trattamento pensionistico post riforma

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vincent62

Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da vincent62 »

Ciao Maxleon
Scusa se mi intrometto, ma l' art. 37 L.559/54 che è stato abrogato il 9/10/2010,da quello che intuisco e siccome è un articolo di legge,deve valere per tutte le forze di Polizia,non solo per la G.di F giusto?


maxleon
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Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da maxleon »

Si, vale per tutte le forze di Polizia, ma il fatto è che TUTTE le vecchie leggi di Stato che regolavano la materia sono state abrogate, perchè espressamente previsto dagli artt. 2267 e seguenti del d.lgs. 66 del 2010 (Nuovo Codice Ordinamento Militare). Però ciò non vuol dire che il contenuto delle vecchie leggi non sia più valido, perchè è semplicemente traslato negli artt.867 c.5, 920 c. 5 e 923 c.5 del nuovo regolamento, quindi sostanzialmente la cosa rimane invariata. Tuttavia, sembra che per la Guardia di Finanza non sia applicabile tutto il nuovo codice di ordinamento, infatti l'art.2136 dello stesso d.lgs. 66 del 2010, prevede che lo stesso sia assimilabile anche alla G.di F. solo in taluni casi e non sono ricompresi i citati artt.867 c.5, 920 c. 5 e 923 c.5..

Io ho "scaricato" il nuovo Codice di ordinamento militare e non so se è possibile allegarlo e daltronde non lo saprei fare, ma cmq lo si rova facilmente in rete, scegliete solo la versione da 25 mb perchè quelle più piccole sono incomplete.
vincent62

Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da vincent62 »

Si parlava se non sbaglio di rimozione del grado con data retroattiva allo stato giuuridico che si conservava al momento dell'evento negativo....Però,.quello che non capisco,qual'è la sostanza di questo vuoto di cui parla il tuo legale da un ex art.ad un ex-novo,se la sostanza è sempre la stessa?
maxleon
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Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da maxleon »

Le vecchie disposizioni sono state abrogate, le nuove non sono applicabili alla G.di F., quindi non possono retrodatare. Naturalmente è probabile che anche per altre forze dell'ordine non sia applicabile, ma io ho visto solo quello che mi riguardava, se interessa qualcosa di specifico si può cercarlo sul nuovo ordinamento, magari se mi dici cosa serve in dettaglio posso vederlo io.

Resta però una considerazione da fare e cioè che questo vuoto non è detto che resti tale per il futuro, perchè potrebbero cambiare il disposto, soprattutto considerando che il mio procedimento penale è ancora agli inizi.
vincent62

Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da vincent62 »

Nel dettaglio non posso entrare,ma posso dirti che da tempo non me la passo molto bene......anzi. :x :x
Siccome faccio parte della P. di S. volevo capire semplicemente se la cosa poteva interessare anche a me.
melissa1998

Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da melissa1998 »

Scusate,sono stato riformato nov. 2009,secondo voi visto che l'unica patologia non dipendente da causa di servizio è "attacchi di panico con agorafobia" potrei chiedere l'inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa
legge 335/95? ringrazio a chi vorrà rispondermi.
panorama
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Re: trattamento pensionistico post riforma

Messaggio da panorama »

In questa sentenza del Consiglio di Stato si parla oltre alla perdita del grado per procedimento penale ed altro anche del relativo trattamento pensionistico avvenuto a seguito di riforma da parte della CMO.
Posto solamente la parte economica poichè il resto potete leggerlo in sentenza.

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L'INTERESSATO:
Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.

IL CONSIGLIO DI STATO precisa al numero 2.4. (cmq. vi rimando alla lettura della sentenza):

2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.

Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.

Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.

L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).

La censura, conclusivamente, è infondata.

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N. 04292/2012REG.PROV.COLL.
N. 05518/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5518 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Discepolo, con domicilio eletto presso Maurizio Discepolo in Roma, via Conca D'Oro, 184/190;

contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. delle MARCHE – Sede di ANCONA- SEZIONE I n. 00097/2010, resa tra le parti, concernente SANZIONE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato Diego Perucca in sostituzione di Maurizio Discepolo e l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellante signor OMISSIS l’annullamento del decreto del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza datato 4 marzo 2008, con cui gli era stata applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Questi aveva esposto di essere stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 (come da verbale della C.M.O. di Chieti in data 19/4/2007, di cui l’Amministrazione aveva preso atto con decreto n. …… in data 5/9/2007 del Comandante della Regione Marche della Guardia di Finanza) ed aveva quindi impugnato la detta determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, con cui era stata rideterminata la causa della cessazione dal servizio (da infermità a rimozione con perdita del grado).

La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante - imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p.- aveva subito una condanna ad anni due di reclusione ex art. 444 cpp (condanna divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione).

L’originario ricorrente aveva proposto tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, ipotizzando, da un canto, la illegittima compressione del diritto quesito al trattamento di quiescenza e, per altro verso la violazione degli artt. 37 e 60 della legge n. 599/1954 (in quanto la sentenza penale pronunciata a suo carico non recava la sanzione accessoria della perdita del grado ed il procedimento penale era stato avviato dopo che egli era già cessato dal servizio, mentre l’art. 60 della citata legge prevedeva che la perdita del grado decorresse dalla data del decreto ministeriale che la disponeva).

Sotto altro profilo, aveva ipotizzato la violazione art. 29 c.p.m.p. (sostenendo che alla perdita del grado di Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza non poteva seguite la retrocessione a soldato semplice, ma semmai al grado più basso della gerarchia del Corpo).

Il Tribunale amministrativo regionale, ricostruita analiticamente la disciplina sottesa alla vicenda processuale ha partitamente esaminato le dedotte doglianze ed ha definito la causa nel merito respingendo il ricorso.

Quanto alla prime due censure, il primo giudice ha ritenuto che fossero stati correttamente applicati gli artt. 37 e 61 della legge 31 luglio 1954 n. 599 che costituivano eccezione alla regola generale di cui all’art. 60 della citata legge.

Sotto altro profilo, posto che ex art. 60 della legge citata il sottufficiale della Guardia di Finanza poteva incorrere nella perdita del grado sia in conseguenza di una condanna penale o dell’applicazione di misure di sicurezza (ex art. 60, n. 7), sia a seguito di procedimento disciplinare, (art. 60, n. 6) non era rilevante il fatto che la sentenza pronunciata a suo carico dal giudice penale non contemplasse anche la sanzione accessoria della perdita del grado.

Né poteva sostenersi che l’Amministrazione avesse illegittimamente inciso su un diritto quesito, in quanto costituiva un principio generale dell’ordinamento quello secondo cui il trattamento di quiescenza che viene erogato al pubblico dipendente al momento della cessazione dal servizio è provvisorio, sia per quanto riguarda l’an, sia per ciò che attiene al quantum.

Del pari, ad avviso del primo giudice, meritava reiezione l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il OMISSIS aveva censurato la propria “retrocessione” a soldato semplice in forza al Centro Documentale (ex Distretto Militare) di Ancona: ciò perché la retrocessione al grado più basso della gerarchia costituiva una conseguenza giuridica della perdita del grado, per cui non rilevava il fatto che l’originario ricorrente fosse stato riconosciuto non idoneo in assoluto al servizio militare.

Avverso la sentenza in epigrafe l’ originario ricorrente rimasto soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello chiedendone la riforma.

Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.

La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante era stato imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p., aveva subito una condanna di anni due di reclusione ex art. 444 cpp resa dal tribunale d Ancona in data …. luglio 2006, divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione (in data 9 luglio 2007).

L’inchiesta disciplinare era stata avviata nel settembre 2007 e si era conclusa nel novembre 2007, ed all’esito della stessa egli era stato ritenuto non meritevole della conservazione del grado.

L’azione amministrativa (e la sentenza che ne aveva affermato la esattezza) era gravemente viziata.

La sentenza penale di condanna a suo carico, infatti, non aveva disposto la rimozione né la perdita del grado; il procedimento disciplinare era stato avviato dopo la sentenza di condanna, ma altresì successivamente al collocamento in congedo.

Ne discendeva che era stato fatto malgoverno degli artt. artt. 37, 60 e 26 della L. n. 599/1954.

Non poteva applicarsi, infatti, né l’art. 37 comma 2 della legge n. 599/1954 (perché la sentenza penale non aveva statuito sul punto della rimozione) né simili conseguenze avrebbero potuto discendere dal procedimento disciplinare avviato, in quanto promosso successivamente ed impingente con un diritto quesito dell’appellante (e comunque, a tutto concedere, ex art. 60 della L. n. 599/1954 la perdita del grado avrebbe dovuto avere la stessa decorrenza del decreto che l’aveva disposta e non avrebbe potuto spiegare effetti retroattivi).

Per altro verso, illegittimamente era stata disattesa dal primo giudice la interpretazione dell’art. 29 del cpmp resa in passato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006: illegittimamente l’appellante era stato posto a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice, piuttosto che fatto ridiscendere al grado più basso della scala gerarchica della Guardia di Finanza.

L’appellante ha puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate note d’udienza, riepilogative dell’intero contenzioso.
L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO

1.L’appello è infondato e va respinto.

2.Quanto alla prima censura prospettata, nessuna delle articolazioni in cui la stessa si struttura persuade il Collegio.

2.1. In particolare, preme al Collegio anticipare che la tesi appellatoria secondo cui, a cagione della circostanza che la condanna penale pronunciata a carico dell’appellante non conteneva la sanzione della perdita del grado (e del corollario per cui questa sanzione, conseguentemente, non sarebbe stata irrogabile in sede di procedimento disciplinare) l’azione amministrativa sarebbe stata gravemente viziata, appare del tutto destituita di fondamento.

La detta tesi, infatti, come meglio si vedrà immediatamente di seguito, non soltanto collide con la lettera della legge ( nella parte in cui consente che la predetta sanzione possa essere applicata a conclusione di un giudizio disciplinare regolandone la decorrenza) ma, soprattutto, perviene ad una interpretazione certamente non desumibile dalla lettera della legge e del tutto illogica.

Deve considerarsi infatti, che la sanzione penale venne applicata all’appellante a conclusione di un procedimento di cui agli arrt. 444 e segg del codice di rito penale, e che l’art.445 comma 1 del predetto codice di procedura penale stabilisce che “La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale”.

Posto che l’appellante chiese ed ottenne di essere processato con il rito del “patteggiamento”, è evidente che la sentenza applicativa della pena resa dal Giudice penale e regiudicata non avrebbe potuto applicare alcuna sanzione accessoria: fare da ciò discendere una preclusione rispetto alla applicazione di puntuali disposizioni di legge, od alla successiva instaurazione di un procedimento disciplinare, appare senz’altro errato.

La tesi prospettata dall’appellante, soprattutto – ed a prescindere dalla circostanza che, come meglio si vedrà, la stessa appare smentita dalle positive disposizioni di cui alla legge n. 599/1954- appare illogica in quanto farebbe discendere dalla scelta processuale effettuata dall’imputato in sede penale (che, allo stato della legislazione processualpenalistica si configura, sostanzialmente, come un vero e proprio diritto potestativo) circostanze preclusive in sede disciplinare non desumibili per via interpretativa e contrarie alla logica.

2.2. Ciò premesso, stabilisce l’art. 26 della legge 31 luglio 1954 n. 599, che “Il sottufficiale cessa dal servizio permanente per una delle seguenti cause:
a) età;
b) infermità;
c) non idoneità alle attribuzioni del grado o scarso rendimento;
d) domanda;
e) Omissis (1);
f) nomina all'impiego civile;
g) perdita del grado.
Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto ministeriale”.

Dalla testuale lettura della suindicata disposizione emerge senz’altro, quindi, che la cessazione dal servizio discende (anche) dalla pronuncia con la quale viene stabilita la perdita del grado.

Il successivo art. 37 della citata legge, invece, prevede che: “il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta.”.

La detta disposizione connette (e legittima) il mutamento della “causale” della cessazione dal servizio disposta per causa diversa dalla perdita del grado, alla circostanza che la perdita del grado suddetta sia stata disposta con “una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina”, ma non dispone affatto che il relativo procedimento disciplinare dovesse essere già avviato antecedentemente alla cessazione del servizio, in quanto i due commi del citato art. 37 disciplinano fattispecie diverse, in parte intersecantisi, ma non totalmente coincidenti: il primo comma testimonia della impossibilità di trattenere in servizio un sottufficiale, nei cui confronti si sia verificata “una delle cause di cessazione dal servizio permanente” anche laddove lo stesso fosse già stato sottoposto a procedimento disciplinare al momento del congedo.
Il comma secondo, disciplina gli effetti della sentenza o del giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, sul sottufficiale cessato per altra causa.

Ma – e qui riposa un altro non irrilevante errore prospettico contenuto nell’appello- ciò non implica affatto che, perché la sentenza o il giudizio di Commissione di disciplina potessero produrre il citato effetto occorreva necessariamente che essi fossero già stati rispettivamente instaurati al momento in cui il sottufficiale cessava dal servizio per altra causa.

Si evidenzia in proposito che l’art. 60 della citata legge prevede che il grado si perde per una delle seguenti cause:
1) perdita della cittadinanza;
2) assunzione di servizio, non autorizzata, in Forze armate di Stati esteri;
3) assunzione di servizio con qualsiasi grado in una Forza armata diversa da quella cui il sottufficiale appartiene o nella Guardia di finanza o nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza o nel Corpo degli agenti di custodia delle carceri, ovvero, con grado inferiore a quello di sottufficiale, nella Forza armata di appartenenza;
4) interdizione civile o inabilitazione civile;
5) irreperibilità accertata;
6) rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina;
7) condanna:
a) nei casi in cui, ai sensi della legge penale militare, importi la pena accessoria della rimozione;
b) per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste ai nn. 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale.

Il grado si perde altresì per decisione del Ministro, sentito il parere del Tribunale supremo militare, quando il sottufficiale prosciolto dal giudice penale sia stato sottoposto ad una delle misure di sicurezza personali prevedute dall'articolo 215 del Codice penale comune, ovvero quando il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato a cagione di infermità psichica, in una casa di cura o di custodia. Nel caso che il sottufficiale, prosciolto, sia stato ricoverato in un manicomio giudiziario ai sensi dell'art. 222 del Codice penale comune, e nel caso che il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato per infermità psichica in una casa di cura o di custodia ai sensi dell'art. 219 di detto codice, la decisione del Ministro è presa quando il sottufficiale ne viene dimesso.” e, secondariamente, che il successivo art. 61, da leggersi in combinato disposto con l’art. 37 comma 2 il cui testo è stato prima richiamato, prevede che “ La perdita del grado è disposta con decreto ministeriale.

La perdita del grado decorre dalla data del decreto nei casi di cui ai commi primo, nn. 1, 5 e 6, e secondo dell'art. 60, dalla data di assunzione del servizio nei casi di cui al predetto primo comma, nn. 2 e 3, e dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza nei casi di cui allo stesso primo comma, nn. 4 e 7, dell'art. 60.

Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.

Proprio l’ultimo comma della disposizione in ultimo citata, “legandosi” al comma 2 dell’art. 37, non a caso ivi espressamente richiamato, consente di affermare che la disposta perdita del grado, in quanto causa di rimozione superveniens, retroagisce alla data in cui (per diversa causa) il sottufficiale ebbe a cessare dal servizio permanente.

2.3. Cadono così le censure fondate sulla asserita intangibilità di alcun diritto quesito, posto che è la stessa legge a non individuare come tale quello relativo alla motivazione con la quale venne in precedenza disposta la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo (al contrario prevedendo un mutamento retroattivo della “causale” della cessazione dal servizio permanente) e cade, soprattutto la tesi per cui sarebbe sufficiente per il sottufficiale indagato od imputato in sede penale di adire il rito ex art. 444 cpp per privare irreversibilmente l’Amministrazione di attivare il procedimento finalizzato alla declaratoria della perdita del grado.

Ciò perché, non potendosi iniziare alcun procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale, si verificherebbe l’evenienza per cui la sentenza resa ex art. 444 cpp non “può “ disporre pene accessorie, ed il sottufficiale nel frattempo cessato dal servizio non potrebbe, ad avviso dell’appellante, subire la sanzione della rimozione per perdita del grado incidente sulla causale del collocamento in congedo medio tempore disposto.

La complessa censura, conclusivamente, è del tutto destituita di fondamento, e, ovviamente, neppure giova all’appellante rimarcare che la propria infermità fosse stata positivamente delibata al momento della “prima” collocazione in congedo: nessuno invero dubita di tale circostanza.

E’ la stessa legge, tuttavia, che considera detta “causale” del congedo rimuovibile ex post, nella particolare evenienza in cui, a seguito di giudizio di disciplina, il sottufficiale venga privato del grado.
Inoltre l’appellante introduce un motivo confusorio, allorchè afferma che la perdita del grado avrebbe dovuto avere la decorrenza prevista dall’art. 60 della citata legge 31 luglio 1954 n. 599 (e cioè dalla dalla data del decreto, ai sensi del penultimo comma del predetto art. 60), trascurando la circostanza che l’ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”: anche tale segmento della censura merita la reiezione, quindi.

2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.

Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.

Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.

L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).

La censura, conclusivamente, è infondata.

3.Non migliore sorte merita, ad avviso del Collegio, la seconda doglianza proposta, incentrata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 29 del rD 20 febbraio1941 n. 303 (c.d. “codice penale militare di pace”: “La rimozione si applica a tutti i militari rivestiti di un grado o appartenenti a una classe superiore all'ultima; è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe. La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione:
1) per gli ufficiali e sottufficiali, quando è inflitta per durata superiore a tre anni;
2) per gli altri militari, quando è inflitta per durata superiore a un anno”) ratione temporis applicabile alla fattispecie.

3.1. Non ignora, il Collegio, la circostanza che in passato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006 abbia reso una intepretazione sostanzialmente coincidente con le critiche mosse alla sentenza di primo grado dall’appellante.

3.2. Si evidenzia in proposito, però, che - ad avviso del Collegio- gli approdi cui è giunto il primo giudice (che ha peraltro funditus vagliato gli argomenti rassegnati in proposito dall’odierno appellante, e fondati proprio sulla richiamata decisione) paiono del tutto condivisibili.

Ritiene in proposito il Collegio di dovere affermare la propria condivisione della opposta interpretazione ermeneutica resa nel parere della Sezione III di questo Consiglio di Stato n. 128/2007 secondo il quale “…ai sensi dell’art. 33 lett. h) L. 10 aprile 1954 n. 113 l’ufficiale cessa dal servizio permanente per perdita del grado a qualunque titolo comminata, dunque anche in conseguenza della perdita del grado per rimozione a titolo di sanzione penale accessoria ex art. 29 Cod. pen. mil. di pace. Tanto si evince dal combinato disposto dell’art. 33 lett. h) e dell’art. 70 legge n. 113 del 1954. Invero, l’art. 33 lett. h), prevede la cessazione dal servizio permanente effettivo per perdita del grado; l’art. 70, a sua volta, elenca le cause di perdita del grado, menzionando espressamente, al n. 5 lett. a), l’ipotesi di condanna penale comportante anche la pena accessoria della rimozione. Analoga disposizione è dettata per i sottufficiali. Dunque chiaro che vi è una incompatibilità normativa tra perdita del grado e permanenza nel servizio permanente.

Non vi è pertanto spazio per una diversa interpretazione dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace, che collochi il destinatario della rimozione al primo grado del volontario di truppa in servizio permanente effettivo, interpretazione non consentita dal chiaro dettato letterale di una norma varata in un’epoca che già conosceva la distinzione tra leva obbligatoria e servizio permanente effettivo.

E, invero, dal combinato disposto dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace e dei citati articoli 33 lett. h) e 70 n. 5 lett. a) legge n. 113 del 1954, si evince che la perdita del grado, quale che ne sia la ragione (anche a titolo di sanzione penale accessoria), comporta sempre la cessazione dal servizio permanente effettivo. Vi è dunque una ontologica incompatibilità tra perdita del grado e possibilità di permanere in servizio permanente effettivo, a riprova che l’art. 29 Cod. pen. mil. di pace non si presta ad essere interpretato nel senso di consentire il permanere del militare rimosso dal grado in servizio permanente effettivo…”.
Si aggiunga in proposito che occorre considerare che la norma di cui all'art. 29 del c.p.m.p., invocata, disciplina l'istituto della rimozione quale pena accessoria da infliggere al militare condannato alla pena della reclusione militare.

Nel caso concreto, tuttavia, il ricorrente non è stato sottoposto a processo penale dinnanzi alla magistratura militare, e non è stato condannato alla pena della reclusione militare; egli al contrario è stato sottoposto a procedimento disciplinare per grave violazione dei doveri assunti con il giuramento: la misura della perdita del grado inflitta a quest'ultimo non ha pertanto natura di pena accessoria (che come tale avrebbe potuto peraltro essere comminata solo dall'autorità giudiziaria militare, e non già dagli organi dell'amministrazione), bensì di sanzione disciplinare.

La norma applicata nel caso concreto non sarebbe dunque il citato art. 29 del c.p.m.p., ma l'art. 60 punto 6 della legge 31 luglio 1954 n. 599, pacificamente applicabile al personale della Guardia di Finanza come dianzi affermato, e come non contestato dallo stesso appellante, in virtù del richiamo operato dall'art. 1, comma 1, della legge 17 aprile 1957 n. 260 (recante "Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza"), in base al quale la suindicata sanzione può essere comminata in caso di "...violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina".

Ciò premesso, va rilevato che, contrariamente a quanto avviene per l'analoga misura prevista dall'art. 29 del c.p.m.p., l'art. 26, comma 1, lett. g), della citata legge n. 599/54, ricollega espressamente alla sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, prevista dal summenzionato art. 60, la conseguenza della cessazione dal servizio permanente per il sottufficiale che ne sia colpito.

L'Amministrazione ha dunque operato correttamente nel disporre la risoluzione del rapporto di lavoro (la messa a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice non è indice della instaurazione di un nuovo e diverso rapporto lavorativo con la pubblica amministrazione, ma costituisce proprio conseguenza della misura espulsiva -tutti gli ex militari ancora potenzialmente idonei ad essere richiamati alle armi sono posti a disposizione del Centro Documentale, ex Distretto militare- e pertanto non è neppure incompatibile con la riscontrata inabilità dell’appellante al servizio).

4. Conclusivamente, l’appello è certamente infondato e merita la reiezione.

5.La natura della controversia e la parziale novità e complessità delle questioni esaminate giustificano la compensazione tra le parti le spese processuali sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 5518 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/07/2012
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Re: trattamento pensionistico post riforma

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Per non fare lo stesso errore.
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Ricorso straordinario al PDR per:

- annullamento del decreto di revoca del trattamento di quiescenza attribuito al ricorrente in via provvisoria;
- della determinazione, con cui è stata disposta la “perdita di grado per rimozione” del ricorrente, con decorrenza dal 3 novembre 2001 nonché della nota dell’Inps, gestione ex Inpdap, dell’8 febbraio 2012, con cui è stata disposta la revoca del trattamento pensionistico in godimento, con contestuale recupero delle somme già corrisposte.

- il ricorso in epigrafe deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

N.B.: leggete le motivazioni qui sotto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501174 - Public 2015-04-22 -


Numero 01174/2015 e data 22/04/2015


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 11 marzo 2015

NUMERO AFFARE 02657/2013

OGGETTO:
Ministero dell'economia e delle finanze.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dall’ex vice Brigadiere OMISSIS, contro la Guardia di Finanza-Reparto tecnico logistico amministrativo Calabria, il Comando interregionale della Guardia di Finanza e l’Inps (ex Inpdap), sede di OMISSIS, per l’annullamento del decreto n. 141 del 21 dicembre 2011 di revoca del trattamento di quiescenza attribuito al ricorrente in via provvisoria; della determinazione n. 362045/11 del 3 agosto 2011, con cui è stata disposta la “perdita di grado per rimozione” del ricorrente, con decorrenza dal 3 novembre 2001 nonché della nota dell’Inps, gestione ex Inpdap, dell’8 febbraio 2012, con cui è stata disposta la revoca del trattamento pensionistico in godimento, con contestuale recupero delle somme già corrisposte.

LA SEZIONE
Vista la nota dell’11 giugno 2013, prot. n. 173388/13, di trasmissione della relazione del 6 dicembre 2012, pervenuta alla segreteria della Sezione il 26 giugno 2013, con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze ha chiesto il parere sull’affare indicato in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Claudio Boccia.

Premesso e considerato.

1. Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in epigrafe l’ex vice Brigadiere OMISSIS ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti e del difetto di motivazione; per violazione dell’art. 97 della Costituzione nonché per falsa e/o errata applicazione degli artt. 64 e 67 del d. P.R. n. 1092 del 1973.

2. Con la relazione istruttoria in epigrafe il Ministero riferente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in esame per difetto di giurisdizione e per violazione del principio dell’alternatività.

Il medesimo Dicastero si è, inoltre, espresso per il rigetto nel merito del ricorso de quo.

3. Tanto premesso, la Sezione ritiene che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, proposta dall’Amministrazione riferente, sia fondata.

Con il ricorso straordinario al Capo dello Stato in epigrafe il ricorrente, come in precedenza esposto, ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti con cui l’Amministrazione ha revocato il trattamento di quiescenza precedentemente attribuitogli, con conseguente recupero delle somme già corrisposte.

Orbene, tale essendo la materia su cui verte il ricorso in esame, la cognizione del medesimo appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti come, peraltro, confermato da una consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui ai sensi degli artt. 13 e 62 del testo unico della Corte dei Conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, “la giurisdizione della Corte dei Conti nella materia delle pensioni a carico totale o parziale dello Stato si estende a tutte le controversie riguardanti l’an e il quantum della pensione” (Cons. di Stato, Sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4108) e, quindi, ad “ogni questione relativa agli elementi formativi del diritto alla pensione e alle condizioni che determinano il diritto stesso in relazione all'ammontare e alla durata dell'assegno pensionistico” (Cons. di Stato, Sez. III, 20 novembre 2013, n. 5490).

La controversia in oggetto non può, pertanto, essere proposta in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, il quale, tra l’altro, “è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa” ai sensi dell’art. 7, comma 8 del d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo).

Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso in epigrafe deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Boccia Sergio Santoro




IL SEGRETARIO
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Re: trattamento pensionistico post riforma

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da leggere attentamente.

La Corte dei Conti 1^ Sez. d'Appello da ragione ad un Ufficiale


1) - presentava in primo grado ricorso per vedere affermato il proprio diritto all’applicazione di una base pensionabile, non inferiore a €25.410,60, che gli era stata già concessa col previo Decreto di pensione privilegiata ordinaria, n…/2008, revocato dal Decreto n…/2011 – quest’ultimo, contestato in quella sede di prime cure – nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti dall’art. 6-bis DL 16 settembre 1987, n.379.

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PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 612 21/12/2015
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 612 2015 RESPONSABILITA 21/12/2015


Sent. n.612/2015 A

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello

Composta dai sig.ri Magistrati
dott.ssa Piera Maggi Presidente
dott. Nicola Leone Consigliere
dott.ssa Emma Rosati Consigliere relatore
dott.ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
dott.ssa Fernanda Fraioli Consigliere

Ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio pensionistico d’appello iscritto al n. 46975 del registro di Segreteria, proposto dal sig. G.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Olindo CAZZOLLA, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Val Pellice, n.51, AVVERSO la sentenza n.482/2013, depositata il 25 giugno 2013, del Giudice unico presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione LAZIO, contro l’INPS e il Ministero ECONMIA e FINANZE/GUARDIA DI FINANZA.

Uditi, nella pubblica udienza del 23 giugno 2015, il relatore Consigliere dott.ssa Emma ROSATI, nonchè l’avv. O. CAZZOLLA, per l’appellante, il funzionario, avv. Maria Carmela VIOLA, per delega del Direttore centrale, dott. Antonello CRUDO – per l’INPS, nonché il Capitano, dott.ssa Ilaria M. - per delega del Comandante del Centro Informatico Amministrativo Nazionale della GUARDIA DI FINANZA – per il Ministero Economia e Finanza/Guardia di Finanza.

Visti tutti gli atti introduttivi, le memorie e gli altri atti e documenti di causa;

Ritenuto in FATTO

Il sig. B. presentava in primo grado ricorso per vedere affermato il proprio diritto all’applicazione di una base pensionabile, non inferiore a €25.410,60, che gli era stata già concessa col previo Decreto di pensione privilegiata ordinaria, n…/2008, revocato dal Decreto n…/2011 – quest’ultimo, contestato in quella sede di prime cure – nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti dall’art. 6-bis DL 16 settembre 1987, n.379.

Con la sentenza qui impugnata veniva respinta la domanda del B., atteso che il primo Giudice ha ritenuto che all’interessato non spettasse il beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, in quanto la sua cessazione dal servizio era stata modificata come avvenuta per ‘rimozione del grado’ e non per inabilità assoluta (infermità) e non rientrava perciò fra quelle previste dall’art.6 bis, DL n.387/1987.

Risulta dalla nota n../15 del 22 giugno 2015 della Guardia di Finanza (più avanti richiamata), che il sig. B., arruolato nel Corpo il 5 novembre 1975, era stato posto in congedo assoluto per infermità, con godimento di pensione privilegiata ordinaria di seconda categoria, a decorrere dal 5 dicembre 1997; tale causa di cessazione dal servizio permanente venne successivamente modificata ex tunc in ‘perdita del grado per rimozione’ (per effetto del DM sanzionatorio in data 16 marzo 2006), con provvedimento pensionistico n… in data 12 aprile 2011, che escludeva dal computo delle voci stipendiali i sei scatti aggiuntivi.

Parte appellante si è gravata avverso detta sentenza, ritenendola censurabile per insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa punti decisivi della controversia nonché per falsa ed erronea applicazione di norme di diritto ed ha chiesto conclusivamente l’annullamento del decreto di PPO n.. del 12 aprile 2011 e che sia riconosciuto il suo diritto all’applicazione di una base pensionabile non inferiore ad €25.410,60, già concessa col previo Decreto di PPO n… del 4 dicembre 2008, revocato con Decreto n…/2011 nonché all’attribuzione del beneficio dei sei scatti aggiuntivi di stipendio, previsti ex art.6-bis DL n.379/1987.

Con memoria di costituzione del 16 giugno 2015, l’INPS ha resistito all’avversa domanda, anzitutto eccependo la propria assenza di legittimazione passiva per essere l’Ente previdenziale mero ordinatore secondario della spesa e comunque affermando nel merito l’infondatezza del gravame, atteso che la particolare cessazione del rapporto di lavoro del B. non era contemplata tra quelle che legittimano l’attribuzione del beneficio, attesa la rimozione del grado avvenuta il 16 marzo 2006. Ha concluso chiedendo l’inammissibilità dell’appello o comunque il rigetto per infondatezza.

Con nota del 22 giugno 2015, depositata all’odierna P.U. in limine litis l’amministrazione della Guardia di Finanza ha dedotto che il sig. B., con un provvedimento disciplinare del 16 marzo 2006, era stato sanzionato con il provvedimento della perdita del grado per rimozione, con effetto retroattivo, a decorrere dal 5 dicembre 1997, a seguito della chiusura della vicenda penale a suo carico, che si concludeva con la prescrizione dei reati ascritti, con sentenza della Suprema Corte di cassazione del 22 marzo 2005, n…. Per motivo di ciò alla data del 12 aprile 2011 emanava nuovo Decreto di PPO, con decorrenza retroattiva dal 5 dicembre 1997.

L’appellante ha depositato in data 9 febbraio 2015, 1) una comparsa conclusionale, in cui – facendo riferimento anche a principi generali del diritto comunitario e a normative CEDU – ha sottolineato l’illegittimità del nuovo provvedimento pensionistico peggiorativo; 2) una nota di produzione di atti e documenti in originale, in cui risulta, a) dal certificato generale del Casellario Giudiziale, alla data del 28 gennaio 2015, che il sig. B. non risulta avere mai subìto condanne e b) dal certificato rilasciato dalla Procura della Repubblica di Roma, che, alla stessa data, risultano assenti carichi pendenti nei confronti del medesimo.

In data 11 giugno 2015, l’appellante ha depositato ulteriore memoria in cui richiamando l’esatta interpretazione dell’art.6-bis DL n.387 del 21 settembre 1987 ha chiesto l’accoglimento dell’appello e il riconoscimento del proprio diritto al primitivo trattamento pensionistico per infermità, con applicazione degli scatti aggiuntivi, la condanna dell’amministrazione a pagare le somme differenziali, con interessi e rivalutazione e il risarcimento dei danni non patrimoniali, da liquidarsi equitativamente in €1.000,00.

All’odierna pubblica udienza, l’avv. CAZZOLLA, per l’appellante, si è riportato all’atto d’appello scritto ed ha rappresentato che il dott. B. fu collocato in quiescenza con il grado di OMISSIS per inabilità dipendente da causa di servizio, con seconda categoria di pensione privilegiata ordinaria; in appello ha chiesto l’applicazione di una norma (art. 6-bis DL n.387/1987) che si applica al personale non dirigente della polizia e delle forze dell’ordine (compresa la Guardia di Finanza), per via dell’ inabilità assoluta sopravvenuta, comportante la pensione con i sei scatti aggiuntivi, sia ai fini della base pensionabile che della buona uscita. Essendo egli andato in pensione per inabilità assoluta, rientra nelle prospettazioni normative de quibus. Ha concluso perciò per l’accoglimento dell’appello.

La dott.ssa VIOLA, per l’INPS, si è riportata alle deduzioni scritte.

La dott.ssa M., per il Ministero Economia e Finanze/GUARDIA di FINANZA, si è costituita oggi, alla pubblica odierna udienza, con la Memoria, già citata più sopra (n../15 del 22 giugno 2015). Ritiene la sentenza congrua. La pensione è per rimozione del grado; il B. si considera in congedo non per inabilità assoluta ma per rimozione del grado. Ha chiesto conclusivamente il rigetto dell’appello.

Considerato in DIRITTO

Il beneficio dei sei scatti aggiuntivi, introdotto dall’art.6 del DL n.387/1987, convertito nella L. n.472/1987, consiste in una maggiorazione della base pensionabile, introdotta per la prima volta in sede di conversione del citato decreto-legge, che spetta ai dipendenti, non dirigenti, cessati dal servizio in epoca successiva alla data di entrata in vigore della stessa legge n.472/1987, ossia a decorrere dal 21 novembre 1987; la causa di cessazione dal servizio che consente la fruizione di detto beneficio è contemplata normativamente fra le seguenti: raggiungimento limite d’età; inabilità sopravvenuta permanente; decesso.

L’odierno appellante risulta pensionato per invalidità assoluta, dovuta ad infermità, a decorrere dal 5 dicembre 1997 (DM in data 30 luglio 1998); il successivo provvedimento di PPO definitiva data al 4 dicembre 2008 (provvedimento n.132957).

Tanto premesso, al B. era senz’altro applicabile l’art. 6-bis del DL n.387/1987, avendo assommati in sé tutti i requisiti richiesti dalla citata normativa, vale a dire, la qualifica non dirigenziale, l’ inabilità assoluta al servizio per infermità nonché il possesso dei suddetti requisiti alla data di entrata in vigore della legge n.472/1987 di conversione del DL n.387/1987.

La vicenda successiva all’emanazione del provvedimento pensionistico definitivo e che ha comportato la revoca di detto provvedimento e l’emanazione del successivo provvedimento di pensione , alla data del 12 aprile 2011, non comprensivo dei miglioramenti economici di cui al più volte citato DL n.387/1987, è vicenda che vede la sua causa nella celebrazione di un processo penale a carico del B., processo che si conclude irrevocabilmente con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati a lui ascritti (Cass. n.. in data 22 marzo 2005); dal procedimento penale scaturì, nella sede amministrativa, un procedimento disciplinare, conclusosi con il DM sanzionatorio in data 16 marzo 2006, della perdita del grado per rimozione.

Il Collegio deve subito rilevare che il sig. B. non ha subito alcuna sentenza irrevocabile di condanna e ciò è testimoniato pure, non solo dal tenore della sentenza di prescrizione dei reati della Corte di cassazione ma anche dalle successive ricerche ed attestazioni, in atti, di cui si è presa carico la difesa del sig. B., che inequivocabilmente testimoniano che a suo carico non vi è stata nessuna condanna, né risultano in atto carichi penali pendenti.

Tanto rappresentato, anzitutto per criteri di giustizia sostanziale, questo Collegio ritiene che le doglianze di parte appellante siano condivisibili, atteso che non può essere attribuito un emolumento economico peggiorativo (nella fattispecie, una pensione definitiva privilegiata inferiore, rispetto ad una, superiore, già precedentemente erogata, per un lungo lasso di tempo) ad un dipendente pubblico che non abbia riportato una sentenza penale irrevocabile di condanna.

E quanto accaduto al B. appare tanto più ingiusto – a prescindere dalle varie pronunce in sede europea, citate dalla difesa di parte impugnante, che, pure, hanno il loro pregio – in quanto si è voluta unire alla sanzione amministrativa della perdita del grado per rimozione, un’ ulteriore sanzione economica, punitiva di peggioramento del trattamento pensionistico, per di più con effetto retroattivo, a fronte della sua incensuratezza, penalisticamente accertata.

E’ peraltro solo appena il caso di precisare che nel nuovo testo dell’articolo relativo alla perdita del grado (art. 923, D.Lgs. n. 66/2010) è stato significativamente tolto l’inciso “ad ogni effetto”, presente nel precedente testo, cosicchè può ben ritenersi che una così grave conseguenza, quale la perdita del grado, non possa considerarsi allo stato operante. (Cfr., conforme, Sez. I^ appello, n. 48/2015).

Si aggiunga che il lungo lasso temporale intercorso fra il pensionamento per inabilità assoluta permanente, che data al 5 dicembre 1997 (DM 30 luglio 1998) e il decreto peggiorativo di PPO (DM 12 aprile 2011) fanno propendere per l’emersione di un sicuro affidamento da parte del B. sulla stabilità del trattamento pensionistico attribuito e sulla sua certezza nel tempo, cui il pensionato ha evidentemente riposto fiducia per le proprie necessità di vita.

Giova, infatti, ricordare che il principio normativo del legittimo affidamento ha trovato una applicazione molto estesa, anche nell’ambito della stessa giurisprudenza europea, quale principio generale comune a tutti gli stati membri, che assume una valenza tale, da spiegare i propri effetti anche negli ordinamenti interni, nazionali. A conferma di questo, anche nell’ordinamento italiano si può ricordare come la Corte di Cassazione ha, recentemente, affermato la sussistenza del principio “nemo venire contra factum proprium”, che determina, appunto - anche nell’ambito dell’ordinamento nazionale - la rilevanza del principio del ‘legittimo affidamento’, quale espressione delle clausole generali di correttezza e buona fede, che comprende in esso, l’inerzia nell’esercizio del proprio diritto, tale da ingenerare un legittimo affidamento nella controparte (cfr. Cassazione n. 9924/2009).

Proprio alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza europea, nel nostro ordinamento italiano, in forza del rinvio a detti principi, operato dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, il legittimo affidamento è stato ‘normativizzato’ e deve ritenersi sussistente “allorché l’individuo si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’Amministrazione gli ha dato aspettative fondate” (Corte giust. Eu., 19 maggio 1983, C 289/81), “che trova il suo fondamento nell’ambito del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive”.(Cfr., in terminis, Corte giust., 19 settembre 2000, C 177/99, 181/99, Ampafrance and Sanofi ; Corte giust., 18 gennaio 2001, C 83/99, Commission/Spain, citate in SS.RR., n.2/QM/2012).

Per tutti i motivi esposti, ritiene perciò il Collegio che l’appello all’esame sia meritevole di accoglimento.

Le spese legali del presente grado di giudizio vanno equamente liquidate, in totale, in € 1.000,00, in favore di parte appellante.

Nulla per le spese di giustizia.

P. Q. M.

la Corte dei conti - Sezione I giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette
ACCOGLIE
l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.

Spese legali di giudizio a favore di parte appellante, per €1.000,00.

Nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015.
Il Consigliere estensore Il Presidente
(f.to dott.ssa Emma ROSATI)(f.to dott.ssa Piera MAGGI)



Depositata in Segreteria
il 21 DIC. 2015


IL DIRIGENTE
f.to Massimo Biagi
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