Soppressa della Casa circondariale.

Feed - POLIZIA PENITENZIARIA

Rispondi
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 13189
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Soppressa della Casa circondariale.

Messaggio da panorama »

soppressa la Casa circondariale di Sala Consilina.
----------------------------------------------------------------------------------------

SENTENZA ,sede di SALERNO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201602269, - Public 2016-10-11 -
Pubblicato il 11/10/2016


N. 02269/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00056/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 56 del 2016, proposto da:
-OMISSIS- e -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Demetrio Fenucciu C. F. FNCDTR68A19H703M, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Memoli, 12;

contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliato per legge in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 58;

Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

Provincia di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Ugo Cornetta C. F. CRNGUO71M25H703E, con domicilio eletto, in Salerno, al Largo dei Pioppi, 1, presso Avvocatura Provinciale;

per l’annullamento

- a) del decreto ministeriale del 27 ottobre 2015, comunicato in data 4.11.2015, con il quale è stata soppressa la Casa circondariale di Sala Consilina;

- b) della nota, prot. n. 2442 dell’11.03.2015, con la quale il Provveditorato Regionale della Campania del D. A. P. ha proposto la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina;

- c) d’ogni altro atto collegato, presupposto e/o consequenziale, comunque lesivo per i ricorrenti, incluse le note prot. n. 2005 del 18.03.15 della Direzione Generale delle Risorse Materiali, dei Beni e dei Servizi; n. 1429 del 24.03.2015 del DAP – Direzione Generale del Personale e della Formazione; GDAP-0120453-2015 del 3.4.2015 del capo DAP;


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e della Provincia di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 24 maggio 2016, il dott. Paolo Severini;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;


FATTO

I ricorrenti, premesso che:

- 1) con decreto ministeriale del 30 gennaio 2001 la Casa circondariale di Sala Consilina veniva inserita nell’elenco degli istituti penitenziari “strutturalmente non idonei” per i quali veniva “ritenuta necessaria e conveniente la dismissione”; sennonché l’art. 2 dello stesso provvedimento incaricava il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di “promuovere le intese necessarie con le regioni o con gli enti locali interessati per reperire le aree per la localizzazione dei nuovi istituiti penitenziari da costruire in sostituzione di quelli che saranno dismessi”;

- 2) e infatti, con decreto ministeriale del 26 ottobre 2001, recante “variante al programma ordinario di edilizia penitenziaria”, veniva prevista la costruzione di nuovi istituti penitenziari tra cui quello di Sala Consilina, da realizzarsi in via prioritaria unitamente ad altri istituti; a tal fine, con decreto del 3.06.2002, assunto dal Ministero di Giustizia di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, veniva stanziata la somma di € 32.053.000,00 per la costruzione urgente di un nuovo istituto penitenziario;

- 3) a distanza di soli due anni, con D. M. 21 maggio 2004 veniva disposta, nelle more della costruzione di un nuovo istituto penitenziario, la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina;

- 4) successivamente, con D. M. 9/3/2005, veniva revocato il citato provvedimento di soppressione, sia in ragione delle delibere degli Organi Locali della Regione Campania con le quali veniva chiesto il mantenimento dell’istituto, essendo Sala Consilina sede di Tribunale e la Casa circondariale di vitale importanza dal punto di vista operativo, per l’assistenza alle traduzioni di detenuti da e per la Calabria, nonché per il centro – nord, sia in ragione della proposta della stessa Amministrazione comunale, formalizzata con deliberazione di G. C., di provvedere, con onere a proprio carico, all’esecuzione degli interventi di manutenzione necessari per il mantenimento in esercizio della struttura;

- 5) intanto, a causa del cronico sovraffollamento degli istituti penitenziari, con DPCM 13/01/2010 veniva dichiarato lo stato di emergenza, fino al 31.12.2010 (poi prorogato, fino al 31.07.2014); indi era disposto il commissariamento del D. A. P.;

- 6) l’attività, affidata ai Commissari, si è tradotta nella definizione dei cd. “Piani carceri”, con i quali venivano previsti interventi finalizzati ad incrementare i posti detentivi e a migliorare le condizioni dei detenuti anche attraverso la riduzione degli istituti esistenti; nulla veniva previsto per la Casa circondariale di Sala Consilina, di cui quindi si prevedeva il mantenimento;

- 7) durante la fase commissariale è stato svolto un “proficuo lavoro di programmazione finalizzato a ridefinire l’assetto degli istituti penitenziari su tutto il territorio nazionale”;

- 8) tale attività, in particolare, ha portato all’adozione delle circolari DAP n. G – DAP0206745 – 2012 del 30.05.2012 e PU – G0036997 – 2013 del 29.01.2013, aventi ad oggetto “Realizzazione circuito regionale ex art. 115 d. P. R. 30 giugno 2000 n. 230; linee programmatiche”, la prima contenente i principi di indirizzo, e, la seconda, la nuova e definitiva geografia degli istituti penitenziari italiani, raggruppati per circuiti regionali;

- 9) nella circolare da ultimo richiamata, la Casa circondariale di Sala Consilina rientra nel quadro definitivo del circuito regionale campano: l’Amministrazione penitenziaria ha infatti programmato il mantenimento dell’istituto in quanto parte integrante del sistema carcerario regionale (a differenza di altre strutture carcerarie espressamente destinate alla dismissione);

lamentavano che “incredibilmente, i suddetti atti programmatori, contenenti autovincoli per la PA intimata, sono stati superati, in carenza di istruttoria ed in contrasto con l’interesse pubblico, dalla soppressione qui impugnata”; in particolare, con nota prot. n. 2442 dell’11.03.2015, il Provveditorato regionale della Campania, “senza confrontarsi con i citati atti programmatori”, proponeva la soppressione dell’istituto attesa “la modesta ricettività della struttura” e la “inadeguatezza sotto il profilo strutturale della sicurezza e, quindi, l’antieconomicità del mantenimento dello stabile in attività ai fini detentivi”; tanto senza considerare l’impegno, assunto dal Comune, di realizzare l’adeguamento funzionale della struttura con accollo dei relativi oneri (attività culminata nella predisposizione di apposito progetto a cura dell’ente); facevano presente che quindi, con nota prot. n. 2005 del 18.03.2015, il DAP – Direzione Generale delle Risorse Materiali, dei Beni e dei Servizi Segreteria del Direttore Generale – esprimeva parere favorevole alla soppressione dell’istituto; nello stesso senso s’esprimeva, con nota prot. n. 1429 del 24.03.2015, il DAP – Direzione Generale del Personale e della Formazione; ancora, con nota prot. n. GDAP – 0120453 – 2015 del 3.04.2015, il DAP – Ufficio Capo del Dipartimento – dichiarava di condividere la proposta di soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina, rilevando da un lato che “la soppressione della locale sede giudiziaria, avvenuta con D. Lgs. n. 155 del 7.09.2012, non rende più giustificabile il mantenimento della Casa Circondariale in questione che appare del tutto antieconomico sotto il rapporto costi/benefici” e, dall’altro lato, che “la proposta di soppressione ben si inquadra nell’orientamento secondo cui, tenere in funzione istituti penitenziari o sezioni distaccate di istituti penitenziari con disponibilità di meno di 100 posti detenuto, contrasta in linea generale – fatte salve peculiarissime eccezioni – con il principio di buona amministrazione, atteso che tali piccole strutture assorbono risorse economiche e risorse umane più proficuamente spendibili altrove”; tale nota, dunque, veniva rimessa al Capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia, per le eventuali determinazioni di competenza; segnalavano che la soppressione privava l’intero circondario del Tribunale, in cui è compreso il -OMISSIS-, di una struttura carceraria, in contrasto con elementari principi di efficienza dell’azione amministrativa, con la territorialità dell’esecuzione penale e con il principio, pure affermato dal capo del dipartimento, per cui il collegamento funzionale con una sede di Tribunale giustificherebbe la conservazione dell’istituto penitenziario; proseguivano i ricorrenti,
rappresentando che, con nota, prot. 0015914.0 del 21.04.2015, l’Ufficio del Gabinetto del Ministro prendeva atto della proposta di soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina, ritenendo opportuno interloquire sull’argomento con i vertici dell’Autorità Giudiziaria lucana e di Lagonegro, anche in relazione alla futura allocazione dei detenuti; conseguentemente, con nota acquisita al prot. GDAP – 0276864 – 2015 dell’8.08.2015, il Procuratore della Repubblica di Lagonegro evidenziava che dalla soppressione dell’istituto di Sala Consilina sarebbero derivate oggettive difficoltà in -OMISSIS- all’allocazione dei detenuti presso la Casa circondariale di Potenza, attesa la notevole distanza dalla sede del Tribunale e le note difficoltà di collegamento; per tali ragioni – osservava il Procuratore – sarebbe stato opportuno riattivare l’istituto penitenziario di Chiaromonte (ma secondo i ricorrenti “distante circa 60 km e ancor peggio collegato rispetto Potenza”), in disuso da moltissimi anni e necessitante di interventi di ristrutturazione e di ampliamento; ma anche il parere del Procuratore della Repubblica veniva disatteso, procedendosi alla soppressione, “senza alcuna valutazione atta a scongiurare i paventati disservizi”; infatti, con D. M. 27 ottobre 2015, il Ministero della Giustizia ha disposto la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina, senza garantire l’apertura del carcere di Chiaromonte e dunque “privando il circondario del Tribunale di Lagonegro di una struttura carceraria, con immaginabili oneri e gravi disservizi per tutti gli utenti della giustizia”; tanto premesso, i ricorrenti articolavano, avverso gli atti specificati in epigrafe, le seguenti censure:

- I) VIOLAZIONE DI LEGGE: ARTT. 97 COST., 115 D.P.R. n. 230/2000; 2 D. Lgs. n. 444/92; 32 L. n. 395/1990; 3 L. n. 241/90; VIOLAZIONE DELLE CIRCOLARI D.A.P. n. 0206745 – 2012 del 30.05.2012 e n. 0036997 – 2013 del 29.01.2013; ECCESSO DI POTERE PER: DIFETTO ASSOLUTO DI ISTRUTTORIA; CARENZA DI MOTIVAZIONE; FALSITÀ DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO; CONTRADDITTORIETÀ; ILLOGICITÀ; ARBITRARIETÀ; IRRAGIONEVOLEZZA; INGIUSTIZIA MANIFESTA: la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina si fondava sull’asserita antieconomicità, in termini di costi/benefici, del suo mantenimento e richiamava la programmazione di un sistema integrato di istituti penitenziari a livello regionale, ex art. 115 DPR 203/2000; in particolare, si leggeva nel decreto impugnato che “la soppressione di detto istituto può consentire una significativa economia di risorse complessive, più efficacemente ed efficientemente utilizzabili in altre strutture penitenziarie, in aderenza al principio di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie e materiali di cui si dispone, attraverso la razionalizzazione delle attività istituzionali nonché la complessiva gestione del patrimonio demaniale, ed in linea con la riorganizzazione dei circuiti penitenziari, operata attraverso la definizione, a livello regionale, di un sistema integrato di istituti penitenziari in conformità alla previsione normativa di cui all’art. 115 del d. P. R. 230/2000”; ma destava stupore la circostanza che la soppressione contrastasse proprio con le precedenti determinazioni assunte dall’Amministrazione penitenziaria in materia di organizzazione dei circuiti penitenziari regionali (di cui alle circolari DAP indicate in rubrica) richiamate nello stesso atto impugnato; invero, all’interno del quadro definitivo dei circuiti regionali, contenuto nella Tabella B della circolare DAP n. 0036997 del 29.01.2013, avente ad oggetto “realizzazione circuito regionale ex art. 115 d. P. R. 30 giugno 2000 n. 230 – Linee programmatiche”, la Casa circondariale di Sala Consilina rientrava tra gli istituti penitenziari del circuito campano i quali, nel complesso, formavano un sistema integrato di strutture carcerarie, finalizzato a differenziare ed elevare gli standard di trattamento in conformità alle ripetute condanne e ai richiami della Corte Europea di Strasburgo (cfr. sentenza CEDU Torreggiani c/ Italia dell'8 gennaio 2013); tale provvedimento, pertanto, faceva espressamente salvo l’istituto in parola; l’atto programmatorio, infatti, individuava gli istituti, attivi a livello regionale, ed elencava quelli da dismettere (per i quali, cioè, l’Amministrazione aveva ritenuto non conveniente il mantenimento); tra questi non era incluso il carcere di Sala Consilina, che andava dunque conservato; del resto, rilevavano i ricorrenti, “la succitata circolare è stata adottata all’esito di un’approfondita istruttoria all’interno della quale sono stati discussi tutti i progetti presentati dai Provveditorati regionali per la creazione/revisione dei circuiti penitenziari regionali, in conformità alle linee direttive emanate con circolare n. 0206745 del 30.05.2012, e raccolte le osservazioni delle Direzioni Generali al fine di dare coerenza nella dimensione nazionale delle diverse proposte presentate”, del tutto illegittimamente, quindi, gli atti impugnati avevano ritenuto sufficiente una generica valutazione di “opportunità economica”, per cancellare il complesso lavoro di pianificazione, sino ad allora svolto, che pure aveva considerato il dato economico, nell’ambito di una valutazione più ampia delle ragioni che giustificavano il mantenimento dell’istituto di detenzione salese; ciò era tanto più vero, se si considerava che la programmazione, intervenuta nel 2013, aveva previsto il mantenimento dell’istituto, pur dopo la soppressione del locale Tribunale, enfaticamente richiamata dal Capo DAP che, tuttavia, trascurava di considerare la mancanza di un carcere nell’intero circondario della sede giudiziaria del locale Tribunale, il che rendeva “ancora attuale l’interesse pubblico alla conservazione dell’istituto”; inoltre la proposta di soppressione era stata formulata dal Provveditorato regionale, in contrasto con le previsioni del circuito regionale, ex art. 115 D.P.R. 230/2000, “peraltro inopinatamente richiamato nel decreto ministeriale impugnato”; ancora, l’Amministrazione non aveva contemplato alcuna misura, atta a mitigare gli effetti della soppressione dell’istituto sul circuito regionale, affermando la mera possibilità di utilizzare le risorse ricavate, “più efficacemente ed efficientemente”, in altre strutture penitenziarie, appariva dunque evidente, secondo i ricorrenti, l’illegittimità degli atti impugnati, per violazione dei citati atti di programmazione, difetto d’istruttoria e contrarietà all’interesse pubblico e alla corretta organizzazione del servizio giustizia; in ogni caso, la violazione delle circolari con la quali il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, aveva dettato le linee guida programmatiche per il riordino del sistema penitenziario, viziava “insanabilmente la proposta della soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina di cui alla nota prot. n. 2442 del 11.3.2015 del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, che ha dato avvio al procedimento controverso. E invero, ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 444/1992, il Provveditorato regionale, in qualità di amministrazione competente alla formulazione di proposte di soppressione degli istituti penitenziari, esercita le sue attribuzioni “secondo i programmi, gli indirizzi e le direttive disposti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, anche al fine di assicurare l’uniformità dell’azione penitenziaria sul territorio nazionale”; ancora, ai sensi dell’art. 32, comma 2, della l. n. 395/1990, rubricato “Istituzione dei Provveditorati regionale dell'Amministrazione penitenziaria”, “2. I provveditorati regionali sono organi decentrati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Essi operano nel settore degli istituti e servizi per adulti, sulla base di programmi, indirizzi e direttive disposti dal Dipartimento stesso, in materia di personale, organizzazione dei servizi e degli istituti (...)”. Appariva quindi “evidente che l’amministrazione penitenziaria regionale, nel formulare la proposta di soppressione dell’istituto penitenziario de quo, non ha tenuto conto della circostanza che lo stesso fosse inserito nel quadro definitivo dei circuiti regionali integrati di cui alla circolare DAP n. 0036997 del 29.01.2013; l’organo periferico avrebbe dovuto rispettare gli atti di programmazione e, comunque, ogni diversa proposta avrebbe imposto una valutazione complessiva del circuito penitenziario regionale, da espletarsi nell’ambito di un progetto unitario, del tutto mancante nella specie”; tanto comportava “l’illegittimità del decreto ministeriale impugnato per illegittimità derivata del provvedimento presupposto che ha dato avvio al procedimento”; pur rivestendo, quanto sopra affermato, rilievo assorbente, gli atti impugnati erano illegittimi anche per contrasto con il principio di territorialità dell’esecuzione penale, posto dall'art. 115, comma 1, del d. P. R. n. 230/2000 e ribadito dalla circolare DAP n. 0206745 del 30.05.2012; in particolare, l’art. 115 cit., co. 1, prevede che: “1. In ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell’esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale”; a sua volta, la circolare n. 0206745 del 30.05.2012, al § 4, prevede che “I Signori Provveditori (...) avranno cura di predisporre un progetto regionale ispirato a un “sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive (...)” che possa poi, in stretta collaborazione con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento, soddisfare il principio di territorializzazione e valga a rendere operativi i criteri indicati dall’art. 14 della legge 354/75 e dall’art. 115 d. P. R. 230/2000”; nella specie, i suddetti principi sarebbero stati “arbitrariamente disattesi”; l’attuazione del principio di territorialità avrebbe imposto “che le scelte di localizzazione, dimensione e tipologia costruttiva degli insediamenti penitenziari si fossero basate (anche) sull’analisi della realtà socio – criminale della zona di riferimento e sulla geografia degli uffici giudiziari” (detti parametri erano stati oggetto di “richiamo erroneo” da parte del Capo del D. A. P., che ha invocato la soppressione del Tribunale di Sala senza considerare l’unicità del carcere di Sala Consilina anche nel circondario del Tribunale di Lagonegro); i ricorrenti lamentavano che, nella specie, non v’era traccia di siffatta valutazione, e che quindi, in maniera ingiustificata, la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina privava “un vastissimo territorio, coincidente con il circondario del Tribunale di Lagonegro, di un istituto penitenziario con ingiustificato pregiudizio per la comunità locale e per gli operatori del diritto”; né, del resto, “la valorizzata, ma non specificata, salvezza di risorse economiche e di personale, altrimenti più efficacemente utilizzabili, può assorbire ogni altra valutazione in -OMISSIS- al suddetto principio di territorializzazione della pena”; nel merito, poi, gli atti censurati fondavano “su presupposti erronei, frutto di una lettura distorta della realtà producendo, in concreto, forti disagi a tutti coloro che chiedono o producono giustizia e, in generale, all’intera comunità del territorio interessato”; in particolare, con la nota prot. n. 0120453 del 3.04.2015 il DAP – Ufficio del Capo del Dipartimento aveva rimesso la proposta di soppressione dell'istituto al Ministero della Giustizia in quanto: - 1) “la soppressione del Tribunale di Sala Consilina, avvenuta con D. Lgs. n. 155/2012, non rende più giustificabile il mantenimento della Casa circondariale in questione”; 2) il mantenimento della stessa “appare del tutto antieconomico sotto il rapporto costi/benefici, sia per la modestissima ricettività della struttura – che, con una capienza di 22 posti detentivi, alla data del 30.04.2015 ospita 27 detenuti – sia per l’inadeguatezza sotto il profilo strutturale che si ripercuote sull’aspetto della sicurezza”; 3) pertanto, “la proposta di soppressione ben si inquadra nell’orientamento secondo cui, tenere in funzione istituti penitenziari o sezioni distaccate di istituti penitenziari con disponibilità di meno di 100 posti detenuto, contrasta in linea generale – fatte salve peculiarissime eccezioni – con il principio di buona amministrazione, atteso che tali piccole strutture assorbono risorse umane più proficuamente spendibili altrove”; tali assunti, ad avviso dei ricorrenti, erano però infondati: per quanto concerne il punto sub 1), andava ribadito che la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina rendeva il circondario del Tribunale di Lagonegro privo di una struttura carceraria, con evidenti ripercussioni anche sull’ordinaria amministrazione della giustizia; dunque il Capo DAP contraddittoriamente affermava il principio secondo il quale in ogni circondario di Tribunale deve esistere un istituto penitenziario, salvo poi contraddirlo; il grave disservizio che derivava dagli atti censurati contrastava, inoltre, con l’art. 60, III comma, della l. n. 354/75, rubricato “Istituti di custodia preventiva”, a norma del quale “Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite nei capoluoghi di circondario”; “illegittimamente, infatti, l’impugnata soppressione costringe l’Autorità Giudiziaria di Lagonegro ad utilizzare una delle seguenti strutture penitenziarie, tutte esterne al circondario del Tribunale: - casa circondariale di Castrovillari (CS), distante circa 75 km e con tempi di percorrenza di 1 ora e 15 min.; - casa circondariale di Potenza, distante oltre 100 km e raggiungibile in 1 ora e 30 min.; - casa circondariale di Vallo della Lucania (SA), distante circa 100 km e raggiungibile in 1 ora e 10 min.; - casa di reclusione di Eboli, distante 100 km, con tempi di percorrenza superiori a un’ora; mentre la Casa circondariale di Sala Consilina distava, dal Tribunale di Lagonegro, solo 40 km e i tempi di percorrenza erano inferiori ai 30 minuti; né l’istituto penitenziario di Chiaromonte (distante circa 55 km e raggiungibile in circa un’ora), sulla cui riattivazione si era speso il Procuratore di Lagonegro nel parere in atti, poteva, ad avviso dei ricorrenti, giustificare la disposta soppressione, trattandosi di istituto chiuso da anni che richiede onerosi interventi strutturali neppure programmati; del pari infondati erano pure i rilievi di cui ai punti sub 2) e sub 3), concernenti la ridotta dimensione dell’istituto penitenziario di Sala Consilina; in particolare, contrariamente a quanto sostenuto dal DAP, gli istituti penitenziari con capienza inferiore ai 100 posti detenuto non costituirebbero affatto “peculiarissime eccezioni”, ma piuttosto “una quota cospicua delle strutture penitenziarie italiane” (infatti, come si poteva verificare sul sito ufficiale del Ministero della Giustizia, sono oltre 30 gli istituti penitenziari (su un totale di 190), a tutt’oggi aperti, che hanno una capienza di molto inferiore ai 100 detenuti (vedi la C.C. di Sondrio con capienza regolamentare di 31 detenuti, la C. C. di Lauro in Campania, con capienza regolamentare di 38 detenuti e presenza effettiva di soli 11 detenuti o Empoli, in Toscana, con capienza regolamentare di 18 detenuti e presenza effettiva di 24 detenuti, ecc.); sicché appariva “evidente che il sistema penitenziario italiano è caratterizzato da numerosi istituti di piccole dimensioni che, in alcuni casi, risultano persino sottoutilizzati, ma dei quali, ciononostante, viene ritenuto necessario il mantenimento”;
l’istituto penitenziario in esame, invece, pur essendo di ridotte dimensioni, presentava una capienza che poteva essere agevolmente incrementata “di talché, per logica, si sarebbe dovuto procedere al suo ampliamento, piuttosto che alla sua soppressione. E ciò a maggior ragione in considerazione della disponibilità del ricorrente Comune a consentire la costruzione di un nuovo carcere e, addirittura, a garantire a proprie spese l’adeguamento di quello esistente con incremento della capienza ad oltre 50 posti”;

- II) VIOLAZIONE GIUSTO PROCEDIMENTO. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE TRA ENTI: i ricorrenti non erano stati posti in condizione di partecipare al procedimento amministrativo che, “in contraddizione con gli atti programmatori vigenti”, ha disposto la soppressione del carcere di Sala Consilina; ove coinvolti nel relativo procedimento, i ricorrenti avrebbero potuto agevolmente rappresentare sia la contrarietà della soppressione ai citati atti programmatori, sia la sua irragionevolezza alla luce della manifestata disponibilità del Comune a garantire l’adeguamento della struttura penitenziaria esistente e, comunque, ad agevolare la costruzione di un nuovo istituto; era evidente, inoltre, il concreto interesse dei ricorrenti alla partecipazione del procedimento attese le ricadute negative nella comunità ricorrente e per tutti gli operatori del diritto, onerati di gravose trasferte in contrasto con il principio di territorialità dell’esecuzione penale e di ragionevolezza delle misure di organizzazione del sistema penale.

I ricorrenti formulavano, altresì, istanze istruttorie e cautelari, e concludevano per l’accoglimento del ricorso, con annullamento degli atti impugnati, e vittoria di spese.

Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, indi depositando ampia memoria difensiva e documentazione.

L’Avvocatura Erariale, per conto del Ministero, preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso, attesa la natura di “atti politici”, ovvero in sub-OMISSIS- di “atti di alta amministrazione”, caratteristica dei provvedimenti impugnati, i primi sottratti all’impugnativa in via giurisdizionale amministrativa e i secondi, dal carattere ampiamente discrezionale, che, pur astrattamente impugnabili, sono soggetti esclusivamente a un sindacato di tipo estrinseco, limitato alla loro sola manifesta irragionevolezza e abnormità; sotto tale profilo, segnalava che il D. M. del 27.10.2015 resisteva a tutte le censure in termini di difetto d’istruttoria e di motivazione, essendo stato dettato dalla finalità precipua di portare avanti il processo di razionalizzazione del “sistema giustizia”, iniziato con la soppressione di talune sedi distaccate di Tribunale, onde evitare antieconomicità, in termini di rapporti costi/benefici; onde la Casa circondariale di Sala Consilina era resistita, fino alla sua recente soppressione, esclusivamente per effetto della sopravvivenza del locale Tribunale, indi soppresso nel 2012; eccepiva, altresì, l’inammissibilità del ricorso, per carenza di legittimazione ad agire e d’interesse ad agire del ricorrente -OMISSIS-, posto che la mera “vicinitas” dell’ente, rispetto all’istituto penitenziario compreso nel suo territorio, non era idoneo a configurare, in capo al medesimo, una posizione giuridica qualificata e differenziata, anche in relazione alla natura generale delle scelte di politica penitenziaria, che travalicavano i confini del singolo territorio comunale; eccepiva ulteriormente l’inammissibilità del gravame, per carenza d’interesse ad agire, sotto l’ulteriore profilo della mancanza di un vantaggio sostanziale, arrecabile al ricorrente -OMISSIS- dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato; nel merito, sosteneva l’infondatezza del ricorso, chiedendo che lo stesso fosse respinto, unitamente alla domanda cautelare ivi formulata.

All’esito dell’udienza in camera di -OMISSIS- del 9.02.2016, la Sezione respingeva la domanda cautelare, articolata da parte ricorrente, con la seguente motivazione:

“Ritenuto che la domanda cautelare non pare prima facie meritevole di favorevole considerazione, per difetto del requisito del periculum in mora, alla luce delle circostanze – attestate dall’Avvocatura Erariale nella memoria in atti – secondo cui: “Attualmente la struttura è chiusa e vuota, sorvegliata a fini di sicurezza esterna e interna dai due poliziotti penitenziari e l’archivio afferente la documentazione cartacea è stato costituito presso l’ICAT di Eboli con compiti di gestione amministrativa”; “una eventuale apertura dovrebbe essere innanzitutto preceduta da una serie di interventi igienico – sanitari, attesa la decadenza della struttura (…)”; “una eventuale apertura della casa di reclusione imporrebbe oneri assai gravosi (…) la riattivazione di tutte le utenze e dei servizi indispensabili primari (pulizia, mensa etc.)”; Ritenuto che sussistono eccezionali ragioni per compensare, tra le parti, le spese di fase; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
respinge la domanda cautelare; compensa le spese della presente fase cautelare”.

Seguiva il deposito di un documento nell’interesse del Ministero, e di copie di articoli di stampa, nell’interesse dei ricorrenti, i quali quindi replicavano, con scritto difensivo, alle eccezioni d’inammissibilità del gravame, formulate ex adverso.

Si costituiva quindi in giudizio la Provincia di Salerno, che aderiva alle ragioni del ricorso in esame.

Alla pubblica udienza del 14 maggio 2016, il ricorso era trattenuto in decisione.

--------------------------------------------

FINE PRIMA PARTE


panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 13189
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: Soppressa della Casa circondariale.

Messaggio da panorama »

SECONDA PARTE
-----------------------------------------------------

DIRITTO

Vanno, preliminarmente, esaminate le eccezioni d’inammissibilità del ricorso, sollevate dalla difesa dell’Amministrazione della Giustizia.

La prima, impingente nella natura di atto politico del D. M. del 27.10.2015, di soppressione della Casa Circondariale di Sala Consilina, non pare favorevolmente valutabile, alla luce della nozione di atto politico, quale si ricava dalla giurisprudenza (“Il presupposto per cui un atto soggettivamente e formalmente amministrativo possa ritenersi avere natura politica è che lo stesso costituisca espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico. Alla nozione legislativa di atto politico concorrono due requisiti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo; occorre, da un lato, che si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, e cioè dall’autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica; dall’altro, che si tratti di atto o provvedimento emanato nell’esercizio del potere politico, anziché nell’esercizio di attività meramente amministrativa ovverosia debba riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione” – T. A. R. Napoli (Campania), Sez. IV, 3/01/2013, n. 92), tale da escludere in radice la riconducibilità del provvedimento gravato alla categoria in questione, facendo difetto, ad avviso del Collegio, entrambi i requisiti, sia soggettivo, sia oggettivo, individuati dall’indirizzo giurisprudenziale, testé riferito.

Altrettanto priva di pregio la variante di tal eccezione preliminare, imperniata sull’appartenenza del provvedimento impugnato al genus degli atti di alta amministrazione, i quali sono, per giurisprudenza pacifica, soggetti al controllo di legittimità da parte del G. A. (“L’atto “di alta amministrazione”, pur se connotato da amplissima discrezionalità, è pur sempre un vero e proprio atto amministrativo, come tale, sicuramente, sindacabile in sede giurisdizionale. Conseguentemente, è infondata e va respinta l’eccezione pregiudiziale sollevata dall’amministrazione resistente che fa leva sul concetto di attività “di alta amministrazione” per inferire la non sindacabilità del provvedimento amministrativo impugnato” – T. A. R. Roma (Lazio), Sez. II, 12/03/2002, n. 1897; si consideri, anche, la recente massima che segue, importante anche al fine di tracciare il confine degli atti de quibus, rispetto a quelli politici stricto sensu: “L’atto politico è sostanzialmente libero nel fine da individuare, mentre quello di alta amministrazione si colloca all’interno dell’esercizio di una funzione ampiamente discrezionale, che deve tuttavia svolgersi in un ambito finalistico predeterminato dalla normativa” (T. A. R. Genova (Liguria), Sez. I, 30/03/2016, n. 297).

In realtà, quel che la difesa dell’Amministrazione intende, con tale eccezione, è limitare il controllo di legittimità del Tribunale al solo sindacato, cd. estrinseco, giusta l’orientamento che s’esprime in decisioni, come la seguente: “Il provvedimento di alta amministrazione non è atto del tutto sottratto al sindacato giurisdizionale, quanto meno in -OMISSIS- alla sussistenza dei relativi presupposti previsti dalla legge o nei casi di manifesta carenza ed irragionevolezza della scelta in concreto operata” (-OMISSIS- di Stato, Sez. IV, 26/09/2013, n. 4768).

Il problema, in ogni caso, una volta affermata con decisione l’ammissibilità del gravame, sotto il profilo in trattazione, va – a parere del Collegio – sdrammatizzato: l’appartenenza dell’atto in questione alla categoria dell’alta amministrazione, in ogni caso, non varrebbe certo a escluderne ogni forma di sostanziale controllo, posto che sono, viceversa, invalse pronunce, del tipo delle seguenti: “L’atto di alta amministrazione, espressione di un’ampia potestà discrezionale della p. a., deve essere emanato sulla base di una conoscenza adeguata dello stato dei fatti, di un’esatta interpretazione della volontà della legge e di una ponderazione non irragionevole delle situazioni soggettive rilevanti, elementi tutti che devono trovare adeguato riscontro nella motivazione” (-OMISSIS- di Stato, Sez. IV, 20/05/1996, n. 633); “Gli atti di alta amministrazione formalmente e sostanzialmente atti amministrativi, sono comunque soggetti all’obbligo di motivazione, essendo chiuso nel sistema, dopo l’entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, ogni spazio per la categoria dei provvedimenti amministrativi c.d. a motivo libero, e posto che la connotazione di un atto amministrativo come atto di alta amministrazione non vale di per sé ad escludere l’onere di motivazione a carico della p. a. (nel caso di specie, la proposta di nomina gravata era inficiata da una totale e assoluta carenza di motivazione, sicché è stata riconosciuta illegittima e, per l’effetto, ha determinato l’invalidità di tutti i successivi atti del procedimento)” (T. A. R. Roma (Lazio), Sez. I, 5/03/2012, n. 2223).

Ciò posto, va affrontata l’ulteriore eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Difesa Erariale, d’inammissibilità del ricorso, per carenza di legittimazione od interesse ad agire, in capo al -OMISSIS-, posto che le scelte, discrezionalmente assunte dal Ministero della Giustizia, nel decretare la soppressione della casa circondariale ivi ubicata, travalicherebbero l’ambito territoriale circoscritto al Municipio, nei cui confini, soltanto, potrebbe configurarsi una legittimazione dell’ente, esponenziale della comunità locale, ad opporsi ad atti, del tipo di quello odiernamente gravato.

Anche tal eccezione va, ad avviso della Sezione, anzitutto sdrammatizzata: il ricorso in esame è stato proposto, non solo dal -OMISSIS-, ma anche dal -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli -OMISSIS-, nel cui circondario di Tribunale è, ora, compresa Sala Consilina, -OMISSIS- dell’-OMISSIS-, della cui legittimazione, e del cui interesse ad agire, relativamente all’impugnativa del decreto ministeriale in oggetto, non pare possibile dubitare (e, infatti, la relativa eccezione non è stata, punto, formulata).

Quindi, in ogni caso, giammai potrebbe discorrersi dell’inammissibilità –in toto – del presente ricorso, al più potendosi configurare, eventualmente, l’inammissibilità della sola presentazione dello stesso, da parte del -OMISSIS-.

Ma, più in generale, il Tribunale ritiene che, nella specie, non sussistano neppure le condizioni, per dichiarare il presente gravame inammissibile, per difetto di legittimazione o d’interesse ad agire, in tal sua limitata parte (solo rispetto all’azione, proposta dal -OMISSIS-), secondo la formulazione dell’eccezione in questione, contenuta nella memoria difensiva dell’Amministrazione della Giustizia.

Proprio riguardo ad analoga fattispecie, è stato, infatti, affermato: “Ogni Comune è legittimato ad impugnare il provvedimento che ha disposto l’accorpamento del suo Tribunale nel Tribunale di un Comune limitrofo, atteso che esso rappresenta la propria comunità nella cura dei suoi interessi e nella promozione del suo sviluppo” (T. A. R. Potenza (Basilicata), sez. I, 7/04/2014, n. 254); e, in motivazione: “Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 2, D. Lg.vo n. 267/2000 il -OMISSIS- rappresenta la propria comunità, nella cura dei suoi interessi e nella promozione del suo sviluppo, e fra gli interessi del Comune ricorrente risulta compreso anche quello di cui è causa, finalizzato al mantenimento del Tribunale presso la propria città”.

Mutatis mutandis, è evidente, allora, l’interesse del Comune ad impugnare il decreto soppressivo della Casa circondariale nel suo territorio (la questione, del resto, si lega strettamente, anche sotto il profilo delle giustificazioni addotte dal Ministero, a quella della soppressione del Tribunale di Sala Consilina, con accorpamento dello stesso al Tribunale di Lagonegro).

Stabilito, pertanto, che il ricorso è ammissibile, occorre delibarne la fondatezza.

Secondo il Tribunale, il ricorso è fondato, in maniera dirimente, a cagione del grave vulnus al principio fondamentale della territorialità dell’esecuzione penale, che lo stesso, inevitabilmente, finisce per determinare nella specie.

L’art. 115, comma 1, del d. P. R. n. 230/2000 (“Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”) prevede, in particolare, quanto segue: “In ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell’esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale”.

Il principio in esame trova la sua emersione, per di più, nel fondamentale art. 42 cpv. dell’ordinamento penitenziario (l. 354/1975), secondo il quale: “Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie” (cfr., anche, l’art. 83, comma 1, del Regolamento di Esecuzione, d. P. R 230/2000).

La centrale rilevanza di tale principio, del resto, è stata, di recente, sottolineata nel documento finale degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, redatto dal Comitato di Esperti e presentato a Roma il 18 – 19 aprile 2016, sotto l’egida del Ministero della Giustizia, ove, al punto n. 3.1, sotto la rubrica “Territorialità della pena e rapporti familiari”, s’è osservato: “A venire in rilievo è, anzitutto, il tema della territorialità della pena e il connesso diritto al mantenimento dei rapporti familiari, che trovano traduzione normativa nell’art. 42 o. p., in base al quale il detenuto deve scontare la pena nel luogo più vicino alla famiglia senza che la sua condotta possa influire sull’eventuale istanza di trasferimento. La destinazione del detenuto in un luogo geograficamente lontano dai suoi affetti può tradursi in un ingiustificato surplus di sofferenza, contrario nei termini sopra indicati alla finalità rieducativa della pena e a una specifica previsione delle Regole penitenziarie europee. Peraltro il surplus di sofferenza sarebbe esteso ingiustificatamente ai familiari del detenuto, che non hanno ricevuto la stessa condanna, ma soffrono analoga pena. Non è dubbio che l’art. 42 o. p. (e il connesso art. 83 del Regolamento di esecuzione) sia stato sottoposto ad una sorta di “rinnegazione pratica”, registrandosi continui trasferimenti dei detenuti, non sempre necessari, in luoghi anche molto lontani dalla residenza, con drastico effetto di riduzione degli incontri con i familiari, particolarmente pregiudizievole nei rapporti tra genitori e figli. A ciò si aggiunga la potenziale compressione del diritto di difesa, il cui esercizio sarebbe reso oggettivamente più difficoltoso, qualora l’avvocato del detenuto avesse la sede di attività in luogo distante da quello dell’espiazione della pena. Di qui la raccomandazione per una collocazione del detenuto nella regione dove vivono i suoi familiari (o in una limitrofa, qualora non sia possibile allocarlo nella stessa regione) (…)”.

E non si pensi che il tema della territorialità della pena debba essere declinato, esclusivamente sotto il profilo della concreta gestione dei trasferimenti dei detenuti, giacché lo stesso è, invece, strettamente collegato al tema, che precipuamente viene in rilievo nella specie, della pianta organica degli istituti penitenziari (e dell’edilizia dedicata).

Tanto si ricava, in maniera icastica, dalla Circolare G-DAP 0206745-2012 del 30 maggio 2012, che al paragrafo 4, in perfetta sintonia con le norme, sopra riferite, prevede: “I Signori Provveditori, perciò, sulla base del lavoro preliminare che i Direttori d’istituto hanno approntato insieme ai Comandanti di reparto e le Equipe di trattamento per l’applicazione della circolare di novembre, sentiti in conferenza di servizio i Direttori d’Istituto e d’Uepe della regione, avranno cura di predisporre un progetto regionale ispirato a un “sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive ...” che possa poi, in stretta collaborazione con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento, soddisfare il principio di territorializzazione e valga a rendere operativi i criteri indicati dall’art. 14 della legge 354/75 e dall’art. 115 d. p. r. 230/2000”.

Orbene, come opportunamente osservato da parte dei ricorrenti, con la disposta soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina la regola fondamentale in questione, di là dalle formali dichiarazioni di principio, è stata, nella pratica, immotivatamente e ingiustificatamente disattesa.

Per dirla coi ricorrenti medesimi, “l’attuazione del principio di territorialità avrebbe imposto che le scelte di localizzazione, dimensione e tipologia costruttiva degli insediamenti penitenziari si fossero basate (anche) sull’analisi della realtà socio – criminale della zona di riferimento e sulla geografia degli uffici giudiziari”, in quanto “la soppressione della Casa circondariale di Sala Consilina privava un vastissimo territorio, coincidente con il circondario del Tribunale di Lagonegro, di un istituto penitenziario con ingiustificato pregiudizio per la comunità locale e per gli operatori del diritto” (oltre che, s’osserva, per gli stessi detenuti e per le loro famiglie).

La soppressione del Tribunale di Sala Consilina, la quale, a detta della Difesa Erariale, avrebbe dovuto costituire la chiave di volta, per legittimare anche l’eliminazione della (territorialmente corrispondente) Casa circondariale, appare, in realtà, un argomento fallace, se si tiene mente – come opportunamente rilevato dai ricorrenti – all’unicità del carcere di Sala Consilina, anche nel circondario del Tribunale di Lagonegro, cosicché, con buona pace del principio fondamentale della territorialità della pena, s’è venuta a creare, per effetto dell’adozione del decreto ministeriale impugnato, la paradossale situazione, ben descritta in narrativa (parafrasando l’atto introduttivo del giudizio), nei termini seguenti: “L’impugnata soppressione costringe l’Autorità Giudiziaria di Lagonegro ad utilizzare una delle seguenti strutture penitenziarie, tutte esterne al circondario del Tribunale: - casa circondariale di Castrovillari (CS), distante circa 75 km e con tempi di percorrenza di 1 ora e 15 min.; - casa circondariale di Potenza, distante oltre 100 km e raggiungibile in 1 ora e 30 min.; - casa circondariale di Vallo della Lucania (SA), distante circa 100 km e raggiungibile in 1 ora e 10 min.; - casa di reclusione di Eboli, distante 100 km, con tempi di percorrenza superiori a un’ora; mentre la Casa circondariale di Sala Consilina distava, dal Tribunale di Lagonegro, solo 40 km e i tempi di percorrenza erano inferiori ai 30 minuti”.

Orbene, se si scorre il testo dell’impugnato D. M. del 27.10.2015, di soppressione della casa circondariale di Sala Consilina, non si trova il benché minimo accenno alle tematiche, pur considerate centrali, sia a livello legislativo, sia nella stessa prassi attuativa del Ministero della Giustizia, della territorialità dell’esecuzione penale e del suo corollario, del massimo avvicinamento delle strutture carcerarie ai detenuti, alle loro famiglie, ai loro difensori, più in generale al contesto territoriale di riferimento.

La giustificazione della scelta effettuata è rimasta, in particolare, affidata alle seguenti proposizioni:

“Valutata l’anti-economicità, in termini di costi/benefici, del mantenimento dell’attuale Casa circondariale di Sala Consilina, attesa la modesta ricettività (capienza massima pari a 22 detenuti, compresa la sezione di semilibertà), e la grave inadeguatezza della stessa sotto il profilo strutturale e della sicurezza; Ritenuto che la soppressione di detto istituto può consentire una significativa economia di risorse complessive, più efficacemente ed efficientemente utilizzabili in altre strutture penitenziarie, in aderenza al principio di ottimizzazione dell’uso delle risorse umane, finanziarie e materiali di cui si dispone, attraverso la razionalizzazione delle attività istituzionali nonché la complessiva gestione del patrimonio immobiliare demaniale, ed in linea con la riorganizzazione dei circuiti penitenziari, operata attraverso la definizione, a livello regionale, di un sistema integrato di istituti penitenziari, in conformità alla previsione normativa di cui all’art. 115 del d. P. R. 230/2000”.

In buona sostanza (e al netto della rilevata “grave inadeguatezza della stessa sotto il profilo strutturale e della sicurezza” (situazione che, evidentemente, non potrà non costituire, con l’adozione d’ogni opportuno accorgimento al riguardo, la prima emergenza da affrontare, nel prosieguo dell’azione amministrativa, conseguente alla presente pronuncia, in vista della concreta – ma ovviamente graduale – riapertura dell’Istituto di detenzione soppresso), le giustificazioni de quibus si sono incentrate, tutte, sul profilo economico, vale a dire: a) che il mantenimento dell’istituto si presentava come antieconomico e che: b) la sua soppressione poteva consentire di realizzare una significativa economia di risorse (ovvero, sostanzialmente, veniva ripetuta, due volte, la stessa motivazione, di stampo puramente ed esclusivamente aziendalistico); laddove il riferimento all’art. 115 d. P. R. 230/2000 e al “sistema integrato di istituti penitenziari” ivi previsto, ovvero alla norma – cardine del principio della territorialità della pena, non può che apparire, all’interprete, decisamente incongruo.

Se è vero, infatti, che, nella norma dell’art. 115 cit., la territorialità dell’esecuzione deve coniugarsi con il rispetto “anche di eventuali esigenze di carattere generale”, è altrettanto vero che queste avrebbero dovuto, nel provvedimento gravato, essere adeguatamente bilanciate con la salvaguardia del principio fondamentale in esame: della cui operatività, invece, nel decreto ministeriale impugnato, non si rinviene, semplicemente, di là dall’anodino accenno all’art. 115 d. P. R. 230/2000, traccia alcuna.

E allora non può non convenirsi, con i ricorrenti, nella considerazione, affidata al secondo motivo di ricorso, che la situazione testé descritta, e la necessaria osservanza del principio in questione, avrebbero richiesto un coinvolgimento dei medesimi, in quanto rappresentanti – il -OMISSIS- – della collettività locale e – il -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli -OMISSIS- – della classe forense locale e, mediatamente, degli stessi utenti del sistema – giustizia, onde porli in condizione di partecipare al procedimento relativo, ponendo in risalto le negative conseguenze del provvedimento adottato sulla comunità territoriale e sugli operatori del diritto (nonché sugli stessi detenuti e sulle loro famiglie), “onerati di gravose trasferte in contrasto con i principi di territorialità dell’esecuzione penale e di ragionevolezza delle misure di organizzazione del sistema penale”.

Del resto, in giurisprudenza non s’è mancato d’osservare che: “La qualificazione di un atto amministrativo come atto di alta amministrazione non esclude a carico dell’amministrazione stessa, né l’obbligo di dare avviso all’interessato dell’inizio del procedimento, né l’obbligo di motivazione: tale obbligo discende,
infatti, dalla sussistenza, in virtù della potestà esercitata, di posizioni soggettive tutelate dall’ordinamento, conseguentemente anche tale atto deve essere emanato sulla base di una adeguata conoscenza dello stato dei fatti, di un’esatta interpretazione della volontà della legge e di una valutazione non irragionevole delle situazioni soggettive rilevanti” (T. A. R. Catanzaro, (Calabria), 16/02/1998, n. 131).

In conformità alle suddette considerazioni, da valutarsi come assorbenti delle ulteriori censure sollevate, il provvedimento impugnato va annullato.

Le spese seguono la soccombenza del Ministero della Giustizia, e sono liquidate come in dispositivo, laddove le stesse vanno compensate, quanto alla Regione Campania e alla Provincia di Salerno, estranee all’attività amministrativa censurata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato, in epigrafe sub a).

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore dei ricorrenti -OMISSIS- e -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli -OMISSIS-, in persona dei rispetti legali rappresentanti pro tempore, delle spese e dei compensi, relativi al presente giudizio, che liquida in € 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore di ciascuno di essi, e così, complessivamente, in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge, e lo condanna, altresì, al rimborso, in favore dei medesimi Comune e -OMISSIS- dell’-OMISSIS- degli Avvocati, del contributo unificato, versato nella misura di € 650,00 (seicentocinquanta/00).

Compensa ogni altra spesa di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Salerno, nelle camere di -OMISSIS- dei giorni 24 maggio 2016 e 5 luglio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Ezio Fedullo, Consigliere
Paolo Severini, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Paolo Severini Amedeo Urbano





IL SEGRETARIO
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 13189
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: Soppressa della Casa circondariale.

Messaggio da panorama »

per questa sentenza,

E' stato proposto appello con il num. 201608414.
Non è stato ancora pubblicato nessun provvedimento.
Rispondi