Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da rispetta

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maxxy
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

Messaggio da maxxy »

Dove si può recuperare una copia di questa sentenza della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ?
Grazie.


panorama
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

Messaggio da panorama »

Giusto x notizia visto che siamo in tema di sanzione disciplinare.
Tutto ciò che bisogna sapere e chiedere all'Amministrazione.

Complimenti per la difesa legale che ha tutelato bene gli interessi del ricorrente, altrimenti ci avrebbe rimesso qualcosa.

1) - Il Tar ha annullato la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per mesi cinque irrogata al ricorrente.

2) - La predetta sentenza, notificata all’Amministrazione in data 18.01.2012 e passata in giudicato per effetto della sentenza n. 2604/2012 del 04.05.2012 con cui il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dal Ministero, è rimasta totalmente ineseguita, di modo che egli ha subìto:
a) la decurtazione stipendiale del 50% degli emolumenti mensili per i 5 mesi duranti i quali è stato sospeso dal servizio;
b) la decurtazione in detto periodo dell’anzianità di servizio e del grado;
c) la revoca del Nulla Osta di segretezza di cui beneficiava prima del provvedimento sanzionatorio.


3) - Il Ministero della Difesa, preso atto dell’annullamento in sede giurisdizionale della sanzione disciplinare, ha provveduto alla ricostruzione della carriera del dipendente in senso conforme al giudicato, disponendo che “Ai fini della ricostruzione giuridica ed economica della carriera [del ricorrente]…il periodo di sospensione disciplinare dall’impiego sofferta dovrà essere considerato come servizio di fatto”.
Sulla scorta di ciò, la difesa erariale ha chiesto dichiararsi l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.


4) - All’udienza in camera di consiglio, però, il difensore di parte ricorrente ha dichiarato di non ritenere satisfattivo il provvedimento da ultimo citato ed ha insistito per l’accoglimento delle domande proposte.

5) - Il Tar ha osservato che l’eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dalla difesa erariale non può essere condivisa dal momento che il citato D.M. 0383/III-7/2012 del 10.08.2012, nel disporre che
- ) “ai fini della ricostruzione giuridica ed economica della carriera [del ricorrente]…il periodo di sospensione disciplinare dall’impiego sofferta dovrà essere considerato come servizio di fatto”,
- ) non costituisce atto di concreta e completa esecuzione del giudicato, ma tutt’al più un atto meramente prodromico alla concreta esecuzione, la quale dovrà necessariamente avvenire attraverso la corresponsione al ricorrente degli emolumenti stipendiali arretrati non corrisposti durante il periodo della illegittima sospensione dal servizio, maggiorati degli interessi legali decorrenti dalla data di scadenza delle singole mensilità fino al soddisfo, e la ricostruzione effettiva dell’anzianità di servizio e di grado dell’interessato mediante trascrizione nel relativo Foglio Matricolare.

6) - PRATICAMENTE IL MINISTERO deve provvedere a ricostruire la carriera giuridica ed economica del ricorrente, ripristinandone l’anzianità di servizio e di grado mediante annotazione nel relativo Foglio Matricolare e corrispondendo al medesimo gli emolumenti stipendiali arretrati maggiorati di interessi legali dalla data di scadenza delle singole mensilità fino al soddisfo.

Il resto potete leggerlo qui sotto.

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09/11/2012 201201186 Sentenza 1


N. 01186/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00681/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 681 del 2012, proposto da:
C. S., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Zaccaglino, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Piemonte in Torino, corso Stati Uniti, 45;

contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l’esecuzione e l'ottemperanza
della sentenza n. 22 di data 12 gennaio 2012 del T.A.R. per il Piemonte - sede di Torino -
e per la nomina di un commissario ad acta, ex art. 2 l. 205/2000

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2012 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 22.06.2012 e depositato il 27.06.2012 il signor C. S., sottufficiale dell’Aeronautica militare, ha adito questo TAR per ottenere la condanna del Ministero della Difesa all’ottemperanza della sentenza n. 22/12 del 12.01.2012 con cui questa Sezione ha annullato la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per mesi cinque irrogata al ricorrente con decreto ministeriale n. 0065 / III-7 /2011 in data 08.02.2001.

2. Ha dedotto il ricorrente che la predetta sentenza, notificata all’Amministrazione in data 18.01.2012 e passata in giudicato per effetto della sentenza n. 2604/2012 del 04.05.2012 con cui il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dal Ministero, è rimasta totalmente ineseguita, di modo che egli ha subìto: a) la decurtazione stipendiale del 50% degli emolumenti mensili per i 5 mesi duranti i quali è stato sospeso dal servizio; b) la decurtazione in detto periodo dell’anzianità di servizio e del grado; c) la revoca del Nulla Osta di segretezza di cui beneficiava prima del provvedimento sanzionatorio.

3. Ha quindi chiesto la condanna dell’Amministrazione all’ottemperanza, la nomina di un commissario ad acta e la rifusione delle spese di lite.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, depositando copia del provvedimento DM n. 0383 / III-7 / 2012 del 10 agosto 2012 con cui il Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale militare, preso atto dell’annullamento in sede giurisdizionale della sanzione disciplinare, ha provveduto alla ricostruzione della carriera del dipendente in senso conforme al giudicato, disponendo che “Ai fini della ricostruzione giuridica ed economica della carriera [del ricorrente]…il periodo di sospensione disciplinare dall’impiego sofferta dovrà essere considerato come servizio di fatto”.

5. Sulla scorta di quanto documentato, la difesa erariale ha chiesto dichiararsi l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

6. All’udienza in camera di consiglio del 18 ottobre 2012, il difensore di parte ricorrente ha dichiarato di non ritenere satisfattivo il provvedimento da ultimo citato ed ha insistito per l’accoglimento delle domande proposte.

7. Il collegio si è riservato di decidere.

8. Osserva il collegio che l’eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dalla difesa erariale non può essere condivisa dal momento che il citato D.M. 0383/III-7/2012 del 10.08.2012, nel disporre che “ai fini della ricostruzione giuridica ed economica della carriera [del ricorrente]…il periodo di sospensione disciplinare dall’impiego sofferta dovrà essere considerato come servizio di fatto”, non costituisce atto di concreta e completa esecuzione del giudicato, ma tutt’al più un atto meramente prodromico alla concreta esecuzione, la quale dovrà necessariamente avvenire attraverso la corresponsione al ricorrente degli emolumenti stipendiali arretrati non corrisposti durante il periodo della illegittima sospensione dal servizio, maggiorati degli interessi legali decorrenti dalla data di scadenza delle singole mensilità fino al soddisfo, e la ricostruzione effettiva dell’anzianità di servizio e di grado dell’interessato mediante trascrizione nel relativo Foglio Matricolare.

9. Pertanto, in accoglimento della domanda proposta dall’interessato, l’Amministrazione della Difesa dovrà provvedere ad ottemperare alla sentenza in epigrafe, nei termini sopra esposti, entro e non oltre 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla sua notifica a cura della parte ricorrente, se anteriore.

10 In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d'ora commissario ad acta il direttore della Divisione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa, con facoltà di delega ad altro dirigente o funzionario dello stesso ufficio, il quale entro trenta giorni dalla scadenza del termine precedente compirà tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell'Amministrazione inadempiente, a ricostruire la carriera giuridica ed economica del ricorrente, ripristinandone l’anzianità di servizio e di grado mediante annotazione nel relativo Foglio Matricolare e corrispondendo al medesimo gli emolumenti stipendiali arretrati maggiorati di interessi legali dalla data di scadenza delle singole mensilità fino al soddisfo, unitamente alle spese del presente giudizio di ottemperanza, liquidate in dispositivo.

10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), decidendo definitivamente sul ricorso indicato in epigrafe:
a) lo accoglie nei sensi e per gli effetti indicati in motivazione;
b) condanna il Ministero della Difesa a corrispondere al ricorrente le spese della presente fase processuale, che liquida forfettariamente in € 2.000,00 (duemila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Manda alla Segreteria di comunicare la presente decisione alle parti e al commissario ad acta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Paola Malanetto, Referendario
Ariberto Sabino Limongelli, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/11/2012
panorama
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

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consegna di rigore

1) - privato della piena libertà personale, in ragione di due sanzioni disciplinari della consegna di rigore annullate, successivamente all'espiazione, a seguito di ricorso gerarchico.

IL TAR così si esprime:

2) - Ritenuto che il danno esistenziale può essere liquidato, in via equitativa, nella somma di € 60 al giorno, pari dunque a complessivi € 300,00 (in considerazione della circostanza che la libertà del ricorrente è stata compromessa solo per parte della giornata), da rivalutarsi di anno in anno sino al deposito della presente sentenza, oltre interessi, a titolo di lucro cessante, decorrenti dalla data dell’illecito e fino alla liquidazione con la presente sentenza. Infine, dal momento della notifica della sentenza e sino al saldo, saranno ancora dovuti interessi legali corrispettivi ex art. 1282 c.c., in quanto il debito risarcitorio da debito di valore si converte in debito di valuta (Cass. Sez. Un. 17.2.1995, n. 1712; Cass. 17.11.1998, n. 11571);

Per completezza leggete tutta la vicenda qui sotto.

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01/08/2013 201300412 Sentenza 1


N. 00412/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00426/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 426 del 2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Cleopazzo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Laura Mongiat in Trieste, via Coroneo 17;

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è domiciliato in Trieste, piazza Dalmazia 3;
per la condanna dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno subito dal ricorrente per essere stato egli privato della piena libertà personale, in ragione di due sanzioni disciplinari della consegna di rigore annullate, successivamente all'espiazione, a seguito di ricorso gerarchico.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2013 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato che il ricorrente, I Caporal Maggiore (volontario in servizio permanente) dell’Esercito, chiede il risarcimento dei danni subiti per essere stato privato della piena libertà personale, nei giorni dal 16/9/2004 al 20/9/2004 e dal 14/12/2004 al 18/12/2004, in ragione di due sanzioni disciplinari della consegna di rigore, annullate, successivamente all’asserita espiazione, a seguito di ricorso gerarchico;

Considerato che il medesimo espone che le sanzioni dianzi indicate gli erano state irrogate in relazione al medesimo evento disciplinarmente rilevante e poi entrambe annullate in sede di ricorso gerarchico a causa di vizi formali e/o procedurali che avevano inficiato il relativo procedimento;

Considerato che chiede, nello specifico, il risarcimento del danno esistenziale asseritamente patito, che quantifica in complessivi € 20.000,00 (€ 2.000,00 per ogni giorno di privazione della piena libertà personale), nonché di quello morale, che quantifica in ulteriori € 20.000,00 (“per essere stato sottoposto, per circa 4 mesi (…), alle pervicaci angherie del Comandante; per essere stato costretto a tutelare i propri diritti, proponendo (…) due ricorsi gerarchici, anche affrontando i timori che la sua azione venisse percepita come un <disallineamento> rispetto al sistema fortemente gerarchizzato peculiare delle Forze Armate; per il senso di frustrazione derivatogli dall’essere stato ingiustamente colpito dalle sanzioni disciplinari e dal vedere le medesime trascritte sul proprio foglio matricolare”);

Considerato che il Ministero intimato si è costituito in giudizio per resistere al ricorso con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste e, con successiva memoria, ha contestato recisamente le avverse pretese;

Considerato che la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 10 luglio 2013 e, all’esito della discussione, trattenuta in decisione;

Considerato che appaiono sussistenti i presupposti di legge per definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 74 del c.p.a.;

Ritenuto che il ricorso meriti accoglimento nei sensi di cui appresso;

Ritenuto che secondo orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Cassazione, condiviso dal giudice amministrativo (ex multis C.d.S., VI, 16 settembre 2011, n. 5166), sulla base di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. il danno non patrimoniale, ivi compreso il danno morale soggettivo, è sempre risarcibile, anche a prescindere dal limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 cod. pen. (dunque, anche in assenza di un’ipotesi di reato), allorché si sia in presenza di un’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito (v., ex plurimis, Cass., 6 agosto 2007, n. 17180; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827);

Ritenuto che la lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui all’art 14, comma 6, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (“la sanzione della consegna di rigore non può essere inflitta se non per comportamenti specificamente previsti dal regolamento di disciplina”), all’epoca vigente, e dell’art. 2059 C.C. permette di individuare un ulteriore caso di riparabilità del danno non patrimoniale ovvero quello da restrizione della libertà personale provocata dal provvedimento disciplinare della consegna di rigore poi annullato;

Ritenuto, invero, che la mancanza di una norma che espressamente sancisca la riparabilità del danno non patrimoniale in ipotesi di lesione della libertà personale da provvedimento disciplinare illegittimo e/o la libera accettazione dello status di militare non siano elementi idonei a confutare la ricostruzione proposta, in considerazione della valenza precettiva degli artt. 2 e 13, comma 1, Cost.;

Ritenuto che, sebbene la lesione di un diritto fondamentale non attribuisca al suo titolare il diritto al risarcimento del danno in assenza di prova specifica, dato che la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile di cui all'art. 2059 C.C. deve essere dimostrata anche quando derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, dal momento che costituisce "danno conseguenza " e non "danno evento”, non può pur tuttavia disconoscersi che l’espiazione della consegna di rigore da parte del ricorrente, in virtù di provvedimento poi dichiarato illegittimo, costituisce di per sé serio indice della sussistenza della lesione di un bene personale di rilevanza costituzionale in capo al medesimo, per lo meno sotto il profilo del danno esistenziale, essendo indubbio che l’aver scontato la punizione della consegna di rigore “… dal termine delle istruzioni giornaliere alla sveglia del mattino successivo”(vedi provvedimento sanzionatorio in data 16 settembre 2004 – all. 3 fascicolo doc. ricorrente) ha pregiudicato il libero dispiegarsi delle attività, delle esigenze e degli interessi personali del signor OMISSIS, compromettendo, la libera esplicazione della sua personalità;

Ritenuto, altresì, che tale danno è da ritenersi conseguenza immediata e diretta dell’attività provvedimentale illegittima dell’Amministrazione (atteso che il ricorrente non avrebbe subito la restrizione della propria libertà personale in assenza del provvedimento sanzionatorio poi annullato) e ad essa imputabile, sotto il profilo soggettivo, atteso che i vizi denunciati dal ricorrente in sede amministrativa, che hanno consentito di apprezzare in senso a lui favorevole le impugnazioni proposte, appalesano di per sé la colpevole negligenza riferibile all’apparato;

Ritenuto, invero, che la chiara formulazione dell’art. 15, comma 2, primo cpv, della legge dianzi citata, a mente del quale “non può essere inflitta la consegna di rigore se non è stato sentito il parere di una commissione di tre militari, di cui due di grado superiore ed uno pari grado del militare che ha commesso la mancanza”, non consente di ritenere scusabile l’errore commesso dall’Ufficio procedente, che ha omesso di includere tra i componenti della Commissione un militare parigrado del ricorrente;

Ritenuto che analoghe considerazioni possono riproporsi anche con riferimento alla II sanzione della consegna di rigore irrogata al ricorrente, atteso che il ricorso gerarchico dal medesimo proposto avverso la stessa è stato accolto in considerazione dell’eccessivo lasso di tempo trascorso tra la decisione del primo ricorso gerarchico (18 ottobre 2004) e la conclusione del nuovo procedimento sanzionatorio (14 dicembre 2004) e della erronea decorrenza del provvedimento sanzionatorio indicata (ovvero 14 dicembre 2004 anziché, come corretto, 16 settembre 2004);

Ritenuto, in ogni caso, che può ritenersi provata unicamente l’espiazione da parte del ricorrente della I sanzione irrogata (a prescindere dalla circostanza che essa sia stata o meno scontata in appositi locali), atteso che il ricorrente medesimo, oltre a non aver replicato in alcun modo alle puntuali osservazioni svolte dall’Amministrazione resistente in merito alla mancata espiazione della II consegna di rigore (vedi pag. 8 e 9 del “Rapporto sui fatti di causa” in data 28 ottobre 2008, richiamato dall’Avvocatura distrettuale nella memoria depositata in data 20 maggio 2013 – all. 1 fascicolo doc. Avvocatura) e a non aver prodotto documentazione idonea a confutare quella a tal riguardo dimessa dalla difesa erariale (vedi, in particolare, all. 26, 27, 28, 29, 30), non è stato in grado, nemmeno nel corso dell’odierna udienza pubblica, seppur ritualmente richiesto, di produrre o indicare utili elementi di prova per superare quelli di segno opposto esistenti agli atti di causa;

Ritenuto che il danno esistenziale può essere liquidato, in via equitativa, nella somma di € 60 al giorno, pari dunque a complessivi € 300,00 (in considerazione della circostanza che la libertà del ricorrente è stata compromessa solo per parte della giornata), da rivalutarsi di anno in anno sino al deposito della presente sentenza, oltre interessi, a titolo di lucro cessante, decorrenti dalla data dell’illecito e fino alla liquidazione con la presente sentenza. Infine, dal momento della notifica della sentenza e sino al saldo, saranno ancora dovuti interessi legali corrispettivi ex art. 1282 c.c., in quanto il debito risarcitorio da debito di valore si converte in debito di valuta (Cass. Sez. Un. 17.2.1995, n. 1712; Cass. 17.11.1998, n. 11571);

Ritenuto, invero, non risarcibile, in via autonoma, il danno morale invocato dal ricorrente, atteso che la relativa pretesa non risulta assistita da sufficienti elementi di riscontro;

Ritenuto, in definitiva, di accogliere la domanda risarcitoria avanzata nei sensi e nei limiti dianzi precisati;
Ritenuto che le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo, determinata assumendo a riferimento i criteri e i parametri di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti precisati in motivazione.

Condanna l’Amministrazione al pagamento a favore del ricorrente delle spese e delle competenze di lite, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, oltre IVA, se dovuta, e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 01/08/2013
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

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Ok ai ricorsi presentati.
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1) - il ricorso è stato depositato in data 28 settembre 1990, con contestuale domanda di fissazione udienza;

2) - Rilevato che la successiva domanda di prelievo è stata depositata in data 26 luglio 2012 e cioè dopo 22 anni dal deposito del ricorso;

3) - Rilevato che, ai sensi dell’art. 1 allegato 3 norme transitorie c.p.a. “nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’ articolo 24 del codice e dal suo difensore, relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione. In difetto, il ricorso è dichiarato perento con decreto del presidente”;

4) - Rilevato che la domanda di prelievo presentata dal ricorrente, oltre a difettare dei requisiti di sostanza e di forma richiesti dall’art. 1 citato, è stata presentata comunque in data 26 luglio 2012, ben oltre quindi il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del c.p.a;

Il resto leggetelo qui sotto.
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16/01/2014 201400065 Sentenza 2


N. 00065/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01515/1990 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1515 del 1990, proposto da:
M. G., rappresentato e difeso dall'avv. Mario Intilisano, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in Catanzaro, via De Gasperi, 76/B;

contro
Legione Carabinieri di Catanzaro; Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Catanzaro, via G. Da Fiore, 34;
per l'annullamento della sanzione disciplinare di corpo notificata il 24.3.1990;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato che il ricorso è stato depositato in data 28 settembre 1990, con contestuale domanda di fissazione udienza;

Rilevato che la successiva domanda di prelievo è stata depositata in data 26 luglio 2012 e cioè dopo 22 anni dal deposito del ricorso;

Rilevato che, ai sensi dell’art. 1 allegato 3 norme transitorie c.p.a. “nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’ articolo 24 del codice e dal suo difensore, relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione. In difetto, il ricorso è dichiarato perento con decreto del presidente”;

Rilevato che la domanda di prelievo presentata dal ricorrente, oltre a difettare dei requisiti di sostanza e di forma richiesti dall’art. 1 citato, è stata presentata comunque in data 26 luglio 2012, ben oltre quindi il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del c.p.a;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per perenzione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Schillaci, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere
Emiliano Raganella, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/01/2014
panorama
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

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Anche questa mi è sfuggita al suo tempo di postarla ma lo faccio ora x allora. Quindi non fa nulla se questa sentenza e del 07/03/2013 ma il contenuto potrebbe interessare ugualmente a qualcuno.
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sanzione di gg. 3 di "consegna di rigore".

1) - E’ fondata la doglianza con la quale il ricorrente lamenta violazione dell’art. 653 c.p.p. con riguardo all’efficacia del giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste, perché non costituisce reato, o perché l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio disciplinare, nonchè di eccesso di potere.

2) - Ai sensi dell’art. 653, primo comma, c.p.p., nel testo risultante dall’intervento normativo di cui alla legge 27 marzo 2001, n° 97, “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso”.

3) - Alla stregua della disposizione normativa appena richiamata, è illegittimo l’addebito disciplinare e la sanzione disciplinare inflitta per il medesimo fatto contestato e valutato nel processo penale definito con giudicato assolutorio perché il fatto non sussiste, o perché l’imputato non lo ha commesso.

4) - Per ius receptum la formula "perchè il fatto non sussiste" indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l'evento o il nesso di causalità), ossia l'esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell'ambito di una fattispecie incriminatrice.

ottima difesa.

Per completezza dei fatti leggete il tutto qui sotto.
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07/03/2013 201300179 Sentenza 1


N. 00179/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00182/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 182 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Formica, Pietro Siciliano, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R. Marche in Ancona, via della Loggia, 24;

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore,
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del Comandante Generale pro tempore,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge in Ancona, piazza Cavour, 29;

per l'annullamento
- del decreto n. ….-2011 dell'11 gennaio 2012, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato avverso il rigetto dell'istanza di riesame presentata per la revoca e/o annullamento della sanzione di gg. 3 di "consegna di rigore" applicata dal Comando Legione Carabinieri Marche con provvedimento del 16.06.2011;
- nonché del provvedimento di rigetto dell'istanza di riesame presentata per la revoca e/o annullamento della sanzione di gg. 3 di "consegna di rigore" applicata dal Comando Legione Carabinieri Marche con provvedimento del 16.06.2011;
- nonché della sanzione di gg. 3 di "consegna di rigore" applicata dal Comando Legione Carabinieri Marche con provvedimento del 16.06.2011;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Primo Referendario Francesca Aprile nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2012 e udita l’Avvocatura dello Stato, nessuno presente per il ricorrente, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato la sanzione di giorni tre di "consegna di rigore" applicatagli dal Comando Legione Carabinieri Marche con provvedimento del 16 giugno 2011, il provvedimento in data 15 settembre 2011 di rigetto dell'istanza di riesame presentata per la revoca e/o annullamento della predetta sanzione, nonché il decreto n. …-2011 dell'11 gennaio 2012, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato avverso il rigetto dell'istanza di riesame presentata per la revoca e/o annullamento della sanzione.

Per resistere al ricorso, si è costituita l’amministrazione intimata, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che ne ha domandato il rigetto, vinte le spese.

Con ordinanza cautelare n° 203/2012 del 6 aprile 2012, è stata accolta l’istanza cautelare avanzata dal ricorrente.

Alla pubblica udienza del 13 dicembre 2012, sentita l’Avvocatura dello Stato, nessuno presente per il ricorrente, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.

DIRITTO

Il ricorso dev’essere accolto perchè fondato.

E’ fondata la doglianza con la quale il ricorrente lamenta violazione dell’art. 653 c.p.p. con riguardo all’efficacia del giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste, perché non costituisce reato, o perché l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio disciplinare, nonchè di eccesso di potere.

Ai sensi dell’art. 653, primo comma, c.p.p., nel testo risultante dall’intervento normativo di cui alla legge 27 marzo 2001, n° 97, “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso”.

Alla stregua della disposizione normativa appena richiamata, è illegittimo l’addebito disciplinare e la sanzione disciplinare inflitta per il medesimo fatto contestato e valutato nel processo penale definito con giudicato assolutorio perché il fatto non sussiste, o perché l’imputato non lo ha commesso.

Il giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso costituisce una preclusione assoluta ad iniziare o proseguire un procedimento disciplinare per il medesimo fatto oggetto del giudizio penale, senza che residui alcun margine di valutazione in capo all’amministrazione di appartenenza.

Per ius receptum la formula "perchè il fatto non sussiste" indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l'evento o il nesso di causalità), ossia l'esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell'ambito di una fattispecie incriminatrice.

Si è anche osservato che la regola di giudizio contenuta nell'art. 530 c.p.p., comma 2, impone l'adozione della formula in esame sia nel caso che sia stata raggiunta la prova positiva della insussistenza del fatto, sia nel caso di mancanza, o di insufficienza o di contraddittorietà della relativa prova, dal momento che la diversa entità della prova non può riverberarsi sulla formula assolutoria da utilizzare, che deve rimanere uguale in entrambi i casi.

Accertata l'insussistenza del fatto (o mancando la prova della sua sussistenza), l'assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste" preclude ogni altra valutazione della condotta.

Nel caso di cui si controverte, il ricorrente, con sentenza del Tribunale Militare di Roma n° 2 del 2 febbraio 2010, irrevocabile il 17 aprile 2010, è stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” dalle imputazioni di insubordinazione aggravata con ingiuria e di disobbedienza aggravata.

L’amministrazione intimata, con avviso di avvio di procedimento disciplinare in data 8 settembre 2010, ha dato atto della sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste e, tuttavia, ha comunicato l’avvio del procedimento disciplinare per asserita “violazione degli artt. 10, 14 e 25 (doveri attinenti al grado – senso di responsabilità – esecuzione di ordini) del R.D.M., potendosi configurare le mancanze di cui ai nn. 3 e 22 (violazione rilevante dei doveri attinenti al grado e negligenza o imprudenza o ritardo nell’esecuzione di un ordine o nell’espletamento di un servizio secondo le modalità prescritte) dell’allegato “C” all’art. 65 dello stesso Regolamento”.

Con l’impugnato provvedimento del 16 giugno 2011, al ricorrente è stata inflitta la sanzione di giorni tre di consegna di rigore per la seguente “mancanza”: “militare addetto a Stazione distaccata, durante l’espletamento delle attività di servizio e per cause ad esso attinenti, poneva in essere, in tempi diversi ed in una circostanza in concorso con altro militare del medesimo Reparto, comportamenti ed atti di protesta gravemente inurbani nei confronti di superiore in grado.

Con tale condotta ha violato gli artt. 10 e 36 del R.D.M. così configurando le mancanze di cui ai nn. 3 e 27 dell’allegato “C” all’art. 65 dello stesso Regolamento”. “(Infrazione commessa il 14 novembre 2007 ed il 27 marzo 2008 nel grado di Appuntato Scelto)”.

Tale provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare impugnata, così come l’addebito disciplinare, è illegittimo, perché in contrasto con l’efficacia preclusiva, nel giudizio disciplinare, attribuita dall’art. 653 c.p.p. al giudicato penale delle sentenze di assoluzione concernenti l’accertamento che il fatto non sussiste.

Per la medesima ragione, è illegittimo il provvedimento, in data 15 settembre 2011, con il quale è stata respinta la richiesta di riesame della sanzione disciplinare di cui si controverte, atteso che la motivazione addotta che “l’assoluzione con formula piena non esime l’amministrazione dal valutare eventuali aspetti collaterali” confligge apertamente con il vincolo discendente dal giudicato assolutorio perché il fatto non sussiste, o perché non costituisce reato, o perché l’imputato non lo ha commesso, ai sensi dell’art. 653 c.p.p..

Né può accedersi all’argomento, pure riportato nel provvedimento da ultimo menzionato, e riprodotto nella memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato, che la posizione disciplinare sarebbe stata esaminata “solo per l’atteggiamento men che corretto assunto nella circostanza e non per i reati contestati di insubordinazione aggravata con ingiuria e di disobbedienza aggravata”.

Ed infatti, per il principio di specificità della contestazione degli addebiti, i fatti materiali addebitati al dipendente devono essere individuati con sufficiente precisione, sì da consentire la difesa dello stesso.

Nel caso di specie, considerata la contestualizzazione temporale contenuta nell’impugnato provvedimento del 16 giugno 2011, che fa riferimento agli episodi del 14 novembre 2007 e del 27 marzo 2008, concernenti i medesimi fatti oggetto del giudizio penale conclusosi con il giudicato assolutorio più volte richiamato, e considerato, altresì, che l’iniziativa disciplinare è scaturita dalla sentenza penale di assoluzione del 2 febbraio 2010, come si evince dal tenore letterale degli atti in esame (vds. provvedimento, in data 15 settembre 2011, laddove si afferma che “la sanzione in questione è stata inflitta al termine del giudicato penale relativo ad una sentenza emessa nei confronti del graduato”) non si ravvisano elementi per i quali potrebbe ritenersi che la ridetta sanzione sia stata irrogata per fatti diversi da quelli già oggetto di accertamento in sede penale.

Pertanto, vertendosi in fattispecie di contestazione di addebito disciplinare per i medesimi fatti oggetto del giudizio penale, l’amministrazione era vincolata al giudicato penale di assoluzione perché il fatto non sussiste, il che evidenzia l’illegittimità degli atti impugnati con i quali l’efficacia del giudicato assolutorio è stata disattesa.

Peraltro, deve osservarsi che, laddove si fosse inteso sanzionare fatti diversi da quelli oggetto del giudizio penale all’esito del quale è intervenuto giudicato assolutorio, tali fatti non potrebbero ritenersi nè individuati con sufficiente precisione (atteso che non è dato evincere quali sarebbero gli eventuali fatti diversi), né tempestivamente contestati, di talchè sarebbe fondata la doglianza di eccesso di potere per violazione del principio di specificità e del principio di immediatezza della contestazione degli addebiti.

Ed infatti, per i fatti diversi da quelli oggetto di giudizio penale non opera la sospensione del procedimento disciplinare dal momento in cui viene esercitata l'azione penale, di cui all’art. 1393 del codice dell’ordinamento militare, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, in combinato disposto con l'art. 117, l. 10 gennaio 1957, n. 3.

Pertanto, considerata l’epoca dei fatti contestati, sia la contestazione degli addebiti, sia la sanzione irrogata, ove la si ritenga ancorata a fatti diversi, sarebbe in contrasto con il principio di immediatezza della contestazione disciplinare che costituisce corollario del principio di buona fede e correttezza nel rapporto lavorativo.

Per le suesposte ragioni, il ricorso dev’essere accolto, perché fondato, e, per l’effetto, devono essere annullati gli atti impugnati.

Le spese processuali possono essere compensate per ragioni equitative, salvo quanto disposto in sede cautelare.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;

compensa le spese del giudizio tra le parti costituite, salvo quanto disposto in sede cautelare.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Gianluca Morri, Presidente FF
Tommaso Capitanio, Consigliere
Francesca Aprile, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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ingiuria militare
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SENTENZA N. 215
ANNO 2017


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, promossi dalla Corte militare d’appello di Roma con ordinanze del 18 febbraio, dell’11 e del 26 aprile 2016, iscritte ai nn. 91, 102 e 117 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 21 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione di F. P., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 26 settembre e nella camera di consiglio del 27 settembre 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Valeria Bonfiglio per F. P. e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– La Corte militare d’appello di Roma, con tre distinte ordinanze di analogo tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, rispettivamente del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del 2016), dell’11 aprile 2016 (r.o. n. 102 del 2016) e del 26 aprile 2016 (r.o. n. 117 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 52 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze armate dello Stato, le quali, se poste invece in essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono più previste dalla legge come reato, per effetto del disposto di cui all’art. 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67).

1.1.– Nell’ordinanza del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del 2016), il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare in ordine all’appello presentato dall’imputato F. P., condannato in primo grado dal Tribunale militare di Roma alla pena di mesi tre di reclusione militare per il reato di ingiuria continuata e aggravata ai danni di un militare subordinato, commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare (ai sensi degli artt. 226 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace e dell’art. 81 del codice penale).

1.2.– Nell’ordinanza dell’11 aprile 2016 (r.o. n. 102 del 2016), il giudice a quo espone che l’imputato A. T. è stato condannato in primo grado per il reato di ingiuria pluriaggravata (ai sensi degli artt. 47, numeri 2 e 4, e 226 cod. pen. mil. pace) per aver rivolto una frase offensiva nei confronti di una caporal maggiore, mentre si trovavano entrambi all’interno della mensa unificata di una caserma di Milano. Riferisce il giudice a quo che essi condividevano lo stesso tavolo insieme ad altri militari; che durante la consumazione del pasto l’imputato aveva intrattenuto altri due militari presenti raccontando loro come aveva trascorso la serata precedente; e che, nel corso di tale racconto, egli aveva rivolto la frase offensiva nei confronti della caporal maggiore, fino a quel momento non coinvolta nella conversazione.

1.3.– Infine, la Corte militare d’appello, nell’ordinanza 26 aprile 2016 (r.o. n. 117 del 2016), riferisce di essere chiamata a decidere il ricorso in appello presentato da R. P., imputato di ingiuria aggravata (ai sensi degli artt. 226 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace) e minaccia aggravata (ai sensi degli artt. 229 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace).

In merito al primo capo d’imputazione, il rimettente ricorda che R. P., tenente colonnello, aveva rivolto una frase offensiva nei confronti di un maggiore in occasione di un acceso scambio di battute, mentre il primo si trovava nel cortile condominiale e la persona offesa era alla finestra del suo appartamento, e che la discussione tra i due sarebbe scaturita da questioni attinenti a rapporti di vicinato e di condivisione condominiale, sia pure relativa ad alloggi militari.

2.– In tutte le ordinanze, la Corte militare d’appello ricorda, anzitutto, che il d.lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato, tra gli altri, il reato di ingiuria previsto dall’art. 594 cod. pen. (art. 1); ha previsto che il medesimo fatto, se commesso dolosamente, costituisce un illecito civile, obbligando l’autore, oltre alle restituzioni e al risarcimento del danno, al pagamento di una sanzione pecuniaria civile (art. 4); e ha stabilito che tali disposizioni si applicano anche per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo (art. 12).

Nelle ordinanze è premesso che tale decreto legislativo non ha ricompreso tra le norme da «depenalizzare» anche il reato militare di ingiuria previsto e punito dall’art. 226 cod. pen. mil. pace, e che l’effetto abrogativo non potrebbe essere desunto in via interpretativa, atteso il carattere tassativo dei reati elencati nel decreto, il fatto che spetta al legislatore scegliere quali reati «depenalizzare» e, infine, la necessità di assicurare certezza giuridica in tale materia.

Con riferimento a tutti e tre i casi sottoposti al suo giudizio, il giudice a quo sottolinea poi che si tratta di vicende riconducibili a contesti esclusivamente personali e privati, del tutto esulanti dalla sfera del servizio e della disciplina militare (come, in particolare, è dimostrato – in tutti i procedimenti – dall’esclusione della configurabilità del reato di cui all’art. 196 cod. pen. mil. pace, che prevede il reato di ingiuria ad un inferiore).

In tutti e tre i casi sarebbe, dunque, applicabile l’art. 226 cod. pen. mil. pace, che – in seguito alla ricordata «depenalizzazione» – prevede ora il reato «esclusivamente militare» di ingiuria (secondo la definizione contenuta all’art. 37, secondo comma, cod. pen. mil. pace, in base al quale «[è] reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune»).

Ritiene il rimettente che la «depenalizzazione» del reato di ingiuria di cui all’art. 594 cod. pen. avrebbe determinato un’irragionevole dilatazione della nozione di reato militare, in quanto vi rientrerebbero anche fatti potenzialmente estranei alla tutela degli interessi militari (difettando, per il reato di ingiuria, una norma analoga all’art. 199 cod. pen. mil. pace, che esclude la configurabilità di alcuni reati, se commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare). L’intervento legislativo avrebbe, inoltre, determinato un’irragionevole diversità di trattamento tra militari imputati di ingiuria e soggetti non appartenenti alle Forze armate, in quanto ai primi si applicherebbe ancora la sanzione penale, mentre ai secondi quella civile.

A tale conclusione non osterebbe – secondo il rimettente – la sentenza n. 186 del 2001, nella quale la Corte costituzionale avrebbe sottolineato come la lamentata diversità di trattamento troverebbe giustificazione nella peculiare posizione del cittadino inserito nell’ordinamento militare, poiché in quella occasione – sempre nella lettura della Corte militare d’appello – tale affermazione avrebbe riguardato una diversa ipotesi, ossia l’impossibilità di subordinare ad un interesse privato il perseguimento di reati in cui è insita un’offesa alla disciplina e al servizio (ciò, in particolare, si desumerebbe dalle precisazioni contenute nella successiva sentenza della Corte costituzionale n. 273 del 2009).

In ogni caso, sottolineano le ordinanze di rimessione, mentre la questione di legittimità costituzionale decisa con la sentenza n. 186 del 2001 aveva ad oggetto due differenti modalità di promovimento dell’azione penale, quella ora all’esame della Corte costituzionale pone a raffronto due fattispecie, punite l’una con la sanzione penale e l’altra con quella civile.

È, inoltre, ancora menzionata la sentenza n. 273 del 2009, nella quale la Corte costituzionale avrebbe affermato che la diffamazione militare (punita all’art. 227 cod. pen. mil. pace) e quella comune (di cui all’art. 595 cod. pen.) si distinguono esclusivamente per la qualità del soggetto attivo e della persona offesa, che, per l’integrazione della prima fattispecie, devono essere entrambi militari. Ad analoghe conclusioni dovrebbe giungersi – secondo il giudice a quo – per il reato di ingiuria.

Ad avviso del rimettente un diverso esito risulterebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che avrebbe escluso che le esigenze della struttura militare possano essere considerate superiori agli altri beni costituzionalmente e ordinariamente tutelati (sono citate le sentenze n. 445 del 2002, n. 332 del 2000, n. 449 del 1999, n. 78 del 1989 e n. 278 del 1987).

Da ultimo, la Corte militare d’appello sottolinea come la formulazione dell’art. 226 cod. pen. mil. pace non consenta di individuare una connotazione di «militarità» della condotta che non sia la mera qualità di militari dei soggetti coinvolti: nessun altro elemento, cioè, consentirebbe al giudice militare di distinguere, nell’ambito della generale previsione contenuta nell’art. 226 cod. pen. mil. pace, un’ingiuria attinente a interessi riconducibili al servizio o alla disciplina militare, o in generale ad interessi militari, rispetto ad un’ingiuria che tale connotazione non abbia. D’altro canto, sarebbe la previsione stessa dell’art. 199 cod. pen. mil. pace, in tema di non attinenza al servizio e alla disciplina militare, ad implicare l’impossibilità di connotare il reato previsto dall’art. 226 cod. pen. mil. pace come reato esclusivamente militare.

Pur dovendosi riconoscere, aggiunge il rimettente, che almeno per una parte delle condotte sussumibili nella previsione di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace sia ravvisabile «una, anche lata, correlazione con gli interessi, l’attività e l’ordinato andamento delle Forze Armate», che può giustificare la scelta del legislatore di mantenere una tutela di carattere penale, il vizio di legittimità costituzionale lamentato sarebbe, invece, palese per le ipotesi in cui nessun profilo di differenziazione con la norma penale comune sia riscontrabile e, dunque, «limitatamente alle fattispecie non connotate da alcun interesse militare».

3.– Con atti di identico tenore, rispettivamente depositati il 31 maggio 2016, il 14 giugno 2016 e il 5 luglio 2016, è intervenuto in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Eccepisce preliminarmente la difesa statale, in relazione a tutti i giudizi, l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, per difetto di motivazione sulla rilevanza dovuta alla carente descrizione della fattispecie concreta, essendo solo genericamente richiamate, nel corpo del provvedimento, alcune delle modalità del fatto contestato.

Quanto al merito delle censure, l’Avvocatura generale dello Stato osserva, anzitutto, che la selezione dei reati da «depenalizzare» costituisce una scelta riservata alla discrezionalità del legislatore, sottratta al sindacato della Corte costituzionale, salvo il limite della ragionevolezza.

Nei casi sottoposti al giudizio della Corte costituzionale, non vi sarebbe comunque – ad avviso della difesa statale – alcuna lesione dei parametri costituzionali evocati.

Dopo aver ricostruito il contenuto degli artt. 196, 199 e 226 cod. pen. mil. pace e il rapporto tra tali disposizioni, l’Avvocatura generale dello Stato si sofferma, in particolare, sul significato del reato previsto dall’art. 196 cod. pen. mil. pace (minaccia o ingiuria a un inferiore). Essa afferma che, senza dubbio, è tale previsione a rispondere all’esigenza di tutelare l’irrinunciabile bene della disciplina militare, strettamente connaturata al rispetto del rapporto gerarchico intercorrente tra il soggetto appartenente ad un grado superiore e quello appartenente ad un grado inferiore (il quale implica l’osservanza, da parte del primo, dei doveri di comportamento inerenti alla sua funzione). Ma segnala come sia, tuttavia, possibile, «in sintonia con gli orientamenti della Consulta», enucleare «un concetto di disciplina militare più ampio, inclusivo certamente dell’aspetto gerarchico, ma sussistente anche in assenza di esso». Sarebbe proprio la disposizione censurata, l’art. 226 cod. pen. mil. pace, a completare, dunque, la tutela della disciplina militare, intesa quale coesa e ordinata convivenza nell’ambito del consorzio militare. La stessa Corte costituzionale avrebbe, del resto, individuato quali interessi connaturati al concetto di disciplina quelli di efficienza e coesione delle Forze armate (è citata la sentenza n. 298 del 1995).

Non sarebbe pertanto irragionevole la scelta del legislatore di mantenere una più intensa risposta punitiva per un identico fatto materiale che risulti commesso – sebbene per ragioni estranee al servizio – in un contesto, quello militare, ove l’ordinata convivenza è posta a fondamento dell’efficienza stessa delle Forze armate.

Osserva, quindi, l’Avvocatura generale dello Stato che – diversamente da quanto sostenuto nelle ordinanze di rimessione – non vi sarebbe alcuna «regressione della garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli cittadini militari di fronte alle esigenze della struttura militare», in quanto l’ordinamento militare non si presenta «come un aliud o contrario», bensì come un regime basato su deroghe puntuali rispetto al modello dell’amministrazione civile. La diversità di trattamento tra militari e altri cittadini non fonderebbe le proprie ragioni sulla tutela di beni superiori, ma di beni diversi.

Il differente regime sanzionatorio lamentato dal rimettente nelle ordinanze di rimessione troverebbe, dunque, la propria ragione d’essere nel fatto che l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016 e l’art. 226 cod. pen. mil. pace apprestano la loro tutela ad interessi solo apparentemente uguali.

4.– Nel giudizio relativo all’ordinanza di rimessione n. 91 del 2016, si è costituito innanzi alla Corte costituzionale, con atto depositato il 30 maggio 2016, F. P., parte del giudizio a quo, chiedendo che siano accolte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte militare d’appello e che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 1 del d.lgs. n. 7 del 2016, nella parte in cui non prevede l’abrogazione dell’art. 226 cod. pen. mil. pace.

Considerato in diritto

1.– Con tre ordinanze di analogo tenore la Corte militare d’appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 52 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze armate dello Stato.

È osservato nelle ordinanze di rimessione che tali condotte, se poste in essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono più previste dalla legge come reato, per effetto del disposto di cui all’art. 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67).

Tale decreto ha, infatti, abrogato il reato di ingiuria previsto dall’art. 594 del codice penale e ha previsto che il medesimo fatto, se commesso dolosamente, costituisce un illecito civile e che il responsabile è condannato, oltre alle restituzioni e al risarcimento del danno, al pagamento di una sanzione pecuniaria civile.

Ad avviso del rimettente, l’abrogazione dell’art. 594 cod. pen. avrebbe determinato un’irragionevole dilatazione del reato militare di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace, in quanto tale disposizione consente di punire penalmente anche fatti che – pur commessi da militari nei confronti di altri militari – si rivelano estranei alla tutela degli interessi riconducibili al servizio o alla disciplina militari. Ciò produrrebbe un’ingiustificata diversità di trattamento tra militari imputati di ingiuria e soggetti non appartenenti alle Forze armate, in quanto ai primi si applicherebbe ancora la sanzione penale, mentre ai secondi quella civile.

Oltre al contrasto con l’art. 3 Cost., è lamentata la lesione dell’art. 52 Cost., in quanto, punendo con la sanzione militare anche condotte tenute in un contesto personale e privato, le esigenze della struttura militare finirebbero per porsi in una posizione di superiorità rispetto ad altri beni costituzionalmente ed ordinariamente tutelati.

2.– I giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata con riferimento agli stessi parametri, sotto gli stessi profili e con le stesse argomentazioni. Ponendo, pertanto, identiche questioni, vanno riuniti e decisi con un’unica pronuncia.

3.– In tutti i giudizi l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, assumendo che le ordinanze di rimessione non avrebbero adeguatamente illustrato le fattispecie sottoposte a giudizio. Ciò determinerebbe un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, preclusivo dell’esame del merito.

Tale eccezione deve essere respinta.

Va, in primo luogo, considerato che i giudici di primo grado hanno già qualificato in sentenza i fatti come astrattamente riconducibili al reato militare di ingiuria previsto dall’art. 226 cod. pen. mil. pace e che i rimettenti – in qualità di giudici d’appello – espressamente affermano di condividere tale qualificazione.

Quanto alla circostanza che le affermazioni asseritamente ingiuriose risultino non collegate al servizio e alla disciplina militare, per il momento e il luogo in cui sono pronunciate, essa emerge (per i giudizi di cui alle ordinanze r.o. nn. 102 e 117 del 2016) da una (pur essenziale) descrizione dei fatti di causa, ricavabile da entrambi i provvedimenti ricordati.

Vero che parca di informazioni sulla fattispecie di cui è giudizio risulta l’ordinanza r.o. n. 91 del 2016. Ma dalla motivazione di quest’ultima si evince che la vicenda all’esame del giudice d’appello attiene a più episodi di ingiuria militare, contestati nella forma del reato continuato, e che i giudici di prime cure hanno ritenuto di inquadrarla nella fattispecie di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace, giacché, pur essendo l’imputato e la persona offesa militari rivestiti di grado diverso, la palese assenza di motivi attinenti al servizio e alla disciplina impediva di ipotizzare la distinta fattispecie di “ingiuria ad inferiore” ex art. 196 cod. pen. mil. pace. La circostanza che la stessa Corte d’appello affermi di condividere tale valutazione chiarisce come, anche nel giudizio di quest’ultima, le frasi offensive non presentino alcun collegamento con il servizio e la disciplina militare, così confermandosi l’applicabilità dell’art. 226 cod. pen. mil. pace e la rilevanza delle questioni sollevate.

4.– Reato «contro la persona» (così il Capo III del Titolo IV del codice penale militare di pace, nel quale è collocato), l’art. 226 punisce con la reclusione militare (fino a quattro mesi, ovvero fino a sei mesi se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato) il militare che offende l’onore o il decoro di altro militare presente, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato, in particolare (per quel che rileva nelle fattispecie dei giudizi a quibus) il reato di ingiuria a un inferiore (art. 196 cod. pen. mil. pace).

Per comune consenso, consolidato attraverso la costante giurisprudenza di legittimità, l’area di applicazione dell’art. 226 cod. pen. mil. pace riguarda, anzitutto, i casi nei quali l’ingiuria, scambiata tra militari di grado diverso, avvenga per cause e in circostanze estranee al servizio e alla disciplina militare, come definite dall’art. 199 cod. pen. mil. pace. Il limite negativo di applicazione delle fattispecie dei più gravi reati di insubordinazione con ingiuria (art. 189 cod. pen. mil. pace) e di ingiuria a un inferiore (art. 196 cod. pen. mil. pace) si ricava appunto dall’art. 199 cod. pen. mil. pace (nel testo novellato dall’art. 9 della legge 26 novembre 1985, n. 689, recante «Modifiche al codice penale militare di pace», quale risulta anche a seguito del parziale intervento ablativo di questa Corte, operato con sentenza n. 22 del 1991), il quale stabilisce (per la parte qui rilevante) che le norme relative (tra gli altri) ai reati di insubordinazione con ingiuria e di ingiuria ad un inferiore non si applicano quando alcuno dei fatti da esse previsti è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare e di un aeromobile militare.
In sostanza, i fatti di ingiuria commessi tra militari di grado diverso non integrano i reati di cui agli artt. 189 e 196 cod. pen. mil. pace allorché risultino collegati in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi al servizio e alla disciplina militare, ponendosi con questi in un rapporto di mera occasionalità. E, appunto, tali fatti, non essendo qualificabili come offensivi dello specifico interesse della disciplina militare, sono invece riconducibili al meno grave reato di ingiuria di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace, che è (innanzitutto) reato contro la persona.

L’art. 226 cod. pen. mil. pace copre anche, ovviamente, i fatti d’ingiuria commessi tra militari di pari grado, quando in nessun modo ricollegabili all’area degli interessi connessi al servizio e alla disciplina militare, ma – si osservi – è altresì applicabile a quelli, sempre commessi tra militari di pari grado, che del bene della disciplina militare risultino invece offensivi, perché collegati a cause non estranee al servizio e alla disciplina come indicate all’art. 199 cod. pen. mil. pace. Il che induce a sottolineare che il reato di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace, reato innanzitutto contro la persona, non è estraneo all’area degli interessi ricollegabili al bene della disciplina militare.

5.– Ciò premesso, le questioni non sono fondate, con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali evocati.

5.1.– Le ordinanze di rimessione, come si è detto, non chiedono la caducazione dell’intero art. 226 cod. pen. mil. pace. Sul presupposto, appena chiarito, che la disposizione censurata punisce l’ingiuria tra militari di grado diverso se non c’è attinenza tra fatti ingiuriosi e disciplina e servizio militare, esse domandano, invece, una pronuncia che ne dichiari l’illegittimità costituzionale nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio e alla disciplina militare, o comunque non afferenti ad interessi delle Forze armate. E non ci si può esimere dal rilevare, incidentalmente, che la manipolazione così suggerita risulterebbe di non poco momento, giacché obbligherebbe questa Corte a circoscrivere l’area di applicazione dell’art. 226 cod. pen. mil. pace attraverso formule uguali o analoghe a quella contenuta nell’art. 199 cod. pen. mil. pace, così scegliendo, tra quelle in astratto ipotizzabili, una delle molte soluzioni – nella disponibilità del legislatore – per selezionare interessi non più meritevoli di tutela penale.

In ogni caso, sottolineano i rimettenti che le condotte ingiuriose tuttora penalmente rilevanti per i militari, se poste in essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono più previste dalla legge come reato, per effetto dell’abrogazione dell’art. 594 cod. pen. (art. 1, lettera c, del d.lgs. n. 7 del 2016) e della sua sostituzione, con efficacia anche retroattiva (art. 12 del citato d.lgs.), con il nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile, esplicitamente applicabile anche a colui che offende l’onore o il decoro di una persona presente (art. 4 del medesimo d.lgs.).

La lesione all’art. 3 Cost., secondo le ordinanze di rimessione, consisterebbe perciò nell’irragionevole disparità di trattamento derivante dalla mancata estensione all’art. 226 cod. pen. mil. pace (nella parte appena precisata) della medesima sorte cui il legislatore ha scelto di sottoporre il “parallelo” reato di ingiuria di cui all’art. 594 cod. pen.

Quella all’art. 52 Cost. (considerando la giurisprudenza di questa Corte richiamata, si intuisce trattarsi del terzo comma di tale articolo, pur non esplicitamente citato né nelle motivazioni né nei dispositivi delle ordinanze) sarebbe dovuta alla prevalenza delle esigenze dell’ordinamento militare (che dovrebbe essere informato allo spirito democratico della Repubblica) insita in una previsione che stabilisce l’irrogazione della pena della reclusione militare anche a fronte di condotte tenute in contesti che con l’area degli interessi militari paiono privi di connessioni.

5.2.– Invero, e innanzitutto, la mancata ricomprensione dell’art. 226 cod. pen. mil. pace nell’ambito della abrogazione di reati che ha coinvolto l’art. 594 cod. pen. ad opera del d.lgs. n. 7 del 2016 rientra sicuramente tra le scelte che il legislatore può compiere discrezionalmente, incontrando il limite della manifesta irragionevolezza.

Questa Corte ha stabilito che spetta al Parlamento una funzione centrale tanto nella individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, quanto nella selezione delle materie da depenalizzare (ex multis, sentenze n. 127 del 2017, n. 5 del 2014, n. 364 del 2004; ordinanza n. 212 del 2004). Un tale principio risulta, a maggior ragione, applicabile anche al caso ora in esame, nel quale, in realtà, la scelta di politica criminale compiuta non ha determinato la trasformazione di illeciti penali in illeciti amministrativi, ma – per la prima volta, e con innovazione ben più radicale – ha trasferito determinate condotte dal campo del diritto penale, e delle relative sanzioni, a quello del diritto civile, attraverso la previsione di illeciti, i quali, se commessi con dolo, obbligano l’autore, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria civile, i cui proventi sono destinati al bilancio dello Stato secondo quanto previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 7 del 2016.

5.3.– È vero, come osservano i rimettenti, che a seguito della trasformazione dell’ingiuria “comune” da illecito penale a illecito civile, l’ingiuria “militare” ex art. 226 cod. pen. mil. pace è divenuto reato esclusivamente militare, ai sensi dell’art. 37 cod. pen. mil. pace. Non può essere, tuttavia, considerata irragionevole la scelta legislativa di mantenere nell’area del penalmente rilevante l’ingiuria tra militari, quand’anche i fatti ingiuriosi si rivelino privi di un nesso con la disciplina e il servizio militare, come definito dall’art. 199 cod. pen. mil. pace. Ciò sia perché, in termini generali, ogni eventuale disparità di trattamento tra militari e civili va ovviamente valutata alla luce della peculiare posizione del cittadino che entra (attualmente per propria scelta) nell’ordinamento militare, caratterizzato da specifiche regole ed esigenze (ordinanze n. 186 del 2001 e n. 562 del 2000), sia soprattutto perché, con riferimento particolare alla censura sollevata dai rimettenti, non risulta affatto irragionevole imporre al militare una più rigorosa osservanza di regole di comportamento, anche relative al comune senso civico, quali quella di non recare offesa all’onore o al decoro di altri soggetti inseriti nel medesimo ordinamento, continuando così ad assistere con sanzioni penali le eventuali infrazioni a tali regole.

È vero che le fattispecie di reato di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace e all’abrogato art. 594 cod. pen. si distinguono solo per la qualità del soggetto attivo e della persona offesa (oltre che per tipologia ed entità della sanzione), tuttavia – a differenza di altre fattispecie oggetto di scrutinio da parte di questa Corte (sentenze n. 286 del 2008, n. 272 del 1997, n. 448 del 1991, n. 4 del 1974) – è proprio la qualifica militare di entrambi i soggetti (colui che offende e colui che subisce l’offesa) a rilevare per l’individuazione dei beni giuridici protetti dall’art. 226 cod. pen. mil. pace. Continuare a punire penalmente l’ingiuria tra militari, pur per fatti ingiuriosi non riconducibili al servizio e alla disciplina militari, come definiti nell’art. 199 cod. pen. mil. pace, risponde infatti, oltre che all’esigenza di tutela delle persone in quanto tali, anche all’obiettivo di tutelare il rapporto di disciplina inteso come insieme di regole di comportamento, la cui osservanza è strumentale alla coesione delle Forze armate e, dunque, ad esigenze di funzionalità delle stesse.

Peraltro, come mostrano anche le fattispecie per cui è giudizio nei processi a quibus, la civile convivenza tra militari, soprattutto (ma non solo) nei luoghi militari, costituisce un presupposto essenziale per la ricordata coesione delle Forze armate. Considerazioni di fatto, ma non del tutto indifferenti ai fini dell’esito di questo giudizio di legittimità costituzionale, costringono inoltre a rilevare sia il permanere di episodi di “nonnismo”, pur dopo l’eliminazione della leva obbligatoria, sia l’insorgenza di ingiurie di natura sessista, a seguito dell’accesso delle donne al servizio militare.

Proprio da questo punto di vista, è importante osservare come i reati per i quali è stabilita la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi – fra i quali l’ingiuria di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace – sono puniti non a querela, bensì su richiesta del comandante di corpo, sulla base di quanto disposto dall’art. 260 dello stesso codice.

La ratio di tale disposizione, ha più volte osservato questa Corte, risiede nella opportunità di attribuire al comandante di corpo una facoltà di scelta tra l’adozione di provvedimenti di natura disciplinare e il ricorso all’ordinaria azione penale, sul presupposto che vi siano casi in cui, per la scarsa gravità del reato, l’esercizio incondizionato dell’azione penale può causare al decoro dell’istituzione militare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso (sentenze n. 449 del 1991, n. 114 del 1982, n. 189 del 1976, n. 42 del 1975; ordinanze n. 186 del 2001, n. 562 e n. 410 del 2000, n. 396 del 1996).
Si deve, ora, aggiungere che l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, determinando l’assorbimento delle vicende ingiuriose nella sfera civilistica e “privata” dei contendenti, avrebbe tra i suoi non trascurabili effetti anche quello di impedire al comandante di corpo di chiedere il procedimento penale, a tutela di una vittima (dell’ingiuria) inserita in un contesto caratterizzato da rapporti di natura gerarchica. Un accoglimento, si osservi, che potrebbe persino provocare l’effetto di privare il suddetto comandante dell’opportunità di avere contezza dei fatti accaduti, presupposto per avviare almeno la (in quell’ipotesi residua) azione disciplinare.

5.4.– Quanto alla censura relativa all’asserita violazione dell’art. 52 Cost. (e in particolare del suo terzo comma, come s’è detto), è sufficiente osservare che il mantenimento dell’ingiuria tra militari nell’area del penalmente rilevante, pur quando commessa per cause estranee al servizio o alla disciplina militare, trova ragionevole fondamento nelle, appena ricordate, basilari esigenze di coesione dei corpi militari. Sotto questo profilo, tale soluzione non trasmoda in un contrasto con lo spirito democratico cui va uniformato l’ordinamento delle Forze armate (sentenza n. 45 del 1992 e ordinanza n. 322 del 2013).

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 52 della Costituzione, dalla Corte militare d’appello di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2017.

F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2017.
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da risp

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tardività dell’azione disciplinare.

Ricorso straordinario al PdR Accolto
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Il CdS con il presente Parere precisa:

1) - Questo Consiglio ritiene di dover evidenziare che tutte le amministrazioni pubbliche godono del potere di autotutela attraverso il cui esercizio possono (e debbono) essere eliminati i provvedimenti ritenuti illegittimi, senza attendere la pronuncia dell’organo giurisdizionale o amministrativo adito dall’interessato.

- ) - In tal modo si perviene a una più rapida definizione dei rapporti controversi migliorando l’efficienza dell’azione amministrativa.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201702495 - Public 2017-12-01 -

Numero 02495/2017 e data 29/11/2017 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 22 novembre 2017


NUMERO AFFARE 00877/2014

OGGETTO:
Ministero della difesa, Direzione generale personale militare.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da OMISSIS, avverso sanzione disciplinare di corpo del rimprovero.

LA SEZIONE
Vista la relazione n. 0021929 del 28/01/2013 con la quale il Ministero della difesa, Direzione generale del personale militare ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Andrea Pannone;


Il ricorrente impugna:

- la sanzione disciplinare di corpo del “rimprovero”, compendiata nella seguente motivazione: «Mar. “A” s. UPS effettivo a Nucleo Investigativo di Reparto Operativo, accedendo attraverso credenziali di altro militare nel sistema delle intercettazioni, inerenti indagine condotta da altro reparto dell’Arma, esaminava indebitamente trascrizioni di conversazioni telefoniche, di una delle persone offese, risultata essere sua nipote. Evidenziando poi minore spirito di Corpo, si proponeva invano al Pubblico Ministero per promuovere ulteriori modalità di investigazioni, che assumeva non essere state sino ad allora intraprese, provocando il disappunto dell’organo giudiziario e pregiudizi al prestigio dell’Istituzione» (mancanza commessa nel grado di Mar. “A” s. UPS, accertata in data 21.02.2011), irrogata dal Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale di OMISSIS, con lett. n. 181/26-2010 di prot. del 19.05.2011 e notificata il 24.05.2011;

- il rigetto del ricorso gerarchico, proposto dallo scrivente avverso la predetta sanzione disciplinare di corpo, ai sensi dell’art. 1363 del Codice dell’ordinamento militare, di cui al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, adottato con determinazione del Comandante Provinciale dei Carabinieri di OMISSIS con atto n. 181/32/2010 di prot. del 12 settembre 2011, notificato il 13.09.2011.

Il Ministero della difesa riconosce la fondatezza del ricorso in ragione della fondatezza del motivo che censurava la tardività dell’azione disciplinare.

Il ricorso deve pertanto essere accolto.

Questo Consiglio ritiene di dover evidenziare che tutte le amministrazioni pubbliche godono del potere di autotutela attraverso il cui esercizio possono (e debbono) essere eliminati i provvedimenti ritenuti illegittimi, senza attendere la pronuncia dell’organo giurisdizionale o amministrativo adito dall’interessato.

In tal modo si perviene a una più rapida definizione dei rapporti controversi migliorando l’efficienza dell’azione amministrativa.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Andrea Pannone Gabriele Carlotti




IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
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Re: Sanzioni disc. a carico di un milit. e procedure da rispetta

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Ricorso in Appello Accolto ma sono cose che succedono
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1) - In contestazione è l’esatta ricostruzione dei fatti, avvenuti durante il turno di servizio nella città di Messina, in data 19.01.2009, sottesi alla questione in discussione, dei quali sono stati fornite due versioni contrastanti dai componenti la pattuglia, l’Appuntato A. G. in servizio nella stazione di OMISSIS, e il Carabiniere Davide C. in servizio nella stazione di OMISSIS.

2) - “Da dove è uscita fuori questa befana, dall’uovo do Pasqua?”,

3) - “relazione scritta”

Cmq. leggete il tutto qui sotto.

N.B.: il Giudice alla fine conclude con: "Condanna le appellate amministrazioni, in solido tra loro, al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 2000,00 ( duemila), oltre accessori come per legge."

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SENTENZA ,sede di CGARS_GIURISDIZIONALE ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201800580,
- Public 2018-10-29 -


Pubblicato il 29/10/2018


N. 00580/2018 REG. PROV. COLL.
N. 01102/2015 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1102 del 2015, proposto da:
Davide C., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Paccione, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanna Condorelli in Palermo, via Torricelli, n.3;

contro
Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi, n. 81;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. Sicilia – Catania, sez. III, n. 00839/2015, concernente lavoro - irrogazione sanzione disciplinare


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e del Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2018 il Cons. Maria Immordino e uditi per le parti gli avvocati Luigi Paccione e l'avv. dello Stato Mario De Mauro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante considera ingiusta la sentenza n. 839/2015, con la quale l’adito Tar Catania ha rigettato il ricorso per l’annullamento:

- della sanzione disciplinare del “rimprovero”, irrogata con provvedimento n. 85/2009, notificato in data 2/03/2009;

- del provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico del 20 marzo 2009 diretto al Comandante provinciale dei Carabinieri di Messina avverso la suddetta sanzione disciplinare.

2. Secondo l’adito Tar il procedimento disciplinare a carico del ricorrente risulta immune dai vizi denunciati, essendosi svolto nei tempi, con le modalità, e con le garanzie prescritte a tutela dell’interessato dall'art. 59 del Regolamento di Disciplina Militare. Senza, pertanto, la lamentata violazione del diritto di difesa del ricorrente, le cui giustificazioni prodotte dallo stesso, si ritiene siano state valutate contestualmente agli elementi contestati.

3. L’appello è fondato.

3.1. In contestazione è l’esatta ricostruzione dei fatti, avvenuti durante il turno di servizio nella città di Messina, in data 19.01.2009, sottesi alla questione in discussione, dei quali sono stati fornite due versioni contrastanti dai componenti la pattuglia, l’Appuntato A. G. in servizio nella stazione di OMISSIS, e il Carabiniere Davide C. in servizio nella stazione di OMISSIS.

Nella versione dell’appellante, durante il turno di servizio, i due militari bloccavano la marcia di un'autovettura, con alla guida un giovane, poi identificato in T.. Antonino, che, dopo essere partita sgommando, procedeva a velocità elevata in pieno centro abitato. Il conducente della detta autovettura, con la cintura di sicurezza non allacciata, risultava altresì privo del certificato di assicurazione e del certificato di circolazione. Al momento delle contestazioni si avvicinava una signora che ai militari rivolgeva la seguente frase “ «che ...state facendo sono io la nipote del brigadiere del carabiniere M..». A questo punto il capopattuglia, appuntato G.., senza procedere all’identificazione della suddetta signora, elevava contravvenzione al conducente per la sola dimenticanza del certificato di circolazione. Nella relazione del capopattuglia G.. si legge, invece, che il suddetto Carabiniere, odierno appellante, avrebbe pronunciato, la seguente frase: “Da dove è uscita fuori questa befana, dall’uovo do Pasqua?”, suscitando lo sdegno della destinataria della frase e del conducente dell’autovettura fermata durante il servizio. Secondo la relazione altri cittadini avrebbero assistito alla scena.

4. Con l’appello in epigrafe il ricorrente contesta la sentenza del giudice di prime cure, deducendo, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 59 del Regolamento di disciplina militare; l’insussistenza dei fatti contestati; la tardività della contestazione degli addebiti e l’inesistenza giuridica della relazione stessa.

4.1. Le censure sono fondate e con esse l’appello che le veicola.

Come risulta dagli atti, il Capopattuglia, il giorno successivo, riferiva tale episodio al proprio Comandante, Mar. Ca. C. Giuseppe, il quale, a sua volta, informava immediatamente Masups A.. G.. Comandante della Stazione di OMISSIS, presso cui presta servizio il Car. C... Tuttavia, soltanto in data 10.02.2009, ossia 22 giorni successivi ai fatti in contestazione, verificatesi in data19.01.2009, il Capopattuglia G.. redigeva una “relazione scritta”, sulla cui base prendeva avvio il procedimento disciplinare a carico dell’odierno appellante per pretesa violazione degli artt. 10 c.2, 14, 36 c.1, 2, 3 e 37 del Regolamento di Disciplina Militare. Con conseguente contestazione degli addebiti all’attuale ricorrente in data 10.2.2009, con atto notificato in data 11.02.2009, il quale ha prodotto le proprie giustificazioni il 20.02.2009, contestando integralmente gli addebiti mossigli e negando di aver mai profferito la frase che gli veniva attribuita, ricostruendo i fatti del 19.01.2009 nella loro effettiva dinamica. Esaminate le suddette giustificazioni, ritenute ininfluenti, è stata emanata la sanzione del “rimprovero”, notificata all’interessato il 2 marzo 2009.

4.2. Il Tar addito ha disatteso la doglianza sull’inesistenza/nullità della relazione del Capopattuglia per mancata sottoscrizione. Invero, tale doglianza va disattesa, in quanto tale atto non può qualificarsi come una vera e propria relazione, avendo la consistenza di una semplice denuncia, considerato che una relazione sui fatti avvenuti nella serata del 19.01.2009, avrebbe dovuto essere redatta da entrambi i componenti la pattuglia di servizio, i quali in quel momento rivestivano entrambi la qualifica di pubblici ufficiali, che avrebbero dovuto, in tale qualità, sottoscriverla.

4.3. Quanto alla doglianza sulla violazione dell’art. 59 del Regolamento di disciplina militare, se è vero che, secondo una parte della giurisprudenza, per l'avvio del procedimento disciplinare non grava sull'Amministrazione militare un termine perentorio per l'atto di contestazione degli addebiti, è altrettanto vero che a norma dell’art. 59 citato il procedimento deve essere instaurato senza ritardo.

Orbene, nel caso in oggetto, la “relazione” di servizio è stata redatta unilateralmente dal solo capopattuglia 22 giorni dopo che si erano verificati i fatti contestati, e 21 giorni dopo l’esposizione degli stessi al diretto superiore gerarchico. Il che determina la violazione della regola della “ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti”. Né vale come giustificazione del mancato tempestivo avvio del procedimento disciplinare la necessaria ponderazione del comportamento del militare, considerato che non si è proceduto né alla identificazione della signora che si era qualificata “come nipote del brigadiere del carabiniere M..”, interferendo così sul regolare procedimento di contestazione delle riscontrate infrazioni da parte del conducente dell’autovettura fermata nel corso di un controllo stradale; né risulta, non esistendo al riguardo un apposito verbale, che siano stati identificati ed ascoltati i testimoni presenti all’accaduto, come sarebbe stato opportuno in presenza di due versioni contrastanti fornite dai due militari sui fatti avvenuti in occasione di un controllo sul territorio nella sera del 19.01.2009. Il che non consente di richiamare, per supportare il provvedimento disciplinare, dichiarazioni non verbalizzate di cittadini non identificati, con palese violazione del principio di completezza dell’istruttoria.

4.4. La sentenza impugnata ha inoltre omesso di considerare la smentita da parte del Mar. A.. di un passaggio della “relazione” del Capopattuglia nella quale si afferma che il Comandante della Stazione di OMISSIS, su richiesta dello stesso, aveva informato immediatamente il Mar. A.., chiedendogli anche di evitare per il futuro che i due militari svolgessero insieme eventuali servizi sul territorio. Orbene tale passaggio è stato sconfessato dal suindicato Mar. A.., il quale ha dichiarato che è stato messo a conoscenza dei fatti accaduti la sera del 19.01.2009, soltanto nel successivo mese di febbraio.

Sulla base delle suesposte considerazioni l’appello va accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado.

Condanna le appellate amministrazioni, in solido tra loro, al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 2000,00 ( duemila), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente FF
Silvia La Guardia, Consigliere
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Giuseppe Barone, Consigliere
Maria Immordino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maria Immordino Giulio Castriota Scanderbeg





IL SEGRETARIO
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