Spending review. Adesso tocca ai Tar

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Spending review. Adesso tocca ai Tar

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Il Governo ha deciso la soppressione delle sedi distaccate dei tribunali amministrativi

Ancora tagli, in Sicilia chiude il Tar di Catania

Dal 1° ottobre bisognerà recarsi alla sede di Palermo.

Catania dice addio alla sede del Tribunale amministrativo regionale.

A stabilirlo è stato ieri il Consiglio dei ministri, che su proposta del Presidente, Matteo Renzi, ha approvato un pacchetto di misure che riformano la Pubblica Amministrazione, dall’organizzazione degli uffici alle riforme costituzionali.

Nell’ambito della soppressione di enti e uffici, il Governo ha stabilito la chiusura, a decorrere dal 1° ottobre, delle nove sezioni distaccate, attualmente operative in Italia, dei tribunali amministrativi regionali.

Tra queste la sede etnea del Tar, che chiuderà dunque i battenti: le controversie amministrative di tutta l’isola verranno trattate dai giudici del tribunale amministrativo di Palermo.

Oltre Catania, chiuderanno gli uffici di Pescara, Reggio Calabria, Salerno, Parma, Latina, Brescia, Lecce e Bolzano.

Una decisione, quella adottata dal Governo, che non ha avuto riscontri positivi da parte dei vertici del Tar catanese: “Una scelta che risponde forse più ad esigenze di immagine – ha commentato il presidente facente funzioni del Tar di Catania, Salvo Veneziano -: si vuole mostrare di voler tagliare, ma in realtà non si avranno benefici nè economici nè in termini di efficienza, soprattutto per le grandi sedi”.

Veneziano ha ricordato inoltre come nel capoluogo etneo, che può contare attualmente su quattro sezioni del tribunale contro le tre palermitane, i contenziosi siano superiori alla sede di Palermo.


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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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RECORD DI ARRETRATI PER IL TRIBUNALE ETNEO

Renzi chiude il Tar di Catania

Trasferiti 54mila ricorsi pendenti

Notizia del 15 giugno 2014

La sezione distaccata del Tar di Catania è destinata a scomparire. Lo prevede uno della sessantina di articoli del dl sulla Pubblica amministrazione varato venerdì scorso dal consiglio dei ministri che dall’1 ottobre prossimo mette i lucchetti alle sezioni distaccate dei tribunali amministrativi in Italia con relativo trasferimento di personale e risorse finanziarie. Ed anche di ricorsi pendenti.

Su questo fronte la situazione di Catania è la più esplosiva. Al Tar del capoluogo etneo gli arretrati segnano punte limite, secondo in Italia solo dopo il Tar del Lazio con i suoi 54.445 ricorsi pendenti. Entro il 15 settembre il governo dovrà predisporre il decreto con le regole del trasferimento alla sezione regionale centrale del tribunale amministrativo di Palermo. Quando il decreto diventerà operativo, tutti i nuovi ricorsi confluiranno al Tar centrale.

La decisione del consiglio dei ministri ha già prodotto reazioni. La soppressione delle sezione staccate dei Tar, sostiene il presidente facente funzioni, Salvatore Veneziano, “risponde forse più esigenze di immagine del governo, di volere tagliare: ma i benefici di efficienza e economici sfumano, soprattutto per le grandi sedi”. Veneziano, ricorda che nel capoluogo etneo “il numero di sezioni, quattro contro tre, e i contenziosi sono superiori alla sede di Palermo”.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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TAR. “Salvi” Catania, Lecce, Salerno, Brescia e Reggio Calabria


La I Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato ieri un emendamento all’articolo 18 del DL 90/2014.

Il decreto legge prevedeva in origine l’immediata soppressione di tutte le sezioni staccate dei Tribunali Amministrativi Regionali, tranne Bolzano.

L’emendamento fa ora salve tutte le sezioni distaccate del Tar che si trovano nelle sedi di Corti d’Appello.

Si tratta di Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. Rinviata inoltre di un anno la prevista soppressione delle altre sedi (Latina, Pescara, Parma).

Questo il testo dell’emendamento approvato.

Sostituire il comma 1 con i seguenti:
“1. Nelle more della riorganizzazione dell’assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, in assenza di misure di attuazione del piano di cui al comma 1-bis, a decorrere dal 1° luglio 2015 sono soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale aventi sede in comuni che non sono sedi di corte d’appello. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, da adottare entro il 31 marzo 2015, sono stabilite le modalità per il trasferimento del contenzioso pendente presso le sezioni soppresse, nonché delle risorse umane e finanziarie, al tribunale amministrativo della relativa regione. Dal 1° luglio 2015, i ricorsi sono depositati presso la sede centrale del tribunale amministrativo regionale.

1-bis. Entro il 31 dicembre 2014 il Governo, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, presenta al Parlamento una relazione sull’assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, che comprende un’analisi dei fabbisogni, dei costi delle sedi e del personale, del carico di lavoro di ciascun tribunale e di ciascuna sezione, nonché del grado di informatizzazione. Alla relazione è allegato un piano di riorganizzazione, che prevede misure di ammodernamento e razionalizzazione della spesa e l’eventuale individuazione di uffici direttivi o sezioni staccate da sopprimere, tenendo conto della collocazione geografica, del carico di lavoro e dell’organizzazione degli uffici giudiziari.”.

Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole “All’articolo” con le seguenti: “A decorrere dal 1° luglio 2015, all’articolo” e sostituire la lettera a) con la seguente: “a) al terzo comma, le parole “Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzi,” sono soppresse;”.

23 luglio 2014
nabboni

Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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panorama ha scritto:TAR. “Salvi” Catania, Lecce, Salerno, Brescia e Reggio Calabria


La I Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato ieri un emendamento all’articolo 18 del DL 90/2014.

Il decreto legge prevedeva in origine l’immediata soppressione di tutte le sezioni staccate dei Tribunali Amministrativi Regionali, tranne Bolzano.

L’emendamento fa ora salve tutte le sezioni distaccate del Tar che si trovano nelle sedi di Corti d’Appello.

Si tratta di Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. Rinviata inoltre di un anno la prevista soppressione delle altre sedi (Latina, Pescara, Parma).

Questo il testo dell’emendamento approvato.

Sostituire il comma 1 con i seguenti:
“1. Nelle more della riorganizzazione dell’assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, in assenza di misure di attuazione del piano di cui al comma 1-bis, a decorrere dal 1° luglio 2015 sono soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale aventi sede in comuni che non sono sedi di corte d’appello. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, da adottare entro il 31 marzo 2015, sono stabilite le modalità per il trasferimento del contenzioso pendente presso le sezioni soppresse, nonché delle risorse umane e finanziarie, al tribunale amministrativo della relativa regione. Dal 1° luglio 2015, i ricorsi sono depositati presso la sede centrale del tribunale amministrativo regionale.

1-bis. Entro il 31 dicembre 2014 il Governo, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, presenta al Parlamento una relazione sull’assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, che comprende un’analisi dei fabbisogni, dei costi delle sedi e del personale, del carico di lavoro di ciascun tribunale e di ciascuna sezione, nonché del grado di informatizzazione. Alla relazione è allegato un piano di riorganizzazione, che prevede misure di ammodernamento e razionalizzazione della spesa e l’eventuale individuazione di uffici direttivi o sezioni staccate da sopprimere, tenendo conto della collocazione geografica, del carico di lavoro e dell’organizzazione degli uffici giudiziari.”.

Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole “All’articolo” con le seguenti: “A decorrere dal 1° luglio 2015, all’articolo” e sostituire la lettera a) con la seguente: “a) al terzo comma, le parole “Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzi,” sono soppresse;”.

23 luglio 2014
Renzi è tutto fumo, magari tra un anno apriranno i TAR a Crotone, Lodi, Piacenza, Lucca, etc.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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non solo Tar ma anche,

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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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per notizia:
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Giustizia: Napolitano firma il decreto sul civile. Taglio delle ferie: 30 giorni anziché 45


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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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SENTENZA N. 5
ANNO 2015


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO “
- Paolo GROSSI “
- Giorgio LATTANZI “
- Aldo CAROSI “
- Marta CARTABIA “
- Sergio MATTARELLA “
- Mario Rosario MORELLI “
- Giancarlo CORAGGIO “
- Giuliano AMATO “
- Silvana SCIARRA “
- Daria de PRETIS “
- Nicolò ZANON “
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nei giudizi di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), delle richieste di referendum popolare per l’abrogazione: dell’art. 1, comma 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari); della Tabella A (art. 1, comma 1) allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, giudizio iscritto al n. 159 del registro ammissibilità referendum; dell’art. 1, comma 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla Tabella A allegata al decreto e, quindi, limitatamente alle seguenti parole: «i tribunali ordinari,» e «e le procure della Repubblica»; della Tabella A (art. 1, comma 1) allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, limitatamente alle seguenti righe e, per ciascuna di esse, alle seguenti parole tra virgolette, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località:

Riga 7 «ANCONA CAMERINO T. CAMERINO»
Riga 8 «ANCONA CAMERINO P.R. CAMERINO»
Riga 23 «BARI LUCERA T. LUCERA»
Riga 26 «BARI LUCERA P.R. LUCERA»
Riga 52 «BRESCIA CREMA T. CREMA»
Riga 53 «BRESCIA CREMA. P.R. CREMA»
Riga 60 «CALTANISSETTA NICOSIA. T. NICOSIA»
Riga 61 «CALTANISSETTA NICOSIA. P.R. NICOSIA»
Riga 71 «CATANIA MODICA T. MODICA»
Riga 72 «CATANIA MODICA P.R. MODICA»
Riga 82 «CATANZARO ROSSANO T. ROSSANO»
Riga 83 «CATANZARO ROSSANO P.R. ROSSANO»
Riga 95 «FIRENZE MONTEPULCIANO T. MONTEPULCIANO»
Riga 96 «FIRENZE MONTEPULCIANO P.R. MONTEPULCIANO»
Riga 101 «GENOVA CHIAVARI T. CHIAVARI»
Riga 102 «GENOVA CHIAVARI P.R. CHIAVARI»
Riga 106 «GENOVA SANREMO T. SANREMO»
Riga 108 «GENOVA SANREMO P.R. SANREMO»
Riga 110 «L’AQUILA AVEZZANO T. AVEZZANO»
Riga 111 «L’AQUILA AVEZZANO P.R. AVEZZANO»
Riga 113 «L’AQUILA LANCIANO T. LANCIANO»
Riga 115 «L’AQUILA LANCIANO P.R. LANCIANO»
Riga 118 «L’AQUILA SULMONA T. SULMONA»
Riga 119 «L’AQUILA SULMONA P.R. SULMONA»
Riga 122 «L’AQUILA VASTO T. VASTO»
Riga 123 «L’AQUILA VASTO P.R. VASTO»
Riga 139 «MESSINA MISTRETTA T. MISTRETTA»
Riga 140 «MESSINA MISTRETTA P.R. MISTRETTA»
Riga 153 «MILANO VIGEVANO T. VIGEVANO»
Riga 155 «MILANO VIGEVANO P.R. VIGEVANO»
Riga 156 «MILANO VOGHERA T. VOGHERA»
Riga 157 «MILANO VOGHERA P.R. VOGHERA»
Riga 158 «NAPOLI ARIANO IRPINO T. ARIANO IRPINO»
Riga 159 «NAPOLI ARIANO IRPINO P.R. ARIANO IRPINO»
Riga 177 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI T. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 178 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI P.R. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 195 «PERUGIA ORVIETO T. ORVIETO»
Riga 196 «PERUGIA ORVIETO P.R. ORVIETO»
Riga 203 «POTENZA MELFI T. MELFI»
Riga 204 «POTENZA MELFI P.R. MELFI»
Riga 224 «SALERNO SALA CONSILINA T. SALA CONSILINA»
Riga 226 «SALERNO SALA CONSILINA P.R. SALA CONSILINA»
Riga 239 «TORINO ACQUI TERME T. ACQUI TERME»
Riga 240 «TORINO ACQUI TERME P.R. ACQUI TERME»
Riga 241 «TORINO ALBA T. ALBA»
Riga 243 «TORINO ALBA P.R. ALBA»
Riga 245 «TORINO CASALE MONFERRATO T. CASALE MONFERRATO»
Riga 246 «TORINO CASALE MONFERRATO P.R. CASALE MONFERRATO»
Riga 247 «TORINO MONDOVI’ T. MONDOVI’»
Riga 248 «TORINO MONDOVI’ P.R. MONDOVI’»
Riga 250 «TORINO PINEROLO T. PINEROLO»
Riga 251 «TORINO PINEROLO P.R. PINEROLO»
Riga 252 «TORINO SALUZZO T. SALUZZO»
Riga 253 «TORINO SALUZZO P.R. SALUZZO»
Riga 258 «TORINO TORTONA T. TORTONA»
Riga 259 «TORINO TORTONA P.R. TORTONA»
Riga 268 «TRIESTE TOLMEZZO T. TOLMEZZO»
Riga 269 «TRIESTE TOLMEZZO P.R. TOLMEZZO»
Riga 272 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA T. BASSANO DEL GRAPPA»
Riga 273 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA P.R. BASSANO DEL GRAPPA», giudizio iscritto al n. 160 del registro ammissibilità referendum; dell’art. 1, comma 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla Tabella A allegata al decreto e, quindi, limitatamente alle seguenti parole: «i tribunali ordinari,» e «e le procure della Repubblica»; della Tabella A (art. 1, comma 1) allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, limitatamente alle seguenti righe e, per ciascuna di esse, alle seguenti parole tra virgolette, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località:

Riga 7 «ANCONA CAMERINO T. CAMERINO»
Riga 8 «ANCONA CAMERINO P.R. CAMERINO»
Riga 23 «BARI LUCERA T. LUCERA»
Riga 26 «BARI LUCERA P.R. LUCERA»
Riga 52 «BRESCIA CREMA T. CREMA»
Riga 53 «BRESCIA CREMA. P.R. CREMA»
Riga 60 «CALTANISSETTA NICOSIA. T. NICOSIA»
Riga 61 «CALTANISSETTA NICOSIA. P.R. NICOSIA»
Riga 71 «CATANIA MODICA T. MODICA»
Riga 72 «CATANIA MODICA P.R. MODICA»
Riga 82 «CATANZARO ROSSANO T. ROSSANO»
Riga 83 «CATANZARO ROSSANO P.R. ROSSANO»
Riga 95 «FIRENZE MONTEPULCIANO T. MONTEPULCIANO»
Riga 96 «FIRENZE MONTEPULCIANO P.R. MONTEPULCIANO»
Riga 101 «GENOVA CHIAVARI T. CHIAVARI»
Riga 102 «GENOVA CHIAVARI P.R. CHIAVARI»
Riga 106 «GENOVA SANREMO T. SANREMO»
Riga 108 «GENOVA SANREMO P.R. SANREMO»
Riga 110 «L’AQUILA AVEZZANO T. AVEZZANO»
Riga 111 «L’AQUILA AVEZZANO P.R. AVEZZANO»
Riga 113 «L’AQUILA LANCIANO T. LANCIANO»
Riga 115 «L’AQUILA LANCIANO P.R. LANCIANO»
Riga 118 «L’AQUILA SULMONA T. SULMONA»
Riga 119 «L’AQUILA SULMONA P.R. SULMONA»
Riga 122 «L’AQUILA VASTO T. VASTO»
Riga 123 «L’AQUILA VASTO P.R. VASTO»
Riga 139 «MESSINA MISTRETTA T. MISTRETTA»
Riga 140 «MESSINA MISTRETTA P.R. MISTRETTA»
Riga 153 «MILANO VIGEVANO T. VIGEVANO»
Riga 155 «MILANO VIGEVANO P.R. VIGEVANO»
Riga 156 «MILANO VOGHERA T. VOGHERA»
Riga 157 «MILANO VOGHERA P.R. VOGHERA»
Riga 158 «NAPOLI ARIANO IRPINO T. ARIANO IRPINO»
Riga 159 «NAPOLI ARIANO IRPINO P.R. ARIANO IRPINO»
Riga 177 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI T. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 178 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI P.R. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 195 «PERUGIA ORVIETO T. ORVIETO»
Riga 196 «PERUGIA ORVIETO P.R. ORVIETO»
Riga 203 «POTENZA MELFI T. MELFI»
Riga 204 «POTENZA MELFI P.R. MELFI»
Riga 224 «SALERNO SALA CONSILINA T. SALA CONSILINA»
Riga 226 «SALERNO SALA CONSILINA P.R. SALA CONSILINA»
Riga 239 «TORINO ACQUI TERME T. ACQUI TERME»
Riga 240 «TORINO ACQUI TERME P.R. ACQUI TERME»
Riga 241 «TORINO ALBA T. ALBA»
Riga 243 «TORINO ALBA P.R. ALBA»
Riga 245 «TORINO CASALE MONFERRATO T. CASALE MONFERRATO»
Riga 246 «TORINO CASALE MONFERRATO P.R. CASALE MONFERRATO»
Riga 247 «TORINO MONDOVI’ T. MONDOVI’»
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Riga 250 «TORINO PINEROLO T. PINEROLO»
Riga 251 «TORINO PINEROLO P.R. PINEROLO»
Riga 252 «TORINO SALUZZO T. SALUZZO»
Riga 253 «TORINO SALUZZO P.R. SALUZZO»
Riga 258 «TORINO TORTONA T. TORTONA»
Riga 259 «TORINO TORTONA P.R. TORTONA»
Riga 268 «TRIESTE TOLMEZZO T. TOLMEZZO»
Riga 269 «TRIESTE TOLMEZZO P.R. TOLMEZZO»
Riga 272 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA T. BASSANO DEL GRAPPA»
Riga 273 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA P.R. BASSANO DEL GRAPPA»; dell’art. 1, comma 3, rubricato “Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155”, del d.lgs. n. 14 del 2014, nonché dell’Allegato II (Tabella A del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) del medesimo decreto legislativo, nella parte in cui, hanno sostituito la Tabella A del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei Tribunali di Acqui Terme, Alba, Ariano Irpino, Avezzano, Bassano del Grappa, Camerino, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Orvieto, Pinerolo, Rossano, Sala Consilina, Saluzzo, Sanremo, Sant’Angelo dei Lombardi, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Vasto, Vigevano, Voghera, giudizio iscritto al n. 161 del registro ammissibilità referendum.

Viste le ordinanze del 4 dicembre 2014, con le quali l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi a legge le richieste;

udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2015 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi gli avvocati Enrico Follieri per l’Ordine circondariale degli avvocati di Lucera e per il Comitato per la difesa della Legalità in Capitanata, Marco Lombardi per l’Associazione “Comitato Ostia”, Mario Petrella per l’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Avezzano e della Marsica, per l’Ordine degli avvocati di Avezzano e per il Comitato pro referendum sulla geografia giudiziaria, Mario Petrella e Angelo Errico Romiti per i delegati dei Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata e Puglia, Rosanna Panariello per il delegato del Consiglio regionale della Regione Campania, Salvatore Cordaro in proprio e nella qualità di delegato del Consiglio regionale della Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ordinanze del 4 dicembre 2014, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato legittime tre richieste di referendum popolare abrogativo, tutte presentate dai Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Puglia e Regione siciliana, su tre distinti quesiti riguardanti alcune disposizioni dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148) e 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari).

1.1.‒ Il primo quesito (reg. amm. ref. n. 159) è il seguente:

«Volete voi che siano abrogate le seguenti disposizioni:

a) comma 1 dell’art. 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n.14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), nel testo che qui di seguito si trascrive: “1. Sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto”;

b) la connessa Tabella A (art. 1, comma l) allegata al d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 19 febbraio 2014, n.14?».

L’Ufficio centrale per il referendum ha attribuito al quesito la seguente denominazione: «1° quesito referendario. Abrogazione delle disposizioni relative alla soppressione di trenta tribunali ordinari, delle corrispondenti procure della Repubblica, nonché di duecentoventi sezioni distaccate di tribunali ordinari.».

1.2.‒ Il secondo quesito (reg. amm. ref. n. 160) è il seguente:

«Volete voi che siano abrogate le seguenti disposizioni:

a) comma 1 dell’art. 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), recante il seguente testo: “1. Sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto”, nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al decreto e, quindi, limitatamente alle seguenti parole: “i tribunali ordinari,” e “e le procure della Repubblica”;

b) la connessa Tabella A (art. 1, comma 1) allegata al d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, limitatamente alle seguenti righe e, per ciascuna di esse, alle seguenti parole tra virgolette, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località:

Riga 7 «ANCONA CAMERINO T. CAMERINO»
Riga 8 «ANCONA CAMERINO P.R. CAMERINO»
Riga 23 «BARI LUCERA T. LUCERA»
Riga 26 «BARI LUCERA P.R. LUCERA»
Riga 52 «BRESCIA CREMA T. CREMA»
Riga 53 «BRESCIA CREMA. P.R. CREMA»
Riga 60 «CALTANISSETTA NICOSIA T. NICOSIA»
Riga 61 «CALTANISSETTA NICOSIA P.R. NICOSIA»
Riga 71 «CATANIA MODICA T. MODICA»
Riga 72 «CATANIA MODICA P.R. MODICA»
Riga 82 «CATANZARO ROSSANO T. ROSSANO»
Riga 83 «CATANZARO ROSSANO P.R. ROSSANO»
Riga 95 «FIRENZE MONTEPULCIANO T. MONTEPULCIANO»
Riga 96 «FIRENZE MONTEPULCIANO P.R. MONTEPULCIANO»
Riga 101 «GENOVA CHIAVARI T. CHIAVARI»
Riga 102 «GENOVA CHIAVARI P.R. CHIAVARI»
Riga 106 «GENOVA SANREMO T. SANREMO»
Riga 108 «GENOVA SANREMO P.R. SANREMO»
Riga 110 «L’AQUILA AVEZZANO T. AVEZZANO»
Riga 111 «L’AQUILA AVEZZANO P.R. AVEZZANO»
Riga 113 «L’AQUILA LANCIANO T. LANCIANO»
Riga 115 «L’AQUILA LANCIANO P.R. LANCIANO»
Riga 118 «L’AQUILA SULMONA T. SULMONA»
Riga 119 «L’AQUILA SULMONA P.R. SULMONA»
Riga 122 «L’AQUILA VASTO T. VASTO»
Riga 123 «L’AQUILA VASTO P.R. VASTO»
Riga 139 «MESSINA MISTRETTA T. MISTRETTA»
Riga 140 «MESSINA MISTRETTA P.R. MISTRETTA»
Riga 153 «MILANO VIGEVANO T. VIGEVANO»
Riga 155 «MILANO VIGEVANO P.R. VIGEVANO»
Riga 156 «MILANO VOGHERA T. VOGHERA»
Riga 157 «MILANO VOGHERA P.R. VOGHERA»
Riga 158 «NAPOLI ARIANO IRPINO T. ARIANO IRPINO»
Riga 159 «NAPOLI ARIANO IRPINO P.R. ARIANO IRPINO»
Riga 177 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI T. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 178 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI P.R. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 195 «PERUGIA ORVIETO T. ORVIETO»
Riga 196 «PERUGIA ORVIETO P.R. ORVIETO»
Riga 203 «POTENZA MELFI T. MELFI»
Riga 204 «POTENZA MELFI P.R. MELFI»
Riga 224 «SALERNO SALA CONSILINA T. SALA CONSILINA»
Riga 226 «SALERNO SALA CONSILINA P.R. SALA CONSILINA»
Riga 239 «TORINO ACQUI TERME T. ACQUI TERME»
Riga 240 «TORINO ACQUI TERME P.R. ACQUI TERME»
Riga 241 «TORINO ALBA T. ALBA»
Riga 243 «TORINO ALBA P.R. ALBA»
Riga 245 «TORINO CASALE MONFERRATO T. CASALE MONFERRATO»
Riga 246 «TORINO CASALE MONFERRATO P.R. CASALE MONFERRATO»
Riga 247 «TORINO MONDOVI’ T. MONDOVI’»
Riga 248 «TORINO MONDOVI’ P.R. MONDOVI’»
Riga 250 «TORINO PINEROLO T. PINEROLO»
Riga 251 «TORINO PINEROLO P.R. PINEROLO»
Riga 252 «TORINO SALUZZO T. SALUZZO»
Riga 253 «TORINO SALUZZO P.R. SALUZZO»
Riga 258 «TORINO TORTONA T. TORTONA»
Riga 259 «TORINO TORTONA P.R. TORTONA»
Riga 268 «TRIESTE TOLMEZZO T. TOLMEZZO»
Riga 269 «TRIESTE TOLMEZZO P.R. TOLMEZZO»
Riga 272 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA T. BASSANO DEL GRAPPA»
Riga 273 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA P.R. BASSANO DEL GRAPPA»?».

L’Ufficio centrale per il referendum ha attribuito al quesito la seguente denominazione: «2° quesito referendario. Abrogazione delle disposizioni relative alla soppressione di trenta tribunali ordinari e delle corrispondenti procure della Repubblica.».

1.3.– Il terzo quesito (reg. amm. ref. n. 161) è, infine, il seguente:

«Volete voi che siano abrogate le seguenti disposizioni:

a) comma 1 dell’art. 1, rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), recante il seguente testo: “1. Sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto”, nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al decreto e, quindi, limitatamente alle seguenti parole: “i tribunali ordinari,” e “e le procure della Repubblica”;

b) la connessa Tabella A (art. 1, comma l) allegata al d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, limitatamente alle seguenti righe e, per ciascuna di esse, alle seguenti parole tra virgolette, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località:

Riga 7 «ANCONA CAMERINO T. CAMERINO»
Riga 8 «ANCONA CAMERINO P.R. CAMERINO»
Riga 23 «BARI LUCERA T. LUCERA»
Riga 26 «BARI LUCERA P.R. LUCERA»
Riga 52 «BRESCIA CREMA T. CREMA»
Riga 53 «BRESCIA CREMA P.R. CREMA»
Riga 60 «CALTANISSETTA NICOSIA T. NICOSIA»
Riga 61 «CALTANISSETTA NICOSIA P.R. NICOSIA»
Riga 71 «CATANIA MODICA T. MODICA»
Riga 72 «CATANIA MODICA P.R. MODICA»
Riga 82 «CATANZARO ROSSANO T. ROSSANO»
Riga 83 «CATANZARO ROSSANO P.R. ROSSANO»
Riga 95 «FIRENZE MONTEPULCIANO T. MONTEPULCIANO»
Riga 96 «FIRENZE MONTEPULCIANO P.R. MONTEPULCIANO»
Riga 101 «GENOVA CHIAVARI T. CHIAVARI»
Riga 102 «GENOVA CHIAVARI P.R. CHIAVARI»
Riga 106 «GENOVA SANREMO T. SANREMO»
Riga 108 «GENOVA SANREMO P.R. SANREMO»
Riga 110 «L’AQUILA AVEZZANO T. AVEZZANO»
Riga 111 «L’AQUILA AVEZZANO P.R. AVEZZANO»
Riga 113 «L’AQUILA LANCIANO T. LANCIANO»
Riga 115 «L’AQUILA LANCIANO P.R. LANCIANO»
Riga 118 «L’AQUILA SULMONA T. SULMONA»
Riga 119 «L’AQUILA SULMONA P.R. SULMONA»
Riga 122 «L’AQUILA VASTO T. VASTO»
Riga 123 «L’AQUILA VASTO P.R. VASTO»
Riga 139 «MESSINA MISTRETTA T. MISTRETTA»
Riga 140 «MESSINA MISTRETTA P.R. MISTRETTA»
Riga 153 «MILANO VIGEVANO T. VIGEVANO»
Riga 155 «MILANO VIGEVANO P.R. VIGEVANO»
Riga 156 «MILANO VOGHERA T. VOGHERA»
Riga 157 «MILANO VOGHERA P.R. VOGHERA»
Riga 158 «NAPOLI ARIANO IRPINO T. ARIANO IRPINO»
Riga 159 «NAPOLI ARIANO IRPINO P.R. ARIANO IRPINO»
Riga 177 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI T. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 178 «NAPOLI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI P.R. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI»
Riga 195 «PERUGIA ORVIETO T. ORVIETO»
Riga 196 «PERUGIA ORVIETO P.R. ORVIETO»
Riga 203 «POTENZA MELFI T. MELFI»
Riga 204 «POTENZA MELFI P.R. MELFI»
Riga 224 «SALERNO SALA CONSILINA T. SALA CONSILINA»
Riga 226 «SALERNO SALA CONSILINA P.R. SALA CONSILINA»
Riga 239 «TORINO ACQUI TERME T. ACQUI TERME»
Riga 240 «TORINO ACQUI TERME P.R. ACQUI TERME»
Riga 241 «TORINO ALBA T. ALBA»
Riga 243 «TORINO ALBA P.R. ALBA»
Riga 245 «TORINO CASALE MONFERRATO T. CASALE MONFERRATO»
Riga 246 «TORINO CASALE MONFERRATO P.R. CASALE MONFERRATO»
Riga 247 «TORINO MONDOVI’ T. MONDOVI’»
Riga 248 «TORINO MONDOVI’ P.R. MONDOVI’»
Riga 250 «TORINO PINEROLO T. PINEROLO»
Riga 251 «TORINO PINEROLO P.R. PINEROLO»
Riga 252 «TORINO SALUZZO T. SALUZZO»
Riga 253 «TORINO SALUZZO P.R. SALUZZO»
Riga 258 «TORINO TORTONA T. TORTONA»
Riga 259 «TORINO TORTONA P.R. TORTONA»
Riga 268 «TRIESTE TOLMEZZO T. TOLMEZZO»
Riga 269 «TRIESTE TOLMEZZO P.R. TOLMEZZO»
Riga 272 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA T. BASSANO DEL GRAPPA»
Riga 273 «VENEZIA BASSANO DEL GRAPPA P.R. BASSANO DEL GRAPPA»;

c) il comma 3 dell’art. 1, rubricato “Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155”, del d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, recante il seguente testo: “3. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, la tabella A è sostituita dalla tabella di cui all’allegato II”, nonché l’allegato II (tabella A del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) del medesimo d.lgs. 19 febbraio 2014, n.14, nella parte in cui hanno sostituito la tabella A del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei tribunali di Acqui Terme, Alba, Ariano Irpino, Avezzano, Bassano del Grappa, Camerino, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Orvieto, Pinerolo, Rossano, Sala Consilina, Saluzzo, Sanremo, Sant’Angelo dei Lombardi, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Vasto, Vigevano, Voghera”?».

L’Ufficio centrale per il referendum ha attribuito al quesito la seguente denominazione: «3° quesito referendario. Abrogazione delle disposizioni relative alla soppressione di trenta tribunali ordinari e delle corrispondenti procure della Repubblica, nonché eliminazione della mancata previsione nell’ordinamento giudiziario dei circondari dei tribunali soppressi.».

2.‒ Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione delle ordinanze dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 14 gennaio 2015, disponendo che ne fosse data comunicazione ai delegati delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Puglia e Regione siciliana e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

Le richieste di referendum sono state iscritte nel relativo registro ai numeri 159, 160 e 161.

3.‒ Con memorie di analogo contenuto, depositate il 9 gennaio 2015 in ciascuno dei tre giudizi di ammissibilità, il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che le tre richieste di referendum siano dichiarate inammissibili.

A sostegno di tali istanze, il Governo deduce che: a) la normativa oggetto dei quesiti, disciplinando l’esercizio della funzione giudiziaria di primo grado e la stessa organizzazione della magistratura ordinaria, costituisce una legge costituzionalmente necessaria, la cui vigenza è indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale, nonché per garantire una tutela minima a diritti e situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione, e non può, perciò, essere puramente e semplicemente abrogata (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 12 del 2014, n. 16 del 2008, n. 48, n. 47, n. 46 e n. 45 del 2005, n. 49 del 2000, n. 35 del 1997 e n. 32 del 1993);

b) l’abrogazione per via referendaria di detta normativa, la quale determinerebbe «non solo l’abrogazione della nuova conformazione territoriale della competenza dei singoli uffici giudiziari, ma anche degli uffici stessi, istituiti attraverso le norme che si intendono colpire», non comporterebbe la reviviscenza della precedente disciplina (sentenze n. 12 del 2014, n. 13 del 2012, n. 28 e n. 24 del 2011), di tal ché «all’esito favorevole del voto referendario conseguirebbe l’assenza di qualsivoglia normativa in grado di garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività della funzione giudiziaria, con lesione del diritto costituzionalmente garantito della tutela dei diritti dinanzi all’autorità giudiziaria (art. 24 Cost.) secondo le regole del giusto processo (art. 111 Cost.)» (è nuovamente citata la sentenza n. 12 del 2014, la quale avrebbe evidenziato anche la configurazione del referendum abrogativo quale «atto libero e sovrano di legiferazione popolare negativa che non può direttamente costruire una [nuova o vecchia] normativa»), con conseguente inammissibilità dei referendum; c) i quesiti difettano «della necessaria omogeneità», atteso che, anche a volere prescindere dalla sostanziale differenza intercorrente tra i tribunali e le relative procure della Repubblica e le sezioni distaccate di tribunale, le disposizioni delle quali si richiede l’abrogazione hanno soppresso uffici giudiziari relativi ad àmbiti territoriali molto diversi per dimensione, numero di abitanti e realtà socio-economica nella quale si inserivano e che è possibile che ‒ come già sottolineato dalla sentenza n. 12 del 2014 ‒ il cittadino valuti in modo diverso l’accorpamento dei vari tipi di uffici giudiziari e intenda esprimersi a favore della soppressione di alcuni e del mantenimento di altri, situazione in cui, pertanto, sarebbe difficile sostenere che la libertà di voto sia effettivamente rispettata nei termini indicati dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 16 del 1978 (a quest’ultimo riguardo, sono citate anche le sentenze della stessa Corte n. 47 del 1991, n. 65 e n. 64 del 1990 e n. 27 del 1981 e viene, inoltre, affermato che la molteplicità e la diversità degli uffici giudiziari interessati dai quesiti «non garantiscono l’autenticità dell’espressione della volontà popolare, anche in ragione del fatto che in molti casi il voto del cittadino potrebbe essere fortemente condizionato da specifici interessi localistici in grado di obliterare qualsiasi considerazione sulla bontà della disposizione complessivamente intesa»); d) i quesiti non soddisfano «i requisiti di chiarezza, univocità e puntualità» in quanto hanno ad oggetto diversi testi legislativi di «indiscutibile complessità» e si presentano «di non facile comprensione», con conseguente pregiudizio della libertà di voto del cittadino anche sotto tale aspetto.

4.‒ Con memorie di analogo contenuto, depositate il 9 gennaio 2015 in ciascuno dei tre giudizi di ammissibilità, i delegati dei Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata e Puglia hanno avanzato istanza affinché le richieste referendarie vengano dichiarate ammissibili.

A sostegno di tali istanze, deducono che i quesiti referendari: a) non sono in alcun modo collegati alle materie indicate nell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, atteso che, a tale fine, non è sufficiente che una normativa, come quella oggetto degli stessi, persegua obiettivi o produca effetti di contenimento della spesa pubblica in vista del riequilibrio del bilancio statale (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 1994); b) non creerebbero, in caso di esito favorevole dei referendum, alcun vuoto normativo, suscettibile di precludere l’esercizio della funzione giurisdizionale, atteso che gli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 155 del 2012 utilizzano termini differenti, quali “modificazione”, “soppressione” e “abrogazione”, riferendo quest’ultimo termine esclusivamente agli artt. 48-bis, 48-ter, 48-quater, 48-quinquies e 48-sexies del r.d. n. 12 del 1941, sicché, mentre queste ultime disposizioni sarebbero state espressamente abrogate, le restanti norme della legge regolatrice dell’ordinamento giudiziario e della precedente legge istitutiva dei tribunali sono state semplicemente modificate con la sostituzione della Tabella A: trattandosi, pertanto, di incompatibilità tra norme, intervenuta l’abrogazione della norma successiva tornerebbe ad espandersi la norma precedente; c) rispettano il requisito dell’omogeneità, perché sono diretti a fare esprimere i cittadini sul ripristino delle norme sulla previgente geografia giudiziaria in base al principio della giustizia di prossimità.

5.‒ Sempre il 9 gennaio 2015, hanno depositato memorie, di analogo contenuto, in tutti e tre i giudizi di ammissibilità, i seguenti soggetti: l’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Avezzano e della Marsica e l’Ordine degli avvocati di Avezzano, il Comitato pro referendum sulla geografia giudiziaria, l’Ordine circondariale degli avvocati di Lucera e il Comitato per la difesa della legalità in Capitanata. Tutti tali soggetti hanno sollecitato la dichiarazione di ammissibilità delle richieste di referendum.

Nella stessa data, ha depositato una memoria, nel solo giudizio di ammissibilità del referendum n. 159 (1° quesito referendario), l’Associazione “Comitato Ostia”, anch’essa sollecitando la dichiarazione di ammissibilità della richiesta referendaria.

6.‒ Nella camera di consiglio del 14 gennaio 2015 sono stati ascoltati i difensori: a) dell’Ordine circondariale degli avvocati di Lucera e del Comitato per la difesa della legalità in Capitanata; b) dell’Associazione “Comitato Ostia”; c) dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Avezzano e della Marsica e dell’Ordine degli avvocati di Avezzano; d) del Comitato pro referendum sulla geografia giudiziaria; e) dei delegati dei Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Puglia e Regione siciliana; f) del Governo.

Considerato in diritto

1.‒ La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità di tre richieste di referendum abrogativo popolare aventi ad oggetto alcune disposizioni, o frammenti di disposizioni, dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148) e 19 febbraio 2014, n. 14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), entrambi adottati in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148, «per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» (così il titolo della legge).

Per quanto qui interessa ‒ e salvo quanto si preciserà con specifico riguardo all’oggetto di ciascuno dei tre quesiti referendari ‒ vengono in particolare in rilievo, anzitutto, l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del 2012 (articolo rubricato “Riduzione degli uffici giudiziari ordinari”), come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014, e la Tabella A allegata allo stesso d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014. L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del 2012 ha previsto, in particolare, la soppressione di alcuni uffici giudiziari ordinari, specificamente, dei tribunali ordinari, delle sezioni distaccate e delle procure della Repubblica indicati nella tabella A allegata allo stesso d.lgs. n. 155 («1. Sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla Tabella A allegata al presente decreto»). Come risulta dalla lettura dell’elenco contenuto in detta tabella A, la soppressione ha riguardato trenta tribunali, le corrispondenti procure della Repubblica, nonché duecentoventi sezioni distaccate di tribunali ordinari, cioè, con riguardo a queste ultime, la totalità delle sedi distaccate di tribunale.

Oltre all’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del 2012 ed alla Tabella A ad esso allegata, vengono poi in rilievo ‒ limitatamente al 3° quesito referendario ‒ l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 14 del 2014 e l’Allegato II al medesimo decreto, i quali hanno sostituito la Tabella A allegata al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario). Si tratta, in questo caso, non della tabella che elenca gli uffici giudiziari soppressi, ma di quella contenente l’elenco degli uffici giudiziari italiani ‒ in particolare, dei tribunali, suddivisi per Corte d’appello, con la definizione, tramite l’indicazione dei comuni che ne fanno parte, del relativo circondario ‒ cioè la cosiddetta geografia giudiziaria. La sostituzione di tale tabella, già operata dall’art. 2, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 155 del 2012 e dall’Allegato 1 allo stesso decreto, è derivata dall’evidente necessità di adeguare la geografia giudiziaria al sopra menzionato intervento di soppressione di uffici giudiziari.

2.‒ Poiché le tre richieste di referendum concernono i medesimi atti aventi valore di legge e perseguono un fine, almeno in parte, coincidente, i giudizi di ammissibilità delle stesse devono essere riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.

3.‒ In via preliminare, si deve rilevare che, nella camera di consiglio del 14 gennaio 2015, questa Corte ha disposto, come già avvenuto più volte in passato, sia di dare corso all’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum e dal Governo ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), sia di ammettere gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dalla disposizione citata, e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità delle richieste referendarie, come contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex plurimis: sentenze n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011, n. 17, n. 16 e n. 15 del 2008).

Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non si traduce però in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento – che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) – e di illustrare le relative tesi in camera di consiglio, ma comporta solo la facoltà della Corte, ove lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni orali degli scritti, come è appunto avvenuto nella camera di consiglio del 14 gennaio 2015, prima che i soggetti di cui al citato art. 33 illustrino le rispettive posizioni.

4.‒ Le tre richieste di abrogazione referendaria hanno, rispettivamente, i seguenti oggetti.

4.1.‒ Oggetto del 1° quesito referendario sono: a) il comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014; b) la Tabella A, allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014.

Con tale quesito i presentatori chiedono l’abrogazione integrale delle disposizioni menzionate e, perciò, considerato il contenuto delle stesse, l’abrogazione della soppressione di tutti gli uffici giudiziari da esse aboliti, cioè dei trenta tribunali ordinari, delle corrispondenti procure della Repubblica e delle duecentoventi sezioni distaccate di tribunali ordinari indicati nella citata Tabella A.

4.2.‒ Oggetto del 2° quesito referendario sono: a) lo stesso comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014, nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla Tabella A allegata al medesimo decreto e, quindi, limitatamente alle parole: «i tribunali ordinari,» e «e le procure della Repubblica»; b) la stessa Tabella A, allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, limitatamente alle righe ‒ e, per ciascuna di esse, alle parole, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località ‒ che menzionano tribunali e procure della Repubblica.

Il 2° quesito concerne quindi le stesse disposizioni oggetto del 1° quesito, con la differenza, però, che i presentatori non ne chiedono l’abrogazione integrale ma delle sole parole (per l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del 2012) e righe (per la Tabella A allegata al medesimo decreto) relative ai tribunali ordinari ed alle (corrispondenti) procure della Repubblica. Con tale quesito, perciò, diversamente dal 1°, non viene richiesta l’abrogazione della soppressione delle duecentoventi sezioni distaccate di tribunale.

4.3.‒ Oggetto del 3° quesito referendario sono: a) lo stesso comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014, nella parte in cui sopprime i tribunali ordinari e le procure della Repubblica di cui alla Tabella A allegata al medesimo decreto e, quindi, limitatamente alle parole: «i tribunali ordinari,» e «e le procure della Repubblica»; b) la stessa Tabella A, allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, limitatamente alle righe ‒ e, per ciascuna di esse, alle parole, relative per ogni riga, rispettivamente, al distretto, al circondario, all’ufficio ed alla località ‒ che menzionano tribunali e procure della Repubblica; c) il comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014 («3. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, la tabella A è sostituita dalla tabella di cui all’allegato II»), nonché l’Allegato II (Tabella A del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) del medesimo d.lgs. n. 14 del 2014, «nella parte in cui hanno sostituito la tabella A del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei tribunali di Acqui Terme, Alba, Ariano Irpino, Avezzano, Bassano del Grappa, Camerino, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Orvieto, Pinerolo, Rossano, Sala Consilina, Saluzzo, Sanremo, Sant’Angelo dei Lombardi, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Vasto, Vigevano, Voghera».

Il 3° quesito riguarda, quindi, gli stessi frammenti di disposizioni oggetto del 2° quesito, dal quale si differenzia, tuttavia, per il fatto che esso concerne anche le disposizioni del d.lgs. n. 14 del 2014 con le quali è stata disposta la sostituzione della Tabella A allegata al regio decreto n. 12 del 1941, cioè della tabella contenente la cosiddetta geografia giudiziaria. Di tali ultime disposizioni, i presentatori non chiedono, peraltro, l’abrogazione integrale, ma solo «nella parte in cui hanno sostituito la tabella A del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei tribunali» soppressi con le prime due disposizioni oggetto del referendum. Tale richiesta, nella denominazione attribuita dall’Ufficio centrale per il referendum al fine di rendere più agevole l’identificazione dell’oggetto del quesito, è stata indicata come relativa alla «eliminazione della mancata previsione nell’ordinamento giudiziario dei circondari dei tribunali soppressi».

5.‒ Le tre richieste di referendum sono inammissibili perché sono dirette allo scopo della reviviscenza, in tutto (1° quesito) o in parte (2° e 3° quesito), delle disposizioni che prevedevano gli uffici giudiziari soppressi, nonché di quelle (3° quesito) che stabilivano i circondari dei tribunali soppressi ‒ e, quindi, al ripristino dei detti uffici e circondari ‒ scopo che non può essere conseguito mediante lo strumento referendario.

5.1.‒ A tale riguardo, occorre preliminarmente ricordare che «la richiesta referendaria è atto privo di motivazione e, pertanto, l’obiettivo […] del referendum va desunto […] esclusivamente dalla finalità “incorporata nel quesito”, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento. Sono dunque irrilevanti, o comunque non decisive, le eventuali dichiarazioni rese dai promotori» (sentenza n. 24 del 2011).

5.2.‒ Tanto premesso, risulta palese come le tre richieste di abrogazione per via referendaria, totale (1° quesito) o parziale (2° e 3° quesito), delle disposizioni che hanno soppresso gli uffici giudiziari elencati nella Tabella A allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014 (comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, come modificato dal d.lgs. n. 14 del 2014 e, appunto, la menzionata Tabella A) mirino intrinsecamente ‒ ancorché tale scopo non sia in esse espressamente indicato ‒ a restituire efficacia alle disposizioni, ormai abrogate, che quegli uffici prevedevano, ripristinando, così, gli stessi.

In proposito, va osservato che il comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012 e la connessa Tabella A costituiscono delle disposizioni meramente abrogative: prevedere, nel citato comma 1, che gli uffici giudiziari di cui alla detta tabella «Sono soppressi» equivale infatti, in tutta evidenza, a disporre l’abrogazione delle disposizioni che quegli uffici prevedevano. Ciò premesso, deve ulteriormente rimarcarsi, sul piano generale, come l’unico significato attribuibile all’abrogazione di una disposizione meramente abrogativa, che si limiti, pertanto, a prevedere che un’altra disposizione è abrogata, sia quello di rimuovere tale ultima abrogazione, di stabilire, cioè, che ciò che era stato abrogato non è più abrogato e che, quindi, viene ripristinato, tornando ad essere efficace. Ne consegue, dunque, che, come si è anticipato, alle tre richieste referendarie di abrogazione, integrale o parziale, delle disposizioni che hanno soppresso gli uffici giudiziari di cui alla Tabella A allegata al d.lgs. n. 155 del 2012 non può attribuirsi altro significato e, quindi, altro scopo, che quello di restituire efficacia alle disposizioni, abrogate con la detta soppressione, che quegli uffici prevedevano.

L’intento della reviviscenza della normativa precedente è ulteriormente ravvisabile, nel 3° quesito, nella parte in cui esso ha ad oggetto l’abrogazione parziale del comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014 e dell’Allegato II al medesimo decreto. Risulta, infatti, manifesto, come l’intrinseca finalità di tale richiesta di abrogazione delle disposizioni del d.lgs. n. 14 del 2014, che hanno sostituito la Tabella A del regio decreto n. 12 del 1941, «limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei tribunali» soppressi (dalle altre due disposizioni oggetto del 3° quesito), vada ravvisata nell’intento di fare “rivivere” le disposizioni dell’ordinamento giudiziario, sostituite dal comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014 e dall’Allegato II allo stesso decreto, che quei circondari prevedevano.

Deve, del resto, osservarsi ‒ fermo restando quanto si è sopra rammentato in ordine al carattere non decisivo delle dichiarazioni dei promotori ai fini dell’individuazione della ratio del referendum ‒ come l’indicato scopo delle tre richieste referendarie di restituire efficacia alle disposizioni che prevedevano gli uffici giudiziari soppressi e stabilivano i circondari dei tribunali aboliti trovi conferma in quanto dichiarato dai delegati dei Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata e Puglia nelle memorie da essi depositate, là dove si afferma che «In buona sostanza, […] le Regioni proponenti vogliono che il popolo sia chiamato a rimuovere l’incompatibilità creata dalla nuova normativa in modo che sia eliminato il blocco all’efficacia della precedente normativa».

5.3.‒ L’individuato scopo, insito nelle tre richieste di referendum, della reviviscenza delle disposizioni che prevedevano gli uffici giudiziari soppressi e che stabilivano i circondari dei tribunali aboliti non è, tuttavia, come si è detto, conseguibile mediante lo strumento referendario.

In tale senso, è sufficiente fare riferimento all’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato, da ultimo con la sentenza n. 12 del 2014 ‒ pronunciata nel giudizio di ammissibilità di una richiesta di referendum avente ad oggetto l’abrogazione, tra l’altro, proprio del d.lgs. n. 155 del 2012 (nel suo intero testo) ‒ che «l’abrogazione, a séguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è […] inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono già state espunte dall’ordinamento (sentenza n. 28 del 2011)». Nello stesso senso si erano già espresse, oltre alla richiamata sentenza n. 28 del 2011, anche le sentenze n. 13 del 2012 e n. 24 del 2011, nonché, sia pure implicitamente, le sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997.

A una diversa conclusione non si potrebbe pervenire in ragione del fatto che le richieste referendarie esprimono proprio un chiaro intento (in tutto o in parte) oppositivo alla soppressione degli uffici giudiziari di cui alla Tabella A allegata al d.lgs. n. 155 del 2012. Nella citata sentenza n. 13 del 2012, questa Corte ha infatti chiarito che «La volontà di far “rivivere” norme precedentemente abrogate […] non può essere attribuita, nemmeno in via presuntiva, al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo […] e non può “direttamente costruire” una (nuova o vecchia) normativa (sentenze nn. 34 e 33 del 2000). La finalità incorporata in una richiesta referendaria non può quindi andare oltre il limite dei possibili effetti dell’atto. Se così non fosse, […] il referendum, perdendo la propria natura abrogativa, diventerebbe approvativo di nuovi principi e “surrettiziamente propositivo” (sentenze n. 28 del 2011, n. 23 del 2000 e n. 13 del 1999): un’ipotesi non ammessa dalla Costituzione, perché il referendum non può “introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento” (sentenza n. 36 del 1997)»; argomenti che portarono la Corte a ritenere che il quesito sottopostole, «per l’effetto [di reviviscenza] che intende produrre, ha natura deliberativa». Tale carattere connota, in effetti, anche le tre richieste referendarie in esame in quanto esse mirano non alla mera demolizione di una normativa ma ad introdurre una determinata disciplina della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, tra le tante possibili, segnatamente quella anteriore alle soppressioni di uffici previste dalle disposizioni delle quali è richiesta l’abrogazione.

5.4.‒ L’impossibilità di conseguire lo scopo, incorporato nei quesiti, della reviviscenza delle disposizioni che prevedevano gli uffici giudiziari soppressi nonché (3° quesito) di quelle che stabilivano i circondari dei tribunali aboliti comporta, inoltre, che verrebbe sottoposta ai cittadini una scelta inidonea a raggiungere realmente gli effetti annunciati e, quindi, un’erronea prospettiva ed una falsa alternativa, ciò che determinerebbe l’impossibilità di una corretta espressione del voto popolare (sentenze n. 36 e n. 43 del 2000).

5.5.‒ In conclusione, deve ribadirsi l’inammissibilità delle tre richieste di referendum popolare attesa l’inidoneità dello strumento referendario a raggiungere il fine, insito nei relativi quesiti, di fare “rivivere”, in tutto o in parte, le disposizioni che prevedevano gli uffici giudiziari soppressi, nonché quelle (3° quesito) che stabilivano i circondari dei tribunali aboliti.

6.‒ La terza richiesta referendaria è inammissibile anche perché, là dove ha ad oggetto il comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014 e l’Allegato II allo stesso decreto «nella parte in cui hanno sostituito la tabella A del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, limitatamente alla parte in cui quest’ultimo prevedeva i circondari dei tribunali di Acqui Terme, Alba, Ariano Irpino, Avezzano, Bassano del Grappa, Camerino, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Orvieto, Pinerolo, Rossano, Sala Consilina, Saluzzo, Sanremo, Sant’Angelo dei Lombardi, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Vasto, Vigevano, Voghera» non indica il testo letterale delle parti delle dette disposizioni delle quali è proposta l’abrogazione ‒ come è invece richiesto dall’art. 27, terzo comma, della legge n. 352 del 1970 ‒ ma soltanto significati normativi, da queste espressi, oggetto della richiesta abrogativa.

Tale circostanza, la quale comporta che, pure nel caso di accoglimento della proposta referendaria, resterebbero interamente vigenti le disposizioni oggetto della richiesta di abrogazione, è tale da pregiudicare la stessa chiarezza del quesito, necessaria al fine di garantire il libero esercizio del diritto di voto.

7.‒ Le censure di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato restano assorbite.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare ‒ dichiarate legittime, con ordinanze del 4 dicembre 2014, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ‒ per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, del comma 1 dell’art. 1 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n.14 (Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari), della connessa Tabella A allegata al d.lgs. n. 155 del 2012, come sostituita dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 14 del 2014, e del comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 14 del 2014, nonché dell’Allegato II al medesimo d.lgs. n. 14 del 2014.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2015.

F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2015.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

Messaggio da panorama »

ricorso Accolto ( di questi ne stanno diverse sentenze in questi ultimi tempi) - ( sarà discriminazione rispetto al altro genere umano? Chi si e chi no )


1) - promozione alla qualifica di dirigente generale del 10.12.2013 del dipartimento di pubblica sicurezza, a soli fini giuridici, senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

2) - Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

3) - Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA sede di ROMA, sezione SEZIONE 1Q, numero provv.: 201905498 ,

Pubblicato il 02/05/2019

N. 05498/2019 REG. PROV. COLL.
N. 03177/2014 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3177 del 2014, proposto da Luigi Gianfico, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Barca, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio, 12;

contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

PER L'ANNULLAMENTO
del provvedimento, disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74, di promozione alla qualifica di dirigente generale del 10.12.2013 del dipartimento di pubblica sicurezza, a soli fini giuridici, senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

E PER L’ACCERTAMENTO
del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe il dr. Luigi Gianfico ha proposto ricorso, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, per l'annullamento del decreto ministeriale datato 10.12.2013, conosciuto in data 18 dicembre 2013, nella parte in cui gli ha conferito la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal 31 dicembre 2013 (giorno precedente alla collocazione a riposo per raggiunti limiti di età, del 1°gennaio 2014) esclusivamente ai fini giuridici, ai sensi del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122.

In particolare, parte ricorrente con un articolato motivo di censura ha dedotto violazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 266 del 2005 ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 21 del D.L. n.78 del 2010, conv. dalla Legge n. 122 del 2010, argomentando come nel caso in esame il richiamo al Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122, illegittimamente inserito e contenuto nel preambolo del provvedimento oggetto dell'odierno gravame, abbia l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica progressione di carriera del Dirigente Superiore della Polizia di Stato, prevista invece ex lege — con i previsti effetti pensionistici e previdenziali, così determinando un'evidente e macroscopica disparità di trattamento da una parte rispetto ai Colleghi di pari qualifica dirigenziale del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1° gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005, pertanto con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico, dall'altra rispetto ai Colleghi di pari qualifica dirigenziale interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1 gennaio 2014.

Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe lesivo del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo suí diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della Legge 266/2005 oltre che viziato da travisamento dei fatti posti a fondamento della sua adozione e illogicità manifesta, che si evincerebbe anche in ordine al contestuale richiamo, nel preambolo del provvedimento impugnato, della fonte normativa di cui alla legge 266/2005, mai abrogata dalla Legge di conversione n. 122/2010 del Decreto Legge a 78/2010, con evidente contrasto di principi e la conseguente adozione formale di un decreto non supportato da una logica, razionale ed esaustiva motivazione.

In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della Legge n.122/2010 nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla Legge n.266/2005.

In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della Legge n.122/2010, nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla Legge n.266/2005.

L’amministrazione si è costituita con articolata memoria per avversare il ricorso.

Argomenta in particolare l’amministrazione che il ricorrente è stato promosso alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza a decorrere dal giorno precedente alla cessazione dal servizio, senza però aver mai potuto fruire dei conseguenti benefici economici sul trattamento di quiescenza e di previdenza in quanto, essendo stato collocato a riposo nel corso del 2013, in applicazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto legislativo n. 78 del 2010, la sua progressione in carriera ha prodotto effetti solo ai fini giuridici.

In particolare, il Dr. Gianfico, vantando un'anzianità di almeno cinque anni nella qualifica di dirigente superiore della Polizia di Stato, ha regolarmente beneficiato (ex art. 1, comma 260, lettera b, della legge n. 266 del 2005) dell'automatica promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal 31.12.2013, giorno precedente la cessazione dal servizio, vedendosi poi attribuire l'assegno "una tantum" (spettante, come già detto, solo in costanza di rapporto lavorativo) soltanto per quell'ultimo ed unico giorno di servizio (31.12.2013) in cui ha virtualmente ricoperto, nell'anno 2013, le funzioni della superiore qualifica di dirigente generale.

Tuttavia, l'art. 9, comma 21, del decreto legislativo n. 78 del 2010, avendo previsto il riconoscimento ai soli fini giuridici delle progressioni di carriera, comunque denominate, disposte negli anni 2011, 2012 e 2013, ha impedito che la promozione a dirigente generale conferita al dott. Gianfico esplicasse i propri effetti (sia durante che dopo il periodo del blocco) anche ai fini retributivi, della buonuscita e del trattamento previdenziale. Conseguentemente, la pretesa del ricorrente sarebbe infondata.

Nell’odierna udienza, viste le memorie delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

In particolare, il Collegio non rinviene nella richiamata decisione alcun elemento per supportare la tesi sostenuta dall’amministrazione, secondo cui i principi ivi affermati essendo validi - secondo la Consulta - per tutti i dipendenti pubblici (promossi e cessati durante il blocco) che abbiano non solo conseguito la promozione alla qualifica superiore, ma anche svolto per un certo periodo le relative funzioni, varrebbero a maggior ragione per quei lavoratori pubblici che, come l’odierno ricorrente, abbiano beneficiato (sempre durante il blocco) della promozione “alla vigilia”, a decorrere dal giorno precedente a quello della cessazione dal servizio, senza quindi mai assumere gli incarichi ed i compiti connessi a tale progressione di carriera.

Nella fattispecie presa in esame dalla Consulta, infatti, il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo - promozione conseguita il 30 agosto 2012, in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate- nonché degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera maturate in data precedente al proprio collocamento a riposo ma durante il periodo del blocco (concluso al 31 dicembre 2014), e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.

Si tratta, quindi, di questione inerente all’applicazione dell’art.9 del D.L. n.78/2018 alla progressione di carriera maturata dal dipendente pubblico in costanza del blocco.

Nel presente ricorso invece, come già evidenziato in precedenti della Sezione riguardanti casi del tutto analoghi, il provvedimento impugnato costituisce, al contrario, effetto di una erronea applicazione dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo del D.L. n. 78/2010 – che riguarda esclusivamente le promozioni conseguite a seguito di una valutazione e strumentali a vere e proprie progressioni in carriera, con correlato esercizio di funzioni in mansioni superiori nell’ambito del rapporto di lavoro in atto disposte negli anni interessati - anche all’ipotesi di promozione attribuita il giorno prima del pensionamento di cui all’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005 che, come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, riguarda una fattispecie ben diversa, trattandosi di promozione che discende direttamente dalla legge, senza alcuna valutazione né tanto meno alcun confronto comparativo tra concorrenti, con attribuzione automatica il giorno antecedente il collocamento a riposo in quiescenza del dirigente superiore, in possesso della necessaria anzianità nella qualifica prevista ex lege.

A tale beneficio il legislatore stesso ha voluto, con una norma speciale, collegare peculiari effetti, sotto l’aspetto giuridico del conseguimento della effettiva qualifica superiore di dirigente generale e, sotto l’aspetto economico, della attribuzione dello stipendio di dirigente generale (sia pure limitatamente all’ultimo giorno di servizio, alla vigilia del collocamento a riposo, anticipato), quale esigenza perequativa e ristoro economico per essere rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso (dal d.lgs. n. 165 del 2001 per tutta la Pubblica Amministrazione), con incidenza diretta sul trattamento pensionistico, che si giustifica proprio in ragione di tali effetti, in quanto altrimenti sarebbe del tutto svuotato di significato.

Il congelamento di che trattasi, riferito soltanto agli anni specificamente individuati - 2011, 2012 e 2013 - non può, perciò, che riguardare unicamente gli effetti economici di tali ultime promozioni, come anche evidenziato dalla stessa Amministrazione riguardo tale blocco intervenuto e giustificato nel suo complesso dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica e non anche fattispecie regolate da una disciplina speciale, quale è quella delle c.d. “promozioni alla vigilia”.

Peraltro, proprio in ragione di tale limitazione temporale della mancata esplicazione degli effetti economici, la norma in questione era stata già in passato ritenuta costituzionalmente legittima e giustificata dalla finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici interessati per le predette esigenze (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 154/2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del D.L. n. 78/2010 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost., sul presupposto delle caratteristiche della norma e del “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti” ai dipendenti in attività di servizio), laddove il mantenimento degli effetti economici della promozione attribuita al ricorrente conseguente alla non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 si giustifica in ragione del carattere speciale e peculiare della norma di cui al citato art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.

Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.

Infatti, nella fattispecie esaminata nel presente ricorso, la disciplina della retribuzione spettante ratione temporis è, appunto, quella dettata dall’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005, successivamente abrogata, che anche per un solo giorno ha voluto riconoscere, con una norma ad hoc, ai dipendenti “promossi alla vigilia” allo status giuridico di dirigenti generali della Polizia di Stato anche il corrispondente trattamento economico.

Conseguentemente il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e obbligo per l’Amministrazione dell’Interno resistente di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale e per gli adempimenti conseguenti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del Ministero dell’Interno resistente con liquidazione come in dispositivo e sono compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna il Ministero dell’Interno resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente da liquidare in euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre oneri e diritti come per legge.

Spese di giudizio compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Donatella Scala, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano Salvatore Mezzacapo





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Nei mesi scorsi ho letto altre sentenze del genere

ricorso Accolto
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SENTENZA sede di ROMA, sezione SEZIONE 1Q, numero provv.: 201905496 ,

Pubblicato il 02/05/2019

N. 05496/2019 REG. PROV. COLL.
N. 05685/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5685 del 2017, proposto da Salvatore Margherito, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Barca, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso il suo studio in Roma, via Italo Panattoni 4;

contro
Ministero dell'Interno Presso Avvocatura Generale dello Stato non costituito in giudizio;

nei confronti
Ministero dell'Economia e delle Finanze Presso Avvocatura Generale dello Stato non costituito in giudizio;

per l'annullamento
del provvedimento di promozione alla qualifica di Dirigente Generale del 27 maggio 2013, disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) - del Decreto Legge 31 maggio 2010 n. 78 e del Decreto Legge 26 maggio 2011 n. 27;
di ogni suo atto presupposto, connesso e/o consequenziale, in particolare del provvedimento ob relationem del 27 marzo 2017 - Prot. n. 105064 - conosciuto dal ricorrente in data 28 marzo 2017, adottato dalla Prefettura di Roma - Ufficio Territoriale del Governo - con il quale si confermava - con esaustive motivazioni a supporto - l'applicazione del blocco economico per il quadriennio 2011/2014 anche per il personale Dirigenziale della Polizia di Stato, ai sensi e per gli effetti di cui alla Legge122/2010.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente, Dott. Salvatore Margherito, già in servizio d’Istituto con la qualifica di Dirigente Superiore della Polizia di Stato, collocato in quiescenza, con decorrenza 1 gennaio 2013, per aver raggiunto il relativo limite temporale di 63 anni previsto ex lege per la permanenza in servizio, ha proposto ricorso, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, per l’annullamento del decreto del provvedimento in epigrafe con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale, a decorrere dal 1 marzo 2013 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico (agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego).

In particolare, parte ricorrente con un articolato motivo di censura ha dedotto violazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 266 del 2005 ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 21 del D.L. n.78 del 2010, conv. dalla Legge n. 122 del 2010, argomentando come nel caso in esame il richiamo al Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122, illegittimamente inserito e contenuto nel preambolo del provvedimento oggetto dell'odierno gravame, abbia l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica progressione di carriera del Dirigente Superiore della Polizia di Stato, prevista invece ex lege — con i previsti effetti pensionistici e previdenziali, così determinando un'evidente e macroscopica disparità di trattamento da una parte rispetto ai Colleghi di pari qualifica dirigenziale del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1° gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005, pertanto con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico, dall'altra rispetto ai Colleghi di pari qualifica dirigenziale interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1 gennaio 2014.

Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe lesivo del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della Legge 266/2005 oltre che viziato da travisamento dei fatti posti a fondamento della sua adozione e illogicità manifesta, che si evincerebbe anche in ordine al contestuale richiamo, nel preambolo del provvedimento impugnato, della fonte normativa di cui alla legge 266/2005, mai abrogata dalla Legge di conversione n. 122/2010 del Decreto Legge a 78/2010, con evidente contrasto di principi e la conseguente adozione formale di un decreto non supportato da una logica, razionale ed esaustiva motivazione.

In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della Legge n.122/2010 nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla Legge n.266/2005.

L’amministrazione non si è costituita in giudizio e nell’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

In particolare, il Collegio non rinviene nella richiamata decisione alcun elemento per supportare la tesi sostenuta dall’amministrazione, secondo cui i principi ivi affermati essendo validi - secondo la Consulta - per tutti i dipendenti pubblici (promossi e cessati durante il blocco) che abbiano non solo conseguito la promozione alla qualifica superiore, ma anche svolto per un certo periodo le relative funzioni, varrebbero a maggior ragione per quei lavoratori pubblici che, come l’odierno ricorrente, abbiano beneficiato (sempre durante il blocco) della promozione “alla vigilia”, a decorrere dal giorno precedente a quello della cessazione dal servizio, senza quindi mai assumere gli incarichi ed i compiti connessi a tale progressione di carriera.

Nella fattispecie presa in esame dalla Consulta, infatti, il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo - promozione conseguita il 30 agosto 2012, in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate- nonché degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera maturate in data precedente al proprio collocamento a riposo ma durante il periodo del blocco (concluso al 31 dicembre 2014), e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.

Si tratta, quindi, di questione inerente all’applicazione dell’art.9 del D.L. n.78/2018 alla progressione di carriera maturata dal dipendente pubblico in costanza del blocco.

Nel presente ricorso invece, come già evidenziato in precedenti della Sezione riguardanti casi del tutto analoghi, il provvedimento impugnato costituisce, al contrario, effetto di una erronea applicazione dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo del D.L. n. 78/2010 – che riguarda esclusivamente le promozioni conseguite a seguito di una valutazione e strumentali a vere e proprie progressioni in carriera, con correlato esercizio di funzioni in mansioni superiori nell’ambito del rapporto di lavoro in atto disposte negli anni interessati - anche all’ipotesi di promozione attribuita il giorno prima del pensionamento di cui all’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005 che, come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, riguarda una fattispecie ben diversa, trattandosi di promozione che discende direttamente dalla legge, senza alcuna valutazione né tanto meno alcun confronto comparativo tra concorrenti, con attribuzione automatica il giorno antecedente il collocamento a riposo in quiescenza del dirigente superiore, in possesso della necessaria anzianità nella qualifica prevista ex lege.

A tale beneficio il legislatore stesso ha voluto, con una norma speciale, collegare peculiari effetti, sotto l’aspetto giuridico del conseguimento della effettiva qualifica superiore di dirigente generale e, sotto l’aspetto economico, della attribuzione dello stipendio di dirigente generale (sia pure limitatamente all’ultimo giorno di servizio, alla vigilia del collocamento a riposo, anticipato), quale esigenza perequativa e ristoro economico per essere rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso (dal d.lgs. n. 165 del 2001 per tutta la Pubblica Amministrazione), con incidenza diretta sul trattamento pensionistico, che si giustifica proprio in ragione di tali effetti, in quanto altrimenti sarebbe del tutto svuotato di significato.

Il congelamento di che trattasi, riferito soltanto agli anni specificamente individuati - 2011, 2012 e 2013 - non può, perciò, che riguardare unicamente gli effetti economici di tali ultime promozioni, come anche evidenziato dalla stessa Amministrazione riguardo tale blocco intervenuto e giustificato nel suo complesso dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica e non anche fattispecie regolate da una disciplina speciale, quale è quella delle c.d. “promozioni alla vigilia”.

Peraltro, proprio in ragione di tale limitazione temporale della mancata esplicazione degli effetti economici, la norma in questione era stata già in passato ritenuta costituzionalmente legittima e giustificata dalla finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici interessati per le predette esigenze (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 154/2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del D.L. n. 78/2010 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost., sul presupposto delle caratteristiche della norma e del “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti” ai dipendenti in attività di servizio), laddove il mantenimento degli effetti economici della promozione attribuita al ricorrente conseguente alla non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 si giustifica in ragione del carattere speciale e peculiare della norma di cui al citato art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.

Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.

Infatti, nella fattispecie esaminata nel presente ricorso, la disciplina della retribuzione spettante ratione temporis è, appunto, quella dettata dall’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005, successivamente abrogata, che anche per un solo giorno ha voluto riconoscere, con una norma ad hoc, ai dipendenti “promossi alla vigilia” allo status giuridico di dirigenti generali della Polizia di Stato anche il corrispondente trattamento economico.

Conseguentemente il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e obbligo per l’Amministrazione dell’Interno resistente di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale e per gli adempimenti conseguenti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del Ministero dell’Interno con liquidazione come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente da liquidare in euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre oneri e diritti come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Donatella Scala, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano Salvatore Mezzacapo





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Accolto
---------------

SENTENZA sede di ROMA, sezione SEZIONE 1Q, numero provv.: 201905495 ,

Pubblicato il 02/05/2019

N. 05495/2019 REG. PROV. COLL.
N. 05997/2014 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5997 del 2014, proposto da Dante Consiglio, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Barca, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio, 12;

contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

PER L'ANNULLAMENTO

del provvedimento del 24 gennaio 2014 conosciuto in data 19 febbraio 2014 disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74, con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

E PER L’ACCERTAMENTO
del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe il dr. Dante Consiglio, dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha chiesto l’annullamento, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, del provvedimento in epigrafe con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale, a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

In particolare, parte ricorrente con un articolato motivo di censura ha dedotto violazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 266 del 2005 ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 21 del d.l. n.78 del 2010, conv. dalla L.n. 122/2010, argomentando come nel caso in esame il richiamo al d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella L.30 luglio 2010, n. 122, ad avviso di parte ricorrente illegittimamente inserito e contenuto nel preambolo del provvedimento oggetto dell'odierno gravame, abbia l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica progressione di carriera del dirigente superiore della Polizia di Stato, prevista invece ex lege con i relativi effetti pensionistici e previdenziali.

In tal modo, si verrebbe a determinare una macroscopica disparità di trattamento da una parte rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1° gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005 (quindi con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico); dall'altra, rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1° gennaio 2014.

Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe lesivo del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della L. n. 266/2005 oltre che viziato da travisamento dei fatti posti a fondamento della sua adozione e da illogicità manifesta, che si evincerebbe anche in ordine al contestuale richiamo, nel preambolo del provvedimento impugnato, della fonte normativa di cui alla legge 266/2005, mai abrogata dalla L. di conversione del d.l. 78/2010 n. 122/2010, con evidente contrasto di principi e conseguente adozione di un decreto non supportato da una logica, razionale ed esaustiva motivazione.

In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della L. n.122/2010 nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla L. n.266/2005.

L’amministrazione si è costituita con articolata memoria per avversare il ricorso, depositando precedenti di reiezione (Tar Lazio, n.6702/2014).

Nell’odierna udienza, viste le ulteriori memorie delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

In particolare, il Collegio non rinviene nella richiamata decisione alcun elemento per supportare la tesi sostenuta dall’amministrazione, secondo cui i principi ivi affermati essendo validi - secondo la Consulta - per tutti i dipendenti pubblici (promossi e cessati durante il blocco) che abbiano non solo conseguito la promozione alla qualifica superiore, ma anche svolto per un certo periodo le relative funzioni, varrebbero a maggior ragione per quei lavoratori pubblici che, come l’odierno ricorrente, abbiano beneficiato (sempre durante il blocco) della promozione “alla vigilia”, a decorrere dal giorno precedente a quello della cessazione dal servizio, senza quindi mai assumere gli incarichi ed i compiti connessi a tale progressione di carriera.

Nella fattispecie presa in esame dalla Consulta, infatti, il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo - promozione conseguita il 30 agosto 2012, in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate- nonché degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera maturate in data precedente al proprio collocamento a riposo ma durante il periodo del blocco (concluso al 31 dicembre 2014), e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.

Si tratta, quindi, di questione inerente all’applicazione dell’art.9 del D.L. n.78/2018 alla progressione di carriera maturata dal dipendente pubblico in costanza del blocco.

Nel presente ricorso invece, come già evidenziato in precedenti della Sezione riguardanti casi del tutto analoghi, il provvedimento impugnato costituisce, al contrario, effetto di una erronea applicazione dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo del D.L. n. 78/2010 – che riguarda esclusivamente le promozioni conseguite a seguito di una valutazione e strumentali a vere e proprie progressioni in carriera, con correlato esercizio di funzioni in mansioni superiori nell’ambito del rapporto di lavoro in atto disposte negli anni interessati - anche all’ipotesi di promozione attribuita il giorno prima del pensionamento di cui all’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005 che, come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, riguarda una fattispecie ben diversa, trattandosi di promozione che discende direttamente dalla legge, senza alcuna valutazione né tanto meno alcun confronto comparativo tra concorrenti, con attribuzione automatica il giorno antecedente il collocamento a riposo in quiescenza del dirigente superiore, in possesso della necessaria anzianità nella qualifica prevista ex lege.

A tale beneficio il legislatore stesso ha voluto, con una norma speciale, collegare peculiari effetti, sotto l’aspetto giuridico del conseguimento della effettiva qualifica superiore di dirigente generale e, sotto l’aspetto economico, della attribuzione dello stipendio di dirigente generale (sia pure limitatamente all’ultimo giorno di servizio, alla vigilia del collocamento a riposo, anticipato), quale esigenza perequativa e ristoro economico per essere rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso (dal d.lgs. n. 165 del 2001 per tutta la Pubblica Amministrazione), con incidenza diretta sul trattamento pensionistico, che si giustifica proprio in ragione di tali effetti, in quanto altrimenti sarebbe del tutto svuotato di significato.

Il congelamento di che trattasi, riferito soltanto agli anni specificamente individuati - 2011, 2012 e 2013 - non può, perciò, che riguardare unicamente gli effetti economici di tali ultime promozioni, come anche evidenziato dalla stessa Amministrazione riguardo tale blocco intervenuto e giustificato nel suo complesso dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica e non anche fattispecie regolate da una disciplina speciale, quale è quella delle c.d. “promozioni alla vigilia”.

Peraltro, proprio in ragione di tale limitazione temporale della mancata esplicazione degli effetti economici, la norma in questione era stata già in passato ritenuta costituzionalmente legittima e giustificata dalla finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici interessati per le predette esigenze (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 154/2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del D.L. n. 78/2010 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost., sul presupposto delle caratteristiche della norma e del “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti” ai dipendenti in attività di servizio), laddove il mantenimento degli effetti economici della promozione attribuita al ricorrente conseguente alla non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 si giustifica in ragione del carattere speciale e peculiare della norma di cui al citato art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.

Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.

Infatti, nella fattispecie esaminata nel presente ricorso, la disciplina della retribuzione spettante ratione temporis è, appunto, quella dettata dall’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005, successivamente abrogata, che anche per un solo giorno ha voluto riconoscere, con una norma ad hoc, ai dipendenti “promossi alla vigilia” allo status giuridico di dirigenti generali della Polizia di Stato anche il corrispondente trattamento economico.

Conseguentemente il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e obbligo per l’Amministrazione dell’Interno resistente di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale e per gli adempimenti conseguenti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del Ministero dell’Interno resistente con liquidazione come in dispositivo e sono compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna il Ministero dell’Interno resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente da liquidare in euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre oneri e diritti come per legge.

Spese di giudizio compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Donatella Scala, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano Salvatore Mezzacapo





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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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Mi fermo qui, perché ne stanno altre e uguali.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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Trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia

1) - domanda di liquidazione di una indennità di buonuscita commisurata anche al servizio prestato con contratto a tempo determinato di diritto privato e alla retribuzione da ultimo percepita in forza di tale contratto.

2) - art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018)

Leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA N. 174
ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), promosso dalla Corte d’appello di Trieste, nel giudizio instaurato da Giovanni Bellarosa ed altri contro la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 10 maggio 2018, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione di Giovanni Bellarosa e altri e della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nella udienza pubblica del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Alessandro Tudor per Giovanni Bellarosa e altri e Carlo Cester per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 10 maggio 2018, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2018, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato, in riferimento a molteplici parametri, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), dichiaratamente volti a offrire l’interpretazione autentica degli artt. 142 e 143 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia).

Le disposizioni censurate impedirebbero di valutare, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, il servizio «prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato».

1.1.– Il rimettente espone di dovere decidere sull’appello proposto da alcuni dirigenti dell’amministrazione regionale contro la sentenza di primo grado, che ha respinto la domanda di liquidazione di una indennità di buonuscita commisurata anche al servizio prestato con contratto a tempo determinato di diritto privato e alla retribuzione da ultimo percepita in forza di tale contratto.

In punto di rilevanza, la Corte d’appello di Trieste argomenta che le disposizioni censurate, applicabili anche ai «pregressi rapporti di lavoro» alla luce della finalità interpretativa che dichiarano di perseguire, precludono l’accoglimento delle domande proposte.

1.2.– La Corte rimettente denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione. Il divieto di computare, nell’indennità di buonuscita, il servizio dirigenziale prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato determinerebbe una «possibile irragionevole diversità di trattamento di un periodo, fra l’altro pregresso da anni, di lavoro del tutto uguale», prestato dapprima in forza di un «lavoro in ruolo» e poi per effetto di un incarico dirigenziale di diritto privato.

Sarebbe violato anche l’art. 35, primo comma, Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. I dirigenti, che pure rientrano tra i lavoratori subordinati (art. 2095 del codice civile) e hanno sempre svolto la medesima attività, sarebbero pregiudicati per il solo fatto di averla svolta, a decorrere dal novembre 2002, per effetto di un incarico a tempo determinato, nei termini disciplinati dall’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

La Corte rimettente assume che le disposizioni censurate siano inoltre lesive dell’art. 36, primo comma, Cost., che «tutela ed afferma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata a qualità e quantità del lavoro». Nel caso di specie, «il T.F.R. o T.F.S. degli attori», che pure rappresenta «un accantonamento retributivo a favore dei prestatori», sarebbe «decurtato in ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo».

Il giudice a quo ravvisa anche un contrasto con l’art. 38, secondo e quarto comma, Cost. La tutela previdenziale e assistenziale per la vecchiaia, un tempo garantita da soggetti pubblici come l’Istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali (INADEL) e l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) e ancora oggi caratterizzata da «metodo di contribuzione e funzione» tipici della «previdenza pubblica», non potrebbe essere compromessa per il solo fatto del «passaggio delle competenze ad altro soggetto».

Le disposizioni censurate si porrebbero in conflitto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

La normativa di interpretazione autentica sarebbe intervenuta «a lite in parte già radicata da tempo» su disposizioni «emanate da anni ed anni», in assenza di incertezze interpretative e in difformità rispetto alle previsioni della legge statale (art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001) e regionale (art. 12 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2004, n. 4, recante «Riforma dell’ordinamento della dirigenza e della struttura operativa della Regione Friuli Venezia Giulia. Modifiche alla legge regionale 1° marzo 1988, n. 7 e alla legge regionale 27 marzo 1996, n. 18. Norme concernenti le gestioni liquidatorie degli enti del Servizio sanitario regionale e il commissario straordinario dell’ERSA»), che impongono di valutare ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza e dell’anzianità di servizio anche il servizio prestato dai dirigenti per effetto del contratto di diritto privato.

Le disposizioni in esame non sarebbero giustificate da motivi imperativi di interesse generale, visto lo «scarso peso economico» del contenzioso che si prefiggono di influenzare e visto «il numero spicciolo degli interessati». Risulterebbero pertanto violati il principio di «preminenza del diritto» e il «diritto ad un processo equo», tutelati dall’art. 6 CEDU, e i princìpi enunciati dall’art. 111, primo e secondo comma, Cost.

L’art. 117 Cost. sarebbe violato anche per un’ulteriore ragione. Le disposizioni in esame contrasterebbero con gli artt. 1, comma 3, e 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, che «integrano il contenuto» del parametro costituzionale «e affermano il canone dell’ultimo stipendio del periodo di incarico dirigenziale utile come parametro ai fini del conteggio del trattamento di fine servizio», e con l’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), che «con il suo canone di invarianza affermato in tema di retribuzione evidentemente anche differita rafforza ed integra la tutela concessa dall’art. 117 della Costituzione in tali casi».

2.– Con atto depositato il 15 novembre 2018, si sono costituiti in giudizio Giovanni Bellarosa e altri e hanno chiesto di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Trieste.

Le parti hanno dedotto di avere svolto le funzioni di direttore apicale nell’amministrazione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, di essere stati collocati in quiescenza tra il 2005 e il 2010 e di avere ricevuto un’indennità di buonuscita commisurata al servizio prestato fino al 15 novembre 2002 e alla retribuzione spettante alla medesima data, che rappresenta il momento della stipulazione dei contratti individuali di conferimento o di conferma dell’incarico dirigenziale.

Le parti assumono che le disposizioni censurate, pur qualificandosi come interpretative, siano innovative, con portata retroattiva.

L’art. 7, comma 28, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, nel negare, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, la valutazione del servizio prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato, si discosterebbe dall’art. 142, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 153 del 1981, che pure si ripromette di interpretare, e dall’art. 12 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2004, che considera il servizio prestato con contratto di lavoro a tempo determinato utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, oltre che dell’anzianità di servizio.

Quanto all’art. 7, comma 29, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, che annovera tra gli assegni fissi pensionabili solo quelli riconosciuti «ai sensi della legislazione dell’ex INADEL», non si porrebbe in contraddizione con le previsioni delle quali intende offrire l’interpretazione autentica. Invero, l’art. 143, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981 stabilisce pur sempre la misura dell’indennità per ogni anno di servizio utile in un dodicesimo degli assegni fissi pensionabili goduti all’atto della cessazione dal servizio. Non si potrebbe, pertanto, non tenere conto della retribuzione percepita in tale momento, in armonia con quanto dispone anche l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.

L’art. 7, comma 30, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, nell’escludere la valutazione, ai fini dell’indennità di buonuscita, dei periodi di servizio prestato con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato, presenterebbe un contenuto precettivo antitetico rispetto alla disposizione dell’art. 143, secondo comma, della legge reg. Friuli-Venezia n. 53 del 1981, che impone alla Regione di assicurare l’indennità di buonuscita anche quando non spetterebbe secondo la legislazione dell’INADEL.

Le disposizioni della legge regionale impugnata, senza alcuna ragione giustificatrice, introdurrebbero un trattamento deteriore per i soli dirigenti regionali, in deroga alla disciplina dell’indennità di buonuscita applicabile a tutto il personale regionale di ruolo e non di ruolo. In contrasto con «i principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto in relazione alla stabilità del trattamento previdenziale» e in vista di un modesto contenimento della spesa, esse interverrebbero, «a distanza di oltre trentacinque anni», a interpretare una normativa dal significato inequivocabile.

Per il solo fatto di avere prestato la loro opera in forza di un contratto di diritto privato, le parti sostengono di essere discriminate rispetto ai «colleghi dirigenti senza incarico apicale» che hanno beneficiato di una indennità di buonuscita calcolata sull’ultima retribuzione. Sarebbe pertanto violato l’art. 35 Cost., che tutela il lavoro prestato dai dipendenti di ruolo e non di ruolo.

L’interpretazione avallata dal legislatore regionale disconoscerebbe ogni rilievo all’anzianità di servizio maturata dai dirigenti dopo il 15 novembre 2002 e così ridurrebbe l’importo dell’indennità di buonuscita, in contrasto con l’art. 36 Cost., che prescrive, anche per la retribuzione differita, la proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e con l’art. 38 Cost., che vieta «un intervento che incida in misura notevole e in maniera definitiva sulla garanzia di adeguatezza della prestazione senza essere sorretto da una imperativa motivazione di interesse generale».

Le disposizioni in esame, contenute negli emendamenti presentati dalla Giunta regionale, mirerebbero a determinare gli esiti di uno specifico contenzioso in corso, che coinvolge «non più di una decina di persone», e non rispetterebbero le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. La legge regionale censurata, pertanto, non solo non accrediterebbe una delle possibili letture delle disposizioni originarie, ma non sarebbe neppure sorretta da motivi imperativi di interesse generale.

La transizione dal regime del trattamento di fine servizio (TFS) a quello del trattamento di fine rapporto (TFR) sarebbe ispirata al criterio direttivo della invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini previdenziali (art. 26, comma 19, della legge n. 448 del 1998), che costituisce principio fondamentale atto a vincolare anche la legislazione regionale e non potrebbe comunque giustificare le scelte sfavorevoli adottate dalla Regione autonoma.

3.– Con atto depositato il 16 novembre 2018, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ha chiesto di dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Trieste.

Sarebbe ragionevole l’autonoma disciplina riservata all’integrazione dell’indennità di buonuscita per i periodi di servizio di ruolo presso la Regione.

Per i periodi di servizio prestato con «contratto a tempo determinato di diritto privato», si applicherebbe la diversa disciplina del trattamento di fine rapporto. Non sarebbero violati i molteplici parametri costituzionali evocati dalla Corte rimettente.

4.– In vista dell’udienza, hanno depositato memorie illustrative sia gli appellanti nel giudizio principale sia la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

4.1.– Gli appellanti nel giudizio principale hanno ribadito le conclusioni già formulate e hanno posto in risalto l’irragionevolezza delle disposizioni censurate, che, in mancanza di inderogabili esigenze o di «un particolare interesse pubblico sopravvenuto», sarebbero intervenute su una specifica controversia pendente per escludere dal godimento dell’indennità regionale i soli direttori apicali, «unici dirigenti con contratto a tempo determinato».

4.2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha eccepito, in linea preliminare, l’inammissibilità delle questioni proposte.

L’esposizione dei profili di contrasto con i parametri costituzionali evocati sarebbe «alquanto sommaria e priva di adeguata motivazione con riguardo alla questione concreta».

Il rimettente avrebbe trascurato di interpretare le disposizioni censurate in armonia «con gli indicati princìpi costituzionali» e, nel prospettare il contrasto con la Costituzione e finanche con disposizioni di legge regionale, avrebbe «drasticamente» disconosciuto la qualificazione interpretativa della disciplina in esame.

Quand’anche le questioni di legittimità costituzionale fossero accolte, la soluzione del problema interpretativo non muterebbe. Anche da questo punto di vista si coglierebbe l’inammissibilità delle questioni proposte.

Nel merito, la Regione ha replicato che i dirigenti, per il periodo di servizio prestato con contratto di diritto privato a tempo determinato, hanno percepito il trattamento di fine rapporto, in base alle previsioni dell’art. 2120 cod. civ. Per il periodo di servizio di ruolo, i dirigenti avrebbero conseguito un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalle «regole generali INADEL», in quanto, per ogni anno di servizio, si computerebbe un dodicesimo dell’ultima retribuzione e non già un quindicesimo dell’80 per cento della retribuzione degli ultimi dodici mesi.

Un trattamento di favore, istituito nell’àmbito della previdenza pubblica, non potrebbe essere esteso, senza un’espressa previsione normativa, al diverso àmbito della previdenza privata.

La disciplina censurata si limiterebbe a confermare quanto già si potrebbe desumere dalle previsioni originarie. Solo in tempi più recenti, si sarebbe «manifestata l’esigenza, o anche solo l’opportunità, di chiarire che l’integrazione regionale, concepita per il trattamento concernente il lavoro pubblico e nel suo ambito giustificata, non poteva essere estesa oltre quei confini». Non si potrebbe dunque censurare un «uso distorto del potere normativo», in violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU.

Non rappresenterebbe un idoneo termine di raffronto la fattispecie del conferimento di incarichi dirigenziali disciplinata dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, che «opera nell’ambito del rapporto dirigenziale di lavoro pubblico a tempo indeterminato» e non contempla alcuna «soluzione di continuità fra il rapporto fondamentale a tempo indeterminato e un incarico che espressamente è qualificato di diritto privato – assai presumibilmente di lavoro autonomo». Non sarebbe violato, pertanto, il principio di eguaglianza.

Non si potrebbero invocare gli artt. 35, 36 e 38 Cost. allo scopo di ritenere costituzionalmente doverosa «una tutela di grado particolarmente elevato, quale quella che i dirigenti della regione friulana richiedono». Ai dirigenti sarebbe riconosciuta una tutela adeguata, alla stregua delle «regole applicabili a tutti i rapporti di lavoro».

Il giudice a quo, nell’auspicare l’estensione automatica anche al regime del TFR di un trattamento correlato al regime del TFS, si prefiggerebbe di sovrapporre e di assimilare due istituti che ancora presentano significative diversità di disciplina, confermate anche di recente da questa Corte (si richiama la sentenza n. 213 del 2018).

5.– All’udienza pubblica del 22 maggio 2019, le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– La Corte d’appello di Trieste dubita, sotto molteplici profili, della legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018). La legge regionale censurata, nell’offrire l’interpretazione autentica degli artt. 142 e 143 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), nega rilievo, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, al servizio prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato.

La Corte rimettente assume che le disposizioni censurate siano lesive dell’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto, in contrasto con il principio di parità di trattamento, che costituisce principio fondamentale «in materia di impiego pubblico privatizzato», e con «il canone di ragionevolezza», esse determinerebbero una «possibile irragionevole diversità di trattamento di un periodo, fra l’altro pregresso da anni, di lavoro del tutto uguale», prestato dapprima in virtù di un rapporto di ruolo e poi, dal novembre 2002, in forza di un contratto a tempo determinato di diritto privato.

In violazione dell’art. 35, primo comma, Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, sarebbero discriminati i dirigenti che prestano, in base a un incarico privatistico, lo stesso servizio dapprima legato a un «lavoro in ruolo».

Il giudice a quo prospetta, inoltre, la lesione del diritto del lavoratore di percepire una retribuzione, anche differita, proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.). L’indennità di buonuscita dei dirigenti regionali, che rappresenta «un accantonamento retributivo», sarebbe decurtata «in ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo».

La legge regionale friulana è censurata anche in riferimento all’art. 38, secondo e quarto comma, Cost., per il pregiudizio che «il passaggio delle competenze ad altro soggetto» arrecherebbe alla tutela previdenziale e assistenziale per la vecchiaia, in passato garantita da istituti pubblici come l’INADEL e l’INPDAP e pur sempre contraddistinta da «metodo di contribuzione e funzione» tipici «della previdenza pubblica».

La Corte rimettente denuncia la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Il legislatore friulano sarebbe intervenuto «su norme emanate da anni ed anni», caratterizzate da un significato inequivocabile, allo scopo di influenzare un contenzioso già instaurato e di conseguire un risparmio «di scarso peso economico», alla luce del «numero spicciolo degli interessati».

Non si potrebbero individuare, pertanto, motivi imperativi di interesse generale e sarebbero così violati sia la preminenza del diritto e il diritto a un processo equo, sanciti dall’art. 6 CEDU, sia i princìpi tutelati dall’art. 111, primo e secondo comma, Cost.

Ad avviso del giudice a quo, l’art. 117 Cost. sarebbe violato per un’ulteriore ragione. Le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che indica nell’ultimo stipendio il parametro utile per la determinazione del trattamento di fine servizio dei dirigenti e integra il contenuto del parametro costituzionale, e con l’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), che, «con il suo canone di invarianza affermato in tema di retribuzione evidentemente anche differita rafforza ed integra la tutela concessa dall’art. 117 della Costituzione in tali casi».

2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha eccepito, per molteplici ragioni, l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale.

2.1.– La Regione, in linea preliminare, ha prospettato l’irrilevanza delle questioni sollevate, sul presupposto che l’accoglimento delle censure non muti la soluzione del problema interpretativo dibattuto nel giudizio principale. Anche senza l’intervento della disciplina interpretativa, per il periodo assoggettato alla disciplina del trattamento di fine rapporto dovrebbe essere comunque negata la prestazione supplementare, riconosciuta soltanto per l’indennità di buonuscita.

L’eccezione non è fondata.

La Corte rimettente, per decidere la causa, dovrà applicare le disposizioni censurate e l’applicabilità della disposizione è sufficiente a radicare la rilevanza delle questioni proposte (sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in diritto). Anche nella prospettiva di un più diffuso accesso al sindacato di costituzionalità (sentenza n. 77 del 2018, punto 8. del Considerato in diritto) e di una più efficace garanzia della conformità della legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della rilevanza non si identifica nell’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare (sentenza n. 20 del 2018, punto 2. del Considerato in diritto).

Nell’ipotesi di accoglimento delle questioni, inoltre, il giudice a quo, dapprima chiamato a fare applicazione di una normativa che predetermina l’esito della lite, dovrà decidere secondo una diversa regola di giudizio, che attingerà da una ricostruzione sistematica della complessa disciplina di riferimento. La dichiarazione di illegittimità costituzionale, quand’anche non conduca a conclusioni diverse da quelle recepite dalle disposizioni censurate, influirebbe comunque sul percorso argomentativo che il rimettente dovrà intraprendere per dirimere la controversia. Anche da questo punto di vista trova dunque conferma la rilevanza del dubbio di costituzionalità prospettato.

2.2.– La Regione assume che siano lacunosi gli argomenti addotti a sostegno delle censure.

Neppure tale eccezione è fondata.

Come mostra l’ampiezza dei rilievi che la Regione ha svolto con riguardo a ciascuna delle censure, le deduzioni della Corte rimettente consentono di cogliere in maniera adeguata il nucleo delle questioni proposte. A ben considerare, l’eccezione di inammissibilità rispecchia il dissenso su profili che attengono al merito delle singole questioni.

2.3.– Neppure l’eccezione che fa leva sulla mancata sperimentazione di un’interpretazione adeguatrice, idonea a far luce sul carattere genuinamente interpretativo delle disposizioni censurate, coglie nel segno.

A fronte di una formulazione letterale inequivocabile, l’interpretazione adeguatrice, genericamente accennata dalla Regione, non può che cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale e alla disamina del merito delle questioni proposte.

3.– Nel merito, le questioni sono fondate, nei termini di séguito esposti.

4.– Le disposizioni che il rimettente sospetta di illegittimità costituzionale sono accomunate dalla finalità di determinare l’indennità di buonuscita del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, «in via di interpretazione autentica» – secondo quanto si afferma nell’esordio di ciascuna delle previsioni – degli artt. 142 e 143 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981.

In particolare, l’art. 7, comma 28, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 esclude, nella «determinazione del servizio utile ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, in quanto trattamento di fine servizio», il servizio «prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato».

La previsione citata enuncia l’intento di offrire l’interpretazione autentica dell’art. 142, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, che, nella «determinazione del servizio utile ai fini dell’indennità di buonuscita», considera «valutabile il servizio reso alle dipendenze dell’Amministrazione regionale, degli enti regionali e degli enti interessati da provvedimenti, statali o regionali, di soppressione, scorporo o riforma, il cui personale sia stato assegnato o trasferito alla Regione o agli enti regionali, compreso quello prestato anteriormente all’entrata in vigore della legge 8 marzo 1968, n. 152, nonché quello riscattato a tali fini».

L’art. 7, comma 29, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 – in cui si prevede che gli assegni fissi pensionabili sono soltanto «quelli riconosciuti ai sensi della legislazione dell’ex INADEL» – è indicato quale norma di interpretazione autentica dell’art. 143, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981. Quest’ultima disposizione commisura l’indennità, «per ogni anno di servizio utile», a «1/12 degli assegni fissi pensionabili, ai sensi del terzo comma dell’art. 136 della presente legge goduti all’atto della cessazione dal servizio, nonché di quelli eventualmente spettanti alla medesima data ai sensi dell’art. 2 della legge 24 maggio 1970, n. 336, o di altre disposizioni di legge, compresa l’indennità integrativa speciale limitatamente alla misura valutata dall’I.N.A.D.E.L.».

Da ultimo, l’art. 7, comma 30, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, stabilisce che, nell’indennità di buonuscita, «non sono valutati i periodi di servizio prestato con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato». La previsione citata reca l’espressa qualificazione di normativa di interpretazione autentica dell’art. 143, secondo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, che impone alla Regione di assicurare comunque «al dipendente l’indennità di buonuscita anche nei casi in cui questa non spetterebbe secondo la legislazione dell’I.N.A.D.E.L.».

5.– La Corte rimettente riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale sono dirigenti dell’amministrazione regionale, «cessati dal servizio fra il 2005 ed il 2010 e con diritto all’indennità terminativa o di buonuscita», e hanno richiesto l’indennità di buonuscita anche per il periodo di servizio prestato, a decorrere dal novembre 2002, in virtù di «contratto individuale con incarico dirigenziale».

Nella vicenda oggi sottoposta al vaglio di questa Corte, le previsioni censurate si applicano a fattispecie che si sono perfezionate in data antecedente al 13 gennaio 2016, data di entrata in vigore della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 (art. 8). Nel giudizio principale viene dunque in rilievo l’incidenza retroattiva che contraddistingue la disciplina in esame e su tale peculiare profilo si incentrano le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente.

6.– Con riguardo a tale aspetto, si deve ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il divieto di retroattività della legge si erge a fondamentale valore di civiltà giuridica, soprattutto nella materia penale (art. 25 Cost). In altri àmbiti dell’ordinamento il legislatore è libero di emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, ma la retroattività deve trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del 2017, punto 4.3.1. del Considerato in diritto).
I limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei princìpi costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell’ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 170 del 2013, punto 4.3. del Considerato in diritto).

La Corte rimettente, in particolare, evoca a più riprese i princìpi della preminenza del diritto e dell’equo processo, attraverso il richiamo congiunto all’art. 111 Cost. e all’art. 6 CEDU, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. Tali profili di censura si rivelano inscindibilmente connessi nel sindacato sulle leggi retroattive, data la «corrispondenza tra principi costituzionali interni in materia di parità delle parti in giudizio e quelli convenzionali in punto di equo processo» (sentenza n. 191 del 2014, punto 4. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 12 del 2018, punto 3.2. del Considerato in diritto).

Nell’interpretare l’art. 6 CEDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo (fra le molte, Corte EDU, sentenza 11 dicembre 2012, Anna De Rosa e altri contro Italia, paragrafo 47) afferma che, in linea di principio, non è vietato al legislatore introdurre nella materia civile disposizioni retroattive, che incidano su diritti attribuiti da leggi in vigore. Tuttavia, se non vi sono motivi imperativi di interesse generale, i princìpi di preminenza del diritto e la nozione di giusto processo precludono l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, quando il fine evidente è quello di influenzare la soluzione di una controversia.

La “parità delle armi” impone di assicurare a ogni parte la possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di svantaggio rispetto alla controparte (Corte EDU, sentenza 9 dicembre 1994, Raffineries grecques Stran e Stratis Andreadis contro Grecia, paragrafo 46).

Quanto ai motivi imperativi di interesse generale, che conducono a individuare «un punto di equilibrio nella dialettica tra i valori in gioco» (sentenza n. 127 del 2015, punto 6. del Considerato in diritto), spetta agli Stati contraenti il compito di identificarli (sentenza n. 303 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto), alla luce di «una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali» (sentenza n. 311 del 2009, punto 9. del Considerato in diritto), rimessa al margine di apprezzamento dei singoli Stati.

I motivi finanziari non bastano da soli a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (Corte EDU, sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia, paragrafo 37).

I diritti riconosciuti dalla Costituzione non possono non interagire con quelli previsti dalle fonti sovranazionali e internazionali, in un quadro di reciproca integrazione e quindi di bilanciamento. In tale ampia prospettiva questa Corte elabora «una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata» (sentenza n. 264 del 2012, punto 5.4. del Considerato in diritto), in modo da assicurare la «integrazione delle garanzie dell’ordinamento» (sentenza n. 317 del 2009, punto 7. del Considerato in diritto).

7.– Tra gli elementi sintomatici di un uso distorto della funzione legislativa, questa Corte, in armonia con le enunciazioni di principio della Corte EDU, ha conferito rilievo al metodo e alla tempistica dell’intervento legislativo, che vede lo Stato o l’amministrazione pubblica parti di un processo già radicato e si colloca a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica (sentenza n. 12 del 2018, punto 3.2. del Considerato in diritto).

È alla luce di tali princìpi che occorre sindacare la legittimità costituzionale della legge regionale censurata.

7.1.– In primo luogo, viene in evidenza il lungo tempo che è intercorso tra le norme oggetto di interpretazione, adottate nel 1981 e rimaste inalterate nei loro tratti salienti, e la norma di interpretazione autentica, introdotta soltanto nel 2015.

A segnare la discontinuità tra le due discipline concorre, oltre al dato temporale, la diversità del contesto normativo in cui esse si collocano.

A tale riguardo, si deve rilevare che la legge friulana del 1981 non contempla il conferimento di incarichi dirigenziali, secondo le peculiarità definite soltanto dalla normativa posteriore e, in particolare, dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla legislazione regionale di riferimento (art. 12 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2004, n. 4, recante «Riforma dell’ordinamento della dirigenza e della struttura operativa della Regione Friuli-Venezia Giulia. Modifiche alla legge regionale 1° marzo 1988, n. 7 e alla legge regionale 27 marzo 1996, n. 18. Norme concernenti le gestioni liquidatorie degli enti del Servizio sanitario regionale e il commissario straordinario dell’ERSA»).

La censurata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, nell’apprestare un regime restrittivo della determinazione dell’indennità di buonuscita, mira in realtà a conferire efficacia retroattiva alle previsioni della disciplina riguardante i trattamenti di fine servizio.

7.2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, parte della controversia instaurata da alcuni dirigenti dell’amministrazione, ha approvato le previsioni censurate in pendenza di giudizio. Solo in concomitanza con l’iniziativa giudiziaria avviata da alcuni dirigenti, la Regione ha presentato gli emendamenti che racchiudono le disposizioni censurate, nel corso della discussione di una legge dal contenuto eterogeneo, collegata alla manovra finanziaria.

Dal dibattito consiliare emerge la consapevolezza del contenzioso pendente, occasione immediata e, al tempo stesso, esclusiva giustificazione dell’intervento retroattivo del legislatore regionale.

Le previsioni sulla determinazione dell’indennità di buonuscita, presentate come enunciazione di una regola astratta, si rivolgono in realtà a una platea circoscritta di destinatari e sono inequivocabilmente preordinate a definire l’esito di uno specifico giudizio.

7.3.– L’intento di vincolare la decisione di cause già pendenti, che coinvolgono un numero esiguo e agevolmente individuabile di parti, contrasta con la nozione stessa di motivi imperativi di interesse generale, orientati piuttosto a finalità di ampio respiro (sentenze n. 127 del 2015 e n. 1 del 2011).

Quanto alla tutela dell’equilibrio del bilancio della Regione, appaiono del tutto generici i riferimenti dei lavori preparatori ai risparmi di spesa, che il legislatore friulano si ripromette di conseguire con l’introduzione della disciplina sottoposta all’odierno scrutinio.

Neppure si ravvisa l’esigenza, in altre occasioni valorizzata da questa Corte, di porre rimedio alle imperfezioni tecniche del testo normativo originario (sentenza n. 24 del 2018), ai profili di illegittimità costituzionale insiti nella disciplina anteriore (sentenza n. 149 del 2017) o – in funzione “riparatrice” e nel rispetto del principio di affidamento – alle manifeste sperequazioni determinate da istituti extra ordinem di eccezionale favore (sentenza n. 108 del 2019, punto 8. del Considerato in diritto).

8.– Le considerazioni svolte conducono a ritenere le questioni fondate, in riferimento agli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.

Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, in quanto disposizione essenzialmente volta a regolare fattispecie pregresse con efficacia retroattiva.

Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente.

9.– Il giudice a quo dovrà peraltro valutare attentamente la fondatezza della pretesa di conseguire l’indennità di buonuscita anche per il periodo di servizio prestato in virtù di contratti a tempo determinato, alla luce della normativa statale di riferimento (d.P.C.m. 20 dicembre 1999) e dell’evoluzione della disciplina regionale. Ristabilite le regole del giusto processo e della “parità delle armi”, su tale aspetto controverso può riprendere corpo una dialettica interpretativa che l’intervento del legislatore, parte del giudizio, non deve – soprattutto in pendenza della lite – alterare a proprio vantaggio.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2019.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2019.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

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Il CdS ribalta la sentenza del Tar Lazio Sez. 1Q, è accoglie l'Appello dell'Amministrazione.

La sentenza del Tar Lazio trattava il ricorso del ricorrente "dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza" per il seguente argomento:

Blocco triennio 2011-2013, inoltre, il meccanismo di blocco è stato poi prorogato anche per l’anno 2014, dal d.P.R. n. 122 del 2014.

PER L'ANNULLAMENTO

1) - del provvedimento, disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74; di promozione alla qualifica di dirigente generale dal 19.11.2013, giorno precedente la cessazione dal servizio, ai soli fini giuridici senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

E PER L’ACCERTAMENTO

2) - del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.

Il CdS precisa:

3) - Va premesso che sulle questioni controverse tra le parti si è pronunciata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria, anche ai sensi dell’art. 74, comma 1, secondo periodo, del codice del processo amministrativo (cfr. Sez. IV, nn. 2315, n.. 2687 e 3464 del 2020).

4) - Il collocamento in congedo dell’appellato è avvenuto nel vigore di una disposizione che, nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto il cosiddetto blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, della progressione automatica per classi e scatti di stipendio, delle progressioni di carriera, comunque denominate.

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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 4, numero provv.: 202003835

Pubblicato il 15/06/2020

N. 03835/2020 REG. PROV. COLL.
N. 06622/2019 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sull’appello n. 6622 del 2019, proposto dal Ministero dell'Interno e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro
Il signor Vincenzo Ortolano, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano Buscemi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maurizio Barca in Roma, via Cola di Rienzo, n. 162;

per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Prima), n. 5493/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Vincenzo Ortolano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 11 giugno 2020 il pres. Luigi Maruotti;
Visto l’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto il provvedimento del 19 novembre 2013, con il quale il Ministero dell’Interno ha conferito all’appellato la promozione alla qualifica superiore, il giorno precedente al suo collocamento in quiescenza, ai soli fini giuridici, con esclusione di benefici economici.

2. Con il ricorso di primo grado n. 2294 del 2014 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), l’interessato ha impugnato tale provvedimento, deducendo la violazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 2010, e prospettando, in subordine, la questione di legittimità costituzionale di tale comma 21, se interpretato nel senso che non ha previsto l’attribuzione di benefici economici.

3. Il Ministero intimato, costituitosi in giudizio, ha contestato la prospettazione di parte ricorrente, evidenziando che l’atto impugnato ha dato applicazione alla normativa vigente, n considerazione della sospensione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.l. n. 165 del 2001, per il triennio 2011-2013, triennio nel quale si è collocato l’avanzamento di carriera dell’interessato.

4. Il TAR, con la sentenza appellata, ha accolto il ricorso, evidenziando che la normativa applicata dal Ministero – nel disciplinare l’avanzamento di carriera - soltanto per questa prevedrebbe il “blocco” dell’adeguamento retributivo e di ogni altro emolumento economico, mentre la progressione di carriera oggetto della controversia è stata disciplinata dall’art. 1, comma 260, della legge n. 266 del 2005, approvata per soddisfare un’esigenza perequativa e di ristoro economico di quei dipendenti pubblici che, come l’interessato, all’esito di una modifica normativa disposta dal d. lgs. n. 165 del 2001 sono “rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso…con incidenza diretta sul trattamento pensionistico”.

Conseguentemente, il TAR ha annullato in parte qua il provvedimento impugnato ed ha accertato l’obbligo dell’Amministrazione di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale.

5. Il Ministero dell’Interno ha proposto appello avverso l’indicata sentenza, deducendo che la normativa che ha imposto il “blocco” dell’adeguamento economico derivante dalle promozioni degli impiegati dello Stato (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010) non consentirebbe di differenziare le promozioni derivanti dall’applicazione della disciplina di carattere generale quelle promozioni, quale quella dell’appellato, derivante dall’applicazione di una normativa speciale.

6. In data 12 settembre 2019, si è costituito in giudizio l’appellato, il quale ha sostanzialmente ripercorso le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata ed ha insistito per il rigetto dell’appello.

7. All’udienza dell’11 giugno 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

7.1. Va premesso che sulle questioni controverse tra le parti si è pronunciata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria, anche ai sensi dell’art. 74, comma 1, secondo periodo, del codice del processo amministrativo (cfr. Sez. IV, nn. 2315, n.. 2687 e 3464 del 2020).

7.2. Le disposizioni sul blocco degli effetti economici conseguenti agli avanzamenti di carriera hanno avuto la dichiarata finalità di sterilizzare tali effetti nei rapporti in corso, per contingenti esigenze di finanza pubblica, contenimento del disavanzo di bilancio e salvaguardia del suo equilibrio, nell’arco del triennio da esse indicato.

7.3. Il collocamento in congedo dell’appellato è avvenuto nel vigore di una disposizione che, nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto il cosiddetto blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, della progressione automatica per classi e scatti di stipendio, delle progressioni di carriera, comunque denominate.

Infatti, l’art. 9, comma 21, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 2010, ha così disposto:

«I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Il meccanismo di blocco è stato poi prorogato anche per l’anno 2014, dal d.P.R. n. 122 del 2014.

In ragione dell’applicazione congiunta di queste due disposizioni, all’appellato è stata riconosciuta la qualifica superiore ai fini esclusivamente giuridici.

7.4. Sulla normativa da applicare al caso di specie, la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 200 del 2018.

Nel richiamare questa sentenza, le sentenze n. 2315 e n. 3464 del 2020 della Sezione hanno avuto modo di osservare che:

“a) al fine di contenere le spese, tutto il pubblico impiego è stato coinvolto da una articolata regola di conformazione della retribuzione “spettante”, nel triennio 2011-2013, prorogato all’anno 2014: per il pubblico impiego non contrattualizzato la retribuzione è determinata senza tener conto né dei meccanismi di adeguamento retributivo, né delle «progressioni di carriera comunque denominate»; simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato, la retribuzione è determinata senza tener conto né delle «progressioni di carriera comunque denominate», né dei passaggi tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di carriera; si sono aggiunte altre misure di contenimento delle spese, quale il blocco della contrattazione collettiva con conseguente congelamento dei livelli retributivi (art. 9, comma 17), per il pubblico impiego contrattualizzato, prevedendo anche che, per il successivo triennio (2013-2015), la contrattazione sarebbe stata possibile per la sola parte normativa e «senza possibilità di recupero per la parte economica»;

b) la disposizione dettata per contenere la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, citato) non ha comportato un prelievo straordinario su una retribuzione più elevata, ma ha introdotto una regola per conformare la “retribuzione spettante” ai pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, andando ad integrare, sia pure temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la finalità di contenerne il costo complessivo;

c) sulla base di tale presupposto, le «esigenze di politica economica giustificano interventi che…comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione in carriera» (sentenza n. 96 del 2016), sempre che la retribuzione ‘di risulta’ assicuri comunque il rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., rispetto ad una adeguatezza complessiva della retribuzione (sentenze nn. 310 e 304 del 2013; n. 154 del 2014), cosi risultando giustificata la regola legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti comportante il congelamento delle retribuzioni; mentre è costituzionalmente illegittimo (sentenza n. 178 del 2015) il regime di sospensione della contrattazione collettiva, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con conseguente conferma indiretta del blocco per il periodo precedente;

d) il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo; mentre, il differenziale tra la retribuzione percepita (perché “spettante” in ragione del criterio limitativo) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita, salvo eccezioni espressamente previste dallo stesso art. 9 (comma 1 e comma 22), non ricorrenti nella fattispecie;

e) la questione all’attenzione della Corte è stata posta rispetto alla disparità di trattamento tra i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio di blocco stipendiale e quelli collocati dopo (e prima), nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell’arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la «valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso»;

f) è determinante la considerazione che il “fluire del tempo” differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile debba tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo (e prima) la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento;

f1) una volta sterilizzate ex lege, per effetto dell’art. 9, le retribuzioni in caso di progressioni in carriera nel quadriennio, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza, perché la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata;

g) né è ipotizzabile una disparità di trattamento del dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio, che subirebbe a tempo indeterminato il rigore della regola la quale, invece, congelerebbe solo temporaneamente gli incrementi retributivi, perché questo sarebbe plausibile solo se la regola limitativa avesse natura di prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera e si riespandesse la retribuzione una volta cessata l’operatività del prelievo per quelli ancora in servizio; natura di prelievo già esclusa in altre pronunce (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013);

h) infatti, il pubblico dipendente promosso nel ‘periodo di cristallizzazione’ ha diritto a quella retribuzione che percepiva prima della promozione e questa rileva sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto;

i) in definitiva, la circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente “promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa;

j) solo il legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, potrebbe prevedere, come richiedeva il remittente, la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un’area superiore”.

7.5. In considerazione della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale, questo Consiglio, con la suindicata sentenza n. 2315 del 7 aprile 2020, ha dunque accolto l’appello del Ministero.

7.6. Con le ulteriori sentenze n. 2687 e n. 3464 del 2020, questo Consiglio ha ribadito che ragioni di carattere testuale, logico-sistematiche e di specialità temporale, depongono per l’accoglimento della identica tesi sostenuta in quel giudizio dal Ministero dell’Interno.

In dettaglio, è stato statuito che:

“a) In primo luogo, l’art. 9, comma 21, parla di “progressioni di carriera comunque denominate”.

E’ evidente l’ampiezza della locuzione, indistintamente riferita a tutte le vicende attinenti al rapporto di lavoro non privatizzato tali da determinare, quale che ne sia il nomen juris, una “progressione di carriera”.

A sua volta, l’espressione “progressione di carriera” richiama l’avanzamento nella scala gerarchica o, comunque, nell’ordine verticale delle qualifiche, ossia un movimento verso l’alto concretante l’acquisizione di una posizione (ordinamentale o funzionale) più elevata nell’ambito dell’Ente.

A tenore di tale ampia portata precettiva dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78, non vi sono margini per ritenerne escluso l’istituto della “promozione alla vigilia”.

b) Ciò, oltretutto, cozzerebbe con profili d’ordine logico-sistematico.

Invero, la ratio del d.l. n. 78, palesemente volta a garantire un risparmio di spesa all’Erario, vale a fortiori per le promozioni “alla vigilia”, ben più onerose per lo Stato rispetto alle ordinarie promozioni per così dire “effettive”: l’istituto de quo, infatti, trova applicazione nella parte finale della vita lavorativa del dipendente interessato e, dunque, consente l’acquisizione dei gradi apicali nella rispettiva carriera, connotati da livelli retributivi generalmente elevati, quanto meno rispetto alla media del pubblico impiego.

Oltretutto, la “promozione alla vigilia”, prescindendo in toto da qualunque valutazione comparativa o, comunque, meritocratica, determina l’erogazione di migliori trattamenti economici (e previdenziali) che non conseguono ad un procedimento selettivo o, comunque, valutativo, ma, di contro, sono attribuiti indistintamente dalla legge a tutti i soggetti che si trovino nelle condizioni previste.

c) Infine, in un’ottica di rapporto strutturale fra disposizioni di legge, a ben vedere quella speciale è proprio la norma recata dal d.l. n. 78, che detta la disciplina (appunto, speciale) di tutte le progressioni in carriera, comunque denominate, che siano state disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 (poi anche 2014).

Proprio in quanto norma speciale ratione temporis, dunque, è questa che deve trovare applicazione per le “progressioni in carriera, comunque denominate”, disposte nel triennio (poi quadriennio) in discorso”.

8. Il Collegio ritiene che l’appello del Ministero va pertanto accolto (non ravvisandosi, alla luce delle deduzioni delle parti e degli atti processuali, ragioni che possano indurre a discostarsi da quanto statuito con riferimento ai casi analoghi), sicché – in riforma della sentenza impugnata – il ricorso di primo grado va respinto.

9. Sussistono giusti motivi per compensare le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello n. 6622 del 2019 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, con sede in Roma, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020, ai sensi dell’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Luigi Maruotti





IL SEGRETARIO
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

Messaggio da panorama »

Il CdS ribalta la sentenza del Tar Lazio n. 9439/2018 Sez. 1Q, è accoglie l'Appello dell'Amministrazione.

1) - La sentenza del Tar Lazio trattava il ricorso del ricorrente "dirigente superiore tecnico ingegnere" della Polizia di Stato dal 1° gennaio 2003 - riferisce di essere stato collocato a riposo per raggiunti limiti di età in data 1° marzo 2013 e di aver conseguito ex lege dal giorno antecedente il collocamento a riposo (28 febbraio 2013) la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, sussistendo i requisiti di cui all' art. 1, comma 260, della legge 23.12.2005, n. 266 (per i dirigenti superiori di P.S., con almeno 5 anni di anzianità nella qualifica, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio, c.d promozione alla vigilia).


Blocco triennio 2011-2013, inoltre, il meccanismo di blocco è stato poi prorogato anche per l’anno 2014, dal d.P.R. n. 122 del 2014.

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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 4, numero provv.: 202003833

Pubblicato il 15/06/2020

N. 03833/2020 REG. PROV. COLL.
N. 10478/2018 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sull’appello n. 10478 del 2018, proposto dal Ministero dell'Interno e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro
Il signor Carmine Morrone, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimiliano De Stefano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Regina Margherita, n. 1;

per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Prima), n. 9439/2018, resa tra le parti;


OMISSIS perchè i motivi sono uguali alla precedente sentenza del CdS.
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Re: Spending review. Adesso tocca ai Tar

Messaggio da panorama »

Allego unico file contenente 2 Decreti Decisori emessi dal Tar Lazio che Dichiara l’improcedibilità del ricorso, in quanto parte ricorrente, per il tramite del suo difensore, ha richiesto la cancellazione del ricorso in quanto mero duplicato. Inoltre in data 27 aprile 2022 ha depositato un ricorso iscritto al ruolo generale del medesimo Tar con il nr. 4651/2022 avente il medesimo oggetto e proposto contro la stessa Amministrazione intimata.

1) - riconoscimento del diritto ad ottenere l'elargizione di un indennizzo per il danno patito dal “blocco stipendiale”, relativo al periodo 2011 – 2015

2) - il risarcimento del danno patito a causa del ritardo con cui è stato revisionato il proprio trattamento retributivo

Quanto sopra, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015

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