Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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Minori disabili.

Assegnare un assistente alla comunicazione per l’ anno scolastico.

Giusto per orientamento su cosa si può chiedere/fare.

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19/10/2012 201201020 Sentenza Breve 2


N. 01020/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00950/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 950 del 2012, proposto da:
Ente Nazionale Sordi - Onlus Sezione Provinciale di Cosenza, rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Paolini, con domicilio eletto presso Enzo Paolini in Catanzaro, piazza Matteotti ,2;

contro
Provincia di Cosenza, Regione Calabria;
per accertare e dichiarare l’obbligo dell'amministrazione provinciale di provvedere all’assegnazione, in favore dei minori disabili indicati in epigrafe, di un assistente alla comunicazione e per l’effetto condannare l’amministrazione provinciale di cosenza ad assegnare un assistente alla comunicazione per l’ anno scolastico 2012/2013 e per i successivi anni scolastici in favore dei suddetti minori, nominando ove occorra un commissario ad acta che provveda in via sostitutiva nonché condannare l’amministrazione provinciale a risarcire i danni, che potrebbero derivare dalla mancata o ritardata assegnazione dell’assistente alla comunicazione

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2012 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato che alla camera di consiglio del 18 ottobre 2012 la Provincia produceva protocollo d’intesa n. 950/2012 intervenuta con la Onlus ricorrente in forza della quale l’amministrazione resistente si impegna ad erogare il servizio di assistenza per l’anno 2012 ai soggetti che ne abbiano fatto richiesta;

rilevato che la ricorrente dichiarava di non aver più interesse al ricorso;

ritenuta, pertanto, l’intervenuta cessazione della materia del contendere;

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara la cessione della materia del contendere.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Massimo Luciano Calveri, Presidente
Giovanni Iannini, Consigliere
Emiliano Raganella, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/10/2012


panorama
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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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La minore è portatrice di handicap in situazione di gravità, ai sensi dell’art. 3 L. n. 104 del 1992.

1) - Il ricorso è stato avanzato poichè sono state assegnate alla minore, per il corrente anno scolastico 2012/2013, 12,5 ore settimanali di sostegno in luogo delle 25 richieste dagli organi competenti e, pertanto, viene anche chiesta la condanna al risarcimento dei danni.

2) - Conseguentemente, la scuola, sulla scorta delle richieste del Consiglio di classe e dell’equipe psicopedagogica, in sede di formazione del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), ha ritenuto necessario, per assicurare alla minore il diritto allo studio, il supporto dell’insegnante di sostegno con rapporto 1/1.

3) - Alla minore è stato, invece, assegnato un numero di ore di sostegno inferiore rispetto a quello richiesto.

4) - Peraltro, se questa era la situazione all’inizio dell’anno scolastico, successivamente, all’alunna è stato assegnato, dopo la proposizione del ricorso, l’insegnante di sostegno per tutte le ore spettanti.

Fin qui, il primo passo è stato superato.

Il TAR passa ora alla pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno.

5) - Il rango di diritto fondamentale della tutela del minore disabile non consente di ammettere cause giustificative di ritardi o di necessari tempi burocratici nella mancata concreta e piena assegnazione delle ore di sostegno al minore disabile fin dal primo giorno di inizio dell’anno scolastico.

6) - Va, pertanto, accolta la domanda risarcitoria, individuabile – come ripetutamente affermato da questo TAR – nel danno (danno c.d. esistenziale) che gli effetti della diminuzione, seppure temporanea, delle ore di sostegno provoca nella personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la piena soddisfazione dei bisogni di sviluppo, istruzione e partecipazione a fasi di vita tutelata dall’ordinamento.

Il resto leggetelo qui sotto.

Non capisco perchè le scuole si comportano così. E pensare che ci sono tanti insegnanti di sostegno in attesa di lavoro e che potrebbero aiutare gli alunni in queste condizioni. Ma questi che negano questi bisogni ce l'hanno un cuore?

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16/11/2012 201200995 Sentenza Breve 1


N. 00995/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00817/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 817 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Andreozzi e Giulia Andreozzi, con domicilio eletto presso il loro studio in Cagliari, via Gianturco N.4;

contro
Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca; Direzione Didattica 17° Circolo Plesso di via Salvator Rosa di Cagliari, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Cagliari, via Dante N.23;

per l'annullamento
- dei provvedimenti con i quali sono state assegnate alla minore OMISSIS, per il corrente anno scolastico 2012/2013, 12,5 ore settimanali di sostegno in luogo delle 25 richieste dagli organi competenti, con condanna al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2012 il Pres. Aldo Ravalli e uditi l’avv. Giulia Andreozzi, per la parte ricorrente e l’avv.to dello Stato Fausta Lorusso per le Amministrazioni resistenti;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
La minore OMISSIS è portatrice di handicap in situazione di gravità, ai sensi dell’art. 3 L. n. 104 del 1992.
Conseguentemente, la scuola, sulla scorta delle richieste del Consiglio di classe e dell’equipe psicopedagogica, in sede di formazione del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), ha ritenuto necessario, per assicurare alla minore il diritto allo studio, il supporto dell’insegnante di sostegno con rapporto 1/1.

Alla minore è stato, invece, assegnato un numero di ore di sostegno inferiore rispetto a quello richiesto.
Peraltro, se questa era la situazione all’inizio dell’anno scolastico, successivamente, come documentato dall’Avvocatura dello Stato e riconosciuto dal legale della ricorrente alla camera di consiglio, all’alunna è stato assegnato, dopo la proposizione del ricorso, l’insegnante di sostegno per tutte le ore spettanti.

Ciò stante, va dato atto della cessata materia del contendere quanto alla pretesa principale.

Resta da pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento del danno.

E’ appena il caso di rammentare che questo T.A.R. ha, da tempo, affermato con pronunce passate in giudicato e confermate (v. fra le più remote le sentenze 30 ottobre 2010 n. 2456 e 11 novembre 2010 n. 2571 e, fra le ultime, 6 luglio 2012 n. 676), che il diritto all’istruzione del disabile ha rango di “diritto fondamentale”, che va rispettato con rigore ed effettività sia in adempimento ad obblighi internazionali (art. 24 Convenzione delle Nazioni Unite 13 dicembre 2006, ratificata con L. 3 marzo 2009 n. 18), sia per il carattere assoluto che ha la tutela prevista dall’art. 38 Cost. (v. sent. Corte Cost. 26 febbraio 2010 n. 80).

Il rango di diritto fondamentale della tutela del minore disabile non consente di ammettere cause giustificative di ritardi o di necessari tempi burocratici nella mancata concreta e piena assegnazione delle ore di sostegno al minore disabile fin dal primo giorno di inizio dell’anno scolastico.

Inoltre, tutto quanto precede, non consente di riconoscere attenuanti alla colpa dell’Amministrazione scolastica nell’inadempimento dell’obbligo di cui trattasi.

Va, pertanto, accolta la domanda risarcitoria, individuabile – come ripetutamente affermato da questo TAR – nel danno (danno c.d. esistenziale) che gli effetti della diminuzione, seppure temporanea, delle ore di sostegno provoca nella personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la piena soddisfazione dei bisogni di sviluppo, istruzione e partecipazione a fasi di vita tutelata dall’ordinamento.

Il danno va quantificato, in via equitativa, in misura pari a € 1.000,00 (mille/00), per ogni mese (con riduzione proporzionale per le frazioni di mese) di mancato sostegno nel rapporto 1/1 da parte dell’Amministrazione scolastica, a partire dal primo giorno di scuola.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 817/2012, dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla pretesa principale.

Accoglie la domanda risarcitoria e, per l’effetto, condanna l’intimata Amministrazione a pagare alla parte ricorrente la somma di € 1.000,00 (mille/00) a titolo di danno esistenziale, per ogni mese di ritardo o frazione corrispondente, come in motivazione.

Condanna le Amministrazioni resistenti al pagamento delle spese ed onorari di giudizio a favore della parte ricorrente, che liquida in complessivi € 1.000,00 (mille/00), oltre IVA e CPA ed alla restituzione del contributo unificato pagato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Aldo Ravalli, Presidente, Estensore
Grazia Flaim, Consigliere
Giorgio Manca, Primo Referendario


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





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Il 16/11/2012
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Iscrizioni online, è caos. MC offre assistenza


A partire dal prossimo anno scolastico le iscrizioni alle scuole avverrà esclusivamente online. Si parte, dunque, il 21 gennaio prossimo tra molte polemiche. Cosa sarà di quella fascia di popolazione che ancora non possiede un pc e una connessione ad internet? Secondo l’Istat si tratta di 350mila famiglie che sconteranno non poche difficoltà. Per queste – spiega il Miur – saranno a disposizione le segreterie delle relative scuole. Per tutte le altre, l’unico metodo per procedere con l’iscrizione al primo anno della scuola primaria e secondaria, di primo e secondo grado, sarà il sito internet http://www.iscrizioni.istruzione.it/" onclick="window.open(this.href);return false;. Sarà sufficiente registrarsi al sito web e inviare il modulo elettronico predisposto dalle scuole, che invieranno per e-mail la ricevuta alle famiglie. Attraverso una particolare applicazione sarà inoltre possibile per mamme e papà seguire l’iter della domanda fino al suo accoglimento definitivo.

“E’ palese che ci sarà il caos totale, non solo nelle famiglie, ma anche e soprattutto nelle segreterie scolastiche, le quali oltre a preoccuparsi di collegare i propri sistemi informatici, affinché possano elaborare contestualmente l’iscrizione dell’alunno, la registrazione alla mensa e/o all’eventuale trasporto scolastico, dovranno organizzarsi anche con personale e consequenziali postazioni telematiche, atte a fornire la necessaria assistenza ai genitori che, non hanno alcuna possibilità di collegarsi ad internet” commenta il Movimento Consumatori di Capitanata che ha messo a disposizione delle famiglie i propri volontari che saranno disponibili ad aiutarle nella compilazione del modulo online presso al sede di Foggia (Via Gorizia 52 – San Severo Via T. Solis 89 – Manfredonia Via San Lorenzo 112 – San Nicandro G.co Via Mazzini 16).
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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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Per notizia.

riconoscimento della personalità giuridica di ente di culto alla “Associazione Sikhismo Religione Italia”

RESPINTO.

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08/05/2013 201300135 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 10/04/2013

Numero 02224/2013 e data 08/05/2013

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 10 aprile 2013

NUMERO AFFARE 00135/2013
OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da S. H., in qualità di legale rappresentante, per l’annullamento del provvedimento 25 maggio 2012 del Direttore centrale degli Affari dei Culti che respinge il riconoscimento della personalità giuridica di ente di culto alla “Associazione Sikhismo Religione Italia”

LA SEZIONE
Vista la relazione 2916 del 13/12/2012 con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
Con il ricorso in epigrafe Singh Harwant domanda l’annullamento del provvedimento 25 maggio 2012 del Direttore centrale degli affari dei culti che respinge il riconoscimento della personalità giuridica di ente di culto alla “Associazione Sikhismo Religione Italia”.

A fondamento del ricorso deduce plurimi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Ministero riferente ha concluso perché il ricorso sia respinto.

CONSIDERATO:
Il ricorrente deduce violazione dell’art. 2 della legge n. 1159 del 1929 e dell’art. 30 r.d. n. 389 del 1930, che vietano il riconoscimento delle associazioni il cui statuto contrasta con l’ordine pubblico, nonché travisamento di fatto, perché l’Amministrazione ha svolto una valutazione, peraltro sulla base di presupposti non corretti, sulla dottrina della religione sikh, eccedendo l’ambito dei poteri assegnatagli dalla legge.

Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, sono infondate.

Il provvedimento impugnato si fonda, diversamente dal preavviso di rigetto, essenzialmente sull’incompatibilità del porto del pugnale “kirpan” da parte degli aderenti alla religione sikh, di cui è un simbolo sacro.

In tal modo il Ministero, da un lato, ha rinunciato o attenuato la portata dei rilievi formulati in sede predecisoria attinenti all’organizzazione ed ai dogmi di fede, tra cui il divieto di divorzio, dall’altro ha inteso aderire al parere della Sezione n. 2387/10 emesso all’adunanza del 23 giugno 2010.

In tale parere si affermava che «sono alcuni aspetti propri della religione Sikh che confliggono in maniera evidente con principi fondamentali del nostro ordinamento pubblico interno, quali l’uso (rectius il ‘porto’) del Kirpan (pugnale rituale ricurvo) e il divieto di divorzio per le sole donne. Come è noto, infatti, in materia il bilanciamento degli interessi perseguiti (da una parte, quelli della libertà religiosa, dell’organizzazione associativa, etc. e, dall’altra, quelli inerenti al rispetto dei principi generali dell’ordinamento pubblico interno) trova un limite invalicabile nella tutela dell’ordinamento interno, secondo quanto stabilito dall’art. 8 della Costituzione; ne consegue, ad avviso della Sezione, che l’istanza di riconoscimento non possa essere accolta, in quanto i menzionati aspetti, propri e tipici della religione della richiedente associazione, contrastano con principi (anche di rango costituzionale), attinenti all’assoluta uguaglianza di tutti i cittadini (senza distinzioni anche di carattere religioso), e al divieto di porto d’armi (anche improprie). Circa quest’ultimo aspetto ritiene la Sezione che la dedotta ‘ritualità’ del ‘Kirpan’ (metaforicamente finalizzato per resistere al male), non possa farsi rientrare tra i giustificati motivi che consentono di portare fuori dalla propria abitazione armi improprie, perché, al di là delle possibili difficoltà interpretative oggettive (che si intende per ‘male’, quando si può portare e usare il pugnale), è proprio la finalità religiosa (uso del pugnale) che in questo caso confligge letteralmente con una norma statale che, per quanto considerato, deve avere la prevalenza».

In argomento non può che ribadirsi l’irrilevanza della finalità del porto – anche in pubblico – di tale coltello, poiché l’ordinamento giuridica considera la destinazione oggettiva dello strumento, rinveniente dalle sue caratteristiche fisiche, non il soggettivo significato che il titolare vi riconosce.

Si tratta, a tutti gli effetti, di un’arma bianca, pericolosa per la sicurezza pubblica, che costituisce motivo sufficiente per lo Stato di non riconoscere l’Associazione ricorrente.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
Giovanni Mastrocola
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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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Posto qui questa sentenza perché parla dei luoghi di culto/preghiera e che possono essere anche in casa propria senza alcun problema di legge. Per tanto potrebbe interessare anche a noi FF.PP. che potremmo essere chiamati ad intervenire a seguito di lamentale di cittadini/vicinato.
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Associazione Dialogo e Convivenza
è una associazione culturale costituita fra cittadini marocchini di fede islamica.

divieto di effettuare attività di culto (preghiera del venerdì) presso il locale seminterrato del condominio, in origine con destinazione d’uso ad uffici.

1) - Nello stesso ricorso introduttivo, l’Associazione propone altresì domanda di risarcimento del danno non patrimoniale che il provvedimento in questione le avrebbe arrecato, in quanto emesso con “intenti vessatori… connotati da pregiudizio razziale e religioso” e lesivo di un diritto costituzionalmente garantito.

2) - Resiste il Comune, ....., in cui chiede che il ricorso sia respinto nel merito, sostenendo che il locale per cui è causa sarebbe in realtà una moschea vera e propria, e come tale dovrebbe necessariamente essere assentita da uno specifico permesso di costruire, nella specie mancante.

IL TAR CHIARISCE BRESCIA:

3) - Ciò posto, va ribadito il rilievo valorizzato per cui nel nostro ordinamento, ai sensi del noto art. 19 della Costituzione, nessun soggetto può ordinare ad altro, in sintesi estrema, di non pregare a casa propria. Identico precetto, va aggiunto per completezza, si desume dall’ordinamento europeo, cui ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost. il nostro si conforma: in primo luogo, la libertà di religione e di culto è riconosciuta anche dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955 n°848; in secondo luogo, la libertà di religione è riconosciuta anche dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, o Carta di Nizza, 7 dicembre 2000, che come è noto ha ora il medesimo valore giuridico dei Trattati europei, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007.

4) - In tal senso, la difesa del Comune intimato ha continuato a fondarsi su un presupposto diverso, che però all’evidenza non può ricavarsi a fronte di un dispositivo del provvedimento che dice altro. Il Comune deduce infatti che il locale per cui è causa, legittimamente adibito a sede dell’associazione ricorrente, sarebbe in fatto adibito ad altro uso, a sede dedicata di culto islamico ovvero a moschea, uso per il quale, a differenza che per la sede di una associazione........

5) - In tal senso, deve allora osservarsi che il Comune è senz’altro titolare dell’astratto potere di sanzionare l’uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l’uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza già richiamata e che qui si riproduce –in tal senso C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2011, n°683- e dalla prassi, che pure si torna a citare – in tal senso il parere al Ministero dell’Interno espresso il 27 gennaio 2011 dal Comitato per l’Islam italiano- per ravvisare la presenza di una moschea in senso rilevante per le norme edilizie e urbanistiche sono necessari due requisiti, l’uno intrinseco, dato dalla presenza di determinati arredi e paramenti sacri, l’altro estrinseco, dato dal dover accogliere “tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano”

6) - Allo stesso modo, si ribadisce, una chiesa consacrata nei termini della religione cattolica, e anche di altri culti, può esistere anche all’interno di una proprietà privata -come nel caso delle cappelle gentilizie, di conventi o di istituti, dove è ben possibile dir regolarmente Messa- ma non assume rilievo urbanistico edilizio sin quando non permetta il libero accesso dei fedeli. Pertanto, l’uso incompatibile potrebbe verificarsi nel caso in cui l’accesso per la libera attività di preghiera fosse non riservato ai membri dell’associazione, ma indiscriminato, perché è in quest’ultimo caso che si verifica l’aumento di carico urbanistico da valutare in sede di rilascio del permesso di costruire, fermo che ciò dovrebbe essere in concreto accertato dall’autorità, attraverso una corretta e completa istruttoria.

7) - Va quindi accolta la domanda di annullamento del provvedimento .... per cui è causa, e rimane da scrutinare se vada accolta la contestuale domanda risarcitoria, che è espressamente qualificata come relativa a un danno non patrimoniale da liquidare secondo equità.

8) - In proposito, va allora premesso che la domanda è in astratto ammissibile, in quanto nel nostro ordinamento, a partire dalle note sentenze Cass. civ. sez. III 31 luglio 2003 nn° 8827 e 8828 nonché Cass. S.U. 11 novembre 2008 n°26972, è riconosciuta la possibilità di risarcire ai sensi dell’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale che colpisca interessi della persona collegati a diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, quale è la libertà di religione, né si dubita, per giurisprudenza costante che non richiede come tale citazioni, che esso possa spettare anche ad enti giuridici.

9) - Nel caso di specie, poi, la domanda è fondata nel merito. Del danno risarcibile sussiste anzitutto l’elemento oggettivo, ovvero l’ingiusta lesione all’interesse di cui si è detto, da ritenersi in quanto operata con il provvedimento illegittimo qui annullato. Sussiste poi l’elemento soggettivo, poiché il rispetto della libertà di religione è patrimonio culturale di qualunque persona media, sì che non si può ipotizzare, in mancanza di circostanze particolari per vero nemmeno allegate, che la lesione qui operata sia frutto di ignoranza scusabile.

10) - In proposito va valutato anche il complessivo atteggiamento dell’amministrazione, che come riportato in narrativa ha dapprima condizionato in modo illegittimo il rilascio del permesso di costruire concernente la sede dell’associazione, poi ha adottato l’ordinanza qui impugnata a seguito di interventi diretti e puntuali sul caso concreto del Sindaco nei confronti del Dirigente competente, interventi nella prassi quantomeno inusuali, oltre che non rispettosi del riparto delle competenze previsto dalla legge. Da tutto ciò, ragionevolmente, si desume un certo accanimento, appunto non compatibile con la buona fede ispirata da ignoranza scusabile.

11) - Il danno cagionato va liquidato in termini equitativi, nella somma simbolica di mille euro di cui al dispositivo, maggiorata degli accessori di legge.

Per completezza vi invito ha leggere il tutto qui sotto.

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29/05/2013 201300522 Sentenza 1


N. 00522/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01121/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1121 del 2012, proposto da:
Associazione Dialogo e Convivenza, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Collia, Giuseppe Zonca, con domicilio eletto presso Filippo Collia in Brescia, p.za Vittoria, 11 (Fax=030/3755748);

contro
Comune di Cologne, rappresentato e difeso dagli avv. Fiorenzo Bertuzzi, Silvano Venturi, Gianpaolo Sina, con domicilio eletto presso Fiorenzo Bertuzzi in Brescia, via Diaz, 9;

per l’annullamento, previa sospensione,
del provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 e n°54/2012 del registro ordinanze, notificato il 1 ottobre 2012, con il quale il Responsabile dell’area tecnica del Comune di Cologne ha ingiunto all’Associazione Dialogo e Convivenza il divieto di effettuare attività di culto (preghiera del venerdì) presso il locale seminterrato del condominio Edera, sito in Cologne alla via Antonelli 38, censito al catasto al foglio 14 mappale 1 subalterni 99 e 100, a decorrere dalla data di notifica;
di ogni atto presupposto, conseguente e comunque connesso;
nonché per la condanna
dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cologne;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
L’Associazione Dialogo e Convivenza, odierna ricorrente, è una associazione culturale costituita fra cittadini marocchini di fede islamica, la quale è proprietaria dell’immobile meglio indicato in epigrafe, un seminterrato di circa 700 mq sito in Cologne, al n°38 della via Antonelli (v. in particolare la memoria finale dell’associazione 20 aprile 2013 p.1; si tratta di fatti non contestati in causa) in origine con destinazione d’uso ad uffici; per adibirlo a propria sede, ha quindi richiesto il rilascio del permesso di costruire necessario a variarne in tal senso la destinazione suddetta, e lo ha ottenuto all’esito di un contenzioso definito con la sentenza di questo Tribunale, sezione I, 22 settembre 2011 n°1320 (doc. 3 Comune, copia di essa).

In particolare, l’Associazione ha, in dichiarata ottemperanza a tale sentenza, ottenuto il rilascio di un primo permesso di costruire, 20 ottobre 2011 prot. n°15548, “condizionatamente all’esito dell’appello proposto avverso alla [testuale] sentenza del TAR di Brescia n°1320/2011 del 22 settembre 2011, con espresso divieto, ai sensi della sentenza del TAR di Brescia n°1320/2011 del 22 settembre 2011, di destinare i locali a luogo di culto ovvero a qualsivoglia attività cultuale, con espressa limitazione al numero massimo di accesso di n°162 persone come da ordinanza n°40 del 10 agosto 2008 n°12130” (doc. 3 ricorrente, copia provvedimento in questione, da cui la citazione); a fronte di ciò, ha fatto rilevare, con lettera 28 ottobre 2011, di ritenere illegittime tali prescrizioni (doc. 4 ricorrente, copia lettera) ed ha infine ottenuto il provvedimento di rettifica 22 novembre 2011 prot. n°17275, che il permesso di costruire rilascia senza alcuna delle condizioni citate (doc. 5 ricorrente, copia provvedimento).

Successivamente, nondimeno, l’Associazione, all’esito di un sopralluogo ivi disposto in data 6 aprile 2012 (doc. 6 ricorrente, copia avviso di avvio del procedimento, ove se ne fa menzione), ha ricevuto l’ordinanza di cui meglio in epigrafe, che testualmente le fa “divieto di effettuare attività di culto (preghiera del venerdì)” presso l’immobile in questione (doc. 1 ricorrente, copia ordinanza).

Avverso tale ordinanza, l’Associazione insorge quindi nella presente sede, con ricorso articolato in tre censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti due motivi:

- con il primo di essi, corrispondente alle censure prima e terza alle pp. 4 e 7 dell’atto, deduce eccesso di potere per falso presupposto, in quanto presso l’immobile in questione non sarebbe avvenuta alcuna attività sanzionabile, dato che i membri dell’associazione si limitano, in modo compatibile con la destinazione urbanistica di esso, a svolgervi la preghiera caratteristica della loro religione, senza averlo per ciò trasformato in moschea, ovvero in luogo di pubblico culto;

- con il secondo motivo, deduce violazione dell’art.31 del T.U. 6 giugno 2001 n°380, nel senso che, dato e non concesso che l’immobile in parola sia effettivamente stato trasformato in luogo di culto, la sanzione per ciò prevista non si identificherebbe con il divieto di pregare di cui al provvedimento.

Nello stesso ricorso introduttivo, l’Associazione propone altresì domanda di risarcimento del danno non patrimoniale che il provvedimento in questione le avrebbe arrecato, in quanto emesso con “intenti vessatori… connotati da pregiudizio razziale e religioso” (p. 9 ricorso secondo rigo) e lesivo di un diritto costituzionalmente garantito.

Con memoria 20 aprile 2013, l’Associazione ha ribadito le proprie asserite ragioni.

Resiste il Comune, con memorie 27 ottobre 2012 e 30 aprile 2013, in cui chiede che il ricorso sia respinto nel merito, sostenendo che il locale per cui è causa sarebbe in realtà una moschea vera e propria, e come tale dovrebbe necessariamente essere assentita da uno specifico permesso di costruire, nella specie mancante.

La Sezione ha accolto la domanda cautelare con ordinanza 31 ottobre 2012 n°483, confermata in appello da C.d.S. sez. VI 14 gennaio 2013 n°76, e alla udienza del 22 maggio 2013 ha da ultimo trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO
1. Il ricorso è fondato tanto nella domanda di annullamento quanto nella domanda risarcitoria, nei termini di cui appresso.

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati, per le ragioni già esposte in sede di ordinanza cautelare. Il provvedimento impugnato, come risulta dal dispositivo di esso riportato testualmente in epigrafe (doc. 1 ricorrente, cit. terzultimo periodo), vieta puramente e semplicemente di svolgere nel locale ivi indicato la “attività di culto” specificata come “preghiera del venerdì”, senza far ciò dipendere da una particolare modalità con la quale essa venga eventualmente esplicata in rapporto alle caratteristiche urbanistiche edilizie dell’immobile in cui essa si svolge, pacificamente di proprietà della ricorrente.

3. Ciò posto, va ribadito il rilievo valorizzato per cui nel nostro ordinamento, ai sensi del noto art. 19 della Costituzione, nessun soggetto può ordinare ad altro, in sintesi estrema, di non pregare a casa propria.

Identico precetto, va aggiunto per completezza, si desume dall’ordinamento europeo, cui ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost. il nostro si conforma: in primo luogo, la libertà di religione e di culto è riconosciuta anche dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955 n°848; in secondo luogo, la libertà di religione è riconosciuta anche dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, o Carta di Nizza, 7 dicembre 2000, che come è noto ha ora il medesimo valore giuridico dei Trattati europei, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007.

4. In tal senso, la difesa del Comune intimato ha continuato a fondarsi su un presupposto diverso, che però all’evidenza non può ricavarsi a fronte di un dispositivo del provvedimento che dice altro. Il Comune deduce infatti che il locale per cui è causa, legittimamente adibito a sede dell’associazione ricorrente, sarebbe in fatto adibito ad altro uso, a sede dedicata di culto islamico ovvero a moschea, uso per il quale, a differenza che per la sede di una associazione, è richiesto il permesso di costruire ai sensi dell’art. 52 comma 3 ter della l.r. Lombardia 12/2005, nella specie mancante.

5. In tal senso, deve allora osservarsi che il Comune è senz’altro titolare dell’astratto potere di sanzionare l’uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l’uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza già richiamata e che qui si riproduce –in tal senso C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2011, n°683- e dalla prassi, che pure si torna a citare – in tal senso il parere al Ministero dell’Interno espresso il 27 gennaio 2011 dal Comitato per l’Islam italiano- per ravvisare la presenza di una moschea in senso rilevante per le norme edilizie e urbanistiche sono necessari due requisiti, l’uno intrinseco, dato dalla presenza di determinati arredi e paramenti sacri, l’altro estrinseco, dato dal dover accogliere “tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano”(così il parere stesso).

6. Allo stesso modo, si ribadisce, una chiesa consacrata nei termini della religione cattolica, e anche di altri culti, può esistere anche all’interno di una proprietà privata -come nel caso delle cappelle gentilizie, di conventi o di istituti, dove è ben possibile dir regolarmente Messa- ma non assume rilievo urbanistico edilizio sin quando non permetta il libero accesso dei fedeli. Pertanto, l’uso incompatibile potrebbe verificarsi nel caso in cui l’accesso per la libera attività di preghiera fosse non riservato ai membri dell’associazione, ma indiscriminato, perché è in quest’ultimo caso che si verifica l’aumento di carico urbanistico da valutare in sede di rilascio del permesso di costruire, fermo che ciò dovrebbe essere in concreto accertato dall’autorità, attraverso una corretta e completa istruttoria.

7. Va quindi accolta la domanda di annullamento del provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 per cui è causa, e rimane da scrutinare se vada accolta la contestuale domanda risarcitoria, che è espressamente qualificata (ricorso, p. 9 settimo rigo dal basso) come relativa a un danno non patrimoniale da liquidare secondo equità.

8. In proposito, va allora premesso che la domanda è in astratto ammissibile, in quanto nel nostro ordinamento, a partire dalle note sentenze Cass. civ. sez. III 31 luglio 2003 nn° 8827 e 8828 nonché Cass. S.U. 11 novembre 2008 n°26972, è riconosciuta la possibilità di risarcire ai sensi dell’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale che colpisca interessi della persona collegati a diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, quale è la libertà di religione, né si dubita, per giurisprudenza costante che non richiede come tale citazioni, che esso possa spettare anche ad enti giuridici.

9. Nel caso di specie, poi, la domanda è fondata nel merito. Del danno risarcibile sussiste anzitutto l’elemento oggettivo, ovvero l’ingiusta lesione all’interesse di cui si è detto, da ritenersi in quanto operata con il provvedimento illegittimo qui annullato. Sussiste poi l’elemento soggettivo, poiché il rispetto della libertà di religione è patrimonio culturale di qualunque persona media, sì che non si può ipotizzare, in mancanza di circostanze particolari per vero nemmeno allegate, che la lesione qui operata sia frutto di ignoranza scusabile.

10. In proposito va valutato anche il complessivo atteggiamento dell’amministrazione, che come riportato in narrativa ha dapprima condizionato in modo illegittimo (doc. ti 3-5 ricorrente, cit.) il rilascio del permesso di costruire concernente la sede dell’associazione, poi ha adottato l’ordinanza qui impugnata a seguito di interventi diretti e puntuali sul caso concreto del Sindaco nei confronti del Dirigente competente (doc. ti ricorrente 9-11, copie carteggio in merito), interventi nella prassi quantomeno inusuali, oltre che non rispettosi del riparto delle competenze previsto dalla legge. Da tutto ciò, ragionevolmente, si desume un certo accanimento, appunto non compatibile con la buona fede ispirata da ignoranza scusabile.

11. Il danno cagionato va liquidato in termini equitativi, nella somma simbolica di mille euro di cui al dispositivo, maggiorata degli accessori di legge.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) accoglie la domanda di annullamento e per l’effetto annulla il provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 e n°54/2012 del registro ordinanze del Responsabile dell’area tecnica del Comune di Cologne;

b) accoglie la domanda risarcitoria e per l’effetto condanna il Comune di Cologne a corrispondere alla Associazione Dialogo e Convivenza a titolo di ristoro del danno non patrimoniale la somma di € 1.000 (mille/00), oltre interessi e rivalutazione dalla data della presente sentenza al saldo;

c) condanna il Comune di Cologne a rifondere alla Associazione Dialogo e Convivenza le spese del presente giudizio, spese che liquida in € 3.000 (tremila/00) oltre quanto già liquidato per la fase cautelare, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 29/05/2013
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Se può interessare a qualche vostro famigliare/parente.

ricostruzione carriera - non valutabilità in carriera servizio svolto in qualità di assistente di scuola materna.

Insegnanti.

Ricorso ACCOLTO.
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17/06/2013 201300414 Sentenza 1


N. 00414/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02018/2000 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2018 del 2000, proposto da:
F. N., - D. L., - R. S., - A. M., - E. A., rappresentate e difese dagli avv. Demetrio Spanti, Giovanni Violi, con domicilio eletto presso Giovanni Violi Avv. in Reggio Calabria, via P. Pellicano, 18;

contro
Ministero della Pubblica Istruzione, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15; Provveditorato agli Studi di Reggio Calabria;

per l'annullamento
dei provvedimenti emessi dal Provveditorato agli studi di Reggio Calabria prot. n 60560 del 24 luglio 2000 e prot. n. 62701 del 4 agosto 2000, aventi ad oggetto "ricostruzione carriera - non valutabilità in carriera servizio svolto in qualità di assistente di scuola materna"; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;

per l'accertamento
del diritto delle ricorrenti al riconoscimento del servizio prestato in qualità di assistenti di scuola materna con conseguente ricostruzione della carriera ai fini economici e giuridici, quantificando le differenze economiche dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Pubblica Istruzione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2013 il dott. Ettore Leotta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1) Le Insegnanti indicate in epigrafe sono state assunte in qualità di assistenti di scuola materna statale di ruolo, prestando servizio con tale qualifica dall’1 settembre 1974 al 30 agosto 1977.

A seguito della soppressione del ruolo di appartenenza, disposto dall’art. 8 della L. 9 agosto 1978, n. 463, le predette dipendenti sono state nominate nel ruolo delle insegnanti di scuola materna statale, con effetto ai fini giuridici dall’1 settembre 1977 ed economici dall’1 settembre 1979.

Con due separate istanze le predette insegnanti hanno chiesto all’Amministrazione scolastica il riconoscimento, ai fini della progressione economica e della carriera, del servizio prestato con la qualifica di assistente di scuola materna statale, ma con le note indicate in epigrafe il Provveditore agli Studi di Reggio Calabria ha denegato tale beneficio, affermando che in servizio prestato nel ruolo di provenienza non poteva essere computato ai sensi dell’art. 2 del D.L. n. 370/1970, che la sentenza del Tar Liguria n. 869/1998, richiamata dalle dipendenti per sostenere le proprie ragioni, produceva effetti solo tra le parti, e che il Ministero della Pubblica Istruzione non aveva emanato disposizioni applicative al riguardo.

Con ricorso notificato 11 settembre 2000, depositato il 15 settembre 2000, le interessate hanno impugnato i provvedimenti di diniego prima indicati, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.
Con decreto n. 1264 del 21 giugno 2012 il ricorso è stato dichiarato perento.

Le sole ricorrenti R. S., nata a ……. 1937, A. M., nata a …… 1933 e E. A., nata a …….. 1931, con atto sottoscritto personalmente e dai difensori, depositato il 4 febbraio 2013, hanno dichiarato di avere ancora interesse alla trattazione della causa.

Conseguentemente, con decreto n. 241 dell’8 marzo 2013 il Presidente della Sezione staccata ha revocato il decreto di perenzione esclusivamente nei confronti delle predette tre ricorrenti.

Alla pubblica udienza del 5 giugno 2013 la causa è passata in decisione.

2) L’art. 8 della L. 9 agosto 1978, n. 463 ha disposto quanto segue:
“Con decorrenza dall'inizio dell'anno scolastico 1982-83, i ruoli provinciali delle assistenti delle scuole materne statali, di cui all'articolo 2, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 420 , sono soppressi.

Con decorrenza, ai soli effetti giuridici, dall'inizio dell'anno scolastico 1977-78, le assistenti incaricate a tempo indeterminato, non fornite dei titoli di studio di cui al precedente articolo 7, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, sono nominate nei predetti ruoli provinciali.

Le assistenti dei predetti ruoli provinciali svolgono le mansioni stabilite dall'articolo 4 del citato decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 420 , nell'ambito della provincia di servizio, con assegnazione alle scuole materne in cui si riscontrino maggiori necessità, anche in relazione al numero delle sezioni ed all'orario di funzionamento delle stesse.

Le assistenti, qualora conseguano il titolo di studio di cui al precedente articolo 7 e la prescritta abilitazione all'insegnamento, sono nominate nei ruoli delle insegnanti delle scuole materne statali, a decorrere dall'inizio dell'anno scolastico successivo.

L'assegnazione della sede alle assistenti di cui al precedente comma è disposta dopo quella delle vincitrici del concorso in occasione del quale hanno conseguito l'abilitazione.

Le assistenti che conseguono il titolo di studio di cui al precedente articolo 7 sono utilizzate come insegnanti di scuola materna.

I posti di assistente che si rendano comunque disponibili e vacanti a partire dall'anno scolastico 1978-79 sono soppressi.

In relazione al progressivo esaurimento dei ruoli provinciali le mansioni affidate alle assistenti sono attribuite alle insegnanti.

Con effetto dalla stessa data di soppressione dei ruoli provinciali ai sensi del precedente primo comma, le assistenti che non conseguono il titolo di studio e la prescritta abilitazione sono iscritte, anche in soprannumero, nei ruoli provinciali della carriera esecutiva contemplati nell'articolo 2, comma terzo, del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, numero 420 , compatibilmente con il titolo professionale eventualmente richiesto.

Per l'iscrizione nei suddetti ruoli si applicano i criteri di cui ai commi quinto, sesto e settimo dell'articolo 29 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, numero 420”.

In sostanza, la disposizione di legge riportata ha contemplato, con varie decorrenze:

- la soppressione del ruolo delle assistenti di scuola materna statale;

- la nomina in qualità di insegnati di scuola materna statale delle assistenti in possesso del titolo di studio di cui alla legge 18 marzo 1968, n. 444, nonché dell’abilitazione all'insegnamento;

- l’iscrizione, anche in soprannumero, nei ruoli provinciali della carriera esecutiva contemplati nell'art. 2, comma 3, del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 420 , delle assistenti che non abbiano conseguito il titolo di studio e la prescritta abilitazione.

Ciò premesso, il Collegio deve stabilire se alle assistenti transitate nel ruolo delle insegnanti di scuola materna statale possa essere riconosciuto o meno, ai fini della progressione economica e della carriera, il servizio prestato nel ruolo di provenienza.

Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con decisione del 10 maggio 2006, n. 2583 (che ha confermato la sentenza di questo Tribunale n. 1871/2000), ha affermato che la questione sottoposta all’esame del Collegio deve essere affidata ad un’interpretazione dell’art. 8 della legge n. 463/1978, che eviti vistose disparità di trattamento tra soggetti contemplati dalla stessa legge.

Secondo il Giudice di appello, in base alla norma richiamata, le mansioni di assistente e quelle di insegnante sono sostanzialmente omogenee, tanto è vero che “le mansioni affidate alle assistenti sono attribuite alle insegnanti” (comma 7).

Osserva il Consiglio di Stato che « Tale omogeneità di mansioni, che è situazione diversa dalla equiparabilità tra le qualifiche di assistente e di insegnante …, implica che il legislatore abbia ipotizzato una sorta di continuità tra le due diverse situazioni professionali (assistente di scuola materna, prima;

insegnante di scuola materna, dopo), la prima delle quali è stata eliminata per essere assorbita dalla seconda, come dimostrato dal fatto che le assistenti, munite dei requisiti prescritti, sono "nominate nei ruoli delle scuole materne statali" (art. 8, comma 4).

Questo elemento … deve essere considerato alla stregua di quanto previsto dall'art. 8, comma 9, in relazione alla situazione delle assistenti "che non conseguono il titolo di studio e la prescritta abilitazione", le quali, "con effetto dalla stessa data di soppressione dei ruoli provinciali ai sensi del precedente primo comma, sono iscritte, anche in soprannumero, nei ruoli provinciali della carriera esecutiva contemplati nell'articolo 2, comma terzo, del d.p.r. 31 maggio 1974 n. 420, compatibilmente con il titolo professionale eventualmente richiesto".

Questa iscrizione "nei suddetti ruoli" avviene con l'applicazione dei criteri di cui ai commi quinto, sesto e settimo dell'articolo 29 della stesso d.p.r. n. 420/1974, vale a dire con il riconoscimento dell'anzianità.

Ora, se le assistenti, munite dei requisiti prescritti, sono inserite nei ruoli delle insegnanti di scuole materne, e le loro mansioni sono considerate sostanzialmente equivalenti a quelle di queste ultime, e se ancora le assistenti, prive di titolo di studio e di abilitazione, sono iscritte nei ruoli provinciali della carriera esecutiva, perché rispondente alla loro particolare situazione che le assimila completamente agli impiegati esecutivi, non è dato intravedere la ragione della disparità di trattamento, che si verrebbe a determinare, con l'interpretazione della Amministrazione, tra le due categorie di ex assistenti: le prime, munite di titolo di studio e abilitazione, sono equiparate alle insegnanti, tanto da essere inserite nei ruoli delle insegnanti delle scuole materne, ma senza che venga loro riconosciuta l'anzianità maturata; le seconde, che non hanno potuto essere inserite nei ruoli delle insegnanti, perché prive dei necessari requisiti, sono iscritte nei ruoli della carriera esecutiva in virtù della completa omogeneità delle mansioni svolte (prima e dopo la soppressione dei ruoli delle assistenti), con il riconoscimento però della anzianità maturata ».

Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza successiva (Cfr. Cons. Stato, VI, 3 marzo 2010, n. 1233) e da esso il Collegio non ha motivo di discostarsi.

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorso in esame deve essere accolto e va conseguentemente disposto l’annullamento dell’impugnato provvedimento di diniego, limitatamente alla posizione delle ricorrenti R. S., - A. M. e E. A..

Ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera C) c.p.a. il Tribunale fa obbligo all’Amministrazione di procedere, con effetto dalla data di nomina nel ruolo delle insegnanti, alla ricostruzione della carriera delle tre predette ricorrenti, tenendo conto del servizio di ruolo reso in qualità di assistente di scuola materna statale, e di corrispondere le relative differenze retributive e previdenziali, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze mensili all’effettivo soddisfo, da riconoscersi anche in assenza di un’esplicita domanda al riguardo, trattandosi di crediti di lavoro (Cfr. Cassazione Lavoro, 1 dicembre 2008, n. 28513).

Rivalutazione ed interessi dovranno essere determinati applicando i criteri e le modalità di calcolo dettati dal Decreto del Ministro del Tesoro 1 settembre 1998, n. 352, con le precisazioni che seguono.

Poiché tale D.M. è stato emanato in applicazione dell’art. 22, comma 36, della L. 23 dicembre 1994 n. 724, ed un regolamento di attuazione non può disciplinare un periodo temporale diverso da quello cui si applica la norma primaria, il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti non può che essere riferito agli emolumenti maturati a decorrere dall’1 gennaio 1995, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza del giudice di appello (Cfr. Cons. Stato, VI, 1 ottobre 2002, n. 5091; idem, VI, 7 agosto 2003, n. 4543).

Conseguentemente, per le somme maturate fino al 31 dicembre 1994 continua a valere la regola del cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Nel caso in cui si debba dare luogo al cumulo di rivalutazione ed interessi legali, la giurisprudenza amministrativa (Cfr. Cons. Stato, A.P. 15 giugno 1998, n. 3; idem, VI, 10 novembre 1999, n. 1798; idem, VI, 3 febbraio 2000, n. 636) ha statuito che gli interessi e la rivalutazione devono essere calcolati separatamente sulle somme nominali originariamente dovute alle singole scadenze, rappresentando entrambi delle tecniche liquidatorie del danno in conseguenza del ritardato pagamento. Pertanto sugli importi dovuti quale rivalutazione non devono essere calcolati né gli interessi, né la rivalutazione ulteriore; analogamente, sugli importi dovuti a titolo di interessi non vanno computati ancora interessi e rivalutazione.

A seguito delle ricostruzione della carriera, l’Amministrazione scolastica effettuerà le comunicazioni di legge all’INPS (ex ENPAS), ai fini della rideterminazione della base di calcolo del trattamento pensionistico e del trattamento di fine rapporto (TFR) spettanti alle interessate.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, limitatamente alla posizione delle ricorrenti R. S., - A. M. e E. A., e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati, con le prescrizioni di cui in motivazione.

Condanna l’Amministrazione intimata al pagamento degli onorari e delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille) oltre oneri tributari e previdenziali nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Leotta, Presidente, Estensore
Caterina Criscenti, Consigliere
Valentina Santina Mameli, Referendario


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





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Ior

Ior: arrestato monsignor Scarano

(ANSA) - ROMA, 28 GIU - Mons. Nunzio Scarano, responsabile del servizio di contabilita' analitica dell'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) che gestisce i beni della Santa Sede, e' stato arrestato, insieme ad altre persone, nell'ambito di uno dei filoni dell'inchiesta romana sullo Ior. I reati sono truffa, corruzione e calunnia per un accordo per far rientrare dalla Svizzera 20 milioni cash a bordo di un jet privato. Scarano e' coinvolto a Salerno in un'altra indagine per ricettazione.
28 giugno 2013

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Inchiesta Ior: in carcere per corruzione un alto prelato, un funzionario dei servizi segreti e un broker

Nuovo scandalo attorno all’Istituto per le Opere religiose: un sacerdote, con cariche di rilievo, un funzionario dell'Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna e un broker sono finiti in carcere nell'ambito di un filone dell'inchiesta della procura di Roma sull’istituto di credito vaticano. Il provvedimento cautelare è stato firmato dal Gip, Barbara Callari su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei sostituti Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci. Le accuse, a seconda delle posizioni, sono di truffa ai danni dello Stato, calunnia e corruzione.
Arresti eseguiti dalla Finanza - L'ordinanza di custodia cautelare eseguite dalla Guardia di Finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, riguardano: Monsignor Nunzio Scarano, responsabile del servizio di contabilità analitica dell'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l'organismo che gestisce i beni della Santa Sede; il funzionario dell'Aisi Giovanni Maria Zito e il broker Giovanni Carinzo. La complessa vicenda che coinvolge i tre indagati riguarda essenzialmente il rientro dalla Svizzera di una elevata somma di denaro a bordo di un jet privato. Gli accertamenti sul caso sono coordinati dal procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi.
L'accordo per il rientro fi capitali dall'estero - Scarano, tra l'altro, è coinvolto a Salerno in un'altra indagine per ricettazione. Tra i reati contestati, oltre alla truffa ed alla corruzione anche la calunnia. La vicenda giudiziaria ruota intorno ad un accordo tra Scarano e Zito finalizzata a far rientrare dalla Svizzera 20 milioni cash di proprietà di alcuni amici del monsignore a bordo di un jet privato. Per questo "servizio", Zito avrebbe ricevuto 400 mila euro.

28 giugno 2013

Redazione Tiscali
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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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Contributo scolastico, MDC: “Informazioni poco chiare alle famiglie”


Anche se è tempo di vacanze estive, i genitori devono già pensare a iscrivere a scuola i propri figli. Ed ecco che nei moduli d’iscrizione, campeggiano in bella vista i bollettini prestampati con la dicitura “contributi scolastici volontari” e la richiesta di un versamento che va dai 50 ai 100 euro a famiglia. Nonostante si tratti di un contributo volontario, molte scuole presentano la richiesta come se fosse una norma obbligatoria. Il Movimento Difesa del Cittadino condanna questo comportamento e invita i cittadini a denunciarlo.

Seppur sia stato chiarito più volte e ribadito anche da una circolare del MIUR nel mese di marzo che il contributo ha una natura esclusivamente volontaria, non sempre l’Istituto scolastico chiarisce alle famiglie questo aspetto, presentando la richiesta come una norma vigente la cui sottrazione comporterà inevitabilmente pesanti ricadute sulla formazione e sulla vita scolastica dei propri figli.

MDC fa sapere che sono già tante le segnalazioni che in questi giorni arrivano all’Associazione da parte delle famiglie sempre più confuse e spaventate da un contributo che diventa in molti casi una pretesa.

“Il rispetto concreto e morale della dicitura contributo volontario deve essere una regola dalla quale non si prescinde – si legge in una nota dell’Associazione – atteggiamenti simili da parte delle istituzioni scolastiche diventano dei veri e propri ricatti se non atti di sciacallaggio ai danni delle famiglie. Posto l’imprescindibile diritto alla gratuità d’accesso per le classi d’istruzione obbligatoria (scuola primaria e secondaria di primo grado e primo, secondo e terzo anno dei corsi di studio degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado), la famiglia ha il diritto di poter scegliere se destinare o meno la quota alla scuola oltre che di essere informata della gestione finale della somma versata”.

MDC ricorda infatti che il contributo non può riguardare in nessun caso lo svolgimento ordinario di attività curriculari, dovere e obbligo della scuola, ma solo interventi di ampliamento dell’offerta formativa. “L’Istituto deve presentare in maniera chiara e trasparente la richiesta e chiarirne l’effettiva destinazione – continua MDC – in caso contrario ci troviamo di fronte a una pratica scorretta non differente dagli abusi che ogni giorno riguardano milioni di utenti vittime di truffe e raggiri”.
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Re: Scuola, i Prof di relig. potranno contrib. al credito

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statuto della Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste

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31/07/2013 201302876 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 24/07/2013


Numero 03569/2013 e data 31/07/2013


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 24 luglio 2013


NUMERO AFFARE 02876/2013

OGGETTO:
Ministero dell'Interno.

Richiesta di parere sul nuovo statuto della Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste, approvato dall’Assemblea dei confratelli il 10 ottobre 2010.

LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota prot. n. 1946 del 5 luglio 2013, con la quale il Ministero dell'Interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Elio Toscano;

Premesso.
Il Ministero dell’interno espone che la "Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste", avente sede in Trieste, è un ente di culto diverso dal cattolico, dotato di personalità giuridica in forza di atto dell'imperatrice d'Austria del 20 febbraio 1751. Il relativo statuto, approvato con d.P.R. 21 novembre 1966, è stato successivamente modificato con i decreti presidenziali 7 agosto 1968, 13 aprile 1972 e, da ultimo, 29 marzo 1989.

Con istanza del 5 maggio 2011, il legale rappresentante dell’Ente religioso ha chiesto l'approvazione del nuovo statuto, votato dall'Assemblea straordinaria dei confratelli il 10 ottobre 2010 e redatto con atto pubblico del 5 aprile 2011, repertorio n. 59125, a rogito del notaio Umberto Cavallini di Trieste.

Nella relazione sottoscritta dal presidente e legale rappresentante pro tempore della Comunità si chiarisce che le modifiche introdotte allo statuto si sono rese necessarie per: a) precisare con più chiarezza la completa autonomia giuridica, amministrativa e patrimoniale dell'ente dalla Chiesa Serbo-Ortodossa con sede in Belgrado e, al contempo, affermare il rispetto delle delibere del Concilio dei Vescovi della Chiesa Serbo-Ortodossa riguardo all'appartenenza diocesana dell'ente senza che quest'ultimo debba modificare il proprio statuto (artt. 2 e 13); b) fissare limiti alla rieleggibilità del presidente (art. 29); c) definire regole circostanziate che correlino il numero dei membri del Consiglio, organo di governo dell'Ente, all'entità dei fedeli della comunità (art. 31); d) riformulare le norme concernenti il modo di essere e l'operato della Scuola nazionale serba di Trieste al fine di renderle conformi alla vigente normativa scolastica italiana (artt. 53-57).

Nel richiedere il parere del Consiglio di Stato, l’Amministrazione, conformandosi all’avviso della Prefettura di Trieste, non ha formulato osservazioni.

Considerato.
La Sezione rileva preliminarmente che le varianti allo statuto della Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste, di cui è richiesta l’approvazione, non modificano le finalità di culto nell’organizzazione dell’Ente considerato, sicché risulta confermata l’applicabilità a detta Comunità della disciplina speciale sui c.d. “culti ammessi”, prevista dalla legge 24 giugno 1929 n. 1159 e dalle relative norme di attuazione di cui al r.d. 28 febbraio 1930 n. 289.

Passando, quindi, all’esame di merito del testo dello statuto, si considera che le varianti introdotte nel capitolo I° “Disposizioni generali”(artt. da 1 a 13) sono coerenti con l’obiettivo dichiarato di segnare più marcatamente la distinzione tra il profilo confessionale, relativamente al quale viene ribadita la soggezione della Comunità alla giurisdizione esclusiva della Chiesa Serbo-Ortodossa di Belgrado, e il profilo proprio dell’ente ecclesiastico dotato di personalità giuridica e sottoposto alla legislazione dello Stato quanto agli aspetti patrimoniali, societari, e amministrativi.

Va pure evidenziato l’inserimento tra gli organi della Comunità del Consiglio dei revisori (Capitolo II, art. 14), non previsto nello statuto vigente, preposto, come specificato all’art. 72, al controllo della regolarità dell’operato finanziario degli organi di amministrazione, anche sotto il profilo della più rigorosa economia.

Si tratta, peraltro, di organo necessario a dare concretezza alla progressiva assimilazione dell’ente religioso nell’ambito del diritto comune, con il conseguente venir meno di privilegi e singolarità non più compatibili con l'ordinamento statuale.

Meritano, altresì, di essere richiamate le disposizioni, riunite nei Capitoli III, IV. V e VI, che regolano il funzionamento degli organi della Comunità, la distribuzione delle competenze e le limitazioni alla rieleggibilità, in quanto orientate a improntare a maggiore trasparenza l’attività dell’Ente e a limitare la cristallizzazione di posizioni di privilegio.

Relativamente al personale impiegato alle dipendenze dalla Comunità (Cap. VII), all’art. 47 si afferma il principio dell’allineamento dei relativi emolumenti mensili al trattamento previsto dalle leggi della Repubblica italiana. Va da sé che l’equiparazione del trattamento debba intendersi estesa anche ai profili normativi e previdenziali, che costituiscono aspetti altrettanto vincolanti della vigente disciplina generale dei rapporti di lavoro.

Meritano, infine, di essere citate le disposizioni statutarie concernenti la scuola, contenute nel capitolo 10°, che confermano l’adesione ai principi espressi nell’art. 33 Cost., che, pur prevedendo la libertà e il pluralismo dell’insegnamento, riserva allo Stato l’emanazione delle norme generali sull’istruzione.

In definitiva, le modifiche apportate allo statuto dalla Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste da un parte sono espressione dell’autonomia organizzative degli enti ecclesiastici riconosciuta dall’ordinamento, dall’altro appaiono in sintonia con l’evoluzione della normativa statale in materia di riconoscimento della personalità giuridica e di attività non strettamente religiose svolte dagli enti in questione.

P.Q.M.
esprime parere favorevole all’approvazione del testo dello statuto sottoposto all’esame della Sezione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Elio Toscano Francesco D'Ottavi




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rimozione dei crocefissi da tutte le aule giudiziarie
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06/12/2013 201305830 Sentenza 4


N. 05830/2013REG.PROV.COLL.
N. 05051/2006 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5051 del 2006, proposto da:
Tosti Luigi, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Pierdominici, con domicilio eletto presso Ugo Pioletti in Roma, via Tito Livio 59;

contro
Ministero della Giustizia, Presidente Tribunale di Camerino, non costituiti;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA n. 00094/2006, resa tra le parti, concernente rimozione dei crocefissi da tutte le aule giudiziarie

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Francesca Quadri e udito per la parte appellante l’avvocato Carla Corsetti su delega di Fabio Pierdominici;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, all’epoca dei fatti magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino, con ricorso notificato il 28 aprile 2004, adiva il Tar Marche per sentir ordinare al Ministero della Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino, previo accertamento della lesione dei suoi diritti nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico e dell’illegittimità del rifiuto opposto con nota del Presidente del Tribunale di Camerino in data 23.12.2003, di rimuovere dalle aule del Tribunale di Camerino il simbolo religioso del crocifisso, la cui esposizione violerebbe il principio di non confessionalità dello Stato italiano, di parità e pari dignità tra le religioni ed il suo diritto di libertà religiosa, dovendosi ritenere non più vigente la circolare del Ministro di Grazia e Giustizia 29 maggio 1926, n. 2134/1867 che ne disponeva la collocazione.

Con successivi motivi aggiunti, ha quindi richiesto che venisse ordinato al Ministero della Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino di rimuovere il crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino e dalle aule di tutti gli uffici giudiziari ed, in via gradata, di condannare l’Amministrazione ad esporre tutti gli altri simboli religiosi, atei ed agnostici e, in ogni caso, la menorà ebraica.

Il Tar ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la controversia , attinente alla violazione di un diritto assoluto, sarebbe devoluta alla cognizione del giudice ordinario, né potrebbe ricondursi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia di rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 avrebbe chiarito che, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, la giurisdizione del giudice amministrativo andrebbe riconosciuta esclusivamente nei casi di esercizio autoritativo della potestà amministrativa e non di meri comportamenti, quale sarebbe quello dell’amministrazione contestato dal ricorrente.

Il primo giudice ha anche statuito che, pure a voler considerare la posizione vantata dal ricorrente come di interesse legittimo in quanto degradata dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di pubblico impiego, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, in quanto non proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui alla nota 23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di Camerino ha negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio giudiziario e contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 , quale atto presupposto.

Con ricorso in appello, il ricorrente ha impugnato la sentenza del Tribunale, affidando il gravame ai seguenti motivi:

- avrebbe errato il Tar nel non considerare che la sua domanda di rimozione del crocifisso era volta alla tutela dei propri diritti di rango costituzionale (di libertà religiosa, di eguaglianza e non discriminazione per motivi connessi alla religione, di pensiero, di coscienza), necessariamente collegati all’espletamento della propria attività lavorativa e che la richiesta di estensione degli effetti della condanna a tutti gli uffici giudiziari italiani dipenderebbe dall’intervenuta caducazione della circolare 29 maggio 1926, n. 2134/1867, con effetti erga omnes;

- avrebbe erroneamente disapplicato il Tar le norme sulla giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego sulla base di un’erronea applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004 e, comunque, la fattispecie non concernerebbe un mero comportamento dell’amministrazione , bensì la violazione di diritti perpetrata tramite l’esercizio autoritativo di poteri amministrativi, riconducibile, peraltro, all’emanazione della circolare, potere la cui esistenza il ricorrente avrebbe inteso contestare, non sussistendo neanche un potere organizzativo che potesse comportare la violazione di diritti fondamentali.

Ha quindi chiesto l’annullamento della decisione di primo grado con rinvio al Tar Marche per il giudizio di merito.

All’udienza dell’8 ottobre 2013, in vista della quale il ricorrente ha depositato ampia memoria a sostegno delle proprie ragioni, ribadendo il proprio interesse alla decisione pur non appartenendo più alla magistratura, l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato e va conseguentemente respinto, sebbene con motivazione parzialmente diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata.

Il ricorrente lamenta la lesione da parte dell’Amministrazione della Giustizia , ed in particolare del Presidente del Tribunale di Camerino, attraverso il mantenimento dell’esposizione del crocifisso nelle aule del Tribunale e l’espresso diniego opposto alle sue reiterate istanze di rimozione, dei propri diritti fondamentali di libertà religiosa e di non discriminazione per motivi legati alla religione , realizzata nell’ambito del rapporto di lavoro, in quanto – all’epoca dei fatti – magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino.

Tale violazione sarebbe stata perpetrata in illegittima esecuzione della circolare del Ministro di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 ( che prescrive che nelle aule d’udienza sia collocato il crocefisso, quale “solenne ammonimento di verità e di giustizia”), a suo dire caducata per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione e dei principi di non confessionalità e di laicità dello Stato italiano.

Il Tar ha declinato la propria giurisdizione , quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione del crocifisso da tutti gli uffici giudiziari italiani, poichè esulante in radice dal rapporto di pubblico impiego e, comunque, diretta a far valere un controllo generalizzato di legalità, svincolato dalla tutela una posizione soggettiva del ricorrente; quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione dalle aule del Tribunale di Camerino, poiché, sebbene diretta a tutelare un diritto sorgente dal rapporto di pubblico impiego, la lesione andrebbe ricondotta non già all’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro, bensì ad un mero comportamento e, pertanto, andrebbe esclusa dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in base ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la pronuncia 6 luglio 2004, n. 204.

Peraltro, pure a voler considerare la posizione vantata dal ricorrente come di interesse legittimo in quanto degradata dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di pubblico impiego, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, in quanto non proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui alla nota 23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di Camerino ha negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio giudiziario e contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 , quale atto presupposto.

Occorre considerare che con sentenza quasi coeva a quella oggetto del presente appello ed in fattispecie concernente l’impugnazione da parte di alcuni genitori del diniego del Consiglio di Istituto di rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche, il Consiglio di Stato (Sez. VI, 13 febbraio 2006, n.556) ha chiarito che la controversia riguardante l’esposizione del crocifisso in luoghi dove si svolgono servizi pubblici rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e che “quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come atto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo………………..Deve essere tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili all’espressione di una potestà regolamentare dell’Amministrazione, potestà quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla salute (Cass. Sez. Un. 28.10.2005, n. 20994)”.

La statuizione del Consiglio di Stato sul riparto della giurisdizione è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, che l’ha ricondotta alla potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, esercitata mediante provvedimenti dell’autorità preposta (Cass. SS.UU 10.7.2006, n. 15614; 30.7.2008, n. 20601).

Una volta chiarito, quindi, che anche nella presente fattispecie l’azione amministrativa è assunta nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma quale attuazione illegittima di un potere amministrativo di cui è chiesto l’annullamento nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, la domanda di accertamento dell’illegittimità del diniego di rimozione del simbolo religioso dalle aule dei tribunali diversi da quello dove il ricorrente svolgeva servizio è da considerarsi inammissibile per carenza di interesse, non essendo la richiesta di tutela correlata ad una situazione giuridica sostanziale afferente al rapporto di pubblico impiego che si assume lesa dall’atto amministrativo , la quale postula necessariamente l’esistenza di un interesse attuale e concreto direttamente riconducibile al ricorrente e non, come nella specie, alla generalità dei consociati.

Il sistema di tutela giurisdizionale amministrativa, invero, come condivisibilmente riconosciuto dal giudice di prime cure, ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa, alla stregua di un’azione popolare, e non ammette, pertanto, un ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (ex multis, Cons. St. Sez. IV, 13.12.2011; 16.2.2011 n. 983; Sez. VI, 1.7.2008, n. 3326).

La circostanza che il ricorrente prestasse , all’epoca, servizio presso il Tribunale di Camerino è sufficiente ad escludere la sussistenza di una situazione lesa per effetto dell’esposizione del crocifisso in altre sedi, né è da condividere l’assunto secondo cui il magistrato avrebbe potuto essere trasferito in altro tribunale, dovendo l’interesse idoneo a sostanziare la legittimazione ad agire essere non solo personale e concreto, ma anche attuale.

Quanto alla domanda tendente ad ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino, sede di servizio del ricorrente, si deve osservare che, alla luce dei principi surrichiamati in tema di riparto, la giurisdizione spetta, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, al giudice amministrativo, essendo da escludere che l’azione dell’amministrazione sia da qualificare come mero comportamento, tale da radicare la giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204.

Ciò è confermato anche da quanto dedotto nella memoria conclusionale dallo stesso ricorrente, che ha ricostruito il proprio ricorso come mezzo diretto a far valere un interesse legittimo leso dallo scorretto esercizio del potere amministrativo (similmente alla controversia decisa con sentenza del Consiglio di Stato n. 556/2006 cit.), mediante l’impugnazione della nota di diniego della sua istanza di rimozione del crocifisso (nota del presidente del Tribunale di Camerino del 23 dicembre 2003).

Il gravame, tuttavia, non può sottrarsi alla dichiarazione di inammissibilità sotto altro profilo, pure colto dal giudice di prime cure, per non essere stato ritualmente impugnato - ovvero per essere stato comunque tardivamente impugnato con ricorso notificato solo il 28 aprile 2004, oltre il termine decadenziale di sessanta giorni.- il diniego di rimozione del crocifisso di cui alla nota del Presidente del Tribunale di Camerino in data 23 dicembre 2003, motivato sulla perdurante efficacia della circolare 29.5.1926 n.2134/1867.

La necessità di tempestiva impugnazione del suddetto atto viene ancora più in rilievo ove si consideri che il ricorso è incentrato sulla dedotta illegittimità della circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 29.5.1926.

Secondo piani principi, le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici dell’amministrazione e non hanno di per sé valore provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione. Il soggetto che sia leso dall’atto applicativo della circolare – come , nella specie, dal diniego sull’istanza di rimozione del crocifisso – ha l’onere di impugnare tempestivamente il provvedimento di attuazione lesivo della propria posizione soggettiva, chiedendo l’annullamento o la disapplicazione della circolare illegittima (Cons. St. Sez. VI, 13.12.2012, n. 4859; Sez. IV, 21.6.2010, n. 3877).

Nella specie, tale impugnazione non è stata ritualmente e tempestivamente presentata onde il ricorso con cui si contesta lo scorretto esercizio della potestà amministrativa deve essere per questo principale motivo dichiarato inammissibile.

Sul punto, evidenziato anche dal TAR, il ricorrente , peraltro senza avanzare specifico motivo d’appello , si limita a ribadire l’assoluta infondatezza dell’eccezione avanzata in primo grado dall’Avvocatura dello Stato, attesa la mancanza di degradazione dei diritti coinvolti ad interessi legittimi.

L’assunto è infondato , essendo sufficiente, a riguardo, richiamare ancora una volta la sentenza del Consiglio di Stato n. 556/2006, secondo cui “ rispetto a situazioni di interesse che sono in relazione con diritti fondamentali della persona, come per esempio il diritto alla salute (che è stato oggetto di maggiore elaborazione giurisprudenziale), non si può e non si deve escludere a priori la sussistenza della giurisdizione amministrativa”.

Inconferente risulta, infine, il richiamo del ricorrente al modulo impugnatorio del silenzio dell’amministrazione , ai sensi dell’art. 31 c.p.a., dal momento che l’amministrazione si è motivatamente pronunciata sulla sua istanza, mediante la nota più volte richiamata.

Conclusivamente, l’appello deve essere respinto con conseguente conferma della dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado, secondo la motivazione esposta.

La mancata costituzione dell’Amministrazione appellata esime il Collegio dal provvedere in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello come da motivazione e conferma la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado.

Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/12/2013
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Associazione denominata: Chiesa d'Inghilterra

- ) - riconoscimento della personalità giuridica dell’organismo quale ente di culto diverso dal cattolico.

- ) - testimonia il radicamento in Italia della comunità religiosa alla quale aderiscono complessivamente circa mille fedeli.

- ) - il patrimonio dell’Associazione risulta costituito dalla somma di euro 15.424,26, secondo quanto certificato in data 21 febbraio 2013 dalla Banca Intesa San Paolo, presso la quale l’Associazione intrattiene un rapporto di conto corrente.

- ) - Il legale rappresentante della stessa, domiciliato in Roma, è cittadino britannico.
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27/02/2014 201303988 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 15/01/2014


Numero 00673/2014 e data 27/02/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 15 gennaio 2014

NUMERO AFFARE 03988/2013

OGGETTO:
Ministero dell'Interno

Associazione denominata "Chiesa d'Inghilterra". Riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della legge n. 1159 del 1929 e del regio decreto n. 289 del 1930.

LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con nota 10 dicembre 2013 n. 3388, con la quale il Ministero dell'Interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Elio Toscano;

Premesso.
Il richiedente Ministero nella suindicata relazione premette che con istanza del 28 febbraio 2013 il legale rappresentate dell’Associazione denominata “Chiesa d’Inghilterra”, avente sede in Roma, ha chiesto il riconoscimento della personalità giuridica dell’organismo quale ente di culto diverso dal cattolico, ai sensi degli artt. 2 della legge n. 1159 del 1929 e 10 del regio decreto n. 289 del 1930. L’Associazione si è costituita con atto pubblico in data 28 giugno 2012, repertorio n. 25703, a rogito notaio Maurizio D’Errico.

L’Amministrazione considera che la “Chiesa d’Inghilterra”, come si evince dall’art. 7 dello statuto allegato all’atto costitutivo, ha natura religiosa e persegue come scopo principale la diffusione della fede cristiana e della tradizione della Chiesa d’Inghilterra in conformità alla Confessione anglicana. Inoltre, l’articolazione territoriale della Chiesa in 20 comunità organizzate di fedeli, denominate Cappellanie o Congregazioni, testimonia il radicamento in Italia della comunità religiosa alla quale aderiscono complessivamente circa mille fedeli.

Si pone, quindi, in evidenza nella relazione che, in ragione della presenza delle suddette comunità distribuite in diverse province, il Ministero dell’interno ha acquisito, per la richiesta di riconoscimento giuridico, il parere di 18 prefetture che, unitamente alla prefettura di Roma in cui ricade tanto la sede dell’Associazione, quanto il domicilio del legale rappresentate, si sono espresse favorevolmente.

Si precisa ancora che il patrimonio dell’Associazione risulta costituito dalla somma di euro 15.424,26, secondo quanto certificato in data 21 febbraio 2013 dalla Banca Intesa San Paolo, presso la quale l’Associazione intrattiene un rapporto di conto corrente.

Ad avviso dell’Amministrazione riferente, la descritta consistenza patrimoniale e il bilancio consuntivo relativo al periodo 8 giugno 2012 - 31 dicembre 2012 evidenziano come il sodalizio disponga dei mezzi economico-finanziari sufficienti a perseguire le finalità istitutive.

La “sede legale” dell’Associazione è stabilita in Roma, via del Babuino n. 153, in immobile assunto in locazione come da contratto del 5 febbraio 2013, registrato il 20 febbraio 2013 nel registro n. 1708, serie 3 dell’Agenzia delle entrate di Roma - ufficio Roma 7.

Lo “Statuto” reca, a norma di legge, puntuali e complete indicazioni in ordine alla denominazione, alla sede, agli scopi, al patrimonio, alla composizione degli organi e al loro funzionamento e prevede espressamente l’ipotesi di devoluzione del patrimonio stesso in caso di estinzione dell’Associazione.

Il legale rappresentante della stessa, domiciliato in Roma, è cittadino britannico.

In conclusione, ritiene il Ministero che l’Associazione “Chiesa d’Inghilterra” riunisca i requisiti previsti dalla normativa vigente per ottenere il riconoscimento richiesto.

Considerato.

Rileva la Sezione che, come risulta dalla documentata riscontrata relazione, l’Associazione “Chiesa d’Inghilterra”, ancorché entità indipendente, è strettamente legata alla Diocesi in Europa della Chiesa d’Inghilterra e ha come scopo principale la diffusione della fede cristiana secondo la tradizione anglicana, sicché possiede i requisiti per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica quale ente di culto, non cattolico, ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 2 della legge n. 1159 del 1929 e 10 del regio decreto n. 289 del 1930.

Invero, come si evince dall’analitico esame delle varie disposizioni dello Statuto dell’Associazione e dalla documentazione inviata, l’accertato scopo finalistico di carattere prevalentemente religioso, il numero riscontrato dei fedeli (circa 1000 distribuiti in varie località in tutta Italia), la disponibilità dell’immobile in cui l’Associazione ha la sua sede, l’individuazione nominativa del suo effettivo rappresentante, la consistenza del patrimonio mobiliare e l’espressa previsione statutaria di devoluzione dell’intero patrimonio in caso di estinzione, fanno ritenere positivamente sussistenti i vari requisiti richiesti e pertanto, conformemente all’avviso espresso dalle prefetture interessate, si esprime parere favorevole all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art.2 della legge 24 giugno 1929, n.1159.

P.Q.M.

esprime parere favorevole.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Elio Toscano Francesco D'Ottavi




IL SEGRETARIO
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ente di culto diverso dal cattolico

venerazione del Dio creatore dell'universo e progenitore dell’umanità, chiamato Dio Su.
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17/03/2014 201400114 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 05/02/2014

Numero 00888/2014 e data 17/03/2014



REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 5 febbraio 2014


NUMERO AFFARE 00114/2014

OGGETTO:

Ministero dell’interno.


Associazione denominata “Sukyo Mahikari Italia”, con sede a Milano. Riconoscimento della personalità giuridica.


LA SEZIONE

Vista la relazione trasmessa con nota 15 gennaio 2014 n. 64, con la quale il ministero dell’interno - dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo sopra indicato;

esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Elio Toscano.


Premesso

Il ministero nella suindicata relazione premette che, con istanza del 14 luglio 2011, il legale rappresentate dell’associazione denominata “Sukyo Mahikari Italia”, avente sede a Milano, ne ha chiesto il riconoscimento della personalità giuridica quale ente di culto diverso dal cattolico, ai sensi degli articoli 2 della legge 24 giugno 1929 n. 1159 e 10 delle relative norme d’attuazione emanate con regio decreto 28 febbraio 1930 n. 289 del 1930.

L’associazione, che al momento della sua costituzione con atto pubblico in data 13 maggio 1993, repertorio n. 43449, a rogito del notaio Ezio Oliva, è stata denominata “Federazione Nazionale Sukyo Mahikari”, si è in seguito dotata di un nuovo statuto con atto pubblico del 15 dicembre 2009, repertorio n. 56426, a rogito del notaio Marco Rosnati, con cui ha assunto l’attuale denominazione di “Sukyo Mahikari Italia”.

L’Amministrazione considera che l’associazione, come si evince dall'art. 3 dello statuto nonché dalla relazione prodotta dal legale rappresentante, ha natura religiosa e persegue come scopo principale la venerazione del Dio creatore dell'universo e progenitore dell’umanità, chiamato Dio Su, e la diffusione degl’insegnamenti del fondatore dell’Organizzazione Mondiale SUKYO MAHIKARI, il maestro Yoscikazu Kotama Okada. Inoltre l’articolazione territoriale dell’associazione in venti comunità organizzate di fedeli, denominate Dojo, testimonia il radicamento in Italia dell’ente, al quale aderisce una comunità di circa 1500 fedeli.

La relazione pone in evidenza che, in ragione della presenza delle suddette comunità distribuite in diverse province, il ministero dell’interno ha acquisito, per la richiesta di riconoscimento giuridico, il parere di 13 prefetture, che unitamente alla prefettura di Milano, nel cui territorio di competenza ricadono tanto la sede dell’associazione quanto il domicilio del legale rappresentante, si sono espresse favorevolmente. Si precisa ancora che il patrimonio dell’associazione è costituito dalla somma di euro 855.749,86, giusta certificato del 14 febbraio 2013 della Banca Prossima, nonché dall’immobile sito a Milano, viale Monza n. 365, dove ha sede l’ente, e da altri immobili situati a Milano, Roma, Padova, Casnate con Bernate, Gussago e Cuggiono.

Ad avviso dell’Amministrazione riferente, la descritta consistenza patrimoniale e i bilanci relativi al triennio 2008-2010 evidenziano come il sodalizio disponga dei mezzi economico-finanziari sufficienti a perseguire le finalità istitutive.

Lo statuto reca, a norma di legge, puntuali e complete indicazioni in ordine alla denominazione, alla sede, agli scopi, al patrimonio, alla composizione degli organi ed al loro funzionamento e disciplina la devoluzione del patrimonio in caso di estinzione dell’ente. Il legale rappresentante dell’ente, residente a Milano, è cittadina italiana.

In conclusione, ritiene il Ministero che l’associazione Sukyo Mahikari Italia riunisca i requisiti previsti dalla normativa vigente per ottenere il riconoscimento richiesto.


Considerato

Rileva la Sezione che, come risulta dalla documentata relazione, l’associazione Sukyo Mahikari Italia ha come scopo la venerazione del Dio Su e, ancorché entità indipendente, mantiene relazioni di reciproco aiuto e di scambio, sia spirituale che materiale, con l’Organizzazione Mondiale Sukyo Mahikari, ente religioso e di culto al quale aderisce e che ha la sua sede centrale di fondazione e di direzione a Takayama (Giappone).

Dall’atto costitutivo si evince che l’associazione aderisce altresì alla libera associazione di diritto lussemburghese denominata Association Internazionale Sukyo Mahikari.

Stanti le evidenti finalità religiose, da praticare in appositi centri, intesi come luoghi stabili per esercizi spirituali, l’associazione possiede i requisiti per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica quale ente di culto non cattolico, ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 2 della legge n. 1159 del 1929 e 10 del regio decreto n. 289 del 1930. Invero, come si evince dall’analitico esame delle disposizioni dello statuto e dalla documentazione inviata, l’accertato scopo di carattere prevalentemente religioso, il numero riscontrato dei fedeli (circa 1500 distribuiti in varie località in tutta Italia), la disponibilità dell’immobile in cui l’associazione ha la sua sede, l’individuazione nominativa del suo rappresentante, la consistenza del patrimonio mobiliare e immobiliare e l’espressa previsione statutaria di devoluzione dell’intero patrimonio in caso di estinzione, fanno ritenere sussistenti i vari requisiti richiesti e pertanto, conformemente all’avviso espresso dalle prefetture interessate, si esprime parere favorevole all’accoglimento dell’istanza.

P.Q.M.

esprime parere favorevole.


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Elio Toscano Raffaele Carboni



IL SEGRETARIO

Paola Rossi
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ABOLITI CERTIFICATI DI RIAMMISSIONE A SCUOLA
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14/03/2014 201401276 Sentenza 3


N. 01276/2014REG.PROV.COLL.
N. 04406/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4406 del 2008, proposto da:
Regione Liguria, rappresentato e difeso dagli avv. Barbara Baroli, Gigliola Benghi, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria N. 5;

contro
Quaglio Antonio quale Genitore Figlia Minore Lavinia, Martinelli Paola e Gilioli Roberto quale genitore di Arianna e Federico, Baldinu Nadia e Panza Fabrizio quali genitori.Figlia Minore Alessia, Lagascio Marta quale genitore.Figli Min A.Delorenzi e A.Anselmo;

nei confronti di
Ministero della Salute, Conferenza Permanente Rapp. Stato, Regione e Prov. Autonome; Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 01437/2007, resa tra le parti, concernente modifica obblighi in materia di medicina scolastica

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il Cons. Michele Corradino e uditi per le parti gli avvocati Sivieri e dello Stato Vessichelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con sentenza n. 1437 del 21 giugno 2007 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sezione Seconda, ha accolto il ricorso, proposto dalle odierne parti appellate, esercenti la potestà genitoriale su minori, che frequentano scuole materne, asili nido ed altre scuole pubbliche, avverso gli atti di semplificazioni della Regione Liguria, adottati in materia di procedure autorizzative e certificazioni sanitarie.

Gli originari ricorrenti, in particolare, sull’assunto che l’abolizione di qualsiasi strumento di prevenzione e profilassi, in materia di igiene scolastica, determinasse un rischio gravissimo per la salute dei loro figli, avevano impugnato la delibera della Giunta Regionale della Liguria 29.12.2006 n. 1609 ed il relativo allegato, avente ad oggetto “Adempimenti in materia di semplificazione di procedure autorizzative e certificazioni sanitarie, ai sensi dell’art. 80 della legge regionale 07.12.2006 n .41”; nonché qualsiasi altro atto presupposto o conseguenza della stessa, nella parte in cui aboliscono:

il certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche (punto 10 dell’allegato alla delibera, oggetto di gravame);

il certificato medico di non contagiosità per la riammissione al lavoro degli alimentaristi, dopo l’assenza per malattia oltre i cinque giorni, per quel che concerne gli addetti alla refezione scolastica ( punto 13);

l’obbligo della presenza del medico scolastico a scuola ( punto 23.1);

la tenuta dei registri di medicina scolastica ( punto 23.2);

l’obbligo di presentazione di certificato medico da parte degli alunni dopo cinque giorni di assenza ( punto 23.3);

l’obbligo di periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici ( 23.4).

Il T.A.R. adito, con la sentenza sopracitata, ha accolto, in parte, il ricorso, sull’assunto che gli atti impugnati incidono sui livelli essenziali di assistenza (LEA), che, ai sensi del DPCM 29.11.2001, Allegato 1, devono essere garantiti dal S.S.N..

Avverso la predetta decisione ha proposto rituale appello la Regione Liguria, adducendo:

violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 7, del D.lgs. n. 502/1992 e del DPCM 29.11.2001, relativamente alle statuizioni concernenti l’obbligo della presenza del medico scolastico (e relative registrazioni) e la necessità delle periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici.

violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.R. n. 41/2006 e violazione dell’Allegato 2A, lettera e), DPCM 29.11.2001, in ordine alle statuizioni sulla riconducibilità, nell’alveo dei LEA, delle certificazioni “non rispondenti a fini di tutela della salute collettiva ”;

violazione e falsa applicazione del d.p.r. 26 gennaio 1999 n. 355, in ordine alle statuizioni concernenti la sostituzione, mediante autocertificazione, del certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche.

Alla pubblica udienza del 30/01/2014 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Il ricorso è fondato.

Prima di procedere alla disamina dei motivi di ricorso occorre, in via preliminare, procedere all’inquadramento sistematico della fattispecie, posta all’attenzione di questo Collegio.

Il campo d’indagine è, in particolare, quello dei livelli essenziali di assistenza (Lea), costituiti dall’insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) eroga a tutti i cittadini, gratuitamente o con il pagamento di un ticket, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza. I Lea, il cui fondamento è ravvisabile nell’art. 32 della Costituzione (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”), costituiscono un importante baluardo del sistema sanitario nazionale, in quanto garantiscono che nessuno possa essere escluso dal diritto all’assistenza.

La legge di istituzione del Ssn (n. 833/1978) ha introdotto, per la prima volta, il concetto di “livelli di prestazioni sanitarie che devono essere garantiti a tutti i cittadini”, in seguito, ribadito e rafforzato con le successive riforme.

I Lea sono stati, successivamente, definiti a livello nazionale con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, entrato in vigore nel 2002.

Con la riforma del titolo V della Costituzione, poi, nell’ambito delle materie di competenza esclusiva statale, è stata introdotta, all’art. 117, comma secondo, lettera m), quella alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. I Lea, dunque, possono essere diversi da Regione a Regione, con il limite minimo invalicabile, però, del rispetto dei livelli definiti a livello statale, da garantirsi su tutto il territorio nazionale.

Tutto ciò premesso, è possibile affrontare tutte le questioni enucleabili dai motivi di gravame.

La Regione appellante, adducendo le violazioni sopra riportate, contesta le conclusioni cui è pervenuto il T.A.R., nella sentenza oggetto di ricorso, su molteplici profili.

In primis, nella parte relativa ai servizi di medicina scolastica e di vigilanza igienica sulle attività di disinfezione e disinfestazione, nella quale si afferma che l’abolizione della figura del medico scolastico (sostituita con il pediatra di libera scelta), al pari dell’abolizione della disinfezione degli ambienti scolastici (sostituita con la normale pulizia con detersivi), non possa fondarsi sull’art. 80 della L.R. 41/06.

Il T.A.R., sul punto, precisando come la stessa disposizione demandi alla Giunta, esclusivamente, la semplificazione in materia e non, certamente, l’adozione di provvedimenti ulteriori, paventa il rischio che si sostituiscano, in luogo delle certificazioni, gli interventi di medicina preventiva.

In secondo luogo, la Regione contesta la sentenza nella parte in cui il T.A.R. afferma che sono garantite tra i LEA e devono, pertanto, essere assicurate dal SSN, tutte le funzioni di “prevenzione collettiva” e, in particolare, quelle indicate sub 1), previste da una norma vigente e non espressamente escluse dall’allegato 2A.

Infine, nella parte in cui il T.A.R. esclude la sostituzione, mediante autocertificazione, del certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche.

L’appellante, in via preliminare, evidenzia come il citato DPCM, indicando tipologie generali di prestazioni, non entri nel dettaglio degli interventi concretamente erogabili, creando, così, il rischio di un uso indiscriminato del concetto di essenzialità.

A neutralizzare il rischio che si consideri essenziale qualunque prestazione, concernente il campo della salute, soccorre, osserva l’appellante, l’art.1, comma 7, del D.lgs. n. 502/1992, che, al fine di stabilire i contenuti delle prestazioni sanitarie da porsi a carico del SSN, sancisce, quali limiti rigidi, i principi di efficacia clinica, economicità relativa e appropriatezza.

Orbene, partendo da questo presupposto, la Regione osserva come i servizi di medicina scolastica non figurino tra i LEA di prevenzione collettiva, evidenziando, peraltro, come gli stessi, legati ad un contesto storico ormai superato, non siano più giustificabili dopo l’entrata in vigore della prima riforma sanitaria e l’istituzione del pediatra di libera scelta.

Il pediatra, infatti, si osserva, eroga gratuitamente le prestazioni individuate negli Accordi collettivi stipulati con il SSN.

Per quel che concerne, invece, la questione relativa alle periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici, l’appellante sottolinea come il DPCM, in linea con le esigenze di prevenzione collettiva, non contempli la necessità di eseguire periodiche e programmate disinfezioni, quanto, piuttosto, preveda, esclusivamente, la vigilanza igienica su tali attività. Peraltro, si precisa, la ratio del rifiuto di periodiche disinfezioni risiede nell’esigenza di evitare la formazione di ceppi batterici resistenti a qualunque trattamento, secondo quanto evidenziato dal Gruppo di Lavoro Ministeriale.

Il Collegio ritiene di accogliere il primo motivo di ricorso.

I servizi di medicina scolastica, infatti, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., non rientrano, in alcun modo, tra le prestazioni inserite nel DPCM 29.11.2001.

Sul punto, il Collegio non può non prendere atto di come la vigente normativa abbia, ormai, superato la precedente impostazione, che accentrava il controllo medico a scuola.

La normativa vigente, infatti, è basata sulla figura del pediatra di libera scelta, soggetto che, gratuitamente, provvede alla prevenzione ed alla cura dei minori, in ossequio agli Accordi collettivi stipulati con il SSN.

Peraltro, come correttamente evidenziato dall’odierna appellante, anche qualora i servizi de quibus si volessero ricomprendere tra i LEA, non potrebbe non rilevarsi come le stesse funzioni di prevenzione, già, siano assicurate, ai sensi della normativa vigente, da altri organi sanitari. Continuare ad erogare i servizi di medicina scolastica equivarrebbe, pertanto, a mantenere l’esatto doppione di quelli offerti dal pediatra di libera scelta. Già tale considerazione varrebbe ad escludere la possibilità di inquadrare, nel silenzio della norma, i servizi di che trattasi tra i livelli essenziali di tutela. Contrariamente a quanto osservato dal giudice di prime cure ed alla stregua del sistema oggi vigente, si ritiene, pertanto, che i servizi di medicina scolastica non rispondano più ai principi di appropriatezza ed economicità, dai quali non si può prescindere nell’ambito delle prestazioni a carico del SSN.

Anche per quel che concerne l’obbligo delle periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici, questo Collegio ritiene non condivisibili le conclusioni del T.A.R..

Peraltro, non può non notarsi come, pur essendo ricompresa la funzione di vigilanza igienica sulle attività di disinfezione e disinfestazione nell’ allegato 1B del DPCM in questione, nello stesso decreto non vi sia traccia della necessità di eseguire periodiche disinfezioni.

Deve, pertanto, ritenersi legittimo l’intervento della Regione che, d’altronde, non ha ad oggetto le disinfezioni/disinfestazioni tout court, ma solo quelle rituali e programmate, slegate da esigenze di prevenzione effettive.

La Regione appellante, con il secondo motivo di ricorso, contesta le statuizioni del giudice di prime cure in ordine alla riconducibilità, nell’alveo dei LEA, delle certificazioni “non rispondenti a fini di tutela della salute collettiva”.

Il giudice di prime cure, in particolare, ha affermato che sono garantite tra i LEA e devono, pertanto, essere assicurate dal SSN, tutte le funzioni di “prevenzione collettiva” e, in particolare, quelle indicate sub 1), previste da una norma vigente e non espressamente escluse dall’allegato.

Orbene, escludendo il DPCM, dalle prestazioni a carico del SSN, le certificazioni mediche non rispondenti ai fini di tutela della salute collettiva, anche quando richieste da disposizioni di legge, è da ritenersi legittima l’abolizione dei certificati di riammissione a scuola, dopo i cinque giorni d’assenza, e di non contagiosità per la riammissione al lavoro degli alimentaristi, dopo l’assenza per malattia oltre i cinque giorni.

La scelta, oltre ad essere coperta da fonte legislativa, si palesa, altresì, perfettamente in linea con le osservazione del Gruppo di lavoro ministeriale, nel cui ambito è emersa la scarsa utilità delle predette certificazioni, sull’assunto che “le malattie infettive sono spesso contagiose in fase di incubazione, ma raramente quando il soggetto è convalescente”.

Con il terzo motivo di ricorso, l’appellante, infine, contesta la sentenza nella parte in cui si esclude la possibilità di sostituire, mediante autocertificazione, il certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche.

Tale ultimo motivo di ricorso non può essere accolto. Sul punto occorre precisare che, escludendo il DPCM dalle prestazioni a carico del SSN, esclusivamente, le certificazioni mediche “non rispondenti ai fini di tutela della salute collettiva”, anche quando richieste da disposizioni di legge, devono ritenersi, invece, inclusi tra i Lea e, pertanto, a carico del SSN tutte le altre certificazioni, che risultino preordinate a tale finalità, tra le quali certamente deve includersi il certificato di vaccinazione, per l’ammissione alle scuole pubbliche. E, si noti, non vale a suffragare la tesi contraria la circostanza, addotta dall’appellante, per cui già la legislazione nazionale consente il ricorso all’autocertificazione.

Trattandosi, infatti, di una materia rientrante nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera m), solo a quest’ultimo compete di legiferare in subiecta materia. Ne deriva, dunque, l’inammissibilità di qualsiasi intervento di fonte regionale in ordine ai certificati di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche, ambito quest’ultimo riservato, come detto, alla competenza del legislatore statale, unico soggetto deputato a pronunciarsi sul punto.

In considerazione della natura della questione sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese tra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione, lo rigetta per il resto.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Michele Corradino, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 14/03/2014
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Novità:
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diniego di rilascio del nulla osta al trasferimento dell’alunna da un istituto scolastico ad altro istituto scolastico

1) - violazione dell’art. 4 del R.D. 653/1925

IL TAR precisa:

2) - Dalla lettura della norma invocata dai ricorrenti emerge che il dirigente scolastico, al fine del rilascio del nulla osta, deve solo valutare la regolarità della posizione dell’alunno sul piano disciplinare e fiscale.

3) - In proposito, in giurisprudenza, è stato affermato che non sussiste alcuna discrezionalità in capo al dirigente di un istituto scolastico in ordine al rilascio di tale tipo di provvedimento, ma al contrario, il nulla osta appare vincolato e legato alla semplice ricorrenza di una posizione regolare dell'alunno sul piano disciplinare e fiscale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 7 novembre 2013, n.4956; T.A.R. Roma, Latina Sez. I, 27 marzo 2012, n. 244; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 15 gennaio 2009 , n. 59 T.A.R. Perugia, 6 luglio 2006, n. 344).

4) - Ne consegue la manifesta illegittimità del diniego di rilascio del nulla osta al trasferimento oggetto di impugnazione.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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23/04/2014 201400547 Sentenza Breve 2


N. 00547/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00312/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 312 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv. Tommaso Di Gioia, Ciro Testini, con domicilio eletto presso Tommaso Di Gioia in Bari, via Argiro, n.135;

contro
Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, Scuola -OMISSIS-, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le Stato Di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, n.97;

per l'annullamento
previa sospensiva
- del provvedimento del -OMISSIS-”, prot. n. 953 b/19 del 29.1.2014, di diniego di rilascio del nulla osta al trasferimento dell’alunna -OMISSIS- dal detto istituto scolastico ad altro istituto scolastico;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ancorchè non conosciuto dai ricorrenti;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca e di Scuola -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1, 2 e 5;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2014 la dott.ssa Flavia Risso e uditi per le parti i difensori avv. Tommaso Di Gioia e Ciro Testini, per il ricorrente e avv. dello Stato Giuseppe Zuccaro, per le Amministrazioni Statali;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

I sig.ri -OMISSIS-, genitori esercenti la potestà sulla minore -OMISSIS-, hanno iscritto la propria figlia presso la scuola -OMISSIS-.

Successivamente, i genitori hanno presentato istanza volta al rilascio del nulla osta al trasferimento della minore in altro istituto d’istruzione elementare di Ruvo di Puglia motivata da “sopravvenute esigenze che hanno modificato l’organizzazione familiare”.

L’istanza è stata respinta dal -OMISSIS- con provvedimento prot. n. 953 b/19 del 29.01.2014 per “la mancanza di motivazioni eccezionali a supporto della richiesta stessa”.

Avverso tale provvedimento di diniego è stato proposto il ricorso in epigrafe, col quale si denunciano i seguenti vizi:
1) violazione dell’art. 4 del R.D. 653/1925 – Incompetenza – Eccesso di potere – difetto di istruttoria - sviamento;
2) violazione dell’art. 4 del R.D. 653/1925 – Eccesso di potere – difetto di motivazione – difetto di istruttoria – erroneità dei presupposti – illogicità ed irragionevolezza.

Nel ricorso si chiede, oltre all’annullamento dell’atto impugnato, anche l’accertamento dell’obbligo di rilascio del nulla osta.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio per opporsi all’accoglimento del gravame.

Alla camera di consiglio del 27 marzo 2014, la causa è stata trattenuta per essere definita con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti di legge e previo avviso alle parti costituite.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

In particolare, col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 4 del R.D. 653/1925 (norma che disciplina il trasferimento, a domanda, degli alunni ad altre scuole), precisando che tale disposizione non attribuisce alcuna discrezionalità al dirigente dell’Istituto di provenienza in ordine al rilascio del nulla osta al trasferimento.

Dalla lettura della norma invocata dai ricorrenti emerge che il dirigente scolastico, al fine del rilascio del nulla osta, deve solo valutare la regolarità della posizione dell’alunno sul piano disciplinare e fiscale.

In proposito, in giurisprudenza, è stato affermato che non sussiste alcuna discrezionalità in capo al dirigente di un istituto scolastico in ordine al rilascio di tale tipo di provvedimento, ma al contrario, il nulla osta appare vincolato e legato alla semplice ricorrenza di una posizione regolare dell'alunno sul piano disciplinare e fiscale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 7 novembre 2013, n.4956; T.A.R. Roma, Latina Sez. I, 27 marzo 2012, n. 244; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 15 gennaio 2009 , n. 59 T.A.R. Perugia, 6 luglio 2006, n. 344).

Ne consegue la manifesta illegittimità del diniego di rilascio del nulla osta al trasferimento oggetto di impugnazione.

Per quanto riguarda la domanda relativa all’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di rilasciare il nulla osta in questione si osserva che il Consiglio di Stato, anche con riguardo al panorama normativo anteriore al decreto legislativo n. 104/2010 e prima delle note Adunanze Plenarie n. 3 e n. 15 del 2011 (Consiglio di Stato, sentenze n. 717 del 2009 e n. 2139 del 2010), ha ritenuto che l'assenza di una previsione legislativa espressa non ostasse all'esperibilità di un'azione di accertamento, quante volte detta tecnica di tutela fosse stata l'unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell'interesse legittimo (di recente sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1799; T.A.R. Pescara, sez. I, 03 giugno 2013, n. 306: T.A.R. Pescara, sez. I, 11 gennaio 2013, n.10).

La domanda di accertamento, in ogni caso, presuppone la previa verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio del nulla osta in questione.

Ebbene, tali presupposti (regolarità fiscale e disciplinare) devono ritenersi sussistenti considerato che nel ricorso se ne afferma l’esistenza e che l’amministrazione non ha contestato tale assunto, né in scritti difensivi, né alla camera di consiglio del 27 marzo 2014.

Conclusivamente, ed assorbite la altre censure sollevate, il ricorso risulta fondato e va accolto disponendosi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Inoltre, in base al combinato disposto di cui all’art. 30, comma 1, art. 34, comma 1, lett. c) e art. 34, comma 2 del cod. proc. amm., nonché in virtù di quanto statuito dalle Adunanze Plenarie n. 3 e n. 15 del 2011, si dichiara, altresì, l’obbligo dell’amministrazione di rilasciare il nulla osta in questione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari (Sezione Seconda),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato e dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di rilasciare il nulla osta al trasferimento.

Condanna l’ Amministrazione alla rifusione della spese ed onorari del giudizio, liquidate nella misura di € 2.000,00, oltre CU, CPA e IVA, come per legge a favore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all'art. 52, commi 1, 2 e 5 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all'annotazione di cui ai commi 1,2 e 5 della medesima disposizione.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Flavia Risso, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Associazione ”Vishwa Nirmala Dharma - La Pura Religione Universale”:

riconoscimento della personalità giuridica;

IL CONSIGLIO DI STATO scrive:

1) - La Sezione, esaminata dettagliatamente la documentazione prodotta, condivide le perplessitá manifestate dall’Amministrazione circa le carenze finalistiche e strutturali dell’attività svolta dall’Associazione e quindi la sua inidoneità ad essere riconosciuta quale ente di culto ai sensi della richiamata normativa.
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13/05/2014 201400306 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 12/03/2014


Numero 01534/2014 e data 13/05/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 12 marzo 2014

NUMERO AFFARE 00306/2014

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Associazione ”Vishwa Nirmala Dharma - La Pura Religione Universale”: riconoscimento della personalità giuridica;

LA SEZIONE
Vista la relazione 28 gennaio 2014 prot. n. 211 con la quale il ministero dell’interno, direzione centrale degli affari dei culti, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo sopra indicato;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco D’Ottavi.

Premesso:
Il ministero nella relazione premette che con istanza del 10 dicembre 1996 il legale rappresentante dell’associazione “Vishwa Nirmala Dharma – La Pura Religione Universale”, avente sede in Magliano Sabina (Rieti), Vocabolo Albereto n. 10, chiese il riconoscimento della personalità giuridica quale ente di culto diverso dal cattolico, ai sensi degli artt. 2 della legge 24 giugno 1929 n. 1159 e 10 del regio decreto 28 febbraio 1930 n. 289. Rileva poi che nel corso dell’istruttoria erano emerse alcune vicende giudiziarie che avevano indotto l’allora direzione generale degli affari dei culti a comunicare, il 2 novembre 2000, l’impossibilità di proseguire l’iter procedimentale.

A seguito di tale diniego si è instaurato un contenzioso conclusosi in sede di appello presso il Consiglio di Stato che, con decisione della sesta sezione 27 gennaio 2009 n. 2331 ha annullato il provvedimento ministeriale, adottato senza che le indagini concernenti l’attività dell’ente sul territorio fossero state concluse. Quindi l’Amministrazione ha riavviato l’iter istruttorio per accertare la sussistenza dei presupposti per il richiesto riconoscimento giuridico.

Ciò premesso il ministero riferisce che l’associazione si è costituita con atto pubblico 26 ottobre 1996 repertorio n. 223 a rogito del notaio Monica Giannotti, ed ha prodotto il proprio statuto modificato per atto pubblico 7 aprile 2012, repertorio n. 10522 a rogito notaio Laura Magaglio.

L’ente, come è rappresentato nella relazione prodotta dal suo legale rappresentate, si prefigge il risveglio nei propri aderenti dell’energia divina – latente in ogni persona – per mezzo di tecniche yoga, di meditazioni e preghiere collettive ed ha una spiccata natura sincretistica, rappresentando l’esito definitivo dello sviluppo e dell’integrazione di tutte le religioni più rappresentative.

In ragione della presenza di diverse comunità locali di fedeli – come dichiarato dall’associazione nella predetta relazione – sono stati acquisiti le informazioni ed i pareri di cinquanta prefetture.

Dalle risultanze di dette istruttorie è emerso che la consistenza numerica dei fedeli dell’associazione presenti in Italia è di circa milleseicento persone.

Il ‘patrimonio’ dell’ente risulta costituito da due conti correnti, pari complessivamente ad € 41.361,15, nonché da titoli per un valore di € 50.000,00, giusta certificato del Credito Piemontese datato 18 luglio 2011; inoltre risulta che l’associazione è proprietaria di diversi beni immobili: un terreno agricolo sito a Magliano Sabina, Vocabolo Arbereto, acquistato per atto pubblico 2 luglio 1992 repertorio n. 35.218 a rogito del notaio Fausto Ventriglia, nonché da due fabbricati rurali, con annessi terreni pertinenziali, siti a Magliano Sabina, Vocabolo Albereto, acquisiti per atto pubblico 26 maggio 1991 repertorio n. 33.649 a rogito del notaio Fausto Ventriglia. Tali immobili costituiscono attualmente il complesso immobiliare, meglio descritto nella perizia giurata di stima redatta dal geometra Giovanni Montini il 31 maggio 2005; inoltre, l’ente è proprietario di un immobile, sito a Genova, Via Sapeto numeri 1-3, acquistato per atto pubblico 25 giugno 2008 repertorio n. 63089 a rogito del notaio Riccardo Ridella.

Ad avviso del ministero la consistenza patrimoniale, così come i bilanci consuntivi relativi agli anni 1009-2011, evidenziano come l’ente disponga dei mezzi economico-finanziari sufficienti al raggiungimento dei propri fini.

La ‘sede legale’ dell’ente è stabilita nel predetto complesso immobiliare sito a Magliano Sabina, Vocabolo Albereto n. 10, di proprietà dell’ente medesimo.

Il legale rappresentante dell’ente è cittadino italiano.

Lo Statuto reca, a norma di legge, indicazioni in ordine alla denominazione, alla sede, agli scopi, alla composizione degli organi ed al loro funzionamento, al patrimonio ed all’ipotesi di devoluzione del patrimonio stesso in caso di estinzione dell’ente.

Tutto ciò considerato il ministero osserva che dallo statuto non risulta la natura di ente di culto dell’associazione, in quanto la comunità di associati non appare basata sulla condivisione di una fede religiosa, bensì esclusivamente sullo status di socio pagante; infatti, mentre l’art. 3, comma 1, identifica i soci con ‘coloro che hanno avuto il risveglio dell’energia’, l’art. 4, comma 1, precisa che essi perdono la qualifica di socio per ‘morosità’ (art. 4, comma 1), inoltre, l’art. 4, comma 6, prevede che il socio (cioè colui che ha avuto il risveglio dell’energia) decaduto per morosità può riacquistare la qualifica di socio rivolgendo domanda al Consiglio direttivo ‘purchè abbia provveduto al pagamento delle quote pregresse’; rileva quindi il ministero che da quanto enunciato nel testo statutario, chi non è socio pagante non può appartenere alla comunità dei fedeli e non può partecipare alle ‘cerimonie di culto’.

Secondo il ministero risulta quindi evidente che l’assorbimento dell’identità di ‘fedele’ con quella di ‘socio pagante’, stride con ogni concetto di religione e di culto; inoltre, dall’istruttoria sono emerse risultanze che evidenziano come le sedi territoriali non esperiscono attività di culto, né riti religiosi, ma solo attività di esercizio fisico e mediazione mediante le pratiche yoga.

Da ultimo il ministero rileva che, mentre in ben 16 province risulta l’inesistenza dell’associazione stessa, le risultanze acquisite evidenziano, altresì, la carenza di requisiti soggettivi (affidabilità ed integrità) in capo a vari responsabili delle comunità locali.

Il ministero quindi conclude esprimendo forti perplessità sulla sussistenza dei presupposti per il richiesto riconoscimento.

Considerato:

La richiesta di parere concerne il riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi della legge 24 giugno 1929, n 1159, e del regio decreto 28 febbraio 1930 n. 829, dell’Associazione’ VISHWA NIRMALA DHARMA - La Pura Religione Universale’.

Dall’articolata relazione svolta dal Ministero, sintetizzata nelle premesse, si evince come pur sussistendo alcuni dei requisiti e presupposti per il perfezionamento del richiesto riconoscimento (rispetto delle formalitá pubblicistiche degli atti costitutivi, consistenza del patrimonio, radicazione in tutto il territorio nazionale), le risultanze istruttorie facciano emergere dei consistenti motivi di dubbio sulla natura e le finalitá di religione e di culto da parte della richiedente Associazione.

La Sezione, esaminata dettagliatamente la documentazione prodotta, condivide le perplessitá manifestate dall’Amministrazione circa le carenze finalistiche e strutturali dell’attività svolta dall’Associazione e quindi la sua inidoneità ad essere riconosciuta quale ente di culto ai sensi della richiamata normativa.

Si condividono in particolare i rilievi evidenziati dall’Amministrazione per cui: a) dallo Statuto non risulta la natura di ente di culto dell’associazione, in quanto la comunitá degli associati non è fondata sulla condivisione di una fede religiosa, bensì esclusivamente sullo status di socio pagante; b) non vi è distinzione tra fedele e socio pagante, o meglio deve ritenersi “fedele” solo il socio pagante; c) le sedi territoriali non svolgono attività religiose (culto, riti, festivitá, riconoscimento della divinità, ecc.), ma solo attivitá fisico-meditative mediante pratica yoga; d) carenza di prova in ordine ai requisiti soggettivi (integrità, affidabilità) in capo ai vari responsabili delle comunitá locali; e) relativa limitata consistenza successiva dei soci (circa 1.600).

In particolare, la circostanza che lo status di ‘fedele’ venga fatto coincidere con lo status di ‘socio pagante’ non è compatibile con il concetto di religione e di soggetto appartenente ad un credo religioso; se è pur vero, infatti, che gli statuti delle diverse confessioni religiose possono prevedere, nell’àmbito della loro libertà di organizzazione (art. 8 comma 2 Cost.), il versamento di contributi in denaro da parte dei loro adepti come forma di sostentamento, non può ritenersi propria del fenomeno religioso l’automatica inclusione o esclusione di un fedele in base al pagamento di una quota associativa. Tale circostanza è tipica semmai del fenomeno associativo, entro il quale infatti più correttamente si può inscrivere la posizione della richiedente associazione.

Peraltro e più in generale, la Sezione deve rilevare che il presupposto fondamentale per il riconoscimento previsto dalla normativa sugli enti di culto acattolico è la sussistenza di un’attività di culto nell’ambito di una particolare fede religiosa. Se è vero che nel nostro ordinamento sussiste la più ampia libertà di professione religiosa (con il solo limite del rispetto dellì’ordinamento giuridico italiano) è altrettanto vero che perchè si possa giungere al richiesto riconoscimento occorre che l’ente richiedente svolga un’attività religiosa in senso proprio ed effettivo, non essendo sufficiente una generica ricognizione di valori filosofici e di terapie psicologico-meditative per costituire ideologicamente un fenomeno religioso; la religione deve ricomprendere un insieme di precetti, valori, riferimenti etici, morali, divini ecc., che consentano ai suoi fedeli di compiere una sorta di percorso spirituale, aiutati in questo dalla sussistenza di idonei testi e di appositi culti; indipendentemente dalle singole religioni sarà perciò necessariamente ricorrente la previsione di particolari ‘credo’, dell’obbligatorietà di certe forme di comportamento, il rispetto di certe specifiche ricorrenze, la partecipazione ad appositi riti di culto ecc..

Nella specie, a parte il generico richiamo a forme di ‘risveglio dell’energia’ divina, manca quella struttura rituale e cultuale che distingue la religione, ogni forma di religione, da associazioni puramente culturali o terapeutiche.

Conclusivamente la Sezione ritiene che nella specie non sussistano i presupposti per il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della normativa di cui alla legge 24 giugno 1929 n 1159, e del regio decreto 28 febbraio 1930 289.

P.Q.M.

ritiene che debba essere negato il richiesto riconoscimento.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco D'Ottavi Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
Francesca Albanesi
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