Tutela delle lavoratrici madri
Tutela delle lavoratrici madri
Pubblico in allegato la circolare dello Stato Maggiore Difesa sperando di fare qualcosa di utile a tante madri e a tanti padri che come me trovano difficilissimo conciliare l'essere militari e l'essere genitori. E' un primo piccolissimo passo, ma vedere che qualcosa si muove mi fa ben sperare per il futuro. Penso che siamo tra le categorie di lavoratori meno tutelati da questo punto di vista.
P.S. non sono riuscita ad allegare il file
Lo trovate sul sito dell'esercito http://www.esercito.difesa.it/Pagine/default.aspx, cliccate sul banner dell'area interna, per accedere inserite username e password che utilizzate per accedere alla webmail, è il primo link sotto EVIDENZA.
Provo a mettere il link ma non so se funziona.
http://www1.esercito.difesa.it/area_int ... 111130.pdf
Buona serata a tutti.
P.S. non sono riuscita ad allegare il file
Lo trovate sul sito dell'esercito http://www.esercito.difesa.it/Pagine/default.aspx, cliccate sul banner dell'area interna, per accedere inserite username e password che utilizzate per accedere alla webmail, è il primo link sotto EVIDENZA.
Provo a mettere il link ma non so se funziona.
http://www1.esercito.difesa.it/area_int ... 111130.pdf
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Re: Tutela delle lavoratrici madri
Messaggio da donatella laghi »
Grazie Eva, io sono molto fiduciosa in questo senso. Vengo da una famiglia di militari e so quanto sia difficile arrivare a tutto......grazie per il link, io sono riuscita a vederlo.
Re: Tutela delle lavoratrici madri
Ciao Eva, di solito una volta aperto completamente il PDF, vai col mousse alla voce File del tuo PC e salva con nome su destop ed è tutto fatto.
Prima che esci dal sito del Ministero porta giù la pagina ed accertati che il PDF è visibile su destop, solo allora puoi uscire.
Se il PDF è grosso sul sito Grnet non te lo fa allegare, questo però non è un problema, in quanto puoi successivamente mandarlo in e-mail a coloro che lo chiedono.
Ciao
Prima che esci dal sito del Ministero porta giù la pagina ed accertati che il PDF è visibile su destop, solo allora puoi uscire.
Se il PDF è grosso sul sito Grnet non te lo fa allegare, questo però non è un problema, in quanto puoi successivamente mandarlo in e-mail a coloro che lo chiedono.
Ciao
Re: Tutela delle lavoratrici madri
Grazie panorama.
I file sono già scaricati sul mio pc, ho provato ad allegarli ma pesano troppo anche zippati.
Quindi per chi ne volesse una copia...... mandatemi MP con la vostra mail e sarò felicissima di inviarveli.
Eva.
I file sono già scaricati sul mio pc, ho provato ad allegarli ma pesano troppo anche zippati.
Quindi per chi ne volesse una copia...... mandatemi MP con la vostra mail e sarò felicissima di inviarveli.
Eva.
Re: Tutela delle lavoratrici madri
Eva, se vuoi sapere di più (sempre se non sei già stata) sull'argomento puoi andare alla sez. "L'Avvocato risponde".
Alla pag. nr. 4 (attuale) trovi l'argomento dal titolo sotto meglio indicato, ove io ho postato 2 sentenze altre e sempre del Consiglio di Stato, di cui una in seduta Plenaria.
"ALLATTAMENTO DEL PADRE ANCHE QUANDO LA MADRE E' CASALINGA"
Giusto per completezza.
Ciao
Alla pag. nr. 4 (attuale) trovi l'argomento dal titolo sotto meglio indicato, ove io ho postato 2 sentenze altre e sempre del Consiglio di Stato, di cui una in seduta Plenaria.
"ALLATTAMENTO DEL PADRE ANCHE QUANDO LA MADRE E' CASALINGA"
Giusto per completezza.
Ciao
Re: Tutela delle lavoratrici madri
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale OMISSIS del 2011, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS in Firenze, via Cherubini 13;
contro
Comando Legione Carabinieri Toscana e Ministero della Difesa, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede sono domiciliati per legge in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento prot. n. ……./2011, emesso in data 17/08/2011, con il quale il Comando Legione Carabinieri Toscana ha negato all'appuntato scelto OMISSIS la concessione dei periodi di riposo di cui all'art. 40 lett. c. del decreto legislativo n. 151/2001, nonché di ogni altro atto presupposto, ivi compreso il parere della Direzione Generale del personale militare - Il Reparto, ivi richiamato;
e per l'accertamento del diritto dell'Appuntato scelto OMISSIS alla concessione dei periodi di riposo giornalieri di cui sopra, con relativo trattamento economico, sino al compimento di un anno di vita del figlio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comando Legione Carabinieri Toscana e del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2012 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 5 e depositato il 21 ottobre 2011, l’appuntato scelto dei Carabinieri OMISSIS, in servizio presso la Compagnia di OMISSIS, proponeva impugnazione avverso il provvedimento del 17 agosto 2011, in epigrafe, mediante il quale il Comando Legione Carabinieri Toscana gli aveva negato la concessione dei riposi giornalieri riconosciuti al padre lavoratore, per il primo anno di vita dei figli, dall’art. 40 co. 1 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001. Il ricorrente, affidate le proprie doglianze ad un unico motivo in diritto, intimava dinanzi a questo tribunale il Comando unitamente al Ministero della difesa e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, con contestuale richiesta di misure cautelari provvisorie e collegiali.
L’istanza cautelare, accolta in via interinale con decreto del 21 ottobre 2011, era confermata dal collegio in esito alla camera di consiglio del 9 novembre 2011, in occasione della quale si costituivano in giudizio le amministrazioni intimate.
Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 1 febbraio 2012.
DIRITTO
OMISSIS, appuntato scelto dei Carabinieri di stanza presso la Compagnia di OMISSIS, impugna il diniego di concessione dei riposi giornalieri da lui richiesti, per il primo anno di vita del figlio OMISSIS, a norma dell’art. 40 co. 1 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001, che riconosce al padre lavoratore il diritto a fruire dei riposi previsti per la madre lavoratrice nel caso in cui quest’ultima non sia dipendente. Il provvedimento impugnato fonda la propria motivazione sul rilievo della non estendibilità della fattispecie legale all’ipotesi, che qui ricorre, di madre casalinga e non affetta da infermità grave.
Con l’unico motivo di gravame, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001. Violazione per errata interpretazione dell’art. 40 D.Lgs. n. 151/2001. Violazione dei principi desumibili dall’art. 31 della Costituzione”, il OMISSIS contesta la legittimità del diniego, invocando l’indirizzo giurisprudenziale che assimila la madre casalinga alla madre lavoratrice non dipendente ai fini della concedibilità al padre dei riposi giornalieri previsti dalla legge per il primo anno di vita del figlio.
Il gravame è fondato nei limiti di seguito precisati.
L’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001 prevede che i riposi giornalieri che il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del figlio, sono riconosciuti al padre lavoratore nel caso in cui – per quanto qui interessa – la madre non sia lavoratrice dipendente. Alcune pronunce del giudice amministrativo hanno ritenuto, in effetti, che nella nozione di “madre lavoratrice non dipendente” debba farsi rientrare anche la figura della madre “lavoratrice casalinga”, secondo una prospettiva che – mutuando la ricostruzione, invalsa in altri settori dell’ordinamento, del lavoro domestico come prestazione lavorativa in senso proprio – tende a valorizzare la ratio della norma, attuativa delle finalità enunciate dall’art. 31 Cost. e in concreto “volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato” (così Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293).
Vero è che, con altrettanta autorevolezza, la possibilità di equiparare la figura della casalinga a quella di ogni altra lavoratrice non dipendente, ai fini dell’attribuzione al padre del beneficio in questione, è stata esclusa sulla scorta di un’esegesi che, dall’art. 40 D.Lgs. n. 151/2001 cit., ricava il principio dell’alternatività fra i genitori nell’accudimento giornaliero al figlio nel primo anno di vita, e indica quale presupposto necessario della fruizione dei permessi da parte del padre la circostanza che la madre non possa o non voglia fruirne. In questa prospettiva, non vi sarebbe differenza fra la madre casalinga, permanentemente dedita al lavoro domestico, e la madre lavoratrice dipendente dedita a tale attività solo in via temporanea e contingente, per essere stata esonerata dall’obbligo della prestazione lavorativa; né avrebbe senso distinguere fra attività di cura del minore, cui i riposi giornalieri sono dichiaratamente finalizzati, ed altre incombenze domestiche, dovendosi reputare che l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consenta alla madre casalinga di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 22 ottobre 2009, n. 2732).
A ben vedere, l’opinione più restrittiva, una volta ravvisata nella presenza quotidiana di almeno uno dei genitori lavoratori (il padre in subordine alla madre), la garanzia che il sistema appresta al figlio nel primo anno di età, con riferimento alla madre casalinga si avvale di una sorta di presunzione, quella secondo cui la libera gestione del tempo quotidiano di lavoro domestico consentirebbe sempre e comunque alla donna di organizzarsi per accudire il figlio, impedendo il verificarsi del presupposto per la surroga del padre nella fruizione dei permessi giornalieri. Ma se così è, un punto di mediazione fra i due indirizzi può essere individuato nel reputare tale presunzione aperta alla prova contraria ogniqualvolta, in concreto, la madre, pur attendendo all’attività di lavoro domestico, per qualche ragione non abbia la libertà di dedicarsi anche al figlio: l’abbandono di prese di posizione dogmatiche appare, del resto, l’atteggiamento più idoneo ad assicurare, caso per caso, il corretto bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, vale a dire il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli, in funzione di protezione dei minori e di promozione della famiglia, e le specifiche esigenze del datore di lavoro, la cui rilevanza sociale non può essere disconosciuta.
Nella specie, è documentato – e non contestato da parte delle Amministrazioni resistenti - che OMISSIS OMISSIS. Ne risulta, perciò, pienamente legittimata la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre, a maggior ragione ove si abbia riguardo alla soddisfazione dei bisogni affettivi e relazionali, ed al sereno sviluppo della personalità del bambino, cui i riposi stessi sono finalizzati (cfr. Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104).
In forza delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna le amministrazioni resistenti alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2012
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale OMISSIS del 2011, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS in Firenze, via Cherubini 13;
contro
Comando Legione Carabinieri Toscana e Ministero della Difesa, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede sono domiciliati per legge in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento prot. n. ……./2011, emesso in data 17/08/2011, con il quale il Comando Legione Carabinieri Toscana ha negato all'appuntato scelto OMISSIS la concessione dei periodi di riposo di cui all'art. 40 lett. c. del decreto legislativo n. 151/2001, nonché di ogni altro atto presupposto, ivi compreso il parere della Direzione Generale del personale militare - Il Reparto, ivi richiamato;
e per l'accertamento del diritto dell'Appuntato scelto OMISSIS alla concessione dei periodi di riposo giornalieri di cui sopra, con relativo trattamento economico, sino al compimento di un anno di vita del figlio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comando Legione Carabinieri Toscana e del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2012 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 5 e depositato il 21 ottobre 2011, l’appuntato scelto dei Carabinieri OMISSIS, in servizio presso la Compagnia di OMISSIS, proponeva impugnazione avverso il provvedimento del 17 agosto 2011, in epigrafe, mediante il quale il Comando Legione Carabinieri Toscana gli aveva negato la concessione dei riposi giornalieri riconosciuti al padre lavoratore, per il primo anno di vita dei figli, dall’art. 40 co. 1 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001. Il ricorrente, affidate le proprie doglianze ad un unico motivo in diritto, intimava dinanzi a questo tribunale il Comando unitamente al Ministero della difesa e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, con contestuale richiesta di misure cautelari provvisorie e collegiali.
L’istanza cautelare, accolta in via interinale con decreto del 21 ottobre 2011, era confermata dal collegio in esito alla camera di consiglio del 9 novembre 2011, in occasione della quale si costituivano in giudizio le amministrazioni intimate.
Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 1 febbraio 2012.
DIRITTO
OMISSIS, appuntato scelto dei Carabinieri di stanza presso la Compagnia di OMISSIS, impugna il diniego di concessione dei riposi giornalieri da lui richiesti, per il primo anno di vita del figlio OMISSIS, a norma dell’art. 40 co. 1 lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001, che riconosce al padre lavoratore il diritto a fruire dei riposi previsti per la madre lavoratrice nel caso in cui quest’ultima non sia dipendente. Il provvedimento impugnato fonda la propria motivazione sul rilievo della non estendibilità della fattispecie legale all’ipotesi, che qui ricorre, di madre casalinga e non affetta da infermità grave.
Con l’unico motivo di gravame, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40 del D.Lgs. n. 151/2001. Violazione per errata interpretazione dell’art. 40 D.Lgs. n. 151/2001. Violazione dei principi desumibili dall’art. 31 della Costituzione”, il OMISSIS contesta la legittimità del diniego, invocando l’indirizzo giurisprudenziale che assimila la madre casalinga alla madre lavoratrice non dipendente ai fini della concedibilità al padre dei riposi giornalieri previsti dalla legge per il primo anno di vita del figlio.
Il gravame è fondato nei limiti di seguito precisati.
L’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001 prevede che i riposi giornalieri che il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del figlio, sono riconosciuti al padre lavoratore nel caso in cui – per quanto qui interessa – la madre non sia lavoratrice dipendente. Alcune pronunce del giudice amministrativo hanno ritenuto, in effetti, che nella nozione di “madre lavoratrice non dipendente” debba farsi rientrare anche la figura della madre “lavoratrice casalinga”, secondo una prospettiva che – mutuando la ricostruzione, invalsa in altri settori dell’ordinamento, del lavoro domestico come prestazione lavorativa in senso proprio – tende a valorizzare la ratio della norma, attuativa delle finalità enunciate dall’art. 31 Cost. e in concreto “volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato” (così Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293).
Vero è che, con altrettanta autorevolezza, la possibilità di equiparare la figura della casalinga a quella di ogni altra lavoratrice non dipendente, ai fini dell’attribuzione al padre del beneficio in questione, è stata esclusa sulla scorta di un’esegesi che, dall’art. 40 D.Lgs. n. 151/2001 cit., ricava il principio dell’alternatività fra i genitori nell’accudimento giornaliero al figlio nel primo anno di vita, e indica quale presupposto necessario della fruizione dei permessi da parte del padre la circostanza che la madre non possa o non voglia fruirne. In questa prospettiva, non vi sarebbe differenza fra la madre casalinga, permanentemente dedita al lavoro domestico, e la madre lavoratrice dipendente dedita a tale attività solo in via temporanea e contingente, per essere stata esonerata dall’obbligo della prestazione lavorativa; né avrebbe senso distinguere fra attività di cura del minore, cui i riposi giornalieri sono dichiaratamente finalizzati, ed altre incombenze domestiche, dovendosi reputare che l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consenta alla madre casalinga di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 22 ottobre 2009, n. 2732).
A ben vedere, l’opinione più restrittiva, una volta ravvisata nella presenza quotidiana di almeno uno dei genitori lavoratori (il padre in subordine alla madre), la garanzia che il sistema appresta al figlio nel primo anno di età, con riferimento alla madre casalinga si avvale di una sorta di presunzione, quella secondo cui la libera gestione del tempo quotidiano di lavoro domestico consentirebbe sempre e comunque alla donna di organizzarsi per accudire il figlio, impedendo il verificarsi del presupposto per la surroga del padre nella fruizione dei permessi giornalieri. Ma se così è, un punto di mediazione fra i due indirizzi può essere individuato nel reputare tale presunzione aperta alla prova contraria ogniqualvolta, in concreto, la madre, pur attendendo all’attività di lavoro domestico, per qualche ragione non abbia la libertà di dedicarsi anche al figlio: l’abbandono di prese di posizione dogmatiche appare, del resto, l’atteggiamento più idoneo ad assicurare, caso per caso, il corretto bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, vale a dire il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli, in funzione di protezione dei minori e di promozione della famiglia, e le specifiche esigenze del datore di lavoro, la cui rilevanza sociale non può essere disconosciuta.
Nella specie, è documentato – e non contestato da parte delle Amministrazioni resistenti - che OMISSIS OMISSIS. Ne risulta, perciò, pienamente legittimata la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre, a maggior ragione ove si abbia riguardo alla soddisfazione dei bisogni affettivi e relazionali, ed al sereno sviluppo della personalità del bambino, cui i riposi stessi sono finalizzati (cfr. Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104).
In forza delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna le amministrazioni resistenti alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2012
Re: Tutela delle lavoratrici madri
Anche l'INPS si adegua
http://www.inps.it/bussola/VisualizzaDo ... 1-2013.htm" onclick="window.open(this.href);return false;
http://www.inps.it/bussola/VisualizzaDo ... 1-2013.htm" onclick="window.open(this.href);return false;
Re: Tutela delle lavoratrici madri
ORDINANZA N. 280 ANNO 2013
Art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
1) - il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
2) - la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
3) - di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
LA CORTE COSTITUZIONALE precisa:
4) - con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
5) - che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
6) - che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
ORDINANZA N. 280
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Voghera nel procedimento vertente tra M.F. e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di M.F.;
udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);
che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’ordinanza del Tribunale di Voghera, contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104»;
che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
che la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
che, di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
che il Tribunale rimettente ha preso atto delle modifiche cui è andato incontro l’art. 42, comma 5, richiamando gli interventi additivi della Corte costituzionale, che hanno ampliato il novero dei soggetti beneficiari del congedo retribuito, e che sono stati recepiti dal legislatore, in particolare, con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi);
che il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame, sotto il profilo della mancata estensione del beneficio a favore del nipote, discendente di secondo grado, convivente con la persona affetta da invalidità grave;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata, la quale – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non consentirebbe di includere il nipote (discendente di secondo grado) nel novero dei lavoratori legittimati a fruire del congedo;
che il Tribunale ricorda, anche alla luce delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale, che la materia dei congedi è attinente all’esigenza di assicurare continuità nell’assistenza e nelle cure del soggetto disabile, indipendentemente dal suo status di figlio, essendo diretta a tutelare le esigenze primarie e fondamentali del disabile grave, favorendo l’assistenza in ambito familiare;
che lo status di discendente è anche fonte d’obbligo alimentare in base all’art. 433 del codice civile, nell’ambito del quale il discendente, in mancanza di figli, è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore;
che, alla luce di tali premesse, il rimettente ritiene che l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi del disabile stesso, contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disparità di trattamento risulterebbe evidente, e priva di ragionevole giustificazione, se posta a confronto con la condizione dei fratelli o delle sorelle del soggetto affetto da handicap grave;
che la disposizione impugnata determinerebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché l’apporto dei familiari alla cura del congiunto gravemente disabile è da considerarsi funzionale al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;
che sarebbe violato altresì l’art. 2 Cost., in quanto verrebbe meno la possibilità di garantire al disabile assistenza continuativa all’interno del nucleo familiare, con evidenti riflessi pregiudizievoli sulla sfera della socializzazione e dell’integrazione della persona disabile;
che, infine, vi sarebbe violazione dell’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di garantire la necessaria assistenza determinerebbe il concreto rischio di un deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica della persona disabile;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
Considerato che il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della stessa;
che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Voghera con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2013.
Art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
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1) - il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
2) - la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
3) - di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
LA CORTE COSTITUZIONALE precisa:
4) - con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
5) - che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
6) - che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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ORDINANZA N. 280
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Voghera nel procedimento vertente tra M.F. e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di M.F.;
udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);
che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’ordinanza del Tribunale di Voghera, contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104»;
che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
che la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
che, di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
che il Tribunale rimettente ha preso atto delle modifiche cui è andato incontro l’art. 42, comma 5, richiamando gli interventi additivi della Corte costituzionale, che hanno ampliato il novero dei soggetti beneficiari del congedo retribuito, e che sono stati recepiti dal legislatore, in particolare, con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi);
che il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame, sotto il profilo della mancata estensione del beneficio a favore del nipote, discendente di secondo grado, convivente con la persona affetta da invalidità grave;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata, la quale – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non consentirebbe di includere il nipote (discendente di secondo grado) nel novero dei lavoratori legittimati a fruire del congedo;
che il Tribunale ricorda, anche alla luce delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale, che la materia dei congedi è attinente all’esigenza di assicurare continuità nell’assistenza e nelle cure del soggetto disabile, indipendentemente dal suo status di figlio, essendo diretta a tutelare le esigenze primarie e fondamentali del disabile grave, favorendo l’assistenza in ambito familiare;
che lo status di discendente è anche fonte d’obbligo alimentare in base all’art. 433 del codice civile, nell’ambito del quale il discendente, in mancanza di figli, è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore;
che, alla luce di tali premesse, il rimettente ritiene che l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi del disabile stesso, contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disparità di trattamento risulterebbe evidente, e priva di ragionevole giustificazione, se posta a confronto con la condizione dei fratelli o delle sorelle del soggetto affetto da handicap grave;
che la disposizione impugnata determinerebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché l’apporto dei familiari alla cura del congiunto gravemente disabile è da considerarsi funzionale al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;
che sarebbe violato altresì l’art. 2 Cost., in quanto verrebbe meno la possibilità di garantire al disabile assistenza continuativa all’interno del nucleo familiare, con evidenti riflessi pregiudizievoli sulla sfera della socializzazione e dell’integrazione della persona disabile;
che, infine, vi sarebbe violazione dell’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di garantire la necessaria assistenza determinerebbe il concreto rischio di un deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica della persona disabile;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
Considerato che il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della stessa;
che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Voghera con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2013.
Re: Tutela delle lavoratrici madri
DECRETO LEGISLATIVO 26 marzo 2001, n.151
Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e
della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
OMISSIS
Art. 41.
Riposi per parti plurimi
(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10, comma 6)
1. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall'articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre.
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La lista si allunga.
Ecco alcuni passaggi.
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1) - Il signor W. F., Assistente della Polizia di Stato, divenuto padre di due gemelli nel 2011, formulava richiesta in data 7 giugno 2012 di concessione dei riposi giornalieri ai sensi dell’articolo 41 del D.lgs. 151/2001, relativamente ad uno solo dei suoi figli, anziché di entrambi i gemelli.
2) - L’amministrazione, tenuto conto del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012, rigettava l’istanza.
3) - Della questione veniva investito l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari.
4) - Decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico senza che l’organo ardito avesse comunicato la decisione assunta in merito, l’avv. Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., ha proposto il ricorso in esame, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.;
5) - Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili.
IL TAR di CAGLIARI conclude così:
6) - Per le suesposte considerazioni, in applicazione dei principi espressi in materia dal Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 4293/2008, da intendersi qui integralmente richiamati, le domande impugnatorie avanzate col ricorso in esame e successivi motivi aggiunti, devono essere accolte, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte d’interesse di parte ricorrente.
7) - Ugualmente fondata risulta la domanda di risarcimento del danno.
8) - Considerato che per fatto colposo imputabile all’amministrazione l’Assistente OMISSIS non ha potuto beneficiare dei permessi in questione al medesimo spettanti per legge e ormai non più fruibili dal medesimo, deve condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto subito dal dipendente, da quantificarsi nella somma corrispondente al trattamento economico spettante al dipendente medesimo per le ore di permessi chiesti e negati nel periodo dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, dedotti esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio in cui il dipendente abbia comunque “usufruito di altri benefici previsti dalla normativa a sostegno della maternità e della paternità” (come eccepito dalla Difesa Erariale nella propria memoria del 1 febbraio 2013), deducendo ovviamente ed esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio che non abbiano comportato né pregiudizio economico per l’interessato, né abbiano inciso sul congedo ordinario spettante al medesimo, demandandosi i necessari conteggi all’amministrazione medesima.
Il resto x completezza leggetelo in sentenza.
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23/11/2013 201300745 Sentenza 1
N. 00745/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00078/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 78 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., rappresentata e difesa dall'avv. Emanuela Pau, con elezione di domicilio come da procura speciale in atti;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, e il Dirigente del XIII Reparto Mobile “Sardegna” del Corpo della Polizia di Stato, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, presso i cui Uffici in Cagliari sono per legge domiciliati;
per l'annullamento
- del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.;
- del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra;
- se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012;
- nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso;
e per la condanna
dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS;
e con i motivi aggiunti depositati il 27.3.2013:
- del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012;
- di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e Dirigente del XIII Reparto Mobile “Sardegna” del Corpo della Polizia di Stato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013 il dott. Marco Lensi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Col ricorso in esame la parte ricorrente chiede l’annullamento degli atti indicati in epigrafe, rappresentando quanto segue.
Il signor W. F., Assistente della Polizia di Stato, divenuto padre di due gemelli in data …….. 2011, formulava richiesta in data 7 giugno 2012 di concessione dei riposi giornalieri ai sensi dell’articolo 41 del D.lgs. 151/2001, relativamente ad uno solo dei suoi figli, anziché di entrambi i gemelli.
L’amministrazione, tenuto conto del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012, rigettava l’istanza del OMISSIS.
Della questione veniva investito l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari.
In data 28 luglio 2012 il OMISSIS proponeva ricorso gerarchico avverso il provvedimento di diniego.
Decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico senza che l’organo ardito avesse comunicato la decisione assunta in merito, l’avv. Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., ha proposto il ricorso in esame, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.; del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra; se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012; nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso.
Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS.
A tal fine, la parte ricorrente avanza articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili e conclude per l'accoglimento del ricorso.
Essendo stato successivamente adottato provvedimento espresso dell’Amministrazione in ordine al ricorso gerarchico presentato dall’Assistente OMISSIS, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012; di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Si insiste altresì nella domanda di risarcimento del danno.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza nel merito del ricorso, di cui si chiede il rigetto.
Con successive memorie le parti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni.
Alla pubblica udienza del 9 ottobre 2013, su richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Col ricorso in esame si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.; del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra; se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012; nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso.
Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS.
Con successivi motivi aggiunti si chiede l’annullamento del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012; di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Si insiste altresì nella domanda di risarcimento del danno.
In ordine al merito della questione controversa si rinviene un orientamento giurisprudenziale favorevole alle richieste di parte ricorrente, espresso, in primo luogo, nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4293 del 9 settembre 2008 (nello stesso senso cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, 25.11.2002, n. 2737, la Circolare dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali B/2009 del 12.05.2009, nonché la circolare INPS 25/11/2009 n. 118).
In senso contrario alle richieste di parte ricorrente si è invece espresso il Consiglio di Stato, in sede consultiva, con il parere della prima sezione n. 2732 del 22 ottobre 2009.
Ritiene il collegio di dovere aderire al primo orientamento che risulta altresì confermato dalla successiva giurisprudenza amministrativa in materia (cfr. in particolare T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, n. 680 del 07 aprile 2011).
Come esattamente rilevato in quest’ultima sentenza, il richiamato primo orientamento, favorevole alle richieste di parte ricorrente, deve ritenersi “più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, principio che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.
È appena il caso di osservare che, in ogni caso, l’ipotesi del parto plurimo - che rileva nel caso di specie - è comunque fatta salva anche nel richiamato parere del Consiglio di Stato, I sezione, n. 2732 del 22 ottobre 2009, laddove si precisa che la “ratio del combinato disposto degli artt. 39 e 40 sia quella di garantire la presenza, alternativamente, di uno dei due genitori (con la sola comprensibile eccezione del parto plurimo, disciplinata dall’art. 41, in cui le ore aggiuntive a quelle ordinarie possono essere utilizzate da entrambi)”.
Per le suesposte considerazioni, in applicazione dei principi espressi in materia dal Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 4293/2008, da intendersi qui integralmente richiamati, le domande impugnatorie avanzate col ricorso in esame e successivi motivi aggiunti, devono essere accolte, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte d’interesse di parte ricorrente.
Ugualmente fondata risulta la domanda di risarcimento del danno.
Considerato che per fatto colposo imputabile all’amministrazione l’Assistente OMISSIS non ha potuto beneficiare dei permessi in questione al medesimo spettanti per legge e ormai non più fruibili dal medesimo, deve condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto subito dal dipendente, da quantificarsi nella somma corrispondente al trattamento economico spettante al dipendente medesimo per le ore di permessi chiesti e negati nel periodo dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, dedotti esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio in cui il dipendente abbia comunque “usufruito di altri benefici previsti dalla normativa a sostegno della maternità e della paternità” (come eccepito dalla Difesa Erariale nella propria memoria del 1 febbraio 2013), deducendo ovviamente ed esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio che non abbiano comportato né pregiudizio economico per l’interessato, né abbiano inciso sul congedo ordinario spettante al medesimo, demandandosi i necessari conteggi all’amministrazione medesima.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nella parte di interesse della parte ricorrente.
Accoglie la domanda di risarcimento del danno nei sensi di cui in motivazione, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle relative somme.
Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese del giudizio, che liquida forfettariamente in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Caro Lucrezio Monticelli, Presidente
Marco Lensi, Consigliere, Estensore
Grazia Flaim, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/11/2013
Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e
della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
OMISSIS
Art. 41.
Riposi per parti plurimi
(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10, comma 6)
1. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall'articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre.
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La lista si allunga.
Ecco alcuni passaggi.
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1) - Il signor W. F., Assistente della Polizia di Stato, divenuto padre di due gemelli nel 2011, formulava richiesta in data 7 giugno 2012 di concessione dei riposi giornalieri ai sensi dell’articolo 41 del D.lgs. 151/2001, relativamente ad uno solo dei suoi figli, anziché di entrambi i gemelli.
2) - L’amministrazione, tenuto conto del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012, rigettava l’istanza.
3) - Della questione veniva investito l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari.
4) - Decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico senza che l’organo ardito avesse comunicato la decisione assunta in merito, l’avv. Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., ha proposto il ricorso in esame, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.;
5) - Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili.
IL TAR di CAGLIARI conclude così:
6) - Per le suesposte considerazioni, in applicazione dei principi espressi in materia dal Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 4293/2008, da intendersi qui integralmente richiamati, le domande impugnatorie avanzate col ricorso in esame e successivi motivi aggiunti, devono essere accolte, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte d’interesse di parte ricorrente.
7) - Ugualmente fondata risulta la domanda di risarcimento del danno.
8) - Considerato che per fatto colposo imputabile all’amministrazione l’Assistente OMISSIS non ha potuto beneficiare dei permessi in questione al medesimo spettanti per legge e ormai non più fruibili dal medesimo, deve condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto subito dal dipendente, da quantificarsi nella somma corrispondente al trattamento economico spettante al dipendente medesimo per le ore di permessi chiesti e negati nel periodo dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, dedotti esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio in cui il dipendente abbia comunque “usufruito di altri benefici previsti dalla normativa a sostegno della maternità e della paternità” (come eccepito dalla Difesa Erariale nella propria memoria del 1 febbraio 2013), deducendo ovviamente ed esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio che non abbiano comportato né pregiudizio economico per l’interessato, né abbiano inciso sul congedo ordinario spettante al medesimo, demandandosi i necessari conteggi all’amministrazione medesima.
Il resto x completezza leggetelo in sentenza.
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23/11/2013 201300745 Sentenza 1
N. 00745/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00078/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 78 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., rappresentata e difesa dall'avv. Emanuela Pau, con elezione di domicilio come da procura speciale in atti;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, e il Dirigente del XIII Reparto Mobile “Sardegna” del Corpo della Polizia di Stato, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, presso i cui Uffici in Cagliari sono per legge domiciliati;
per l'annullamento
- del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.;
- del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra;
- se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012;
- nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso;
e per la condanna
dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS;
e con i motivi aggiunti depositati il 27.3.2013:
- del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012;
- di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e Dirigente del XIII Reparto Mobile “Sardegna” del Corpo della Polizia di Stato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013 il dott. Marco Lensi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Col ricorso in esame la parte ricorrente chiede l’annullamento degli atti indicati in epigrafe, rappresentando quanto segue.
Il signor W. F., Assistente della Polizia di Stato, divenuto padre di due gemelli in data …….. 2011, formulava richiesta in data 7 giugno 2012 di concessione dei riposi giornalieri ai sensi dell’articolo 41 del D.lgs. 151/2001, relativamente ad uno solo dei suoi figli, anziché di entrambi i gemelli.
L’amministrazione, tenuto conto del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012, rigettava l’istanza del OMISSIS.
Della questione veniva investito l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari.
In data 28 luglio 2012 il OMISSIS proponeva ricorso gerarchico avverso il provvedimento di diniego.
Decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico senza che l’organo ardito avesse comunicato la decisione assunta in merito, l’avv. Dessalvi Isabella, nella sua qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Cagliari, in carica, giusta delega conferita dal signor F. W., ha proposto il ricorso in esame, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.; del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra; se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012; nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso.
Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS.
A tal fine, la parte ricorrente avanza articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili e conclude per l'accoglimento del ricorso.
Essendo stato successivamente adottato provvedimento espresso dell’Amministrazione in ordine al ricorso gerarchico presentato dall’Assistente OMISSIS, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti, con il quale si chiede l’annullamento del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012; di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Si insiste altresì nella domanda di risarcimento del danno.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza nel merito del ricorso, di cui si chiede il rigetto.
Con successive memorie le parti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni.
Alla pubblica udienza del 9 ottobre 2013, su richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Col ricorso in esame si chiede l’annullamento del provvedimento prot. 2691/12 del 28.6.2012 emesso dal Vice Dirigente del XIII Reparto Mobile Polizia di Stato "Sardegna", con il quale si respingeva l'istanza presentata dall'Assistente W. F.; del silenzio rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. avverso il diniego di cui sopra; se necessario, del parere fornito dal Ministero dell'Interno - Ufficio I Affari Generali e Giuridici della Direzione Centrale per le Risorse Umane, con nota prot. 333-A/9807.F.6.2/4639-2012 del 25.6.2012; nonché di ogni altro atto precedente, presupposto, consequenziale o comunque connesso.
Si chiede altresì la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti e subendi dall’Assistente OMISSIS, da quantificarsi in un importo equo commisurato al numero di permessi negati dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, ormai non più fruibili dal OMISSIS.
Con successivi motivi aggiunti si chiede l’annullamento del provvedimento n.333-D/79076 del 5.11.2012 emesso dal Capo della Polizia, notificato al ricorrente il 17.1.2013, con il quale si respingeva il ricorso gerarchico presentato dall'Assistente W. F. il 28.7.2012; di tutti gli altri atti del procedimento antecedenti, conseguenti, successivi e/o comunque collegati, con particolare riferimento agli atti dell'istruttoria, per quanto pregiudizievoli per il ricorrente.
Si insiste altresì nella domanda di risarcimento del danno.
In ordine al merito della questione controversa si rinviene un orientamento giurisprudenziale favorevole alle richieste di parte ricorrente, espresso, in primo luogo, nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4293 del 9 settembre 2008 (nello stesso senso cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, 25.11.2002, n. 2737, la Circolare dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali B/2009 del 12.05.2009, nonché la circolare INPS 25/11/2009 n. 118).
In senso contrario alle richieste di parte ricorrente si è invece espresso il Consiglio di Stato, in sede consultiva, con il parere della prima sezione n. 2732 del 22 ottobre 2009.
Ritiene il collegio di dovere aderire al primo orientamento che risulta altresì confermato dalla successiva giurisprudenza amministrativa in materia (cfr. in particolare T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, n. 680 del 07 aprile 2011).
Come esattamente rilevato in quest’ultima sentenza, il richiamato primo orientamento, favorevole alle richieste di parte ricorrente, deve ritenersi “più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, principio che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.
È appena il caso di osservare che, in ogni caso, l’ipotesi del parto plurimo - che rileva nel caso di specie - è comunque fatta salva anche nel richiamato parere del Consiglio di Stato, I sezione, n. 2732 del 22 ottobre 2009, laddove si precisa che la “ratio del combinato disposto degli artt. 39 e 40 sia quella di garantire la presenza, alternativamente, di uno dei due genitori (con la sola comprensibile eccezione del parto plurimo, disciplinata dall’art. 41, in cui le ore aggiuntive a quelle ordinarie possono essere utilizzate da entrambi)”.
Per le suesposte considerazioni, in applicazione dei principi espressi in materia dal Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 4293/2008, da intendersi qui integralmente richiamati, le domande impugnatorie avanzate col ricorso in esame e successivi motivi aggiunti, devono essere accolte, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte d’interesse di parte ricorrente.
Ugualmente fondata risulta la domanda di risarcimento del danno.
Considerato che per fatto colposo imputabile all’amministrazione l’Assistente OMISSIS non ha potuto beneficiare dei permessi in questione al medesimo spettanti per legge e ormai non più fruibili dal medesimo, deve condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto subito dal dipendente, da quantificarsi nella somma corrispondente al trattamento economico spettante al dipendente medesimo per le ore di permessi chiesti e negati nel periodo dal 1 luglio 2012 al 21 novembre 2012, dedotti esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio in cui il dipendente abbia comunque “usufruito di altri benefici previsti dalla normativa a sostegno della maternità e della paternità” (come eccepito dalla Difesa Erariale nella propria memoria del 1 febbraio 2013), deducendo ovviamente ed esclusivamente i soli giorni di assenza dal servizio che non abbiano comportato né pregiudizio economico per l’interessato, né abbiano inciso sul congedo ordinario spettante al medesimo, demandandosi i necessari conteggi all’amministrazione medesima.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nella parte di interesse della parte ricorrente.
Accoglie la domanda di risarcimento del danno nei sensi di cui in motivazione, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle relative somme.
Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese del giudizio, che liquida forfettariamente in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Caro Lucrezio Monticelli, Presidente
Marco Lensi, Consigliere, Estensore
Grazia Flaim, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/11/2013
Re: Tutela delle lavoratrici madri
congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni.
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29/11/2013 201310250 Sentenza Breve 1B
N. 10250/2013 REG.PROV.COLL.
N. 07968/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7968 del 2012, proposto da:
F. C., rappresentata e difesa dall'avv. M. A., con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico - Difesa Civile, in persona del Ministro in carica e del Capo Dipartimento p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (prot. uscita 0018619 del 18.06.2012), recante il rigetto dell’istanza di fruizione del congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che con il presente mezzo di gravame, notificato il 31 luglio 2013 e depositato il successivo 9 ottobre, la parte istante - in qualità di assistente in servizio presso il Comando Provinciale di …… dei Vigili del Fuoco - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe poiché lesivo del proprio interesse al riconoscimento dei benefici relativi alla fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni, prospettando come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici, ed in particolare l’errata valutazione del presupposto di fatto richiesto dalla legge e denominato “referente unico”;
Ritenuto che le medesime doglianze sono finalizzate a dimostrare che l’atto impugnato si fonda su un’errata interpretazione del disposto normativo di riferimento, laddove in verità il comma 5/bis del citato art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001, inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119, dispone che “ Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto.”;
Atteso che gli argomenti enunciati nell’unico motivo di gravame risultano essere fondati in ragione della motivazione posta a base del provvedimento impugnato, laddove si afferma che non risulta comprovata la sussistenza di elementi che dimostrino lo status di “referente unico” che, nel caso di specie, sarebbe escluso dalla presenza di altri due fratelli residenti a ……. di Roma;
Considerato, altresì, che la suddetta interpretazione non trova riscontro sia nella lettera della norma sopra esposta, sia nella circolare (tra l’altro richiamata nel corpo del provvedimento di diniego) della Funzione Pubblica n. 1 del 2012, poiché l’intento delle diverse norme di cui si è data applicazione è solo quello di impedire che il beneficio in discussione sia riconosciuto a più soggetti legittimati in quanto lavoratori;
Considerato, inoltre, che la circostanza posta a base della motivazione del provvedimento gravato (“presenza di altri due fratelli residenti a …… di Roma”) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’impedimento normativo alla concessione del congedo per l’assistenza alle persone in situazione di disabilità grave, per la semplice ragione che la stessa p.a. avrebbe dovuto quantomeno accertare che almeno uno dei due soggetti specificati già godesse del beneficio in discussione;
Ritenuto che, nel caso di specie, vi sono i presupposti per pronunciare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 del c.p.a., una sentenza in forma semplificata in quanto, dagli atti depositati, si desume un evidente travisamento della legge e delle circolari allo scopo richiamate;
Ritenuto, pertanto, che il presente gravame va accolto e conseguentemente annullato il provvedimento impugnato perché viziato da violazione di legge, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione resistente;
Considerato, infine, che le spese seguono come di norma la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno, parte resistente, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre la rifusione dell’importo del contributo unificato versato pari ad € 300,00 (trecento), a favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente FF, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2013
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29/11/2013 201310250 Sentenza Breve 1B
N. 10250/2013 REG.PROV.COLL.
N. 07968/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7968 del 2012, proposto da:
F. C., rappresentata e difesa dall'avv. M. A., con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico - Difesa Civile, in persona del Ministro in carica e del Capo Dipartimento p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (prot. uscita 0018619 del 18.06.2012), recante il rigetto dell’istanza di fruizione del congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che con il presente mezzo di gravame, notificato il 31 luglio 2013 e depositato il successivo 9 ottobre, la parte istante - in qualità di assistente in servizio presso il Comando Provinciale di …… dei Vigili del Fuoco - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe poiché lesivo del proprio interesse al riconoscimento dei benefici relativi alla fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni, prospettando come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici, ed in particolare l’errata valutazione del presupposto di fatto richiesto dalla legge e denominato “referente unico”;
Ritenuto che le medesime doglianze sono finalizzate a dimostrare che l’atto impugnato si fonda su un’errata interpretazione del disposto normativo di riferimento, laddove in verità il comma 5/bis del citato art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001, inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119, dispone che “ Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto.”;
Atteso che gli argomenti enunciati nell’unico motivo di gravame risultano essere fondati in ragione della motivazione posta a base del provvedimento impugnato, laddove si afferma che non risulta comprovata la sussistenza di elementi che dimostrino lo status di “referente unico” che, nel caso di specie, sarebbe escluso dalla presenza di altri due fratelli residenti a ……. di Roma;
Considerato, altresì, che la suddetta interpretazione non trova riscontro sia nella lettera della norma sopra esposta, sia nella circolare (tra l’altro richiamata nel corpo del provvedimento di diniego) della Funzione Pubblica n. 1 del 2012, poiché l’intento delle diverse norme di cui si è data applicazione è solo quello di impedire che il beneficio in discussione sia riconosciuto a più soggetti legittimati in quanto lavoratori;
Considerato, inoltre, che la circostanza posta a base della motivazione del provvedimento gravato (“presenza di altri due fratelli residenti a …… di Roma”) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’impedimento normativo alla concessione del congedo per l’assistenza alle persone in situazione di disabilità grave, per la semplice ragione che la stessa p.a. avrebbe dovuto quantomeno accertare che almeno uno dei due soggetti specificati già godesse del beneficio in discussione;
Ritenuto che, nel caso di specie, vi sono i presupposti per pronunciare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 del c.p.a., una sentenza in forma semplificata in quanto, dagli atti depositati, si desume un evidente travisamento della legge e delle circolari allo scopo richiamate;
Ritenuto, pertanto, che il presente gravame va accolto e conseguentemente annullato il provvedimento impugnato perché viziato da violazione di legge, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione resistente;
Considerato, infine, che le spese seguono come di norma la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno, parte resistente, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre la rifusione dell’importo del contributo unificato versato pari ad € 300,00 (trecento), a favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente FF, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2013
Re: Tutela delle lavoratrici madri
Discriminazione sul lavoro, CGUE: no a esclusione da corso di formazione per congedo maternità
L’esclusione automatica di una lavoratrice da un corso di formazione a causa della fruizione di un congedo di maternità obbligatorio costituisce un trattamento contrario al diritto UE, perché discriminatorio:
la lavoratrice, infatti, non può beneficiare, al pari dei suoi colleghi, di un miglioramento delle condizioni di lavoro.
E’ quanto si legge nella sentenza odierna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che interviene nella causa tra il Ministero della giustizia e una lavoratrice italiana.
La donna in questione ha superato nel 2009 un concorso per la nomina a vice commissario della polizia penitenziaria ed è stata ammessa a partecipare al corso di formazione.
Essendo in attesa, in conformità alla normativa nazionale, è stata posta in congedo obbligatorio di maternità per un periodo di 3 mesi.
L’Amministrazione penitenziaria ha informato la lavoratrice del fatto che, decorsi i primi 30 giorni del periodo di congedo di maternità, sarebbe stata dimessa dal corso, con perdita della retribuzione.
Il Tar del Lazio, cui la signora ha fatto ricorso, ha chiesto alla CGUE se la direttiva sulla parità di trattamento fra uomini e donne osti a una normativa nazionale che prevede l’esclusione di una donna, per aver preso un congedo obbligatorio di maternità, da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego e che la stessa deve obbligatoriamente seguire per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare quindi di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare al corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento è tuttavia incerto.
Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che, secondo il diritto dell’Unione, un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso.
Peraltro, alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.
Quindi l’esclusione dal corso di formazione ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della lavoratrice:
infatti, i suoi colleghi hanno avuto la possibilità di seguire tale corso per intero e di accedere, prima di lei, al superiore livello di carriera di vice commissario, percependo al contempo la retribuzione corrispondente.
Si tratta quindi di un trattamento sfavorevole non conforme neanche al principio di proporzionalità, visto che le autorità competenti non sono obbligate a organizzare il corso di formazione a scadenze predeterminate.
Per garantire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale:
le autorità nazionali potrebbero conciliare l’esigenza della formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice, predisponendo all’occorrenza, per colei che rientra da un congedo di maternità, corsi paralleli di recupero equivalenti, di modo che possa essere ammessa in tempo utile all’esame e accedere quindi il prima possibile a un livello superiore di carriera.
In tal modo l’evoluzione della carriera della lavoratrice non risulterebbe rallentata rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione iniziale.
La Corte termina sottolineando che le disposizioni della direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.
Pertanto, il giudice nazionale incaricato di applicarle ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria.
L’esclusione automatica di una lavoratrice da un corso di formazione a causa della fruizione di un congedo di maternità obbligatorio costituisce un trattamento contrario al diritto UE, perché discriminatorio:
la lavoratrice, infatti, non può beneficiare, al pari dei suoi colleghi, di un miglioramento delle condizioni di lavoro.
E’ quanto si legge nella sentenza odierna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che interviene nella causa tra il Ministero della giustizia e una lavoratrice italiana.
La donna in questione ha superato nel 2009 un concorso per la nomina a vice commissario della polizia penitenziaria ed è stata ammessa a partecipare al corso di formazione.
Essendo in attesa, in conformità alla normativa nazionale, è stata posta in congedo obbligatorio di maternità per un periodo di 3 mesi.
L’Amministrazione penitenziaria ha informato la lavoratrice del fatto che, decorsi i primi 30 giorni del periodo di congedo di maternità, sarebbe stata dimessa dal corso, con perdita della retribuzione.
Il Tar del Lazio, cui la signora ha fatto ricorso, ha chiesto alla CGUE se la direttiva sulla parità di trattamento fra uomini e donne osti a una normativa nazionale che prevede l’esclusione di una donna, per aver preso un congedo obbligatorio di maternità, da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego e che la stessa deve obbligatoriamente seguire per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare quindi di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare al corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento è tuttavia incerto.
Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che, secondo il diritto dell’Unione, un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso.
Peraltro, alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.
Quindi l’esclusione dal corso di formazione ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della lavoratrice:
infatti, i suoi colleghi hanno avuto la possibilità di seguire tale corso per intero e di accedere, prima di lei, al superiore livello di carriera di vice commissario, percependo al contempo la retribuzione corrispondente.
Si tratta quindi di un trattamento sfavorevole non conforme neanche al principio di proporzionalità, visto che le autorità competenti non sono obbligate a organizzare il corso di formazione a scadenze predeterminate.
Per garantire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne, gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale:
le autorità nazionali potrebbero conciliare l’esigenza della formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice, predisponendo all’occorrenza, per colei che rientra da un congedo di maternità, corsi paralleli di recupero equivalenti, di modo che possa essere ammessa in tempo utile all’esame e accedere quindi il prima possibile a un livello superiore di carriera.
In tal modo l’evoluzione della carriera della lavoratrice non risulterebbe rallentata rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione iniziale.
La Corte termina sottolineando che le disposizioni della direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.
Pertanto, il giudice nazionale incaricato di applicarle ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria.
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