Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Dal sito di: Salutesicurezzalavoro.

Lo stress lavoro-correlato
Le Linee di indirizzo del Ministero
Lo stress lavoro-correlato viene definito dall’Accordo europeo del 2004 come “una condizione accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”.
Una delle principali novità della recente revisione della normativa sulla sicurezza del lavoro (D.Lgs 81/2008 e s.m.i.) è l’obbligo per i datori di lavoro di valutate, nell’ambito del più complessivo processo di valutazione dei rischi, anche i rischi collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
In Italia è previsto dall’articolo 28 del decreto legislativo 81 del 2008, il cosiddetto Testo Unico, che prevede anche le sanzioni per chi non rispetta le regole: da 2.500 a 6.400 euro e la reclusione da tre a sei mesi.
L’articolo di riferimento per lo svolgimento per la Valutazione dei Rischi da Stress da Lavorocorrelato è l’Art. 29: “Modalità di effettuazione della Valutazione dei Rischi”:
1. Il datore di lavoro effettua la Valutazione ed elabora il documento di cui all’Art. 17 comma 1 lettera a) (obblighi del datore di lavoro non delegabili – valutazione di tutti i rischi), in collaborazione con il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e il Medico Competente, nei casi di cui all’Art. 41 (Sorveglianza Sanitaria)”.
Il Medico Competente, ove presente per svolgere la Sorveglianza Sanitaria, viene coinvolto nella valutazione del rischio secondo quanto espresso nell’Art. 25: “Obblighi del Medico Competente”:
1. Il medico competente:
a) collabora con il datore di lavoro e con il Servizio di Prevenzione e Protezione alla Valutazione dei Rischi…”.
Per effettuare questo nuovo tipo di valutazione (Stress lavoro-correlato) andranno rispettate le indicazioni appositamente redatte dalla Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, istituita presso il Ministero del Lavoro e composta da esponenti di vari Ministeri, da rappresentanti delle Regioni e Province autonome e da esperti designati dalle Organizzazione Sindacali e da quelle Datoriali (art. 28 D.Lgs 81/2008). L’obbligo di valutare lo stress lavoro-correlato ed i rischi relativi decorrerà dal 31 dicembre 2010 (la scadenza era stata originariamente fissata il 01/08/2010, poi posticipata con il D.Lgs. 78/2010, Art. 8).
Secondo le Linee guida tracciate dal Ministero del Lavoro, il termine del 31 dicembre 2010 è inteso come data di avvio della valutazione dei rischi. La tempistica di applicazione e la programmazione operativa potrà travalicare questo termine, ma i tempi definitivi vanno indicati nel documento di valutazione.
Elemento molto importante è il legare sempre strettamente la valutazione dello stress lavoro correlato alla gestione dello stress lavoro-correlato: in sostanza, si dice, valutare ha un senso solo se quello che emerge, in termini di criticità, viene immediatamente e contestualmente affrontato in termini di interventi organizzativi volti a ridurre l’entità e l’impatto dello stress lavoro-correlato, ove presente, privilegiando le soluzioni collettive rispetto a quelle individuali e prevedendo sempre il monitoraggio successivo delle situazioni e l’efficacia dei risultati ottenuti.
A questo proposito, si ribadisce esplicitamente che il rischio da stress lavoro-correlato va valutato in tutte le situazioni lavorative, ancorché saranno poi nettamente differenziate le situazioni a seconda dei livelli di rischio (alti, medi, bassi), con differenze quindi sia tra le diverse aziende che anche all’interno della stessa azienda rispetto al tipo di lavorazione/attività.
Un altro elemento di estrema importanza come la valutazione di questo rischio debba sempre essere condotta con la partecipazione attiva e consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti per la sicurezza (sia sui problemi che sulle soluzioni): si valorizza quindi il ruolo determinante dei RLS.
Questo percorso di partecipazione e coinvolgimento si impernia anche sull’attivazione di specifici percorsi formativi. Nel percorso di valutazione dello stress si ritiene necessario, innanzi tutto, una valutazione oggettiva della situazione, tesa ad individuare le criticità ed il livello collettivo e generale di stress individuabile in quell’azienda o in quel reparto (attraverso l’uso di diversi indicatori); in tutti i casi in cui il livello di rischio non è considerato basso, sulla base della valutazione c.d. oggettiva, seguirà la seconda fase della valutazione soggettiva (con strumenti quali questionari, interviste semi-strutturate, focus group, etc.). È da notare inoltre che viene previsto un percorso semplificato per le aziende con meno di 10 lavoratori (che rappresenta la massima parte delle aziende italiane!).
Fonte amblav http://www.amblav.it/download/Stress-la ... e-2010.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;


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Notizia importante

I rischi dell’illuminazione a Led
Scritto il 10 gennaio 2011 da Daria De Nesi

LED
PARIGI – L’Agenzia Nazionale Francese per la Sicurezza Sanitaria, dell’Alimentazione e del Lavoro, ANSES, ha condotto uno studio sulle fonti d’illuminazione a diodi ad emissione luminosa, i LED.
Lo studio ha messo in luce alcuni rischi finora sottovalutati e che devono invece essere presi attentamente in considerazione nelle scelte dei sistemi di illuminazione nei luoghi di lavoro.
Lo studio è stato condotto da un’equipe composta da oculisti, dermatologi, light designer, e fisici delle radiazioni ottiche facenti parte della Commissione Esperti Specializzati, CES, dell’Anses.
Il gruppo ha lavorato sia su documentazione scientifica sia conducendo sperimentazioni in vitro e in visu che li hanno portati ad ottenere risultati molto preoccupanti.
Lo studio ha rilevato possibili danni dovuti all’esposizione alla radiazione blu dei LED e danni dovuti all’abbagliamento.
I LED attualmente in uso e in commercio sono LED che hanno una forte componente di luce blu. Il processo più comune per produrre un diodo che emette luce bianca prevede al giorno d’oggi l’utilizzo di una coppia di LED blu con una a fosforo giallo.
La luce bianca prodotta dai LED è molto intensa e a bassissimo consumo ma implica la possibilità di un danno visivo.
Per quanto riguarda la componente blu della luce è stato sperimentato che questa risulta tossica per le cellule della retina le quali subiscono un forte stress ossidativo quando esposte a questa luce. Il livello di rischio dipende dall’esposizione cumulata cui è sottoposta la persona nel tempo. Non esiste una soglia minima di tollerabilità e l’effetto negativo aumenta in modo tangibile nei soggetti sensibili che presentano patologie degli occhi, che sono sottoposti ad esposizioni ripetute, per professionisti che devono lavorare con illuminazione ad alta intensità, per soggetti fotosensibili e per i bambini.
Per quanto riguarda il rischio di abbagliamento va considerato che la luce dei LED è molto concentrata e intensa: la luminanza di un LED può superare di mille volte quella di un illuminazione normale per cui i limiti di invadenza per illuminazione in interni sono fissati a 1000 candele a metro quadro. Il livello di irraggiamento dei LED può quindi superare il livello di disagio visivo e risultare invadente qualunque sia la sua posizione nel campo visivo, oltrepassando la soglia di comfort visuale.
La tecnologia d’illuminazione a LED è molto promettente e i via di sviluppo ma non se ne possono ignorare i rischi pertanto l’Anses raccomanda di escludere l’adozione di illuminazione a LED per l’illuminazione pubblica, di limitarne l’uso in ambienti di lavoro, e chiede di adeguare le norme riguardo la sicurezza fotobiologica dei LED per tener conto e tutelare le popolazioni e i lavoratori, quali gli installatori di impianti di illuminazione, particolarmente esposti a questo rischio.
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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caduta da una scala in archivio
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T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. 1, Sent., 28 dicembre 2012, n. 2020 - Militare in sevizio nell'Arma dei Carabinieri: caduta da una scala e risarcimento .
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 395 del 2008, proposto da:

A.V., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Onofri, Francesco Fasani, Simona Paola Bracchi, con domicilio eletto presso Giovanni Onofri in Brescia, via Ferramola, 14;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;

in punto:

risarcimento danni

ricorso trattenuto in decisione sulle seguenti conclusioni:

per il ricorrente, come da ricorso introduttivo depositato il 22 aprile 2008,

nel merito, accertata e dichiarata la responsabilità dell'amministrazione resistente per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto e dal rapporto di lavoro in essere con A.V. ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 1218, 2103 e 2087 c.c. e di ogni altra norma applicabile, condannare parte resistente al risarcimento dei danni alla persona - e in particolare al risarcimento del danno biologico, morale, psichico, esistenziale, alla vita di relazione e alla dignità personale- subiti da A.V. a causa e in diretta conseguenza dei fatti descritti, nella misura di Euro 170.000 o diversa maggiore o minore di giustizia;

in via istruttoria, ammettersi prova per testimoni sulle circostanze di fatto di cui al ricorso, ritrascritte premessa la locuzione "vero che", indicandosi a testimoni i commilitoni della Stazione C.C. di Cremona in servizio alla data del 28 aprile 1998 e i sigg. G.T., di Cremona, V.V., di Cremona, e S.B., coniuge del ricorrente, di Pescarolo e Uniti;

disporsi CTU medico legale sui fatti di causa, in particolare sulla idoneità psicofisica del ricorrente alle mansioni a lui assegnate e sulla descrizione e liquidazione dei danni subiti in esito all'evento dannoso del 28 aprile 1998;

per l'amministrazione intimata, come da memoria 27 febbraio 2010,

nel merito, respingersi il ricorso, spese rifuse;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2012 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;



Fatto



Con ricorso notificato il 25 marzo 2008, A.V. ha in sintesi premesso di essere militare in sevizio nell'Arma dei Carabinieri, di esser stato ricoverato d'urgenza il 13 settembre 1993 presso l'Ospedale di Cremona, di avere ricevuto in tale occasione la diagnosi di sclerosi multipla, di esser stato quindi, in dipendenza dalla malattia contratta, trasferito il 3 marzo 1995 presso la Stazione CC di Cremona quale addetto al servizio rilevamento dati, mansione che comportava anche la necessità di archiviare manualmente pesante materiale cartaceo, posto su scaffali a notevole altezza; di essere, asseritamente a causa delle sue precarie condizioni di salute, precipitato il 28 aprile 1998 da una scala utilizzata per tale mansione e di avere per tal fatto subito un danno alla persona, a suo dire dovuto a negligenza dell'amministrazione sua datrice di lavoro; ha pertanto concluso per la condanna della stessa al ristoro del danno patito, nei termini di cui in premesse.

Con memoria 22 febbraio 2010, il ricorrente ha ribadito le proprie asserite ragioni.

Ha resistito alla domanda l'amministrazione della Giustizia, con memoria formale 29 aprile 2008 e memoria 27 febbraio 2010, nella quale ha chiesto la reiezione del ricorso.

Con ordinanza 27 agosto 2010 n.154, il Collegio ha disposto CTU medico legale sui fatti di causa, intesa ad appurare quanto richiesto dal ricorrente nei termini di cui in epigrafe.

All'udienza 26 ottobre 2010, fissata avanti il Giudice delegato come da ordinanza dello stesso 12 ottobre 2010 n.9, veniva nominato CTU il dott. Ruggero Capra, il quale -previo contraddittorio con i CTP dott. Salvatore Maiorana per il ricorrente e cap. medico Gianluca D'Auria per l'amministrazione- depositava il 3 maggio 2011 il proprio elaborato.

All'udienza del giorno 25 maggio 2011, la Sezione ha disposto la comparizione personale del CTU per chiarimenti alla successiva udienza del 23 novembre 2011; espletato tale incombente, ha concesso termine a difesa all'amministrazione, la quale ha depositato in tal senso memoria 2 febbraio 2012, con replica depositata il successivo 15 febbraio da parte del ricorrente.

Con ordinanza 24 aprile 2012 n.684, in esito alla udienza del 7 marzo 2012, la Sezione ha ritenuto la causa non compiutamente istruita quanto agli aspetti medico legali, e più specificamente quanto all'influenza della patologia già in essere a carico del ricorrente sull'allegato infortunio, quanto alla eziologia dell'allegato danno e quanto alla misura di esso; ha quindi disposto la rinnovazione della CTU, affidandola a diverso consulente.

All'udienza 10 luglio 2012, fissata avanti il medesimo Giudice delegato, veniva quindi nominato CTU il prof. dott. Luca Sollennità, dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Milano, il quale -ancora previo contraddittorio con i CTP dott. Salvatore Maiorana per il ricorrente e dott. Maria Teresa Sorrenti per l'amministrazione- depositava il 20 novembre 2012 il proprio elaborato.

Alla udienza del 28 novembre 2012, la Sezione ha da ultimo trattenuto la causa in decisione.



Diritto



1. In via preliminare, va dato atto che la causa, ad avviso del Collegio, è compiutamente istruita in base alla documentazione prodotta e alle risultanze delle CTU di cui in premesse; di conseguenza, vanno dichiarate superflue le ulteriori istanze istruttorie del ricorrente, relative alla richiesta di prova testimoniale.

2. Ciò premesso, la domanda del ricorrente nel merito è fondata e va accolta, ai sensi di quanto appresso.

3. Per chiarezza, occorre ricordare che A.V. ha agito nella presente sede per sentir condannare l'amministrazione di appartenenza al risarcimento del danno asseritamente arrecatogli a titolo di responsabilità contrattuale: in tal senso, egli è esplicito nelle conclusioni di cui all'atto introduttivo, riportate anche in epigrafe, là dove parla appunto di condanna "per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto e dal rapporto di lavoro" e invoca gli artt. 1218 e 2087 del codice civile (ricorso, p. 13 dalla quarta riga delle conclusioni).

4. Tale dato non muta anche osservando che il richiamo al "contratto di lavoro" è giuridicamente impreciso, trattandosi propriamente di militare legato all'amministrazione da un rapporto di servizio: anche da tale rapporto, così com'è pacifico, sorgono diritti ed obblighi delle parti, il cui inadempimento può generare responsabilità civile: in tal senso, per implicito ma inequivocabilmente, TAR Puglia Bari sez. III 27 gennaio 2011 n.190, che si cita per tutte, in quanto relativa al caso analogo di un militare della Guardia di Finanza.

5. Secondo i principi, pertanto, per vedere accolta siffatta domanda, il ricorrente deve in primo luogo provare i fatti costitutivi dell'obbligazione, ovvero il titolo di essa; in secondo luogo, può limitarsi ad allegare il fatto dell'inadempimento; infine deve provare il danno subito e il nesso causale fra l'inadempimento ed il danno: così in termini generali da ultimo Cass. civ. sez. III 23 maggio 2011 n.11290, ma la soluzione, nel senso che il danneggiato possa appunto limitarsi ad allegare l'inadempimento, è costante a partire dalla nota Cass. civ. S.U. 30 ottobre 2001 n.13533.

6. La giurisprudenza poi, nel caso particolare, che qui rileva, del rapporto concernente una prestazione lavorativa, in cui si faccia valere la responsabilità del datore per infortunio subito dal dipendente, traduce le regole appena esposte nell'equivalente massima secondo la quale il lavoratore ha il solo onere di provare il fatto costituente l'inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno; non deve invece provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 c.c.: così per tutte Cass civ. sez. lavoro 19 giugno 2007 n.16003. In termini logici, è infatti chiaro che dover provare il fatto storico dell'inadempimento, ma non la colpa della controparte, significa avere l'onere di provare che l'obbligazione sussiste con certi connotati, ma potersi limitare all'allegazione dell'inadempimento.

7. A riprova, la stessa giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro è costante nell'affermare che, a fronte della prova suddetta da parte del lavoratore, il datore può andare esente da responsabilità solo se a sua volta provi che il danno è avvenuto per causa a lui non imputabile, ovvero in concreto se dimostri di avere adottato tutte le cautele necessarie, che per inciso possono anche non esaurirsi nel mero rispetto di misure antinfortunistiche tipiche indicate dalla legge: così per tutte Cass. sez. lav. 14 ottobre 2010 n.21203 e 6 luglio 2002 n.9856 e, sul secondo punto, la citata Cass. sez. lav. 160003/2007.

8. Le regole così delineate si applicano infine anche al caso di specie, di militari dipendenti dalla relativa amministrazione: così la già citata TAR Puglia Bari sez. III n.190/2011, nonché Cass. pen. sez. IV 14 maggio 2002 n.34345, per l'esplicita affermazione secondo la quale l'obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche sussiste anche nei riguardi del personale militare nell'ambito delle relative strutture.

9. Nel caso di specie, applicando le regole esposte, ritiene allora il Collegio che sussistano tutti gli estremi per accogliere la domanda risarcitoria di A.V..

10. In primo luogo, il ricorrente ha provato i fatti storici presupposto dell'obbligazione inadempiuta, ha cioè dato la prova di essere militare in servizio nell'Arma dei Carabinieri sin dal 17 ottobre 1989; di essersi ammalato il 13 settembre 1993 di quella che all'inizio venne qualificata come "malattia demielinizzante" e successivamente in modo più preciso come "sclerosi multipla", e di essere stato successivamente assegnato -su propria domanda e non d'ufficio, come invece sostenuto nel ricorso, anche se il dato appare ai fini di causa non influente- alla Stazione C.C. di Cremona quale "addetto al rilevamento dati". In tal senso, vi è anzitutto la prova positiva data dalla copia del foglio matricolare, ove le date riportate e la diagnosi iniziale (doc. 1 ricorrente, pp. 2, 4 e 8) e dalla relazione medica dott. P., ove la diagnosi più precisa (doc. 2 ricorrente, copia relazione citata).

11. Si deve poi tener conto, ai fini suddetti, ma anche più in generale per la prova di tutti gli ulteriori fatti di causa rilevanti, della condotta processuale della p.a. intimata, la quale si è costituita il 29 aprile 2008 con la memoria formale ben nota alla prassi, nella quale si è limitata a "fare riserva di svolgere successivamente le proprie difese", a dichiarare una iniziale non compiuta conoscenza dei fatti di causa, con la formula "non disponendosi... attualmente di tutti gli elementi indispensabili", e a chiedere quindi "cautelativamente" il rigetto del ricorso.

12. In proposito, il Collegio deve ripetere quanto già affermato nella propria sentenza 9 giugno 2011 n.860, peraltro conforme a consolidati principi dottrinali e giurisprudenziali. Da un lato, ai sensi dell'art. 39 comma 1 c.p.a., che peraltro riproduce una precedente norma applicata in via pacifica, al processo innanzi al giudice amministrativo "si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali"; dall'altro, così come affermato in giurisprudenza, è necessario, se non altro per il rispetto del principio di uguaglianza, riconoscere alle situazioni giuridiche dei pubblici dipendenti, pur se devolute come nel caso presente alla giurisdizione esclusiva del G.A., un trattamento processuale non deteriore rispetto a quello accordato agli altri lavoratori; su detta linea, in particolare, C. Cost. 28 giugno 1985 n.190 ha dichiarato illegittimo l'art. 21 dell'allora vigente l. TAR nella parte cui non riconosceva agli stessi la medesima tutela cautelare disponibile presso il Giudice ordinario del lavoro.

13. In tale quadro concettuale, non si può non ritenere applicabile al giudizio su un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato in sede di giurisdizione esclusiva il principio di cui all'art. 416 comma 3 prima parte c.p.c., che è indubbiamente tale se non altro perché conforme al novellato art. 167 c.p.c.: il convenuto nel processo di lavoro nel primo suo atto difensivo "deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda", e in mancanza, come affermato fra le molte da Cass. civ. sez. III 3 luglio 2008 n.18202, "gli stessi devono considerarsi come pacifici sicché l'attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo".

14. Nel caso di specie, allora, il descritto atteggiamento processuale della p.a. intimata, di fronte alle dettagliate allegazioni del ricorrente e alle prove documentali dallo stesso prodotte, va qualificato appunto come contestazione generica; in tal senso, quindi, i fatti specifici dedotti dal ricorrente, ove non smentiti in positivo dagli atti di causa, dovrebbero ritenersi per ciò solo provati.

15. Con riguardo alle circostanze specifiche di cui si è detto, del rapporto di servizio, dell'iniziale malattia del ricorrente e della sua assegnazione a Cremona, va comunque detto, ad abbondanza, che si tratta di fatti non contestati anche in prosieguo di causa.

16. Il ricorrente ha poi provato la specifica obbligazione inadempiuta, ovvero il fatto storico dell'infortunio sul lavoro occorsogli: presso la Stazione di Cremona, egli venne adibito in particolare al Casellario, e in tale mansione, avente in buona sostanza contenuto archivistico, si trovò nella necessità di spostare a mano, per prelevarli dalle scaffalature e riporli, pesanti faldoni cartacei; nell'espletare tale attività, il 28 aprile 1998, salì su una scala in dotazione per sistemare alcuni fascicoli che reggeva in mano, perse l'equilibrio, precipitò dalla scala stessa da una altezza di circa tre metri e batté il capo sul pavimento, perdendo i sensi e venendo ricoverato all'ospedale.

17. In proposito, nei termini spiegati sopra, l'amministrazione non ha specificamente contestato la versione dei fatti dedotta in tal senso dal ricorrente alle pp. 3 e 4 del ricorso, ed anzi l'ha ammessa come fatto storico in modo esplicito (memoria 27 febbraio 2010 p. 2 dal quindicesimo rigo); ha poi prodotto, ancora una volta senza contestarla, la relazione 22 ottobre 1998 a firma dello stesso V., in cui egli descrive il fatto (doc. 5 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia di essa), e l'annotazione 28 ottobre 1998 della Stazione C.C. Cremona, nella quale si legge: "il militare in oggetto", ossia V., "veniva soccorso da pari grado, poiché rinvenuto a terra privo di sensi e riverso in una pozza di sangue... trasportato presso il locale Ospedale civile, veniva ricoverato presso quel reparto di NEurologia per 'trauma cranico commotivo con ferita lacero contusa zona fronto temporale dx' ... da una immediata ricostruzione veniva accertato che... regolarmente comandato di servizio quel giorno... mentre si apprestava a riporre dei faldoni sopra una scaffalatura, mediante l'utilizzo di una scala, perdeva l'equilibrio e cadeva a terra, procurandosi le lesioni in disamina" (doc. 4 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia annotazione citata).

18. Il ricorrente ha infine dato la prova del danno subito e del nesso causale fra l'inadempimento ed il danno. In proposito, sulla situazione clinica di A.V., descritta dall'anamnesi e dalla cospicua documentazione medica prodotta, è stato ammesso, nei termini di cui in narrativa, di cui si dirà meglio, il mezzo di prova della CTU richiesto dalle parti, CTU affidata in prima battuta al dott. Ruggero Capra, e poi al prof. dott. Luca Sollennità. In proposito vanno per chiarezza premesse alcune considerazioni.

19. In primo luogo, come si è detto in narrativa, il Collegio ha ritenuto nel corso dell'istruttoria di disporre una rinnovazione della CTU, affidandola a diverso esperto, e sulle ragioni di tale scelta deve soffermarsi. Come risulta dagli atti, la prima CTU, affidata al dott. Capra, è stata destinataria di diverse critiche da parte della difesa dell'amministrazione; in proposito, però, il Collegio ritiene di confermarne la validità, salvo quanto specificamente appresso.

20. In proposito, occorre intanto affermare che l'oggetto della CTU, un accertamento medico diagnostico relativo ad una malattia nEurologica, è per definizione alla portata solo di chi sia dotato di conoscenze di livello elevato e non comune, superiori per comune esperienza anche a quelle del medico generico. Sotto tale profilo, il dott. Capra ha documentato la propria preparazione scientifica con il curriculum prodotto il 7 ottobre 2010 e non contestato da alcuna parte, e in tal modo ha attestato titoli indiscutibili: oltre ad un'ampia e specifica formazione in Italia e all'estero, vale per tutti la sua qualità di responsabile della Unità di nEurologia presso il Centro di riferimento regionale per la sclerosi multipla.

21. In secondo luogo, la CTU Capra si è svolta nel pieno rispetto del contraddittorio, dato che ciascuna delle parti ha nominato un CTP di propria fiducia, così come precisato in narrativa, CTP il quale ha avuto la possibilità di partecipare a tutte le operazioni: si veda in particolare per il CTP della p.a. la nota 10 febbraio 2011, con la quale l'ufficiale medico nominato in prima istanza viene sostituito da altro, perché impegnato in missione all'estero, e il fax depositato il 22 febbraio 2011, con l'avviso delle operazioni del CTU al CTP nominato. E' poi pleonastico ricordare che anche dell'udienza 23 novembre 2011, alla quale il CTU è stato sentito a chiarimenti, l'amministrazione intimata ha avuto regolare avviso. A fronte di ciò, l'amministrazione non ha ritenuto di svolgere rilievo alcuno né per mezzo del CTP, che nulla ha chiesto di verbalizzare all'esito del contraddittorio col CTU né è comparso alla udienza alla quale il CTU è stato sentito a chiarimenti; l'amministrazione stessa ha invece ritenuto di svolgere le proprie tesi a posteriori, con la memoria 2 febbraio 2012, di cui subito.

22. Al di là di tali rilievi di ordine procedurale, che pure deponevano fin da subito nel senso della sostanziale affidabilità dell'operato del CTU, il Collegio ha ritenuto comunque di considerare nel modo più attento i rilievi svolti dall'amministrazione convenuta nella memoria di cui si è detto, nella quale essa, asseritamente sentita la "Direzione di sanità del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri", in persona di uno o più funzionari non nominati, denuncia presunte "numerose criticità e lacune" nell'operato del CTU.

23. Tali criticità e lacune sarebbero consistite, a quanto è dato comprendere, anzitutto nel non avere considerato "elementi riconducibili al quadro post traumatico", nell'avere valorizzato una TAC, esame radiologico che non sarebbe quello dedicato ed elettivo per la patologia in esame e nell'avere determinato il danno "in assenza di bareme francesismo per "prontuario" di riferimento" (p. 1 memoria cit. sesto rigo dal basso).

24. Le critiche in questione, peraltro, sono state svolte in modo non contestualizzato, in mancanza di quel riferimento agli specifici dati clinici del paziente che il CTP avrebbe potuto operare nel corso dell'indagine, e per tale motivo il Collegio non ha potuto fare altro che disporre una nuova CTU, affidandola a professionista dotato di specifica preparazione medico legale, appartenente ad Istituto universitario di riconosciuto rilievo nazionale ed Europeo e proveniente da sede non ricompresa nella circoscrizione di questo TAR, allo scopo di assicurare la massima garanzia di imparzialità.

25. Le conclusioni di tale ulteriore CTU, va allora subito detto, sono risultate sostanzialmente in linea con quelle della CTU Capra per quanto riguarda l'accertamento della patologia in atto e delle relative cause, e quindi ne costituiscono una sostanziale conferma di validità sul punto; se ne discostano, come si vedrà, in punto liquidazione del danno, sulla quale verranno svolte specifiche considerazioni.

26. In secondo luogo, vanno ricordati, per mera completezza, i noti principi giurisprudenziali sul valore della CTU nel processo. In termini generali, come ha chiarito anche la Cassazione, la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce "in linea di massima mezzo di prova, bensì strumento di valutazione della prova acquisita"; d'altra parte, è però vero che essa adempie allo scopo fondamentale di offrire al giudice una conoscenza di cui egli è privo; pertanto, essa può "assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolve nell'accertamento di fatti rilevabili unicamente con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche": così per tutte Cass. sez. lav. 19 gennaio 2011 n.1149, con ampi richiami, dalla quale le citazioni. Ne consegue che il giudice, il quale intenda aderire alla conclusione della CTU stessa non è tenuto a motivare tale adesione in modo discorsivo: così sempre la sentenza citata, con risultato che si ritiene di condividere, dato che a pensarla diversamente si pretenderebbe, a ben vedere, che il giudice possa padroneggiare proprio quella specifica scienza di cui, in quanto ha disposto la consulenza, difetta per ipotesi.

27. D'altro canto, la parte la quale non condivida l'esito della consulenza stessa ha l'onere di formulare in merito - così come afferma sempre Cass. 1149/2011- "specifiche censure" sul contenuto di essa, e nel caso particolare di consulenza medico legale, deve evidenziare nell'operato dell'esperto "vizi logici" ovvero "contraddizioni" ovvero anche "un errore diagnostico consistente nel contrasto... con lo stato delle conoscenze della scienza medica unanimemente condivise dalla comunità scientifica" ovvero ancora una "omissione degli accertamenti strumentali e diagnostici dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi"; non può invece limitarsi ad una critica consistente nella "pura e semplice contrapposizione di una difforme valutazione dell'entità e dell'incidenza del dato patologico": così in motivazione Cass. sez. lav. 25 ottobre 2010 n.21805.

28. Applicando i principi appena esposti al caso concreto, ritiene allora il Collegio di condividere appieno le conclusioni delle CTU svolte, nei termini di cui appresso. Si deve in primo luogo ritenere accertato che A.V., a causa del trauma subito, ebbe a soffrire una lesione, inquadrabile "nella compromissione delle funzioni cognitive" (cfr. elaborato CTU dott. Capra, ultima pagina, dalla decima riga dal basso), compromissione che è ulteriormente descritta nella CTU dott. Sollennità in termini di difficoltà a concentrarsi, a mantenere l'attenzione, ad apprendere e a ricordare (elaborato dott. Sollennità, pp. 3-6). Il CTU dott. Capra qualifica poi in termini sintetici tale patologia come "danno aggiuntivo rispetto alla patologia preesistente", ovvero alla sclerosi multipla in essere, e il CTU dott. Sollennità (cfr. sempre suo elaborato, pp.17 e ss.) è concorde con tale conclusione, che però motiva in termini più analitici e discorsivi, dei quali si deve dare in sintesi conto.

29. Il dott. Sollennità svolge quindi una disamina delle caratteristiche salienti della sclerosi multipla, di cui il ricorrente già soffriva, e ricorda che si tratta di una patologia del sistema nervoso centrale caratterizzata da distruzione della mielina, ovvero della sostanza che avvolge le fibre nervose, la quale si manifesta con "alterata funzionalità del midollo spinale, del tronco encefalico, del nervo ottico e del cervello" (elaborato dott. Sollennità, p. 18 prime righe). Tale patologia assume poi un andamento discontinuo, con "episodi di brusco aggravamento, separati da una remissione più o meno completa", e nelle forme non benigne comporta un progressivo aumento della disabilità del soggetto colpito, il quale va incontro, fra l'altro, a paralisi progressiva e disturbi dei sensi e dell'equilibrio (elaborato citato, p. 18).

30. Ciò posto, il dott. Sollennità prende in esame (elaborato, p. 23 e ss.) i possibili esiti di un trauma cranico come quello subito dal ricorrente, che a sua volta può dare, come è noto anche a chi sia digiuno di scienza medica, i citati "deficit cognitivi e comportamentali" (ibidem, p.24), e pone poi, per successivamente risolverlo, l'interrogativo fondamentale prospettato dal caso in esame: premesso che i disturbi da cui è affetto A.V. possono in astratto essere stati cagionati sia dal trauma cranico subito, sia da un episodio di aggravamento della sclerosi multipla dalla quale egli è affetto, si chiede quale ne sia stata la concreta causa.

31. Il dott. Sollennità ha ritenuto di condividere il sintetico apprezzamento del dott. Capra, che come si è detto riconduce i disturbi in questione ad esiti del trauma cranico, con un ragionamento che appare condivisibile in quanto scevro da contraddizioni e basato su dati di fatto non contestati. Egli infatti evidenzia da un lato, che l'area interessata dal trauma è proprio quella che, qualora danneggiata, produce gli esiti patologici lamentati da A.V., e dall'altro lato che egli, sino a quel momento, non aveva subito deficit cognitivi, avendo la sclerosi da cui è affetto prodotto lesioni di tipo diverso (elaborato dott. Sollennità, pp. 26 e 27).

32. A tali considerazioni di ordine prettamente medico legale sul nesso di causalità fra l'infortunio occorso e il danno subito, ne va ad abbondanza aggiunta un'altra che assume valore per lo meno indiziario. Vi è infatti anche l'apprezzamento dell'amministrazione, la quale, come da verbale 21 ottobre 1999 della Commissione medica di Brescia, richiesta dal Comando C.C. di appartenenza, ebbe a giudicare come dipendente da causa di servizio il trauma cranico occorso (doc. 6 amministrazione prodotto il 30 dicembre 2008, copia verbale citato). Se è vero che il giudizio della Commissione è limitato, dichiaratamente, al solo trauma cranico, non si deve infatti sottacere che nel verbale relativo si parla degli "esiti" del trauma in questione e si dà ampio conto della situazione nEurologica del paziente.

33. L'amministrazione, infine, non ha dato prova alcuna della dipendenza dell'infortunio da causa ad essa non imputabile, nel senso di avere adottato tutte le misure antinfortunistiche idonee nel caso concreto; di contro, è stata raggiunta la prova positiva che carenze nelle misure antinfortunistiche vi furono.

34. In linea di fatto, come si è già ricordato, l'amministrazione non ha contestato la complessiva ricostruzione dell'infortunio svolta dal ricorrente, e in particolare non ha contestato che alla data di esso non fosse ancora stato nominato il rappresentante della sicurezza e che l'infortunio fosse avvenuto utilizzando una scala in dotazione (memoria 27 febbraio 2010 p. 3). Sul primo punto, peraltro, ha controdedotto che la mancata nomina del rappresentante per un verso sarebbe ad essa non imputabile, perché da compiere su designazione dell'organo rappresentativo dei militari, e per altro verso sarebbe irrilevante ai fini del caso concreto. Sul secondo punto, ha affermato che non vi sarebbe certezza sulla scala utilizzata, dato che all'epoca al Comando di assegnazione di V. erano assegnate "due scale a libro, una metallica a sette gradini... l'altra professionale a dieci gradini", entrambe ad oggi rottamate e smaltite a discarica per "motivi igienici" (memoria 27 febbraio 2010, p. 4 dalla terza riga e ivi nota 1).

35. Entrambe le suddette difese, peraltro, risultano non condivisibili. I punti suddetti, per ragioni logiche le quali subito risulteranno chiare, vanno esaminati in ordine inverso.

36. Per quanto riguarda l'uso delle scale, esiste in proposito una disciplina specifica, che all'epoca dei fatti era quella di cui agli artt. 18 e ss. del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e 8 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, sicuramente applicabili anche all'amministrazione militare ai sensi dell'art. 1 comma 2 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626: non risulta infatti che un uso potenzialmente pericoloso delle scale a mano faccia parte delle "particolari esigenze connesse al servizio espletato" che ai sensi della norma in questione limitano l'applicazione delle norme antinfortunistiche ai Corpi militari ed equiparati.

37. In questa sede, rileva in particolare l'art. 19 del D.P.R. n. 547 del 1995, secondo il quale "quando l'uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere trattenute al piede da altra persona"; rileva ancora l'art. 8 del D.P.R. n. 164 del 1956, per cui "durante l'uso le scale devono essere sistemate e vincolate. All'uopo, secondo i casi, devono essere adoperati chiodi, graffe in ferro, listelli, tasselli, legature, saettoni, in modo che siano evitati sbandamenti, slittamenti, rovesciamenti, oscillazioni od inflessioni accentuate (comma 4). Quando non sia attuabile l'adozione delle misure di cui al precedente comma, le scale devono essere trattenute al piede da altra persona (comma 5)." Si tratta di norme le quali ripetono, a ben vedere, insegnamenti della comune diligenza, e quindi non rileva che le ultime di esse siano contenute in un decreto che, a stretto rigore, disciplina la prevenzione degli infortuni nelle costruzioni: esse appaiono infatti applicabili a qualunque fattispecie in cui si debba usare una scala.

38. E' poi rilevante anche il disposto dell'art. 113 comma 7 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che, pur non in vigore all'epoca dei fatti, appare a sua volta recepire regole di buona prassi e comune diligenza da osservare in ogni caso: esso dispone che "Il datore di lavoro assicura che le scale a pioli siano utilizzate in modo da consentire ai lavoratori di disporre in qualsiasi momento di un appoggio e di una presa sicuri. In particolare il trasporto a mano di pesi su una scala a pioli non deve precludere una presa sicura."

39. Per quanto poi riguarda la nomina del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, la deduzione della p.a. secondo la quale essa non corrisponderebbe ad un obbligo datoriale è imprecisa. In termini generali, tale figura, prevista dagli artt. 18 e 19 del citato D.Lgs. n. 626 del 1994, deve certamente essere un soggetto designato dai lavoratori stessi; le norme però, ad attenta lettura, non consentono, ad avviso del Collegio al datore di lavoro di attendere passivamente tale designazione, nei termini di cui appresso.

40. La normativa attualmente vigente, quella di cui agli artt. 47 e ss. del D.Lgs. n. 81 del 2008, incentiva in qualche modo la nomina di tale figura, prevedendo in sintesi estrema che, ove essa non avvenga nell'unità produttiva, le relative funzioni siano esercitate da un rappresentante territoriale, di livello superiore, e che al contempo l'impresa sia tenuta a versare un contributo economico, ad evidente titolo di disincentivo. Tale normativa, assente nell'originario impianto del D.Lgs. n. 626 del 1994, appare però esplicazione di quanto imposto dal più generale principio di buona fede per cui se una data nomina alla quale si ha interesse è prevista dalla legge come necessaria occorre, ancorché non si sia obbligati in proprio a procedervi, creare le condizioni perché essa avvenga. Siffatto obbligo, proprio del datore di lavoro privato appare poi estensibile anche all'amministrazione militare, poiché da un lato anch'essa è tenuta a rispettare il principio di buona amministrazione, equivalente per quanto qui interessa all'obbligo di buona fede, dall'altro a ciò non risultano ostare le citate "particolari esigenze connesse al servizio espletato".

41. Alla luce di quanto appena esposto, si deve concludere che nell'infortunio occorso ad A.V. la condotta dell'amministrazione va qualificata come negligente. Da un lato, risulta che le scale poste a sua disposizione fossero, come si è detto al par. 34, del tipo "a libro", quindi sprovviste secondo logica di dispositivi di trattenuta, e che A.V. al momento dell'infortunio le stava utilizzando da solo. Si veda sul punto quanto detto al par. 17, nel senso ch'egli venne soccorso da un collega, il quale lo trovò esanime a terra: se ne deve dedurre ch'egli al momento della caduta era solo.

42. Pertanto, è stata violata la norma antinfortunistica specifica di cui si è detto, ovvero è stata usata una scala a rischio di scivolamento, perché sprovvista di ganci di trattenuta, senza che altra persona la trattenesse a mano, e ciò anche a prescindere dalla ragionevole possibilità che il ricorrente, al momento della caduta, stesse trasportando a mano i pesi costituiti dai faldoni. Tale conclusione appare avvalorata dalla condotta posteriore della stessa p.a., che come si è detto al par. 34 successivamente al fatto eliminò le scale per "motivi igienici", nei quali è del tutto plausibile leggere una non conformità alle norme antinfortunistiche.

43. In tale contesto, l'amministrazione stessa, come risulta dai doc. ti 22- 24 prodotti il 30 dicembre 2008, provvide a nominare i rappresentanti per la sicurezza solo nel maggio 1998, ovvero a più di tre anni di distanza dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 (pubblicato in G.U. il 12 novembre 1994 ed entrato in vigore, secondo la regola generale il quindicesimo giorno successivo): si tratta ad avviso del Collegio di una violazione del sopra ricostruito obbligo di diligente promozione, considerando sia il tempo passato sia il modesto onere economico connesso a tale adempimento. In proposito, non vi è poi dubbio che la nomina tempestiva del rappresentante, incaricato come per legge di segnalare le carenze nella prevenzione infortuni, avrebbe potuto evitare il fatto, ad esempio promuovendo una più tempestiva eliminazione delle scale in questione.

44. Tutto ciò posto, va per completezza considerato un altro profilo, sul quale le parti si sono particolarmente soffermate, ovvero se possa essere considerata di per sé negligente la condotta dell'amministrazione che nella specie adibì A.V. ai descritti compiti di archiviazione. In proposito entrambi i CTU si sono espressi in senso affermativo. Dice il dott. Capra nel citato suo elaborato: "ritengo che il paziente non fosse idoneo a svolgere senza rischi personali attività quali l'uso di scale: il danno del sistema cerebellare i.e. conseguente alla sclerosi multipla già in atto espone l'individuo alla instabilità sia nella stazione eretta che nella deambulazione - in tale contesto il livello di rischio per la mansione assegnata è da considerarsi molto elevato (90% di probabilità che l'evento possa verificarsi)" (elaborato CTU Capra, p. 3 ultimo periodo). Dal canto suo il dott. Sollennità è concorde: "stante la presenza di situazioni di pericolo incombenti anche su soggetti sani (vedi l'evenienza di movimentare carichi in altezza per archiviare faldoni), un malato di sclerosi multipla che aveva già presentato plurimi episodi... di disturbi dell'equilibrio, atassia e deambulazione, avrebbe dovuto essere dispensato dalle suddette mansioni, in osservanza di una attenta valutazione dei rischi e della tutela del lavoratore affetto da patologie" (elaborato CTU Sollennità, p.35 dal tredicesimo rigo).

45. L'amministrazione sul punto ha replicato che "tutti i militari vengono impiegati sulla base di un giudizio di idoneità al servizio militare incondizionato e d'istituto" (memoria 2 febbraio 2012, p. 2 settimo rigo), e quindi sostenendo, secondo logica, che A.V., pur affetto dalla patologia di cui si è detto, si sarebbe potuto legittimamente adibire a qualsivoglia mansione, restando su di lui l'obbligo di attivarsi presso l'amministrazione "qualora l'insorgenza o l'aggravamento di una infermità possa incidere sulla possibilità di esercitare in sicurezza per sé stesso e per gli altri la propria attività di istituto" (ibidem, p. 2 dal tredicesimo rigo). L'argomento, peraltro, ad avviso del Collegio è contraddetto dalla pregressa condotta dell'amministrazione medesima.

46. Come risulta infatti dalla lettera 8 febbraio 1995 (doc. 1 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia di essa), l'amministrazione militare infatti prese atto della "sospetta malattia demielinizzante" che aveva colpito il ricorrente e del fatto che "lo stesso proprio a causa delle proprie condizioni di salute ha rappresentato... difficoltà fisiche nel prestare servizio presso l'attuale reparto", e di conseguenza ne propose il trasferimento al Nucleo informativo di Cremona, nei termini spiegati.

47. L'amministrazione stessa, quindi, non disconobbe le condizioni particolari del ricorrente e si attivò per trovargli una sede di servizio che lo potesse agevolare, né risulta aver fatto ciò a titolo grazioso, ovvero per gentile e non vincolante concessione: essendosi assunta tale obbligo, doveva secondo logica adempierlo in modo compiuto, verificando che le mansioni in concreto assegnate fossero effettivamente adatte alle condizioni di A.V., il che come si è detto invece non si verificò.

48. Si deve a questo punto procedere a liquidare il danno domandato dal ricorrente, il quale (cfr. ricorso p. 13 in fine) lo qualifica "danno alla persona", esplicato come "danno biologico, morale, psichico, esistenziale, alla vita di relazione, alla dignità personale": in tali termini, si tratta allora all'evidenza di una domanda di risarcimento del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., per la quale valgono i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in particolare nelle sentenze sez. III 31 maggio 2003 n.8827 e 8828 e S.U. 11 novembre 2008 n.26972.

49. Secondo le prime due sentenze citate, come è del tutto noto, danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059, interpretato in modo conforme a Costituzione, è ogni ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica; interessi inerenti alla persona sono poi in primo luogo quelli previsti dalle norme costituzionali, alle quali va riferito il rinvio della norma codicistica, anche se la loro risarcibilità non sia prevista in modo espresso: in tal senso, è sicuramente danno non patrimoniale risarcibile il danno alla salute, tutelata dall'art. 32 Cost.

50. Secondo le S.U. poi, il danno alla salute -che come tale va provato e va inteso come "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito"- è categoria unitaria, che va risarcita in modo complessivo, senza distinguere fra diversi aspetti di essa, come le tradizionali categorie del "danno biologico" e del "danno morale", che hanno semplice valore descrittivo.

51. Nel caso di specie, va poi ricordato che per costante giurisprudenza l'equo indennizzo da causa di servizio... per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è completamente distinto dal risarcimento del danno, atteso che, mentre quest'ultimo, quanto ad oggetto e finalità, tende a ristabilire l'equilibrio nella situazione del soggetto turbato dall'evento lesivo e a compensare per equivalente la perduta integrità fisio-psichica", là dove "l'equo indennizzo per il concetto di equità e discrezionalità ad esso inerente, per la sua astrazione dalla responsabilità civile, colposa o dolosa, di parte datoriale, e per la sua non coincidenza con l'entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, è assimilabile a una delle molteplici indennità che l'Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio". Ne consegue che "equo indennizzo e risarcimento del danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, sono tra loro compatibili e cumulabili, senza che l'importo liquidato a titolo di equo indennizzo possa essere detratto da quanto spettante a titolo di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro": così per tutte C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2011 n.365, da cui le citazioni.

52. Tanto premesso, la liquidazione del danno alla salute si compie con il noto sistema della tabella dei punti percentuali di invalidità, ad ognuno dei quali, in relazione con l'età del soggetto, corrisponde una data somma di danaro; si fa in particolare riferimento alla cd. tabella di Milano, elaborata per iniziativa di quel Tribunale, che, secondo quanto affermato dalla argomentata decisione Cass. sez. III 7 giugno 2011 n.12408, costituisce comunque criterio valido su scala nazionale, in quanto esplicazione dell'equità di cui all'art. 2056 c.c.

53. Applicando i suddetti criteri al caso concreto, bisogna ora farsi carico della divergente conclusione, come si è detto l'unica di rilievo, raggiunta sul punto dagli esperti nominati. Il dott. Capra, facendo riferimento alla citata tabella di Milano, ha infatti determinato l'invalidità dipendente dal disturbo cognitivo di cui si è detto nel 40%, come danno derivante dalla sola caduta (v. verbale udienza 23 novembre 2011, ove le risposte di tale CTU ai chiarimenti). Il dott. Sollennità invece determina la stessa invalidità in un valore inferiore, del 30%, a titolo di invalidità permanente (elaborato, p. 30 nono rigo), cui aggiunge l'invalidità temporanea di cui appresso, non contestata come tale. Il Collegio ritiene di far propria tale ultima valutazione, per i motivi di cui subito.

54. In primo luogo, il dott. Sollennità, che come si è detto è in possesso di specifica preparazione medico legale, non riscontrabile nel primo perito, si è riferito a prontuari di riferimento ben precisi, puntualmente citati (v. le note a p.30 dell'elaborato), riguardo ai quali stavolta l'amministrazione intimata non ha ritenuto di avanzare critica alcuna.

55. In secondo luogo, lo stesso CTU si è fatto specifico carico di individuare il metodo migliore per calcolare il danno, escludendo che si possa nella specie applicare il criterio del cd. danno differenziale, che avrebbe determinato una liquidazione maggiore. In proposito, è sufficiente ricordare che tale criterio, tuttora di per sé controverso e non universalmente accettato in letteratura, si applica sul presupposto di più lesioni succedutesi nel tempo a carico del "medesimo distretto organo funzionale", mentre nel caso presente sono interessate "due funzioni nEurologiche distinte", ovvero "l'area motoria", colpita dalla sclerosi, e quella "cognitiva", interessata dal trauma (elaborato dott. Sollennità, pp. 31 e 32).

56. Infine, il dott. Sollennità ha operato una delimitazione più precisa del danno subito, escludendo che ne possa far parte la sindrome depressiva riscontrata nel ricorrente dopo il trauma, sindrome che da un lato è spiegabile come reazione alla grave malattia già in atto, dall'altro non è stata oggetto di specifici approfondimenti (ibidem, p. 29 in fine).

57. Tutto ciò posto, la citata tabella di Milano, per una invalidità del 30% in un soggetto il quale alla data dell'infortunio aveva 27 anni (come non è contestato, A.V. è nato il (...) e l'infortunio, come detto, è del 28 aprile 1998), conducono a liquidare un danno pari ad Euro 150.590 (centocinquantamilacinquecentonovanta/00), che il Collegio ritiene di riconoscere senza incrementi per le cd. personalizzazioni, ovvero per specifici e ulteriori pregiudizi sofferti dall'interessato, che per essere valutati vanno per lo meno allegati in modo preciso, così come ritenuto dalla citata TAR Puglia Bari n.190/2011. A tale importo va aggiunto quello relativo alla invalidità temporanea, per 20 giorni di invalidità totale e 120 giorni di invalidità al 75%, sempre così come accertato dal CTU dott. Sollennità (elaborato, p. 34 penultimo par.), che risulta pari a ulteriori Euro 12.430 (dodicimilaquattrocentotrenta/00), raggiungendosi il totale complessivo di cui in dispositivo.

58. Alla somma liquidata andranno infine aggiunti gli interessi legali, dalla data della presente sentenza al pagamento, così come per legge (per tutte, Cass. civ. sez. II 18 febbraio 2010 n.3931).

59. Le spese processuali, comprensive delle CTU, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto, quanto alle CTU, delle note spese presentate dai periti dott. Capra e dott. Sollennità e ritenendo congrua, per evidenti ragioni equitative, quella di minore importo presentata dal dott. Sollennità, munito come si è detto di specifica qualificazione professionale in medicina legale.

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto:

a) condanna l'intimato Ministero della Difesa a corrispondere ad A.V. a titolo di risarcimento per il danno a questi occorso per l'infortunio del 28 aprile 1998 la somma di Euro 163.020 (centosessantatremilaventi/00), oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;

b) condanna altresì l'intimato Ministero della Difesa a rifondere ad A.V. le spese del giudizio, che liquida in Euro 7.000 (settemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti, e di CTU, che liquida in Euro 984 (novecentoottantaquattro/00) per ciascuno dei due consulenti, e così per complessivi Euro 1968 (millenovecentosessantotto/00), sempre oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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notizie per i colleghi meccanici delle officine dei Comandi

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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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CASSAZIONE: RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO in materia di officina.
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Con la sentenza del 13 giugno 2014 n. 25222 la Cassazione Penale, Sez. 4, ha ritenuto responsabile il datore di lavoro di una ditta di autotrasporti, per colpa generica e specifica, della morte del meccanico dipendente rimasto schiacciato dal TIR, a causa della omessa individuazione nel DVR di tutti i rischi derivanti dall’attività della ditta e l’omessa formazione dei dipendenti in particolare relazione alle loro specifiche mansioni. La Corte di Cassazione, inoltre, “in punto di ricostruzione del nesso di causalità tra la colposa omissione ascritta all'imputato e l'infortunio mortale, ha posto in evidenza la correlazione tra quest'ultimo e l'assenza di dispositivi di sicurezza, l'omessa valutazione del rischio e l'omessa formazione del lavoratore in relazione alla specifica attività di registrazione del sistema frenante dei veicoli aziendali, nel pieno rispetto della più moderna concezione della materia prevenzionistica, attuativa delle Direttive Europee che attribuisce al datore di lavoro non solo l'obbligo di attuare le singole norme cautelari ma anche quello di dotarsi di una rete gestionale i cui requisiti sono rigidamente predeterminati dal legislatore attraverso l'imposizione, tra gli altri, dell'obbligo di elaborazione del documento di valutazione dei rischi e degli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori”
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Fatto


1. In data 10/12/2012 la Corte d'Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno il 3/07/2009, che aveva condannato M.G. alla pena di mesi 8 di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, sulla base dell'imputazione del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2, perchè, nella qualità di presidente e legale rappresentante della Trasporti Portuali Salernitani e della CAPS - Cooperativa autotrasportatori portuali salernitani, per colpa generica e specifica aveva cagionato il (Omissis) la morte del meccanico dipendente L. R., schiacciato dal TIR sotto il quale stava lavorando per la regolazione dei freni. In particolare, all'imputato era stato addebitato di aver omesso di far adottare, come previsto dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 373, le necessarie misure e cautele supplementari in ordine ai lavori di manutenzione di macchine e mezzi e di provvedere, come previsto dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 22, alla formazione dei lavoratori, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni.

2. La Corte di Appello, richiamata la pronuncia di primo grado, condividendone le argomentazioni, ha sottolineato come la dinamica del sinistro fosse stata ricostruita sulla base della deposizione dell'agente di polizia giudiziaria intervenuto prontamente sul posto, che aveva visionato le immagini dell'infortunio, ripreso in diretta da telecamere poste nei locali dell'azienda. Ed il giudice di primo grado aveva ritenuto provato che L.R. fosse rimasto schiacciato dalla ruota posteriore destra di un'autoarticolato sotto il quale si era posizionato per effettuare un lavoro di registrazione dei freni posteriori, lavoro sollecitatogli dall'autista del mezzo, che si era posto alla guida del camion azionandone la messa in moto e determinando uno spostamento del pesante veicolo.

3. Ricorre per cassazione M.G., con atto sottoscritto dal difensore, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurazione del reato di omicidio colposo, travisamento della prova in relazione alla sussistenza di nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, nonchè vizio di motivazione sul medesimo punto per contraddittorietà rispetto alle risultanze processuali. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero affermato, in contrasto con quanto accertato dal consulente tecnico della difesa, che l'imputato avrebbe omesso di predisporre una buca all'interno della quale si sarebbe potuto posizionare il meccanico, attribuendo maggiore valenza alle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro sulla base di congetture ed illazioni, non avendo l'ispettore escluso la presenza delle buche e avendo i testimoni escussi in dibattimento attestato la presenza delle fosse d'ispezione, provandone la conoscenza e l'utilizzo da parte di tutti i lavoratori.
La decisione di non utilizzare la buca predisposta per quel genere di operazioni, si assume, sarebbe stata assunta autonomamente dal lavoratore, il quale neppure avrebbe utilizzato i cunei ferma ruote, certamente disponibili presso l'officina, con un comportamento anomalo e disattento determinante la causa primaria ed unica dell'evento. I testimoni escussi nell'istruttoria dibattimentale avrebbero asserito la corretta osservanza della normativa di sicurezza in tema di infortuni nonchè lo svolgimento di corsi di aggiornamento, ai quali partecipavano tutti i dipendenti. A ciò deve aggiungersi, secondo il ricorrente, che il M. aveva delegato tutte le incombenze relative alla sicurezza del lavoro alla persona tenuta a svolgere le mansioni collegate al servizio di prevenzione degli infortuni sul lavoro, mentre la Corte avrebbe sminuito il ragionamento difensivo senza adeguata motivazione, limitandosi ad affermare l'insussistenza di deleghe scritte, pur in presenza di tutta la documentazione sulla sicurezza del lavoro;

b) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 69 e 133 c.p., in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con regime di prevalenza sulla contestata aggravante nonchè vizio di motivazione sul punto. Secondo il ricorrente, la pena irrogata sarebbe eccessiva rispetto al comportamento posto in essere dall'imputato, irrispettosa dei parametri stabiliti dall'art. 133 c.p., e incomprensibilmente determinata sulla base di un mero giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante, pur essendo l'imputato incensurato ed essendo minimo il livello di colpa).

c) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata revoca delle statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni, nonchè vizio di motivazione sul punto. Nonostante i parenti della vittima fossero stati risarciti dall'assicurazione dell'imputato, dandosi atto nell'atto di transazione e quietanza sottoscritto dalle parti civili della rinuncia ad ogni pretesa e azione in qualsiasi sede, i giudici di merito avrebbero completamente trascurato tale circostanza, sostenendo che il risarcimento per i danni derivanti da circolazione stradale non ristorasse completamente i familiari della vittima.


Diritto


1. Le censure concernenti la ricostruzione della dinamica dell'infortunio ed il giudizio circa il nesso di causalità tra condotta omissiva ascritta all'imputato ed evento mortale sono infondate.

1.1. Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha richiamato il rilievo effettuato dall'ispettore del lavoro, secondo il quale l'attività di registrazione dei freni non era affatto contemplata nel documento di valutazione dei rischi, risultando conseguentemente inesistente qualunque attività di formazione dei dipendenti con riferimento a tale fase del processo lavorativo; ha sottolineato come, per eseguire l'operazione di registrazione dei freni, non essendo prevista l'installazione del freno di stazionamento, fosse necessaria la presenza di una buca di ispezione, non rilevata all'interno dell'officina nell'immediatezza del fatto, condividendo le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado in merito al fatto che fosse più attendibile la versione dell'ispettore del lavoro che quella del consulente tecnico della difesa, che aveva attestato la presenza di una buca di ispezione eseguendo i suoi rilievi circa un anno dopo l'incidente. Sulla base di tali acquisizioni, la Corte territoriale ha ritenuto provato che il lavoratore non fosse stato adeguatamente informato sui rischi relativi alla particolare attività e che, al momento del sinistro, non esistessero i dispositivi di sicurezza imposti dalla normativa per quel tipo di operazione, attribuendo rilievo dirimente al fatto che, dai documenti di valutazione dei rischi, già nel 2003, ossia due anni prima dell'infortunio, emergessero carenze strutturali dell'officina e la necessità di un'immediata revisione, da tanto desumendo l'inattendibilità della ricostruzione del sinistro effettuata dal consulente tecnico della difesa, così come delle dichiarazioni dei testi già in tal senso valutate dal giudice di primo grado. Nella sentenza impugnata si è, dunque, ritenuto che le carenze rilevate fossero state causa dell'infortunio e che non fosse emerso alcun comportamento anomalo del lavoratore, dovendosi collegare l'evento a deficit strutturali dell'azienda del M., non improntata al rispetto dei principi di sicurezza dei lavoratori, al punto da adibire lavoratori non specializzati a mansioni per le quali non avevano la specifica competenza e formazione, come nel caso del L., assunto come saldatore e adibito a compiti di meccanico specializzato.

1.2. Le argomentazioni svolte dal giudice di merito non prendono spunto, come asserito nel ricorso, da un travisamento delle risultanze istruttorie. Occorre, infatti, rimarcare come le circostanze sviluppate nel ricorso fossero state già prospettate alla Corte di Appello che, nel pervenire alla decisione qui impugnata, ne ha opportunamente tenuto conto, nuovamente esaminando e confrontando le affermazioni dell'ispettore del lavoro e quelle del consulente tecnico della difesa ed escludendo, tuttavia, con puntuale motivazione, che potesse confermarsi la tesi propugnata dalla difesa dell'imputato, secondo la quale nel luogo in cui si era verificato il sinistro era presente una buca d'ispezione all'interno della quale il meccanico si sarebbe potuto e dovuto posizionare. Quanto alle deposizioni testimoniali richiamate a sostegno della tesi difensiva, è sufficiente sottolineare che la Corte di Appello ha condiviso la dettagliata e motivata ricostruzione della dinamica dell'infortunio presente nella sentenza di primo grado (pag. 3), in cui si è anche fornita adeguata giustificazione delle ragioni per le quali dovesse privilegiarsi la valenza probatoria delle deposizioni degli agenti di polizia giudiziaria (pagg. 4 - 5) e si è ampiamente argomentato in merito alle diverse risultanze istruttorie concernenti lo stato dei luoghi e l'utilizzo di una "officina meccanica" non conforme alla normativa in materia (pagg. 7 - 12), nonchè in relazione alle ragioni per le quali talune deposizioni testimoniali siano state ritenute smentite dalla documentazione acquisita agli atti.

1.3. Ed è appena il caso di ricordare che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, non è consentito dedurre in sede di ricorso per cassazione il travisamento del fatto, data la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, mentre il diverso vizio del travisamento della prova ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, non potendosi configurare tale vizio qualora nel ricorso si tenda esclusivamente, come nel caso in esame, ad una diversa prospettazione dei fatti sulla base di un'alternativa valutazione delle emergenze istruttorie più favorevole al ricorrente, investendo questa Corte di un compito che non le è proprio, ossia quello di reinterpretare gli elementi di prova già valutati dal giudice di merito.

1.4. In punto di ricostruzione del nesso di causalità tra la colposa omissione ascritta all'imputato e l'infortunio mortale, dunque, la sentenza ha correttamente posto in evidenza la correlazione tra quest'ultimo e l'assenza di dispositivi di sicurezza, l'omessa valutazione del rischio e l'omessa formazione del lavoratore in relazione alla specifica attività di registrazione del sistema frenante dei veicoli aziendali, nel pieno rispetto della più moderna concezione della materia prevenzionistica, attuativa delle Direttive Europee (89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE,97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE), che attribuisce al datore di lavoro non solo l'obbligo di attuare le singole norme cautelari ma anche quello di dotarsi di una rete gestionale i cui requisiti sono rigidamente predeterminati dal legislatore attraverso l'imposizione, tra gli altri, dell'obbligo di elaborazione del documento di valutazione dei rischi (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, ora D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 28 e 29) e degli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori (D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22, ora D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 36 e 37).

2. La censura che attiene al vizio di motivazione in merito alla tesi difensiva concernente la delega dei compiti in materia di sicurezza sul lavoro, è infondata.

2.1. Esclusa la prova di deleghe scritte in materia di sicurezza, la Corte ha sottolineato come fosse emerso che sul luogo non esistessero altre figure oltre al datore di lavoro adibite a dare disposizioni "nel piazzale", implicitamente negando rilievo ai documenti attestanti la nomina del responsabile del servizio di prevenzione ed il progetto di sicurezza da quest'ultimo predisposto.

2.2. La pronuncia risulta, sul punto, congruamente motivata e rispettosa di alcuni fondamentali principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare:

a) il principio secondo il quale la ripartizione interna delle specifiche competenze nell'ambito di un'impresa non esonera il titolare dall'osservanza degli obblighi derivanti dalla normativa prevenzionistica, a meno che tale esonero non risulti da delega espressa, inequivoca, certa e purchè l'evento lesivo non sia determinato da difetti strutturali aziendali ovvero non derivi causalmente dalla violazione di compiti non delegabili (Sez. 4^, n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257168; Sez. 4^, n. 39158 del 18/01/2013, Zugno e altri, Rv.256878);

b) il principio secondo il quale la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non corrisponde a quella del delegato per la sicurezza (Sez. 4^, n. 37861 del 10/07/2009, Pucciarini, Rv. 245276), in linea peraltro con la funzione consultiva prevista dal testo normativo, che individua i compiti, e non gli obblighi, del servizio di prevenzione e sicurezza;

c) il principio secondo il quale le scelte generali di politica aziendale, dalle quali possono derivare carenze strutturali, e l'organizzazione della sicurezza, di cui l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi costituisce l'architrave, non sono delegabili (Sez. 4^, n. 4968 del 6/12/2013, dep. 31/01/2014, Vascellari, Rv. 258617; Sez. 4^, n. 12794 del 6/02/2007, P.G. in proc. Chirafisi, Rv. 236279).

3. Le censure concernenti il giudizio di equivalenza delle circostanze del reato e, in generale, la misura della pena sono manifestamente infondate.

3.1. La sentenza impugnata ha fornito congrua motivazione sul punto, sottolineando l'applicazione dì una sanzione determinata in misura prossima al minimo edittale nonostante si trattasse di un fatto grave e si fosse in presenza di macroscopiche violazioni in materia antinfortunistica.

3.2. A ciò deve aggiungersi che la valutazione degli elementi sui quali si fonda la concessione delle attenuanti generiche, ovvero il giudizio di comparazione delle circostanze, nonchè in generale la determinazione della pena, rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., è censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi, avendo il giudice fornito adeguata e logica motivazione con riferimento alla congruità della pena irrogata in relazione alle modalità del fatto.

4. In merito alla censura concernente l'integrale riparazione del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo, la Corte ha sottolineato come la morte del congiunto delle parti civili dipendesse, non solo dall'errata manovra dell'autista del camion ma, anche, dalla colposa omissione delle cautele antinfortunistiche da parte del datore di lavoro, la cui percentuale di concorso nella causazione dell'evento non risultava essere stata oggetto di valutazione nè di calcolo nell'accordo transattivo intervenuto tra le parti civili e l'assicuratore del veicolo.

4.1. Trattasi di argomentazione logicamente ineccepibile e pienamente rispettosa del principio secondo il quale il vincolo di solidarietà passiva tra assicuratore ed assicurato in materia di responsabilità civile da circolazione dei veicoli, e la conseguente efficacia ai sensi dell'art. 1304 c.c., a vantaggio dell'assicurato dell'atto transattivo stipulato tra il danneggiato e l'assicuratore, deve intendersi limitata all'importo del cosiddetto massimale (Sez. 3^, civile, n. 23057 del 30/10/2009, Rv. 610108; Sez. 3^, civile, n. 10115 del 2/08/2000, Rv. 539046).

4.2. Da tale principio consegue che il giudice penale legittimamente può confermare le statuizioni civili concernenti la condanna generica del datore di lavoro, coobbligato con il conducente e l'assicuratore di un veicolo per il danno cagionato con distinte condotte dalla violazione di norme relative alla circolazione stradale e di norme relative alla sicurezza del lavoro, posto che la transazione intervenuta tra la costituita parte civile e l'assicuratore del mezzo, ancorchè comprensiva della clausola di rinuncia ad ogni pretesa nei confronti di ogni altro obbligato o coobbligato, non esclude il diritto del danneggiato di ottenere dai coobbligati ad altro titolo il risarcimento del danno nella misura eccedente i limita del massimale, ove eventualmente accertato dal giudice tenuto alla liquidazione.

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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quanti colleghi sono a conoscenza della c.d.: buca d’ispezione per le officine?
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Sentenza su astensione dal lavoro a causa della temperatura. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 2015, n. 6631

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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90

Art. 725

Doveri propri dei superiori

1. Il superiore deve tenere per norma del proprio operato che il grado e l'autorità gli sono conferiti per impiegarli ed esercitarli unicamente al servizio e a vantaggio delle Forze armate e per far osservare dai dipendenti le leggi, i regolamenti, gli ordini militari e le disposizioni di servizio. Per primo egli deve dare l'esempio del rispetto della disciplina e della rigorosa osservanza dei regolamenti: dovere tanto più imperioso quanto più è elevato il suo grado.

2. OMISSIS

a) OMISSIS

b) evitare, di massima, di richiamare in pubblico il militare che ha mancato. Per riprenderlo, sempre se possibile, deve chiamarlo in disparte e usare, nel richiamo, forma breve ed energica, riferendosi
unicamente al fatto del momento;

c) OMISSIS

d) OMISSIS

e) curare le condizioni di vita e di benessere del personale;

f) assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l'integrità fisica dei dipendenti;

g, h, i,) OMISSIS
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81

Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
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Titolo VII

ATTREZZATURE MUNITE DI VIDEOTERMINALI

Capo I

Disposizioni generali

Art. 172.

Campo di applicazione

1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative che comportano l'uso di attrezzature munite di videoterminali.

2. Le norme del presente titolo non si applicano ai lavoratori addetti:

a) ai posti di guida di veicoli o macchine;

b) ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto;

c) ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all'utilizzazione da parte del pubblico;

d) alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all'uso diretto di tale attrezzatura;

e) alle macchine di videoscrittura senza schermo separato.
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Art. 173.

Definizioni

1. Ai fini del presente decreto legislativo si intende per:

a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;

b) posto di lavoro: l'insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l'interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l'ambiente di lavoro immediatamente circostante;

c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un'attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all'articolo 175.
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Capo II

Obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti

Art. 174.

Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro, all'atto della valutazione del rischio di cui all'articolo 28, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo:

a) ai rischi per la vista e per gli occhi;

b) ai problemi legati alla postura ed all'affaticamento fisico o mentale;

c) alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.

2. Il datore di lavoro adotta le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni di cui al comma 1, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati.

3. Il datore di lavoro organizza e predispone i posti di lavoro di cui all'articolo 173, in conformità ai requisiti minimi di cui all'allegato XXXIV.
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Art. 175.

Svolgimento quotidiano del lavoro

1. Il lavoratore, ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività.

2. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.

3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l'interruzione di cui al comma 1, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale.

4. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità.

5. E' comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all'inizio ed al termine dell'orario di lavoro.

6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.

7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell'orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all'interno di accordi che prevedono la riduzione dell'orario complessivo di lavoro.
-----------------------------------------------------------

Art. 176.

Sorveglianza sanitaria

1. I lavoratori sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41, con particolare riferimento:

a) ai rischi per la vista e per gli occhi;

b) ai rischi per l'apparato muscolo-scheletrico.

2. Sulla base delle risultanze degli accertamenti di cui al comma 1 i lavoratori vengono classificati ai sensi dell'articolo 41, comma 6.

3. Salvi i casi particolari che richiedono una frequenza diversa stabilita dal medico competente, la periodicità delle visite di controllo e' biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; quinquennale negli altri casi.

4. Per i casi di inidoneità temporanea il medico competente stabilisce il termine per la successiva visita di idoneità.

5. Il lavoratore è sottoposto a visita di controllo per i rischi di cui al comma 1 a sua richiesta, secondo le modalità previste all'articolo 41, comma 2, lettera c).

6. Il datore di lavoro fornisce a sue spese ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell'attività svolta, quando l'esito delle visite di cui ai commi 1, 3 e 4 ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione.
----------------------------------------------------------------------------

Art. 177.

Informazione e formazione

1. In ottemperanza a quanto previsto in via generale dall'articolo 18, comma 1, lettera l), il datore di lavoro:

a) fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:

1) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi dello stesso di cui all'articolo 174;

2) le modalità di svolgimento dell'attività;

3) la protezione degli occhi e della vista;
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Capo III

Sanzioni
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Art. 178.

(( (Sanzioni a carico del datore di lavoro e del dirigente)

1. Il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti:

a) con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 fino a 6.400 euro per la violazione degli articoli 174, comma 2 e 3, 175, commi 1 e 3, e 176, commi 1, 3, 5;

b) con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 750 a 4.000 euro per la violazione degli articoli 176, comma 6, e 177.

2. La violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi alle attrezzature munite di videoterminale di cui all'allegato XXXIV, punti 1, 2 e 3 è considerata una unica violazione ed è punita con la pena prevista dal comma 1, lettera a). L'organo di vigilanza è tenuto a precisare in ogni caso, in sede di contestazione, i diversi precetti violati.))

b) assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1, lettera a).
----------------------------------------------------------------------------------------------

Art. 179.

((ARTICOLO ABROGATO DAL D.LGS. 3 AGOSTO 2009, N. 106))
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Titolo VIII

AGENTI FISICI
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Capo I

Disposizioni generali
( dal 180 al 186)
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Capo II

Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro
( dal 187 al 198)
------------------------------------------------------------------------------------------
Capo III

Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a vibrazioni
( dal 199 al 205)
------------------------------------------------------------------------------------------
Capo IV

Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici
(dal 206 al 212)
--------------------------------------------------------------------------------------------
Capo V

Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali
(dal 213 al 218)
----------------------------------------------------------------------------------------------------

Capo VI

Sanzioni
(dal 219 al 220)
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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1) - nell'eseguire le operazioni di revisione del gruppo leveraggio cambio di un automezzo aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva ad estrarre, riportando una cecità assoluta all'occhio sinistro e uno stress cronico moderato post-traumatico, con conseguente inabilità permanente del 37%.
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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16/03/2016, n. 5233
--------------------------------------------------------------------------

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. TORRICE Amelia - Consigliere -
Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere -
Dott. LEO Giuseppina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2499/2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante 21 tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro
P.G. C.F. (OMISSIS), già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCA MARANDO, e da ultimo in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato MIGLIACCIO BENINO, giusta delega in atti;

- controricorrente -
avverso la sentenza n. 6697/2011 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/01/2012 R.G.N. 9158/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l'Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega orale Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9.11.06 il Tribunale di Napoli condannava Poste Italiane S.p.A. a pagare a P.G., a titolo risarcitorio dei danni derivatigli da un infortunio sul lavoro occorso il 9.1.98, la somma di Euro 105.000,00 per danno esistenziale e biologico e quella di Euro 23.000,00 per danno morale, il tutto oltre interessi.

Con sentenza depositata il 10.1.12 la Corte d'appello di Napoli riduceva a complessivi euro 105.000,00 il nell'eseguire le operazioni di revisione del gruppo leveraggio cambio di un automezzo aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva ad estrarre, riportando una cecità assoluta all'occhio sinistro e uno stress cronico moderato post-traumatico, con conseguente inabilità permanente del 37%.
risarcimento dovuto al lavoratore, confermando nel resto le statuizioni di prime cure.

Accertavano i giudici di merito che il P.,
Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a due motivi.

P.G. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. , per avere la sentenza impugnata ravvisato la responsabilità della società pur essendosi accertato che l'infortunio si era verificato sol perchè il lavoratore - operaio tecnico non aveva inforcato gli occhiali protettivi regolarmente fornitigli dall'azienda: obietta in proposito la ricorrente di aver adottato tutte le dovute cautele e cioè di aver formato professionalmente il lavoratore e di averlo informato circa i rischi del lavoro svolto, munendolo di occhiali protettivi e di lampade mobili, cosi rispettando sotto ogni aspetto il debito di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. ; nè - conclude il motivo - era necessaria una particolare vigilanza del lavoratore durante l'operazione svolta (lo svitamento d'un bullone), di estrema semplicità.

Analoga doglianza viene sostanzialmente fatta valere con il secondo mezzo, sotto forma di denuncia di vizio di motivazione circa l'asserito superamento della soglia di sicurezza, nonchè circa l'obbligo di concreta vigilanza dell'operazione espletata dal dipendente infortunato e dell'uso, da parte sua, degli occhiali protettivi.

2- I due motivi - da esaminarsi congiuntamente perchè connessi - sono infondati.

I giudici di merito hanno ravvisato a carico della società una violazione dell'art. 2087 c.c. , perchè l'ambiente di lavoro era scarsamente illuminato e perchè l'azienda non aveva vigilato affinchè i dipendenti utilizzassero gli occhiali protettivi e i sistemi di illuminazione mobili messi a loro disposizione.

La società ricorrente contesta l'asserita necessità di vigilanza, in considerazione del livello di esperienza dell'infortunato e della semplicità dell'operazione che stava eseguendo.

Osserva questa Corte che è pur vero che in tema di responsabilità del datore di lavoro circa il mancato uso di mezzi personali di sicurezza la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c), (vigente all'epoca dell'infortunio per cui è causa) - che obbliga datori di lavoro, dirigenti e preposti a "disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione" - postula un accertamento che abbia riguardo alle peculiari caratteristiche dell'impresa, ai tipi di lavorazione ivi effettuati, all'entità del personale e ai diversi gradi di rischio (cfr., per tutte, Cass. n. 10066/94).

La sorveglianza dovuta da datori di lavoro, dirigenti e preposti non deve essere ininterrotta e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua ed efficace, vigilanza generica, intesa ad assicurarsi, nei limiti dell'umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.

Tale obbligo di vigilanza subisce un'ulteriore attenuazione, in base ad un principio di ragionevole affidamento nelle accertate qualità del dipendente, in ipotesi di provetta specializzazione dell'operaio munito di approfondita conoscenza d'una determinata lavorazione cui sia addetto da lungo tempo (v., ancora, Cass. n. 10066/94 cit.).

Nondimeno tale mera attenuazione - che, giova ribadire, è configurabile solo in ipotesi di lavoratore esperto, già adeguatamente formato professionalmente e informato dei rischi connessi alle mansioni assegnategli - non si identifica con la totale omissione di controllo, ravvisata nel caso di specie dai giudici di merito, circa l'uso di lampade mobili e occhiali protettivi, controllo ancor più necessario viste le condizioni di insufficiente illuminazione dell'ambiente di lavoro.

Nè esime da tale obbligo la semplicità dell'operazione lavorativa, atteso che il grado maggiore o minore di complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità diretta con il rischio protetto, ben potendosi dare lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre anche semplici, ma con elevato livello di pericolosità.

Infine, quanto al superamento della soglia di rischio, si consideri che il fatto (l'avvenuto infortunio) vince l'ipotesi ventilata dalla ricorrente (l'inesistenza del superamento d'una soglia di rischio), di guisa che la sentenza impugnata non doveva motivare ulteriormente a riguardo.

Ove, poi, il senso della doglianza fosse quello per cui, vista la natura dell'operazione affidata al lavoratore, sarebbe stato da escludere a monte, in virtù di una c.d. prognosi postuma, qualsivoglia obbligo di uso di mezzi personali di protezione e - quindi - di vigilanza datoriale sul loro concreto impiego, è appena il caso di notare che si tratterebbe di congettura nuova e contraddittoria rispetto a tutta l'impostazione del ricorso, che insiste sull'avvenuta messa a disposizione degli occhiali protettivi, così riconoscendo la pericolosità della manovra eseguita dall'infortunato.

3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e si distraggono ex art. 93 c.p.c. , in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. Benino Migliaccio, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2016
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DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81
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Art. 41 Sorveglianza sanitaria

1. La sorveglianza sanitaria e' effettuata dal medico competente:
--------------
a) nei casi previsti dalla normativa vigente, ((...)) dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6;

b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.

2. La sorveglianza sanitaria comprende:
---------------
a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore e' destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;

b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;

c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;

d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica;

e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente.

((e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva;

e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l'idoneità alla mansione.
--------------------

2-bis. Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non e' incompatibile con le disposizioni dell'articolo 39, comma 3.))
------------------

3. Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate:
-----------------
a) ((LETTERA SOPPRESSA DAL D. LGS. 3 AGOSTO 2009, N. 106));

b) per accertare stati di gravidanza;

c) negli altri casi vietati dalla normativa vigente.
------------------

4. Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento, le visite di cui al comma 2, (( lettere a), b), d), e-bis) e e-ter) )) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti.
-----------------

((4-bis. Entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza Stato-Regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono rivisitate le condizioni e le modalità per l'accertamento della tossicodipendenza e della alcol dipendenza.))
----------------

5. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all'articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell'Allegato 3A e predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall'articolo 53.
---------------

6. Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

a) idoneità;

b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;

c) inidoneità temporanea;

d) inidoneità permanente.
------------------------

((6-bis. Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro.))
-----------------------

7. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità.
----------------------

8. ((COMMA ABROGATO DAL D. LGS. 3 AGOSTO 2009, N. 106)).

-------------------
9. Avverso i giudizi del medico competente ((, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, )) e' ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
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Ricorso perso quale cds per uso del computer (sicuramente trattatasi di patologia oculare/visiva)
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1) - è sempre stato impiegato nelle mansioni di categoria con utilizzo del PC in maniera pressoché continuativa.

IL TAR LAZIO precisa:

2) - Peraltro il ricorrente non ha allegato fatti o episodi specifici che possano, anche astrattamente, ritenersi idonei a spiegare efficacia concausale nell’insorgenza della patologia.

3) - Al di là di mere affermazioni, non è presente documentazione da cui risultino situazioni lavorative individuali di esposizione a particolari rischi,
- ) - valutabili come eccedenti la normale soglia di usura connaturata alla tipologia di servizio cui sono addetti tutti coloro che svolgono un lavoro sedentario dinanzi ad una postazione PC,
- ) - tanto da rendere ragionevole il ritenere, per esclusione, che i descritti processi siano endogeni, specie tenuto conto che, secondo la letteratura scientifica di comune esperienza, -OMISSIS-, sull’insorgenza della quale i fattori esterni e ambientali non hanno alcun influsso.

4) - Ciò posto, il Collegio osserva che, per sconfessare la valutazione medica resa dal Comitato di Verifica, è necessario addurre fatti e accadimenti specifici, occorsi in servizio, tali da rendere credibile un possibile nesso eziologico tra i fatti suddetti e la patologia.

5) - Anche il lamentato difetto di istruttoria, espresso in forma dubitativa per cui “non risultano essere stati prodotti neppure i rapporti informativi
- ) - in base ai quali il C.V.C.S. avrebbe espresso il suo parere né è dato conoscere il contenuto della documentazione sanitaria ed amministrativa esaminata in tale sede” (così a pag. 10 della memoria conclusiva),
- ) - non è ravvisabile proprio in ragione del tipo di patologia da cui è affetto il ricorrente, rispetto alla quale i rapporti informativi sarebbero del tutto neutrali.

N.B.: Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201806378,- Public 2018-06-07 -

Pubblicato il 07/06/2018


N. 06378/2018 REG. PROV. COLL.
N. 10651/2008 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10651 del 2008, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Bonaiuti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via R. Grazioli Lante, 16;

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento
del decreto n. 1043/N del 27 giugno 2008, del Ministero della Difesa -Direzione Generale delle Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, III Reparto - 8^ Divisione - 1^ Sezione, notificato in data 25 agosto 2008, per la parte negativa dell'equo indennizzo in ordine alla seguente infermità: -OMISSIS-";

di ogni altro provvedimento antecedente e/o conseguente, direttamente e/o indirettamente connesso e/o presupposto da quello impugnato e che sia lesivo dei diritti e/o interessi del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice la dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza pubblica straordinaria del giorno 1 giugno 2018, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato il decreto in data 27 giugno 2008, del Ministero della Difesa - Direzione Generale delle Pensioni Militari del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati e della Leva, III Reparto - 8^ Divisione - 1^ Sezione, con il quale gli è stato negato l'equo indennizzo per l’infermità: -OMISSIS-".

Espone quanto segue.

Il ricorrente prestava servizio quale "sergente furiere" e, dal 1980 fino all'atto del collocamento in quiescenza (21 settembre 1999), è sempre stato impiegato nelle mansioni di categoria con utilizzo del PC in maniera pressoché continuativa.

Sottoposto a visita presso il Marispedal C.M.O. di Taranto, con parere n. 469 del 21 giugno 1980, veniva riconosciuto affetto da "-OMISSIS-", infermità ritenuta non dipendente da causa di servizio.

In data 15 dicembre 1998 il ricorrente presentava istanza tesa ad ottenere l'aggravamento della predetta infermità e, all'esito degli accertamenti diagnostici eseguiti presso il Marispedal di La Spezia, veniva giudicato affetto da "-OMISSIS-" e rimandato alla C.M.O. di La Spezia per il parere medico-legale definitivo.

La C.M.O. di La Spezia, con verbale E-3756 del 12 giugno 1999, riteneva dipendente da causa di servizio l'evoluzione peggiorativa della patologia diagnosticata e l'infermità ascrivibile alla quinta categoria con indennizzabilità al limite massimo; riteneva inoltre il ricorrente permanentemente non idoneo al servizio.

Di conseguenza egli veniva posto in aspettativa per infermità "dipendente da c.s." dal 1° agosto 1998 all’11 giugno 1999 e, con D.M. del 21 settembre 1999, veniva esonerato dal servizio.

In data 26 settembre 1999 il ricorrente presentava domanda di concessione dell'equo indennizzo per l'infermità diagnosticata ma il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, con parere n. 20227/2001 reso il 23 gennaio 2004, giudicava l'infermità in discorso non dipendente da "fatti" di servizio in quanto "-OMISSIS- sull'insorgenza e decorso della quale il servizio non può aver influito in alcun modo, neppure sotto il profilo efficiente e determinante".

Seguiva l'adozione del decreto n. 1043/N del 27 giugno 2008 con cui veniva negata la dipendenza da causa di servizio dell'infermità -OMISSIS-".

Ritenendo illegittimo il suddetto provvedimento, il ricorrente lo ha impugnato deducendo, con due motivi, difetto di motivazione, violazione degli artt. 64 e 70 D.P.R. 1092/73 e 14 L. 9/1980, della L. 308/81 e del D.Lgs. 626/94, contraddittorietà, eccesso di potere per travisamento, violazione dei principi di imparzialità e di buona andamento della P.A..

In sintesi il ricorrente lamenta:

- che le conclusioni cui è giunto il C.V.C.S nel parere n. 20227/2001, che l'amministrazione ha recepito nel decreto impugnato, si pongono in aperto contrasto con il giudizio espresso dalla C.M.O. di La Spezia il 12 giugno 1999;

- che, nel caso di specie, andrebbe applicato l'art. 1 della L. n. 280/1991 che, modificando l'art. 1 L. 308/81, fa riferimento alla mera "occasione" del servizio;

- che la dipendenza da causa di servizio della infermità diagnosticata nel ricorrente di -OMISSIS-" sarebbe confermata da tutto il contesto, ditalchè, sotto il profilo etiopatogenetico, sarebbero ravvisabili, nel servizio militare prestato, i caratteristici fattori determinanti la patologia de qua;

- che, infatti, il ricorrente, in epoca antecedente al servizio militare, non risulterebbe aver sofferto di simile affezione, manifestatasi solo durante lo svolgimento del servizio quale "sergente furiere", con uso continuativo dei PC;

- che, pertanto, sarebbe erronea l’affermazione del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio secondo cui il ricorrente possa considerarsi affetto da una "-OMISSIS-" senza tener conto che egli ha svolto per 19 anni attività che richiedeva un uso pressoché costante e continuativo dei computer;

- che, infatti, non sarebbe dimostrato che, anche senza la vita militare, la patologia sarebbe ugualmente insorta;

- che, infine, l'amministrazione si sarebbe limitata a recepire pedissequamente le conclusioni del Comitato, senza offrire alcuna motivazione sul punto, in violazione dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost..

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al gravame, del quale ha dedotto l’infondatezza.

All’udienza pubblica straordinaria del 1 giugno 2018, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il ricorso non può essere accolto.

Come riferito dallo stesso ricorrente, il comitato di Verifica per le cause di Servizio ha escluso la dipendenza da causa di servizio della patologia in questione in quanto ritenuta una "-OMISSIS- sull'insorgenza e decorso della quale il servizio non può aver influito in alcun modo, neppure sotto il profilo efficiente e determinante".

2.1. Premesso che gli accertamenti svolti dalla Commissione medica ospedaliera ed i pareri resi dal Comitato di Verifica rientrano sempre nella discrezionalità tecnica di detti organi consultivi, le cui valutazioni conclusive sono assunte sulla base di cognizioni della scienza medica e specialistica sulle quali non è ammesso un sindacato di merito del giudice amministrativo, ma soltanto quello di legittimità nelle ipotesi di evidenti e macroscopici vizi logici, desumibili dalla motivazione degli atti impugnati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2683), il Collegio rileva che, nel caso di specie, il giudizio dato dal Comitato di verifica non appare illogico o irragionevole.

Ciò posto, quanto alla censura per cui il Comitato di Verifica si sarebbe discostato dalle conclusioni cui era pervenuta la Commissione Medica Ospedaliera senza fornire adeguata motivazione, deve rammentarsi che gli artt. 6 e 10, del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 hanno dettato un nuovo criterio di riparto delle competenze fra Commissione medico ospedaliera e Comitato di verifica per le cause di servizio, pertanto il Comitato di verifica, unico deputato alla valutazione di dipendenza di una infermità da causa di servizio, non è tenuto a spiegare perché eventualmente si discosti dalle conclusioni della Commissione medico ospedaliera, essendo ormai la competenza della Commissione circoscritta all'accertamento dell'eventuale presenza delle patologie denunciate (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I Quater, 22 maggio 2017, n. 6052).

Peraltro il ricorrente non ha allegato fatti o episodi specifici che possano, anche astrattamente, ritenersi idonei a spiegare efficacia concausale nell’insorgenza della patologia.

Al di là di mere affermazioni, non è presente documentazione da cui risultino situazioni lavorative individuali di esposizione a particolari rischi, valutabili come eccedenti la normale soglia di usura connaturata alla tipologia di servizio cui sono addetti tutti coloro che svolgono un lavoro sedentario dinanzi ad una postazione PC, tanto da rendere ragionevole il ritenere, per esclusione, che i descritti processi siano endogeni, specie tenuto conto che, secondo la letteratura scientifica di comune esperienza, -OMISSIS-, sull’insorgenza della quale i fattori esterni e ambientali non hanno alcun influsso.

Ciò posto, il Collegio osserva che, per sconfessare la valutazione medica resa dal Comitato di Verifica, è necessario addurre fatti e accadimenti specifici, occorsi in servizio, tali da rendere credibile un possibile nesso eziologico tra i fatti suddetti e la patologia.

E’ lo stesso ricorrente, peraltro, ad ascrivere detta patologia non a eventi specifici bensì all’intera attività svolta nell’arco della sua prestazione lavorativa, attività caratterizzantesi per mansioni sedentarie.

2.2. Anche il lamentato difetto di istruttoria, espresso in forma dubitativa per cui “non risultano essere stati prodotti neppure i rapporti informativi in base ai quali il C.V.C.S. avrebbe espresso il suo parere né è dato conoscere il contenuto della documentazione sanitaria ed amministrativa esaminata in tale sede” (così a pag. 10 della memoria conclusiva), non è ravvisabile proprio in ragione del tipo di patologia da cui è affetto il ricorrente, rispetto alla quale i rapporti informativi sarebbero del tutto neutrali.

Infatti il Comitato di Verifica non ha affatto posto in dubbio che il ricorrente abbia prestato servizio sedendo dinanzi al computer, ma ha valutato la patologia riscontratagli dal punto di vista squisitamente medico-scientifico, rendendo un giudizio che risulta immune da censure e che non è minimamente confutato dalle allegazioni mediche di parte in atti prodotte che si limitano a certificare la presenza della patologia, senza nulla aggiungere in punto di eziopatogenesi.

2.3. Quanto alla censura per cui l’amministrazione, con l’impugnato provvedimento, si sarebbe limitata a recepire il parere del Comitato senza verificarne porne in dubbio le conclusioni, il Collegio ricorda che, in linea di principio, un obbligo specifico di motivazione in capo all'Amministrazione si profila solo per il caso in cui essa, per gli elementi di cui dispone e che non sono stati vagliati dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, ritenga di non aderire al suo parere, che è obbligatorio ma non vincolante (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I Quater, 28 aprile 2017, n. 4987).

Osserva il Collegio che le affermazioni del ricorrente circa l’addebitabilità dell’insorgenza della patologia al servizio svolto non trovano alcun riscontro negli atti di causa e che quella descritta in ricorso rappresenta la normalità dell’attività lavorativa del ricorrente, come di chiunque altro sieda dinanzi ad un PC per esigenze lavorative, in relazione alla quale, come già esposto in precedenza, egli non ha documentato alcuna circostanza o episodio specifici, tali da far ritenere che possano aver inciso sull’insorgenza della patologia riscontratagli.

Correttamente, dunque, l’amministrazione ha recepito il parere del Comitato di Verifica non avendo riscontrato la presenza di elementi significativi non vagliati (cfr. in termini: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I Bis, 19 aprile 2018, n. 4391).

2.4. Né, d’altra parte, è predicabile la tesi per cui la suddetta patologia sarebbe comunque suscettibile di equo indennizzo per il solo fatto di essersi manifestata durante l’attività lavorativa, la quale, dunque, rappresenterebbe le mera “occasione”, come tale sufficiente a far insorgere il diritto del ricorrente.

La norma invocata dal ricorrente, art. 1 della L. 3 giugno 1981, n. 308 (ora abrogata dall'art. 2268, comma 1, D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 - Codice dell’Ordinamento Militare) che si riferisce ai militari che “subiscano per causa di servizio o durante il periodo di servizio un evento dannoso che ne provochi la morte o che comporti una menomazione dell'integrità fisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A o alla tabella B, annesse alla L. 18 marzo 1968, n. 313, e successive modificazioni”, deve essere letta in combinato disposto con il successivo art. 4, a tenore del quale “Ai soggetti di cui al precedente articolo 1 si applicano le norme sull'equo indennizzo, di cui alla legge 23 dicembre 1970, n. 1094, e successive integrazioni e modificazioni”.

In altri termini la norma invocata dal ricorrente identifica i “destinatari delle norme” di cui alla legge stessa, ma nulla modifica in ordine al necessario nesso di causalità che deve sussistere tra il servizio e la patologia riscontrata, atteso l’esplicito rinvio che la legge fa alle norme sull'equo indennizzo, di cui alla legge 23 dicembre 1970, n. 1094 (Estensione dell'equo indennizzo al personale militare): nesso di causalità, nel caso di specie, del tutto indimostrato.

Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

3. Le spese del giudizio possono compensarsi in considerazione della consistenza dell’attività difensiva svolta dalle parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.Lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità del ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Tomassetti, Presidente
Laura Marzano, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Laura Marzano Alessandro Tomassetti





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Ricorso respinto

- ) - collega tale patologia ai vapori ed ai fumi di agenti irritanti all’interno dell’officina in cui non venivano rispettati, come emerge dalla relazione del Col. OMISSIS, i previsi canoni di sicurezza.

- ) - Infatti, in conseguenza di tali riscontrate carenze delle misure di sicurezza del luogo di lavoro, il ricorrente veniva sottoposto ad esami ematochimici e tossicologici il cui esito determinava l’autorità sanitaria a disporre l’allontanamento del predetto dalla peculiare attività di elettromeccanico-torrettista.

-------------------

1) - il Ministero della difesa ha respinto la sua istanza tesa al conseguimento dell’equo indennizzo, a causa del mancato riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità accertate, nonchè del parere espresso dal Comitato di Verifica per le causa di servizio.

2) - La commissione medica ascriveva tale patologia alla 5° categoria della tabella A) e dichiarava il militare non idoneo in modo permanente al servizio militare.

3) - Il Comitato di Verifica per le pensioni privilegiate nel parere sopra riportato, mutuato poi dall’amministrazione resistente, ha rappresentato che la patologia infartuale occorsa al militare è dovuta ad un processo arteriosclerotico o da fenomeni funzionali favoriti da fattori di rischio individuale, congeniti e legati ad abitudini di vita, così che il servizio prestato non ha svolto alcuna relazione causale: anche la riconosciuta -OMISSIS- non è stata riconosciuta come dipendente dal servizio in quanto dovuta ad alterazioni genetiche.

4) - Quanto alla accertata -OMISSIS-, la parte ricorrente collega tale patologia ai vapori ed ai fumi di agenti irritanti all’interno dell’officina in cui non venivano rispettati, come emerge dalla relazione del Col. OMISSIS, i previsi canoni di sicurezza.

5) - Infatti, in conseguenza di tali riscontrate carenze delle misure di sicurezza del luogo di lavoro, il ricorrente veniva sottoposto ad esami ematochimici e tossicologici il cui esito determinava l’autorità sanitaria a disporre l’allontanamento del predetto dalla peculiare attività di elettromeccanico-torrettista.

6) - la relazione causale che lega l’-OMISSIS- a tali fattori inquinanti non è stata dalla parte ricorrente dimostrata, limitandosi il predetto a riportare uno studio sulle conseguenze del piombo nel corpo umano, in uno con una relazione di parte.

7) - In altre parole la parte non ha dimostrato, come era suo preciso onere, che la disamina dei fattori denunciati, puntualmente e compiutamente valutati dalla Comitato di verifica per le cause di servizio, come dallo stesso formalmente attestato, costituivano, comunque, un fattore causale nella etiologia della -OMISSIS- in questione.
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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201806670, - Public 2018-06-14 -

Pubblicato il 14/06/2018

N. 06670/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00832/2008 REG .RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 832 del 2008, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Donato Pietro Mare, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via C. Mirabello, 14;

contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Ministero dell'Economia e delle Finanze non costituito in giudizio;

per l'annullamento
del decreto n. 1512/N del 21 agosto 2007, con il quale il Ministero della difesa ha respinto la sua istanza tesa al conseguimento dell’equo indennizzo, a causa del mancato riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità accertate, nonchè del parere espresso dal Comitato di Verifica per le causa di servizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 4 maggio 2018 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, già maresciallo capo dell’Esercito italiano, è stato sottoposto dalla CMO di Bari ad accertamenti sanitari che hanno riscontrato nel predetto una -OMISSIS- e -OMISSIS-.

La commissione medica ascriveva tale patologia alla 5° categoria della tabella A) e dichiarava il militare non idoneo in modo permanente al servizio militare.

Successivamente, il Comitato di Verifica per le pensioni privilegiate, chiamato ad esprimere il parere circa la sussistenza della relazione causale tra la patologia ed il servizio, si esprimeva negativamente (parere n. 40934 del 17 marzo 2006).

L’amministrazione resistente recepiva tale parere e rigettava la istanza avanzata dal ricorrente.

Avverso tale determinazione ha reagito il ricorrente con il ricorso giurisdizionale affidato ad un unico ed articolato motivo di gravame di eccesso di potere sotto vari profili.

Alla udienza di smaltimento del giorno 4 maggio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Osserva il Collegio.

Il Comitato di Verifica per le pensioni privilegiate nel parere sopra riportato, mutuato poi dall’amministrazione resistente, ha rappresentato che la patologia infartuale occorsa al militare è dovuta ad un processo arteriosclerotico o da fenomeni funzionali favoriti da fattori di rischio individuale, congeniti e legati ad abitudini di vita, così che il servizio prestato non ha svolto alcuna relazione causale: anche la riconosciuta -OMISSIS- non è stata riconosciuta come dipendente dal servizio in quanto dovuta ad alterazioni genetiche.

A fronte di tale motivazione la parte ricorrente obiettava la parzialità del parere perché non avrebbe tenuto conto la natura effettiva del servizio prestato dal ricorrente.

Tale opinione, invero, contrasta con la attestazione dell’organo consultivo, il quale ha dichiarato di : “ aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente, tutti i precedenti di servizio risultati dagli atti…”.

Conseguentemente non è sufficiente, per svilire la peculiare valenza probatoria della riportata dichiarazione, una mera opinione contraria, essendo necessario, di contro, attivare la procedura di cui agli artt. 221 e ss del cpc, che, nel caso di specie non risulta avviata.

Quanto alla accertata -OMISSIS-, la parte ricorrente collega tale patologia ai vapori ed ai fumi di agenti irritanti all’interno dell’officina in cui non venivano rispettati, come emerge dalla relazione del Col. OMISSIS, i previsi canoni di sicurezza.

Infatti, in conseguenza di tali riscontrate carenze delle misure di sicurezza del luogo di lavoro, il ricorrente veniva sottoposto ad esami ematochimici e tossicologici il cui esito determinava l’autorità sanitaria a disporre l’allontanamento del predetto dalla peculiare attività di elettromeccanico-torrettista.

Ora, la relazione causale che lega l’-OMISSIS- a tali fattori inquinanti non è stata dalla parte ricorrente dimostrata, limitandosi il predetto a riportare uno studio sulle conseguenze del piombo nel corpo umano, in uno con una relazione di parte.

In altre parole la parte non ha dimostrato, come era suo preciso onere, che la disamina dei fattori denunciati, puntualmente e compiutamente valutati dalla Comitato di verifica per le cause di servizio, come dallo stesso formalmente attestato, costituivano, comunque, un fattore causale nella etiologia della -OMISSIS- in questione.

Per tali ragioni il ricorso deve essere respinto.

Spese compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, D.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Francesca Petrucciani, Consigliere
Roberto Vitanza, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Vitanza Carmine Volpe





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Ad un collega CC. che aveva fatto domanda per causa di servizio per problemi visivi e oculari, il Comitato di Verifica, nel rigettarla, ha citato la seguente sentenza della Corte di Cassazione che tra l'altro allego,
relativamente alle pause durante l'uso del videoterminale (meglio noto come computer)

------------------

Sez. LAVORO CIVILE, Sentenza n. 2679 del 11/02/2015 (IT: CASS. 2015/2679 CIV), udienza del 29/10/2014, Presidente MACIOCE LUIGI Relatore NOBILE VITTORIO


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Re: Sicurezza e salute sul posto di lavoro.

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Accolto il primo motivo di appello e il ricorso prosegue

Argomento non definitivo del CdS pubblicato in data 30/10/2018

- ) malattia contratta nell’espletamento delle mansioni di tipografo, in servizio presso la Guardia di Finanza

risarcimento del danno ex art. 2087 c.c.

1) - il Comitato di verifica per le cause di servizio (CVCS) aveva riconosciuto (con il parere del maggio 2002) la riconducibilità causale della malattia all’attività espletata; - che l’equo indennizzo gli era stato accordato nel giugno dello stesso anno.

Il CdS precisa (qui sotto alcuni brani)

2) - Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, quando la domanda risarcitoria risulti espressamente fondata sulla lamentata inosservanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti il rapporto di impiego la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, con conseguente prescrizione decennale. Si può, invece, ipotizzare una configurazione aquiliana dell'actio risarcitoria solo se il lavoratore abbia chiesto in modo generico il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale (sul punto, cfr. - ex plurimis, Sez. Un. n. 99 del 2001, n. 2004 n. 1248; Cass civ. n. 17547 del 2010; n. 21397 del 2014; Cons. Stato sez. VI, n. 4738 del 2008)

3) - Nella fattispecie, risulta inequivocabile dalla causa petendi e dal petitum, l’esercizio dell’azione contrattuale ex art. 2087 c.c., avendo il ricorrente dedotto la imputabilità dell’evento dannoso alla condotta della amministrazione. Ha, infatti, precisato di aver lavorato in locali al piano terra, per un periodo anche in locale al piano interrato, dove erano presenti le macchine per la stampa e di aver usato sostanze tossiche e nocive con segnalazione di pericolo per ingestione, inalazione e contatto.
Ha imputato al datore di lavoro: l’omissione di controlli periodici relativi alle condizioni di igiene e sicurezza nei locali adibiti a tipografia; la mancata predisposizione di impianti di areazione e ventilazione nei locali preposti; la mancata fornitura di dispositivi di protezione; la mancata effettuazione di visite sanitarie preventive periodiche.

4) - Indiscussa è, nella giurisprudenza, l’applicabilità dell’art. 2087 c.c., con conseguente prescrizione decennale, al rapporto di lavoro pubblico e al personale militare (ex multis Cons. Stato sez. IV, n. 3104 del 2018, sez. VI n. 1173 del 2011, sez. IV n. 2272, del 2010).

5) - Costituisce pure principio consolidato nella giurisprudenza, in riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione, quello secondo cui la prescrizione decennale decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (ex multis Cass. civ. n. 17629 del 2010; n. 19022 del 2007) oltre che causalmente riconducibile ad un terzo (nella diversa ipotesi di responsabilità extracontrattuale, cfr. a partire da Sez. Un. n. 576 del 2008, ex multis Cass. civ. n. 18521 del 2018, n. 4996 del 2017).

6) - Nella fattispecie, il 1997 segna il momento della emersione della malattia ed anche il momento di consapevolezza della sua riconducibilità causale di questa al servizio espletato, quando il ricorrente ha proposto domanda per il riconoscimento della dipendenza dalla causa di servizio.

7) - Conseguentemente il diritto vantato non era prescritto, essendo stato il ricorso dinanzi al Tar introdotto nel 2003.


P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
a) accoglie il primo motivo di appello;
b) dispone istruttoria ex art. 66 c.p.a. come da motivazione;
c) manda al Presidente della Sezione per la fissazione dell’udienza di merito, all’esito del deposito della relazione da parte del verificatore;
d) rinvia al definitivo ogni altra statuizione in rito in merito e sulle spese.
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