Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Sempreme064
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Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Sempreme064 »

Ho letto negli argomenti dove risponde l'avvocato Massimo Vitelli che c'è stata una sentenza e colpo di scena, stavolta relativo alla materia BLOCCO CONTRATTUALE ANNI 2011/2014 .
la Corte accoglie il ricorso di un appartenente al comparto congedato nel 2013 ed economicamente penalizzato dal blocco in parola...il blocco in esame aveva solo EFFETTI SOSPENSIVI FINO AL 31/12/2014 E NON GIA' EFFETTI DEFINITIVAMENTE IRRECUPERABILI.
Per cui, si statuisce che tutti gli emolumenti (anche di progressione di carriera) eventualmente "bloccati" nel periodo 2011/2014 devono essere riconosciuti a pieno titolo ai rispettivi pensionati sul trattamento di quiescenza con decorrenza 1/01/2015.

'' praticamente quello che pensava un bambino di asilo Nido che non ere una un provvedimento definitivo ma provvisorio sulla base dei conti alle strette.... Oggi in campagna elettorale gli stessi promettono milioni di euro a tutti''
Mah seguiamo la situazione..buona serata


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Zenmonk
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Zenmonk »

mi associo nella richiesta di copia del ricorso e della sentenza della corte dei conti
naturopata
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da naturopata »

Le sentenze sono due:

Sent. 278/2017
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
In composizione monocratica nella persona del Giudice dott.ssa Marzia de Falco in funzione di Giudice unico delle pensioni ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 74446 del registro di Segreteria, sul ricorso proposto da T. M., con gli avv.ti Alba Giordano e Umberto Verdacchi, contro Ministero della Difesa.
Ritenuto in
FATTO
Il ricorrente, Ammiraglio Ispettore capo della Marina Militare, con la domanda introduttiva del giudizio, chiedeva a questo Giudice la rideterminazione del trattamento pensionistico ad esso spettante, in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio (5/8/2014) o, quantomeno, dal 1/1/2015.
Premetteva all’uopo: 1) di aver conseguito, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, progressioni in carriera, in relazione alle quali la norma di cui all’art. 9, co. 21, del DL 78/2010, aveva disposto la “cristallizzazione” degli effetti economici, sino al 31/12/2014; 2) che, collocato in quiescenza per limiti di età il 5/8/2014, il trattamento pensionistico era stato determinato in relazione a una base pensionabile calcolata su un trattamento economico inferiore a quello che gli sarebbe spettato in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio; 3) che la norma in esame era volta a bloccare la sola progressione economica legata alla progressione in carriera, limitatamente a un periodo determinato, ed era infatti venuta meno dal 1/1/2015.
Si costituiva il Ministero e chiedeva dichiararsi il difetto di giurisdizione, trattandosi di mera questione stipendiale, ovvero l’inammissibilità del ricorso, essendo il trattamento liquidato provvisorio; in subordine, chiedeva limitarsi la rideterminazione al periodo successivo al 1/1/2015, nonché la sospensione del giudizio, per essere pendente giudizio di legittimità costituzionale della norma in questione.
All’odierna udienza la causa è stata decisa mediante lettura del dispositivo e contestuale deposito della motivazione.
DIRITTO
Va preliminarmente evidenziato che sussiste la giurisdizione di questa Corte, trattandosi di domanda di rideterminazione della base pensionabile.
Non è provata, in atti, la pendenza del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, in relazione al quale si chiede la sospensione.
Nel merito, la domanda è fondata e va accolta.
La norma di cui all’art. 9, co. 21, del DL 78/2010, nel quadro delle misure volte al contenimento della spesa pubblica, ha disposto che “…le progressioni in carriera, comunque denominate, eventualmente disposte negli anno 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”. La disposizione è stata prorogata sino al 31/12/2014, in forza dell’art.1 del DPR 12/2013.
La Corte Costituzionale, con sentenze n. 304/2013, 310/2013 e 154/2014 ha dichiarato la legittimità costituzionale delle norme in questione, in quanto aventi carattere eccezionale e transeunte, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto.
In fattispecie analoga (blocco stipendiale degli incrementi retributivi nel pubblico impiego) la Corte di legittimità aveva ritenuto che “in tanto misure di blocco stipendiale e retributivo sono ammissibili, di talchè non se ne può predicare il contrasto con i canoni di eguaglianza sostanziale e di non irragionevolezza, sanciti dall’art. 3 Cost., in quanto i sacrifici imposti siano transeunti, eccezionali, non arbitrari e consentanei allo scopo” (C. Cost. 299/1993 e 245/1997).
Nel caso di specie, la pensione del ricorrente è stata determinata sulla bese del trattamento economico ragguagliato al grado rivestito nel 2010; invero, il predetto è cessato dal servizio per limiti di età nell’agosto del 2014, sicchè, per una circostanza del tutto casuale, non ha potuto avvantaggiarsi della cessazione della vigenza della norma penalizzatrice a decorrere dall’1/1/2015 (diversamente dai colleghi collocati in quiescenza successivamente a tale data).
Gli effetti della norma transitoria, pertanto, si sono per il ricorrente “consolidati” per il semplice fatto che lo stesso ha raggiunto i limiti di età pochi mesi prima del venir meno della limitazione, così determinandosi in suo pregiudizio una situazione assolutamente irragionevole e contrastante con i criteri di eguaglianza sostanziale e non arbitrarietà, di cui all’art. 3 della Costituzione.
La ratio dell’art. 9 va invero individuata nella mera esigenza –temporanea- di contenimento della spesa pubblica per il periodo in esame (blocco stipendiale); alla stessa non può attribuirsi l’effetto -definitivo- di limitare il quantum del trattamento pensionistico, peraltro in base a criteri di mera casualità, così rendendosi permanenti conseguenze pregiudizievoli che il legislatore aveva previsto solo per un dato periodo.
La norma, invero, è stata considerata legittima solo in considerazione del carattere temporaneo e transeunte della stessa, e pertanto della limitazione temporale del sacrificio imposto.
Va inoltre evidenziato come dalla circolare del Ministero del Tesoro in atti (all. 5 produz ricorrente) si desuma che, in analoga fattispecie, il Minisero aveva disposto l’inclusione degli incrementi –in precedenza bloccati- ai fini della determinazione della base pensionabile.
Va quindi dichiarato il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione in carriera verificatasi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (5/8/2014).
Sugli emolumenti arretrati deve essere, infine, riconosciuto il diritto alla liquidazione degli interessi legali o, qualora più favorevole, della rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione del credito fino al soddisfo secondo i criteri fissati dalle S.S.R.R. di questa Corte con decisione n. 10 QM /2002;
Sussistono apprezzabili motivi per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, in composizione monocratica quale Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione in carriera verificatasi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (5/8/2014);
con maggiorazione di dette somme mediante rivalutazione monetaria dal giorno della debenza di ogni singolo rateo e fino al soddisfo, ove essa risulti superiore agli interessi legali e senza cumulo con questi ultimi, restando in caso diverso attribuibili solo gli interessi medesimi;
spese di giudizio compensate.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del giorno 29/9/2017, mediante lettura del dispositivo e contestuale deposito della motivazione.

IL GIUDICE UNICO
F.to Dott. Marzia de Falco

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 09/10/2017

Il Direttore della segreteria
F.to dott. Alessandro Vinicola


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
Il Giudice unico delle pensioni
Cons. Ida Contino
Ha emesso la seguente
SENTENZA n. 13/2018
Nel ricorso in materia di pensioni militari, iscritto al n. 21471 del registro di segreteria, il sig. A. R., (c.f. Omissis) nato a omissis il Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis alla via Paolo Emilio n. 34 presso lo studio dell’avv. Roberto Mandolesi , avverso:
- MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZA, in persona del Ministro pro-tempore, con domicilio presso la propria sede i Roma alla via XX Settembre n. 97 ed, ex lege, presso gli Uffici dell’Avvocatura dello Stato in Catanzaro alla v. G. da Fiore n. 34;
- COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, in persona del Comandante Generale pro-tempore, con domicilio presso la propria sede i Omissis in Omissis ed ex lege presso gli Uffici dell’Avvocatura dello Stato in Omissis alla v. G. da Fiore n. 34;
- I.N.P.S., ex gestione Inpdap, in persona del Presidente pro-tempore con domicilio presso la propria sede in Omissis alla Omissis e presso la sede di Omissis in v. Francesco Crispi.
Letto il ricorso depositato il 20.11.2017;
Lette le memorie di costituzione;
Uditi, nell’odierna udienza, l’avv. Stefania Valia nell’interesse e per delega dell’avv. Roberto Mandolesi, il Capitano Bruno Murano, quale rappresentante della Guardia di Finanza e l’avv. Giacinto Greco per l’Inps.
FATTO
1) Con atto introduttivo del presente giudizio il sig. A. R. ha adito questa Corte dei conti per ottenere la declaratoria di nullità, in parte de qua, del provvedimento di liquidazione del trattamento di fine rapporto, della pensione e delle altre Indennità dovute al momento del congedo, nella parte in cui assumono come base pensionabile le voci stipendiali decurtate per effetto del d.l. 78/2010, anziché quelle dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica conseguita .
2) Il ricorrente ha prestato il proprio servizio presso il Corpo della Guardia di Finanza sin dal 10.11.1972; in data 4.10.2011 ha maturato i 25 anni dalla nomina ad Ufficiale con diritto al relativo trattamento economico dirigenziale.
Il 30.10.2013 è stato collocato in ausiliaria per raggiunti limiti d’età e successivamente è stato collocato in riserva.
Lamenta in ricorso che a causa del cd “blocco retributivo” disposto dall’art. 9, comma 1 e 21 per il periodo 2011, 2012 e 2013 (successivamente esteso al 2014 e, in un certo senso prorogato anche sino al 31 dicembre 2015), il trattamento pensionistico gli è stato calcolato sulla base delle voci stipendiali percepite nel 2010, quindi, su una base economica inferiore all’anzianità giuridicamente rivestita al momento del collocamento in ausiliaria.
Il ricorrente, a sostegno della propria pretesa, dopo aver richiamato la disciplina normativa, rileva che più volte la Corte costituzionale è stata interpellata sulla legittimità costituzionale della c.d. “cristallizzazione “ degli incrementi economici; e che ha sempre ritenuto giustificato e legittimo l’intervento normativo a causa della notoria esigenza di contenimento della spesa pubblica, sottolineando però sempre la necessità che tale sacrificio imposto abbia un carattere eccezionale e temporalmente limitato .
Proprio in ragione delle pronunce della Corte Costituzionale, il ricorrente lamenta la fondatezza del diritto a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico in ragione dei benefici economici maturati nel periodo 2011-2013 evidenziando che, diversamente operando, l’Amministrazione fa discendere dal “blocco delle retribuzioni” un effetto permanente che invece il legislatore aveva previsto solo per un periodo limitato.
Argomenta altresì il proprio diritto opponendo la violazione di principi costituzionali quali l’art. 3, l’art. 36 e 38 , 2° comma della Costituzione.
Tutto ciò premesso conclude chiedendo, previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione d’illegittimità costituzionale, l’accoglimento del ricorso.
3) Con memoria del 4.1.2018 si è costituito l’Inps, ex gestione Inpdap eccependo , in via preliminare, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con riferimento al trattamento di fine rapporto; sempre in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso non avendo l’Inps ancora ricevuto alcun provvedimento di pensione e quindi nessun pagamento a titolo di pensione risulta a carico dell’Ente previdenziale.
Nel merito oppone l’infondatezza della pretesa avanzata in considerazione del principio normativo secondo cui il trattamento pensionistico va rapportato al trattamento economico effettivamente percepito; e, poiché il ricorrente a causa del blocco disposto dal d.l. 78/2010 non ha mai percepito il trattamento economico dirigenziale, non può trovare accoglimento l’istanza di riliquidazione.
4) Con memoria del 28.12.2017, si è costituita la Guardia di Finanza opponendo la correttezza del proprio operato in ragione delle disposizioni che disciplinano il trattamento pensionistico.
5) All’odierna udienza, udite le parti, la causa è posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) La questione posta al vaglio del giudicante attiene al diritto del ricorrente di vedersi riliquidare il trattamento di fine rapporto, la pensione e le ulteriori indennità dovute in occasione del congedo in ragione del trattamento economico dirigenziale, delle classi e degli scatti stipendiali non corrisposti durante il c.d. blocco retributivo di cui ai commi 1 e 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010.
2) In primo luogo deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con riferimento alla richiesta di riliquidazione del TFR; come è noto a norma degli artt.13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, la Corte dei conti è competente sulle controversie che riguardano i trattamenti pensionistici a totale o parziale carico dello Stato e degli altri enti designati dalla legge, esercitando giurisdizione esclusiva sia nel caso in cui la lite verta sull'an che sul quantum della pensione (Cass. Sez. Un. 4 ottobre 1996, n. 8682).
Il carattere esclusivo della giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti in tema di pensioni pubbliche, comporta pertanto che in essa ricadano solo le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale.
Il trattamento di fine rapporto è invece un istituto, che, sebbene venga liquidato a condizione che il beneficiario sia collocato in quiescenza, è del tutto estraneo al rapporto di pensione rientrando invece nella dinamica del rapporto di lavoro . Detto istituto, infatti, è il frutto di accantonamenti con finalità contributive che il lavoratore compie in costanza di impiego, accantonamenti per nulla assimilabili ai versamenti previdenziali che invece danno origine al trattamento di pensione da intendersi quale retribuzione differita Deve essere pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con esclusivo riferimento al ricalcolo del Trattamento di fine servizio.
3) Altrettanto inammissibile è il ricorso con riferimento alle non meglio specificate “ altre indennità dovute al momento del congedo”. L’inammissibilità si fonda sulla genericità della domanda stessa che non consente al Giudice di individuare concretamente a quali emolumenti il ricorrente si riferisca e se, su tali emolumenti, vi sia la competenza cognitiva della Corte dei conti.
4) Con riferimento alla riliquidazione del trattamento pensionistico, invece, le doglianze formulate in ricorso sono fondate, sebbene solo con riferimento al riconoscimento dello scatto di anzianità.
A tale conclusione il giudice perviene proprio in ragione di un’interpretazione secundum costitutionem del quadro normativo che disciplina la materia.
La disposizione di riferimento è contenuta, come innanzi evidenziato, nel comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010 a cagione del quale “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 cosi' come previsti dall’art., 24 della l. 448/98, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. . Per le categorie di personale di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale dell’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”
Ebbene, il tenore della disposizione è inequivoco nel ritenere che le classi e gli scatti di stipendio eventualmente maturati nel triennio non sono recuperabili.
In proposito, la Corte costituzionale ha giustamente precisato che “il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a quello stesso triennio, trasformandosì così in un mero rinvio della spesa” ( Corte cost. sentenza n. 310/2013).
La scelta del legislatore, dunque, con il blocco stipendiale in esame, è stata quella di realizzare un taglio della spesa e non piuttosto un semplice rinvio della stessa.
Anche per tale motivo il terzo periodo della norma in esame dispone che le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, solo ai fini giuridici.
Detta ultima disposizione, tuttavia rivela altresì l’intenzione normativa di riconoscere gli effetti economici delle progressioni di carriera maturate durante il blocco, una volta cessato il triennio.
Il legislatore, infatti, laddove dice “ per i predetti anni” manifesta univocamente la volontà che gli effetti economici della progressione di carriera restino solo sospesi durante il triennio ( diventato poi quadriennio a cagione della l190/2014 che ha prorogato le misure restrittive per tutto l’anno 2014) e inizino a decorrere una volta cessato il blocco.
Tanto è vero che i dipendenti in servizio, che al pari del ricorrente sono diventati dirigenti nel periodo del blocco, hanno regolarmente ricevuto, a decorrere dall’1.1.2015, gli effetti economici della progressione di carriera sebbene correttamente non abbiano recuperato alcunché degli emolumenti non percepiti durante la cristallizzazione retributiva.
Ebbene, detta locuzione (per i predetti anni ), unitamente agli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia, inducono questo giudice a ritenere che il ricorrente abbia ragione a dolersi della mancata riliquidazione del trattamento pensionistico con l’inserimento nella base pensionabile anche dei miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera a decorrere, però, dall’1.1.2015.
Il ricorrente, infatti, in data 4.10.2011 aveva maturato la qualifica dirigenziale spettante dopo i 25 anni dalla nomina a Ufficiale.
Il 30.10.2013 è stato posto in congedo per limiti d’età.
Correttamente la progressione economica non è stata mai attribuita al A. R. durante il servizio; ma non riconoscerla ai fini pensionistici, a decorrere dall’1.1.2015, determina un ingiusto e iniquo consolidamento degli effetti economici negativi previsti dal d.l. 78/2010 determinando una irrazionale e definitiva decurtazione dell’emolumento, stigmatizzata anche dalla Consulta.
Nella sentenza n. 310/2013, avente ad oggetto proprio il sindacato di costituzionalità dell’art. 9 comma 21 d.l. 78/2010, infatti, la stessa Corte Costituzionale, richiamando un suo consolidato orientamento nella materia, ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione ( sentenze n. 245 del 1997, n. 299 del 1999 come richiamate anche dalla sentenza n. 223 del 2012 ).
Ebbene, ritiene questo giudice che ove non si riconosca ai soggetti cessati dal servizio per limiti d’età durante il blocco degli stipendi, la possibilità di vedersi riconosciuti gli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante la cristallizzazione delle retribuzioni, a far data dalla cessazione del regime di blocco, si finirebbe per determinare un effetto definitivo penalizzante in capo a taluni soggetti in violazione dei principi costituzionali e alle condizioni di ragionevolezza evidenziati dalla stessa Corte Costituzionale.
Il sacrificio così imposto al ricorrente, non avendo carattere temporaneo, produrrebbe un effetto definitivo che si pone in contrasto con la stessa ratio del d.l. 78/2010 e cioè la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica in un periodo di contingenza economica.
Non solo; causerebbe un’ ingiustificata disparita di trattamento tra chi nel periodo 2011-2014, pur avendo raggiunto lo scatto d’anzianità, si è visto costretto ad andare in quiescenza per raggiunti limiti d’età e chi, invece, proprio perché più giovane, è andato in pensione dopo il periodo di blocco.
Invero questo giudice, proprio sotto detto profilo, conosce l’insegnamento dalla giurisprudenza costituzionale secondo il quale non contrasta con il principio di uguaglianza un trattamento differenziato applicato in momenti successivi, perché lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé un elemento diversificatore in rapporto alle situazioni che nel tempo si vanno svolgendo; il che significa che le differenze di momenti in cui accadono i fatti giuridici possono giustificare diversità di disciplina.
Tuttavia, detto principio non è applicabile alla fattispecie in esame.
Il legislatore, infatti, non è intervenuto successivamente al collocamento in quiescenza del ricorrente per riconoscere benefici economici ai soggetti ancora in servizio; né con il comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010 ha escluso definitivamente il riconoscimento degli effetti economici derivanti dalla progressione di carriera maturata durante il triennio
Il legislatore ha solo “sospeso” l’erogazione di tali benefici economici per il periodo del blocco.
La disciplina vigente al momento del collocamento in quiescenza del ricorrente stabiliva, infatti, le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, solo ai fini giuridici.
E però, a causa del raggiungimento del limite d’età, il A. R. si è visto costretto ad andare in quiescenza proprio durante il blocco così non usufruento degli effetti economici dello scatto di carriera che per legge, vigente al momento del suo collocamento in quiescenza, gli sarebbero spettati a decorrere dall’1.1.2015 ove non avesse raggiunto il limite d’età nel 2013.
L’elemento che, a parere di questo giudicante caratterizza la vicenda, dunque, è che la norma vigente alla data del pensionamento del ricorrente prevedeva una sospensione dell’effetto economico e non l’’eliminazione.
ll A. R. era già divenuto dirigente ma, in ragione di una norma eccezionale e temporalmente definita, per un periodo limitato ( tre anni) si era visto sospendere il vantaggio economico che ne scaturiva.
Quanto sin qui evidenziato consente a questo giudice di interpretare secundum costitutionem la disposizione contenuta nell’art. 9 comma 21 terzo periodo nel senso di poter riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi computare, nel trattamento di quiescenza, gli effetti economici pensionabili della promozione di carriera a decorrere dall’1.1.2015.
Peraltro, una tale interpretazione è dovuta anche considerando che la norma in esame non ha esplicitamente escluso detta possibilità. L’art. 9, comma 21, infatti, non ha regolato la posizione dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nel considerato periodo 2011-2014.
Tale circostanza, peraltro, è essenziale al fine di ritenere non necessaria la rimessione alla Corte Costituzionale della questione.
Ebbene, tutto ciò considerato ritiene questo giudice che commisurando la legge in rassegna alla ratio constitutionisis (come impone l’onere interpretativo attribuito a questo giudice), avendo anche in considerazione le esigenze del caso concreto, è possibile dare un’interpretazione dell’art. 9 comma 21 del d.l., 78/10 che tenga conto del principio di uguaglianza e del principio della ragionevolezza della legge; è pertanto possibile riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico tenendo in considerazione, a decorrere dall’1.1.2015, solo i benefici economici pensionabili che sono scaturiti dallo scatto di carriera.
Conclusivamente, questa Corte dei conti dichiara il proprio difetto di giurisdizione con riferimento alla riliquidazione del TFR; dichiara l’inammissibilità del ricorso con riferimento alla domanda di riliquidazione delle non meglio specificate indennità conseguenti alla pensione per indeterminatezza della domanda; accerta il diritto del ricorrente a vedersi inserire nella base pensionabile i miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera avvenuta il 30.10.2013.
Condanna l’Amministrazione alla corresponsione dei ratei arretrati a decorrere dall’1.1.2015, maggiorati degli interessi e della rivalutazione calcolati secondo le modalità indicate dalle SS.RR. della Corte dei conti e quindi come maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo.
Attesa la complessità della questione, si compensano le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Calabria, definitivamente pronunciando:
DICHIARA
il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di riliquidazione del TFR;
l’inammissibilità della domanda di riliquidazione delle indennità conseguenti alla pensione per indeterminatezza;
ACCOGLIE
Il ricorso con riferimento alla riliquidazione della pensione e per l’effetto riconosce il diritto del ricorrente a vedersi inserire nella base pensionabile i miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera avvenuta il 30.10.2013.
Condanna l’Amministrazione alla corresponsione dei ratei arretrati a decorrere dall’1.1.2015, maggiorati degli interessi e della rivalutazione monetaria calcolati secondo le modalità indicate dalle SS.RR. della Corte dei conti e quindi come maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo.
Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 17.1.2018.
Il Giudice
f.to Ida Contino
Depositato in segreteria il 31/01/2018
Il responsabile delle segreterie pensioni
f.to Dott.ssa Francesca Deni
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Sempreme064 »

Grazie naturopata.. come dice l'avvocato Vitelli.. aspettiamo..cosa non lo so però aspettiamo
Massimo Vitelli

Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Massimo Vitelli »

Sempreme064 ha scritto:Grazie naturopata.. come dice l'avvocato Vitelli.. aspettiamo..cosa non lo so però aspettiamo
""""""""""
Il consiglio di....ATTENDERE...era ovviamente riferito a chi aveva dichiarato di AVER GIÀ PROPOSTO RICORSO SULLA QUESTIONE!
A tali soggetti, dunque, non resta che "aspettare" con pazienza e fiducia l'esito (che si auspica POSITIVO) del ricorso stesso
panorama
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da panorama »

Mi trovo questo appunto in PDF da diverso tempo ( Febbraio c.a.) e ve lo partecipo.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da panorama »

Ricorso perso

- ) - il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 147 Pubblicazione 08/04/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
In composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Nicola Ruggiero, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio iscritto al n. 61033 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 25 maggio 2018 e proposto dal Sig. M.. G.., nato a OMISSIS (LT) il ........ 1955 e residente in Grosseto, via OMISSIS (C.F.: OMISSIS), rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Andrea Saccucci e dall’Avv. Matteo Magnano ed elettivamente domiciliato presso il loro Studio legale in Roma, Via Lisbona n. 9;

contro
- Ministero dell’Economia e Finanze, in persona del Ministero pro-tempore, nonché la Guardia di Finanza, in persona del Comandante generale p.t.;
- INPS, in persona del legale rappresentante p.t.;

per
in via principale,
a) l’accertamento e declaratoria del diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;

b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondere al ricorrente, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;

in via subordinata,

c) la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014, anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost.,
nella parte in cui,
per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017,
non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;

Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 27 settembre 2018, celebrata con l’assistenza del Segretario, Sig. Carmina Calini, l’Avv. Andrea Saccucci per il ricorrente ed il M.A. Pietro Agosta per il Comando Generale della Guardia di Finanza, non comparso l’INPS;

Ritenuto in
FATTO

1. Con il ricorso indicato in epigrafe, preceduto da istanza amministrativa del 9.10.2017, rigettata dall’Amministrazione con nota dell’8.2.2018, il ricorrente ha evidenziato di essere un Ufficiale superiore della Guardia di Finanza in pensione, cessato dal servizio, per età, in data 10.5.2015, con il grado di Colonnello, collocato in ausiliaria a decorrere dalla medesima data ed in riserva a decorrere dall’1.11.2015.

Ha aggiunto di appartenere ad una categoria di personale che fruisce di meccanismi di progressione automatica degli stipendi.

Nondimeno, la sua pensione è stata calcolata in relazione ad una base pensionabile che non tiene conto delle classi e degli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015 e che risulta, dunque, inferiore a quella cui il ricorrente avrebbe avuto diritto in assenza del cd blocco retributivo previsto dall’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010.

Tale ultima disposizione avrebbe, invero, determinato nei confronti del ricorrente non soltanto un effetto temporaneo sul trattamento retributivo, ma anche, secondo l’interpretazione datane dall’Amministrazione, un effetto permanente sul trattamento pensionistico

In sede di gravame, il ricorrente ha, in primo luogo, provveduto ad una puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Si è, dunque, soffermato sui limiti, quali enucleati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, alla ragionevolezza delle misure legislative incidenti sul trattamento retributivo dei pubblici dipendenti, per fini di contenimento della spesa pubblica.

A tal riguardo, ha sostenuto la legittimità di tali misure, solo a condizione che i sacrifici imposti abbiano carattere eccezionale, definito nel tempo, non arbitrario, consentaneo allo scopo e temporalmente limitato.

Con riferimento alle disposizioni rilevanti nella fattispecie all’esame, ha sostenuto, anche attraverso richiami giurisprudenziali, la necessità che le stesse siano interpretate nel senso che, ai fini della determinazione della base pensionabile, si tenga conto anche degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il cd blocco retributivo (2011-2015) e degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in conseguenza delle progressioni di carriera disposte durante il cd blocco retributivo (2011-2014).

Nello specifico, tale interpretazione “costituzionalmente orientata”, consentirebbe di evitare “un’evidente illegittimità, che altrimenti deriverebbe dagli effetti permanenti, per effetto di una disposizione di natura eccezionale e di carattere esclusivamente temporaneo e consentaneo allo scopo di un risparmio di spesa pubblica, per un periodo di tempo limitato” (così, pag. 9 del ricorso).

Nell’ipotesi in cui non si aderisse a tale interpretazione, risulterebbe la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.

A tal riguardo, il ricorrente ha evidenziato che la Corte Conti, Sez. Liguria, con l’ordinanza n. 1/2017, ha già sollevato questione di costituzionalità, sia pure con riferimento al terzo periodo dell’art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010.

Orbene, le medesime ragioni di violazione dell’art. 3 Cost., prefigurate nella predetta ordinanza, sussisterebbero per la fattispecie qui all’esame (relativa al secondo periodo del medesimo art. 9, comma 21).

Tutto ciò sotto il duplice profilo della ragionevolezza (per la dedotta presenza di sacrifici permanenti) e della disparità di trattamento (tra gli ufficiali cessati dal servizio durante il blocco e quelli cessati successivamente, nonché tra gli ufficiali cessati dal servizio dopo la fine del blocco, ma prima del 1 gennaio 2018, e quelli cessati dopo tale data).

In conclusione, il ricorrente ha chiesto:

a) in via principale, l’accertamento e declaratoria del proprio diritto alla rideterminazione della base pensionabile ed alla conseguente rideterminazione della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010), che gli sarebbero spettati in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;

b) la condanna dell’Amministrazione convenuta a corrispondergli, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre ad accessori di legge;

c) in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/210, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, legge n. 122/2010, nonché dell’art. 16, comma 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art.1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR n. 122/2013, e dell’art. 1, comma 256, legge n. 190/2014,
anche in considerazione dell’art.11, comma 7, d.lgs n. 94/2017, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, per il personale di cui all’art. 3 d.lgs n. 165/2001 e s.m.i., cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015;

d) in via istruttoria, di ordinare all’Amministrazione convenuta di depositare in giudizio il foglio matricolare e lo stato di servizio, nonché tutti i documenti in base ai quali è stata determinata la base pensionabile.

In data 8 agosto 2018, la difesa del ricorrente ha depositato documentazione attestante la notifica del ricorso (e del decreto di fissazione d’udienza) nei confronti delle Amministrazioni resistenti.

2. Con memoria pervenuta in data 7 settembre 2018, la Guardia di Finanza, nel richiamare due decisioni di rigetto rese da altre Sezioni di questa Corte su casi analoghi, ha chiesto il rigetto del ricorso, per infondatezza dello stesso, con condanna della controparte alle spese di giudizio.

A tal riguardo, ha fatto presente che, anche ai sensi dell’art. 1866 del d.lgs n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento militare), la base pensionabile si determinerebbe con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio.

Ha aggiunto che, per effetto delle disposizioni in materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile (art.2, commi 9, 10 e 11, legge 335/95), il trattamento di quiescenza andrebbe rapportato alla contribuzione versata, in concorso, dal dipendente e dallo Stato, quale datore di lavoro, durante tutto il rapporto d’impiego e quindi agli emolumenti percepiti in servizio.

Ha, inoltre, richiamato le precedenti pronunce (nn. 219/2014 e 310/2013), con le quali la Corte Costituzionale ha già riconosciuto, sia pure sotto angolazioni specifiche, la legittimità delle misure contenute nel d.l. n. 78/2010.

In via gradata, ha sollevato l’eccezione di prescrizione quinquennale.

3. In data 27 settembre 2018, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire la nota spese e copia di talune pronunce di altre Sezioni della Corte dei conti, favorevoli all’accoglimento delle pretese attoree.

Alla pubblica udienza del 27 settembre 2018, l’Avv. Andrea Saccucci, per il ricorrente, ha depositato documentazione già trasmessa in via telematica (documentazione attestante la notifica del ricorso, nota spese e pronunce giurisprudenziali).

Nel merito, ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate con il ricorso.

Il M.A. Pietro Agosta, per il Comando Generale della Guardia di Finanza, si è riportato agli scritti difensivi, insistendo per il rigetto del ricorso.

Il giudizio è passato, dunque, in decisione, con lettura del dispositivo in udienza.

Considerato in
DIRITTO

1. Il presente ricorso risulta infondato e va, come tale, rigettato.

A tal riguardo, giova osservare che, in base all’art. 9, comma 21, del d.l. n.78/2010, "I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.

Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti” (tale ultima disposizione è stata prorogata dapprima “fino al 31 dicembre 2014” e successivamente “fino al 31 dicembre 2015”, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 122/2013 e dell’art.1, comma 256, legge n. 190/2014).

Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” (tale ultima disposizione è stata prorogata “fino al 31 dicembre 2014” ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) D.P.R. n. 122/2013).

Il chiaro tenore letterale della norma sopra riportata -con particolare riferimento al secondo periodo, d’interesse in questa sede- esclude che gli incrementi stipendiali automatici maturati nel periodo di vigenza del “blocco” siano mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, non potendo conseguentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile.

Sul punto, va evidenziato che ai sensi dell’art.53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, occorre far riferimento alla base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili nella medesima norma indicati, integralmente percepiti.

Tale previsione risulta, invero, espressamente richiamata nell’art. 1866 “Base contributiva e pensionabile” di cui al Codice dell’Ordinamento militare, D.lgs. n.66/2010, il quale, al primo comma, prevede che “1. La pensione, nel sistema di calcolo retributivo, viene determinata sulla base dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e degli emolumenti retributivi espressamente definiti pensionabili dalla legge, ai sensi dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”

Senonché, gli emolumenti qui in rilievo, come anticipato, non sono mai entrati nella base retributiva e contributiva del ricorrente, atteso che “….gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, non potendo conseguentemente entrare a far parte delle corrispondente base pensionabile.

Tutto ciò anche alla luce del principio per cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Piemonte, 7 giugno 2016, n. 195).

In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, non può trovare accoglimento la domanda principale, volta ad ottenere la rideterminazione della base pensionabile e, conseguentemente, della pensione, a far data dalla cessazione dal servizio, mediante valorizzazione degli incrementi stipendiali automatici non percepiti a norma dell’art. 9, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010.

2. Allo stesso modo, deve essere disattesa la domanda, formulata in via gradata e finalizzata ad ottenere la proposizione della questione di legittimità costituzionale della normativa de qua (art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, e norme successive collegate).

Sul punto, giova ribadire che la Corte Costituzionale più volte si è pronunciata in fattispecie analoghe affermando la legittimità del meccanismo del blocco stipendiale "in quanto la misura adottata è giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità non irrazionali ed arbitrarie, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti' (Corte Cost., nn.304 e 310 del 2013; id. n.219 del 2014).

Il carattere della transitorietà e dell'eccezionalità degli interventi di contenimento della spesa pubblica hanno consentito alle norme sui c.d. “blocchi” stipendiali di superare il vaglio di costituzionalità, più volte invocato, respingendosi le censure di illegittimità costituzionale delle misure contenute nel decreto-legge n.78/2010. Il blocco delle retribuzioni è dunque legittimo (Corte costituzionale, n.178 del 2015 e n. 96 del 2016), in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponde all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno.

In definitiva, la valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata.

Va, pertanto, esclusa la prospettata violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.

Stessa conclusione s’impone l’asserita lesione del medesimo art. 3 sotto il diverso profilo del principio di uguaglianza (alias, parità di trattamento).

Sul punto, va ribadito che la base pensionabile, per il personale militare, si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio, dovendosi conseguentemente tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis.

Sotto questo punto di vista, il trattamento differenziato, riservato ad una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di uguaglianza, spettando alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme, sicchè, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (Corte Cost., n. 104/2018).

3. In conclusione, per tutto quanto sopra visto, il presente ricorso va rigettato (in termini analoghi, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. 9 luglio 2018, nn. 137 e 138).

Nondimeno, nella complessità delle questioni trattate e nella sussistenza di pronunce di segno contrario nella materia de qua, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 27 settembre 2018.
IL GIUDICE
f.to dott. Nicola RUGGIERO


Depositato in Segreteria il 08/04/2019


p.Il Direttore della Segreteria
f.to Chiara Berardengo


Sentenza
n.147/2019
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Leggete questo caso.

Ricorso al TAR perso

riguarda fatti durante il blocco stipendiale 2011 - 2014
-
1) - effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.

2) - a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;

3) - a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.

IL TAR scrive:

4) - Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
--------------------------------------------------

SENTENZA sede di REGGIO CALABRIA, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201900295 ,

Pubblicato il 29/04/2019

N. 00295/2019 REG. PROV. COLL.
N. 00634/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 634 del 2017, proposto da
Michele C.., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonella Lupis, con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via S. Anna, 49/G;

contro
il Comando Generale Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;

per il riconoscimento
degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 19 ottobre 2017 e depositato il 6 novembre 2017 il ricorrente ha agito per il “riconoscimento e conseguimento degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione prot. N. 0165627/2016 del 24.5.2016, alla qualifica di Luogotenente con decorrenza 18.5.2014 emesso dal Comando Generale della Guardia di Finanza”.

1.1. Rappresenta, al riguardo:

- che a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;

- che con il decreto di promozione sopra richiamato, il Comando Generale lo ha promosso al grado di Luogotenente con decorrenza dal giorno precedente al suo collocamento a riposo;

- che, tuttavia, a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.

1.2. Ritenendo tale trattamento illegittimo e discriminatorio rispetto ai benefici economici riconosciuti al personale rimasto in servizio, il ricorrente ha formalmente chiesto al proprio Comando che gli venissero riconosciuti gli effetti economici della promozione con decorrenza dalla cessazione del c.d. “blocco stipendiale”.

1.3. Il Comando, tuttavia, con le note del 7 ottobre 2016 e del 14 luglio 2017 ha rigettato la sua richiesta, rilevando, nel contempo, la sussistenza di una incertezza interpretativa per il personale collocato in congedo nel periodo interessato dal “blocco stipendiale”.

1.4. Il ricorrente lamenta, pertanto, la illegittimità del mancato riconoscimento dei benefici economici connessi al decreto di promozione per violazione di legge e dei principi costituzionali.

Deduce che alla promozione di cui ha beneficiato per aver maturato il termine decennale di anzianità nel grado non può essere applicato il blocco stipendiale di cui all’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010 che, invece, fa riferimento alla “progressione in carriera” che, secondo la sua prospettazione, configurerebbe una ben diversa condizione.

L’art. 9 della citata normativa richiama il caso della progressione riconosciuta durante il servizio, mentre, nel caso di specie, la promozione gli sarebbe stata riconosciuta quando era già stato collocato in pensione e con effetto retroattivo risalente al giorno prima del congedo.

Rileva, altresì, che l’art. 9 d.l. n. 78/2010 non si applica ad alcune categorie espressamente menzionate, fra cui il personale militare e delle Forze di polizia di Stato a cui appartiene la Guardia di Finanza.

2. In data 5 dicembre 2017 si è costituito il Ministero dell'Economia e delle Finanze che, con memoria depositata il 30 gennaio 2019 ha eccepito l’irricevibilità del ricorso avente ad oggetto un provvedimento meramente confermativo del precedente diniego del 2016.

Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso rilevandone l’infondatezza ed osservando, a tal fine, come la ratio dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 consista nel raggiungimento di evidenti obiettivi di contenimento della spesa che, in quanto tali, sono derogabili solo in presenza di espressa previsione normativa, allo stato non emanata.

Difatti, il legislatore, nel sancire che le progressioni di carriera comunque denominate disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 (nonché nel 2014) hanno effetto, per i predetti anni, esclusivamente ai fini giuridici, non ha previsto espressamente alcuna eccezione.

3. Con successiva memoria depositata il 2 febbraio 2019 parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso e con memoria di replica depositata il 12 febbraio 2019 – dopo aver precisato che per mero errore nel ricorso introduttivo è stata richiamata la legge n. 266/2005 in luogo del D.lgs. n. 66/2010 ai sensi del quale ha ottenuto la promozione - ha contestato l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’Avvocatura rilevando che oggetto del giudizio è la tutela di diritti soggettivi e non di interessi legittimi connessi ad un atto amministrativo, con conseguente assoggettamento dell’azione ai termini di prescrizione e non di decadenza.

4. All’udienza pubblica del 6 marzo 2019 la causa è stata posta in decisione.

5. Il Collegio ritiene preliminarmente di dover disattendere l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente, atteso che la domanda di riconoscimento degli effetti economici del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente costituisce tipica azione di accertamento nell'ambito della giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, per cui la proposizione del relativo ricorso non è soggetta al termine decadenziale bensì al termine di prescrizione quinquennale.

Non rileva, pertanto, che la nota del 14 luglio 2017 con cui è stata rigettata l’istanza sia meramente reiterativa di una precedente nota del 7 ottobre 2016, atteso che il ricorso, notificato in data 19 ottobre 2017, risulta ritualmente proposto entro il suddetto termine di prescrizione, decorrente dalla adozione del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente (24 maggio 2016).

6. Passando, dunque, al merito del ricorso, appare utile ricostruire sinteticamente il quadro normativo sotteso alla pretesa avanzata dalla parte ricorrente.

6.1. Ai sensi dell’articolo 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010,
“I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.

Il richiamato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 prevede, a sua volta: “In deroga all'art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.

Il ricorrente ha, inoltre, rappresentato (pur non avendolo documentato, non risultando agli atti del giudizio – nonostante sia indicato nell’indice dei documenti prodotti - il decreto di promozione prot. n. 0165627/2016 del 24.5.2016) di aver ottenuto la superiore qualifica di Luogotenente ai sensi dell’art. 1077 del D.lgs. n. 66/2010 (abrogato dall’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014).

6.2. Dal dato letterale delle norme di riferimento emerge, dunque che:

6.2.1. Nel novero del personale cui il “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 è applicabile, sono espressamente ricompresi tanto il personale militare quanto il personale delle Forze di polizia di Stato al quale è certamente riconducibile, in quanto maresciallo della Guardia di Finanza, anche l’odierno ricorrente. Va osservato, altresì che, in virtù del richiamo contenuto nella seconda parte della norma in esame, anche per il personale contrattualizzato “le progressioni di carriera comunque denominate” hanno avuto effetto, nel quadriennio compreso tra il 2011 ed il 2014, solo ai fini giuridici.

In merito a tale aspetto, la Corte Costituzionale ha chiarito che “non vi è dubbio che la norma censurata trovi applicazione in tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina” (Corte Cost. 12 dicembre 2013, n. 304).

Con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018, la Corte ha ulteriormente precisato che “il successivo quarto periodo del censurato comma 21 dell'art. 9 citato pone la stessa regola limitativa anche per le medesime «progressioni di carriera comunque denominate» conseguite in tale periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione di carriera.

La normativa del blocco stipendiale riguarda quindi, all'evidenza, tutto il pubblico impiego, sia quello non contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla Corte dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perché la regola limitativa che il giudice rimettente censura è la stessa”.

Il rilievo secondo il quale il blocco stipendiale di cui al d.l. 78/2010 non si applicherebbe alla Guardia di Finanza è, pertanto, infondato.

6.2.2. Il blocco stipendiale per gli anni 2011, 2012 e 2013 (e, in virtù della proroga disposta con la legge n. 190/2014, anche per il 2014) riguarda “le progressioni di carriera comunque denominate” che, ove disposte nei suddetti anni, hanno effetto “ai fini esclusivamente giuridici”.

La Corte Costituzionale ha rilevato che “l'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate», fa riferimento a tutti i tipi di avanzamento di carriera, ricomprendendo anche quelli che presuppongono l'esercizio di una elevata discrezionalità nella scelta tra i candidati provenienti dai gradi inferiori, che, però, non può estendersi fino a comprendere funzionari che abbiano un'anzianità nel grado di provenienza inferiore ai minimi legislativamente previsti o a persone estranee alla carriera stessa” (sentenza n. 304/2013).

Alla luce del sopra riportato quadro normativo, così come interpretato dalla Corte Costituzionale, è, pertanto, parimenti infondato e deve essere disatteso, il rilievo secondo il quale la promozione di cui ha beneficiato il ricorrente non rientrerebbe tra le “progressioni di carriera comunque denominate” cui fa riferimento l’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010.

6.3. Né ad una diversa lettura della disposizione può addivenirsi considerando che per il ricorrente, collocato a riposo il 19 maggio 2014 e promosso, con provvedimento del 24 maggio 2016, alla qualifica di luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014, gli effetti del blocco stipendiale finirebbero per essere definitivi.

6.3.1. In merito a tale aspetto e, in particolare, all’incidenza del blocco stipendiale sulla condizione dei dipendenti collocati a riposo proprio negli anni cui fa riferimento la norma (2011-2014), è da ultimo intervenuta la Corte Costituzionale che, con la citata sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma 1, lett. b), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell'arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso, poiché, una volta sterilizzati ex lege gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.”

6.3.2. La Corte Costituzionale ha così chiarito:

“Il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo.

Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quadriennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia dal comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» (e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012)” (sentenza n. 200/2018).

6.3.3. Ciò comporta che una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore del ricorrente, i successivi effetti sulla quantificazione del TFS assumono carattere necessitato.

6.4. In merito alla definitività degli effetti del blocco stipendiale nei confronti dei dipendenti pubblici, come il ricorrente, promossi e collocati a riposo nel quadriennio di riferimento, la Corte Costituzionale ha, altresì, chiarito “che il "fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile - calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento.

Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.

Parimenti, una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera - senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo” (sentenza n. 200/2018).

6.5. La Corte ha ancora precisato come il rilievo circa l’eccessivo rigore della norma a carico del dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio, che finirebbe per subirne gli effetti a tempo indeterminato, “avrebbe una sua plausibilità solo se la regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera” (sentenza n. 200/2018).

La natura tributaria della disposizione è stata, tuttavia, ripetutamente esclusa dai giudici costituzionali (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013) che hanno puntualizzato come “La regola dell'iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione di carriera (o di passaggio a un'area superiore) - ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente "promosso", privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita - vale a definire la retribuzione d'ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già a una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della "promozione"; regola questa che è sì di rigore, ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto di impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente "promosso", la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo” (sentenza n. 200/2018).

7. Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.

Tali conclusioni, peraltro, non appaiono in linea con l’interpretazione del d.l. n. 78/2010 fatta propria dalla Corte Costituzionale che, come rilevato al § 6.2.2., ha ribadito (da ultimo con sentenza n. 200/2018), l’applicabilità a tutti i tipi di avanzamento di carriera della locuzione «progressioni di carriera comunque denominate».

8. Alla luce di quanto complessivamente suesposto, il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere respinto.

9. Le spese di lite, attesa la particolare natura della vicenda contenziosa e gli interessi ad essa sottostanti, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Agata Gabriella Caudullo, Referendario, Estensore
Andrea De Col, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Agata Gabriella Caudullo Caterina Criscenti





IL SEGRETARIO
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Per tutti i colleghi andati in pensione dal 2011 al 2014 (c.d.: blocco contrattuale) e che chiedono se conviene fare o meno ricorso circa gli aumenti per la promozione al grado Superiore in quel quadriennio o per gli Assegni Funzionali, allego una delle tante sentenze della CdC, in questo caso, quella della CdC della Calabria n. 29/2019 del 25/02/2019.

Quindi date una attenta lettura.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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La sentenza sopra allegata tratta:

1) - il sig. M. C., già Brigadiere Capo dell’Arma dei Carabinieri in congedo dal 1 luglio 2014, rappresenta che in data 31 dicembre 2012 otteneva la promozione al grado di Brigadiere Capo, ma in a seguito alla disposizione di cui all’art. 9, comma 1, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010, non gli venivano corrisposti gli incrementi stipendiali in quanto “le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto per i predetti anni ai fini esclusivamente giuridici”. Inoltre, non gli veniva erogato nemmeno il c.d. assegno funzionale.

2) - Anche il trattamento pensionistico erogato a decorrere dal 1 luglio 2014 ha subito gli effetti del mancato adeguamento, così come pure il trattamento di fine rapporto (TFR)

3) - Pertanto chiede l’accoglimento del presente ricorso con la condanna delle Amministrazioni al pagamento delle differenze retributive sia sulla pensione in godimento e sull’assegno funzionale e sia sul TFR.

La CdC scrive:

4) - Con il presente ricorso parte ricorrente chiede il riconoscimento del proprio diritto alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto, della pensione e dell’assegno funzionale in relazione all’aumento retributivo dovutogli per l’avanzamento di grado e non corrisposto durante il c.d. blocco retributivo di cui ai commi 1 e 21 dell’art. 9 del D.L. n. 78/2010.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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Blocco 2011 - 2014

La CdC Lazio con sentenza n. 57/2020 accoglie è richiama anche il Decreto Legislativo 94/2017.

I ricorrenti Ufficiali della GdiF collocati in congedo per limiti di servizio tra l'1/01/2011 al 31/12/2014.
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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La CdC Toscana con sentenza 122/2019 boccia il ricorso di questo Ufficiale e si commenta anche il D.Lgs 94/2017

1) - Il ricorrente è Ufficiale delle Forze Armate collocato in aspettativa per riduzione quadri e, successivamente, ha chiesto di cessare dal servizio ex art. 909, IV comma, D.Lgs 66/2010 e, pertanto, dal 1.5.2015 si trova nello stato di ausiliaria.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2019 Numero 122 Pubblicazione 13/03/2019

Sentenza
n. 122/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
in composizione monocratica nella persona del Consigliere, dott. Pia Manni, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 61195 del registro di Segreteria, introdotto con ricorso depositato il 20.11.2018 e proposto dal Sig.:
F.. Andrea, nato a …….., residente in …… (PI), via ……., c.f. …….
rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Malinconico del Foro di Latina avvgiovannimalinconico@puntopec.it per delega in calce al ricorso

contro
MINISTERO DELLA DIFESA, Direzione Generale della previdenza e della leva, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege presso l’Avvocatura dello Stato in Roma, via dei Portoghesi 12

ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Firenze, viale Belfiore 28/a presso gli Avv.ti Ilario Maio e Antonella Francesca Paola Micheli, che lo rappresentano e difendono in forza di procura generale alle liti del Presidente pro-tempore dell’Istituto

per
il ricalcolo del trattamento di quiescenza percepito dal ricorrente per il periodo 1° aprile 2015-31 ottobre 2015, con il riconoscimento di tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate nel periodo in servizio e fino al raggiungimento dei limiti di età, comprese quelle maturate nel periodo 2011-2015 e per il ricalcolo del trattamento pensionistico con il riconoscimento di tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate nel periodo in servizio, comprese quelle maturate nel periodo 2011-2015, con decorrenza dalla data di collocamento in riserva .

Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 19 febbraio 2019, celebrata con l’assistenza del Segretario Simonetta Agostini, l’avv. Emanuele Brilli per il ricorrente, l’avv. Antonella Francesca Paola Micheli per l’INPS, nessuno presente per il Ministero della Difesa.

Ritenuto in
FATTO

Il ricorrente è Ufficiale delle Forze Armate collocato in aspettativa per riduzione quadri e, successivamente, ha chiesto di cessare dal servizio ex art. 909, IV comma, D.Lgs 66/2010 e, pertanto, dal 1.5.2015 si trova nello stato di ausiliaria. La Direzione generale della Previdenza e della leva del Ministero della Difesa gli ha riconosciuto il trattamento pensionistico senza considerare le classi biennali stipendiali e le relative quote mensili maturate nel periodo 2011-2015. Il ricorrente ha diffidato la predetta Direzione a ricalcolare il trattamento di quiescenza. La Direzione ha inoltrato la diffida alla Direzione generale per il personale militare e alla Direzione di Commissariato Militare Marittimo Roma. In data 1.11.2015 il ricorrente è stato collocato in riserva e a partire da tale data ha iniziato a percepire il trattamento pensionistico erogato dall’INPS, trattamento che non considera le classi biennali stipendiali e le relative quote mensili maturate nel periodo 2011-2015. Il ricorrente ha, quindi, diffidato l’INPS a ricalcolare il trattamento con il riconoscimento di tutte le classi biennali stipendiali e le relative quote mensili maturate durante il periodo di servizio. Nessuno dei predetti enti ha risposto.

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha chiesto in via principale di ordinare al Ministero della Difesa, Direzione Generale della previdenza e della leva, di ricalcolare il trattamento di quiescenza percepito per il periodo 1.4.2015-31.10.2015, con il riconoscimento di tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate nel periodo in servizio e fino al raggiungimento dei limiti di età, comprese quelle maturate nel periodo 2011-2015, con decorrenza dalla data di collocamento in ausiliaria; di ordinare all’INPS di ricalcolare il trattamento pensionistico con il riconoscimento di tutte le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate nel periodo in servizio, comprese quelle maturate nel periodo 2011-2015, con decorrenza dalla data di collocamento in riserva, con gli interessi dal dovuto sino all’effettivo soddisfo e in via incidentale, nel caso non si ritenga operabile un’interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento, di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, D.L. 78/2010, nonché dell’art. 1, lett. a), DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014, nella parte in cui prevedono che gli anni 2011-2015 non siano utili ai fini della maturazione delle classi stipendiali biennali e delle relative quote mensili, per violazione degli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost.

Con memoria depositata in data 14.1.2019 il ricorrente, ribadite le argomentazioni già esposte nel ricorso e richiamata giurisprudenza favorevole di questa Corte, ha chiesto, ad integrazione della domanda di ricalcolo del trattamento di quiescenza già formulata nel ricorso, di maggiorare le somme dovute mediante rivalutazione monetaria dal giorno della debenza del singolo rateo al soddisfo e, in via incidentale, di sollevare la questione di legittimità costituzionale, oltre che delle norme sopraindicate, anche dell’art. 11, comma 7, D.Lgs n. 94 del 2017 nella parte in cui prevedono che gli anni 2011-2015 non siano utili ai fini della maturazione delle classi stipendiali biennali e delle relative quote mensili, per il solo personale cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, per violazione degli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost.

L’INPS si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 14.1.2019. Sostiene l’Istituto che l’art. 9 d.l. 2010/78, conv. in l. 2010/122 si inserisce in un piano più ampio con il quale il legislatore ha inteso dettare misure urgenti per assicurare una maggiore stabilità a livello economico finanziario al paese. Il limite stabilito dalla predetta norma ha una valenza di carattere generale finalizzata a garantire l’invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento. Solo dal 1.1.2016 è intervenuto lo sblocco di tale situazione e sono ripresi gli aumenti contrattuali del pubblico impiego, le progressioni di carriera e il rinnovo perequativo delle pensioni. Tale ripresa ha interessato soltanto coloro che erano in servizio a quella data. Coloro che erano già cessati dal servizio non possono invece chiedere il riconoscimento di aumenti di classi e scatti stipendiali di anzianità di servizio che non sono maturate neppure per coloro che erano ancora in servizio alla data del 1.1.2016. Allo stesso modo quanto previsto dall’art. 11, comma 7, d.lgs 2017/94 interessa soltanto coloro che erano in servizio a tale data e non coloro che, come i ricorrenti, sono cessati dal servizio prima del 2018. Conseguentemente, secondo l’INPS, i ricorrenti, che sono cessati dal servizio nel corso della vigenza del blocco, non possono beneficiare, neanche ai fini pensionistici, degli aumenti stipendiali derivanti dai meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato in quanto i predetti meccanismi non si applicano per gli anni 2011-2015. Se così non fosse, il risparmio economico derivante dalla disposizione del blocco verrebbe vanificato. Quanto, infine, alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78/2010 e delle successive norme che hanno prorogato il blocco, osserva il convenuto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata la questione.

Chiede, quindi, in via preliminare il rigetto della domanda di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e, nel merito, il rigetto di tutte le domande e in ogni caso, il rigetto della domanda di condanna al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria e di somme arretrate con decorrenza anteriore al quinquennio della domanda, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite.

Il Ministero non si è costituito.

All’udienza del 22 gennaio 2019, su istanza del ricorrente, è stato concesso un termine per il deposito dell’ordinanza della sezione Lombardia di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della stessa questione di legittimità formulata con il ricorso introduttivo. In data 19.2.2019 il ricorrente ha depositato copia dell’ordinanza n. 4/2019 con la quale la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 2010/78, conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2010/122; dell’art. 16, comma 1, lett. b) d.l. 2011/98 conv. dall’art. 1, comma 1, L. 2011/111, come specificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, DPR 2013/122; dell’art. 1, comma 256, L. 2014/190 anche in considerazione dell’art. 11, comma 7, D.lgs 2017/94 “per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dette norme, per il personale di cui all’art. 3 D.Lgs 2001/165, e successive modificazioni, cessato dal servizio dal omissis al omissis, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal omissis al omissis”.

Considerato in
DIRITTO

Il ricorrente ha chiesto il ricalcolo del trattamento di quiescenza erogato dal Ministero della Difesa per il periodo 1 aprile 2015-31.10.2015 e di quello pensionistico erogato dall’INPS a decorrere dal 1.11.2015.

Per quanto riguarda il trattamento erogato dal Ministero della Difesa il ricorrente ha chiesto che la pensione di cui gode sia ricalcolata sulla base di quanto previsto dall’art. 1873 del D.Lgs 66/2010 il quale stabilisce che: “Agli ufficiali dirigenti che cessano dalla posizione di aspettativa per riduzione dei quadri competono, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante:

a) il trattamento pensionistico che sarebbe loro spettato qualora fossero rimasti in servizio fino al limite di età, compresi gli aumenti periodici e i passaggi di classe di stipendio commisurati al trattamento percepito all’atto della cessazione…”.

L’art. 9, comma 21, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, tuttavia, prevede che: “Per le categorie di personale di cui all’art. 3 D.Lgs n. 165 del 2001 ss.mm. che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, previsione estesa agli anni 2014 e 2015 dal DPR 122/2013 e dalla L. 190/2014. L’Amministrazione, pertanto, non ha riconosciuto al ricorrente le classi stipendiali biennali e le relative quote mensili maturate per il periodo 2011-2015. Sulla base delle suddette norme, anche l’INPS, secondo il ricorrente erroneamente, ha calcolato il trattamento pensionistico senza comprendere le classi biennali stipendiali e le relative quote mensili maturate nel periodo 2011-2015.

Secondo il ricorrente le norme che hanno stabilito il predetto c.d. “blocco” si potrebbero interpretare nel senso che la maturazione delle classi e degli scatti di stipendio non avvenga negli anni 2011-2015 ma a partire dal 1.1.2016. Tale interpretazione non è condivisibile in quanto la scelta del legislatore, con il “blocco” è stata quella di realizzare un taglio alla spesa, piuttosto che un rinvio, né la norma prevede il differimento del ricomputo a data successiva a quella coperta dal “blocco” e “se un incremento stipendiale…non è mai entrato nella base retributiva…e contributiva del ricorrente, non può dunque coerentemente entrare a far parte della corrispondente base pensionabile” (sez. Lombardia, 7.6.2018 n. 120).

Il ricorrente ha sollevato dubbi di costituzionalità con riferimento all’art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. 78/2010, dell’art. 1, comma 1, lett. a) DPR 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, L. 190/2014. In merito, con la citata ordinanza n. 4/2019, la Corte dei conti, sez. Lombardia, in giudizio analogo a quello in oggetto, ha rimesso la questione della legittimità delle predette norme alla Corte costituzionale.

Ritiene questo Giudice che la questione debba essere risolta sulla base dei principi già dettati dalla Corte Costituzionale e ancora recentemente affermati con la sentenza n. 200/2018.

La legittimità di queste norme, infatti, è già stata affermata dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 304-310/2013; 178/2015; 96/2016 e 200/2018) in quanto la giurisprudenza costituzionale ha affermato che i sacrifici imposti ai dipendenti pubblici attraverso la previsione di blocchi stipendiali sono consentiti, purchè eccezionali e funzionali alle esigenze di contenimento della spesa pubblica. Analoghe considerazioni valgono con riferimento agli effetti dell’entrata in vigore dell’art. 11, comma 7, D.Lgs 94/2017 il quale dispone che “In fase di prima applicazione del presente decreto legislativo, gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato”. Per effetto di tale norma, lamenta il ricorrente, tutti gli ufficiali rimasti in servizio al 1° gennaio 2018 sono stati reinquadrati, recuperando così tutte le classi biennali stipendiali e le quote mensili, comprese quelle del periodo di blocco, mentre il blocco delle progressioni automatiche di stipendio varrebbe all’infinito per il personale andato in quiescenza dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017. Tuttavia, come si ritiene in giurisprudenza “La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale” (sez. Piemonte, 16.10.2018 n. 110).

Per quanto le citate pronunce della Corte Costituzionale abbiano riguardato l’art. 9, comma 21, terzo periodo (blocco degli aumenti retributivi derivanti da progressioni di carriera comunque disposte) “non v’è dubbio che i principi ivi affermati debbano ritenersi applicabili, per identità di ratio, anche alla disposizione recata dal secondo periodo dell’art. 9, comma 21 (blocco dei meccanismi di progressione automatica delle retribuzioni fondati su classi e scatti di stipendio) che forma oggetto di specifica disamina nel presente giudizio…non assume alcun significativo rilievo la circostanza che l’incremento stipendiale consegua a meccanismi di progressione automatica ovvero a progressioni di carriera comunque denominate, la previsione recata dal secondo periodo dell’art. 9, co. 21 del DL n. 78/2010, interpretata alla stregua dei criteri dettati dalla Corte Costituzionale con riferimento al terzo periodo della medesima norma, consente di escludere, per le posizioni degli odierni ricorrenti, la violazione del parametro costituzionale di uguaglianza rispetto alla posizione di coloro che sono stati collocati in quiescenza dopo la scadenza del periodo di blocco delle retribuzioni” (sez. Friuli Venezia Giulia, 12.12.2018 n. 111).

Il ricorso deve, quindi essere respinto.

La complessità della questione giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica di giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal sig. Andrea F.., respinge il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 19 febbraio 2019.
IL GIUDICE
F.TO dott. Pia Manni


Depositato in Segreteria il 13/03/2019


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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

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allego la lettera del CGA CC. - Ufficio Legislazione - n. 235/171-1-2008 datata 31/12/2014

Oggetto: Sblocco stipendiale "effetti sul trattamento economico del personale in servizio ed in congedo".

N.B.: spiega tutto per quel periodo.
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panorama
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da panorama »

allego una notizia del 17/10/2014 di un collega del Cocer CC. che a suo tempo è pervenuta in merito alla Legge di stabilità 2015.
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Sempreme064
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Re: Sblocco tetto salariale pensionati ante 2015

Messaggio da Sempreme064 »

Prima il blocco 2010/2014 governo berlysca 2010/2011 Novembre.
Poi:
Primi commenti all’intesa con il Governo Renzu 2012 2016

Ieri, 30 novembre 2016, è stata sottoscritta l’intesa per sbloccare i contratti del pubblico impiego. Dopo tutti questi anni, quasi alla vigilia del 4 dicembre c’è stata l’intesa (caratterizzata da un mini vertice tra i sindacati confederali dopo pranzo, insieme al ministro Madia). Il Ministro Madia pare abbia precisato che il protocollo avrebbe valore per tutti i comparti pubblici. Si parla quindi di una somma di 850 milioni per il rinnovo dei contratti statali. Un’altra somma prevede 850-900 milioni di euro per le forze dell’ordine e all’interno di questa ci sono 480 milioni per la proroga degli 80 euro; 100-170 per le assunzioni; 40 per la forestale e 250 per il riordino delle carriere. Dunque una cifra quasi uguale per una quantità diversa di addetti dei due macro settori. Sull’aumento di 85 euro poi c’è da dire che si tratta di una cifra media che sembra essere l’assorbimento dell’attuale bonus Renzi.. Non si è tenuto minimamente conto della perdita pro capite sugli stipendi che i lavoratori hanno subito e che ammonta a più di 4000 euro pro capite dal 2010. Le parti dovranno riunirsi ancora per altre sfaccettature legate alla malattia, ma pare che l’incentivo per la produttività sia legato all’assiduità della presenza al lavoro. Infine, sarà anche stabilito l’ambito di applicazione delle norme rispetto al contratto di lavoro. Altri approfondimenti sui singoli aspetti saranno forniti a breve. Ma certo è che per i dipendenti statali non si parla né di carriera né di riordino…



Poi presa per er xxxxxxx con tanto di sindacati che erano felici del raggiungimento dell'intesa...
Se era in altro paese la rivoluzione

P. S. Non intasate i tribunali di ricorsi che lavorano solo per noi.. Tra art 44/54 accolti non accolti, ricorsi stipendiali accolti non accolti, assegni accolti non accolti. Etc etc
Vi fanno ammalare.....
Per finire non si può prendere 1370 euro con 36 anni contributi e dare 800 euro a chi non fa un Caz.
Buona notte. Che Italia
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