Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Ricorso Accolto,

- progressione in carriera avvenuta durante il blocco retributivo, perpetrato ad opera dell’art. 9 della legge 122/2010

La CdC Lazio precisa:

1) - Solo con l’art. 11, comma 7, del D. Lgs. 29 maggio 2017, n 94, si è stabilito che “gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1 gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato” e, pertanto, anche il servizio prestato negli anni 2011-2015.

2) - Occorre inoltre considerare che, per effetto della recente disposizione di cui all’art. 11, comma 7, del D. Lgs. 94/2017, innanzi citato, il complessivo assetto normativo viene ora a evidenziare un’ingiustificata disparità di trattamento pensionistico tra soggetti che vantano identiche situazioni retributive, vale a dire tra gli ufficiali cessati dal servizio dopo la fine del cd. “blocco retributivo” ma anteriormente al 1 gennaio 2018, e quelli cessati dal servizio dopo tale data.

3) - Invero, la base pensionabile dei primi è calcolata su di una classe e scatto diversi da quelli che sarebbero loro spettati in assenza del “blocco retributivo”, mentre gli ufficiali cessati dal servizio dopo l’1 gennaio 2018, per effetto del “reinquadramento“ nelle rispettive posizioni economiche operato dal D. Lgs. 94/2017, beneficiano di una base pensionabile calcolata tenendo conto delle classi e scatti che avrebbero conseguito in difetto del “blocco retributivo” .
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE LAZIO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2020 Numero 86 Pubblicazione 10/02/2020

Sent 86/2020

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
In composizione monocratica nella persona del Giudice dott.ssa Marzia de Falco in funzione di Giudice Unico delle pensioni ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 76057 del registro di segreteria proposto da X. X. e Y. Y., rappresentati e difesi, giusta mandato in atti, dall’avv.to Mario Bacci, contro: MEF, Comando Generale Guardia di Finanza e INPS;

Ritenuto in
FATTO

Col ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti, già appartenenti al Corpo della GdF e collocati in congedo per limiti di servizio tra l’1/01/2011 ed il 31/12/2014, premesso che nel periodo in questione era intervenuto il cd. blocco del tetto stipendiale ossia degli incrementi correlati alle progressioni in carriera conseguite nel medesimo periodo, chiedeva a questa Corte il riconoscimento del proprio diritto all’attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione in carriera avvenuta durante il blocco retributivo, perpetrato ad opera dell’art. 9 della legge 122/2010; ciò, ai fini della determinazione della base di calcolo della pensione.

In subordine, chiedeva rimettersi gli atti alla Corte Costituzionale.

Si costituiva l’INPS ed eccepiva preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva; nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso.

Si costituiva la GdF, chiedendo il rigetto del ricorso.

Non si costituiva il MEF.

Il giudizio è quindi passato in decisione con la lettura del dispositivo in udienza ed il contestuale deposito della motivazione.

Considerato in
DIRITTO


Sussiste la legittimazione passiva dell’INPS, nella propria qualità di ordinatore secondario di spesa, da cui discende l’opportunità che l’accertamento venga eseguito anche nei confronti dello stesso.

Nel merito, la domanda avente ad oggetto l’accertamento della spettanza degli incrementi stipendiali ai fini pensionistici, incrementi negati dalla legge 122/2010 relativamente al periodo 2011-2014, è fondata e va accolta.

L’art. 9, comma 21, del D.L. 78/2010 ha disposto che, per le categorie di personale sottratte alla privatizzazione e che “fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”.

Tale disposizione è stata prorogata dapprima sino al 31 dicembre 2014 e poi, dall’art. 1, comma 256, della l. 190/2014, sino al 31 dicembre 2015.

Di conseguenza, gli anni 2011-2015 non sono stati considerati utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti previsti dal proprio ordinamento, così che dal 1 gennaio 2016 la maturazione delle classi e degli scatti è ripresa, ma senza considerare utile, ai fini della loro maturazione, il servizio prestato negli anni 2011-2015.

Solo con l’art. 11, comma 7, del D. Lgs. 29 maggio 2017, n 94, si è stabilito che “gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1 gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato” e, pertanto, anche il servizio prestato negli anni 2011-2015.

La normativa in oggetto, posta dall’amministrazione a fondamento del mancato riconoscimento dell’incremento retributivo, è stata più volte portata all’esame della Corte Costituzionale.

Non ignora questo giudice che, con sentenza 200/2018, la Consulta ha ritenuto la censura di costituzionalità non fondata, qualificando l’art. 9, co. 21, del D.L. 78/2010 in termini di norma conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, “che integra temporaneamente e in via eccezionale la disciplina, legale o contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la finalità di contenerne il costo complessivo”.

Secondo la Consulta “il fluire del tempo differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che, per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio, la retribuzione pensionabile debba tener conto della retribuzione ‘spettante’ secondo la disciplina applicabile ratione temporis… una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza”.

Copiosa giurisprudenza costituzionale si è parimenti pronunciata nel senso della legittimità di tale normativa, ma sul solo presupposto che il sacrificio imposto ai dipendenti fosse temporalmente limitato (C. Cost. nn. 304/2013; 310/2013; 154/2014). La legittimità costituzionale è stata cioè argomentata proprio in ragione del carattere eccezionale, transeunte, temporalmente limitato dei sacrifici richiesti ai dipendenti pubblici.
Va invece rilevato che, laddove tali sacrifici si estendano al trattamento pensionistico, riducendone la base, il sacrificio –legittimo solo in quanto transeunte- che incide sul trattamento retributivo, si risolve in un sacrificio permanente, destinato a perpetuarsi per tutto il periodo di fruizione della pensione.

Occorre inoltre considerare che, per effetto della recente disposizione di cui all’art. 11, comma 7, del D. Lgs. 94/2017, innanzi citato, il complessivo assetto normativo viene ora a evidenziare un’ingiustificata disparità di trattamento pensionistico tra soggetti che vantano identiche situazioni retributive, vale a dire tra gli ufficiali cessati dal servizio dopo la fine del cd. “blocco retributivo” ma anteriormente al 1 gennaio 2018, e quelli cessati dal servizio dopo tale data.

Invero, la base pensionabile dei primi è calcolata su di una classe e scatto diversi da quelli che sarebbero loro spettati in assenza del “blocco retributivo”, mentre gli ufficiali cessati dal servizio dopo l’1 gennaio 2018, per effetto del “reinquadramento“ nelle rispettive posizioni economiche operato dal D. Lgs. 94/2017, beneficiano di una base pensionabile calcolata tenendo conto delle classi e scatti che avrebbero conseguito in difetto del “blocco retributivo” .

La retribuzione del solo personale ancora in servizio al 1 gennaio 2018 è dunque venuta a riespandersi per effetto non del “fluire del tempo”, ma del reinquadramento retributivo disposto dalla norma del 2017 solo per i detti ufficiali, per i quali soltanto sono stati interamente rimossi gli effetti del blocco.

L’effetto pregiudizievole, dunque, nel momento in cui si ripercuote sul trattamento pensionistico, viene a connotarsi di una definitività che appare estranea alla volontà del legislatore del 2010, come interpretata dalla Corte Costituzionale; peraltro, il pregiudizio è stato poi limitato per legge (del 2017) ai soli ufficiali collocati in quiescenza anteriormente al 1 gennaio 2018.

Il quadro normativo così delineato non appare conforme al dettato costituzionale, in particolare ai principi di cui agli artt. 3, 36 e 38 Cost.

Al fine di scongiurare tale contrasto, si impone un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art 9, comma 21, del D.L. 78/2010, che tenga conto:
1) dell’esigenza di contenere temporalmente il sacrificio imposto dal “blocco retributivo” entro limiti certi e ragionevoli, evitandosi così l’irragionevolezza di una protrazione illimitata degli effetti pregiudizievoli per tutto il residuo periodo di vita del lavoratore;

2) dell’intento ripristinatorio palesemente espresso dal legislatore nel successivo art. 11 del D. Lgs. 94/2017.

Per tali ragioni, e conformemente alla recente giurisprudenza contabile richiamata dal ricorrente (Sez. Lazio, 278/2017; Sez. Calabria, 13/2018; Sez. Lombardia 1/2019), si ritiene doversi accogliere la domanda, come proposta dal ricorrente, così superandosi il precedente orientamento negativo.

Va quindi accertato il diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensionistico, tenendo conto, a tali fini, delle classi e degli scatti giuridicamente conseguiti negli anni 2011-2015, pur non beneficiando di alcun incremento stipendiale.

Segue altresì il pagamento delle somme dovute a titolo di arretrati per i maggiori ratei, oltre alla maggior somma tra rivalutazione e interessi legali, con decorrenza dalla data del congedo.

Data la complessità della questione e le oscillazioni giurisprudenziali, si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO

In composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, accerta il diritto del ricorrente alla riliquidazione del trattamento pensionistico, tenendo conto, a tali fini, delle classi e degli scatti giuridicamente conseguiti negli anni 2011-2015, pur non beneficiando di alcun incremento stipendiale.

Condanna l’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di arretrati per i maggiori ratei, oltre alla maggior somma tra rivalutazione e interessi legali, con decorrenza dalla data del congedo.

Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del giorno 20/12/2019, mediante lettura del dispositivo e contestuale deposito della motivazione.
IL GIUDICE UNICO
f.to Dr. Marzia de Falco


DEPOSITATA IN SEGRETERIA 10/02/2020


p. Il Direttore della segreteria
f.to Dott. Alessandro VINICOLA


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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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CdC Sicilia con sentenza n. 237/2020 pubblicata il 16/06/2020, rigetta il ricorso del collega CC. sul 2° assegno funzionale.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Un inchino a tutti gli esseri senzienti cui l'umile Monaco divenuto immanente ed immateriale unisce le scuse per non aver compreso se la sezione Lazio CdC abbia aperto una porta, mentre la sezione CdC Sicilia potrebbe averla chiusa. Sarebbe utilissimo sapere anche se la sentenza della sezione Lazio possa dispiegare effetti nei confronti di chi come lo scrivente è stato riformato per causa di servizio nel mese di settembre 2015. Grazie.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Zenmonk »

Il Monaco equanime osserva che il proprio quesito, sebbene legittimo, pertinente e formulato educatamente, non viene degnato di una risposta dal signore nonchè esimio Collega Panorama, invece attivo nel riscontrare ogni altro post.
Questo modo di fare connota un animo turbato da preferenze e repulsioni, motivo per cui il Monaco auspica che Panorama possa superare i suoi tormenti e trovare la serenità, raggiungendo l’equanimità.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Il CdS ribalta la sentenza del Tar Lazio Sez. 1Q, è accoglie l'Appello dell'Amministrazione.

La sentenza del Tar Lazio trattava il ricorso del ricorrente "dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza" per il seguente argomento:

Blocco triennio 2011-2013, inoltre, il meccanismo di blocco è stato poi prorogato anche per l’anno 2014, dal d.P.R. n. 122 del 2014.

PER L'ANNULLAMENTO

1) - del provvedimento, disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74; di promozione alla qualifica di dirigente generale dal 19.11.2013, giorno precedente la cessazione dal servizio, ai soli fini giuridici senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.

E PER L’ACCERTAMENTO

2) - del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.

Il CdS precisa:

3) - Va premesso che sulle questioni controverse tra le parti si è pronunciata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria, anche ai sensi dell’art. 74, comma 1, secondo periodo, del codice del processo amministrativo (cfr. Sez. IV, nn. 2315, n.. 2687 e 3464 del 2020).

4) - Il collocamento in congedo dell’appellato è avvenuto nel vigore di una disposizione che, nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto il cosiddetto blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, della progressione automatica per classi e scatti di stipendio, delle progressioni di carriera, comunque denominate.

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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 4, numero provv.: 202003835

Pubblicato il 15/06/2020

N. 03835/2020 REG. PROV. COLL.
N. 06622/2019 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sull’appello n. 6622 del 2019, proposto dal Ministero dell'Interno e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

contro
Il signor Vincenzo Ortolano, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano Buscemi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maurizio Barca in Roma, via Cola di Rienzo, n. 162;

per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Prima), n. 5493/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Vincenzo Ortolano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 11 giugno 2020 il pres. Luigi Maruotti;
Visto l’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto il provvedimento del 19 novembre 2013, con il quale il Ministero dell’Interno ha conferito all’appellato la promozione alla qualifica superiore, il giorno precedente al suo collocamento in quiescenza, ai soli fini giuridici, con esclusione di benefici economici.

2. Con il ricorso di primo grado n. 2294 del 2014 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), l’interessato ha impugnato tale provvedimento, deducendo la violazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 2010, e prospettando, in subordine, la questione di legittimità costituzionale di tale comma 21, se interpretato nel senso che non ha previsto l’attribuzione di benefici economici.

3. Il Ministero intimato, costituitosi in giudizio, ha contestato la prospettazione di parte ricorrente, evidenziando che l’atto impugnato ha dato applicazione alla normativa vigente, n considerazione della sospensione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.l. n. 165 del 2001, per il triennio 2011-2013, triennio nel quale si è collocato l’avanzamento di carriera dell’interessato.

4. Il TAR, con la sentenza appellata, ha accolto il ricorso, evidenziando che la normativa applicata dal Ministero – nel disciplinare l’avanzamento di carriera - soltanto per questa prevedrebbe il “blocco” dell’adeguamento retributivo e di ogni altro emolumento economico, mentre la progressione di carriera oggetto della controversia è stata disciplinata dall’art. 1, comma 260, della legge n. 266 del 2005, approvata per soddisfare un’esigenza perequativa e di ristoro economico di quei dipendenti pubblici che, come l’interessato, all’esito di una modifica normativa disposta dal d. lgs. n. 165 del 2001 sono “rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso…con incidenza diretta sul trattamento pensionistico”.

Conseguentemente, il TAR ha annullato in parte qua il provvedimento impugnato ed ha accertato l’obbligo dell’Amministrazione di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale.

5. Il Ministero dell’Interno ha proposto appello avverso l’indicata sentenza, deducendo che la normativa che ha imposto il “blocco” dell’adeguamento economico derivante dalle promozioni degli impiegati dello Stato (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010) non consentirebbe di differenziare le promozioni derivanti dall’applicazione della disciplina di carattere generale quelle promozioni, quale quella dell’appellato, derivante dall’applicazione di una normativa speciale.

6. In data 12 settembre 2019, si è costituito in giudizio l’appellato, il quale ha sostanzialmente ripercorso le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata ed ha insistito per il rigetto dell’appello.

7. All’udienza dell’11 giugno 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

7.1. Va premesso che sulle questioni controverse tra le parti si è pronunciata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria, anche ai sensi dell’art. 74, comma 1, secondo periodo, del codice del processo amministrativo (cfr. Sez. IV, nn. 2315, n.. 2687 e 3464 del 2020).

7.2. Le disposizioni sul blocco degli effetti economici conseguenti agli avanzamenti di carriera hanno avuto la dichiarata finalità di sterilizzare tali effetti nei rapporti in corso, per contingenti esigenze di finanza pubblica, contenimento del disavanzo di bilancio e salvaguardia del suo equilibrio, nell’arco del triennio da esse indicato.

7.3. Il collocamento in congedo dell’appellato è avvenuto nel vigore di una disposizione che, nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto il cosiddetto blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, della progressione automatica per classi e scatti di stipendio, delle progressioni di carriera, comunque denominate.

Infatti, l’art. 9, comma 21, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 2010, ha così disposto:

«I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Il meccanismo di blocco è stato poi prorogato anche per l’anno 2014, dal d.P.R. n. 122 del 2014.

In ragione dell’applicazione congiunta di queste due disposizioni, all’appellato è stata riconosciuta la qualifica superiore ai fini esclusivamente giuridici.

7.4. Sulla normativa da applicare al caso di specie, la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 200 del 2018.

Nel richiamare questa sentenza, le sentenze n. 2315 e n. 3464 del 2020 della Sezione hanno avuto modo di osservare che:

“a) al fine di contenere le spese, tutto il pubblico impiego è stato coinvolto da una articolata regola di conformazione della retribuzione “spettante”, nel triennio 2011-2013, prorogato all’anno 2014: per il pubblico impiego non contrattualizzato la retribuzione è determinata senza tener conto né dei meccanismi di adeguamento retributivo, né delle «progressioni di carriera comunque denominate»; simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato, la retribuzione è determinata senza tener conto né delle «progressioni di carriera comunque denominate», né dei passaggi tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di carriera; si sono aggiunte altre misure di contenimento delle spese, quale il blocco della contrattazione collettiva con conseguente congelamento dei livelli retributivi (art. 9, comma 17), per il pubblico impiego contrattualizzato, prevedendo anche che, per il successivo triennio (2013-2015), la contrattazione sarebbe stata possibile per la sola parte normativa e «senza possibilità di recupero per la parte economica»;

b) la disposizione dettata per contenere la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, citato) non ha comportato un prelievo straordinario su una retribuzione più elevata, ma ha introdotto una regola per conformare la “retribuzione spettante” ai pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, andando ad integrare, sia pure temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la finalità di contenerne il costo complessivo;

c) sulla base di tale presupposto, le «esigenze di politica economica giustificano interventi che…comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione in carriera» (sentenza n. 96 del 2016), sempre che la retribuzione ‘di risulta’ assicuri comunque il rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., rispetto ad una adeguatezza complessiva della retribuzione (sentenze nn. 310 e 304 del 2013; n. 154 del 2014), cosi risultando giustificata la regola legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti comportante il congelamento delle retribuzioni; mentre è costituzionalmente illegittimo (sentenza n. 178 del 2015) il regime di sospensione della contrattazione collettiva, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con conseguente conferma indiretta del blocco per il periodo precedente;

d) il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo; mentre, il differenziale tra la retribuzione percepita (perché “spettante” in ragione del criterio limitativo) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita, salvo eccezioni espressamente previste dallo stesso art. 9 (comma 1 e comma 22), non ricorrenti nella fattispecie;

e) la questione all’attenzione della Corte è stata posta rispetto alla disparità di trattamento tra i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio di blocco stipendiale e quelli collocati dopo (e prima), nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell’arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la «valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso»;

f) è determinante la considerazione che il “fluire del tempo” differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile debba tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo (e prima) la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento;

f1) una volta sterilizzate ex lege, per effetto dell’art. 9, le retribuzioni in caso di progressioni in carriera nel quadriennio, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza, perché la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata;

g) né è ipotizzabile una disparità di trattamento del dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio, che subirebbe a tempo indeterminato il rigore della regola la quale, invece, congelerebbe solo temporaneamente gli incrementi retributivi, perché questo sarebbe plausibile solo se la regola limitativa avesse natura di prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera e si riespandesse la retribuzione una volta cessata l’operatività del prelievo per quelli ancora in servizio; natura di prelievo già esclusa in altre pronunce (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013);

h) infatti, il pubblico dipendente promosso nel ‘periodo di cristallizzazione’ ha diritto a quella retribuzione che percepiva prima della promozione e questa rileva sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto;

i) in definitiva, la circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente “promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa;

j) solo il legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, potrebbe prevedere, come richiedeva il remittente, la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un’area superiore”.

7.5. In considerazione della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale, questo Consiglio, con la suindicata sentenza n. 2315 del 7 aprile 2020, ha dunque accolto l’appello del Ministero.

7.6. Con le ulteriori sentenze n. 2687 e n. 3464 del 2020, questo Consiglio ha ribadito che ragioni di carattere testuale, logico-sistematiche e di specialità temporale, depongono per l’accoglimento della identica tesi sostenuta in quel giudizio dal Ministero dell’Interno.

In dettaglio, è stato statuito che:

“a) In primo luogo, l’art. 9, comma 21, parla di “progressioni di carriera comunque denominate”.

E’ evidente l’ampiezza della locuzione, indistintamente riferita a tutte le vicende attinenti al rapporto di lavoro non privatizzato tali da determinare, quale che ne sia il nomen juris, una “progressione di carriera”.

A sua volta, l’espressione “progressione di carriera” richiama l’avanzamento nella scala gerarchica o, comunque, nell’ordine verticale delle qualifiche, ossia un movimento verso l’alto concretante l’acquisizione di una posizione (ordinamentale o funzionale) più elevata nell’ambito dell’Ente.

A tenore di tale ampia portata precettiva dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78, non vi sono margini per ritenerne escluso l’istituto della “promozione alla vigilia”.

b) Ciò, oltretutto, cozzerebbe con profili d’ordine logico-sistematico.

Invero, la ratio del d.l. n. 78, palesemente volta a garantire un risparmio di spesa all’Erario, vale a fortiori per le promozioni “alla vigilia”, ben più onerose per lo Stato rispetto alle ordinarie promozioni per così dire “effettive”: l’istituto de quo, infatti, trova applicazione nella parte finale della vita lavorativa del dipendente interessato e, dunque, consente l’acquisizione dei gradi apicali nella rispettiva carriera, connotati da livelli retributivi generalmente elevati, quanto meno rispetto alla media del pubblico impiego.

Oltretutto, la “promozione alla vigilia”, prescindendo in toto da qualunque valutazione comparativa o, comunque, meritocratica, determina l’erogazione di migliori trattamenti economici (e previdenziali) che non conseguono ad un procedimento selettivo o, comunque, valutativo, ma, di contro, sono attribuiti indistintamente dalla legge a tutti i soggetti che si trovino nelle condizioni previste.

c) Infine, in un’ottica di rapporto strutturale fra disposizioni di legge, a ben vedere quella speciale è proprio la norma recata dal d.l. n. 78, che detta la disciplina (appunto, speciale) di tutte le progressioni in carriera, comunque denominate, che siano state disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 (poi anche 2014).

Proprio in quanto norma speciale ratione temporis, dunque, è questa che deve trovare applicazione per le “progressioni in carriera, comunque denominate”, disposte nel triennio (poi quadriennio) in discorso”.

8. Il Collegio ritiene che l’appello del Ministero va pertanto accolto (non ravvisandosi, alla luce delle deduzioni delle parti e degli atti processuali, ragioni che possano indurre a discostarsi da quanto statuito con riferimento ai casi analoghi), sicché – in riforma della sentenza impugnata – il ricorso di primo grado va respinto.

9. Sussistono giusti motivi per compensare le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello n. 6622 del 2019 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, con sede in Roma, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020, ai sensi dell’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Nicola D'Angelo, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Luigi Maruotti





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Anno 2019

Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE LIGURIA Anno 2019 Numero 113

SENTENZA 113/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
Il Giudice Unico Consigliere Maria Riolo

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio pensionistico iscritto al n. 20622 del registro di Segreteria, proposto da OMISSIS, nato il OMISSIS a OMISSIS, C. F. OMISSIS, elettivamente domiciliato in La Spezia, Via Vittorio Veneto n. 277, presso lo studio dell’Avv. Barbara Tripi che lo rappresenta e difende (avvbarbaratripi@pec.it), contro l’I.N.P.S. e contro il Ministero della Difesa.

Uditi nella pubblica udienza del 14 giugno 2019, per la parte ricorrente l’Avv. Barbara Tripi; il difensore dell’I.N.P.S. Avv. Alberto Fuochi.

Ritenuto in
FATTO

Il sig. OMISSIS, Sottotenente di Vascello della Marina Militare, collocato in congedo assoluto per infermità dal 3/11/2014, ha proposto ricorso per lamentare la mancata “omogeneizzazione stipendiale dei più 23 anni” previsti dall’art. 1802, comma 3, del D. Lgs. n. 66/2010 che ha recepito l’art. 5, comma 3 bis della legge n. 231 dell’8/8/1990.

Il ricorrente ha addotto di aver maturato il diritto a tale omogeneizzazione stipendiale in data 3/7/2014 e di non aver potuto percepire a detta data il beneficio in questione a causa del blocco stipendiale in atto per gli anni 2011/2013, successivamente prorogato con il D.P.R. n. 122/2013 anche per l’anno 2014.

Il ricorrente ha esposto di aver presentato domanda all’Amministrazione della Difesa in data 15/2/2016 per conseguire dall’1/1/2015 (data di cessazione del blocco stipendiale) l’aggiornamento del trattamento pensionistico in conformità a quanto effettuato per i colleghi in servizio ai quali è stato attribuito, dall’1/1/2015, il trattamento stipendiale previsto per i 23 anni di servizio, non corrisposto prima per effetto del blocco.

L’Amministrazione della Difesa, a fronte della domanda, ha frapposto, la competenza dell’I.N.P.S. in materia pensionistica.

L’Interessato ha proposto anche domanda all’I.N.P.S. che si è espresso nel senso che la pensione va calcolata tenendo conto degli elementi stipendiali forniti dall’Amministrazione con il modello PA04 e che la modifica degli elementi indicati nel modello va richiesta all’Amministrazione stessa.

Il difensore del ricorrente chiede al giudice di accertare e dichiarare, con effetto dall’1/1/2015, il diritto del sig. OMISSIS all’attribuzione dello stipendio e del trattamento economico propri del grado rivestito, per effetto della progressione di carriera conseguita il 3/7/2014, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione.

A sostegno di detta domanda il ricorrente ha addotto sostanzialmente che la legge di stabilità del 2015 sblocca e ripristina un diritto bloccato e non fa distinzioni tra coloro che erano in servizio e quelli che hanno acquisito lo stesso diritto in servizio e per ragioni di salute siano stati collocati in congedo assoluto prima della cessazione del blocco.

Con memoria prodotta il 14/6/2019 si è costituito in giudizio l’I.N.P.S. che ha chiesto il rigetto del ricorso.

In udienza le parti hanno insistito come in atti.

Dopo la trattazione il giudizio è stato definito con sentenza, dando lettura del dispositivo in aula.

Considerato in
DIRITTO

Il ricorrente, cessato dal servizio a decorrere dal 3/11/2014, chiede la valorizzazione in quiescenza del beneficio “dell’omogeneizzazione stipendiale dei più 23 anni” previsto dall’art. 1802 del D. Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, e dallo stesso maturato il 3/7/2014, durante la vigenza del blocco degli effetti economici dei meccanismi di progressione automatica degli stipendi o dei benefici delle progressioni di carriera comunque denominate. Il blocco in argomento è stato previsto per gli anni 2011, 2012, 2013, dall’art. 9, comma 21, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122; blocco, questo, prorogato fino al 2014 per effetto dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 1, lett. a), contenente il regolamento di attuazione del D.L. n. 98/2011.

L’interessato, alla data di cessazione dal servizio, pur avendo maturato l’anzianità che avrebbe dato titolo al c.d. beneficio dell’omogeneizzazione, non ha potuto percepire tale beneficio a causa del blocco di cui sopra e, conseguentemente, non ha titolo alla valorizzazione in quiescenza dello stesso beneficio.

Ai sensi, infatti, dell’art. 1866 del codice dell’ordinamento militare, D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, e dell’art. 53 de D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio. Anche per effetto delle disposizioni in materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile previste dall’art. 2, commi 9, 10 e 11 della legge 8 agosto 1995, n. 335, il trattamento di quiescenza va rapportato alla contribuzione versata durante il rapporto lavorativo e quindi agli emolumenti percepiti in servizio.

Il quadro normativo di riferimento non consente interpretazioni dalle quali possa discendere l’accoglimento del ricorso.

La problematica di cui alla presente fattispecie è assimilabile a quella già esaminata da questo giudice che, con ordinanza n. 1/2017, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), per contrasto con l’art. 3 della Costituzione nella parte in cui dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell’arco temporale della “cristallizzazione”, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso.

Con la sentenza n. 200/2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata da questo giudice, concludendo la motivazione della sentenza stessa nel senso che “Spetterebbe comunque al legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio ad un’area superiore”.

In conclusione, il ricorso va respinto perché il quadro normativo di riferimento non consente la valorizzazione in quiescenza di benefici che l’interessato non percepiva alla data di cessazione dal servizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale regionale per la Liguria, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando

RESPINGE

Il ricorso iscritto al n. 20622, proposto da OMISSIS
Le spese si compensano
Così provveduto in Genova il 14 giugno 2019.
IL GIUDICE
(Maria Riolo)

Depositato in Segreteria il 18 giugno 2019.
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La quì sotto sentenza della CdC Sez. 1^ d'Appello, nasce da quella della CdC Lazio n. 278/2017 firmata dal Giudice dott.ssa Marzia de Falco il cui ricorrente era I'Ammiraglio Ispettore capo della Marina Militare, che chiedeva la rideterminazione del trattamento pensionistico ad esso spettante, in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio (5/8/2014) o, quantomeno, dal 1/1/2015.

N.B.: appello del Ministero della Difesa accolto.
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Sezione PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Anno 2020 Numero 3

3/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai Sigg.ri magistrati:
dott. Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
dott. Enrico TORRI Consigliere
dott.ssa Fernanda FRAIOLI Consigliere relatore
dott.ssa Elena TOMASSINI Consigliere
dott.ssa Giuseppina MIGNEMI Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio pensionistico d’appello iscritto al n. 54193 del Registro di Segreteria, proposto dal Ministero della Difesa – PREVIMIL, rappresentato dalla Direttrice Generale dott.ssa Maura PAOLOTTI.

avverso
la sentenza n. XXX/XXXX depositata il 9 ottobre 2017 della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lazio

contro
T.M. rappresentato e difeso dagli avv.ti Alba GIORDANO e Umberto VERDACCHI, elettivamente domiciliato presso lo studio della prima, in Roma, Via Muzio Clementi n. 58.

Visti gli atti introduttivi e tutti i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 28 novembre 2019 la relatrice, Consigliere Fernanda FRAIOLI, la dott.ssa Iris MAROCCHINI, su delega scritta dell’avv.ssa Marzia LETTIERI BARBATO, per il Ministero della Difesa-PREVIMIL e l’avv. Umberto VERDACCHI per l’appellato.

FATTO

Con sentenza n. 278/2017 del 9 ottobre 2017, la Sezione Giurisdizionale per il Lazio accoglieva il ricorso di T.M. diretto a richiedere la rideterminazione del trattamento pensionistico spettantegli, in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio (5 agosto 2014) o, quantomeno dal 1 gennaio 2015.

La sentenza di prime cure ha dichiarato tale diritto tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione di carriera verificatisi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio avvenuta il 5 agosto 2014.

Il T., Ammiraglio Ispettore capo (SAN) della Marina Militare, risulta essere cessato dal servizio permanente per raggiunti limiti di età dal 6 agosto 2014 e, al contempo, collocato in ausiliaria ai sensi del Codice dell’Ordinamento Militare.

Durante il periodo di ausiliaria è stato rideterminato il trattamento provvisorio con provvedimento successivamente modificato, in relazione ad una base pensionabile cristallizzata al trattamento economico spettante nel grado di Contrammiraglio alla data del 31 dicembre 2010, in applicazione dell’art. 9, co. 1 e 21, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con modif. dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122.

Con il ricorso il T. ha contestato la determinazione pensionistica provvisoria, chiedendone la riliquidazione nella parte in cui la base pensionabile e gli altri assegni pensionabili, in applicazione della normativa che ha disposto il blocco delle progressioni di carriera a decorrere dal 1 gennaio 2011 (blocco prorogato fino al 31 dicembre 2014), sono stati definiti prendendo in considerazione il grado di Contrammiraglio, rivestito alla data di entrata in vigore della norma, anzichè il grado di Ammiraglio Ispettore Capo, conseguito ai soli fini giuridici, in data 8 febbraio 2014.

Ha proposto appello il Ministero della Difesa adducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 9, co. 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010, conv. con modif., dall’art. 1, co. 1 della Legge n. 122/2010, oltre a carenza di motivazione o motivazione apparente.

Si è costituito il T. che ha chiesto il rigetto dell’appello del Ministero e di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale proposta con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio.

All’odierna pubblica udienza, le parti si sono richiamate agli atti depositati.

Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello odierno del Ministero della Difesa, tende all’annullamento della sentenza di prime cure che ha riconosciuto il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che gli sarebbero spettati in relazione alla progressione di carriera verificatasi nel periodo 2011/2014, con effetto dalla cessazione dal servizio avvenuta il 5 agosto 2014.

Tanto perché, ritiene il Ministero, che il GUP abbia errato nel riconoscere il diritto a detta rideterminazione prendendo in considerazione il grado di Ammiraglio Ispettore Capo, conseguito, ai soli fini giuridici, in data 8 febbraio 2014 (in costanza di servizio), anziché quello di Contrammiraglio, rivestito alla data di entrata in vigore del D.L. n. 78/2010, conv. con modif., dall’art. 1, co. 1 della Legge n. 122/2010.

L’appello è fondato.

Deve ritenere il Collegio che con la sentenza n. XXX/XXXX del 15 novembre 2018, la C. C.le, su rimessione della Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria, ha dichiarato la costituzionalità della legge (in forma diretta del blocco delle progressioni di carriera ed in forma indiretta di quella su classi e scatti ed assegno funzionale) eliminando, così, qualsivoglia possibilità di rivendicazione legata al blocco stipendiale da parte dei pensionati andati a riposo nel periodo di interesse del T. (1 gennaio 2011/31 dicembre 2014).

Hanno statuito i giudici di legittimità – proprio in un caso esattamente sovrapponibile a quello odierno – che “la regola limitativa degli incrementi stipendiali – applicabile nel giudizio a quo per il tramite del rinvio del combinato disposto dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, e dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013 – è posta dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, dichiaratamente al fine di contenere le spese in materia di impiego pubblico, come risulta dalla stessa rubrica della disposizione.

Tale disposizione stabilisce: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.

L’obbligo di sinteticità dettato dall’art. 5, co. 2 del CGC impone di limitare la fedele riproduzione di questa importante pronuncia al passo riportato, purtuttavia si ritiene sufficiente per affermare che il giudice di prime cure abbia errato nell’asserire che il diritto del T. doveva essere riconosciuto perché lo stesso non aveva potuto avvantaggiarsi della cessazione della vigenza della norma penalizzatrice a decorrere dal 1 gennaio 2015 (diversamente dai colleghi collocati in quiescenza successivamente a tale data) “per una circostanza del tutto casuale” nella quale identifica la cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età nel 2014.

Non sarà superfluo rilevare che la ratio legis – siccome ribadito dalla sentenza di cui sopra – è evidentemente quella di contenimento della spesa pubblica che non si vede come si possa superare, non soltanto con una chiara violazione di una norma di legge dal carattere eccezionale, ma adducendo quale motivazione che il sacrificio imposto al ricorrente avrebbe determinato conseguenze pregiudizievoli in forma permanente.

Ciò, peraltro, dopo aver evocato alcune delle pronunce del giudice delle leggi che hanno riconosciuto la legittimità delle norme di cui trattasi!

E, come se non bastasse, ha anticipato gli effetti del diritto così riconosciuto al 6 agosto 2014 – ovvero in pieno blocco stipendiale per tutti coloro che erano in servizio – creando una disparità opposta, atteso che per chi era rimasto in servizio il blocco terminava il 31 dicembre 2014 ed il ripristino dell’efficacia economica degli incrementi retributivi ricominciavano a decorre dal 1 gennaio 2015.

Tanto premesso, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, riformata la sentenza di primo grado.

Le medesime motivazioni, supportano, infine, la dichiarazione di inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale dell’appellato, vieppiù sostenute della conclusione che si legge nella sentenza della Corte Costituzionale, ovvero che “spetterebbe comunque al legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un’area superiore”.

Le spese legali seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore del Ministero della Difesa come in dispositivo.

Non vi è luogo a provvedere, invece, sulle spese di giustizia, stante la loro gratuità, siccome statuito dal legislatore all’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 ed esteso alla generalità dalla giurisprudenza contabile (ex multis, Sez. III, 9 gennaio 2018, n. 6; Sez. I App., 1 marzo 2013, n. 165 e 6 marzo 2013, n. 187; id. 23 novembre 2009, n. 648; Sez. III App., 1 ottobre 2007, n. 272).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,

· dichiara inammissibile la proposta questione di legittimità costituzionale,

· accoglie l’appello e, per l’effetto, riforma la sentenza di cui in epigrafe,

· liquida le spese in favore del Ministero della Difesa nella misura di €. 500,00.

Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2019.
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Fernanda FRAIOLI F.to Agostino CHIAPPINIELLO


Depositata in segreteria il 8 gennaio 2020


Il Dirigente
(F.to dott. Sebastiano ROTA)
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La CdC Puglia rigetta il ricorso dei ricorrenti, tutti Ufficiali delle Forze Armate, lamentano che l’Amministrazione abbia illegittimamente riconosciuto loro un trattamento di quiescenza inferiore a quanto previsto dalla normativa vigente.

1) - Premettono di essere stati tutti, con la sola eccezione dell’Amm. XXX, collocati in Aspettativa per riduzione quadri (di seguito anche A.R.Q.) e, successivamente, di avere richiesto di cessare dal servizio ex art. 909, quarto comma, D Lgs n. 66 del 2010 (di seguito anche Codice dell’ordinamento militare o C.O.M.).
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE PUGLIA Anno 2020 Numero 181

Sentenza n.181/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, in persona del Cons. Marcello Iacubino, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 34485 del registro di segreteria,

ad istanza di:
XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX); XXX (XXX), tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Giovanni Malinconico del Foro di Latina giusta procura in atti (pec: avvgiovannimalinconico@puntopec.it, fax 0773.412656);

CONTRO
MINISTERO DELLA DIFESA, DIREZIONE GENERALE DELLA PREVIDENZA E DELLA LEVA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliata ex lege presso l’Avvocatura dello Stato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

Oggetto: rideterminazione del trattamento pensionistico.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Visto il Codice di giustizia contabile (“c.g.c.”) approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, in particolare gli artt. 151 e ss.
Udito nella pubblica udienza del 5 marzo 2020 l’Avv. Antonio Savino (per delega dell’avv. Giovanni Malinconico) per la parte ricorrente (Amministrazione non comparsa), come da verbale in atti.

Ritenuto in
FATTO

1. – Con il ricorso in epigrafe, ritualmente depositato e notificato, gli odierni ricorrenti, tutti Ufficiali delle Forze Armate, lamentano che l’Amministrazione abbia illegittimamente riconosciuto loro un trattamento di quiescenza inferiore a quanto previsto dalla normativa vigente.

Premettono di essere stati tutti, con la sola eccezione dell’Amm. XXX, collocati in Aspettativa per riduzione quadri (di seguito anche A.R.Q.) e, successivamente, di avere richiesto di cessare dal servizio ex art. 909, quarto comma, D Lgs n. 66 del 2010 (di seguito anche Codice dell’ordinamento militare o C.O.M.).

L’Amm. XXX è stato invece collocato in ausiliaria ex art. 924 C.O.M. per aver raggiunto i limiti di età.

Ad ogni modo, tutti i ricorrenti si trovano tutti nello stato di ausiliaria di cui all’art. 886 C.O.M. A loro avviso, essendo il trattamento di quiescenza spettante in tale situazione quello previsto dall’art. 1873 C.O.M. – il quale attribuisce il trattamento pensionistico che sarebbe loro spettato qualora fossero rimasti in servizio fino al limite di età, compresi gli aumenti periodici e i passaggi di classe di stipendio – la Direzione generale della previdenza e della leva del Ministero della Difesa (di seguito anche Previmil), sarebbe incorsa in errore quando ha riconosciuto loro il trattamento pensionistico senza considerare le classi biennali stipendiali e le relative quote mensili maturate nel periodo 2011 – 2015.

In diritto sostengono la natura irragionevole della interpretazione offerta dall’Amministrazione riguardo all’art. 9, comma 21, D.L. n. 78 del 2010 (conv. con mod. in Legge n. 122 del 2010) relativo al blocco degli stipendi (anni 2011-2014), il quale prevede che: “Per le categorie di personale di cui all’art. 3 D. Lgs n. 165 del 2001 ss. mm. che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti.” Tale previsione è stata successivamente estesa agli anni 2014 e 2015, rispettivamente dal D.P.R. n. 122 del 2013 e dalla Legge n. 190 del 2014.

Dopo previa diffida inviata a Previmil, hanno adito questa Corte per accogliere le seguenti conclusioni: - in via principale, ordinare al Ministero della Difesa, di ricalcolare il trattamento di quiescenza percepito dai ricorrenti con il riconoscimento di tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate nel periodo in servizio e fino al raggiungimento dei limiti di età, comprese quelle maturate nel periodo 2011 – 2015, con decorrenza dalla data di collocamento in Ausiliaria; - in via incidentale, per l’ipotesi che non si ritenga operabile un’interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento, sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, D.L. n. 78 del 2010, nonché dell’art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 122 del 2013 e dell’art. 1, comma 256, Legge n. 190 del 2014, nella parte in cui prevedono che gli anni 2011 - 2015 non siano utili ai fini della maturazione delle classi stipendiali biennali e delle relative quote mensile, per violazione degli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost.

2. – Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio in data 25.2.20, sostenendo la infondatezza della pretesa di parte avversa sulla base del chiaro disposto normativo di cui dall'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, il quale stabilisce che, per il personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, destinatario di progressione automatica degli stipendi (e in tale ambito è riconducibile la posizione degli Ufficiali dirigenti e di quelli provvisti di trattamento economico ”dirigenziale”), gli anni 2011, 2012, 2013 (poi anche 2014 e 2015) non sono utili ai fini della maturazione delle classi e scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti; e sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 200, depositata il 15/11/2018. Con vittoria di spese e competenze di lite, quantificate in complessive € 3.000,00.

3. – La causa è stata discussa in data odierna; al riguardo, l’avv. Savino, in un breve intervento, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, segnalando alcune decisioni in senso favorevole rese dalle Sezioni Calabria e Umbria di questa Corte. In subordine ha chiesto la disposizione della c.d. sospensione impropria del giudizio, avendo già le Sezioni Abruzzo e Lombardia rimesso, su identica questione, la fattispecie al vaglio della Consulta (che dovrebbe riunirsi per decidere in data 22.4.2020).

Il giudizio è stato quindi definito con sentenza – provvedendosi all’esito della camera di consiglio a dare lettura in udienza del dispositivo e a esporre le ragioni di fatto e di diritto – depositata nell’ordinario termine di legge.

Considerato in
DIRITTO

1. – La questione giuridica sottoposta al vaglio del presente giudizio riguarda l’accertamento del diritto dei ricorrenti al ricalcolo del trattamento pensionistico con riconoscimento nel trattamento di quiescenza, di tutte le classi stipendiali biennali e delle quote mensili maturate nel periodo in ausiliaria, anche in vigenza dell'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78 del 2010, conv. in L. n. 122 del 2010.

Nel merito, tale questione va risolta alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78 del 2010 (per tale motivo non si ritiene necessario disporre la sospensione c.d. impropria del giudizio richiesta in via subordinata da parte ricorrente, per quanto alcune Sezioni, come la Lombardia, abbiano già sollevato - con ordinanza n. 4/2019 del 18 gennaio 2019 - questione di legittimità costituzionale).

Il Giudice delle leggi, nel ritenere infondata la questione sollevata, ha osservato che «II contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale, ancora retributivo. Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché “spettante” in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita».

Va evidenziato, inoltre, che laddove il legislatore ha voluto – ma non nel caso di specie – ha espressamente previsto la mancata applicazione delle riduzioni e dei tagli stipendiali anche a fini previdenziali, e che «Né, in generale, per il pubblico impiego è prevista alcuna contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini pensionistici».

La stessa Corte, inoltre, nel dichiarare la non fondatezza delle questioni di costituzionalità ha osservato che spetta «al legislatore, nell'esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un'area superiore».

Considerato che l'art. 9, comma 21, dispone un principio generale volto a disporre il blocco della retribuzione dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, alcuna differenza sorge se l'incremento stipendiale consegua a progressioni automatiche ovvero a progressioni di carriera.

2. – Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso va respinto (in termini, cfr. anche Sez. Toscana, sent. n. 384/2019).

La costituzione di parte resistente a mezzo di propri funzionari consente, nel regime precedente alla modifica del comma 2 dell’art. 158 c.g.c., la compensazione delle spese di lite tra le parti.

PER QUESTI MOTIVI

la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, disattesa ogni altra deduzione, eccezione e domanda, lo rigetta.

Spese compensate.

Così deciso, in Bari, all’esito della pubblica udienza del 5 marzo 2020.
IL GIUDICE
f.to (Marcello Iacubino)


Depositata in Segreteria il 06/03/2020


Il Funzionario di Cancelleria
f.to (dott. Pasquale ARBORE)
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Ciao Zenmonk, è tutto chiaro?
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Ricorso perso.

1) - Il ricorrente è ufficiale della Guardia di finanza in pensione, cessato dal servizio, per limiti di età, in data 15 ottobre 2017, con il grado di colonnello e collocato nell’ausiliaria a decorrere dalla medesima data e nella riserva dal 15 maggio 2018.
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SEZIONE GIURISDIZIONALE PIEMONTE Anno 2019 Numero 14

SENT. N. 14/19

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
la Corte dei Conti
Sezione giurisdizionale
per la regione Piemonte

in composizione monocratica nella persona del Cons. Walter BERRUTI ai sensi dell’art. 151 c.g.c, ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 20502 del Registro di Segreteria, promosso da
A. F. (c.f. omissis), nato a omissis il omissis e residente in omissis, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Andrea Saccucci e Matteo Magnano del Foro di Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso;

contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e GUARDIA DI FINANZA;

e contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione dipendenti pubblici, in persona del Presidente e legale rappresentante, rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Giorgio RUTA (RTU GRG 55C09 H501X) e Patrizia SANGUINETI (SNG PRZ 69A66 D969D) dell’Ufficio legale dell’Istituto, giusta procura generale ad lites conferita per atto del notaio Paolo Castellini, rep. n. 80974/21569 del 21 luglio 2015, con loro elettivamente domiciliato in Torino, Via Arcivescovado n. 9;

avverso

la nota dell’11 luglio 2018 con cui l’Amministrazione finanziaria ha respinto la domanda di rideterminazione della pensione in relazione alla base pensionabile cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in assenza del c.d. blocco retributivo di cui all’art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010 n. 122,

e per la declaratoria del relativo diritto,
previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 e norme collegate.

Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione.
Uditi, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2018, l’avv. Matteo Magnano per il ricorrente e l’avv. Giorgio Ruta per l’INPS, come da verbale.

Ritenuto in
FATTO


Il ricorrente è ufficiale della Guardia di finanza in pensione, cessato dal servizio, per limiti di età, in data 15 ottobre 2017, con il grado di colonnello e collocato nell’ausiliaria a decorrere dalla medesima data e nella riserva dal 15 maggio 2018.

Al ricorrente, appartenente ad una categoria di personale che fruisce di meccanismi di progressione automatica degli stipendi, non è stato considerato utile ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio e, conseguentemente, della pensione, il periodo di servizio incluso negli anni (2011-2015) del c.d. blocco retributivo di cui all’art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010 n. 122 (e norme successive collegate). Con l’istanza in epigrafe e, poi, con il ricorso in esame il ricorrente ha chiesto la rideterminazione della pensione in relazione alla base pensionabile cui avrebbe avuto diritto in assenza del predetto blocco retributivo, osservando come questo abbia determinato non soltanto un effetto temporaneo sul trattamento retributivo, ma anche, secondo l’interpretazione seguita dall’Amministrazione, un effetto permanente sul trattamento pensionistico.

L’INPS si è costituito con comparsa depositata in data 8 ottobre 2018, in cui ha eccepito il difetto di giurisdizione di questa Corte sulla domanda relativa alla spettanza e al computo di elementi retributivi inerenti direttamente al rapporto di pubblico impiego, la cui cognizione è demandata al competente TAR, mentre nel merito ha concluso per l’infondatezza del ricorso e il suo rigetto.

La Guardia di finanza si è costituita con memoria depositata il 4 ottobre 2018, nella quale ha sostenuto la correttezza del proprio operato, evidenziato che il c.d. blocco stipendiale ha inevitabilmente prodotto effetti sul trattamento di quiescenza di coloro che, cessati dal servizio durante la sua vigenza, non hanno percepito gli emolumenti stipendiali colpiti dal blocco, i quali conseguentemente, per effetto delle norme in materia previdenziale, non sono entrati a far parte della base pensionabile. Ha chiesto, quindi, il rigetto del ricorso e, in subordine, ha eccepito la prescrizione quinquennale dei ratei già maturati.

All’udienza di discussione, la difesa del ricorrente, evidenziato che il caso di specie è diverso da quello del giudizio a quo di cui sentenza della Corte costituzionale n. 200/2018, non riguardando le progressioni in carriera di cui al comma 21 terzo periodo dell’art. 9 D.L. n. 78/2010, ma le classi e gli scatti di cui al secondo periodo della stessa norma, e riferito che su tale parte dell’articolo la Sezione Lombardia di questa Corte, nel giudizio n. 29152, ha sollevato nuova questione di legittimità costituzionale con ordinanza in corso di deposito, ha chiesto un rinvio in attesa del deposito della suddetta ordinanza. Nel merito ha richiamato le conclusioni già rassegnate. Anche l’INPS ha concluso come in atti e la causa è stata decisa come da dispositivo.

Considerato in
DIRITTO


1. L’eccezione, sollevata dall’INPS, di difetto di giurisdizione contabile sulla domanda in quanto diretta all’accertamento del diritto ad emolumenti retributivi inerenti il rapporto di pubblico impiego va respinta.

Come noto, la giurisdizione va determinata, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., sulla base dell'oggetto della domanda secondo il criterio del petitum sostanziale.

La domanda del ricorrente, di poter conseguire i benefici retributivi indicati nel ricorso, non corrisposti in costanza di servizio per effetto del blocco stipendiale di cui sopra, è finalizzata ad ottenere l’aumento della misura del trattamento pensionistico in godimento. La domanda, delimitata nei termini di cui sopra, i soli di cui possa conoscere la Corte, riguarda la misura della pensione di cui il ricorrente è titolare e rientra, pertanto, nella “materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato” (oggi la Gestione dipendenti pubblici - ex INPDAP in seno all’INPS), che, ai sensi degli artt. 13, comma 9 e 62 comma 1 del R.D. n. 1214/1934 (T.U. delle leggi sulla Corte dei conti) radica la giurisdizione di questa Corte.

2. Nel merito, il ricorso è in condizione di essere deciso, considerato, anche in obbedienza al canone della ragionevole durata del processo (richiamato anche dall’art. 4 c.g.c.), l’intervento chiarificatore in materia da parte della recente sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 15 novembre 2018.

Il D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), all’art. 43, come sostituito dall'art. 15 L. 29 aprile 1976 n. 177 (e analogamente l’art. 53 dello stesso D.P.R. per il personale militare) così dispone in ordine al calcolo della base pensionabile : “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati integralmente percepiti, è aumentata (…).”

Questa Corte (cfr. Sez. II App. n. 393/2013 e la giurisprudenza ivi richiamata) ha ribadito il principio secondo il quale non è sufficiente la pensionabilità di un assegno o di un'indennità per il suo inserimento nella base pensionabile, in assenza di una specifica disposizione di legge che ciò espressamente preveda. Sennonché, nella specie, non risulta, prima di tutto, soddisfatto l’altro requisito stabilito dalla ridetta norma ovvero che l’ultimo stipendio, l'ultima paga, gli assegni o indennità pensionabili indicati siano stati integralmente percepiti. Il che non è avvenuto, come pacifico in giudizio, dal momento che l’erogazione e la percezione degli emolumenti di cui si discute sono state sospese ex lege, ai sensi del ricordato art. 9, comma 21 del D.L. n. 78/2010.

Come correttamente osserva l’Amministrazione, il ricordato principio non è stato contraddetto nella normativa successiva e, anzi, confermato da quello secondo cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (cfr. questa Sez. n. 195/2016).

Gli aumenti retributivi in questione, pertanto, non essendo mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, neppure in via figurativa (per cui occorrerebbe una disposizione ad hoc), non possono entrare, giusta quanto sopra, nel computo della corrispondente base pensionabile.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200/2018 cit., ha fugato gli ulteriori dubbi di costituzionalità della norma (art. 9, comma 21 del D.L. n. 78 cit.), di cui aveva già affermato, sotto vari profili, la compatibilità con la Costituzione (cfr. C. cost. n. 178/2015, n. 96/2016). La Corte ha precisato che essa è priva di natura tributaria, costituendo una regola legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, che integra, temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la finalità di contenerne il costo complessivo, e che la circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente promosso sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano contributivo e previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa.

In sostanza, la valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla stessa giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. Né vi è ragione perché tali conclusioni non debbano valere sia per le progressioni in carriera di cui al comma 21 terzo periodo dell’art. 9 D.L. n. 78/2010 cit., che per le classi e gli scatti di cui al secondo periodo dello stesso comma, essendone evidente l’analogia ai fini di cui sopra.

3. Le censure di illegittimità costituzionale sollevate con il ricorso vanno pertanto ritenute manifestamente infondate.

4. Il ricorso va quindi respinto.

5. Le spese tuttavia possono essere compensate in ragione della non univocità della giurisprudenza di merito in materia.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,

rigetta il ricorso,

compensa le spese.

Così deciso in Torino il 18 dicembre 2018
IL GIUDICE
(F.to Dott. Walter BERRUTI)


Depositata in Segreteria il 29 Gennaio 2019


Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio CINQUE)
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Anno 2019 Numero 338

Omissis

1) - Con il ricorso indicato in epigrafe, preceduto da istanze-diffide rimaste prive di riscontro, i ricorrenti, tutti Ufficiali Generali e Ufficiali Superiori dell’Esercito e della Marina Militare, Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera incluso, come tali percettori in servizio del trattamento economico previsto per il personale dirigente e per quello ad esso assimilato del Comparto Sicurezza e Difesa, hanno evidenziato che le disposizioni di cui all’art. 9, comma 21, d.l. 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge n.122/2010, hanno stabilito, per esigenze di contenimento della finanza pubblica, misure di raffreddamento della dinamica retributiva del personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/01.

2) - Senonché i ricorrenti, nel corso del quinquennio 2011-2015, sono stati tutti collocati in aspettativa per riduzione dei quadri e poi cessati dal servizio permanente effettivo, per limiti d’età o a domanda, con conseguente collocamento in ausiliaria o direttamente in riserva.

L’INPS si è costituito in giudizio con memoria pervenuta il 3 gennaio 2019.

3) . Con la predetta memoria, l’Istituto previdenziale ha, in primo luogo, evidenziato che tutti i ricorrenti (con l’eccezione del solo Sig. C. Paolo) sono attualmente in posizione di ausiliaria, con conseguente percezione di trattamento pensionistico a carico dell’Amministrazione d’appartenenza e non già dell’INPS.

Omissis

La CdC scrive (ecco alcuni brani concludente il ricorso)

1. Sul punto, giova ribadire che la Corte Costituzionale più volte si è pronunciata in fattispecie analoghe affermando la legittimità del meccanismo del blocco stipendiale "..in quanto la misura adottata è giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità non irrazionali ed arbitrarie, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti' (Corte Cost., nn. 304 e 310 del 2013; id. n.219 del 2014).

2. Il carattere della transitorietà e dell'eccezionalità degli interventi di contenimento della spesa pubblica hanno consentito alle norme sui c.d. “blocchi” stipendiali di superare il vaglio di costituzionalità, più volte invocato, respingendosi le censure di illegittimità costituzionale delle misure contenute nel decreto-legge n.78/2010. Il blocco delle retribuzioni è dunque legittimo (Corte costituzionale, n.178 del 2015 e n. 96 del 2016), in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponde all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno.

3. In altri termini, le norme qui in considerazione risultano costituzionalmente legittime “…in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica- sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono- e per un periodo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio“ (così, Corte Costituzionale, n. 310/2013).

4. In definitiva, la valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Piemonte, 16 ottobre 2018, n. 110).

OMISSIS

5. Tutto ciò porta ragionevolmente ad escludere (anche) una discriminazione dei ricorrenti nei confronti degli ufficiali in servizio che hanno beneficiato, dall’1.1.2018, del riquadramento previsto dal d.lgs n. 94/2017, anche alla luce dell’insussistenza, nel nostro ordinamento, di un principio che imponga di provvedere all’allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di servizio (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Friuli Venezia-Giulia, n. 111/2018).

6. Va, infine, escluso il contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., per violazione del parametro interposto costituito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 e dell’art. 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Zenmonk »

panorama ha scritto: dom lug 05, 2020 3:24 pm Ciao Zenmonk, è tutto chiaro?
Ciao Panorama, se ho capito bene la giurisprudenza contabile è controversa sul punto. All’uopo avrei due domande: a) siccome la sezione Lazio si è espressa favorevolmente, andrei bene o l’INPS impugnerebbe? b) essendo stato riformato nel 2015 col grado di tenente colonnello CC e 33 anni da ufficiale spe, ho perso classi e scatti nel periodo 2011-2015? Se si, di quanto si tratta approssimativamente? Per il ricorso il costo è sui 400 oltre il 10% in caso di vittoria, quindi vorrei Poter farmi i conti se conviene...
Ringrazio di cuore per una cortese risposta!
panorama
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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La CdC Liguria con la sentenza n. 53/2019 rigetta il ricorso di 2 ufficiali della Marina Militare, cessati dal servizio rispettivamente in data 1 maggio 2016 e 2 maggio 2016.
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Sentenza 53/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

ha pronunziato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20545 del registro di Segreteria, proposto da OMISSIS e OMISSIS residenti in OMISSIS, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Malinconico, come da procure allegate al ricorso, e con elezione di domicilio, agli effetti del presente giudizio, presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore avvgiovannimalinconico@puntopec.it;

contro
I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – ROMA - in persona del legale rappresentante pro tempore;

letti gli atti e i documenti di causa;
uditi nell’udienza del 19 febbraio 2019 l’avv. Emanuele Bertolin in sostituzione dell’avv. Giovanni Malinconico, e l’avv. Alberto Fuochi per l’I.N.P.S.;

Ritenuto in fatto

Con ricorso depositato in data 31 ottobre 2018, OMISSIS e OMISSIS, già ufficiali della Marina Militare cessati dal servizio rispettivamente in data 1 maggio 2016 e 2 maggio 2016, hanno chiesto la declaratoria del diritto alla rideterminazione della base pensionabile con gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero loro spettati in relazione alle classi e agli scatti relativi al periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015 (non percepiti per effetto del c.d. blocco stipendiale di cui all’art. 9, comma 21, primo e secondo periodo del D.L. n. 78/2010) ed alla conseguente riliquidazione della pensione, con decorrenza dalla cessazione del servizio.

I ricorrenti sostengono che il testo della citata disposizione non pone ostacoli ermeneutici al riconoscimento degli incrementi stipendiali per classi e scatti alla cessazione del blocco e, quindi, a partire dal 1° gennaio 2016.

Nell’ipotesi in cui non dovesse ritenersi corretta l’interpretazione suggerita (avallata anche dalle sentenze di alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti) gli stessi sollevano questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 9, comma 21, primo e secondo periodo del D.L. n. 78/2010, nonché degli artt. 1, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 122 del 2013 e 1, comma 256, della Legge n. 190 del 2014 che hanno successivamente prorogato l’efficacia della disposizione per gli anni 2014 e 2015, per contrasto con gli artt. 3, 36, 53, e 97 della Costituzione.

Secondo i ricorrenti, la normativa impugnata risulterebbe illegittima nella parte in cui non ha disposto, a partire dal 1° gennaio 2016, cioè alla data di cessazione del blocco, la rideterminazione del trattamento retributivo per il personale in servizio e del trattamento di quiescenza per il personale in riserva o in pensione.

L’omissione avrebbe, secondo i ricorrenti, creato una irragionevole disparità di trattamento a danno degli stessi, sia rispetto al personale cessato prima del blocco, sia rispetto agli ufficiali superiori e agli ufficiali generali in servizio al 1° gennaio 2018 destinatari della normativa di cui al D.Lgs. n. 94 del 2017. L’art. 11, comma 7, del predetto decreto prevede, infatti, che “gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato, aumentati degli altri periodi giuridicamente computabili ai fini stipendiali . . .”, con conseguente recupero, di fatto, delle classi e degli scatti stipendiali maturati nel periodo 2011 - 2015.

I ricorrenti lamentano anche la violazione dell’art. 53 della Cost. in quanto “la mancata previsione di una rideterminazione del trattamento economico alla cessazione del “blocco” ha comportato una partecipazione maggiore a soggetti anagraficamente più anziani rispetto ad altri con la medesima capacità contributiva ma di età inferiore”, nonché dell’art. 36 della Cost. in quanto “La retribuzione, e conseguentemente il trattamento pensionistico non risultano assolutamente proporzionati alla quantità e, soprattutto, alla qualità del lavoro svolto”.

La normativa impugnata violerebbe, infine, anche l’art. 97 Cost. non preservando il buon andamento e l’imparzialità dell’operato della Pubblica Amministrazione.

In conclusione, i ricorrenti sostengono che “il sacrificio imposto, in assenza di limiti temporali, sfocia in una arbitraria, nonché eccessiva e sproporzionata compromissione degli interessi colpiti, tale da superare il limite dell’insindacabile discrezionalità del legislatore, creando uno squilibrio che le necessità economiche dello Stato non sono sufficienti a bilanciare”.

L’I.N.P.S. si è costituito con memoria dell’8 febbraio 2019 chiedendo il rigetto del ricorso, stante la chiara disposizione di legge che non consente di considerare utili ai fini della maturazione di classi e scatti stipendiali gli anni dal 2011 al 2015, e che non appare in contrasto con alcuno dei parametri costituzionali indicati dai ricorrenti. In subordine, l’Istituto eccepisce l’assenza di contribuzione relativa agli emolumenti che secondo i ricorrenti sarebbero loro spettati nel periodo del c.d. blocco stipendiale e la prescrizione della stessa.

All’udienza odierna, sentite le difese che hanno concluso come in atti, la causa, ritenuta matura, è stata decisa come da dispositivo, pubblicamente letto ex art. 5 della legge n. 205/2000 e depositato al termine dell’udienza in allegato al verbale.

Considerato in diritto

Il ricorso non è fondato e va respinto.

L’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78 del 2010 stabilisce che «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

La regola limitativa degli incrementi stipendiali, dettata per gli anni 2011-2013 al fine di contenere le spese in materia di impiego pubblico, come risulta dalla stessa rubrica della disposizione, è stata estesa agli anni 2014 e 2015 per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. a) D.P.R. n. 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, della Legge n. 190/2014.

Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 200/2018), il contenimento della retribuzione nel periodo suddetto “ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo.”

Per il personale militare, ai sensi dell’art. 1866 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), e dell’art. 53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina, infatti, con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio.

Come osservato dalla stessa Corte costituzionale, “Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché “spettante” in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici.”, “Né, in generale, per il pubblico impiego è prevista alcuna contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini pensionistici.” (Sent. 200/2018).

Mancando una disposizione di deroga all’effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quinquennio in questione, correttamente l’Amministrazione previdenziale non ha considerato nel computo delle rispettive basi pensionabili gli aumenti invocati dai ricorrenti per classi e scatti relativi al detto periodo, non compresi nella retribuzione percepita al momento del pensionamento, avvenuto nel maggio del 2016.

Non appaiono condivisibili, a tal proposito, i dubbi prospettati in via subordinata dai ricorrenti, relativi alla legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo e secondo periodo del D.L. n. 78/2010, nonché delle disposizioni di proroga di cui agli artt. 1, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 122 del 2013 e 1, comma 256, della Legge n. 190 del 2014, per contrasto con gli artt. 3, 36, 53 e 97 della Cost.

La Corte costituzionale si è, infatti, già pronunciata sulla legittimità dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, ritenendo infondate le denunciate violazioni dei parametri costituzionali invocati dai ricorrenti. Secondo la Corte, infatti, il temporaneo blocco di classi e scatti rientra in quell’ampia e complessiva manovra diretta al contenimento delle spese per il pubblico impiego che ha più volte superato il vaglio di costituzionalità, (sentenze n. 96 del 2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013; ordinanza n. 113 del 2014).

La Corte ha, in generale, ravvisato nel “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione (sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del 1999, come richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012)”. La stessa ha, inoltre, dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità, sollevate con riferimento all’art. 36 Cost. (sentenza n. 304 del 2013), affermando che il legislatore può temporaneamente congelare gli incrementi retributivi che, senza la regola limitativa posta dall’art. 9, comma 21, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, purchè la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. e la limitazione degli incrementi stipendiali non sia tale, come nei casi oggetto dell’odierno giudizio, da compromettere l’adeguatezza complessiva della retribuzione (da ultimo sentenza n. 200/2018).

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 97 della Cost, la Corte ha escluso che il principio di buon andamento dell’amministrazione possa essere richiamato per conseguire miglioramenti retributivi (ordinanza n. 205 del 1998; sentenza n. 273 del 1997;ordinanza n. 263 del 2002 e sentenza n. 304/2013).

Con riferimento, invece, al denunciato contrasto della normativa censurata con l’art. 53 della Cost, la giurisprudenza della Corte, (da ultimo, sentenza n. 223 del 2012), ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti devono essere connesse ad un presupposto economicamente rilevante e destinate a «sovvenire» le pubbliche spese. Sulla base di detti criteri, alla norma censurata, che non prevede una decurtazione patrimoniale o un prelievo della stessa natura a carico del dipendente pubblico, non può essere attribuita natura tributaria e, conseguentemente, non possono trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di capacità contributiva e di progressività mosse dai ricorrenti (sentenza n. 310/2013).

Non sussiste, infine, disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 della Cost. tra i ricorrenti e coloro che sono stati collocati in quiescenza prima del “blocco” stipendiale o che sono stati collocati in quiescenza dopo il 1° gennaio 2018 e che per effetto del D.Lgs. n. 94 del 2017, recante “Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate”, avrebbero, come sostenuto dai ricorrenti, “di fatto recuperato tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili, comprese quelle maturate nel periodo 2011-2015”. Come ha ripetutamente affermato il Giudice delle leggi, infatti, il “fluire del tempo” può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche e può, quindi, giustificare un trattamento diverso tra soggetti che ad una certa data, rilevante ai fini dell’attribuzione di determinati vantaggi, erano in posizioni diverse (alcuni in servizio e altri in pensione).

L’esistenza di pronunce contrastanti e i diversi interventi della Corte Costituzionale sulla materia giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria, in composizione monocratica, respinge il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Genova il 19 febbraio 2019.
IL GIUDICE
Pietro Maltese


Depositata in Segreteria il 22 marzo 2019.


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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Appello perso.
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Rif. CdC Puglia n. 149/2019 depositata in data 19/03/2019: i ricorrenti, tutti Ufficiali Generali e Ufficiali Superiori dell’Esercito e della Marina Militare, percettori in servizio del trattamento economico previsto per il personale dirigente e per quello ad esso assimilato del Comparto Sicurezza e Difesa, hanno chiesto di accertare il diritto alla rideterminazione del trattamento di quiescenza [provvisorio (inclusa l’indennità di ausiliaria) e/o definitivo)] dalla data di cessazione dal servizio o, quanto meno, dal 1° gennaio 2016, comprendendo nella base di computo anche tutti gli automatismi economici spettanti per ed in relazione al quinquennio dal 2011 al 2015 (inclusi quelli ex art.24 della Legge n.448/1998 e ex art.161 della Legge n.312/1980).
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279/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
Fernanda FRAIOLI Consigliere
Fabio Gaetano GALEFFI Consigliere relatore
Aurelio LAINO Consigliere
Rossella CASSANETI Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sull'appello in materia di pensioni, iscritto al n. 54893 del registro di segreteria, proposto da
1) A. F., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxx il x xxxxxxxx xxxx;
2) C. G., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxxxx il xx xxxxx xxxx;
3) C. M., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx; nato a xxxxxxxx il x xxxxxxxx xxxx;
4) C. S., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxx il x xxxxxxxx xxxx;
5) D. C. M., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxx il x xxxxx xxxx;
6) D. G. M., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxx il xx xxxxxxxxx xxxx;
7) D 'E. A., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a x. xxxxxxx il x xxxxxx xxxx;
8) M. V., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxx il xx xxxxxx xxxx;
9) O. M., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxxxxx il x xxxxxxxx xxxx;
10) O. A., c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxxx il xx xxxxxxxxx xxxx;
11) P. S, c.f. xxxxxxxxxxxxxxxx, nato a xxxxxxx il xx xxxxxxxx xxxx;
tutti rappresentati e difesi, dall'avv. Umberto Coronas, c.f. CRNMRT68T21H501K, pec umbertocoronas@ordineavvoocatirorna.org, e dall’avv. Salvatore Coronas, c.f. CRNSVT49M24D969F, pec salvatorecoronas@ordineavvocatiroma.org, e con gli stessi elettivamente domiciliati a Roma Via Giuseppe Ferrari 4, come da procure in calce all’atto introduttivo del giudizio,

contro
- Ministero della difesa, direzione generale della previdenza militare e della leva, in persona del legale rappresentante pro tempore;

- INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, con sede in Roma, via Ciro il Grande 21, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, dagli avv.ti Giuseppina Giannico, c.f. GNNGPP70B67D883T, pec avv.giuseppina.giannico@postacert.inps.gov.it, Antonella Patteri, c.f. PTTNNL60E49D665K, pec avv.antonella.patteri@ postacert.inps.gov.it e Sergio Preden, c.f. PRDSRG72L16H501O, pec avv.sergio.preden@postacert.inps.gov.it, e con gli stessi elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Centrale INPS in Roma, via Cesare Beccaria 29, come da procura speciale in calce all’atto di appello;

e nei confronti di
- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica pro tempore; non costituita;

avverso
la sentenza xxx/xxxx emessa dalla Sezione giurisdizionale per la Puglia della Corte dei Conti, depositata il xx xxxxx xxxx.

VISTO l’atto d’appello;
VISTI gli atti e documenti di causa;
UDITI, all’udienza del 17 settembre 2020, il relatore cons. Fabio Gaetano Galeffi, l’avv. Umberto Coronas per gli appellanti, l’avv. Sergio Preden per l’Inps e la dr.ssa Marina Propersi in rappresentanza del Ministero della difesa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 26 luglio 2019, A. F., C. G., C. M., C. S., D. C. M., D. G. M., D. E. A., M. V., O. M., O. A. e P. S. hanno proposto appello avverso la sentenza in epigrafe, con la quale veniva respinto il ricorso in primo grado formulato dagli attuali appellanti per l’accoglimento dei benefici di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, convertito in l. n. 122/2010 e successive modifiche e integrazioni.

Gli appellanti hanno premesso di essere stati Ufficiali dell’Esercito e della Marina militare e che sui loro trattamenti pensionistici sono state applicate le limitazioni alla progressione di cui all’art. 9, comma 21, citato, per cui hanno adito il Giudice territoriale, il quale ha respinto il ricorso, osservando che in materia la Corte costituzionale si era pronunciata con sentenza n. 200/2018, dichiarando quindi non fondate le questioni sollevate sull’applicazione della normativa di riferimento.

Gli appellanti hanno svolto i seguenti motivi di impugnazione:

1) - Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla Legge n. 122/2010, e delle successive disposizioni di proroga. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53 del D.P.R. 29.12.19732 n.1092 e 1866 del D.Lgs. 15.03.2010, n. 66. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.

2) - Error in iudicando - Violazione di legge sotto il profilo della erroneamente ritenuta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale, subordinatamente dedotta. Per violazione degli artt. 2, 3, 36, 38, 53 e 117 Cost. (quest'ultimo per contrasto con i parametri interposti di cui all'art. 1 del Protocollo n. l ed all'art. l del Protocollo n.12 della C.E.D.U.), dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, convertito con modifiche dalla L. n. 122/20102 e successive disposizioni di proroga (di cui all'art. 16, comma 1, lett. b. del D.L. n. 98/2011, convertito dalla L. n. 111/2011, all'art. 12 comma 1, lett. a, del D.P.R. n. 122/2013 n. 122 e all'articolo unico, comma 256, della L. n. 190/2014), anche in ragione di quanto disposto dall'art. 11, comma 7, del D. Lgs. n. 94/2017. Violazione di legge sotto il profilo dell'omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione.

L’Inps si è costituito nel giudizio di appello con memoria depositata il 13 agosto 2020, contrastando le pretese avversarie e chiedendo il rigetto dell’appello.

Il Ministero della difesa si è costituito con memoria del 27 agosto 2020, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia e chiedendo il rigetto dell’appello.

Gli appellanti insistono con memoria del 4 settembre 2020, con particolare riferimento all’intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 167/2020

All’udienza del 17 settembre 2020, le parti costituite si riportano alle conclusioni come in atti.

La causa è trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Gli appellanti lamentano che il Giudice di primo grado abbia respinto il ricorso pensionistico formulato collettivamente, pronunciandosi sull’interpretazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010.

Va preliminarmente verificata l’ammissibilità dell’appello alla luce dei limiti posti dall'art. 170 c.g.c., secondo cui “nei giudizi in materia di pensioni, l’appello è consentito per soli motivi di diritto; costituiscono questioni di fatto quelle relative alla dipendenza di infermità, lesioni o morte da causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento di infermità o lesioni”.

Al riguardo, nel ricorso introduttivo gli odierni appellanti hanno messo in evidenza una applicazione del citato art. 9, comma 21, che conterrebbe una opzione interpretativa ritenuta, a loro dire, in contrasto con il tenore letterale e sistematico della normativa stessa.

Nei termini appena enunciati, la domanda giudiziale si presenta caratterizzata da un asserito errore di diritto e pertanto l’appello è ammissibile.

Nel merito, il Collegio ritiene di poter decidere in applicazione del principio della “ragione più liquida”, secondo cui può procedersi all’esame del motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche laddove le parti avessero posto questioni che, in base all’ordinaria sequenza logico-giuridica, dovrebbero essere soggette a prioritario esame (C. Cass., SS.UU. 9936/2014 e 23542/2015).

La questione sottoposta all'esame di questo Giudice va risolta alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 200/2018 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010.

La Corte Costituzionale, nel ritenere infondata la questione sollevata, ha osservato che "II contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale, ancora retributivo. Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita". Va evidenziato, inoltre, che laddove il legislatore ha voluto - ma non nel caso di specie - ha espressamente previsto la mancata applicazione delle riduzioni e dei tagli stipendiali anche a fini previdenziali.

Con riferimento, inoltre, alla presunta disparità di trattamento fra personale in servizio e personale cessato, la Corte costituzionale ha chiarito che l’attribuzione, al superamento del quadriennio, di una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, “si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)". La stessa Corte, inoltre, nel dichiarare la non fondatezza delle questioni di costituzionalità ha osservato che spetta “al legislatore, nell'esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l'esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un'area superiore". Considerato che l'art. 9, comma 21, dispone un principio generale volto a disporre il blocco della retribuzione dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, alcuna differenza sorge se l’incremento stipendiale consegua a progressioni automatiche ovvero a progressioni di carriera.

Si ritiene, pertanto, alla stregua dei parametri già individuati dalla Corte costituzionale per giudicare manifestamente infondata la questione costituzionale decisa con la pronuncia n. 200/2018 che, con riferimento all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, sia da escludere la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale.

Né l’entrata in vigore, a far data dal 1° gennaio 2018, del reinquadramento previsto dal d. lgs. n. 94/2017 per i militari in servizio, appare utile a far ritenere non manifestamente infondata la questione di costituzionalità prospettata, poiché nel nostro ordinamento non esiste un principio che imponga di procedere all'allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di servizio.

Per quanto la pronuncia n. 200/2018 del Giudice delle leggi abbia riguardato l’art. 9, comma 21, terzo periodo (blocco degli aumenti retributivi derivanti da progressioni di carriera comunque disposte), non v'è dubbio che i principi ivi affermati debbano ritenersi applicabili, per identità di ratio, anche alla disposizione recata dal secondo periodo dell'art. 9, comma 21 (blocco dei meccanismi di progressione automatica delle retribuzioni fondati su classi e scatti di stipendio).

Le ulteriori questioni sollevate dinanzi al Giudice delle leggi, mediante ordinanze della Corte di conti del 18 gennaio 2019 della Sezione giurisdizionale per la Lombardia e del 13 maggio 2019 della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo, sono state dichiarate infondate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 167 del 27 luglio 2020, per l’assorbente profilo secondo cui rimane nella discrezionalità del legislatore − nelle sue scelte di politica economica concernenti il livello dei trattamenti pensionistici nei limiti consentiti dall’esigenza dell’equilibrio dei bilanci e della sostenibilità del debito pubblico (art. 97, primo comma, Cost.) e nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) – prevedere la riliquidazione dei trattamenti di quiescenza includendo anche la quota di retribuzione che sarebbe spettata ai pubblici dipendenti in assenza del censurato blocco stipendiale. Per identità della ratio decidendi, anche le ulteriori questioni prospettate nella memoria degli appellanti del 4 settembre 2020, attinenti ad una asserita disparità di trattamento in funzione del momento in cui è intervenuto il pensionamento, non possono trovare accoglimento.

Alla luce di quanto sopra esposto, restando assorbite le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonee a sostenere una conclusione di tipo diverso, l’appello va respinto.

La complessità delle questioni trattate e i sopravvenuti orientamenti della giurisprudenza in materia, definiti dalla già citata sentenza della Corte costituzionale n. 167/2019, giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge l’appello. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 settembre 2020.


IL CONSIGLIERE ESTENSORE
(f.to digitalmente Fabio Gaetano Galeffi)

IL PRESIDENTE
(f.to digitalmente Agostino Chiappiniello)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 22 ottobre 2020

Il Dirigente (f.to digitalmente Sebastiano Alvise Rota)
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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CdC sezione 1^ d’Appello n. 321/2020 in Rif. alla CdC Calabria n. 90/2018 depositata il 16/05/2018

Ricorso per: Riconoscimento del diritto, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all’attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante il cosiddetto blocco retributivo, perpetrato ad opera dell’articolo 9, comma 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, a far data dalla cessazione del regime di blocco dal 1 gennaio 2015.
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INPS vince in Appello

Sentenza n. 321/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE
CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Agostino Chiappiniello Presidente
Fernanda Fraioli Consigliere
Fabio Gaetano Galeffi Consigliere
Aurelio Laino Consigliere rel.
Donatella Scandurra Consigliere

ha adottato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di appello in materia pensionistica iscritto al n. 54833 del ruolo generale, proposto da
I.N.P.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Caliulo (avv.luigi.caliulo@postacert.inps.gov.it), Antonella Patteri (avv.antonella.patteri@postacert.inps.gov.it) e Sergio Preden (avv.sergio.preden@postacert.inps.gov.it), ed elettivamente domiciliato come da mandato in atti,

contro
C. A., nato a xxxxxxx il xx.xx.xxxx, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Bacci;

e nei confronti di
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t., non costituito;

Corpo della Guardia di finanza, in persona del Comandante Generale p.t., non costituito;

avverso e per la riforma
della sentenza n. xx/xxxx resa dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria, pubblicata in data xx.x.xxxx.

Visto l’atto d’appello;
esaminati gli ulteriori documenti di causa;
uditi, nella pubblica udienza del 19.11.2020, il relatore, nonchè i difensori delle parti come da verbale.

FATTO

Con la gravata sentenza si è accolto il ricorso dell’odierno appellato - ex sottufficiale della Guardia di finanza, titolare di pensione privilegiata dal x.xx.xxxx - volto alla riliquidazione del trattamento pensionistico goduto, sulla scorta delle progressioni economiche transitoriamente “congelate” dall’art. 9, comma 21, d.l. n.78/2010 e a decorrere dal 1.1.2015.

Avverso la stessa propone appello l’INPS, deducendo la violazione e la falsa applicazione della predetta norma di legge, concludendo per la riforma della decisione di primo grado.

L’appellato C. si è costituito con deposito di comparsa meramente formale in sede di udienza.

Gli altri appellati non si sono costituiti.

All’udienza di discussione della causa i difensori delle parti costituite hanno diffusamente illustrato le rispettive tesi, come da verbale di causa.

DIRITTO

In rito, va dichiarata la contumacia degli appellati non costituitisi.

Nel merito, l’appello è fondato.

Come già chiarito in analoghi precedenti (C. conti, Sez. Giurisd. Puglia n. xxx/xxxx; Sez. I App. n. x/xxxx), l’accoglimento della domanda del ricorrente, presuppone(va) - se non l’avvenuta declaratoria di incostituzionalità dell’art. 21, comma 9, l. n. 122/2010, nella parte in cui non gli ha consentito di beneficiare degli aumenti di paga “congelati” dalla cennata norma (di cui si è sospettata la contrarietà alla Carta fondamentale, per violazione dell’art. 3), e ripristinati solo per coloro che risultano tuttora in servizio e non già congedati - quantomeno una interpretazione costituzionalmente orientata che escludesse la paventata violazione, come ha fatto il giudice di primo grado.

Tuttavia, com’è noto, la questione è stata decisa in senso negativo, in quanto ritenuta infondata, dalla Corte Costituzionale con plurime decisioni (sent. nn. 200/2018 e 167/2020), cui si rimanda per ogni approfondimento motivazionale (vedasi, in particolare, punti nn. 5-13, sent. n. 167/2020, cit.), ex art. 17, comma 1, disp. att., c.g.c.

In particolare, si è affermato che una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera - senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione (C. Cost., n. 310/2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza durante il blocco stipendiale, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo.

Alla luce delle superiori argomentazioni l’impugnata sentenza, chiaramente pronunciata errando nella sostanziale (dis)applicazione del cennato art. 9 comma 21, d.l. n. 78/2010, andrà riformata, ad ogni effetto e conseguenza di legge.

La condanna alle spese legali segue la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo. Non vi è, invece, luogo a provvedere sulle spese di giudizio, in relazione alla gratuità delle cause previdenziali.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello iscritto al n. 54833 del ruolo generale, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, lo accoglie, condannando l’appellato al pagamento delle spese di difesa in favore dell’INPS, nella misura di € 1.500,00, onnicomprensive. Nulla per le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19.11.2020.

L’estensore Il Presidente
(F.to Aurelio Laino) (F.to Agostino Chiappiniello)


Depositato in Segreteria il 23 novembre 2020


Il Dirigente
F.to Sebastiano Alvise Rota
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