Se io muoio la mia pensione a chi và ?

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Re: Se io muoio la mia pensione a chi và ?

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1) - La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

Qui sotto la sentenza della Corte Costituzione.
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SENTENZA N. 174
ANNO 2016


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, nel procedimento vertente tra S.P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda di S.P., coniuge superstite di un titolare di pensione diretta, che ha chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la pensione di reversibilità, senza la decurtazione percentuale sancita dalla disposizione impugnata, e la conseguente condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a rideterminare l’importo della pensione, con interessi e rivalutazione monetaria.

In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia che la disposizione censurata si applica ratione temporis alla vicenda controversa e non si presta a un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale: la parte ricorrente nel giudizio principale ha sposato un uomo, che ha superato i settant’anni, il divario di età tra i coniugi è superiore a vent’anni e, pertanto, ricorrono i presupposti per procedere alla decurtazione di legge.

1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, il giudice a quo disattende, in primo luogo, gli argomenti della parte intervenuta, volti a equiparare il matrimonio alla convivenza more uxorio, che, nel caso di specie, aveva preceduto il matrimonio.

Il giudice rimettente assume che la disciplina impugnata contrasti con l’art. 29 Cost., in quanto le decurtazioni previste dalla legge pregiudicano la possibilità di condurre una vita dignitosa dopo la morte del coniuge e violano così la libertà di compiere scelte personali in àmbito familiare.

Inoltre, la misura restrittiva adottata dal legislatore si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo: le decurtazioni previste sarebbero innanzitutto irragionevoli, perché legate a fattori futuri, incerti, estranei alle regole dell’istituto della pensione di reversibilità (la durata del matrimonio, l’età del coniuge pensionato). In secondo luogo, esse sarebbero lesive dell’eguaglianza tra i coniugi, discriminando arbitrariamente – quanto alla garanzia di continuità del sostentamento – il coniuge superstite, «apoditticamente individuato nel più giovane».

Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina in esame, destinata a tradursi in una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, lederebbe anche i princìpi consacrati dagli artt. 36 e 38 della Carta fondamentale.

Essa, difatti, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, “retribuzione differita”, che, nel necessario bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie, deve essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un dignitoso sostentamento.

2.– Con memoria del 6 agosto 2014, si è costituito in giudizio l’INPS, limitandosi a chiedere di dichiarare inammissibile o, in subordine, infondata la questione di legittimità costituzionale e riservandosi di meglio articolare in séguito deduzioni e difese.

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 16 settembre 2014, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.

La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile, per difetto di chiarezza e di univocità della prospettazione: la disposizione riguarderebbe tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati, e, pertanto, non sarebbe intelligibile la censura di violazione dell’art. 3 Cost., soprattutto in considerazione della peculiarità della fattispecie e della finalità di reprimere gli abusi ai danni delle persone anziane.

La questione sarebbe comunque infondata, poiché la libertà di sposarsi non può ritenersi condizionata dalla possibilità di beneficiare del trattamento di reversibilità.

Sarebbero prive di pregio anche le censure di violazione degli artt. 36 e 38 Cost.. Sarebbe conforme ai princìpi costituzionali una disciplina suscettibile di incidere su trattamenti pensionistici del tutto eventuali, come la pensione di reversibilità, in forza di una disciplina dell’ammontare di tali trattamenti, rispettosa del canone di ragionevolezza.

Peraltro, l’accoglimento della questione di costituzionalità produrrebbe effetti negativi per la finanza, secondo quanto si evince dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011.

4.– In prossimità dell’udienza, l’INPS ha depositato una memoria illustrativa e ha ribadito, con argomentazioni più approfondite, le conclusioni già svolte.

L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, addebitando al giudice rimettente di non avere adeguatamente chiarito se l’applicazione letterale della norma sia davvero in conflitto con i precetti costituzionali evocati e se una pronuncia di accoglimento sia effettivamente idonea a «ripristinare il bene della vita» richiesto dalla parte ricorrente.

La norma impugnata – argomenta l’INPS – è successiva al matrimonio della ricorrente, che, pertanto, non ha visto pregiudicata la sua libertà di autodeterminazione.

Ad avviso dell’INPS, il giudice rimettente non ha specificato come la riduzione del trattamento pensionistico, nel caso di specie, comprometta il diritto a condurre un’esistenza libera e dignitosa.

L’INPS sostiene che il giudice rimettente abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale «a tutela non tanto dell’interesse specifico presuntivamente leso dal provvedimento di liquidazione della pensione, ma con il fine di far valere un generale principio di intangibilità del quantum delle pensioni ai superstiti a beneficio della generalità dei potenziali percettori delle prestazioni».

La questione di legittimità costituzionale, inoltre, sarebbe manifestamente infondata: le censure si appunterebbero contro una disciplina adottata in una grave congiuntura di crisi finanziaria, al precipuo scopo di conseguire l’equilibrio di bilancio, costituzionalmente imposto (art. 81 Cost.).

Peraltro, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione dell’istituto della pensione di reversibilità, che ha perso la connotazione alimentare e assistenziale, per acquisire la valenza di trattamento integrativo del reddito da lavoro o da pensione del familiare superstite.

Contro la fondatezza della questione deporrebbe la diversità delle norme già dichiarate incostituzionali rispetto alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio della Corte, che non elimina in radice la pensione di reversibilità, ma riduce progressivamente l’aliquota e prevede taluni correttivi a fronte di situazioni meritevoli di tutela (la presenza di figli minori, studenti o inabili).

L’esigenza di considerare la durata del matrimonio, alla stregua di quel che avviene per la pensione di reversibilità attribuita al coniuge divorziato, non vanificherebbe la funzione solidaristica, insita nella pensione di reversibilità.

Quanto al trattamento deteriore del coniuge superstite più giovane rispetto al privilegio accordato al coniuge superstite più anziano, l’INPS nega che le due fattispecie possano essere poste a raffronto e osserva che, nell’ipotesi marginale di sopravvivenza del coniuge più anziano, questi non potrebbe giovarsi per lungo tempo di tale posizione di favore.

La disposizione impugnata, approvata allo scopo di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici e di razionalizzare l’assetto normativo delle pensioni di reversibilità, non limiterebbe in alcun modo la libertà di matrimonio, ma si prefiggerebbe di tutelarla da propositi venali e fraudolenti.

Pertanto, la disciplina in esame, espressione del principio di solidarietà coniugale, non istituirebbe arbitrarie disparità di trattamento e sarebbe immune dai vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente.

5.– All’udienza pubblica del 31 maggio 2016, le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– L’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale di tale normativa, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione.

Il giudice rimettente ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza.

La disciplina del trattamento di reversibilità, introdotta nel 2011, stabilirebbe decurtazioni «irrazionali e irragionevoli», «collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle regole proprie dell’istituto “pensione di reversibilità” quali la durata del matrimonio e l’età del coniuge pensionato, in assoluto e relativamente a quella dell’altro coniuge».

Inoltre, la disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi, «operando nei confronti del coniuge superstite (apoditticamente individuato nel più giovane) un palese “vulnus” del suo diritto a quella garanzia di continuità nel sostentamento ai superstiti, riconosciuta dalla Corte nella sentenza n. 286/1987».

Il giudice rimettente ritiene che la disposizione impugnata confligga con l’art. 29 Cost.: sarebbe limitata «la libertà dell’individuo ad operare le scelte più intime e personali della propria esistenza», in virtù dell’introduzione di «elementi esterni fortemente incidenti sulla sua capacità di determinazione familiare».

In particolare, l’individuo sarebbe posto di fronte all’alternativa «di formare un nucleo familiare secondo la più ampia accezione di libertà oppure non accedervi nella consapevolezza che a quel nucleo non potrà, di fronte all’evento morte, assicurare una vita dignitosa a causa delle decurtazioni volute dalla disciplina in esame».

Il giudice rimettente prospetta anche la violazione degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: la decurtazione imposta dalla legge, suscettibile di configurare una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, che si caratterizza come “retribuzione differita”, pur nell’indispensabile bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie.

La disposizione censurata contrasterebbe con i princìpi che sanciscono la proporzione del trattamento pensionistico alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e l’idoneità a garantire al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un altrettanto dignitoso sostentamento.

2.– La questione, posta dalla Corte dei conti, si sottrae alle eccezioni di inammissibilità, formulate in via preliminare dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dalla difesa dello Stato.

2.1.– Quanto al difetto di rilevanza, eccepito dall’INPS, è la stessa difesa dell’ente previdenziale a riconoscere che la disposizione impugnata si applica al caso di specie, in quanto riguarda pensioni di reversibilità che decorrono dal 1° gennaio 2012 e il diritto della ricorrente è sorto in data successiva.

L’applicabilità della disposizione al giudizio principale è sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato più incisivo sul concreto pregiudizio ai princìpi costituzionali coinvolti.

La questione di costituzionalità non può dirsi irrilevante, sul presupposto che, nella vicenda specifica, l’applicazione della disposizione impugnata non abbia messo a repentaglio la libertà matrimoniale, poiché il matrimonio è stato celebrato prima dell’entrata in vigore della legge del 2011, o non pregiudichi l’adeguatezza della tutela previdenziale accordata al coniuge superstite, già provvisto di mezzi sufficienti.

Tali valutazioni esulano dal sindacato sulla rilevanza richiesto a questa Corte.

2.2.– Anche le eccezioni mosse dall’Avvocatura generale dello Stato, relative alla carente illustrazione della non manifesta infondatezza, devono essere disattese.

Il giudice rimettente si sofferma, con argomentazioni esaustive, sulle ragioni del contrasto della disciplina censurata con il principio di eguaglianza e con il canone di ragionevolezza. È ininfluente che la disciplina riguardi tutti i trattamenti pensionistici e si riprometta di contrastare taluni abusi, in quanto il giudice a quo coglie la violazione del principio di eguaglianza e del canone di ragionevolezza sotto profili differenti.

3.– La questione è fondata.

3.1.– L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto).

In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

3.2.– Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico.

Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto).

Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi princìpi costituzionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto).

Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

In un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza rivestono un ruolo cruciale nell’orientare l’intervento del legislatore. Quest’ultimo, vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale, per un verso non deve interferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazione della propria sfera affettiva e, per altro verso, è chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale globalmente inteso.

Nel contesto di tali fattori, alla direttrice già tracciata dalla disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che riduce percentualmente l’ammontare del trattamento di reversibilità nell’ipotesi di concorso di più beneficiari e di cumulo dei redditi, si potrebbe affiancare il complementare criterio selettivo dell’età del coniuge beneficiario, sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo di contenimento delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative sintetiche elaborate, nel corso del dibattito parlamentare, dall’Ufficio legislazione straniera del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.).

4.– Nonostante i temperamenti che il sistema previdenziale predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica rispetto ai princìpi costituzionali enunciati.

4.1.– L’art. 18, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 si inquadra in una manovra di stabilizzazione finanziaria che include svariati provvedimenti di contenimento della spesa previdenziale, come il progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, le modifiche del meccanismo di indicizzazione delle pensioni, il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici più cospicui, le misure di riduzione del contenzioso in materia di invalidità civile mediante forme di accertamento tecnico preventivo obbligatorio.

La disposizione, adottata sotto l’incalzare di una «particolare congiuntura economica internazionale», che ha precluso l’esame più approfondito delle «spesso assai delicate e complesse questioni poste dall’articolato» (parere espresso il 14 luglio 2011 dalla I Commissione permanente della Camera, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), mutua numerosi elementi da un disegno di legge già in discussione al Parlamento (XVI Legislatura, Atto Camera n. 4150, proposta di legge presentata l’8 marzo 2011).

Il disegno di legge escludeva il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di età avanzata di uno dei coniugi (settant’anni), di elevata differenza di età tra i coniugi, superiore a vent’anni, e di durata del matrimonio inferiore a tre anni. Nella relazione di accompagnamento, si stigmatizzava come “malcostume” l’attribuzione delle pensioni di reversibilità «a persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si poneva in risalto l’obiettivo di arginare il fenomeno dei matrimoni “di comodo”.

La disposizione censurata nell’odierno giudizio di costituzionalità tempera l’assolutezza della previsione di tale disegno di legge con alcuni correttivi: la pensione di reversibilità non è eliminata in radice, ma è ridotta in una misura modulata del «10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10». La riduzione non opera quando vi siano figli minori, studenti o inabili.

4.2.– La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili.

Si tratta di una presunzione di frode alla legge, connotata in termini assoluti, che preclude ogni prova contraria. La sua ampia valenza lascia trasparire l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata. Pur di accentuare la repressione di illeciti, già sanzionati dall’ordinamento con previsioni mirate (sentenze n. 245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 123 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.

Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrittive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988).

4.3.– Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.

La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto estranee «all’essenza e ai fini del vincolo coniugale», con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n. 110 del 1999, punto 2. del Considerato in diritto).

L’esclusione dell’operatività delle norme che, in presenza di figli, limitano l’erogazione della pensione di reversibilità, non attenua i profili di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza. Difatti, essa non è valsa a fugare i dubbi di legittimità costituzionale in altri casi già scrutinati da questa Corte, con riguardo alla disciplina delle pensioni erogate alle vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450 del 1991), che condizionava il diritto alla durata annuale del matrimonio o alla presenza di prole, ancorché postuma.

Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite appare ancor più evidente in una normativa che subordina tali diritti alla circostanza, del tutto accidentale ed eccentrica rispetto alla primaria finalità di protezione del coniuge, che vi siano figli minori, studenti o inabili all’epoca del sorgere del diritto del coniuge. Per i figli, peraltro, la disciplina delle pensioni di reversibilità appresta una tutela autonoma, che interagisce con la normativa indirizzata ai coniugi ai limitati effetti della già citata disciplina del “cumulo”. Questo dato serve a confermare l’equilibrato intento solidaristico che ha, già da qualche tempo, ispirato il legislatore.

Neppure la peculiarità del meccanismo congegnato nel 2011, che commisura l’ammontare della pensione di reversibilità alla durata del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di tale prestazione, rappresenta un significativo elemento di discontinuità tra la misura censurata e le disposizioni già dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di un’analisi puntuale della disparità di trattamento tra le diverse categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979) e, nell’evoluzione successiva, sul presupposto della «ingiustificata irrazionalità» di discipline restrittive ancorate a elementi di matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada di una giurisprudenza costante, rappresentata dalle sentenze n. 447 del 2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del 1994, n. 1 del 1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990).

Quando la durata del matrimonio sia inferiore all’anno, la correlazione tra l’ammontare della pensione di reversibilità e la durata del matrimonio azzera il trattamento previdenziale: il meccanismo di riduzione, concepito in termini graduali dal legislatore, si risolve in una esclusione pura e semplice del diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di questa Corte nelle pronunce appena ricordate.

L’antitesi con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza non è meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare il trattamento di reversibilità corrisposto al coniuge, e non a disconoscerlo del tutto. La pregnanza del vincolo di solidarietà coniugale, fondamento della pensione di reversibilità, è graduata in rapporto all’elemento, contingente ed estrinseco, della durata del matrimonio.

Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi.

Tale nesso, articolato nei termini singolari di un progressivo incremento dell’importo della pensione al protrarsi del matrimonio, riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni.

Il rilievo peculiare della durata del matrimonio, nella sola ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa – da altra e ugualmente pregnante angolazione – il contrasto già segnalato con l’art. 3 Cost.

Non può essere invocata, in chiave comparativa, la disciplina dell’attribuzione della pensione di reversibilità ai coniugi divorziati (art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e successive modificazioni).

In tale fattispecie, la durata non rileva in senso assoluto e astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare del diritto all’assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi superstiti. La durata del matrimonio, infatti, non si riverbera sull’ammontare della pensione di reversibilità, complessivamente attribuito, ma viene in rilievo soltanto nella ripartizione dell’intero tra una pluralità di aventi diritto.

5.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.

Sono assorbite le censure incentrate sulla violazione dell’art. 29 Cost. e, in particolare, sulla limitazione della libertà di contrarre matrimonio.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016.


panorama
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Re: Se io muoio la mia pensione a chi và ?

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INPS perde l'Appello,

1) - la ricorrente, vedova di S.R., dipendente dell’Università omissis , deceduto in servizio ( vds. sentenza CdC Lombardia n. 111/2018 pubblicata il 23/05/2018). N.B.: " è stato accertato un debito in seguito a revisione amministrativo -contabile, in applicazione dei limiti di cumulabilità dei redditi previsti dalla Tabella F allegata alla legge 8 agosto 1995, n.335, a decorrere dall’ 1.11.2010 ".

2) - Somme indebito per cumulo limitato dei redditi del beneficiario del trattamento di pensione indiretto e di reversibilità.

3) - La vedova si era opposta all’ingiunzione, contestando la sussistenza dell’indebito, anche in ragione del richiamo all’art. 204 del T.U. n. 1092 del 1973 e ai principi di buona fede e legittimo affidamento.

4) - La vedova ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità.

La CdC d'Appello precisa:

5) - E’ indubbio ed incontestato che L. E. D., nel momento in cui ha presentato la domanda per ottenere il trattamento pensionistico di reversibilità del marito (9 novembre 2010), ha comunicato all’Ente previdenziale la sua situazione personale di pensionata e i redditi percepiti nell’anno precedente mettendo, quindi, l’I.N.P.S. nelle condizioni di liquidare il trattamento pensionistico nella misura prevista per il caso del cumulo con altri redditi (art. 1, co. 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 in relazione alla Tab. F, allegata alla legge).
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Sezione TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2020 Numero 77 Pubblicazione 21/04/2020

SENT. 77.2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott.ssa Chiara Bersani Presidente f.f.
dott.ssa Giuseppina Maio Consigliere
dott.ssa Cristiana Rondoni Consigliere
dott. Giancarlo Astegiano Consigliere relatore
dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di appello iscritto al n. 54016 del Registro di ruolo generale, promosso dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – I.N.P.S. – (C.F. 80078750587), rappresentato e difeso nel presente giudizio, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli avvocati Maria Passarelli, Luigi Caliulo, Filippo Mangiapane e Lidia Carcavallo, presso i quali è domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria, n. 29
- appellante -

contro
L. E. D. (C.F. xxxxxxxxxxxxxxxx), rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’avv. Rosa Maffei presso la quale è domiciliata in Roma, via Nizza n. 66 (pec: rosamaffei@ordineavvocatiroma.org);
- appellata -

per la riforma della sentenza n. 111/2018 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lombardia, resa in data 26 marzo - 23 maggio 2018, non notificata.

Visti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 6 novembre 2019 il consigliere relatore Giancarlo Astegiano, che ha sinteticamente illustrato i fatti di causa, l’avv. Sergio Preden, delegato dall’avv. Luigi Caliulo, in rappresentanza dell’I.N.P.S. e l’avv. Rosa Maffei in rappresentanza di L. E. D..

Ritenuto in
FATTO

1. Con sentenza n. 111, resa in data 26 marzo – 28 maggio 2018, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia ha accolto la domanda di annullamento dell’ingiunzione di pagamento I.N.P.S., in data 16 aprile 2014, proposta da E. L. D. ed ha dichiarato irripetibile l’indebito pensionistico pari ad euro 41.501,14, condannando l’Amministrazione alla restituzione delle somme già recuperate, maggiorate di interessi al tasso legale a partire dalla proposizione della domanda giudiziale.

Dopo aver rilevato che in data 9 novembre 2010 L. E. D., a seguito del decesso in servizio del marito S. R., aveva presentato domanda di pensione indiretta, per il tramite del datore di lavoro del defunto, il giudice di primo grado ha messo in luce che l’I.N.P.S., con provvedimento in data 19 novembre 2010, aveva liquidato la pensione in misura annua pari ad euro 26.250,86. Successivamente, con provvedimento del 28 aprile 2014, il trattamento pensionistico indiretto era stato riliquidato in euro 17.116,56 anni, in seguito ad una verifica effettuata dall’Ente previdenziale su alcune posizioni per accertare l’osservanza della disciplina che prevede il cumulo limitato dei redditi del beneficiario del trattamento di pensione indiretto e di reversibilità. A seguito della riliquidazione, l’I.N.P.S. aveva agito per il recupero di euro 41.501,14 e L. E. D. si era opposta all’ingiunzione, contestando la sussistenza dell’indebito, anche in ragione del richiamo all’art. 204 del T.U. n. 1092 del 1973 e ai principi di buona fede e legittimo affidamento.

Il giudice di primo grado, dopo aver richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza contabile in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico, ha affermato che l’istituto previdenziale era in possesso di tutti gli elementi necessari per quantificare il trattamento pensionistico sin dal momento della presentazione della domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità ed ha concluso ritenendo irripetibile l’indebito in ragione dell’intervallo temporale trascorso fra la liquidazione del trattamento provvisorio e quello definitivo, dell’indicazione nel provvedimento provvisorio della specificazione che si trattava del sessanta per cento della pensione diretta e della buona fede della percipiente.

2. L’I.N.P.S. ha interposto appello nei confronti della citata sentenza n. 111 del 2018, con atto in data 27 settembre 2018, notificato il 9 ottobre 2018 e depositato in data 15 ottobre 2018.

Dopo un’analitica ricostruzione dei fatti che avevano caratterizzato il contenzioso, l’appellante ha formulato le censure alla sentenza impugnata con un unico articolato motivo con il quale ha denunciato la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995 e della Tab. F annessa alla medesima legge, oltre che degli artt. 86, 197 e 208 del D.P.R. 1092/73, nonché dei principi generali in materia di indebito oggettivo ex artt. 2033 c.c.”.

L’appellante ha asserito che la questione decisa dal giudice di primo grado non rientrava nella previsione degli artt.162 e 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e che, pertanto, era improprio il richiamo ai principi enunciati dalla sentenza sez. riun. Corte conti n. 2 del 2012.

Dopo aver osservato che l’applicazione dell’art. 1, co. 41 della legge n. 335 del 1995 richiedeva accertamenti complessi e che in base agli artt. 86, co. 4, 197, co. 7 e 208 del D.P.R. n. 1092 del 1973 era onere della D. comunicare annualmente all’I.N.P.S. la propria situazione reddituale, così da consentire all’istituto previdenziale di eventualmente adeguare il trattamento pensionistico di reversibilità alle regole normative, l’appellante ha asserito che l’omissione dell’appellata impediva di ravvisare una situazione di buona fede e di legittimo affidamento, anche perché non vi era alcun obbligo in capo all’I.N.P.S. di effettuare verifiche d’ufficio.

Ha osservato, quindi, che legittimamente, tempestivamente e doverosamente l’istituto previdenziale aveva azionato il recupero dell’indebito, con provvedimento in data 16 aprile 2014, in base ai principi di ripetizione dell’indebito oggettivo risultanti dall’art. 2033 cod. civ.

Ha concluso chiedendo di annullare o riformare la citata sentenza n. 111 del 2018 e per l’effetto ritenere e dichiarare la ripetibilità dell’indebito erariale pari a euro 41.501,14, con vittoria di spese e competenze di lite di entrambi i gradi di giudizio.

3. Con atto depositato in data 17 settembre 2019, L. E. D. si è costituita in giudizio contestando le ragioni dell’appello proposto dall’I.N.P.S. Ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità. Ha richiamato, quindi, il contenuto della sentenza impugnata e l’applicazione dei principi di buona fede e legittimo affidamento ed ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile e, comunque, infondato il ricorso in appello dell’I.N.P.S., con condanna dell’Istituto previdenziale al pagamento delle spese di giudizio, da distrarsi in favore del difensore antistatario.

4. All’odierna udienza, udita la relazione, gli avvocati delle parti hanno richiamato i rispettivi atti e confermato le conclusioni assunte, rispettivamente, nell’atto di citazione in appello e nella memoria difensiva.

Esaurita la discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

Considerato in
DIRITTO

1. Con un unico articolato motivo, l’I.N.P.S. ha sostenuto l’ingiustizia della sentenza impugnata, lamentando che il giudice di primo grado avrebbe applicato in modo erroneo sia la disciplina legislativa che i principi giurisprudenziali che regolano la formazione e la ripetizione dell’indebito pensionistico.

1.1. Il giudice di primo grado, dopo aver richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza contabile in materia di ripetizione dell’indebito pensionistico, ha affermato che l’istituto previdenziale era in possesso di tutti gli elementi necessari per quantificare il trattamento pensionistico sin dal momento della presentazione della domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità da parte di L. E. D. e, quindi, ha ritenuto irripetibile l’indebito in ragione dell’intervallo temporale trascorso fra la liquidazione del trattamento provvisorio e quello definitivo, dell’indicazione nel provvedimento provvisorio della specificazione che si trattava del sessanta per cento della pensione diretta e della buona fede della percipiente.

1.2. Con unico motivo di appello, l’I.N.P.S. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 41 della legge n. 335 del 1995, nonché della Tab. F annessa alla legge, degli artt. 86, 197 e 208 del D.P.R. n. 1092 del 1973, nonché dei principi generali in materia di indebito oggettivo, così come risultanti dall’art. 2033 cod. civ. Dopo aver rilevato che la questione decisa dal giudice di primo grado non rientrava nella previsione degli artt. 162 e 206 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e che, pertanto, era improprio il richiamo ai principi enunciati dalla sentenza sez. riun. Corte conti n. 2 del 2012., l’Ente previdenziale ha rilevato che sarebbe stato onere della D. comunicare annualmente all’I.N.P.S. la propria situazione reddituale e che l’omissione dell’appellata impediva di ravvisare una situazione di buona fede e di legittimo affidamento, anche perché non era ravvisabile alcun obbligo in capo all’I.N.P.S. di effettuare verifiche d’ufficio.

Ha osservato, quindi, che legittimamente, tempestivamente e doverosamente l’istituto previdenziale aveva azionato il recupero dell’indebito, con provvedimento in data 16 aprile 2014, in base ai principi di ripetizione dell’indebito oggettivo risultanti dall’art. 2033 cod. civ.

1.3. L. E. D. ha osservato che la domanda di pensione di reversibilità era stata presentata su modello predisposto dall’INPDAP nel quale era precisato che la D. era già titolare di altro trattamento pensionistico diretto e del reddito complessivo di euro 34.232,00, cosicchè da subito l’Ente previdenziale era in grado di calcolare e determinare l’esatto importo del trattamento di reversibilità. Ha richiamato, quindi, il contenuto della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto applicabili i principi di buona fede e legittimo affidamento.

2. La disciplina dell’indebito risultante dagli artt. 2033 e segg. cod. civ. è integrata nella materia previdenziale, pubblica e privata, da norme specifiche che tendono a contemperare le regole generali con le specificità di settore, tenendo conto sia della particolare posizione del pensionato che delle esigenze finanziarie pubbliche.

Peraltro, la disciplina positiva diverge parzialmente fra settore pubblico e privato e la Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibili alcune questioni di legittimità che si fondavano sulla diversa disciplina, ha osservato che è compito del legislatore “ricomporre il quadro della regolazione della materia, secondo linee coerenti ed omogenee per il settore pensionistico ormai gestito da un unico ente” (Corte cost, 23 giugno 2017, n. 148).

In linea generale, la nozione di indebito nella materia pensionistica presuppone la non spettanza delle somme erogate dall’Ente previdenziale e, solitamente, è conseguenza della revoca o della modifica di un trattamento in godimento in favore del pensionato. Il legislatore ha disciplinato la materia con disposizioni che prevedono la non ripetibilità delle somme erogate unicamente al ricorrere di specifici presupposti (ad esempio, nel caso di revoca o modifica del provvedimento definitivo di riconoscimento del trattamento di pensione: art. 206 d.p.r. 29 dicembre 1973, n. 1092, recante “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”) e la giurisprudenza ha individuato alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela nelle quali opera il principio della non ripetibilità dell’indebito in base al principio della buona fede o dell’affidamento qualificato (Corte conti, sez. riun. 2 luglio 2012, n. 2/QM; id, 25 luglio 2008, n.4/QM).

3. L’appello proposto dall’I.N.P.S. non è fondato perché in relazione alla procedura di recupero attivata dall’Ente previdenziale risultano applicabili, come ritenuto dal giudice di primo grado, le regole generali sulla ripetizione dell’indebito contemperate dalla peculiare situazione di legittimo affidamento e buona fede nella quale si è venuta a trovare L. E. D..

In proposito occorre sottolineare che il giudice di primo grado ha fondato la decisione di irripetibilità delle somme percepite dalla pensionata sulla situazione di buona fede ed affidamento che si era venuta a creare in capo alla percipiente con valutazione di fatto che non può essere contestata in questa sede.

I richiami normativi effettuati dall’ente previdenziale nel motivo di appello non colgono nel segno e non sono idonei a superare la peculiare e particolare situazione di affidamento e buona fede accertata dal giudice di primo grado con un percorso motivazionale che, in quanto tale, non è sindacabile dal giudice di appello che potrebbe intervenire unicamente in assenza di motivazione o in presenza di motivazione solo apparente, circostanze che non ricorrono nel caso di specie.

Peraltro, le circostanze di fatto richiamate nella sentenza oggetto del presente giudizio non sono contestate dalle parti. E’ indubbio ed incontestato che L. E. D., nel momento in cui ha presentato la domanda per ottenere il trattamento pensionistico di reversibilità del marito (9 novembre 2010), ha comunicato all’Ente previdenziale la sua situazione personale di pensionata e i redditi percepiti nell’anno precedente mettendo, quindi, l’I.N.P.S. nelle condizioni di liquidare il trattamento pensionistico nella misura prevista per il caso del cumulo con altri redditi (art. 1, co. 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 in relazione alla Tab. F, allegata alla legge).

In conclusione, in assenza di una specifica disciplina normativa derogatoria al citato art. 2033 cod. civ., e dovendosi confermare il principio di diritto in base al quale il giudice di prime cure ha deciso – che l’avvenuta dichiarazione dei redditi percepiti quale pensionata, in seno alla domanda di pensione di riversibilità, integri l’obbligo della “comunicazione” del reddito medesimo da parte della richiedente, e, pertanto, un elemento in base al quale si basa il legittimo affidamento, - nel caso di specie sussistono quelle circostanze di affidamento qualificato e buona fede che impongono la dichiarazione di irripetibilità dell’indebito, così come ritenuto dal giudice di primo grado.

4. – Per quanto precede, definitivamente pronunciando, la Sezione respinge l’appello proposto dall’I.N.P.S. avverso la sentenza n. 111 del 2018 della Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia.

In ragione della particolarità della questione sussistono valide ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

la Corte dei conti - III Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando,

respinge l’appello, iscritto al R.G. n. 54016, proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – I.N.P.S. nei confronti della sentenza n. 111/2018, in data 26 marzo – 23 maggio 2018, della Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia

Compensa le spese di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 6 novembre 2019.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE f.f.
Giancarlo Astegiano Chiara Bersani
f.to f.to


Depositato in Segreteria il 21.04.2020


Il Dirigente
Dott. Salvatore Antonio Sardella f.to
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CdC sez. 2^ d’Appello n. 408/2021, l’INPS perde Appello.

- Pensione di inabilità assoluta ex art. 2, comma 12, legge n. 335/95, nonostante la mancata presentazione, da parte del coniuge della stessa, di alcuna domanda finalizzata alla relativa riliquidazione.

Il Giudice d’Appello precisa:

1) - Pertanto, se l’evento della morte è stato ritenuto dallo stesso Istituto previdenziale non ostativo al riconoscimento del diritto nel caso in cui la domanda sia stata presentata dal dipendente deceduto prima della conclusione del procedimento, con conseguente immediata attribuzione a titolo di riversibilità al superstiti (vedasi circolare dell’INPDAP 24 ottobre 1997, n. 57), “esso non può ritenersi neanche ostativo ad un riconoscimento postumo a seguito di avvio del procedimento da parte dell’erede” (Sezione seconda centrale di appello 12 luglio 2016, n. 719; 18 maggio 2017, n. 291).

2) - In estrema sintesi, l’erede rivendica il riconoscimento di una preesistente situazione giuridica (connotata dal possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995 in capo al dante causa) destinata però ad incidere, iure proprio e non iure successionis, sull’insorgenza di un suo diritto avente contenuto patrimoniale.

3) - La giurisprudenza di questa Sezione ha ritenuto, altresì, invocabile, in via analogica, in omologhe fattispecie, l’articolo 184 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092, recante la disciplina in materia di procedimento per ottenere la pensione privilegiata di riversibilità.

4) - L’appello è, pertanto, fondato e da accogliere, dovendosi affermare il diritto della Signora (…) a presentare la domanda volta ad accertare il diritto del coniuge deceduto alla pensione di inabilità prevista dall’art. 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995…” (così testualmente, Corte conti, Sez. II d’Appello, 27 agosto 2018, n. 495; in termini analoghi, Sez. II nn. 667/2018 e 719/2016 e, da ultimo, tra le altre, Sez. giur. Appello per la Regione Siciliana, n. 53/2020 e Sez. giur. Toscana, n. 45/2020, richiamate anche dall’appellata).
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La CdC Sez. 3^ d'Appello con la nr. 297, rigetta l'appello della vedova,

- la Sig.ra, in qualità di coniuge erede ed avente causa del defunto Lgt. dell’Arma dei Carabinieri, chiedeva accertarsi e dichiararsi la dipendenza da causa di servizio della infermità “Otite catarrale cronica bilaterale con labirintite sinistra” sofferta dal defunto Lgt. deceduto nel 2014 , con conseguente accertamento e declaratoria del diritto del medesimo, nonché della coniuge , in qualità di erede ed avente causa del defunto militare, alla percezione del trattamento pensionistico privilegiato ordinario e/o indiretto

- rivendica il diritto alla pensione privilegiata ordinaria di reversibilità.

Il giudice scrive:

1) - La pensione privilegiata indiretta è il trattamento previdenziale che spetta ai superstiti di un soggetto che sia assicurato presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti o delle gestioni esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria e che sia deceduto a causa di servizio.

2) - La pensione privilegiata indiretta compete, in particolare, nei casi di decesso in costanza di attività lavorativa quando la morte del dipendente è conseguenza di infermità o lesioni dipendenti da fatti di servizio.

3) - L’art. 92 del DPR n. 1092 del 1973 prevede infatti chequando la morte del dipendente e' conseguenza di infermita' o lesioni dipendenti da fatti di servizio, spetta ai congiunti la pensione privilegiata nella misura e alle condizioni previste dalle disposizioni in materia di pensioni di guerra. Gli assegni accessori restano quelli previsti dalle disposizioni contenute nel successivo titolo VI. (……) Le disposizioni contenute nei commi precedenti del presente articolo si applicano anche nel caso in cui il titolare di pensione privilegiata diretta o di assegno rinnovabile sia deceduto a causa delle infermita' o e lesioni per le quali aveva conseguito il trattamento privilegiato”.

4) - Il trattamento privilegiato di riversibilità trova la sua giustificazione proprio nel verificarsi dell’evento letale conseguente alla condizione clinica dovuta al servizio.

5) - Nel caso di specie, è esclusa la sussistenza di un nesso causale tra la patologia riconducibile al servizio e l’evento morte.

6) - Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, il presupposto su cui si fonda il diritto al trattamento di reversibilità rimane comunque la riconducibilità alla causa di servizio dell’evento letale, circostanza questa che nel caso di specie è stata esclusa.

7) - Ne consegue l’irrilevanza del richiamo operato dall’appellante alla disposizione di cui all’art. 67 del medesimo TU, ai sensi del quale " OMISSIS ...." Tale norma non risulta idonea a superare il chiaro dato normativo di cui al citato art. 92 e la necessità del presupposto anzidetto.

8) - Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda il richiamo operato dall’appellante all’art. 184 il quale prevede che " in caso di morte del dipendente in attività di servizio, l'avente causa che ritenga la morte dovuta al servizio stesso, per conseguire la pensione privilegiata di riversibilità deve presentare domanda all'ufficio presso il quale il dante causa prestava servizio, salvo quanto disposto dall'ultimo comma”.

9) - Né è rilevante neppure il richiamo all’art. 81 del TU, in considerazione del fatto che la disposizione disciplina il trattamento di reversibilità ordinario e non quello privilegiato che, appunto, è destinatario di una previsione ad hoc che aggancia la reversibilità al verificarsi dell’evento morte come conseguenza dell’infermità derivante da causa di servizio.

Alla luce di quanto dedotto, il proposto gravame non può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere confermata.
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