre le Sezioni riunite (stesse) ad una rimeditazione della questione già decisa” (cfr. SS.RR., n. 6/QM/2010).
7.4. Venendo quindi ad affrontare la questione di massima riproposta, la Procura generale non condivide né le conclusioni cui è pervenuta la citata sentenza n. 11/2015/QM, né quelle prospettate nell’ordinanza di rimessione qui in discussione.
In particolare, il ragionamento del pubblico Ministero poggia sui seguenti fondamenti:
- l’irripetibilità deriva dalla legge, limitandosi il giudice ad accertarla;
- l’originaria natura indebita delle somme a suo tempo corrisposte al pensionato costituisce un “antefatto” privo di qualsiasi rilievo sulla questione che ne occupa;
- l’ordinamento non consente, infatti, il recupero da parte dell’ente previdenziale delle somme a suo tempo indebitamente corrisposte al pensionato;
- le trattenute effettuate da parte dell’ente previdenziale sulla pensione dell’interessato, per recuperare somme irripetibili, sono da considerare prive di titolo e si risolvono in un inadempimento parziale dell’obbligazione di corrispondere la pensione dovuta;
- in definitiva, la pronuncia che accerti che, per effetto dell’irripetibilità delle somme in precedenza erogate al pensionato, l’ente previdenziale non aveva titolo a recuperare le suddette somme con trattenute sulla pensione , si risolve, senza residui, nell’accertamento dell’inadempimento dell’ente previdenziale dell’obbligo di corrispondere i successivi ratei di pensione nella misura dovuta; accertamento cui non può non seguire la condanna dell’ente stesso, oltre che alla restituzione delle somme indebitamente trattenute (rectius: alla corresponsione dei maggiori importi dovuti a titolo di pensione che, in dipendenza del parziale inadempimento, non erano stati erogati a tempo debito), a corrispondere sulle stesse i relativi accessori ex art. 429 c.p.c. (cfr. SS.RR., sent. 10/2002/QM);
- alla declaratoria giudiziale dell’irripetibilità dell’indebito non può, infatti, essere attribuita efficacia costitutiva, ma deve attribuirsi efficacia meramente dichiarativa, non ricadendosi nei casi di cui all’art. 2908 c.c. e non essendo subordinata detta irripetibilità ad alcun accertamento giurisdizionale;
- deve escludersi che, in fattispecie, il giudice possa pronunciarsi secondo equità, dovendo invece decidere secondo diritto.
Tutto ciò premesso e considerato, la Procura generale osserva di non dover concludere nel merito dell’impugnazione, non configurandosi un interesse generale in relazione ad essa, ma di doversi limitare a prendere posizione sulla sola affermazione del principio di diritto; conclude quindi: 1) per l’inammissibilità della rimessione della decisione dell’impugnazione; 2) per il riesame e la modifica, nei termini dinanzi esposti, del principio di diritto già enunciato dalla citata sentenza n. 11/2015/QM.
8. Il signor Zoccolo, appellato, già costituito nel giudizio di appello dinanzi alla Sezione remittente, non ha presentato memorie dinanzi a queste Sezioni riunite.
9. All’udienza pubblica del 14 giugno 2017, udito il consigliere relatore, non comparso il difensore del pensionato, sono intervenuti l’Avv. Luigi Caliulo per l’INPS e il pubblico Ministero in persona del vice Procuratore generale Antongiulio Martina, come da verbale. Esaurita la discussione orale, la causa è stata trattenuta in camera di consiglio per la decisione.
D I R I T T O
I. In via preliminare, con riferimento alle conclusioni rassegnate dalla Procura generale, va affermata l’applicabilità dell’art. 117 del codice della giustizia contabile anche agli appelli in materia pensionistica, indipendentemente dalla collocazione del Titolo IV (giudizi innanzi le Sezioni riunite) nell’ambito della Parte II (giudizi di responsabilità) del codice. Si tratta di norme che trascendono l’ambito del solo giudizio di responsabilità e, nel combinato disposto con l’art. 11 dello stesso codice, sono suscettibili di applicazione a tutti i giudizi attribuiti alla cognizione delle Sezioni riunite medesime nelle materie sottoposte alla giurisdizione contabile.
Né residuano spazi per la, pur prospettata, ultravigenza dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19), come novellato dall’art. 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69: sebbene manchi una abrogazione espressa, non v’è dubbio che le nuove disposizioni codicistiche abbiano regolato, per quanto qui interessa, l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore (cfr. art. 20, comma 2, lettera n, della legge delega 7 agosto 2015, n. 124), comportandone l’abrogazione tacita ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (cfr. art. 20, comma 3, lettera b della legge delega stessa).
II. Viene ora in rilievo l’ulteriore profilo di inammissibilità, sollevato dalla Procura generale, incentrato sulla circostanza che la Sezione remittente ha già deciso il primo motivo d’appello, con sentenza parziale, rimettendo alle Sezioni riunite la decisione del solo secondo motivo d’appello; ciò comporterebbe la violazione del principio di devoluzione dell’impugnazione nella sua interezza, principio che il pubblico Ministero desume anche dall’art. 142 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, applicabile in forza del rinvio di cui all’art. 25 delle norme di attuazione del codice della giustizia contabile.
Al riguardo, si osserva che la scelta del giudice remittente di decidere subito il primo motivo d’appello (sulla irripetibilità dell’indebito) e di rimettere alle Sezioni riunite la decisione dell’impugnazione con riguardo al consequenziale secondo motivo (sulla spettanza o meno di accessori sulle somme da restituire al pensionato) è ragionevole e conforme al disposto dell’art. 117 del codice, nella parte in cui impone la rimessione della decisione alla “sezione giurisdizionale di appello che ritenga di non condividere un principio di diritto di cui debba fare applicazione, già enunciato dalle Sezioni riunite”.
L’inciso “di cui debba fare applicazione” riveste un duplice significato: sotto il profilo precettivo, esso rafforza la cogenza dei principi di diritto enunciati in sede nomofilattica, configurandone l’applicazione in termini di “dovere” per i giudici d’appello; sotto il profilo procedurale, concorre a definire il presupposto della rimessione, circoscrivendo i casi di “riproposizione di questione” per “motivato dissenso” ai soli principi di diritto che nel giudizio a quo assumono una rilevanza effettiva, concreta ed attuale, non solo astratta ed eventuale.
Nella fattispecie all’esame, è evidente che la doverosa applicazione del principio di diritto enunciato con la citata sentenza n. 11/QM/2015 (non condiviso dalla Sezione remittente), agli effetti del citato art. 117 del codice, viene in questione solo in conseguenza della decisione del primo motivo; pertanto, fino a che il primo motivo non fosse stato definito nel senso della declaratoria di irripetibilità dell’indebito pensionistico, non poteva configurarsi il presupposto del “dover fare applicazione”, da parte del giudice, del consequenziale principio di diritto in tema di corresponsione degli accessori sulle somme oggetto di restituzione al pensionato.
III. Quanto alla inammissibilità della riproposizione di questione per mancanza di motivi nuovi, eccepita dall’INPS, giova anzi tutto precisare che l’art. 117 del codice della giustizia contabile impone che il “dissenso” sia “motivato”. La norma non richiede, quindi, che sussistano necessariamente motivi nuovi da esaminare, essendo piuttosto sufficiente che il giudice remittente renda esplicite le ragioni per le quali “ritenga di non condividere” il principio di diritto già enunciato dalle Sezioni riunite, adeguatamente illustrando le argomentazioni che a suo avviso legittimano la richiesta di riesame del principio stesso; in linea di principio, non è esclusa la riproposizione di motivi già esaminati in precedenza, purché essi siano proposti secondo una diversa prospettazione o un migliore sviluppo argomentativo, anche solo esplicitando con maggior efficacia alcuni passaggi logico-giuridici, ritenuti non sufficientemente valorizzati; ciò che resta esclusa è invece la mera reiterazione, tal quali, degli stessi argomenti già precedentemente vagliati, al solo fine di spogliarsi della decisione della causa disponendo una mera traslazione del giudizio verso le Sezioni riunite (in tema, si vedano le sentenze nn. 6/QM/2010, 7/QM/2010, 8/QM/2010, 9/QM/2010, 2/QM/2011, 3/QM/2011, 4/QM/2011, 5/QM/2011).
In quest’ottica, “spetta al prudente apprezzamento delle Sezioni riunite la delibazione, in via preliminare, circa la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione, nel caso concreto, onde garantire un ‘filtro’ all’accesso alla funzione nomofilattica che bilanci detto accesso con la contrapposta esigenza, parimenti meritevole di considerazione, di ricercare ed affinare le migliori soluzioni in diritto attraverso i fisiologici meccanismi dell’elaborazione giurisprudenziale” (SS.RR., sent. 19/QM/2016): segnatamente, essendo confermato nell’art. 117 del codice il peculiare vincolo “conformativo” dei principi di diritto enunciati su questioni di massima (vincolo già introdotto nel citato articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993, ad opera della legge n. 69 del 2009), la possibilità di “motivata riproposizione” (distinta dalla “mera reiterazione”) della questione costituisce un irrinunciabile contrappeso dell’ordinamento rispetto al dovere di “dare applicazione” ai principi di diritto enunciati in sede nomofilattica. Intanto può sussistere un dovere di conformazione ad un principio in quanto sia reso possibile, per i giudici chiamati a darvi applicazione, motivare il proprio dissenso per sottoporre allo stesso organo di nomofilachia il riesame della questione.
Venendo alla fattispecie concreta in giudizio, è vero che i motivi contenuti nell’odierna ordinanza di remissione erano già presenti, in nuce, nella giurisprudenza a suo tempo esaminata da queste Sezioni riunite; ma è parimenti vero che su quei motivi, all’epoca affrontati per la gran parte solo implicitamente e con fugaci richiami per relationem, è possibile oggi focalizzare maggiormente l’attenzione, alla luce del puntuale ragionamento logico-giuridico prospettato per esteso nell’ordinanza di remissione (a seguito della quale la stessa Sezione remittente ha rinviato la decisione di tutte le impugnazioni della specie: per tutte, v. sentenza-ordinanza n. 213 dell’11 aprile 2017). In tal senso si è espressa anche la Procura generale, ad avviso della quale la sentenza-ordinanza di rimessione propone una ammissibile “nuova, articolata interpretazione delle disposizioni normative già oggetto del vaglio delle Sezioni riunite, tali da poter, in astratto, indurre le Sezioni riunite (stesse) ad una rimeditazione della questione già decisa” (cfr. SS.RR., n. 6/QM/2010 e successive conformi).
La riproposizione della questione, frutto di un dissenso adeguatamente motivato, è quindi ammissibile.
IV. Passando ora ad affrontare il punto di diritto che forma l’oggetto specifico del motivato dissenso, è bene preliminarmente precisare che la fattispecie dedotta in giudizio riguarda l’ipotesi in cui il giudice accerti o dichiari, in virtù del principio di affidamento di cui alla nota sentenza n. 2/QM/2012, cit., l’irripetibilità dell’indebito pensionistico scaturente da conguaglio tra la liquidazione provvisoria e quella definitiva della pensione, disponendo la restituzione al pensionato delle somme medio tempore recuperate dall’ente previdenziale con trattenute sulla pensione. Esulano, quindi, dall’ambito della presente decisione (rendendo inopportuno esprimersi in proposito, quand’anche con obiter dicta), tutte le altre fattispecie, solo in parte similari e variamente affrontate in giurisprudenza, per cui sia invece accertata, ad esempio, l’insussistenza stessa dell’indebito (cfr. Sez. Prima Appello, sent. 129 del 20 aprile 2017) o in cui l’irripetibilità discenda direttamente da una previsione normativa, come nel caso della revoca o modifica del trattamento definitivo di pensione (cfr. Sez. seconda appello, sent. 411 del 18 aprile 2016); come pure esulano dall’ambito della presente decisione le questioni attinenti, a monte, il diritto stesso del pensionato alla restituzione delle trattenute, ad esempio ove esse siano già state interamente recuperate a suo carico precedentemente alla richiesta di restituzione (cfr. Sez. Abruzzo, sent. 383 del 5 novembre 2012), anche sulla base di dilazioni rateali in tutto o in parte esaurite, su istanza del pensionato medesimo (cfr. Sez. seconda appello, sent. 1083 del 25 ottobre 2016).
V. Fatta questa doverosa precisazione occorre, dunque, riesaminare il principio di diritto già enunciato, secondo cui “in caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria”. Al riguardo, ritengono queste Sezioni riunite di non poter ulteriormente confermare il suesposto principio, che ha formato oggetto di rimeditazione anche da parte della stessa Procura generale.
In particolare, pur essendo evidenti le ragioni sottostanti la scelta giurisprudenziale di non riconoscere alcun accessorio sulle somme da restituire al pensionato, nell’intento di evitare, in qualche modo, che al vantaggio del capitale a suo tempo indebitamente erogatogli (e definitivamente acquisito al suo patrimonio) si aggiunga anche il vantaggio dei frutti sul predetto capitale, la soluzione pragmatica così adottata non appare soddisfacente e convincente, né sul piano del diritto, né sul piano dell’equità, come ha correttamente posto in risalto l’ordinanza di remissione.
VI. Sul piano logico-giuridico, pare a questo Collegio giudicante che vi sia una latente contraddizione nel riconoscere, da un lato, il diritto del pensionato alla restituzione delle somme in parola negando però, dall’altro lato, gli interessi legali sulle somme stesse, benché restituite a distanza di anni dalla trattenuta, dalla conseguente richiesta di restituzione e dall’eventuale introduzione del giudizio volto a far dichiarare l’irripetibilità. Il ragionamento fin qui accolto in giurisprudenza, secondo cui non sussisterebbe un’obbligazione pecuniaria in favore del pensionato, né un diritto soggettivo di questi, trattandosi di “somme non dovute ma, comunque, percepite in buona fede e che, per inciso, spettano solo in virtù di una riconosciuta irripetibilità decretata dal Giudice”, non spiega in base a quale titolo il giudice statuisca, in definitiva, la restituzione delle somme stesse al pensionato, con effetto ex nunc. Invero, se l’ente previdenziale è tenuto a restituire le trattenute a suo tempo forzosamente effettuate, un’obbligazione sottostante deve pur esservi, a meno che non si voglia ritenere che il diritto, in capo al pensionato, a trattenere le somme sorga solo per effetto della pronuncia giudiziale, avente natura costitutiva, alla stregua di un diritto potestativo (non di credito) azionabile soltanto in sede giurisdizionale.
Ma, a ben vedere, quest’ultima tesi presta il fianco ad almeno due ordini di obiezioni: in primo luogo, anche in presenza di sentenze aventi natura costitutiva non potrebbero negarsi gli interessi legali almeno dalla data della domanda, come correttamente argomentato dalla Sezione remittente; in secondo luogo, e in via assorbente, deve negarsi la natura costitutiva della sentenza che, in presenza dell’affidamento del pensionato, dichiari irripetibile l’indebito pensionistico, sussistendo il diritto del pensionato medesimo a far proprie le somme percepite a prescindere dalla relativa declaratoria giudiziale.
VII. Sotto il primo profilo, anche nel caso di sentenze aventi natura costitutiva la giurisprudenza di legittimità è orientata nel riconoscere quanto meno gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale: è il caso, ad esempio, delle obbligazioni restitutorie derivanti dalla revocatoria fallimentare, che costituiscono debito di valuta (Cass., SS.UU., sent. 437 del 15.06.2000; Id., sent. 502 del 19.07.2000; Sez. 1, sent. 6369 del 08.05.2001; Id., sent. 7531 del 04.06.2001; Id. sent. 887 del 18.01.2006; Id., sent. 4709 del 03.03.2006; Id., sent. 12736 del 10.06.2011; Id., sent. 27084 del 15.12.2011; v. anche Sez. 1, sent. 13560 del 30.07.2012, che distingue tra “decorrenza” e “scadenza” degli interessi); non mancano, peraltro, pronunce che riconoscono addirittura la natura di debito di valore all’obbligazione restitutoria derivante dalla revocatoria e, per l’effetto, dispongono la spettanza anche della rivalutazione monetaria, sempre dalla data della domanda giudiziale (Cass., Sez. 1, sent. 13244 del 16.06.2011). Lo stesso è a dirsi nelle fattispecie di risoluzione del contratto, la cui pronuncia costitutiva produce effetti retroattivamente, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, sicché gli interessi decorrono quanto meno dalla domanda stessa, tanto per l’obbligazione restitutoria (cfr. Cass., Sez. 1, sent. 17558 del 02.08.2006; Sez. 2, sent. 25847 del 27.10.2008; Sez. 1, sent. 2522 del 03.12.1970) quanto per quella risarcitoria (cfr. Cass., Sez. 2, sent. 3408 del 22.05.1986; Id., sent. 637 del 27.01.1996; Sez. 3, sent. 6545 del 05.04.2016).
Per regola generale, dunque, ancorché si trattasse di pronuncia giudiziale avente natura costitutiva, con efficacia ex nunc, comunque gli interessi legali spetterebbero almeno dalla domanda e non dalla sentenza.
VIII. Sotto il secondo profilo, valgano le seguenti ulteriori considerazioni, che assumono rilievo assorbente.
La giurisprudenza che nega la spettanza degli accessori sulle trattenute da restituire in esito al giudizio pare fondarsi su una più ampia costruzione sistematica secondo cui il diritto del pensionato alla restituzione delle trattenute non potrebbe sorgere che per effetto di una pronuncia giudiziale, avente natura costitutiva, erroneamente ritenuta essa solo idonea a superare il contrapposto “dovere” di ripetizione dell’indebito, gravante sull’ente di previdenza. Questa tesi postula, implicitamente, che il giudice contabile disponga di un potere, incidente sul rapporto pensionistico, di cui l’ente di previdenza sarebbe invece privo: quello di ravvisare il legittimo affidamento del pensionato e, conseguentemente, di soprassedere dal recupero dell’indebito.
Si finisce così, nella prassi, per obbligare l’ente di previdenza ad agire, sempre e comunque, per il recupero dell’indebito derivante da conguaglio tra liquidazione provvisoria e definitiva della pensione , a prescindere da qualsiasi valutazione sull’affidamento del pensionato; si onera, per riflesso, il pensionato ad agire in sede giurisdizionale, al fine di vedere tutelate le proprie ragioni; si grava quindi il giudice contabile del compito di accertare se sussista o meno un affidamento, alla luce dei parametri indicati da queste Sezioni riunite con la nota sentenza n. 2/2012/QM (valutazione che sarebbe, però, preclusa all’amministrazione); si ingenera, infine, il presupposto per la successiva eventuale restituzione delle somme che, nel frattempo, sono state trattenute tanto doverosamente quanto unilateralmente dall’amministrazione a valere sulla pensione dell’interessato.
Il descritto assetto, nel quale ogni fattispecie di indebito pensionistico è necessariamente destinata a trovare soluzione esclusivamente in sede giudiziaria, perché solo al giudice sarebbe concesso di assumere quel provvedimento (la declaratoria di irripetibilità) che l’amministrazione non potrebbe adottare autonomamente, non pare accettabile. La stessa sentenza n. 2/QM/2012 aveva espressamente chiarito in motivazione che il legittimo affidamento, individuabile attraverso una serie di elementi oggettivi e soggettivi, “è opponibile dall’interessato, a seconda delle singole fattispecie, sia in sede amministrativa che giudiziaria” (par. 11), ribadendo lo stesso concetto nell’enunciazione del principio di diritto (par. 14, ripetuto tal quale nel dispositivo).
Se il legittimo affidamento (che preclude la ripetizione dell’indebito) è opponibile dall’interessato (e quindi rilevabile dall’ente previdenziale) già in sede amministrativa, è evidente che non può attribuirsi alcuna efficacia costitutiva alla sentenza del giudice che, in caso di contestazioni sulla fondatezza dell’opposizione, si pronunci per dirimere la controversia. E’ altresì evidente che la determinazione assunta dall’amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico, in caso di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo, non è affatto automatica e necessitata, ma dovrebbe rappresentare la risultante di una previa valutazione circa la sussistenza o meno dell’affidamento del pensionato, sulla base dei parametri indicati in giurisprudenza (decorso del tempo, rilevabilità dell’errore, importo del trattamento e ragioni della relativa modifica, ecc.). Il recupero dell’indebito pensionistico, dunque, è doveroso per l’amministrazione soltanto nella misura in cui essa, esaminata la fattispecie concreta alla luce del diritto vivente (quale desumibile dalla giurisprudenza), ritenga insussistente l’affidamento del pensionato e decida di procedere in tal senso; ove, all’opposto, sia ravvisabile un affidamento del pensionato, l’amministrazione è tenuta a darne atto e a non recuperare l’indebito.
Solo nel caso in cui insorga una controversia sul punto, esauriti se del caso i rimedi amministrativi, vi sarà ragione di adire il giudice, il quale non potrà che pronunciarsi con una sentenza di natura dichiarativa circa la ripetibilità o meno dell’indebito.
IX. Corollario di quanto fin qui esposto è che il pensionato, in presenza di legittimo affidamento, ha diritto fin dall’origine, quindi già in sede amministrativa, di opporre l’irripetibilità all’amministrazione stessa, quando essa gli intimi la restituzione di un indebito pensionistico in realtà non recuperabile ovvero, allo stesso fine, vada ad operare unilateralmente una trattenuta sulla sua pensione. Il diritto del pensionato a far proprie le somme in questione non necessita dunque, in quanto tale, di alcuna intermediazione giudiziale, ben potendo - e dovendo - essere riconosciuto dall’ente di previdenza già nella sede amministrativa. Ne discende ulteriormente che, in presenza di controversia, qualora le ragioni del pensionato si rivelino poi fondate in sede giurisdizionale, le trattenute effettuate sine titulo (quindi indebite) dovranno essere restituite al medesimo con maggiorazione degli interessi legali, a titolo compensativo, fin dalla data della domanda, cioè dal momento in cui questi abbia fatto valere, nei confronti dell’ente di previdenza, il suo diritto alla definitiva acquisizione al suo patrimonio di quelle somme.
In quest’ottica, la trattenuta effettuata per il recupero di un indebito irripetibile può essere qualificata, a sua volta, alla stregua di un indebito oggettivo: infatti, ove sussista l’affidamento del pensionato, il diritto di credito dell’ente di previdenza (per la ripetizione dell’indebito originario) viene meno, stante l’irripetibilità, con la conseguenza che le somme recuperate dall’ente di previdenza finiscono per costituire esse stesse un indebito, agli effetti dell’art. 2033 del codice civile.
Non può ignorarsi, al riguardo, che l’art. 2033 del codice civile, pur essendo formulato con riferimento all’ipotesi del pagamento "ab origine" indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la "causa debendi", così legittimando la corresponsione degli interessi compensativi secondo i criteri ivi stabiliti (Cass., SS.UU., sent. 5624 del 9.3.2009).
Di qui la necessità di riconoscere senz’altro al solvens (cioè al pensionato) gli interessi legali dalla data della domanda, ove l’accipiens sia in buona fede; in tale condizione soggettiva si trova, di regola, l’Istituto di previdenza, dovendo trovare applicazione il principio per cui la buona fede si presume in difetto di specifiche prove contrarie e, in particolare, non restando essa esclusa per la sola circostanza che il solvens abbia effettuato il pagamento contestando di esservi tenuto e che l’accipiens sia stato consapevole di tali contestazioni, atteso che la buona fede di quest’ultimo sussiste anche in presenza di dubbio circa la debenza della somma corrisposta (cfr. Cass., nn. 8587/2004; 8486/1987; 1025/1982, richiamate in Cass. Sez. Lav., sent. 17848 del 31.07.2009).
Quanto alla nozione di “domanda”, la giurisprudenza ha fatto riferimento, a seconda dei casi, tanto alla domanda giudiziale (cfr. Cass., Sez. 3, sent. 4745 del 4.03.2005; Id., sent. 5520 del 29.02.2008; Sez. Lav., sent. 7830 del 15.04.2005; Sez. 6-3, ord. 13424 del 30.06.2015), quanto alla domanda di restituzione svolta in via extragiudiziale o amministrativa (cfr. Sez. Lav., sent. 7740 del 20.10.1987; Id., sent. 8587 del 5.05.2004; Id., sent. 17848 del 31.07.2009; Id., sent. 7586 del 1.04.2011; Cass., Sez. 1, sent. 22852 del 9.11.2015).
Alla tesi estensiva intendono aderire queste Sezioni Riunite, condividendo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini che qui interessano, la domanda amministrativa ha caratteristiche analoghe alla domanda giudiziale quanto alla certezza del "dies a quo" e all’idoneità dell’atto a rendere consapevole l’ “accipiens” dell’indebito (Cass., Sez. Lav., sent. 9399 del 6.9.1991), non esistendo del resto alcun elemento letterale o logico che possa indurre l’interprete a ritenere che per domanda debba intendersi esclusivamente la domanda giudiziale con esclusione di quella proposta in sede amministrativa (Cass., Sez. Lav., sent. 3692 del 25.3.1992); ciò, a maggior ragione, ove l’istanza amministrativa costituisca presupposto inderogabile per l’esercizio dell’azione giudiziaria, non potendo pregiudicare in nessun modo i diritti sostanziali della parte cui è imposto quell’onere (Cass., Sez. Lav., sent. 7769 del 24.6.1992; Id., sent. 596 del 22.1.1994). D’altra parte, un’interpretazione restrittiva del termine “domanda” susciterebbe seri dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., sì da imporre, anche in caso di dubbio, una interpretazione costituzionalmente conforme (Cass., SS.UU., sent. 7269 del 5.08.1994).
Gli stessi giudici di legittimità, più di recente, hanno ritenuto di dover “dare seguito all'indirizzo (inaugurato da Cass. n. 7586/2011 e seguito incidentalmente da Cass. n. 16657/2014) secondo il quale, in tema di ripetizione d'indebito oggettivo, l'espressione ‘domanda’ di cui all'art. 2033 c.c. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma anche ad atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell'art. 1219 c.c.”; invero, “la ragione di decorrenza degli interessi, di cui all'art. 2033 c.c., dalla domanda stragiudiziale invece che da quella giudiziale è di carattere generale. Come ritenuto da Cass. n. 7586/2011, la riconduzione della formula letterale dell'art. 2033, che parla di ‘domanda’ senza aggettivi, alla domanda giudiziale ha un antico fondamento storico che (…) appare non più corrispondente all'attuale sistema del codice civile” (così Cass., SS.UU., sent. 22852 del 9.11.2015).
In definitiva, l’effetto ripristinatorio derivante dalla restituzione della trattenuta, in linea capitale, non può essere disgiunto, a meno di non cadere in parziale contraddizione, da quello compensativo consistente nel correlato riconoscimento degli interessi, dalla data della formale richiesta e fino alla retrocessione di essa al pensionato.
X. La soluzione qui accolta, secondo cui gli interessi legali spettano dalla data della domanda, sia essa amministrativa o giudiziale, ha anche il pregio oggettivo della certezza applicativa e della neutralità: il risultato finale, infatti, è invariante, indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato dal pensionato per far valere l’irripetibilità (se la domanda amministrativa o la domanda giudiziale), dalla posizione assunta nel giudizio (se parte ricorrente o convenuta), dal fondamento delle trattenute (ad esempio, se una sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, o un provvedimento unilaterale dell’amministrazione), dai tempi e dai modi di svolgimento del procedimento amministrativo e dell’eventuale giudizio.
Ciò in linea di continuità con quanto già a suo tempo affermato con la citata sentenza n. 2/QM/2012, secondo cui l’affidamento (e, con esso, l’irripetibilità dell’indebito) può essere fatto valere dal pensionato anche in sede amministrativa e non necessariamente in sede giudiziale.
XI. Così rimeditata la questione di massima sottoposta a queste Sezioni riunite, a modifica di quanto affermato con la citata sentenza n. 11/QM/2015, va enunciato il seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
Va da sé che, per le trattenute che l’amministrazione abbia continuato ad operare successivamente alla domanda (amministrativa o giudiziale), gli interessi legali spettano dalla data di ciascuna di esse.
XII. Trattandosi del primo caso di “motivato dissenso” di cui all’art. 117 del codice di giustizia contabile, occorre ora soffermarsi sull’espressione legislativa secondo cui alle Sezioni riunite è rimessa “la decisione dell’impugnazione”.
Al riguardo, non si ignora che, con sentenza n. 7/QM/2010 del 30 settembre 2010, si era ritenuta solo apparente l’identità tra l’art. 374 del codice di procedura civile e il citato articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993, giungendo alla motivata conclusione secondo cui “le Sezioni riunite potrebbero, in caso di dissenso adeguatamente motivato, rivedere il principio di diritto affermato o dare una diversa soluzione alla questione di massima presentata rispetto a quanto in precedenza enunciato, rimettendo, poi, la definizione del merito della fattispecie agli organi giurisdizionali remittenti”; in particolare, in quella sede non si era ritenuto possibile, siccome contrastante con il quadro normativo e con princìpi costituzionali, che la “rimessione del giudizio debba essere intesa come spogliazione della causa di merito da parte della Sezione regionale o centrale a favore dell’Organo nomofilattico”.
Quest’ultima conclusione deve essere oggi rivisitata, in ragione del mutato contesto normativo, alla luce degli stessi criteri già a suo tempo valorizzati, a contrario, con la citata sentenza n. 7/QM/2010.
In particolare:
- la legge delega 7 agosto 2015, n. 124, all’articolo 20, comma 2, lettera n), nel delegare il governo a “ridefinire e riordinare le norme concernenti il deferimento di questioni di massima e di particolare importanza (…) proponibili alle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale” ha fatto espresso richiamo, tra l’altro, “alle disposizioni dell’articolo 374 del codice di procedura civile, in quanto compatibili”;
- le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti sono oggi configurate dal codice quale “articolazione interna della medesima Corte in sede d’appello” (art. 11);
- tanto il deferimento di questioni di massima di cui all’art. 114 quanto il motivato dissenso di cui all’art. 117 sono testualmente riferiti alle sole sezioni giurisdizionali d’appello;
- l’art. 117 fa oggi espresso ed inequivoco riferimento alla rimessione della “decisione dell’impugnazione”;
- sono stati positivamente sanciti i principi di “concentrazione” (art. 3) e di “ragionevole durata del processo” (art. 4).
Di qui l’inequivoca volontà legislativa di deferire alle Sezioni riunite, a fronte della “riproposizione di questione in caso di motivato dissenso” (art. 117), non soltanto la conferma del principio di diritto o l’enunciazione di un nuovo principio, bensì la decisione stessa dell’impugnazione, senza necessità di un ulteriore passaggio dinanzi al giudice a quo.
Alla predetta conclusione, tenuto anche a mente che la giurisdizione della Corte dei conti è esercitata secondo le norme del codice della giustizia contabile (art. 1, comma 3), non osta la pur residua, innegabile, diversità tra i giudizi per Cassazione (concernenti le sole questioni di diritto) e i giudizi d’appello dinanzi alla Corte dei conti (concernenti, in materia di responsabilità, anche questioni di fatto). Spetta, infatti, alle stesse Sezioni riunite in sede giurisdizionale (le quali “sono l’organo che assicura l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione delle norme di contabilità pubblica” ex art. 11: sono quindi, precipuamente, giudice del diritto) fornire un’interpretazione sistematica dell’art. 117 e, così, farne buon governo nell’applicazione concreta, in coerenza con quegli stessi criteri generali che, nel diverso ambito del processo civile, hanno ad esempio ispirato gli articoli 384 c.p.c. e 142 delle relative disposizioni d’attuazione.
In particolare, spetta alle Sezioni Riunite, nell’affermare il principio di diritto sul quale si è incentrato il motivato dissenso, valutare se si debba, caso per caso, definire l’intero giudizio di impugnazione oppure decidere per tal via solo uno o più dei motivi d’impugnazione (di propria stretta competenza, in quanto vertenti su questioni di massima, in diritto), per poi rimettere alla sezione semplice la causa per la decisione degli ulteriori motivi (rientranti, in linea di principio, nella competenza delle sezioni semplici).
Ogni valutazione, in proposito, non potrà che essere condotta sulla base dell’analisi della fattispecie concreta, anche in considerazione del numero e della natura dei motivi d’impugnazione, degli accertamenti da svolgere, del numero e della posizione delle parti, della possibilità di definire agevolmente l’impugnazione mediante la soluzione delle questioni di diritto sottoposte all’organo di nomofilachia ovvero dell’opportunità di lasciare alla competenza delle sezioni semplici l’apprezzamento dei fatti di causa, ipotesi quest’ultima certamente residuale, che però non può almeno in astratto essere esclusa.
XIII. Nel caso di specie, è evidente che l’intera impugnazione, per la parte non già decisa con la citata sentenza parziale n. 24/2017 della seconda Sezione, può essere agevolmente definita direttamente da queste Sezioni riunite, mediante l’applicazione del principio di diritto dinanzi enunciato, non essendovi ulteriori motivi da esaminare e non essendovi alcuna ragione (alla luce dei richiamati principi di concentrazione, in senso lato, e ragionevole durata del processo) per rimettere le parti dinanzi al giudice a quo al solo fine di vedere applicato il principio affermato in questa sede, cui non può che conseguire il rigetto dell’appello dell’INPS e l’integrale conferma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010.
È appena il caso di rilevare, al riguardo, che la statuizione del giudice di prime cure, nella parte in cui aveva dichiarato il diritto del pensionato agli interessi legali solo dalla domanda giudiziale (e non dalla data della precedente domanda amministrativa, cioè del ricorso al Comitato di vigilanza), non aveva formato oggetto di impugnazione da parte del pensionato, sicché non potrebbe in ogni caso essere riformata in peius in esito all’appello del solo INPS (cfr. Cass., Sez. 2, sent. 25244 del 8.11.2013).
XIV. Le spese di lite, per la parte che non ha già formato oggetto di statuizione con la citata sentenza-ordinanza n. 24/2017, sono integralmente compensate per “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” ex art. 31, comma 3, del codice della giustizia contabile.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, pronunciando sulla riproposizione di questione di massima per motivato dissenso, rimessa ex art. 117 del codice della giustizia contabile dalla Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello con sentenza-ordinanza n. 24/2017,
AFFERMA
il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui, a seguito di conguaglio tra il trattamento provvisorio e quello definitivo di pensione , a debito del pensionato, siano state disposte dall’amministrazione, ai fini del recupero, ritenute sulla pensione , ma sia successivamente accertato l’affidamento dell’interessato e, per l’effetto, sia dichiarato il suo diritto alla restituzione, in tutto o in parte, di quanto in precedenza trattenuto, sulle somme in restituzione spettano gli interessi legali, dalla data della domanda giudiziale o, ove proposta, dalla data della precedente domanda amministrativa”.
Per l’effetto, definitivamente pronunciando,
RESPINGE
l’appello proposto dall’INPDAP e proseguito dall’INPS avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia n. 119 del 9 giugno 2010, per la parte non già decisa con la sentenza-ordinanza della Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello n. 24 del 19 gennaio 2017.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, nelle Camere di consiglio del 14 giugno e del 4 ottobre 2017.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gerardo de Marco Alberto Avoli
Depositato in segreteria in data 12 ottobre 2017
Il Direttore della segreteria
Maria Laura Iorio
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
questa sentenza richiama anche quella n. 93/2014 della C.C. Sardegna
Ricorso Accolto.
N.B.: ricorrente di altra Amministrazione.
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applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
1) - Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016.
2) - La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.
3) - A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.
4) - Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).
5) - Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
6) - Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.
7) - La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).
8) - Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).
9) - Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.
10) - Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
N.B.: rileggi i punti 9 e 10 sopraindicati.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2017 PENSIONI 13/12/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso in materia di pensione, iscritto al n. 13885 del registro di segreteria, depositato in data 13/07/2017, proposto da
R.. Sergio, nato a ……. il …../1954, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Genovese, presso il cui studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, è elettivamente domiciliato;
contro
INPS – sede provinciale di Trieste (gestione ex POST), in persona del direttore pro-tempore.
Visto l'atto introduttivo del giudizio.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi, all'udienza del 13 dicembre 2017, l'avv. Genovese per il ricorrente e l’avv. Bridda nell’interesse dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, il sig. R.. chiede venga affermato il suo diritto al riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015. Deduce all’uopo di essere in possesso dei pertinenti requisiti di accesso a tale beneficio, essendo cessato dal servizio in data 28/02/2014 ed avendo maturato, al 30/12/2015, un’anzianità contributiva di anni 42, mesi 5 e giorni 25, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 42 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
Riferisce di aver presentato in data 22/10/2015 domanda all’INPS per conseguire il suddetto trattamento, ricevendo – tuttavia – risposta negativa, con provvedimento del 7/01/2016, nel quale l’Istituto previdenziale ha opposto che “alla data del 30 settembre 2015 risultano accreditati 42 anni 2 mesi e 25 giorni nel fondo ex ipost, nel 2016 il requisito per la pensione anticipata di anzianità è pari a 42 anni e 10 mesi”.
Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016. La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.
A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.
Con memoria depositata in data 14/11/2017 di è costituito in giudizio l’INPS, deducendo preliminarmente la tardività della notifica del ricorso nei propri confronti, avvenuta soltanto in data 07/11/2017.
Chiamata la causa nella pubblica udienza del 15/11/2017, il Giudice – rilevato il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 155 c.g.c per la notificazione del ricorso alla parte resistente – ha disposto il rinvio della trattazione della causa alla successiva udienza del 13/12/2017.
In data 21/11/2017 l’INPS ha depositato una nota illustrativa della posizione amministrativa del ricorrente, nella quale si precisa che al 31/12/2015 questi ha maturato un’anzianità contributiva di 42 anni, 5 mesi e 25 giorni, per effetto del versamento volontario dei contributi previdenziali per il quarto trimestre 2015. Ivi si rileva, altresì, che “l’unico elemento ostativo ai fini del riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015 è stata la mancata maturazione di un’anzianità contributiva pari ad almeno 41 (leggasi 42) anni e 6 mesi entro il 2015 senza arrotondamenti”.
Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).
Nella pubblica udienza odierna le parti hanno confermato le conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.
Considerato in
DIRITTO
La domanda attorea si palesa fondata.
Ritiene questo Giudice, infatti, che vada confermata l’interpretazione offerta da questa Sezione giurisdizionale in ordine alla vigente disciplina di computo e valutazione dei requisiti di contribuzione necessari per l’accesso alla pensione di anzianità.
Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.
La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6). Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).
Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.
Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
Con riferimento alla specifica posizione del sig. R.., deve inoltre osservarsi come egli rientri in una delle categorie di soggetti in favore dei quali l’INPS medesimo, nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, ha previsto la salvaguardia del meccanismo di arrotondamento al mese intero, ovverosia quanti siano stati già collocati in quiescenza alla data del 30 aprile 2015: il ricorrente, infatti, ha risolto il rapporto di lavoro in data 28/02/2014. Rispetto a questa indicazione si presenta, poi, sostanzialmente apodittica la diversa ulteriore lettura della stessa offerta dall’Istituto secondo cui, invece, ai fini dell’applicazione dell’ arrotondamento , rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (come espressamente previsto nel predetto messaggio) bensì l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si reputa sussistano in favore del sig. R.. i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata alla data del 31 dicembre 2015, pari ad anni 42, mesi 5 e giorni 25, venga arrotondata ad anni 42 e mesi 6, con conseguente affermazione del suo diritto alla retrodatazione della decorrenza della pensione di anzianità liquidatagli alla data del 23/12/2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.
In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:
- dichiara il diritto del ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 23.12.2015, con ogni effetto di legge.
- condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
Il Giudice Cons. Giulia De Franciscis
f.to
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Trieste, 13 dicembre 2017
Il Direttore della Segreteria
(Dott.ssa Anna De Angelis)
f.to
Ricorso Accolto.
N.B.: ricorrente di altra Amministrazione.
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applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
1) - Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016.
2) - La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.
3) - A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.
4) - Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).
5) - Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
6) - Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.
7) - La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6).
8) - Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).
9) - Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.
10) - Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
N.B.: rileggi i punti 9 e 10 sopraindicati.
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 13/12/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 84 2017 PENSIONI 13/12/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso in materia di pensione, iscritto al n. 13885 del registro di segreteria, depositato in data 13/07/2017, proposto da
R.. Sergio, nato a ……. il …../1954, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Genovese, presso il cui studio, in Gorizia, Viale XXIV Maggio n. 11, è elettivamente domiciliato;
contro
INPS – sede provinciale di Trieste (gestione ex POST), in persona del direttore pro-tempore.
Visto l'atto introduttivo del giudizio.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi, all'udienza del 13 dicembre 2017, l'avv. Genovese per il ricorrente e l’avv. Bridda nell’interesse dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, il sig. R.. chiede venga affermato il suo diritto al riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015. Deduce all’uopo di essere in possesso dei pertinenti requisiti di accesso a tale beneficio, essendo cessato dal servizio in data 28/02/2014 ed avendo maturato, al 30/12/2015, un’anzianità contributiva di anni 42, mesi 5 e giorni 25, periodo suscettibile di arrotondamento ad anni 42 e mesi 6 in applicazione dell’art. 59 della legge n. 449/1997.
Riferisce di aver presentato in data 22/10/2015 domanda all’INPS per conseguire il suddetto trattamento, ricevendo – tuttavia – risposta negativa, con provvedimento del 7/01/2016, nel quale l’Istituto previdenziale ha opposto che “alla data del 30 settembre 2015 risultano accreditati 42 anni 2 mesi e 25 giorni nel fondo ex ipost, nel 2016 il requisito per la pensione anticipata di anzianità è pari a 42 anni e 10 mesi”.
Il ricorrente ha poi presentato una nuova domanda di pensione in data 22/04/2016, accompagnata da ulteriori versamenti contributivi volontari, che è stata accolta, avendo questi conseguito il requisito previsto di un’anzianità di 42 anni e 10 mesi. La pensione è stata dunque concessa con decorrenza dal 6/05/2016. La presente impugnativa è dunque finalizzata ad ottenere la retrodatazione dell’attribuzione della pensione alla scadenza originariamente richiesta del 23/12/2015, avendo l’interessato fatto espressa riserva – all’atto della seconda istanza – di salvaguardare gli effetti della precedente.
A sostegno delle proprie ragioni afferma che il D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, non ha abrogato la normativa in materia di arrotondamento dell’anzianità contributiva prevista dall’art. 59 della legge n. 449/1997 ed ha richiamato, al riguardo, il messaggio n. 3305 del 14/05/2015, con il quale l’INPS stesso ha confermato l’operatività del meccanismo di computo nei confronti di coloro che, alla data del 30/04/2015, risultassero già cessati dal lavoro. Richiama altresì le recenti favorevoli statuizioni rese sul punto da questa Sezione giurisdizionale con sentenza n. 84/2016.
Con memoria depositata in data 14/11/2017 di è costituito in giudizio l’INPS, deducendo preliminarmente la tardività della notifica del ricorso nei propri confronti, avvenuta soltanto in data 07/11/2017.
Chiamata la causa nella pubblica udienza del 15/11/2017, il Giudice – rilevato il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 155 c.g.c per la notificazione del ricorso alla parte resistente – ha disposto il rinvio della trattazione della causa alla successiva udienza del 13/12/2017.
In data 21/11/2017 l’INPS ha depositato una nota illustrativa della posizione amministrativa del ricorrente, nella quale si precisa che al 31/12/2015 questi ha maturato un’anzianità contributiva di 42 anni, 5 mesi e 25 giorni, per effetto del versamento volontario dei contributi previdenziali per il quarto trimestre 2015. Ivi si rileva, altresì, che “l’unico elemento ostativo ai fini del riconoscimento della pensione anticipata con decorrenza dal 23/12/2015 è stata la mancata maturazione di un’anzianità contributiva pari ad almeno 41 (leggasi 42) anni e 6 mesi entro il 2015 senza arrotondamenti”.
Con successiva memoria, depositata il 29/11/2017, l’Istituto previdenziale ha contestato nel merito la fondatezza della pretesa attorea, osservando come a seguito della legge n. 247/2007 e del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, sia l’I.N.P.D.A.P. (circolare n. 7/2008) che l’I.N.P.S. (messaggio n. 2974/2015) hanno ritenuto non più applicabile la disciplina di cui all’art. 59 della legge n. 449/1997: ulteriore conferma di tale linea interpretativa si ritiene emerga dalla circolare del Ministero dell’Istruzione del 2012, nonché da alcune pronunce di questa Corte (Sez. Lazio n. 253/2015; Sez. Marche n. 50/2015).
Nella pubblica udienza odierna le parti hanno confermato le conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.
Considerato in
DIRITTO
La domanda attorea si palesa fondata.
Ritiene questo Giudice, infatti, che vada confermata l’interpretazione offerta da questa Sezione giurisdizionale in ordine alla vigente disciplina di computo e valutazione dei requisiti di contribuzione necessari per l’accesso alla pensione di anzianità.
Si è posto in rilievo in particolare come il principio generale di riferimento sia rappresentato, per gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 274/1991 a norma del quale: “ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore”.
Accanto a tale statuizione si pone – con riguardo al caso di specie - l’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, secondo cui, per “la determinazione dell’anzianità contributiva sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, le frazioni di anno non danno luogo ad arrotondamenti per eccesso o per difetto”.
La disposizione è stata interpretata dall’I.N.P.D.A.P. (ora INPS) nel senso della sopravvenuta sostituzione del meccanismo dell’ arrotondamento ad anno intero previsto nell’art. 40 del D.P.R. n. 1092/1973 con quello dell’ arrotondamento a mese intero, mutuato appunto dal succitato l’art. 3 della legge n. 274/1991 (cfr. circolare I.N.P.D.A.P. n. 14 del 16 marzo 1998, punto 6). Detta opzione ermeneutica – come già rilevato da questa Sezione – ha trovato riscontro nella giurisprudenza contabile, laddove si è affermato che, in mancanza di una previsione specifica, “è giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria” (Sez. Sardegna sent. n. 93/2014).
Orbene, nel descritto quadro di riferimento, deve riconoscersi che la normativa di cui alla L. n. 247/2007 e all’art. 24 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 - richiamata dall’I.N.P.S. per giustificare il diniego della pensione anticipata - non prevede invero alcuna disposizione abrogativa dell’indicato criterio dell’ arrotondamento a mese intero.
Né, d’altro canto, siffatto effetto abrogativo della relativa previsione di cui all’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, può ritenersi conseguire alle plurime e mutevoli interpretazioni indicate nel tempo dall’I.N.P.S. e dall’I.N.P.D.A.P. in proprie circolari, come tali prive di efficacia normativa (e.g. circolare I.N.P.D.A.P. n. 7 del 13 maggio 2008; messaggio I.N.P.S. n. 2974 del 30 aprile 2015).
Con riferimento alla specifica posizione del sig. R.., deve inoltre osservarsi come egli rientri in una delle categorie di soggetti in favore dei quali l’INPS medesimo, nel messaggio n. 3305 del 14 maggio 2015, ha previsto la salvaguardia del meccanismo di arrotondamento al mese intero, ovverosia quanti siano stati già collocati in quiescenza alla data del 30 aprile 2015: il ricorrente, infatti, ha risolto il rapporto di lavoro in data 28/02/2014. Rispetto a questa indicazione si presenta, poi, sostanzialmente apodittica la diversa ulteriore lettura della stessa offerta dall’Istituto secondo cui, invece, ai fini dell’applicazione dell’ arrotondamento , rileverebbe non già l’avvenuta risoluzione del rapporto alla data del 30 aprile 2015 (come espressamente previsto nel predetto messaggio) bensì l’aver maturato, entro la medesima data, il diritto a pensione.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, in applicazione dell’art. 59, co. 1, lett. b) della legge n. 449/1997, si reputa sussistano in favore del sig. R.. i presupposti affinché l’anzianità contributiva maturata alla data del 31 dicembre 2015, pari ad anni 42, mesi 5 e giorni 25, venga arrotondata ad anni 42 e mesi 6, con conseguente affermazione del suo diritto alla retrodatazione della decorrenza della pensione di anzianità liquidatagli alla data del 23/12/2015, con ogni effetto utile ai fini della liquidazione degli arretrati e dei relativi accessori.
In applicazione del principio della soccombenza, va disposta la condanna dell’I.N.P.S. alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:
- dichiara il diritto del ricorrente a conseguire la pensione anticipata dal 23.12.2015, con ogni effetto di legge.
- condanna l’I.N.P.S. alla rifusione delle spese di lite, che liquida nell’importo di euro 1.300,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
Il Giudice Cons. Giulia De Franciscis
f.to
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Trieste, 13 dicembre 2017
Il Direttore della Segreteria
(Dott.ssa Anna De Angelis)
f.to
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Messaggio da pozzadifassa »
Sig PANORAMA le ho inviato un messaggio privato, forse non l'ha visto
grazie
grazie
Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
Trattamento economico da includere in quota A e B.
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La Corte dei Conti del Veneto precisa:
1) - Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017,
2) - In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che:
<<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ",
- ) - per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", - - ) - ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l).
3) - Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni)
o in parte
(se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo -
che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
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VENETO SENTENZA 137 17/11/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 137 2017 PENSIONI 17/11/2017
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N. 137/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,
nella pubblica udienza del giorno 14-11-2017, ha pronunziato
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30448, del registro di segreteria, proposto con ricorso da
1) B. M. c.f. OMISSIS;
2) R. G. c.f. OMISSIS;
3) P. V. c.f. OMISSIS;
4) B. M. c.f. OMISSIS;
5) B. P. c.f. OMISSIS;
6) M. V. c.f. OMISSIS;
7) F. M. c.f. OMISSIS;
8) T. A. c.f. OMISSIS;
9) M. A. c.f. OMISSIS;
10) M. A. c.f. OMISSIS;
11) V. E. c.f. OMISSIS;
12) C. S. c.f. OMISSIS;
13) M. M. c.f. OMISSIS;
14) T. S. c.f. OMISSIS;
15) O. L. c.f. OMISSIS;
16) C. R. F. S. c.f. OMISSIS;
17) S. A. c.f. OMISSIS;
18) M. F. c.f. OMISSIS;
tutti elett.te domiciliati in Roma via Attilio Regolo 12/D, presso lo studio dell'Avv. Angelo Lanzilao e Massimiliano Fazi entrambi del foro di Roma, che li rappresentano e difendono nel presente procedimento ed eleggono domicilio presso lo studio dell'Avv. Giuseppe TESSARIN, via Romea Vecchia 203, Taglio di Po (RO),
RICORRENTI
contro
LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,
non costituita, RESISTENTE
per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti alla riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante il calcolo dell'"indennità di funzione" o "operativa" di cui all'art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, corrisposta in servizio e non valutata in quiescenza dall'Amministrazione. Con conseguente condanna dall'amministrazione al pagamento delle differenze dovute e non corrisposte oltre interessi.
VISTI il regio decreto 13.8.1933, n. 1038; il decreto-legge 15.11.1993, n. 453, convertito dalla legge 14.1.1994, n. 19; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.
ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 14/9/2017, - notificato alla controparte -, parte ricorrente ha chiesto a questa Corte dei Conti quanto indicato in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si deve dichiarare la contumacia della parte convenuta, stante la sua mancata costituzione a seguito di rituale notifica avvenuta sia per posta con raccomandata a.r. (il 27-9-2017), che tramite PEC ai sensi della legge n. 53 del 1994 (il 19-9-2017).
Accertata la regolare costituzione del contradditorio si può esaminare il merito in assenza di questioni pregiudiziali.
La difesa dei ricorrenti deduce in fatto quanto segue.
Tutti i ricorrenti hanno prestato servizio presso gli Organismi di Informazione e Sicurezza di cui alla L. 801 del 1977 (ora denominati D.I.S. - Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza, a seguito dell'intervento normativo di cui alla L. 124/2004) nella speciale consistenza organica istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e già collocati in congedo.
In applicazione delle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale appartenente agli Organismi 1.55., i ricorrenti hanno fruito del trattamento economico previsto dall'art. 18 comma 1 del D.P.C.M. 21.11.1980 n. 8.
In aggiunta al trattamento stipendiale di cui sopra è stata loro corrisposta in costanza di servizio l'indennità di funzione (spettante ai dirigenti) od operativa (per i non dirigenti), definita "non pensionabile" dal comma 3 dello stesso art. 18 D.P.C.M 8/1980.
Collocati a riposo nel nuovo rapporto d'impiego con diritto al trattamento pensionistico , questo gli veniva liquidato senza il computo dell'indennità di funzione/operativa percepita durante il servizio prestato, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per integrare il trattamento di quiescenza con il computo dell'indennità, sia ostandovi il disposto normativo di cui all'art. 18 co. 3 DPCM 8/80 che ne esclude espressamente la pensionabilità, sia per le generali disposizioni di cui all'art. 43 DPR 1092/73, applicabile al personale dei Servizi, in forza del rinvio di cui all'art. 56 del medesimo DPCM, per il quale il detto personale ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza nei termini e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni per gli impiegati dello Stato, trattandosi, infatti, di una indennità omnicomprensiva, corrisposta a titolo di rimborso forfetario delle spese comunque sostenute e che non ha natura retributiva.
Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017, a cui questo Giudice fa riferimento, nella parte motiva del riconoscimento del diritto analogo a quello azionato in questo giudizio, ed a cui si rinvia espressamente per relationem per l’integrazione della motivazione della presente sentenza.
In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che: <<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ", per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l). Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
Orbene, "indennità di funzione per i dirigenti e "indennità operativa" per il restante personale previste per il servizio presso gli Organismi di informazione e sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall'art. 18, comma 3 del DPCM n 8/80 e dalla stessa norma dichiarate "non pensionabili" andavano corrisposte per i periodi di servizio effettiva, ente prestato e di congedo ordinario": determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l'aggiornamento tecnico-professionale". queste indennità non sono comprese nell'elencazione delle somme escluse dalla base imponibile contenuta nell'art. 12 della L. 153/1969 e richiamata dall'art 2 della L. n. 335/1995. sono divenute pertanto pensionabili dal 10/1/1996 e vanno computate nella quota B della pensione. ».
Pertanto il ricorso deve essere accolto nei termini indicati nelle decisioni della Sezione centrale di appello sopra citate.
Le oscillazioni giurisprudenziali, la controvertibilità e la complessità delle questioni trattate, e l’epilogo del processo giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese c.d. legali.
Non è luogo, invece, a provvedere sulle spese c.d. di giudizio in considerazione del principio di sostanziale gratuità delle cause previdenziali, contenuto nell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica,
ACCOGLIE
il ricorso indicato in epigrafe.
Spese legali compensate.
Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Venezia, il 14-11-2017.
IL GIUDICE
f.to (Cons. Maurizio Massa)
Depositata in Segreteria il 17/11/2017
Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo
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LEGGE 8 agosto 1995, n. 335
Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.
Art.2.
(Armonizzazione)
OMISSIS
9. Con effetto dal 1 gennaio 1996, per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, si applica, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, l'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni. Con decreto del Ministro del tesoro sono definiti i criteri per l'inclusione nelle predette basi delle indennità e assegni comunque denominati corrisposti ai dipendenti in servizio all'estero.
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N.B.: - Questa qui sotto è una delle 3 sentenze d'Appello richiamate dalla Corte dei Conti per il Veneto, uguale alle altre.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 05/04/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 2017 PENSIONI 05/04/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SECONDA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
composta dai magistrati
dott. Stefano Imperiali Presidente relatore
dott.ssa Angela Silveri Consigliere
dott. Piero Floreani Consigliere
dott. Vincenzo Palomba Consigliere
dott. Antonio Buccarelli Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull’appello n. 42544 del registro di segreteria, proposto dai sigg. A. D. F. e G. F., rappresentati e difesi dagli avvocati Massimiliano Fazi e Angelo Lanzilao, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010.
Visti gli atti del giudizio;
Uditi all’udienza del 4.4.2017 il relatore e l’avv. Massimiliano Fazi;
Non costituito in giudizio l’appellato;
Ritenuto in
FATTO
1. Con sentenza 2022 del 2.11.2010, la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha respinto il ricorso dei dipendenti del Ministero della Difesa in epigrafe indicati, collocati in quiescenza da data successiva all’entrata in vigore della legge n. 335/1995, proposto per il computo ai fini pensionistici dell’“indennità di funzione/operativa” prevista, dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977.
2. Con appello notificato il 14.12.2011 e depositato il 12.1.2012, è stata lamentata l’“omessa statuizione in ordine alla applicabilità” della legge n. 335/1995 ed è stata pertanto chiesta la riforma della sentenza.
3. All’udienza del 4.4.2017, l’avv. Massimiliano Fazi ha insistito per l’accoglimento dell’appello.
Considerato in
DIRITTO
1. L’art. 13 del d.lgs. n. 503/1992 ha stabilito: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.
2. Successivamente, l’art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell’art. 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla “determinazione della base contributiva e pensionabile”, per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con “elencazione” che è “tassativa” (art. 12 cit., comma 5), "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro". Ma ha anche precisato che tale innovazione ha “effetto dal 1 gennaio 1996” (comma 9) e che “la retribuzione” definita secondo le nuove disposizioni “concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” (comma 11).
Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1.1996 - ai quali per l’art. 1, commi 12 e 13, della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di un’anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di un’anzianità inferiore) il sistema pensionistico “retributivo” - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
3. Orbene, l’“indennità di funzione” per i dirigenti e l’“indennità operativa” per il “restante personale”, previste per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall’art. 18, comma 3, del d.P.C.M. n. 8/1980 e dalla stessa norma dichiarate “non pensionabili”, andavano “corrisposte per i periodi di servizio effettivamente prestato e di congedo ordinario”: “determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico-professionale”.
Queste “indennità” non sono comprese nell’ “elencazione” delle “somme” escluse dalla “base imponibile” contenuta nell’art. 12 della legge n. 153/1969 e richiamata dall’art. 2 della legge n. 335/1995. Sono divenute pertanto pensionabili dal 1°.1.1996 e vanno computate nella quota B di pensione.
4. L’appello in esame va in definitiva parzialmente accolto, con riforma della sentenza impugnata. Spetta sui ratei arretrati il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, in applicazione dell’art. 5 della legge n. 205/2000 e in conformità ai principi definiti dalla sentenza delle Sezioni Riunite n. 10/QM/2002.
Alcune incertezze giurisprudenziali inducono a compensare le spese di giudizio.
P. Q. M.
la Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello,
accoglie parzialmente l’appello proposto dai sigg. A. D. F. e G. F. e per l’effetto, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010, dichiara che le indennità previste dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, dagli stessi percepite, vanno computate nella quota B di pensione. Con il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sui ratei arretrati. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 aprile 2017.
Il Presidente
Stefano Imperiali
f.to Stefano Imperiali
Depositata in Segreteria il -5 APR. 2017
Il Dirigente
Dott.ssa Sabina Rago
f.to Sabina Rago
panorama
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Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm
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La Corte dei Conti del Veneto precisa:
1) - Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017,
2) - In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che:
<<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ",
- ) - per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", - - ) - ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l).
3) - Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni)
o in parte
(se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo -
che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
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VENETO SENTENZA 137 17/11/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 137 2017 PENSIONI 17/11/2017
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N. 137/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
in composizione monocratica ai sensi dell’articolo 5 della legge 21.7.2000, n. 205, in persona del Cons. Maurizio Massa,
nella pubblica udienza del giorno 14-11-2017, ha pronunziato
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 30448, del registro di segreteria, proposto con ricorso da
1) B. M. c.f. OMISSIS;
2) R. G. c.f. OMISSIS;
3) P. V. c.f. OMISSIS;
4) B. M. c.f. OMISSIS;
5) B. P. c.f. OMISSIS;
6) M. V. c.f. OMISSIS;
7) F. M. c.f. OMISSIS;
8) T. A. c.f. OMISSIS;
9) M. A. c.f. OMISSIS;
10) M. A. c.f. OMISSIS;
11) V. E. c.f. OMISSIS;
12) C. S. c.f. OMISSIS;
13) M. M. c.f. OMISSIS;
14) T. S. c.f. OMISSIS;
15) O. L. c.f. OMISSIS;
16) C. R. F. S. c.f. OMISSIS;
17) S. A. c.f. OMISSIS;
18) M. F. c.f. OMISSIS;
tutti elett.te domiciliati in Roma via Attilio Regolo 12/D, presso lo studio dell'Avv. Angelo Lanzilao e Massimiliano Fazi entrambi del foro di Roma, che li rappresentano e difendono nel presente procedimento ed eleggono domicilio presso lo studio dell'Avv. Giuseppe TESSARIN, via Romea Vecchia 203, Taglio di Po (RO),
RICORRENTI
contro
LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI,
non costituita, RESISTENTE
per il riconoscimento del diritto dei ricorrenti alla riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante il calcolo dell'"indennità di funzione" o "operativa" di cui all'art. 18 del DPCM n. 8 del 1980, corrisposta in servizio e non valutata in quiescenza dall'Amministrazione. Con conseguente condanna dall'amministrazione al pagamento delle differenze dovute e non corrisposte oltre interessi.
VISTI il regio decreto 13.8.1933, n. 1038; il decreto-legge 15.11.1993, n. 453, convertito dalla legge 14.1.1994, n. 19; gli articoli 5 e 9 della legge 21.7.2000, n. 205.
ESAMINATI il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
Nell’udienza, udite le parti presenti, come da verbale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 14/9/2017, - notificato alla controparte -, parte ricorrente ha chiesto a questa Corte dei Conti quanto indicato in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si deve dichiarare la contumacia della parte convenuta, stante la sua mancata costituzione a seguito di rituale notifica avvenuta sia per posta con raccomandata a.r. (il 27-9-2017), che tramite PEC ai sensi della legge n. 53 del 1994 (il 19-9-2017).
Accertata la regolare costituzione del contradditorio si può esaminare il merito in assenza di questioni pregiudiziali.
La difesa dei ricorrenti deduce in fatto quanto segue.
Tutti i ricorrenti hanno prestato servizio presso gli Organismi di Informazione e Sicurezza di cui alla L. 801 del 1977 (ora denominati D.I.S. - Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza, a seguito dell'intervento normativo di cui alla L. 124/2004) nella speciale consistenza organica istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e già collocati in congedo.
In applicazione delle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale appartenente agli Organismi 1.55., i ricorrenti hanno fruito del trattamento economico previsto dall'art. 18 comma 1 del D.P.C.M. 21.11.1980 n. 8.
In aggiunta al trattamento stipendiale di cui sopra è stata loro corrisposta in costanza di servizio l'indennità di funzione (spettante ai dirigenti) od operativa (per i non dirigenti), definita "non pensionabile" dal comma 3 dello stesso art. 18 D.P.C.M 8/1980.
Collocati a riposo nel nuovo rapporto d'impiego con diritto al trattamento pensionistico , questo gli veniva liquidato senza il computo dell'indennità di funzione/operativa percepita durante il servizio prestato, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per integrare il trattamento di quiescenza con il computo dell'indennità, sia ostandovi il disposto normativo di cui all'art. 18 co. 3 DPCM 8/80 che ne esclude espressamente la pensionabilità, sia per le generali disposizioni di cui all'art. 43 DPR 1092/73, applicabile al personale dei Servizi, in forza del rinvio di cui all'art. 56 del medesimo DPCM, per il quale il detto personale ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza nei termini e con le modalità previste dalle vigenti disposizioni per gli impiegati dello Stato, trattandosi, infatti, di una indennità omnicomprensiva, corrisposta a titolo di rimborso forfetario delle spese comunque sostenute e che non ha natura retributiva.
Sul tema oggetto del presente giudizio si è già pronunciata di recente la Seconda Sezione centrale di appello con le sentenze n. 202/17 204/17 e 205/17 del 4 aprile 2017, a cui questo Giudice fa riferimento, nella parte motiva del riconoscimento del diritto analogo a quello azionato in questo giudizio, ed a cui si rinvia espressamente per relationem per l’integrazione della motivazione della presente sentenza.
In particolare la Sezione centrale nelle decisioni citate rileva che: <<....l'art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell'art, 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla "determinazione della base contributiva e pensionabile ", per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con elencazione che e tassativa (art. 12 cit. comma 5) , "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza del rapporto di lavoro ", ma ha anche precisato che takinnovazione ha effetto dal 1° gennaio 1996 e che la retribuzione definita secondo le nuove disposizioni concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma I lett. b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 503 (comma l). Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1 .1996 — ai quali per l'ari. 1 commi 12 e 13 della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di una anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di una anzianità inferiore) il sistema pensionistico retributivo - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
Orbene, "indennità di funzione per i dirigenti e "indennità operativa" per il restante personale previste per il servizio presso gli Organismi di informazione e sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall'art. 18, comma 3 del DPCM n 8/80 e dalla stessa norma dichiarate "non pensionabili" andavano corrisposte per i periodi di servizio effettiva, ente prestato e di congedo ordinario": determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l'aggiornamento tecnico-professionale". queste indennità non sono comprese nell'elencazione delle somme escluse dalla base imponibile contenuta nell'art. 12 della L. 153/1969 e richiamata dall'art 2 della L. n. 335/1995. sono divenute pertanto pensionabili dal 10/1/1996 e vanno computate nella quota B della pensione. ».
Pertanto il ricorso deve essere accolto nei termini indicati nelle decisioni della Sezione centrale di appello sopra citate.
Le oscillazioni giurisprudenziali, la controvertibilità e la complessità delle questioni trattate, e l’epilogo del processo giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese c.d. legali.
Non è luogo, invece, a provvedere sulle spese c.d. di giudizio in considerazione del principio di sostanziale gratuità delle cause previdenziali, contenuto nell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica,
ACCOGLIE
il ricorso indicato in epigrafe.
Spese legali compensate.
Per il deposito della sentenza è fissato il termine di 20 giorni dalla data dell’udienza.
Così deciso in Venezia, il 14-11-2017.
IL GIUDICE
f.to (Cons. Maurizio Massa)
Depositata in Segreteria il 17/11/2017
Il Funzionario preposto
f.to Nadia Tonolo
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LEGGE 8 agosto 1995, n. 335
Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.
Art.2.
(Armonizzazione)
OMISSIS
9. Con effetto dal 1 gennaio 1996, per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, si applica, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, l'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni. Con decreto del Ministro del tesoro sono definiti i criteri per l'inclusione nelle predette basi delle indennità e assegni comunque denominati corrisposti ai dipendenti in servizio all'estero.
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N.B.: - Questa qui sotto è una delle 3 sentenze d'Appello richiamate dalla Corte dei Conti per il Veneto, uguale alle altre.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 05/04/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 202 2017 PENSIONI 05/04/2017
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SECONDA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
composta dai magistrati
dott. Stefano Imperiali Presidente relatore
dott.ssa Angela Silveri Consigliere
dott. Piero Floreani Consigliere
dott. Vincenzo Palomba Consigliere
dott. Antonio Buccarelli Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull’appello n. 42544 del registro di segreteria, proposto dai sigg. A. D. F. e G. F., rappresentati e difesi dagli avvocati Massimiliano Fazi e Angelo Lanzilao, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010.
Visti gli atti del giudizio;
Uditi all’udienza del 4.4.2017 il relatore e l’avv. Massimiliano Fazi;
Non costituito in giudizio l’appellato;
Ritenuto in
FATTO
1. Con sentenza 2022 del 2.11.2010, la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha respinto il ricorso dei dipendenti del Ministero della Difesa in epigrafe indicati, collocati in quiescenza da data successiva all’entrata in vigore della legge n. 335/1995, proposto per il computo ai fini pensionistici dell’“indennità di funzione/operativa” prevista, dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977.
2. Con appello notificato il 14.12.2011 e depositato il 12.1.2012, è stata lamentata l’“omessa statuizione in ordine alla applicabilità” della legge n. 335/1995 ed è stata pertanto chiesta la riforma della sentenza.
3. All’udienza del 4.4.2017, l’avv. Massimiliano Fazi ha insistito per l’accoglimento dell’appello.
Considerato in
DIRITTO
1. L’art. 13 del d.lgs. n. 503/1992 ha stabilito: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.
2. Successivamente, l’art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 ha esteso ai dipendenti pubblici la disciplina dell’art. 12 della legge n. 153/1969, e successive modificazioni, sulla “determinazione della base contributiva e pensionabile”, per cui va considerato come retribuzione pensionabile, fatte salve le eccezioni espressamente previste con “elencazione” che è “tassativa” (art. 12 cit., comma 5), "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro". Ma ha anche precisato che tale innovazione ha “effetto dal 1 gennaio 1996” (comma 9) e che “la retribuzione” definita secondo le nuove disposizioni “concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” (comma 11).
Ne consegue, per i dipendenti già in servizio al 1°.1.1996 - ai quali per l’art. 1, commi 12 e 13, della stessa legge n. 335/1995 continuava ad applicarsi in tutto (se a tale data in possesso di un’anzianità contributiva superiore a 18 anni) o in parte (se in possesso di un’anzianità inferiore) il sistema pensionistico “retributivo” - che le voci del trattamento economico già pensionabili secondo le disposizioni precedenti andavano computate anche nella quota A di pensione, mentre quelle divenute pensionabili solo con la legge n. 335/1995 andavano invece computate solamente nella quota B.
3. Orbene, l’“indennità di funzione” per i dirigenti e l’“indennità operativa” per il “restante personale”, previste per il servizio presso gli Organismi di Informazione e di Sicurezza istituiti dalla legge n. 801/1977 dall’art. 18, comma 3, del d.P.C.M. n. 8/1980 e dalla stessa norma dichiarate “non pensionabili”, andavano “corrisposte per i periodi di servizio effettivamente prestato e di congedo ordinario”: “determinate con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono onnicomprensive di qualsiasi prestazione accessoria e costituiscono rimborso forfettario delle spese comunque sostenute per lo svolgimento dei compiti di istituto e per l’aggiornamento tecnico-professionale”.
Queste “indennità” non sono comprese nell’ “elencazione” delle “somme” escluse dalla “base imponibile” contenuta nell’art. 12 della legge n. 153/1969 e richiamata dall’art. 2 della legge n. 335/1995. Sono divenute pertanto pensionabili dal 1°.1.1996 e vanno computate nella quota B di pensione.
4. L’appello in esame va in definitiva parzialmente accolto, con riforma della sentenza impugnata. Spetta sui ratei arretrati il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, in applicazione dell’art. 5 della legge n. 205/2000 e in conformità ai principi definiti dalla sentenza delle Sezioni Riunite n. 10/QM/2002.
Alcune incertezze giurisprudenziali inducono a compensare le spese di giudizio.
P. Q. M.
la Corte dei conti, Seconda Sezione giurisdizionale centrale d’appello,
accoglie parzialmente l’appello proposto dai sigg. A. D. F. e G. F. e per l’effetto, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 2022 del 2.11.2010, dichiara che le indennità previste dall’art. 18 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 8 del 21.11.1980, dagli stessi percepite, vanno computate nella quota B di pensione. Con il maggior importo tra gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sui ratei arretrati. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 aprile 2017.
Il Presidente
Stefano Imperiali
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
in allegato la legge 153/1969 dal titolo: " Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale".
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Re: Corte dei Conti, varie loc., per problemi pensionistici
==============================================================panorama ha scritto:Per tutti gli interessati e lettori di questo forum, pubblico alcune sentenze emesse dalla Corte dei Conti di alcune città, sperando di far nuovamente cosa buona. Purtroppo andando in pensione per un motivo o per un'altro si è all'oscuro di tanti benefici e "guerre economiche" fatte per giusta causa. Quì potranno trovare "nel dubbio" qualcosa di interessante. Le notizie apparse sui giornali e riviste varie, passano dalla mente, ma una notizia scritta su questo forum può essere sempre consultata.
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CAMPANIA
In composizione monocratica nella persona del Primo Referendario Rossella Cassaneti in funzione di Giudice unico delle pensioni ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 35233/PM del registro di segreteria depositato in data 11 novembre 2002 dal sig. D.C., nato a omissis, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del ricorso, dall'avv. C…. B…. e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Salerno alla via F. Prudente n. 9, contro il decreto del Ministero della Difesa – D.G. Pensioni n. 211 del 14 maggio 1994;
Esaminati i documenti e gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del giorno 8 aprile 2010 soltanto l’avv. C…. B….. in difesa del ricorrente, non comparsa la convenuta Amministrazione;
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, ritualmente notificato all'Amministrazione della Difesa, il signor C. chiedeva l'attribuzione di trattamento pensionistico privilegiato vitalizio, con interessi e rivalutazione come per legge dal sorgere del diritto sino all'effettivo soddisfo, nonché risarcimento del danno patito a causa del protrarsi dello svolgimento di compiti faticosi a dispetto dell'insorta infermità con interessi e rivalutazione come per legge, oltre a vittoria di spese processuali, per l'infermità “ernia discale”, già riconosciuta dipendente da causa di servizio ed indennizzata con tre annualità di tabella B con il decreto n. 211/1994 (impugnato) indicato in epigrafe.
Esponeva a tal fine il ricorrente, che a causa della predetta infermità, manifestatasi dopo circa due mesi (fine novembre 1989) dall'inizio del servizio di leva (28.09.1989) con dolori alla schiena ed alla gamba sinistra, ebbe ad insorgere ed a peggiorare proprio a causa del servizio di leva, durante il quale egli non solo svolgeva i faticosi addestramenti del C.A.R. iniziale ma anche veniva impiegato per la guida degli autoveicoli militari, avendo nel frattempo conseguito patente militare di guida di categoria C, nonché per il carico e lo scarico degli automezzi; lamentava, inoltre, che, dopo alcuni ricoveri, soltanto il 27.07.1990 venne finalmente diagnosticata “lombosciatalgia sx da sospetta protusione discale di L5-S1, causata da pregressa distorsione acuta lombosacrale”, dopodiché, accertato trattarsi di ernia del disco L5-S1, venne riformato in data 13.10.1990.
Lamentava, quindi, il C. che a causa della precitata patologia discale subiva intervento chirurgico il 24.01.1991, venendo poi sottoposto a visita per pensione privilegiata presso la C.M.O. di Roma – Cecchignola in data 20.02.1992, con diagnosi di “in atto esiti di laminectomia sx L5-S1 con riduzione dello spazio intersomatico”, riconosciuta dipendente da c.s. ed ascrivibile a tre annualità di ottava categoria. Successivamente, il C. presentava domanda di aggravamento allegando peggioramento delle sue condizioni, riscontrato come insussistente nella visita del 04.09.1996 presso la C.M.O. di Caserta; nell'anno 2000 subiva nuovo intervento per recidiva di ernia discale L5-S1.
Allegava al ricorso documentazione sanitaria comprovante l'evolversi della patologia suindicata e relazione CTP redatta dal dr. Giuseppe Consalvo, specialista in medicina Legale e delle Assicurazioni, secondo cui il C. sarebbe attualmente affetto da “esiti di duplice intervento chirurgico di laminectomia per ernia discale L5/S1 con recidivata radiculopatia compressiva S1”, infermità collocabile nella sesta categoria di pensione tabella A, in quanto caratterizzata da cronicità e da elevato grado invalidante (40-50%) almeno a far data dalla visita collegiale del 04.09.1996.
Con nota n. 627960 del 04.10.2005, pervenuta il 13.10.2005 (richiamata e reiterata in nota difensiva presentata il 09.03.2010), il Ministero della Difesa – D.G. Personale Militare trasmetteva copie di atti ricompresi nel fascicolo pensionistico del ricorrente nonché memoria difensiva, in cui eccepiva l'infondatezza nel merito del ricorso stante la legittimità dell'operato dell'Amministrazione nel caso di specie e, in subordine, l'intervenuta prescrizione quinquennale dei ratei pensionistici non riscossi.
Con memoria difensiva integrativa depositata in data 15.01.2007, cui allegava ulteriore documentazione sanitaria, la difesa del ricorrente, meglio specificando i motivi della pretesa di trattamento pensionistico vitalizio di sesta categoria come dalla surriportata relazione CTP, precisava che il trattamento in questione dovrebbe essere attribuito con decorrenza dallo stabilizzarsi dell'infermità (luglio 1990) o almeno dal suo aggravamento (aprile 1996). Concludeva per l'accoglimento di tutte le domande già avanzate nel ricorso introduttivo, ivi compresa quella inerente il risarcimento del danno biologico ed esistenziale.
Con ordinanza n. 21/2007 di questa Sezione, depositata in Segreteria il 29.01.2007, è stato disposto un supplemento d'istruttoria finalizzato ad acquisire: 1. copia del verbale di visita collegiale del 04.09.1996 presso la C.M.O. di Caserta e dell'istanza di aggravamento all'uopo presentata dal ricorrente; 2. motivato parere dell'UML presso il Ministero della Salute relativamente ai seguenti quesiti: “a. se possa ritenersi che la patologia discale diagnosticata al signor D.C. fosse già meritevole di trattamento pensionistico vitalizio alla data del congedo (13.10.1990), ovvero se sia da ritenersi congruo l'indennizzo una tantum corrispondente a tre annualità di tabella B attribuito con il decreto n. 211/1994 impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio; b. se, in caso contrario, sia attribuibile pensione vitalizia con decorrenza dalla successiva domanda di aggravamento (1996) e, in tal caso, quale sia la categoria di pensione ascrivibile”.
In data 29.09.2009 è pervenuto alla Sezione il parere n. 116765 del 24.09.2009 dell'UML presso il Ministero della Salute, in cui il CTU interpellato con la prefata ordinanza ha formulato valutazione positiva in ordine ad entrambi i proposti quesiti, esprimendo parere di attribuibilità della patologia discale del ricorrente all'ottava categoria vitalizia a decorrere dalla data del congedo ed alla sesta categoria vitalizia dalla successiva domanda di aggravamento (1996).
In memoria integrativa presentata il 19.03.2010 la difesa del ricorrente, aderendo alle conclusioni del CTU interpellato dalla Sezione, ha chiesto che il ricorso venisse accolto conformemente ad esse, insistendo inoltre anche per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
Nella pubblica udienza odierna l’avv. C….. B……, riportandosi integralmente agli scritti difensivi e meglio specificandone le argomentazioni, ha insistito per l’accoglimento di tutte le domande ed istanze ivi proposte.
Il giudizio è quindi passato in decisione con la lettura del dispositivo in udienza.
Considerato in
DIRITTO
Preliminarmente, va dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, poiché avente ad oggetto un diritto estraneo al rapporto pensionistico, la domanda formulata con il gravame in epigrafe relativamente al risarcimento dell’asserito danno biologico ed esistenziale. Invero, il fondamentale presupposto su cui si basa la giurisdizione della Corte dei conti (art. 13 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. n.1214 del 12.7.1934) è costituito dalla sussistenza di una controversia avente ad oggetto il diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, ivi incluse le questioni comunque incidenti sul contenuto del diritto stesso e sull'ammontare del trattamento relativo.
Pertanto, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (biologico ed esistenziale) avanzata dal ricorrente deve essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione di questa Corte (cfr. ex plurimis: Sez. Giur. Veneto, sentenza n. 350/2009; Sez. Giur. Abruzzo, sentenza n. 117/2010).
Inoltre, non può essere presa in esame la questione relativa all'allegato aggravamento della patologia discale del signor C., riconosciuta dipendente da c.s.m. ed indennizzata con tre annualità di ottava categoria con il decreto n. 211/1994.
Invero, in atti non risulta che sia avvenuta la presentazione nell'anno 1996 – come invece afferma la difesa del ricorrente – di istanza di aggravamento, né che il C. sia stato sottoposto a visita presso la CMO per la prescritta visita collegiale. Soltanto, è allegata al ricorso introduttivo (all. n. 21 bis) copia dell'invito rivolto dalla CMO di Napoli al signor D.C. a presentarsi a v.c. in data 03.09.1996. Il Ministero della Difesa – Prevmil – 2° Reparto – 6^ Divisione, ha inoltre evidenziato, in nota pervenuta alla Sezione in data 02.04.2007 e trasmessa in ottemperanza al punto 1 dell'ordinanza n. 21/2007 di questa Sezione (riportata in premessa), che “agli atti della scrivente non risultano pervenute istanza di aggravamento né il processo verbale del 04.09.1996”.
Conseguentemente, la questione relativa all'allegato aggravamento, oggetto a dire della difesa del ricorrente di domanda presentata nell'anno 1996 (ma totalmente assente in atti), non può essere esaminata in questa sede, bensì va dichiarata inammissibile per non essere stata preceduta - come invece espressamente previsto dall’art. 71 R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 a pena di inammissibilità - da apposita domanda in via amministrativa.
Per quanto attiene, invece, la questione relativa alla spettanza di trattamento pensionistico alla data del congedo dedotta in giudizio dal C., il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Sul punto, va ricordato che l'art. 70 del DPR n. 1092/73 dà diritto a trattamento pensionistico, per infermità già riconosciute ed indennizzate, quando queste risultino aggravate e nei limiti del sopravvenuto aggravamento.
Orbene, il ricorrente sostanzialmente lamenta, con il ricorso, un'inadeguata valutazione medico-legale dell'infermità da cui è affetto, perché rapportata ad una meno favorevole categoria indennitaria. In definitiva, la censura sollevata cade sul giudizio di ascrivibilità dell'affezione formulato dall'Amministrazione.
La valutazione del preteso migliore trattamento riflette, infatti, necessariamente i parametri dell'ascrivibilità, nel senso che la consistenza dell'invalidità che deriva dalla patologia dipendente dal servizio, è commisurata al tipo ed alla natura dell'infermità secondo una classificazione predeterminata.
Quindi, il giudizio sull'ascrivibilità sottende una valutazione medico-legale della misura di invalidazione della capacità lavorativa, indotta dall'infermità contratta per causa del servizio.
Tale valutazione si fonda sull'apprezzamento dell'entità della riduzione della cosiddetta validità economica dell'individuo, tenendo conto, da un lato, del danno che deriva dall'infermità contratta a causa del servizio e dall'altro delle residue attitudini lavorative e della loro capacità a produrre guadagno.
Le tabelle “A” e “B” contengono i parametri di misurazione standardizzata del livelli di riduzione della validità economica, in relazione alla tipologia dell'infermità contratta e al contempo determinano il “quantum” necessario a compensare, sia pure in misura minimale, tale riduzione.
Nel caso di specie, dagli atti risulta quanto segue:
• Il signor D.C., valutato idoneo allo svolgimento del servizio di leva nell'apposita visita, venne arruolato il 28.09.1989 nel 17.mo Btg. Fanteria “San Martino” di Sulmona (AQ) con le mansioni di “fuciliere assaltatore”, per svolgere l'iniziale periodo di addestramento e poi essere inviato il 27.10.1989 al 57.mo Btg. Fanteria Motorizzata “Abruzzi” di Sora (FR), dove sul finire del mese di novembre 1989 iniziò ad accusare lombosacralgia con irradiazione sciatalgica all'arto inferiore sinistro, la cui persistenza (caratterizzata da fasi acute alternate ad altre di apparente remissione) indusse il ricovero del C. presso l'O.M. di Roma nel periodo 11-14.12.1989, dove fu formulata diagnosi di “lombalgia”;
• anche dopo la dimissione, il problema continuò a persistere e, nel frattempo, il C. conseguì abilitazione militare alla guida di categoria C, di modo che nel mese di febbraio 1990 gli venne assegnato l'incarico di “radiofonista-conduttore”, con compiti di guida, carico e scarico di automezzi;
• a seguito del Campo d'Arma tenutosi a Barisciano (AQ: Gran Sasso) dal 26.04 al 15.05 del 1990, le condizioni del C. subirono un sensibile peggioramento, con fasi di silenzio clinico sempre più rare e brevi e limitazione funzionale ingravescente (difficoltà nel passare alla stazione eretta e nel sedersi, difficoltà deambulatoria e deambulazione con zoppia), sicché il ricorrente si sottopose, durante un periodo di licenza, ad una visita specialistica ortopedica presso il Presidio Poliambulatoriale di Battipaglia, dove gli venne diagnosticata “lombosciatalgia sinistra da sospetta protrusione discale di L5-S1, causata da pregressa distorsione lombo-sacrale”;
• rientrato al Corpo, subì ricovero presso l'OM “Celio” di Roma dal 31.07 al 01.08 del 1990, venendo poi dimesso con dieci giorni di licenza per convalescenza, durante i quali in data 08.08.1990 si sottopose, presso il Centro Diagnostico Salernitano, ad una TC colonna che evidenziò “... ernia postero-laterale sinistra del disco intersomatico L5-S1, a sviluppo prevalentemente intra-foraminale ...”, dopo di che, rientrato al Corpo, venne sottoposto a nuovo ricovero presso l'OM “Celio” di Roma nel periodo 10-13.08.1990, per essere dimesso con trenta giorni di licenza per convalescenza, seguiti da vari permessi e, infine, dalla riforma a mente dell'art. 75/c E.I. in data 13.10.1990;
• in data 25.09.1990 D.C. presentò domanda di pensione privilegiata ed il 13.11.1990 venne sottoposto a visita specialistica neurochirurgica presso la Divisione di Neurochirurgia Funzionale dell'Università di Napoli, dove fu formulata la diagnosi di “ernia discale L5-S1 sinistra intraforaminale (sciatica paralizzante)”, abbisognevole di intervento chirurgico di “erniectomia e laminectomia sinistra L5-S1”, effettuato nel gennaio 1991 presso il Centro Traumatologico Ortopedico di Firenze, per poi praticare un'intensa terapia riabilitativa;
• in data 20.02.1992 il C. venne sottoposto a v.c. presso la CMO di Roma – Cecchignola, che formulò diagnosi di “ernia del disco; in atto: esiti di emilaminectomia sx. L5-S1 con riduzione del relativo spazio intersomatico”, infermità ritenuta ascrivibile ad indennità una tantum pari a tre annualità di tabella B, nonché fondamentalmente preesistente al servizio di leva ma significativamente incisa, sotto il profilo concausale, dalle caratteristiche del medesimo;
• il CPPO espresse parere conforme nella seduta del 24.01.1994, di modo che venne emesso il decreto n. 211/1994 del Ministero della Difesa, ritenuto non satisfattivo dall'odierna parte ricorrente.
L'UML, interpellato quale consulente tecnico d'ufficio dal G.U., ha diagnosticato al C. “esiti di duplice intervento chirurgico di emilaminectomia L5-S1 ed erniectomia per ernia discale L5-S1 recidivata, con radicolite cronica, fibrosi peri-radicolare e neuro-apraxia; protrusione discale L4-L5”.
Il CTU, inoltre, ha rilevato che la patologia discale rachidea sviluppata dal C. ha avuto la sua estrinsecazione clinico-obiettiva due mesi dopo l'inizio del servizio di leva, il quale ha senz'altro influito, sotto il profilo concausale efficiente e determinante, “nella genesi delle successivamente evidenziate ernie, configurandosi come antecedente necessario seppur verosimilmente non sufficiente nella determinazione della infermità posta in diagnosi, avendo contribuito in modo prevalente nonché preponderante rispetto a fattori estranei al servizio stesso, caratterizzato da un tipo di attività svolta corrispondente – ad avviso del CTU – in modo chiaro e compatibile con la “sede di applicazione e di azione delle forze meccaniche potenzialmente lesive” nonché con “le modalità di produzione, manifestazione ed evoluzione delle lesioni prodottesi”. Infatti – ha osservato ancora l'UML - “le caratteristiche dei multipli eventi lesivi (ovvero i compiti previsti dal servizio di leva dapprima in qualità di fuciliere assaltatore, indi di autista di automezzi, con mansioni altresì di carico e scarico degli stessi: si ricorda in proposito che il C. era stato trasferito nella Fanteria Motorizzata, cioè quella parte della Fanteria le cui forze vengono autotrasportate per seguire rapidamente gli spostamenti delle forze corazzate) e quelle delle conseguenze dannose determinatesi a livello vertebrale risultano avere una stretta connessione reciproca con creazione di un “quantum” di danno risultante dal contrapporsi della energia del mezzo lesivo e della resistenza organica opposta alla struttura rachidea”.
Considerate, inoltre, l'insuscettibilità di miglioramento e la consistenza delle limitazioni funzionali caratterizzanti l'esaminata patologia (del resto emergenti anche dal p.v. n. 619 del 20.02.1992 della CMO di Roma – Cecchignola: “la digitopressione ... vivamente dolente ... L'articolarità attiva è ridotta di un quarto e riferita dolente ... Esiti di emilaminectomia sx L5-S1 con riduzione del relativo spazio intersomatico”) , l'UML ha concluso osservando che il danno vertebro-discale subito dal C. al termine del servizio militare ed a causa di esso, è di entità tale da far propendere per l'ascrivibilità ad ottava categoria vitalizia – Tabella A di pensione.
Orbene, questo G.U. ritiene condivisibili per la loro esaustività e congruità di motivazione le argomentazioni e le valutazioni tecniche espresse dall'UML interpellato dalla Sezione. Il CTU, invero, ha esaminato collegialmente, con la partecipazione di esperto specialista in Ortopedia, ed attentamente la documentazione sanitaria in atti, sottoponendo il ricorrente a visita diretta.
Valga evidenziare, comunque, che l'eccezione di prescrizione sollevata dall'Amministrazione resistente si rivela riscontro probatorio, poiché, pur essendo vero che il decreto n. 211 impugnato con il ricorso è datata 14.05.1994 ed è stato registrato alla Corte dei conti il 13.12.1994, mentre il ricorso introduttivo del giudizio è stato notificato nell'ottobre 2002, è anche vero che non vi è alcuna prova in atti della data in cui il provvedimento di che trattasi è stato notificato all'interessato.
Alla luce di quanto sopra il ricorso va quindi accolto, nei termini dianzi specificati, con decorrenza del relativo trattamento pensionistico dalla data del congedo (13 ottobre 1990).
In conformità con i principi affermati dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con sentenza n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002, che ha esteso alle pensioni militari, tabellari e di guerra la disciplina relativa all'erogazione degli accessori sui crediti pensionistici, spetta sugli arretrati, dalla scadenza di ogni rata debitoria, la maggior somma tra quanto dovuto per rivalutazione monetaria - ex art. 150 disp. att. c. p. c. - e per interessi legali.
Questo Giudice ravvisa nella complessità della problematica connessa alla pretesa azionata, un giusto motivo, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., applicabile al giudizio pensionistico ai sensi dell'art.26 del R.D. n.1038/1933, per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CAMPANIA
In composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico primo referendario Rossella Cassaneti, definitivamente pronunciando:
1. DICHIARA INAMMISSIBILE per difetto di giurisdizione la domanda di risarcimento del danno biologico ed esistenziale;
2. DICHIARA INAMMISSIBILE ai sensi dell’art. 71 R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 la domanda relativa all'allegato aggravamento;
3. ACCOGLIE la domanda di pensione privilegiata e, per l'effetto, riconosce il diritto del signor D.C. a percepire trattamento pensionistico di ottava categoria tabella A per l'infermità “ernia del disco; in atto: esiti di emilaminectomia sx. L5-S1 con riduzione del relativo spazio intersomatico”, a decorrere dal 13 ottobre 1990 (data del congedo).
Sulle somme arretrate dovute in esecuzione della presente sentenza spetta il maggior importo tra interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza di ciascun rateo fino al soddisfo.
Spese del giudizio compensate.
Così deciso in Napoli, nella pubblica udienza del giorno 8 aprile 2010.
IL GIUDICE UNICO
Rossella Cassaneti
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il Direttore della segreteria (Dott. Giuseppe Volpe)
Il tuo servizio è degno di lode caro Panorama...grazie !
Difendete le vostre idee ma state sempre pronti a cambiarle con quelle di un altro se vi sembrano migliori.
(François Fenelon)
(François Fenelon)
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