sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

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sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

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REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 161/2017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
pronuncia la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24037 del registro di Segreteria, proposto da

P. S., nato a Omissis il Omissis

G. M. P., nato a Omissis il Omissis

S. P., nato a Omissis il Omissis

A. M., nato a Omissis il Omissis

L. D., nato a Omissis il Omissis

tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Andrea PETTINAU e Elena PETTINAU, presso lo studio dei quali in Cagliari, piazza Gramsci 18 sono elettivamente domiciliati

RICORRENTI

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), Gestione Dipendenti Pubblici, non costituito

RESISTENTE

Udita, nell’udienza pubblica del 21 novembre 2017, l’avvocato Elena PETTINAU per i ricorrenti. Non comparso né costituito l’INPS.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Come esposto nell’atto introduttivo del giudizio, tutti i ricorrenti hanno prestato servizio nell’ex Corpo degli Agenti di Custodia e, precisamente, P. S. dal 12/02/1982 e sino al 1° marzo 2012, G. M. P. dal 5/01/1982 e sino al 4/05/2015, S. P. dal 06/01/1983 al 27/09/2014, A. M. dal 05/05/1981 e sino al 17/03/2004, L. D. dal 4/05/1981 al 13/11/2005. Conseguentemente i medesimi hanno ottenuto dall’Istituto Previdenziale il relativo trattamento vitalizio.

Successivamente, in data 15/02/2016, i ricorrenti hanno inoltrato all’INPS istanza, ex lege 241/1990, di riliquidazione del proprio trattamento sulla scorta del dettato di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973. Il riscontro dell’INPS, peraltro, è stato negativo, essendo stato confermato l’importo delle pensioni già erogate.

Secondo quanto precisato dall’INPS, la norma richiamata non sarebbe applicabile ai pensionati del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma esclusivamente al personale ex militare, stante l’assenza di richiami normativi espressi.

Ad avviso dei ricorrenti, la tesi dell’INPS sarebbe errata.

Al riguardo, si osserva che al personale proveniente dal disciolto Corpo degli agenti di custodia, in virtù del Decreto Legislativo n. 443 del 1992, art. 73, commi 3 e 4, per la determinazione della massima anzianità contributiva, continua ad applicarsi l’art. 6 della L. n. 1543 del 1963.

Secondo tale disposizione, il massimo della pensione − per tale personale – si consegue al raggiungimento di trenta anni di servizio utile e l’importo della pensione, calcolato sulla base dell’ultimo stipendio (complessivo), è ragguagliato, al compimento dei venti anni di servizio, al 44% della base pensionabile, mentre per ogni anno in più sino al decimo, “la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.

Lo stesso art. 6 del d. L.vo n. 165/1997 ha ribadito che per tali soggetti, “il diritto alla pensione di anzianità si consegue, altresì, al raggiungimento della massima anzianità contributiva prevista dagli ordinamenti di appartenenza...” e ciò “in considerazione della specificità del rapporto di impiego e delle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività”.

La medesima disposizione, per quanto riguarda le aliquote annue di rendimento, a far data dal 1° gennaio 1998, ha reso applicabile l’art. 17 della L. 724/1994, che le ha stabilite in misura pari al 2%.

Tutti i ricorrenti hanno prestato servizio nel Corpo degli Agenti di Custodia dai primi degli anni 80 e sino al gennaio 1991, allorquando sono divenuti, ex lege, dipendenti del Corpo della Polizia Penitenziaria, ad ordinamento civile e non più militare. Nei loro confronti, quindi, secondo la difesa, dovrebbero trovare applicazione le norme sopra citate, con conseguente calcolo della pensione sulla base delle aliquote di rendimento già previste dalla normativa di cui all’art. 6 della legge 1543 del 1963, sino al 1° gennaio 1998. Mentre per i periodi di servizio (e contributivi) successivi alla suddetta data l’aliquota annua di rendimento andrà rapportata a 2% annuo, in ragione del disposto del richiamato D. L.vo n. 165 del 1997.

Sono state pertanto formulate le seguenti conclusioni:

“accoglimento della domanda dei ricorrenti e conseguente accertamento del loro diritto alla riliquidazione del trattamento vitalizio secondo la normativa sopra citata (L. n° 1543 del 1963, D. Lgs.vo n° 443 del 1992, L. n° 335 del 1995 e D. Lgs.vo n° 165 del 1997, nonché art. 54 del DPR n° 1092 del 1973) e conseguente corresponsione delle somme arretrate dovute, oltre accessori di legge.

Con vittoria di spese da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari”.

L’INPS, cui il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, risulta ritualmente notificato, non si è costituito in giudizio.

Con note d’udienza depositate in limine, l’avvocato Elena PETTINAU ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Nell’udienza del 21 novembre 2017, fissata per la discussione della causa, l’avvocato PETTINAU ha dichiarato di rinunciare all’azione con riguardo al ricorrente D., considerato che lo stesso, a differenza degli altri ricorrenti, ha visto la sua pensione liquidata interamente con il sistema retributivo.

In relazione al difetto di legittimazione passiva dell’INPS, prospettato dal giudice per ciò che concerne la posizione del ricorrente M., ha chiesto l’assegnazione di un termine per provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia.

Per il resto, ha integralmente confermato le conclusioni formulate con gli atti scritti.

La causa è stata decisa con dispositivo letto in udienza per i motivi di seguito esposti in

DIRITTO

Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso del sig. A. M. per difetto di legittimazione passiva dell’INPS.

Come si evince dagli atti di causa, la pensione del ricorrente, cessato dal servizio dal 17 marzo 2004 (in data precedente, quindi, al passaggio all’INPDAP della competenza ad emettere il provvedimento pensionistico), è stata liquidata con decreto dell’amministrazione di provenienza, ovverosia il Ministero della giustizia.

Poiché l’oggetto del ricorso attiene esclusivamente alla corretta liquidazione del trattamento pensionistico, è di tutta evidenza che il legittimo contraddittore, non vocato in giudizio, avrebbe dovuto essere il Ministero della giustizia e non l’INPS. Né vi è spazio per accedere alla richiesta del difensore di assegnazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio, non vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra l’amministrazione convenuta e quella rimasta estranea al giudizio.

Sempre in via preliminare, non può essere ritenuta rituale la rinuncia all’azione dichiarata in udienza dall’avvocato PETTINAU con riguardo alla posizione del ricorrente D..

Come è noto, la rinuncia all’azione si configura come riconoscimento dell’infondatezza, nel merito, della domanda proposta ed è per questa ragione che, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, non necessita di accettazione della controparte.

Tuttavia, proprio perché implica disposizione del diritto controverso, il difensore che la dichiara deve essere munito di procura speciale che espressamente gli attribuisca il relativo potere.

Nel caso di specie, la procura rilasciata dai ricorrenti non contiene alcun riferimento a tale potere, non potendosi considerare idonea, al riguardo, la mera clausola di stile del conferimento di “ogni e più ampia facoltà di legge”.

Esaurite le questioni preliminari, può ora passarsi ad esaminare il merito della causa.

I ricorrenti sollecitano la riliquidazione delle rispettive pensioni mediante applicazione delle aliquote di rendimento previste dagli artt. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 e 6 della legge n. 1543/1963.

Va però osservato che le norme citate hanno contenuti dispositivi differenti.

La prima delle norme citate prevede infatti che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo.

La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

L’art. 6 della legge n. 1543/1963, dal suo canto, dispone che “la pensione [del personale di cui al comma 1, tra cui quello del Corpo degli agenti di custodia] è liquidata sulla base dell’importo complessivo dell’ultimo stipendio o paga e delle indennità pensionabili godute. Essa è ragguagliata, al compimento del ventesimo anno di servizio, al 44 per cento della base pensionabile come sopra determinata.

Per ciascun anno di servizio oltre il ventesimo e per non più di dieci anni successivamente compiuti, la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.

Ad avviso della Sezione, la disposizione applicabile ai ricorrenti è la seconda.

Va detto che tutti i ricorrenti hanno iniziato a prestare servizio nel Corpo degli agenti di custodia, ad ordinamento militare, poi disciolto e trasformato nel Corpo di polizia penitenziaria, ad ordinamento civile, con D. L.vo 30/10/1992, n. 443.

Tale decreto ha preso in considerazione e disciplinato la posizione di coloro che, come i ricorrenti, sono transitati, senza soluzione di continuità, dall’originario Corpo degli agenti di custodia a quello di nuova istituzione.

Per quanto interessa la liquidazione del trattamento pensionistico di tale personale, l’art. 73 (espressamente intitolato “Trattamento pensionistico nella fase di transizione”), al comma 3, dispone che “al personale proveniente dai ruoli del disciolto Corpo degli agenti di custodia continua ad applicarsi l’articolo 6 della legge 3 novembre 1963, n. 1543”.

Nonostante la chiarezza di tale disposizione, deve rilevarsi che l’INPS ha invece erroneamente applicato a tutti i ricorrenti l’aliquota prevista dall’art. 44 del d.P.R. n. 1092/1973 per il personale civile, ovverosia 35% per i primi quindici anni di servizio e 1,80% per ogni anno ulteriore.

Tale circostanza, tuttavia, ha determinato, per tutti gli interessati (tranne, come si vedrà, il D.), la liquidazione di una pensione di importo superiore a quella spettante.

Al riguardo, va osservato che le pensioni in questione sono state tutte calcolate (tranne quella del D.), con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo). Ciò in quanto nessuno degli interessati aveva, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni, per cui il loro trattamento di quiescenza è stato liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata.

Ne deriva, come è evidente, che l’aliquota di rendimento applicata ha avuto incidenza esclusivamente sulla quota liquidata con il sistema retributivo, relativo all’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 1995.

Del pari evidente è che, essendo l’anzianità maturata alla stessa data dai ricorrenti inferiore a quella di venti anni di cui al cit. art. 6 l. n. 1543/1963, l’aliquota applicabile sarà una frazione di quella del 44% prevista dalla suddetta disposizione, rapportata all’anzianità di ciascuno.

Con specifico riguardo alle singole posizioni, si ha quindi questa situazione:

1) P.S.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 16 e mesi 8, aliquota applicata dall’INPS 38%, aliquota spettante 2,2% x 16 = 35,2% + (8/12 di 2,2) 1,466% = 36,666%;

2) G. M. P.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 16 e mesi 9, aliquota applicata dall’INPS 38,150 %, aliquota spettante 2,2% x 16 = 35,2% + (9/12 di 2,2) 1,65% = 36,85%;

3) S. P.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 15 e mesi 6, aliquota applicata dall’INPS 35,90%, aliquota spettante 2,2% x 15 = 33% + (6/12 di 2,2) 1,1% = 34,10%.

Come si può notare, per effetto dell’errore commesso dall’INPS, le aliquote applicate sono state superiori a quelle corrette. Il che determina l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.; art. 7, comma 2 CGC).

Nel caso del ricorrente D., la pensione è stata liquidata interamente con il sistema retributivo, avendo egli maturato, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di anni 18 e mesi 4.

L’anzianità contributiva alla cessazione (13 novembre 2005) è stata di complessivi anni 30 e mesi 5.

Come è noto, e come è stato sottolineato nello stesso ricorso, a partire dal 1° gennaio 1998, l’aliquota di rendimento del personale in questione è stata portata al 2% annuo (v. art. 8 d. l.vo n. 165/1997).

Per l’effetto, in relazione alla sopra definita anzianità complessiva, l’aliquota correttamente applicabile era del 47,60 (ex art. 6 l. 1543/1963 sino al 31 dicembre 1997, anzianità 21 anni) + 18,83333 (2% per i restanti anni 9 e mesi 5) = 66,43333% a fronte di quella del 66,133% applicata dall’INPS.

Tale aliquota va suddivisa nei vari periodi da considerare ai fini del calcolo della pensione.

Per il primo periodo (sino al 31 dicembre 1992), l’aliquota è determinata in 32,816% in relazione ad un’anzianità di anni 14 e mesi 11.

La relativa quota di pensione ammonta quindi a euro 28.606 (base pensionabile) x 0,32816 = 9.387,34.

La seconda quota di pensione è la sommatoria di due valori.

Il primo si ottiene con riguardo all’anzianità di servizio tra il 31 dicembre 1992 e il 31 dicembre 1997, il cui coefficiente è dato dalla differenza tra il coefficiente al 31 dicembre 1997 (0,476) e quello di cui sopra (0,32816), ovverosia 0,14784, che moltiplicato per la base pensionabile (26.869,65) dà euro 3.972,41.

Il secondo valore è calcolato applicando alla base pensionabile (26.869,65) la differenza tra il coefficiente di rendimento globale (0,66433) e quello relativo al servizio prestato sino al 31 dicembre 1997 (0,476), ovverosia 0,18833, che dà un risultato di euro 5.060,36.

La sommatoria dei due valori è pertanto di euro 9.032,77.

La pensione (al netto della voce di cui appresso) va quindi ricalcolata in euro 9.387,34 + 9.032,77 = 18.420,11 (contro 18.374,06 liquidata dall’INPS)

Per quanto riguarda poi la maggiorazione applicata dall’INPS (ai sensi dell’art. 4 d. l.vo n. 165/1997), sulla base di euro 2.738,00 trova applicazione il coefficiente di 0,66433 (in luogo di quello applicato dall’INPS di 0,66133), da cui si ottiene euro 1.818,94 (contro 1.810,72 calcolato dall’INPS).

L’importo corretto della pensione spettante al D. è quindi di euro 18.420,11 + 1.818,94 = 20.239,05 (a fronte di quella liquidata dall’INPS di euro 20.184,78).

Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al D. gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.

L’accoglimento parziale del ricorso giustifica la compensazione delle spese.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando:

1) dichiara inammissibile il ricorso di A. M. per difetto di legittimazione passiva dell’INPS;

2) dichiara inammissibile il ricorso di P. S., G. M. P.e S. P. per difetto di interesse ad agire;

3) accoglie il ricorso di L. D. e, per l’effetto, accerta il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione nella misura di euro 20.239,05, con diritto agli arretrati, aumentati di interessi legali e rivalutazione monetaria, quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello degli interessi, da calcolarsi con decorrenza dalla scadenza dei maggiori ratei mensili dovuti e sino alla data del pagamento degli arretrati.

Spese compensate.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di cinquanta giorni dalla data dell’udienza.

Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 21 novembre 2017.

Il Giudice unico

f.to Antonio Marco CANU



Depositata in Segreteria il 18 dicembre 2017.

Il Dirigente

f.to Giuseppe Mullano


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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

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REPUBBLICA ITALIANA Sent. n.2/2018

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA

pronuncia la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24053 del registro di Segreteria, proposto da

A. C., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro MARIANI, presso il cui studio in Cagliari, via Sebastiano Satta 12 è elettivamente domiciliato

RICORRENTE

contro

Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), Gestione dipendenti pubblici, sede di Cagliari, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro DOA, Mariantonietta PIRAS e Laura FURCAS, elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura dell’Ente in Cagliari, via P. Delitala, 2

RESISTENTE

Uditi, nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2017, l’avvocato Alessandro MARIANI per il ricorrente e l’avvocato Mariantonietta PIRAS per l’INPS, che hanno integralmente confermato le rispettive conclusioni di parte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Il ricorrente, ex sottufficiale dell’Aeronautica Militare, titolare di pensione dal 7 ottobre 2014, ha proposto ricorso contro l’INPS di Cagliari, chiedendo l’accertamento del proprio diritto - ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/73 - al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico erogato con attribuzione della percentuale del 44 per cento ai fini del calcolo della base pensionabile, il tutto con decorrenza dalla data di collocamento in congedo, con condanna di parte convenuta alla corresponsione di tutto quanto per l’effetto dovuto, oltre arretrati maturati (con interessi e rivalutazioni di legge su ciascun rateo) ed adeguamento del trattamento corrente, previo annullamento e/o disapplicazione di qualsivoglia provvedimento sotteso, inerente, connesso, o comunque preparatorio o conseguenziale che sia di ostacolo al riconoscimento del diritto medesimo.

In fatto, il ricorrente espone di essere cessato dal servizio a domanda con decorrenza giuridica ed amministrativa dal 7 ottobre 2014 e di essere titolare di trattamento pensionistico (iscrizione n. 17140920) erogato dall’INPS (già INPDAP).

Non potendo far valere alla data del 31.12.1995 un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni, è destinatario del sistema di calcolo pensionistico c.d. “misto”.

Il ricorrente, che ha maturato alla data del 31 dicembre 1995 un’anzianità - in attività di servizio - di più di 15 anni e meno di 20 anni di servizio utile (nello specifico 17 anni, 4 mesi e 28 giorni), sostiene di essere destinatario del trattamento previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, per il quale “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”.

Tuttavia, il trattamento pensionistico in godimento gli è stato invece calcolato con l’attribuzione della minore e più sfavorevole aliquota di cui all’art. 44 del medesimo d.P.R. per il quale “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile ... aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”.

Con nota del 2 maggio 2017, indirizzata all’INPS, il ricorrente ha lamentato quanto sopra rilevato e, in tal senso, ha invitato l’Istituto a voler provvedere al riconoscimento integrale di tutto quanto lui spettante ai sensi del citato art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, con decorrenza dalla relativa data di collocamento in pensione, ed a procedere pertanto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del relativo trattamento pensionistico con corresponsione di tutto quanto per l’effetto dovuto, oltre arretrati maturati (con interessi e rivalutazioni di legge su ciascun rateo) ed adeguamento del trattamento corrente.

Tuttavia, con nota in data 28.06.2017, l’Istituto ha respinto la richiesta avanzata adducendo che “il riconoscimento dell’aliquota del 44% da applicare per il calcolo della pensione” fosse “attribuito esclusivamente al personale militare che, all’atto di cessazione, può vantare un servizio utile complessivo tra i 15 ed i 20 anni (da intendersi come non meno di 15 e non più di 20 anni) e con il sistema di calcolo esclusivamente retributivo” e confermando la correttezza del calcolo del trattamento pensionistico in pagamento.

A sostegno della tesi di parte, la difesa del ricorrente, dopo aver richiamato le norme che attengono alla liquidazione della pensione con il sistema cd. misto, nell’ambito delle quali troverebbe applicazione l’invocato art. 54 (per la parte liquidata con il sistema retributivo), ha citato il contenuto di alcune circolari (emesse dalla Direzione di Amministrazione del Comando Generale Arma Carabinieri, dal Ministero del Tesoro e dallo stesso INPDAP), tutte concordi nel confermare che il calcolo della quota retributiva della pensione del personale militare debba essere effettuato con l’applicazione dell’aliquota prevista dalla norma suddetta.

Dalla stessa lettera di detta norma si evincerebbe che, in alcun modo, essa circoscriva la sua operatività ai soli soggetti con l’anzianità ivi indicata, escludendo quelli con maggiore anzianità, come si ricaverebbe peraltro dall’inciso finale per il quale la base pensionabile è “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”, che avrebbe senso proprio in quanto riferibile anche a soggetti con anzianità maggiore di 20 anni.

Sono state pertanto formulate le seguenti conclusioni:

“-a) nel merito accogliere il ricorso e dichiarare il diritto di parte ricorrente - ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/73 - al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico erogato con attribuzione della percentuale del 44 per cento ai fini del calcolo della base pensionabile, il tutto con decorrenza dalla data di collocamento in congedo, con condanna di parte convenuta alla corresponsione di tutto quanto per l’effetto dovuto, oltre arretrati maturati (con interessi e rivalutazioni di legge su ciascun rateo) ed adeguamento del trattamento corrente, previo annullamento e/o disapplicazione di qualsivoglia provvedimento sotteso, inerente, connesso, o comunque preparatorio o conseguenziale che sia di ostacolo al riconoscimento del diritto medesimo.

- b) con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa”.

L’INPS si è costituito in giudizio a ministero degli avvocati Alessandro DOA, Mariantonietta PIRAS e Laura FURCAS con memoria difensiva depositata in Segreteria tramite PEC il 27/11/2017.

La difesa dell’Istituto contesta che, nel caso de quo, ricorrano i requisiti utili all’applicazione della normativa invocata sia con riferimento al servizio utile alla cessazione dal servizio (che, si afferma, non deve essere inferiore ai 15 anni ma neppure superiore ai venti alla data di legge) che con riferimento alla tipologia di pensione.

Il A. C., all’atto della cessazione del servizio, poteva vantare un’anzianità di servizio di 38 anni e un mese, mentre l’anzianità indicata in ricorso (17 anni e 4 mesi e 28 giorni) è quella maturata al 31.12.1995 e non quella commisurata alla data di cessazione dal servizio. Ne discenderebbe che non possa essere destinatario della invocata normativa.

Inoltre, sempre secondo la difesa dell’INPS, la base di calcolo pari al 44% si applicherebbe esclusivamente alle pensioni liquidate interamente su base retributiva, mentre, nel caso di specie, si tratta di pensione erogata in regime misto per cui non è prevista la liquidazione con base di calcolo al 44% sia pure limitatamente alla quota “A” e B”, come invece parrebbe pretendere controparte.

Sono state pertanto formulate le seguenti conclusioni:

“1. Rigettare il ricorso; con vittoria di spese e competenze come per legge”.

La causa è stata decisa con dispositivo letto nell’udienza del 5 dicembre 2017 per i motivi di seguito esposti in

DIRITTO

Questa Sezione, chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità dell’art. 54 d.P.R. n. 1092/1973 in un caso similare, ha respinto il ricorso ritenendo condivisibili le argomentazioni difensive dall’INPS, riproposte anche nel presente giudizio (v. sentenza n. 87 del 20 giugno 2017).

Melius re perpensa, ritiene tuttavia di dover rivedere il proprio giudizio in senso favorevole all’accoglimento della tesi del ricorrente.

Come è incontestato, la pensione del ricorrente è stata liquidata con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), poiché l’interessato, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), non possedeva un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni.

Conseguentemente, il suo trattamento di quiescenza è stato liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata, il quale prevede che “per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma:

a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;

b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”.

La questione dell’aliquota di rendimento applicabile si pone, come è evidente, esclusivamente per la quota A, ovverosia quella calcolata con il sistema retributivo.

Giusta il disposto della norma, al suddetto fine va fatta applicazione della normativa vigente alla data del 31 dicembre 1995.

Nel caso, come quello che interessa, del personale militare, l’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, vigente alla data del 31 dicembre 1995, prevede che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo (comma 1).

La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo (comma 2)”.

Come detto, la difesa dell’INPS obietta che la norma non potrebbe trovare applicazione nel caso del ricorrente per due ragioni.

In primo luogo, si sostiene, l’aliquota del 44% si applicherebbe soltanto a coloro che siano cessati dal servizio con un’anzianità contributiva compresa tra i quindici e i venti anni di servizio.

In secondo luogo, essa troverebbe applicazione unicamente per coloro la cui pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo.

Tuttavia, entrambe le affermazioni non trovano riscontro nella normativa.

Per quanto concerne la prima, la lettera del primo comma dell’art. 54, su cui sostanzialmente si basa l’interpretazione data dall’INPS, deve invece intendersi nel senso che l’aliquota ivi indicata vada applicata a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni, mentre il successivo comma chiarisce che la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’INPS), atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo. Come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione.

La seconda affermazione, che presumibilmente costituisce un corollario della prima, neppure può essere condivisa, non trovando peraltro nessun riferimento in alcuna norma.

Lo stesso INPDAP, nella circolare n. 22/2009 (allegato n. 7 al ricorso), aveva del resto chiarito che le norme citate andavano applicate nel senso ora detto.

Il ricorso, siccome fondato, va pertanto accolto.

Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.

Considerata l’esistenza di un precedente giurisprudenziale di segno contrario, si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso di A. C. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.

Sui maggiori ratei di pensione conseguentemente dovuti spettano al ricorrente gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria (quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi), con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

Spese compensate.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di quaranta giorni dalla data dell’udienza.

Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 5 dicembre 2017.

Il Giudice unico

f.to Antonio Marco CANU



Depositata in Segreteria il 4 gennaio 2018.

Il Dirigente

f.to Giuseppe Mullano
lucyone
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da lucyone »

Grande SENTENZA!!!!!
eminenz

Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da eminenz »

ora bisogna capire come muoversi..
nel senso che, sicuramente, chi è andato in pensione con il sistema misto deve fare ricorso all'INPS per il riconoscimento di questa sentenza..e capire se nel frattempo l'inps decide di farla propria organizzandosi per il giusto calcolo per chi ancora deve ANDARE.
Certo è che tutte le OO.SS del comparto ancora non stanno evidenziano alle rispettive Amministrazioni l'importanza di tale sentenza.
Non vorrei che l'"esiguità" del personale coinvolto dalla sentenza renda marginale l'interessamento delle OO.SS. alla questione
naturopata
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da naturopata »

R E P U BB L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

IL GIUDICE DELLE PENSIONI

CONS. DOMENICO GUZZI

ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 12/2018

Sul il ricorso in materia di pensioni civili n. 21458 del registro di Segreteria, proposto da

- G. P., nato a omissis l’Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Delfino, presso il cui studio in Villa San Giovanni, via Zanotti Bianco n. 33, ha eletto domicilio,

contro

- l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Direzione di Reggio Calabria, in persona del suo Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, con i quali ha eletto domicilio in Catanzaro, via F. Acri n. 81, presso la sede dell’Avvocatura INPS territoriale.

Uditi all’udienza del 26 gennaio 2018 l’avv. Santo Delfino per il ricorrente e l’avv. Giacinto Greco per l’INPS.

FATTO

Con l’interposto gravame, il sig. G. P. agisce avverso la determinazione atto n. RC012017875805 del 28.07.2017 con la quale l'INPS sede di Reggio Calabria - gestione ex lnpdap - ha quantificato il trattamento di quiescenza iscrizione n. 17492103.

A tal fine rappresenta di essersi arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 01.10.1986 e, dopo circa 31 anni di servizio (nel grado di maresciallo aiutante), di essere stato posto in congedo assoluto in data 04.05.2017 a seguito di sopravvenuta inidoneità psico-fisica.

In conseguenza di ciò, il trattamento di pensione avrebbe dovuto essergli liquidato con l’applicazione dei benefici di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, anziché, come fatto dall’amministrazione previdenziale, facendo applicazione del sistema di calcolo di cui all’art. 44 dello stesso testo unico.

Il ricorrente chiede, inoltre, il rimborso degli arretrati maturati per l'applicazione dei benefici previsti dall'articolo 3, del D.Lgs n° 165/1997, sul presupposto che, cessato dal servizio per riforma, è stato escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria ex art. 992 del D.L.gs n° 66/2010.

Con memoria depositata il 15 dicembre 2017, l’INPS si è ritualmente costituito per contestare la domanda attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto, e per chiedere che la stessa sia integralmente respinta.

In udienza, le parti intervenute hanno insistito, ciascuna per quanto di rispettiva competenza, per l’accoglimento delle conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.

Considerato

D I R I T T O

Come evidenziato in narrativa, il ricorso comprende due capi di domanda.

Con il primo, il ricorrente chiede che il suo trattamento pensionistico ordinario gli venga liquidato secondo il sistema di calcolo previsto dall’art. 54 del d. P.R. n. 1092 del 1973.

Il secondo capo di domanda fa, invece, riferimento all’asserito diritto di conseguire i benefici derivanti dall’applicazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 165/1997.

Orbene, ritiene questo giudice che il ricorso possa essere accolto parzialmente e solo con riguardo al primo capo di domanda per le ragioni di seguito esposte.

I. L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. G. avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

Ritiene al riguardo l’INPS che l'art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad “attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20”.

Dal suo punto di vista, in pratica sarebbe sufficiente “porre mente al meccanismo delle aliquote percentuali. Fino a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1,8% sino al conseguimento dell'80% al 40esimo anno (che, tuttavia, per i militari era più veloce trattandosi di servizio utile e non effettivo, ove il servizio utile era contraddistinto dalle maggiorazioni)”.

In concreto, dunque, il “comma 1 dell'art. 54, quindi, non creava nuove aliquote annuali di calcolo, bensì si limitava a fornire un bonus a coloro che cessassero con anzianità compresa tra 15 e 20 anni di servizio. Bonus variabile, chiaramente, in base all'anzianità superiore a 15 fino a 20. Per cui, chi cessava con 16 anni aveva un bonus di 1,8% x 4 anni, chi cessava a 17 anni un bonus di 1,8%, e così via”.

In definitiva, dunque, sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante personale dello Stato.

Questo giudice è di contrario avviso.

Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

Non è pertanto corretto sostenere, come fa invece l’INPS (sopra se ne è dato conto) che fino “a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1'1,8% sino al conseguimento dell'80%......”, giacché così opinando non si coglie ciò che il chiaro tenore letterale della disposizione non può che portare a cogliere e cioè che il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.

In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80 per cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D.Lgs. n. 503/1992 e consolidatosi con la nota legge n. 335 dell’8 agosto 1995, sistema che ha, infatti, notoriamente previsto come la pensione dovesse essere determinata in parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A" corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto".

Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante al G. in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna.

La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

II. In merito alla richiesta di applicazione del beneficio compensativo di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n° 165/1997, con ogni ulteriore diritto a favore del ricorrente compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo, il ricorse deve essere invece respinto.

Il ricorrente è cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto con un'età anagrafica di 51 anni 1 mese e 3 giorni ed un servizio utile a pensione di 35 anni e 7 mesi, quindi, senza aver maturato nessun requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, pertanto, nessuna "esclusione " dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare applicazione nel caso di specie.

L’ art. 3 del DLgs n. 165/1997, in attuazione della delega conferita ai sensi dell’ art. 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 662/96 (legge finanziaria 1997), ha infatti introdotto rilevanti modifiche alla normativa riguardante la posizione di ausiliaria, sotto il profilo delle modalità di accesso, dei limiti di permanenza e dell’importo dell’indennità, prevedendo che in essa possa essere collocato il personale militare delle Forze Armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza giudicato idoneo a seguito di accertamento sanitario e a tale personale compete, e stabilendo che in aggiunta al trattamento pensionistico, a detto personale compete un’indennità pari all’80% della differenza tra la pensione percepita e la retribuzione spettante al pari grado in servizio.

Ora, i fini del presente giudizio e per risolvere la questione di diritto posta dal ricorrente, non si può che denotare come, a proposito delle modalità di accesso, il citato art. 3, comma 1, abbia in buona sostanza escluso dalla possibilità di poter transitare in ausiliaria il personale militare che sia cessato dal servizio non per raggiunti limiti di età ma per inidoneità al servizio di istituto.

Il ricorrente, come detto, è stato dispensato dal servizio attivo per inidoneità, sicché lo stesso non vantava il requisito soggettivo per il collocamento in ausiliaria e, dunque, per il conseguimento degli effetti economici per come preteso in domanda.

Il ricorso va in conclusione parzialmente accolto, mentre per ciò che concerne le spese, la complessità delle questioni trattate induce a

disporne la compensazione integrale tra le parti in causa.

P.Q.M.

La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria,

ACCOGLIE

Il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto alla riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 sulla parte dell’assegno calcolata con il sistema retributivo.

Sui maggiori ratei spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

RESPINGE

Il ricorso per i restanti capi di domanda.

Spese compensate.

Manda alla Segreteria di provvedere agli adempimenti di rito.

Così deciso in Catanzaro il 26 gennaio 2018

IL GIUDICE

f.to Domenico Guzzi

Depositata in Segreteria il 26/01/2018

Il responsabile delle segreterie pensioni

f.to Dott.ssa Francesca Deni
beppepale
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da beppepale »

Buongiorno a tutti, quindi chi va in pensione con circa 16 anni di lavoro al dicembre 1995, come si dovrà comportare?
Se viene riconosciuto che l'INPS ha sbagliato i calcoli, sarà possibile ,in futuro, ottenere i calcoli pensionistici corretti ad aggiornati alle sentenze??
eminenz

Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da eminenz »

credo che chi è in pensione con il sistema misto deve fare assolutamente,anche tramite i patronati sindacali, ricorso all'inps citando la sentenza della corte dei conti della sardegna, e prepararsi, in caso di negazione, ricorrere alla corte dei conti della propria regione.
Ho qualche dubbio (spero sbagliarmi) che una sentenza della corte dei conti regionale possa essere estesa a tutto il territorio nazionale a meno che l'inps, consapevole della macroscopica errata valutazione che sta facendo,decida di farlo autonomamente.
Diverso se la sentenza della corte dei conti è a sezioni riunite a quel punto davvero l'inps dovrà fare sua la sentenza e applicarla a tutti gli arruolati in quegli anni.
JESSICA1995
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da JESSICA1995 »

L'Inps fa orecchie da mercante. Purtroppo bisogna fare ricorso alla corte dei Conti. Questa è l'Italia.
salvo8696

Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da salvo8696 »

Sono ancora in servizio ed arruolato nel 1982; leggendo l'articolo mi suona sinistro quel...
"per il momento sono escluse le forze di polizia ad ordinamento civile"
Bisogna aspettare il nostro momento? O subire in silenzio e passivamente questa disparità?

http://studiolegalezilio.com/ricorso-pe ... ari-81-83/" onclick="window.open(this.href);return false;
salvo8696

Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da salvo8696 »

eminenz ha scritto:ora bisogna capire come muoversi..
nel senso che, sicuramente, chi è andato in pensione con il sistema misto deve fare ricorso all'INPS per il riconoscimento di questa sentenza..e capire se nel frattempo l'inps decide di farla propria organizzandosi per il giusto calcolo per chi ancora deve ANDARE.
Certo è che tutte le OO.SS del comparto ancora non stanno evidenziano alle rispettive Amministrazioni l'importanza di tale sentenza.
Non vorrei che l'"esiguità" del personale coinvolto dalla sentenza renda marginale l'interessamento delle OO.SS. alla questione

Non siamo numeri esigui, credo che approssimativamente gli arruolati 81/82/83 (tra quelli in servizio e pensionati) saremo almeno 9.000
beppepale
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da beppepale »

Ma la cosa più triste, è che nessuno sa niente , a partire dalle segreterie a finire con gli uffici pensioni e quant'altro; siamo completamente allo sbando.dobbiamo ringraziare chi, come qui nel forum, dedica il proprio tempo libero a soddisfare le problematiche dei colleghi.
Io ad aprile finisco e scappo via..
JACK2018

Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da JACK2018 »

guidoreni ha scritto:REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 161/2017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
pronuncia la seguente

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24037 del registro di Segreteria, proposto da

P. S., nato a Omissis il Omissis

G. M. P., nato a Omissis il Omissis

S. P., nato a Omissis il Omissis

A. M., nato a Omissis il Omissis

L. D., nato a Omissis il Omissis

tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Andrea PETTINAU e Elena PETTINAU, presso lo studio dei quali in Cagliari, piazza Gramsci 18 sono elettivamente domiciliati

RICORRENTI

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), Gestione Dipendenti Pubblici, non costituito

RESISTENTE

Udita, nell’udienza pubblica del 21 novembre 2017, l’avvocato Elena PETTINAU per i ricorrenti. Non comparso né costituito l’INPS.

MOTIVI DELLA DECISIONE

FATTO

Come esposto nell’atto introduttivo del giudizio, tutti i ricorrenti hanno prestato servizio nell’ex Corpo degli Agenti di Custodia e, precisamente, P. S. dal 12/02/1982 e sino al 1° marzo 2012, G. M. P. dal 5/01/1982 e sino al 4/05/2015, S. P. dal 06/01/1983 al 27/09/2014, A. M. dal 05/05/1981 e sino al 17/03/2004, L. D. dal 4/05/1981 al 13/11/2005. Conseguentemente i medesimi hanno ottenuto dall’Istituto Previdenziale il relativo trattamento vitalizio.

Successivamente, in data 15/02/2016, i ricorrenti hanno inoltrato all’INPS istanza, ex lege 241/1990, di riliquidazione del proprio trattamento sulla scorta del dettato di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973. Il riscontro dell’INPS, peraltro, è stato negativo, essendo stato confermato l’importo delle pensioni già erogate.

Secondo quanto precisato dall’INPS, la norma richiamata non sarebbe applicabile ai pensionati del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma esclusivamente al personale ex militare, stante l’assenza di richiami normativi espressi.

Ad avviso dei ricorrenti, la tesi dell’INPS sarebbe errata.

Al riguardo, si osserva che al personale proveniente dal disciolto Corpo degli agenti di custodia, in virtù del Decreto Legislativo n. 443 del 1992, art. 73, commi 3 e 4, per la determinazione della massima anzianità contributiva, continua ad applicarsi l’art. 6 della L. n. 1543 del 1963.

Secondo tale disposizione, il massimo della pensione − per tale personale – si consegue al raggiungimento di trenta anni di servizio utile e l’importo della pensione, calcolato sulla base dell’ultimo stipendio (complessivo), è ragguagliato, al compimento dei venti anni di servizio, al 44% della base pensionabile, mentre per ogni anno in più sino al decimo, “la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.

Lo stesso art. 6 del d. L.vo n. 165/1997 ha ribadito che per tali soggetti, “il diritto alla pensione di anzianità si consegue, altresì, al raggiungimento della massima anzianità contributiva prevista dagli ordinamenti di appartenenza...” e ciò “in considerazione della specificità del rapporto di impiego e delle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività”.

La medesima disposizione, per quanto riguarda le aliquote annue di rendimento, a far data dal 1° gennaio 1998, ha reso applicabile l’art. 17 della L. 724/1994, che le ha stabilite in misura pari al 2%.

Tutti i ricorrenti hanno prestato servizio nel Corpo degli Agenti di Custodia dai primi degli anni 80 e sino al gennaio 1991, allorquando sono divenuti, ex lege, dipendenti del Corpo della Polizia Penitenziaria, ad ordinamento civile e non più militare. Nei loro confronti, quindi, secondo la difesa, dovrebbero trovare applicazione le norme sopra citate, con conseguente calcolo della pensione sulla base delle aliquote di rendimento già previste dalla normativa di cui all’art. 6 della legge 1543 del 1963, sino al 1° gennaio 1998. Mentre per i periodi di servizio (e contributivi) successivi alla suddetta data l’aliquota annua di rendimento andrà rapportata a 2% annuo, in ragione del disposto del richiamato D. L.vo n. 165 del 1997.

Sono state pertanto formulate le seguenti conclusioni:

“accoglimento della domanda dei ricorrenti e conseguente accertamento del loro diritto alla riliquidazione del trattamento vitalizio secondo la normativa sopra citata (L. n° 1543 del 1963, D. Lgs.vo n° 443 del 1992, L. n° 335 del 1995 e D. Lgs.vo n° 165 del 1997, nonché art. 54 del DPR n° 1092 del 1973) e conseguente corresponsione delle somme arretrate dovute, oltre accessori di legge.

Con vittoria di spese da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari”.

L’INPS, cui il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, risulta ritualmente notificato, non si è costituito in giudizio.

Con note d’udienza depositate in limine, l’avvocato Elena PETTINAU ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Nell’udienza del 21 novembre 2017, fissata per la discussione della causa, l’avvocato PETTINAU ha dichiarato di rinunciare all’azione con riguardo al ricorrente D., considerato che lo stesso, a differenza degli altri ricorrenti, ha visto la sua pensione liquidata interamente con il sistema retributivo.

In relazione al difetto di legittimazione passiva dell’INPS, prospettato dal giudice per ciò che concerne la posizione del ricorrente M., ha chiesto l’assegnazione di un termine per provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia.

Per il resto, ha integralmente confermato le conclusioni formulate con gli atti scritti.

La causa è stata decisa con dispositivo letto in udienza per i motivi di seguito esposti in

DIRITTO

Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso del sig. A. M. per difetto di legittimazione passiva dell’INPS.

Come si evince dagli atti di causa, la pensione del ricorrente, cessato dal servizio dal 17 marzo 2004 (in data precedente, quindi, al passaggio all’INPDAP della competenza ad emettere il provvedimento pensionistico), è stata liquidata con decreto dell’amministrazione di provenienza, ovverosia il Ministero della giustizia.

Poiché l’oggetto del ricorso attiene esclusivamente alla corretta liquidazione del trattamento pensionistico, è di tutta evidenza che il legittimo contraddittore, non vocato in giudizio, avrebbe dovuto essere il Ministero della giustizia e non l’INPS. Né vi è spazio per accedere alla richiesta del difensore di assegnazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio, non vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra l’amministrazione convenuta e quella rimasta estranea al giudizio.

Sempre in via preliminare, non può essere ritenuta rituale la rinuncia all’azione dichiarata in udienza dall’avvocato PETTINAU con riguardo alla posizione del ricorrente D..

Come è noto, la rinuncia all’azione si configura come riconoscimento dell’infondatezza, nel merito, della domanda proposta ed è per questa ragione che, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, non necessita di accettazione della controparte.

Tuttavia, proprio perché implica disposizione del diritto controverso, il difensore che la dichiara deve essere munito di procura speciale che espressamente gli attribuisca il relativo potere.

Nel caso di specie, la procura rilasciata dai ricorrenti non contiene alcun riferimento a tale potere, non potendosi considerare idonea, al riguardo, la mera clausola di stile del conferimento di “ogni e più ampia facoltà di legge”.

Esaurite le questioni preliminari, può ora passarsi ad esaminare il merito della causa.

I ricorrenti sollecitano la riliquidazione delle rispettive pensioni mediante applicazione delle aliquote di rendimento previste dagli artt. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 e 6 della legge n. 1543/1963.

Va però osservato che le norme citate hanno contenuti dispositivi differenti.

La prima delle norme citate prevede infatti che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo.

La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

L’art. 6 della legge n. 1543/1963, dal suo canto, dispone che “la pensione [del personale di cui al comma 1, tra cui quello del Corpo degli agenti di custodia] è liquidata sulla base dell’importo complessivo dell’ultimo stipendio o paga e delle indennità pensionabili godute. Essa è ragguagliata, al compimento del ventesimo anno di servizio, al 44 per cento della base pensionabile come sopra determinata.

Per ciascun anno di servizio oltre il ventesimo e per non più di dieci anni successivamente compiuti, la pensione sarà aumentata del 3,60 per cento”.

Ad avviso della Sezione, la disposizione applicabile ai ricorrenti è la seconda.

Va detto che tutti i ricorrenti hanno iniziato a prestare servizio nel Corpo degli agenti di custodia, ad ordinamento militare, poi disciolto e trasformato nel Corpo di polizia penitenziaria, ad ordinamento civile, con D. L.vo 30/10/1992, n. 443.

Tale decreto ha preso in considerazione e disciplinato la posizione di coloro che, come i ricorrenti, sono transitati, senza soluzione di continuità, dall’originario Corpo degli agenti di custodia a quello di nuova istituzione.

Per quanto interessa la liquidazione del trattamento pensionistico di tale personale, l’art. 73 (espressamente intitolato “Trattamento pensionistico nella fase di transizione”), al comma 3, dispone che “al personale proveniente dai ruoli del disciolto Corpo degli agenti di custodia continua ad applicarsi l’articolo 6 della legge 3 novembre 1963, n. 1543”.

Nonostante la chiarezza di tale disposizione, deve rilevarsi che l’INPS ha invece erroneamente applicato a tutti i ricorrenti l’aliquota prevista dall’art. 44 del d.P.R. n. 1092/1973 per il personale civile, ovverosia 35% per i primi quindici anni di servizio e 1,80% per ogni anno ulteriore.

Tale circostanza, tuttavia, ha determinato, per tutti gli interessati (tranne, come si vedrà, il D.), la liquidazione di una pensione di importo superiore a quella spettante.

Al riguardo, va osservato che le pensioni in questione sono state tutte calcolate (tranne quella del D.), con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo). Ciò in quanto nessuno degli interessati aveva, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni, per cui il loro trattamento di quiescenza è stato liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata.

Ne deriva, come è evidente, che l’aliquota di rendimento applicata ha avuto incidenza esclusivamente sulla quota liquidata con il sistema retributivo, relativo all’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 1995.

Del pari evidente è che, essendo l’anzianità maturata alla stessa data dai ricorrenti inferiore a quella di venti anni di cui al cit. art. 6 l. n. 1543/1963, l’aliquota applicabile sarà una frazione di quella del 44% prevista dalla suddetta disposizione, rapportata all’anzianità di ciascuno.

Con specifico riguardo alle singole posizioni, si ha quindi questa situazione:

1) P.S.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 16 e mesi 8, aliquota applicata dall’INPS 38%, aliquota spettante 2,2% x 16 = 35,2% + (8/12 di 2,2) 1,466% = 36,666%;

2) G. M. P.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 16 e mesi 9, aliquota applicata dall’INPS 38,150 %, aliquota spettante 2,2% x 16 = 35,2% + (9/12 di 2,2) 1,65% = 36,85%;

3) S. P.

- anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 anni 15 e mesi 6, aliquota applicata dall’INPS 35,90%, aliquota spettante 2,2% x 15 = 33% + (6/12 di 2,2) 1,1% = 34,10%.

Come si può notare, per effetto dell’errore commesso dall’INPS, le aliquote applicate sono state superiori a quelle corrette. Il che determina l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.; art. 7, comma 2 CGC).

Nel caso del ricorrente D., la pensione è stata liquidata interamente con il sistema retributivo, avendo egli maturato, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di anni 18 e mesi 4.

L’anzianità contributiva alla cessazione (13 novembre 2005) è stata di complessivi anni 30 e mesi 5.

Come è noto, e come è stato sottolineato nello stesso ricorso, a partire dal 1° gennaio 1998, l’aliquota di rendimento del personale in questione è stata portata al 2% annuo (v. art. 8 d. l.vo n. 165/1997).

Per l’effetto, in relazione alla sopra definita anzianità complessiva, l’aliquota correttamente applicabile era del 47,60 (ex art. 6 l. 1543/1963 sino al 31 dicembre 1997, anzianità 21 anni) + 18,83333 (2% per i restanti anni 9 e mesi 5) = 66,43333% a fronte di quella del 66,133% applicata dall’INPS.

Tale aliquota va suddivisa nei vari periodi da considerare ai fini del calcolo della pensione.

Per il primo periodo (sino al 31 dicembre 1992), l’aliquota è determinata in 32,816% in relazione ad un’anzianità di anni 14 e mesi 11.

La relativa quota di pensione ammonta quindi a euro 28.606 (base pensionabile) x 0,32816 = 9.387,34.

La seconda quota di pensione è la sommatoria di due valori.

Il primo si ottiene con riguardo all’anzianità di servizio tra il 31 dicembre 1992 e il 31 dicembre 1997, il cui coefficiente è dato dalla differenza tra il coefficiente al 31 dicembre 1997 (0,476) e quello di cui sopra (0,32816), ovverosia 0,14784, che moltiplicato per la base pensionabile (26.869,65) dà euro 3.972,41.

Il secondo valore è calcolato applicando alla base pensionabile (26.869,65) la differenza tra il coefficiente di rendimento globale (0,66433) e quello relativo al servizio prestato sino al 31 dicembre 1997 (0,476), ovverosia 0,18833, che dà un risultato di euro 5.060,36.

La sommatoria dei due valori è pertanto di euro 9.032,77.

La pensione (al netto della voce di cui appresso) va quindi ricalcolata in euro 9.387,34 + 9.032,77 = 18.420,11 (contro 18.374,06 liquidata dall’INPS)

Per quanto riguarda poi la maggiorazione applicata dall’INPS (ai sensi dell’art. 4 d. l.vo n. 165/1997), sulla base di euro 2.738,00 trova applicazione il coefficiente di 0,66433 (in luogo di quello applicato dall’INPS di 0,66133), da cui si ottiene euro 1.818,94 (contro 1.810,72 calcolato dall’INPS).

L’importo corretto della pensione spettante al D. è quindi di euro 18.420,11 + 1.818,94 = 20.239,05 (a fronte di quella liquidata dall’INPS di euro 20.184,78).

Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al D. gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.

L’accoglimento parziale del ricorso giustifica la compensazione delle spese.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando:

1) dichiara inammissibile il ricorso di A. M. per difetto di legittimazione passiva dell’INPS;

2) dichiara inammissibile il ricorso di P. S., G. M. P.e S. P. per difetto di interesse ad agire;

3) accoglie il ricorso di L. D. e, per l’effetto, accerta il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione nella misura di euro 20.239,05, con diritto agli arretrati, aumentati di interessi legali e rivalutazione monetaria, quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello degli interessi, da calcolarsi con decorrenza dalla scadenza dei maggiori ratei mensili dovuti e sino alla data del pagamento degli arretrati.

Spese compensate.

Per il deposito della sentenza è fissato il termine di cinquanta giorni dalla data dell’udienza.

Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 21 novembre 2017.

Il Giudice unico

f.to Antonio Marco CANU



Depositata in Segreteria il 18 dicembre 2017.

Il Dirigente

f.to Giuseppe Mullano
avt8
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Re: sentenza corte dei conti Sardegna art.54 D.P.R. 1092/73

Messaggio da avt8 »

beppepale ha scritto:Ma la cosa più triste, è che nessuno sa niente , a partire dalle segreterie a finire con gli uffici pensioni e quant'altro; siamo completamente allo sbando.dobbiamo ringraziare chi, come qui nel forum, dedica il proprio tempo libero a soddisfare le problematiche dei colleghi.
Io ad aprile finisco e scappo via..
A proposito dell'art.54, e stata fatta interrogazione parlamentare sulla questione ed il Ministro GALLI ha risposto alla interpellanza che non compete quanto si chiede.Inoltre sempre nella risposta del Ministro,ha detto che le sentenze favorevoli ai ricorrenti sono state appellate da INPS-
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