Sentenza rigetto causa di servizio

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Giaguaro
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Sentenza rigetto causa di servizio

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Certo che basare un ricorso sul fatto che si faccia il pendolare e nemmeno sapere cosa spetta di riposo dopo i turni---mi spiace per il collega, ma ci sta pure la condanna alle spese.
La riporto integralmente, un pò lunga ma può essere di spunto/aiuto a tanti altri onde evitare ricorsi impossibili.

Sentenza
n. 365/2023
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA

Il giudice delle pensioni in composizione monocratica (consigliere Claudio Guerrini) ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio pensionistico iscritto al numero 63006 del registro di segreteria,

proposto da: sig. - (c.f. -), nato a - il - e residente a -, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti, dall’avv. Michela Scafetta, presso il cui studio, sito in Roma al Viale dei Primati Sportivi 19, elegge domicilio, con indicazione ai fini delle comunicazioni di cancelleria del seguente indirizzo di posta elettronica certificata (PEC): scafetta@pec.it

(ricorrente)

contro: Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), con sede a Roma in via Ciro il Grande n. 21, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati Ilario Maio e Antonella Francesca Paola Micheli, elettivamente domiciliato a Firenze in viale Belfiore 28/a, con i seguenti indirizzi PEC indicati ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni ai sensi dell’art. 28 c.g.c.:

avv.ilario.maio@postacert.inps.gov.it

avv.antonellafrancescapaola.micheli@postacert.inps.gov.it

(resistente)

e contro: Ministero della Difesa - Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva (PREVIMIL), in persona del Ministro pro-tempore, con sede in Viale dell'Esercito n. 186, 00143 Roma, ed ivi elettivamente domiciliato con P.E.C. previmil@postacert.difesa.it, oltre che ex lege presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, con sede in Firenze, alla via degli Arazzieri n. 4, con P.E.C. ads.fi@mailcert.avvocaturastato.it, rappresentato e difeso dal Direttore Generale pro tempore e dal suo delegato, Funzionario di Amministrazione dott. Giuseppe Francesco Maria Palumbo;

(resistente)

Visto il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (codice di giustizia contabile);

esaminati gli atti e i documenti della causa;

uditi, nella pubblica udienza del 15 dicembre 2023, celebrata con l’assistenza del segretario dott. Giacomo Vannacci, l’avv. Emiliano Paradiso in sostituzione dell’avv. Michela Scafetta per il ricorrente e l’avv. Antonella Francesca Paola Micheli per l’INPS, nessuno comparso per il Ministero della Difesa.

RITENUTO IN FATTO

I. Con ricorso depositato il 2 maggio 2023, il sig. - ha agito in giudizio contro l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) e il Ministero della Difesa, riferendo quanto di seguito riassunto nei termini essenziali e rilevanti.

I.1 Arruolatosi nel 2005 come sottufficiale nella Marina Militare, il ricorrente, dopo esser stato destinato in servizio alla Capitaneria di Porto di Marina di Carrara, nel 2015 veniva trasferito presso la Direzione Marittima di Genova, con il compito di Direttore di Macchine sull’unità navale MV CP 311 (unità di soccorso). In tale sede, svolgeva turni di servizio della durata di ventiquattro ore, i quali avrebbero dovuto alternarsi con periodi di riposo di tre giorni che, tuttavia, nella realtà egli sarebbe riuscito ad usufruire molto spesso nella misura ridotta di un solo giorno in quanto chiamato ad occuparsi anche delle inderogabili esigenze di manutenzione dell’unità navale presso cui era assegnato.

Tale regime lavorativo, unito alla circostanza che la propria dimora era collocata a 120 km dal luogo di servizio, con il passare del tempo, avrebbe comportato evidenti riflessi sulla sua salute. Il 6 maggio 2019, durante il servizio, il ricorrente accusava dei malori che si aggravavano in serata e determinavano il trasporto in ospedale dove veniva riscontrato un forte attacco di panico e da dove veniva dimesso il giorno seguente con una prognosi di cinque giorni. Pochi giorni l’effettivo rientro in servizio (il 1° giugno 2019), si ripeteva un analogo episodio durante l’attività lavorativa, con conseguente trasporto in ospedale e nuova diagnosi di attacco di panico. Seguiva poi il collocamento del medesimo in aspettativa per ragioni di salute fino al 17 luglio 2020.

In questa stessa data veniva sottoposto alla visita della Commissione Medica Ospedaliera (in sigla, CMO) del Dipartimento Militare di Medicina Legale di La Spezia, la quale, con verbale BL/S n. SP120000807, emetteva il seguente giudizio: “non idoneo permanentemente al servizio m.m. incondizionato, si idoneo alla riserva, si idoneo al transito nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del ministero della difesa (legge 266/99). L’infermità di cui al g.d. determina una riduzione della capacità lavorativa generica nella misura del 25% (ex decreto 05/02/1992 min. san.). Controindicati mansioni ad elevato impatto psico-fisico”.

A decorrere dal 23 novembre 2020, il sig. - transitava nelle aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa e veniva assegnato al Centro Interforze Munizionamento Avanzato (C.I.M.A.) di Aulla (MS).

Eseguiva poi, in data 4 gennaio 2021, una visita presso specialista in Medicina Legale, la quale così concludeva la sua relazione: “È di tutta evidenza, dunque, la correlazione causale tra l’infermità da cui è affetto il maresciallo in congedo -e i fatti di servizio riferiti. Per ciò che attiene alla valutazione del danno alla persona dipendente da causa di servizio, si fa riferimento a quanto stabilito dalle tabelle allegate al DPR 30 dicembre 1981, n. 834. Nel caso in esame, prendendo in considerazione la voce “psico-nevrosi gravi”, ricompresa nella IV cat. Tab. A e tenuto conto anche delle valutazioni formulate dalla Commissione Medica competente, che ha ritenuto il complesso menomativo di gravità tal da comportare la permanente non idoneità al servizio MM incondizionato, si ritiene che le infermità descritte siano ascrivibili, complessivamente, alla IV categoria della Tabella A”.

In data 29 marzo 2021, presentava domanda per il riconoscimento di causa di servizio dell’infermità “Disturbo progressivo maggiore grave con ansia (DSM-5)” e per il conseguente diritto all’equo indennizzo. A seguito della visita espletata per la valutazione medico legale di legge, il 28 giugno 2021 la competente CMO redigeva verbale modello BL/B – n° SP121001169 concludendo per l’ascrivibilità dell’infermità alla categoria 7^.

Successivamente, il Comitato di verifica per le cause di servizio (in sigla, CVCS), con parere n. 724312021 del 29.03.2022, ha ritenuto l’infermità “disturbo depressivo maggiore grave con ansia in comorbità con disturbo d’ansia (tipo DAP) con demoralizzazione secondaria in trattamento” come “non dipendente da fatti di servizio in quanto trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta. Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo, l’infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante”. In conformità a detto parere, il Ministero della Difesa–Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, con provvedimento prot. M_D A934676 CSE2022 0003604 del 27.09.2022, rigettava la sopraccennata istanza.

L’odierno ricorrente, in data 19.11.2022, inviava telematicamente all’INPS istanza di ammissione al trattamento di pensione privilegiata ordinaria, che veniva però anch’essa rigettata, con provvedimento prot. n° INPS 4600 14/02/2023 0019390, con motivazione riferita alla già riscontrata non dipendenza da causa di servizio della patologia sofferta.

Nelle successive visite periodiche effettuate dal ricorrente, in particolare in quelle del 9 dicembre 2022 e del 28 febbraio 2023, il quadro clinico e i disturbi in questione hanno continuato ad essere diagnosticati e certificati.

I.2 Tanto esposto, avverso le cennate determinazioni negative il sig. - muove le seguenti contestazioni.

Il parere emesso dal CVCS circa la non dipendenza da causa di servizio della patologia sofferta perverrebbe a tale conclusione in modo contraddittorio per aver escluso ogni profilo concausale efficiente e determinante di specifici fatti di servizio.

In generale, sarebbero infatti da considerarsi tali, in base alla giurisprudenza, tutte le situazioni ed evenienze inerenti alla prestazione dell’attività lavorativa ed aventi finalità di servizio, anche se si compiono al di fuori del luogo e del tempo propri del servizio stesso. Sempre in via generale e secondo la giurisprudenza, lo stato anteriore di un soggetto, ovvero l’eventuale predisposizione organica a contrarre una determinata malattia o la preesistenza di questa all’assunzione in servizio, non può essere ritenuto sufficiente per invocare l’insussistenza del rapporto di causalità materiale tra una lesione/menomazione comunque accertata e un fatto di servizio.

Nel caso esaminato, il ricorrente sarebbe stato sottoposto a un regime lavorativo particolarmente pesante, caratterizzato dallo svolgimento di turnazioni di ventiquattro ore quasi mai alternate con i previsti tre giorni di riposo e dalla necessità di percorrere un tragitto di 120 km nelle trasferte dalla propria dimora al luogo di servizio. Tale situazione avrebbe provocato una condizione di forte disagio e stress psicofisico dalla quale sarebbe eziologicamente derivata l’insorgenza della complessa patologia diagnosticata. Quanto affermato troverebbe conferma nelle osservazioni contenute nella menzionata relazione del 4 gennaio 2021 del medico specialista in Medicina Legale, prodotta agli atti, nella quale viene peraltro richiamata ed illustrata la letteratura medico-scientifica che avrebbe messo in luce la correlazione esistente tra la sottoposizione a persistenti fattori stressogeni e le malattie riconducibili alla tipologia dei disturbi dell’umore.

Il parere del CVCS in questione sarebbe peraltro viziato da omessa valutazione delle suindicate specifiche condizioni lavorative del ricorrente o, comunque, da motivazione insufficiente, poiché non esprimerebbe alcun riferimento alla documentazione sanitaria esibita dall'istante ed allegata alla domanda di riconoscimento della dipendenza da fatti di servizio, dalla quale emergerebbe la chiara correlazione tra il servizio e l'insorgenza delle patologie.

In quanto adottato sulla base del suddetto parere, inoltre, sarebbe viziato da illegittimità derivata il decreto prot. M_D A934676 CSE2022 0003604 del 27.09.2022, posizione n. 331821/A, del Ministero della Difesa–Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, attestante il diniego del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per le patologie accertate. Con tale provvedimento, infatti, l’Amministrazione procedente si sarebbe adeguata pedissequamente alle risultanze esplicitate dal CVCS, omettendo quindi la verifica, da considerarsi doverosa anche in relazione alla possibilità di discostarsi dalle conclusioni dell’organo sanitario, circa la sussistenza di una motivazione analitica e puntuale delle stesse, nel caso in esame infatti da considerarsi carente per omessa evidenza della valutazione operata riguardo alle deduzioni esposte dallo specialista nella relazione del 4 gennaio 2021 sulla natura e sull'eziopatogenesi dell'affezione lamentata dall'interessato. Quest’ultima, sempre secondo quanto affermato in detta relazione medico-legale, sarebbe ascrivibile alla IV^ categoria della vigente tabella A allegata al d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834.

I.3 Conclusivamente, il ricorrente chiede che, previo esperimento in via istruttoria di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) medico-legale sulla propria persona al fine di riconoscere la sussistenza del nesso causale tra i fatti di servizio e l’infermità in questione, venga accertato il suo diritto a percepire la pensione privilegiata ordinaria di cui agli artt. 64 e ss. del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) per la patologia “disturbo depressivo maggiore grave con ansia in comorbita’ con disturbo d’ansia (tipo dap) con demoralizzazione secondaria in trattamento” in quanto ascrivibile alla IV^ categoria della tabella A del d.P.R. n. 834/1981 e che, per l’effetto, siano dichiarati come annullati, segnatamente, il provvedimento prot. n. 4600.14/02/2023.0019390 dell’INPS, il decreto prot. M_D A934676 CSE2022 0003604 del 27.09.2022 del Ministero della Difesa–Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva e il parere n. 724312021 del 29.03.2022 del CVCS, tutti già sopra menzionati. Il tutto con condanna alle spese di lite.

II. L’INPS si è costituito in giudizio con memoria pervenuta l’8 novembre 2023, chiedendo il rigetto della domanda attorea per infondatezza nel merito, vista l’assenza dei presupposti necessari per il riconoscimento della pensione richiesta.

Al riguardo, afferma il carattere obbligatorio e vincolante per l’Istituto del parere emesso dal CVCS e contenente il giudizio di non dipendenza da causa di servizio della patologia sofferta dal ricorrente.

In ogni caso, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, ha chiesto che non siano riconosciuti interessi e rivalutazione in cumulo tra loro.

III. In data 4 dicembre il ricorrente ha depositato una nota d’udienza in cui, replicando alle deduzioni dell’INPS, ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni già svolte a supporto del riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata, aggiungendovi la notazione riguardante la sussistenza dell’interesse concreto ed attuale all’accertamento della esistenza dei relativi presupposti anche per un soggetto ancora in servizio e insistendo, infine, per l’accoglimento del ricorso.

IV. Costituitosi in giudizio con comparsa depositata il 4 dicembre 2023, il Ministero della Difesa chiede preliminarmente che sia disposta la sua estromissione dal presente giudizio per difetto di legittimazione passiva, non avendo alcuna competenza in ordine alla determinazione e concessione del diritto alla pensione privilegiata che costituisce l’oggetto della pretesa azionata dal ricorrente.

Ancora in via preliminare il Ministero resistente chiede la chiamata in causa del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), in considerazione del ruolo svolto dal Comitato di verifica per le cause di servizio (CVCS) che ha emesso il parere tecnico-discrezionale di non riconducibilità all’attività lavorativa delle cause produttive della patologia sofferta dal ricorrente.

Nel merito deduce l’infondatezza della domanda attorea richiamando il cennato giudizio negativo espresso nel suddetto parere del CVCS, di cui ricorda il carattere sostanzialmente vincolante per l’Amministrazione procedente e del quale riporta alcuni passaggi motivazionali per evidenziare l’avvenuto puntuale compimento dell’analisi di tutti i precedenti di servizio emergenti dal rapporto informativo e dalla documentazione fornita dallo stesso interessato. Ad ulteriore supporto di tale esito valutativo, produce altresì una nota della Capitaneria di Porto di Genova del 7 aprile 2023, appositamente acquisita, contenente elementi informativi di dettaglio in ordine alle mansioni e agli orari di lavoro del ricorrente e dalla quale peraltro emergerebbe anche la non corrispondenza a verità di alcune affermazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio.

Si oppone, infine, alla richiesta di una CTU medico-legale, ritenendone insussistenti i necessari presupposti.

V. All’odierna udienza di discussione, il difensore di parte ricorrente si riporta al ricorso introduttivo e alla nota d’udienza depositata il 4 dicembre 2023, insistendo nella richiesta di espletamento di una CTU che verifichi se la patologia sofferta dal ricorrente sia collegata in modo causale o quantomeno concausale con i fatti di servizio vissuti. La difesa dell’INPS ribadisce la validità degli accertamenti medico-legali già eseguiti e conclude riportandosi alle argomentazioni e conclusioni di cui alla memoria difensiva in atti. La causa viene quindi trattenuta in camera di consiglio e decisa con separato dispositivo, ai sensi del comma 1 dell’art. 167 c.g.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La presente controversia verte sulla domanda del ricorrente volta all’accertamento del diritto alla pensione privilegiata ordinaria di IV^ categoria della tabella A del d.P.R. n. 834/1981, come conseguenza della asserita dipendenza da causa di servizio della patologia “disturbo depressivo maggiore grave con ansia in comorbità con disturbo d’ansia (tipo DAP) con demoralizzazione secondaria in trattamento”, sofferta dal medesimo.

2. Così definito l’oggetto essenziale del giudizio, il quale, , in coerenza con i principi generali sulla giurisdizione di questa Corte in materia pensionistica, non è finalizzato alla demolizione di provvedimenti amministrativi eventualmente illegittimi bensì alla valutazione circa la sussistenza in capo all’istante del diritto vantato nell’ambito di un rapporto giuridico controverso, occorre in via preliminare dichiarare, in accoglimento della relativa eccezione, il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Difesa-Direzione generale della previdenza militare e della leva.

Al riguardo si osserva che, in virtù dell’articolo 2, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 335 e della circolare n. 21 del 18 settembre 2009 dell’INPDAP, già a far data dal 1° gennaio 2010 la competenza in materia di liquidazione delle pensioni del personale della Marina Militare, salvo il caso del personale militare che transita in posizione di ausiliaria, è stata assunta in carico alla gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti delle Amministrazioni statali, oggi di pertinenza dell’INPS.

Orbene, posto che dagli atti consta che il sig. -, già sottufficiale della Marina Militare, sia transitato senza soluzione di continuità nelle aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa a decorrere dal 23 novembre 2020, risulta indubitabile che, per quanto non precisata in atti, la cessazione definitiva del medesimo dal servizio presso l’Amministrazione dello Stato sia successiva alla suddetta data del 1° gennaio 2010.

Nel caso di specie, pertanto, la pretesa azionata dal ricorrente può essere fatta valere soltanto nei confronti dell’INPS, mentre il Ministero della Difesa rimane estraneo a qualsiasi effetto dei provvedimenti amministrativi (e delle statuizioni giurisdizionali) riguardanti la liquidazione del trattamento pensionistico del ricorrente e, di conseguenza, va estromesso dal presente giudizio.

3. In quanto assorbita nella suddetta conclusione la relativa eccezione sollevata dal Ministero della Difesa, è qui sufficiente fare richiamo alle stesse motivazioni suesposte per escludere la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del MEF, in capo al quale, infatti, non si rinviene un interesse attuale e concreto ad opporsi al ricorso.

4. Nel merito. la domanda attorea risulta infondata.

L’art. 67 del d.P.R. n. 1092/1973 prevede che il trattamento pensionistico privilegiato spetti al militare le cui infermità o lesioni, dipendenti da fatti di servizio, siano ascrivibili ad una delle categorie della tabella A annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313 (quest’ultimo riferimento normativo va ratione temporis aggiornato con il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834) e non siano suscettibili di miglioramento.

In base all’art. 64 dello stesso d.P.R. n. 1092/1973, per “fatti di servizio” positivamente valutabili a tal fine devono intendersi gli eventi e le circostanze strettamente correlati all’adempimento degli obblighi lavorativi del militare (comma 2), che siano stati, in concreto, causa o concausa efficiente e determinante delle patologie riscontrate (comma 3).

Secondo la prospettazione attorea, tale ipotesi normativa si sarebbe in concreto realizzata nel caso in esame, posto che la suindicata infermità accertata in capo al ricorrente costituirebbe una derivazione diretta, quantomeno sul piano concausale, del protratto periodo di stress psicofisico cui sarebbe stato sottoposto a partire dall’anno 2015 in relazione a condizioni di lavoro particolarmente pesanti quali, segnatamente, l’attribuzione di turni lavorativi della durata di ventiquattro ore, la necessità di far fronte ad ulteriori esigenze di servizio che avrebbe quasi sempre comportato la fruizione di un solo giorno di riposo a fronte dei tre asseritamente previsti dal suddetto regime delle turnazioni, nonché, infine, la necessità di percorrere un tragitto lungo circa 120 Km dalla propria dimora al luogo di lavoro. Tali specifiche circostanze della propria situazione lavorativa, secondo il ricorrente tutte qualificabili alla stregua di “fatti di servizio” in quanto correlate all’adempimento dei propri obblighi di servizio, invece non sarebbero state oggetto di alcuna valutazione da parte del competente CVCS ai fini del parere del 29.03.2022 che ha escluso la dipendenza da causa di servizio della patologia in questione, né da parte del Ministero della Difesa e dell’INPS nei rispettivi provvedimenti con cui, in conseguenza del giudizio espresso dal suddetto organo medico-legale, sono stati disposti i dinieghi di riconoscimento dei diritti all’equo indennizzo e al trattamento di pensione privilegiata ordinaria. In tutte le richiamate sedi valutative, inoltre, non sarebbero state debitamente considerate e verificate le argomentazioni e le risultanze esposte nella documentazione, in specie sanitaria, esibita dall’istante e, in particolare, nella relazione medico-legale predisposta in data 04.01.2021 dalla specialista interpellata dal ricorrente, dalla quale emergerebbe chiaramente la correlazione eziologicamente e giuridicamente rilevante tra gli indicati eventi di servizio e l’insorgenza dell’affezione lamentata dall’interessato.

A fronte di tali contestazioni, occorre anzitutto rilevare che, in generale, tutti gli elementi richiesti dalle succitate disposizioni regolanti la materia, ovvero l’infermità o la lesione lamentata, gli specifici fatti di servizio individuati come fattori generatori, nonché l’oggettivazione del rapporto di causalità o concausalità, devono essere provati dal soggetto che agisce per il riconoscimento dei diritti conseguenti secondo le consuete regole civili (art. 2697 cod. civ.), peraltro anche in mancanza di norme che attribuiscano rilievo alle “presunzioni” (cfr., ex multis: Sez. giur. Puglia, sent. n. 360/2015; Sez. giur. Sicilia, sent. n. 949/2015).

Orbene, nel caso di specie, se può ritenersi effettivamente accertata, anche da qualificati organi medico-legali pubblici, la patologia di tipo psico-nevrotica depressiva di cui è affetto il ricorrente, nessun elemento probatorio risulta invece fornito in atti in ordine alle specifiche circostanze fattuali definite dal ricorrente come persistenti fattori stressogeni connessi allo svolgimento del servizio che avrebbero determinato l’insorgenza e/o l’aggravamento della suddetta infermità.

A questo proposito, infatti, il ricorrente, come visto sopra, si limita ad affermare (allegare) di essere stato assegnato, a partire dal 2015, a turni di servizio di ventiquattrore che prevedevano l’alternanza con periodi di riposo di tre giorni di cui però, per esigenze di servizio, non avrebbe quasi mai potuto usufruire effettivamente se non per la ridotta durata di un giorno solo, nonché di aver conservato la propria dimora abituale in località distante 120 km dal luogo di servizio con l’implicata conseguenza di dover compiere, financo “giornalmente” (cfr. atto introduttivo del giudizio, pag. 13), il lungo tragitto delle trasferte.

Di tali evenienze, tuttavia, non è dato rilevare alcuna dimostrazione nelle evidenze disponibili. Il ricorrente non ha, infatti, prodotto, ad esempio, una disposizione regolamentare o di servizio che abbia stabilito la spettanza di tre giorni di recupero dopo il turno lavorativo di ventiquattro ore, né alcun ordine di servizio o attestazione certa relativi allo svolgimento di servizi ulteriori, supplementari o straordinari che abbiano comportato la riduzione del periodo di riposo previsto, oppure attestazioni di eventuali eccedenze orarie accumulate per turni lavorativi aggiuntivi espletati. Riguardo ai viaggi per raggiungere la sede di lavoro, per i quali non può di certo acquisire sufficiente valenza dimostrativa il mantenimento della residenza precedente al trasferimento presso la Capitaneria di Porto di Genova, non risulta nemmeno allegata una eventuale autorizzazione concessa al militare per dimorare fuori del Comune in cui prestava servizio, circostanza questa che assume rilievo anche sotto un profilo prettamente giuridico che verrà chiarito nel proseguo.

Evidente conseguenza di tali carenze probatorie è che, allo stato degli atti, non risulta possibile nemmeno avere contezza degli aspetti di dettaglio degli accadimenti riferiti dal ricorrente e dallo stesso ricondotti all’adempimento degli obblighi di servizio, ovvero in primis della relativa frequenza, che poteva esser stata episodica o. al contrario, ripetuta ed avere, quindi, a seconda della realtà effettiva, una capacità decisamente diversa di incidere sull’equilibrio psicofisico del militare.

Il mancato assolvimento all’onere della prova sugli asseriti fatti di servizio, che il ricorrente ritiene essere causa o concausa efficiente e determinante della propria infermità ed invoca a sostegno del proprio diritto alla pensione privilegiata ordinaria, costituisce motivo sufficiente per sancire il mancato accoglimento della domanda giudiziale. Ciò nonostante, si ritiene comunque opportuno rilevare che, agli atti del fascicolo, hanno trovato ingresso elementi documentali che smentirebbero talune affermazioni riportate nell’atto introduttivo relativamente allo situazione lavorativa del ricorrente. Si fa riferimento in particolare a quanto emerge dal rapporto informativo del 07.04.2023 della Capitaneria di Porto di Genova, allegato alla comparsa di risposta del Ministero della Difesa, in cui viene dichiarato che lo specifico incarico di conduttore di macchina svolto dal sig. -, pur prevedendo un servizio continuativo articolato su ventiquattro ore, sarebbe inquadrato in un regime da turnista per il quale non sarebbero previsti tre giorni di recupero psicofisico, come rappresentato nel ricorso, bensì dieci ore di recupero ed il pagamento di n. 1 (cosiddetto) Compenso Forfettario di Guardia (CFG) oppure ulteriori otto ore di recupero psicofisico per i servizi svolti dal lunedì al sabato, nonché una giornata di riposo settimanale (compensativa della festività non goduta) ed il pagamento di n. 3 CFG per i servizi svolti la domenica o in giorno di festività. Viene inoltre riportato che l’odierno ricorrente avrebbe sempre goduto delle dieci ore di recupero psicofisico spettanti come adeguato periodo di riposo dopo il turno di servizio e, solo in rarissimi casi nel corso degli anni, avrebbe posticipato parzialmente la fruizione di tale recupero, trattenendosi a fine turno per qualche ora. A riprova di ciò, si evidenzia che il militare in questione non avrebbe mai accumulato ore di lavoro in eccesso rispetto all’ordinario e, semmai, in alcuni casi, avrebbe goduto di recuperi in eccedenza rispetto a quelli effettivamente maturati.

Quanto all’accentuato “pendolarismo” indicato dal ricorrente tra le cause dello stress psicofisico determinante l’insorgenza della patologia, è poi possibile svolgere un ulteriore rilievo restando sul piano di una valutazione di ordine prettamente giuridico.

Si è già rammentato come, ai fini del riconoscimento della dipendenza della causa di servizio, l’art. 64, comma 2, d.P.R. n. 109271973 richieda che le menomazioni lamentate siano conseguenza di fatti “derivanti dall’adempimento degli obblighi di servizio”. La disposizione viene comunemente intesa, come peraltro ricordato nel corpo dello stesso ricorso, nel senso che il danno subito dal dipendente deve rappresentare l’attualizzazione del rischio, di tipo specifico o generico aggravato, al quale è esposto nello svolgimento dell’attività lavorativa ed al quale non ha potuto sottrarsi.

Ebbene, è assolutamente da escludersi che detta condizione si verifichi nel caso di specie. Ciò non soltanto perché il militare in questione aveva la possibilità di evitare tale situazione disagio essendo sua libertà quella di stabilire la propria dimora in località meno distante dalla sede di Genova a cui era stato destinato dal 2015, ma anche perché tale opzione si presentava sostanzialmente obbligata alla luce degli elementi normativi vigenti. Ed invero, stando al combinato disposto di cui all’art. 1469, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e all’art. 744 del regolamento emanato con d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, per tutti i militari sussiste l'obbligo di alloggiare nella località sede di servizio; fatta salva la possibilità per il comandante di corpo di autorizzare la dimora in luogo diverso, eventualità questa che, nel caso in questione, non risulta essersi verificata.

Relativamente alle valutazioni di carattere medico-legali rilevanti ai fini della decisione, questo Giudice non ravvisa alcuna ragione per discostarsi dalle conclusioni rassegnate nel parere del 29.03.2022 rilasciato dal CVCS nell’esercizio della competenza ad esso attribuita dall’art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, il quale si è pronunciato nel senso della non dipendenza da causa di servizio dell’infermità sofferta dal sig. -. Il parere, infatti, è da ritenersi immune da vizi giuridici e logici, in particolare da quello di contraddittorietà intrinseca, oltre che fondato sull’esame obiettivo della documentazione di servizio e sanitaria disponibile e sufficientemente motivato.

Ed invero, dalla sua formulazione risulta anzitutto che l’organo tecnico in questione abbia debitamente preso in considerazione tutti gli incarichi di servizio ricoperti come rilevabili dagli elementi informativi acquisiti, ivi compreso quello di Conduttore di macchine di Unità Navali svolto dal 2015 presso la Capitaneria di Porto di Genova.

Al riguardo, la censura mossa dal ricorrente circa l’omesso rilievo assegnato agli insufficienti periodi di recupero psicofisico concessi a fronte dei turni di servizio articolati in ventiquattro ore e della necessità di percorrere un lungo tragitto negli spostamenti tra dimora e luogo di servizio, è da ritenersi priva di pregio.

Non v’è motivo di dubitare, infatti, che il suddetto CVCS, al pari di questo Giudice, abbia potuto avere cognizione delle cennate supposte circostanze di servizio solo in quanto meramente affermate nella relazione medico-legale della specialista di parte del 04.01.2021. Ad esso, pertanto, non può essere di certo addebitato di non aver riservato una valutazione, e la conseguente motivazione, in ordine a fatti o condizioni lavorative che risultavano genericamente rappresentati e del tutto indimostrati, oltre che, come sopra evidenziato, non corrispondenti presumibilmente alla realtà effettiva e, comunque, in parte non sussumibili nel concetto di fatti di servizio giuridicamente rilevanti. Sotto tale profilo, anche la stessa perizia stragiudiziale della specialista medico-legale difetta del necessario requisito della esposizione di rilievi precisi e circostanziati (cfr. Cass. civ. n. 12411/2001).

Il parere tecnico in esame ha poi inquadrato la patologia del ricorrente come “forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi” e ne ha individuato la normale origine in “situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta”. Ha infine evidenziato di non aver rinvenuto, nel caso di specie, “documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo”, ritenendo in conclusione che l’infermità non possa ricollegarsi agli eventi di servizio invocati (evidentemente dal militare interessato), neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante.

Risulta pertanto soddisfatto nel parere, e non assente come sostenuto dal ricorrente, il requisito dell’indicazione dell’ipotesi alternativa in grado di spiegare l’insorgere della patologia, così da escludere la portata, anche solo parzialmente eziologica, degli altri supposti fattori di servizio menzionati dal ricorrente stesso.

In definitiva, dunque, si ritiene di condividere il giudizio tecnico in questione, come recepito nel provvedimento dell’INPS di diniego della pensione privilegiata ordinaria, nel senso della esclusione che la ridetta patologia possa considerarsi conseguenza dei fatti occorsi nello svolgimento del servizio e/o afferenti alla sua condizione lavorativa quali risultano dalla documentazione esaminata. Non si scorgono in questa, infatti, fatti o situazioni materiali da porsi in stretto rapporto con le prestazioni lavorative del ricorrente che possano connotarsi come causa o concausa “efficiente”, ovvero principale anche se non esclusiva, della genesi della malattia, nonché “determinante”, ovvero tali da assurgere a ruolo di elementi preponderanti ed idonei ad influire sul determinismo del male, nel senso che in loro difetto questo non sarebbe insorto o aggravato.

Le considerazioni complessivamente sopra esposte consentono infine di ritenere del tutto inutile ai fini di cui si discute l’espletamento della CTU medico-legale richiesta dal ricorrente. Tenuto conto che siffatto adempimento istruttorio non può in generale costituire un mezzo di prova, ma esclusivamente uno strumento di valutazione, sotto il profilo medico-scientifico, di dati già acquisiti al processo (cfr. Sez. giur. Piemonte, sent. n. 38/2009), nel caso specifico non può infatti aderirsi alla finalità dichiarata dal ricorrente stesso che sarebbe quella di interpellare il diverso organo sanitario in ordine a fatti o condizioni asseritamente riferite allo svolgimento del servizio che, allo stato, risultano conoscibili solo in modo generico, sforniti di riscontro probatorio e, in parte, irrilevanti ai fini delle valutazioni di competenza.

5. In conclusione, per le ragioni esposte, ovvero specificamente per il difetto del necessario presupposto della dipendenza da causa di servizio dell’infermità lamentata, questo Giudice ritiene non meritevole di accoglimento la domanda giudiziale del ricorrente volta al riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata ordinaria.

6. Ai sensi dell’art. 31 c.g.c., il ricorrente, in quanto soccombente, è tenuto al rimborso delle spese di lite a favore delle parti convenute. Queste sono liquidiate a favore dell’INPS nella misura di euro 800,00 onnicomprensive. In applicazione del principio per cui la declaratoria di difetto di legittimazione passiva ha il valore di una pronuncia di rigetto della domanda (v. Corte di Cassazione, Sez. II, 26 marzo 2013, n. 7625) e tenuto conto che il Ministero della Difesa ha depositato memoria di costituzione in giudizio, le spese di lite da porre a carico del ricorrente a favore di tale Dicastero sono liquidate in euro 500,00 onnicomprensive.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Toscana, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando in ordine alla controversia promossa dal sig. -:

- dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Difesa;

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 800,00 (ottocento/00) onnicomprensive in favore dell’INPS e in euro 500,00 (cinquecento/00) onnicomprensive in favore del Ministero della Difesa.

Manda alla segreteria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023, successiva all’udienza in stessa data.

Il giudice

(Claudio Guerrini)


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