Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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perdita del grado per rimozione all’esito di procedimento disciplinare.

Ricorso Accolto sul rispetto dei termini.
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21/03/2014 201400299 Sentenza 1


N. 00299/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00513/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 513 del 2013, proposto da:
OMISSIS;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata in Bologna, via Guido Reni 4;

per l'annullamento
- del provvedimento prot. …. del 2 aprile 2013.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2013 il dott. Alberto Pasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

A carico dell’impugnato D.M. 2.4.13 del Ministero della Difesa, Direzione generale per il personale militare, recante perdita del grado per rimozione all’esito di procedimento disciplinare, il ricorrente deduce anzitutto, con il primo motivo, la decadenza del potere sanzionatorio per inosservanza del termine di 60 giorni decorrenti dalla conclusione degli accertamenti preliminari, stabilito dall’art. 1392 del Codice dell’ordinamento militare per la contestazione degli addebiti.

Secondo l’amministrazione resistente l’intervallo temporale tra l’acquisizione in data 1.6.12 dell’ultimo referto di laboratorio di sanità pubblica dal quale il ricorrente risultava recidivo (fatto poi contestato nella sede disciplinare), e la contestazione in data 16.10.12, risulta interrotto dalla proposta (9 agosto 2012 del Comandante di Corpo) di apertura dell’inchiesta formale, con effetto interruttivo del termine decadenziale per l’esercizio del potere.

In realtà, la invocata (dalla P.A.) giurisprudenza del Consiglio di Stato si riferisce alla efficacia interruttiva degli atti infraprocedimentali rispetto al termine di 90 giorni dall’ultimo atto compiuto (art. 120 D.P.R. 3/57, ed ora art. 1392, comma 4, del Codice dell’ordinamento militare ex D.Lgs. 15.3.10 n. 66), e niente affatto ai termini perentori per la attivazione e la conclusione del procedimento, stabiliti nell’interesse dell’incolpato a non essere esposto “sine die” al potere disciplinare secondo l’arbitrio dell’amministrazione.

E’ assolutamente necessario e fisiologico a tutti i procedimenti disciplinari che la contestazione sia preceduta da una decisione in tal senso (nella fattispecie la proposta 9.8.12 del Comando di Corpo), e ciò nonostante l’art. 1392, comma 2, del Codice citato fissa in 60 giorni il termine per la contestazione facendolo decorrere dalla conclusione degli accertamenti preliminari, benché tra la prima e la seconda necessariamente e inderogabilmente debba inserirsi una manifestazione volitiva, intesa a dare rilevanza disciplinare all’accertamento, manifestazione che pertanto non interrompe un termine che altrimenti sarebbe dalla legge “inutiliter dato”.

Comunque, la contestazione del 16.10.12 sarebbe tardiva anche rispetto alla proposta del 9.8.12 ove da tale data ricominciasse a decorrere il termine di 60 giorni, per poi scadere il giorno 8.10.12.

Né la proposta potrebbe mai essere considerata atto ricettizio con effetto decorrente dalla sua comunicazione, non essendo essa destinata all’interessato bensì ad altro ufficio dell’amministrazione di sua appartenenza.

Quanto alla conclusione del procedimento, in mancanza di un termine finale stabilito dalla norma di settore (l’art. 1392 del Codice dell’ordinamento militare), se non relativamente alle azioni disciplinari conseguenti al giudizio penale (da concludersi a norma del terzo comma entro 270 gg. dalla acquisizione della sentenza), occorre fare riferimento al termine generale ex art. 120 del T.U. 3/57 (90 giorni per la contestazione + 180 giorni per la conclusione = 270 giorni complessivi), anche questo superato essendo intervenuta la sanzione il 2 aprile 2013, cioè oltre 270 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari in data 25 maggio 2012 (data dell’ultimo …) o al più 1 giugno 2012 (data di sua acquisizione).

Tale soluzione interpretativa peraltro è del tutto coerente con il terzo comma dell’art. 1392 citato, che, per il caso di azione conseguente al giudizio penale, pure fissa in 270 giorni il termine di conclusione decorrente dalla conoscenza integrale della sentenza, conformandosi al principio generale che fa decorrere il termine, in questo come negli altri casi, dalla integrale conoscenza dei fatti rilevanti.

Conclusivamente, è fondato il primo motivo, per cui il ricorso va accolto, con assorbimento delle censure non esaminate.

Spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna l’amministrazione alla rifusione delle spese, che liquida in € 2.000 (euro duemila), oltre IVA e CPA, in favore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Carlo D'Alessandro, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere, Estensore
Italo Caso, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/03/2014


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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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Anche se la sentenza e del 24/05/2013 potrebbe sicuramente interessare a qualcuno, poiché non ricordo se l'ho già postata (N.B.: sto revisionando il mio cassetto).
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Preciso che il Consiglio di Stato ha accolto l'appello del collega.

1) - La sanzione disciplinare era stata irrogata ai sensi degli artt. 861, primo comma, lett. d) e 865 del d. lgs. n. 66/2010, a decorrere dal 6 novembre 2006.

2) - La sentenza impugnata, in particolare, afferma che, ai fini della individuazione del termine iniziale del procedimento disciplinare, rileva la data nella quale il Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale, ha ricevuto piena ed integrale conoscenza della sentenza emessa dal giudice penale (/nel caso di specie, Sez. VI della Cassazione penale), “a nulla rilevando la anteriore data . . . nella quale la suddetta sentenza è stata acquisita dal Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione”.

IL C.D.S. scrive:

3) - L’appello deve essere accolto, con riferimento al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.

4) - Quanto sin qui esposto – che costituisce un principio generale di individuazione del termine iniziale del procedimento amministrativo – appare ancor più cogente nei cassi di procedimenti volti a concludersi con la possibile irrogazione di sanzioni (quale è il procedimento disciplinare), dove alle esigenze di buon andamento dell’attività amministrativa e di correttezza dei rapporti pubblica amministrazione/privato, si aggiunge il valore, costituzionalmente garantito, del diritto di difesa.

5) - Nel caso di specie, occorre dunque ritenere che il termine iniziaòe per l’esercizio dell’azione disciplinare, che, ai sensi dell’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010, coincide con la data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, più specificamente si identifica – in assenza di diversa disposizione di legge – con la data in cui un ufficio dell’amministrazione medesima (a ciò deputato) ha ricevuto cognizione dell’atto, essendo questo così pervenuto nella sfera di disponibilità della stessa.

6) - A tali fini, occorre affermare che l’apprensione di copia della sentenza penale relativa ad un militare dell’Arma dei Carabinieri, da parte del Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione, individua il termine iniziale ai fini del computo dei termini del procedimento disciplinare.

7) - Da ciò consegue che, individuando il termine iniziale del procedimento nel 10 dicembre 2010, risulta superato il termine perentorio di 270 giorni, di cui all’art. 1392, comma 3, d. lgs. n. 66/2010.

Il resto leggetelo qui sotto.
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24/05/2013 201302827 Sentenza 4


N. 02827/2013REG.PROV.COLL.
N. 04340/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4340 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio eletto presso Angelo Fiore Tartaglia in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;

contro
Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri; rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 03953/2012, resa tra le parti, concernente IRROGAZIONE DELLA SANZIONE DISCIPLINARE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE PER MOTIVI DISCIPLINARI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Angelo Fiore Tartaglia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con l’appello in esame, il sig. OMISSIS, appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, impugna la sentenza 3 maggio 2012 n. 3953, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I –bis, ha rigettato il suo ricorso proposto avverso il provvedimento con il quale li è stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

La sanzione disciplinare era stata irrogata ai sensi degli artt. 861, primo comma, lett. d) e 865 del d. lgs. n. 66/2010, a decorrere dal 6 novembre 2006.

La sentenza impugnata, in particolare, afferma che, ai fini della individuazione del termine iniziale del procedimento disciplinare, rileva la data nella quale il Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale, ha ricevuto piena ed integrale conoscenza della sentenza emessa dal giudice penale (/nel caso di specie, Sez. VI della Cassazione penale), “a nulla rilevando la anteriore data . . . nella quale la suddetta sentenza è stata acquisita dal Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione”.

Ne consegue, nel caso di specie, che assume rilievo la data del 21 dicembre 2010 (data di ricezione della sentenza da parte della Legione …. dell’Arma dei Carabinieri) e non quella del 10 dicembre 2010 (acquisizione della medesima sentenza da parte del Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione), di modo che “il provvedimento finale adottato il 14 settembre 2011 è intervenuto entro il termine di 270 giorni, ossia entro il termine nel quale il suddetto procedimento disciplinare deve essere concluso”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) erroneità ed illogicità della sentenza quanto alla decorrenza dei termini di perenzione dell’azione disciplinare; omessa valutazione e motivazione su un punto di diritto prospettato nel ricorso in I grado, riferito alla violazione del termine di perenzione endoprocedimentale; violazione artt. 1392, commi 1, 3, 4 d. lgs. n. 66/2010; perenzione dell’azione disciplinare; eccesso di potere per errore sul presupposto, incongruità, illogicità, irragionevolezza; ciò in quanto la sentenza “ha erroneamente ritenuto che il termine di avvio dell’azione disciplinare non decorra dalla data in cui l’amministrazione ha acquisito copia integrale della sentenza definitiva bensì dalla diversa data in cui tale sentenza è stata trasmessa dall’ufficio competente ad avviare l’azione disciplinare”. Inoltre, è stato violato il termine di 90 giorni fra il compimento dei singoli atti del procedimento disciplinare;

b) erroneità dell’impugnata sentenza; omessa valutazione della proposta questione di legittimità costituzionale; violazione art. 1389 d. lgs. n. 66/2010, in violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, irragionevolezza, manifesta ingiustizia, sviamento;

c) eccesso di potere per difetto di istruttoria; omessa autonoma valutazione dei fatti; illegittimità e/o eccesso di potere per violazione art. 3 l. n. 241/1990; carenza e/o insufficienza ed apoditticità della motivazione; eccesso di potere, irragionevolezzza, sproporzione; violazione del principio di gradualità delle sanzioni; violazione del divieto di destituzione di diritto; omessa valutazione motivazione in ordine a tale motivo di diritto da parte dell’impugnata sentenza; ciò in quanto non è “in alcun modo evincibile dal testo del provvedimento impugnato, al di là delle stereotipate ed insufficienti clausole di stile, le ragioni per le quali si è ritenuto di dover adottare nei confronti del militare in questione la massima sanzione di stato”.

All’udienza in Camera di Consiglio, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti dio cui all’art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO

DIRITTO

L’appello deve essere accolto, con riferimento al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.

L’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), prevede che “il procedimento disciplinare di stato, a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione” (comma 1). Il successivo comma 3 prevede che “il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”.

La sentenza appellata ha, in sostanza, “identificato” l’amministrazione di appartenenza del militare sottoposto a procedimento disciplinare con il “Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale, ai fini dell’eventuale procedimento disciplinare”. In tal modo, per “amministrazione” si è inteso l’organo della medesima competente all’esercizio di determinati poteri (nel caso di specie, disciplinari).

Il Collegio non può condividere tale soluzione interpretativa.

Ed infatti, allorchè una norma di legge indica una amministrazione pubblica (senza ulteriori specificazioni), quale titolare di poteri o diritti, ovvero quale soggetto obbligato o comunque tenuto a particolari comportamenti nei confronti di altri soggetti, intende riferirsi all’amministrazione indicata come soggetto (organismo/organizzazione) nel suo complesso.

A tali fini, quindi, una cosa è l’amministrazione quale soggetto complessivamente individuato; altra cosa è l’organo dell’amministrazione che – nell’ambito di questa e nel rispetto del principio di legalità – è competente all’esercizio di determinati poteri o tenuto a determinati comportamenti.

A maggior ragione, nel caso in cui una norma intende individuare il dies a quo per l’eventuale esercizio di poteri o per l’adempimento di obbligazioni da parte dell’amministrazione,. dalla intervenuta conoscenza di determinati atti o fatti da parte di quest’ultima, tale termine iniziale si identifica con il momento in cui l’atto è pervenuto nella sfera di disponibilità (o il fatto nella sfera di conoscenza) dell’amministrazione complessivamente intesa.

E’ del tutto evidente – a titolo di esempio – che una volta assunta a protocollo o comunque pervenuta nella sfera di disponibilità dell’amministrazione una istanza dell’interessato, ogni eventuale termine normativamente previsto decorre da tale dies a quo, a nulla rilevando la diversa data in cui l’istanza perviene all’ufficio competente per l’istruttoria, ovvero quella in cui l’atto perviene all’organo competente per lì’adozione del provvedimento finale.

Diversamente opinando, per un verso si cadrebbe in una evidente incertezza in ordine alla identificazione del termine iniziale; per altro verso, si rimetterebbe alla medesima amministrazione, in dipendenza dei comportamenti da essa in concreto tenuti (afferenti alla trasmissione dell’atto all’ufficio o organo competenti), la definizione di tale termine, in tal modo ponendo nel nulla l’esigenza di generale temporalizzazione dei procedimenti amministrativi, espressa dall’art. 2 l. n. 241/1990.

Quanto sin qui esposto – che costituisce un principio generale di individuazione del termine iniziale del procedimento amministrativo – appare ancor più cogente nei cassi di procedimenti volti a concludersi con la possibile irrogazione di sanzioni (quale è il procedimento disciplinare), dove alle esigenze di buon andamento dell’attività amministrativa e di correttezza dei rapporti pubblica amministrazione/privato, si aggiunge il valore, costituzionalmente garantito, del diritto di difesa.

Nel caso di specie, occorre dunque ritenere che il termine iniziaòe per l’esercizio dell’azione disciplinare, che, ai sensi dell’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010, coincide con la data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, più specificamente si identifica – in assenza di diversa disposizione di legge – con la data in cui un ufficio dell’amministrazione medesima (a ciò deputato) ha ricevuto cognizione dell’atto, essendo questo così pervenuto nella sfera di disponibilità della stessa.

A tali fini, occorre affermare che l’apprensione di copia della sentenza penale relativa ad un militare dell’Arma dei Carabinieri, da parte del Nucleo Carabinieri presso la Corte di Cassazione, individua il termine iniziale ai fini del computo dei termini del procedimento disciplinare.

Da ciò consegue che, individuando il termine iniziale del procedimento nel 10 dicembre 2010, risulta superato il termine perentorio di 270 giorni, di cui all’art. 1392, comma 3, d. lgs. n. 66/2010.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto in relazione al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con assorbimento di ogni ulteriore motivo. Ne consegue la riforma della sentenza impugnata, con conseguente accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed annullamento del provvedimento impugnato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Preziosi Antonio (n. 4340/2012 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed annulla il provvedimento con il medesimo impugnato.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 24/05/2013
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Art. 1389 Decisione del Ministro della difesa

1. Il Ministro della difesa:

a) può discostarsi, per ragioni umanitarie, dal giudizio della commissione di disciplina a favore del militare;

b) omissis.
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Il Consiglio di Stato

06/03/2012 201200931 Ordinaria 4

respinge l’appello cautelare del Ministero della Difesa

scrivendo:

- considerato che nella fattispecie sussistono profili che, ad un sommario esame proprio della fase cautelare, inducono alla previsione di un esito favorevole del ricorso di primo grado, considerato il condivisibile riferimento, operato dall’ordinanza gravata, alla possibilità offerta dall’art. 1389 del decreto n. 66/2010;

- rilevata inoltre la evidente carenza di un pregiudizio grave ed irreparabile per l’Amministrazione nelle limitate more che precedono la decisione nel merito del ricorso di primo grado;

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IL TAR scrive:

1) - In vista dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria, evidenziando la reiezione, da parte del Consiglio di Stato (con ordinanza n. 931/2012 della Sezione IV), dell’appello proposto nei confronti dell’ordinanza n. 175/2011 cit. ed insistendo per l’accoglimento del ricorso.

2) - Il ricorso è fondato per le medesime ragioni già illustrate (sotto il profilo del fumus boni juris) in sede cautelare, dalle quali il Collegio, pur al più approfondito esame proprio della fase di merito del giudizio, non ravvisa elementi per discostarsi.

3) - In particolare, risulta fondata la censura di omessa valutazione, da parte dell’Amministrazione, dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 1389, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 66/2010. Infatti, detta disposizione prevede che il Ministro della Difesa può discostarsi per ragioni umanitarie dal giudizio della Commissione di disciplina, in senso favorevole al militare. Nella fattispecie in esame, peraltro, nel corso del procedimento disciplinare il difensore del ricorrente ha esplicitamente richiesto (pur se in subordine) all’Autorità procedente la possibilità di valutare, ai sensi dell’art. 1389 del d.lgs. n. 66 cit., di discostarsi in senso più favorevole all’incolpato dal giudizio della Commissione di disciplina qualora – come poi in effetti è avvenuto – quest’ultima avesse giudicato il maresciallo Salerno non meritevole di conservare il grado (cfr. il verbale del 16 giugno 2011, all. 4 al ricorso). La richiesta è rimasta, tuttavia, senza riscontro ed anzi di essa il decreto impugnato non fa menzione (neppure allo scopo di confutarla), limitandosi – con formula invero stereotipata – a valutare come ininfluenti le memorie difensive dell’inquisito, in quanto contenenti tesi prive di riscontri oggettivi e non in grado di apportare elementi utili a discolpa. Donde la fondatezza della doglianza in esame.

N.B.: altre censire non sono state accolte dal Tar.

In definitiva, il ricorso è fondato nei termini che si sono visti e deve essere accolto. Per l’effetto, devono essere annullati gli atti con esso impugnati (il decreto irrogativo della sanzione disciplinare ed il giudizio della Commissione di disciplina a cui esso si è uniformato).
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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Non ho parole nel leggere questi fatti .
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1) - artt. 81, 110, 314 e 61, n. 1, c.p., per essersi, in concorso con il sostituto commissario OMISSIS, quale sostituto commissario della OMISSIS, appropriato dell’accesso Internet del Ministero dell’Interno, di cui aveva la disponibilità per ragioni d’ufficio, per collegarsi alla casella di posta elettronica ed ivi leggere e-mail ricevute e trasmettere e-mail, per ragioni private;

2) - Infine il ricorrente è stato condannato per aver utilizzato l’accesso Internet del Ministero dell’Interno, di cui aveva la disponibilità per ragioni d’ufficio, per collegarsi alla casella di posta elettronica ed ivi leggere e-mail ricevute e trasmettere e-mail, per ragioni private, condotta sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 314 c.p..
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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Tar 19/06/2014
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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M.D. circolare n° M_D GMIL1 II 5 1 0451154 datata 11 dicembre 2012

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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione.

STUPEFACENTI (appello al CdS da parte dell'interessato - Accolto -) 08/08/2014 n. 4232

1) - La sanzione era stata irrogata, in quanto in data 13 marzo 2010, in esito ad una perquisizione presso l’appartamento condotto in affitto dall’odierno appellante – in servizio presso la caserma -OMISSIS-–, disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano, erano state rinvenute e sottoposte a sequestro sette piante di marijuana coltivate in una serra (con semi acquistati attraverso un sito internet), oltre a sei semi di dette piante, diversi cataloghi illustrativi per la coltivazione ed altro materiale.

2) - In sede penale, la vicenda è stata definita con sentenza del 3 febbraio 2011 del G.U.P. del Tribunale di Bolzano, di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., divenuta irrevocabile il 22 marzo 2011, con la quale il ricorrente è stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 1.500,00 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per il reato previsto e punito dall’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per la condotta di coltivazione non autorizzata delle piante in questione (previa qualificazione del reato come fatto di lieve entità ai sensi del comma 5 del citato art. 73, e previo riconoscimento delle attenuanti generiche).

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

3) - Orbene, applicando le evidenziate coordinate di diritto alla fattispecie concreta sub iudice, deve pervenirsi alla conclusione che l’Amministrazione, nell’adozione dell’impugnato provvedimento, sia incorsa nel dedotto vizio di eccesso di potere (sotto i profili devoluti in appello con i motivi in esame), in quanto:
- la condotta contestata in sede penale all’odierno appellante era, specificamente, individuata dall’attività di coltivazione di sette piante di marijuana, mentre nel relativo capo d’imputazione non v’è menzione di un’«attività delittuosa propedeutica al traffico di stupefacenti», messa in rilievo nel provvedimento disciplinare, ma minimamente rimasta accertata in concreto (così come su un piano meramente astratto si muove l’affermazione, secondo cui dalle piante in questione potevano essere ricavate, dopo l’essicazione, 302 grammi di sostanza stupefacente, pari a 448 dosi singole medie, non risultando all’incolpato contestata – né, tanto meno, accertata – una condotta di produzione di sostanza stupefacente attraverso l’eventuale lavorazione delle piante coltivate, tant’è che l’incolpato non è stato trovato in possesso di strumenti utili al confezionamento e allo spaccio);

OMISSIS per il resto

4) - Per le esposte ragioni, in accoglimento dell’appello ed in riforma dell’appellata sentenza, s’impone l’annullamento dell’impugnato provvedimento, nei sensi di cui in motivazione, con salvezza di ogni eventuale provvedimento disciplinare di tipo non espulsivo, in ipotesi da adottare entro i termini di legge, decorrenti dal passaggio in giudicato della presente sentenza, e con ogni conseguenza di legge sul piano reintegratorio.

5) - Nulla è dato statuire, allo stato, sulle conseguenze retributive e risarcitorie, concretamente e definitivamente determinabili solo in esito alla riedizione del potere disciplinare.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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sentenza Tar Palermo del 31/10/2014, poiché è stata disposta la “perdita del grado per rimozione” con la messa a disposizione del Distretto militare competente come semplice soldato.
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Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.

Quanto al primo motivo, osserva al contrario il Collegio che ai sensi dell’art. 9, c. 2, l. 19/90 il procedimento disciplinare è stato avviato (in data 27/9/1999) nel rispetto del termine di 180 giorni dal momento in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di patteggiamento (30/4/1999).

D’altra parte, con riferimento alla conclusione del procedimento, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, in caso di sentenza c.d. di patteggiamento pronunciata prima della novella introdotta dalla l. n. 97/2001, si applica la disciplina generale di cui all’art. 120 del d.p.r. n. 3/1957 che impone il rispetto del solo termine di fase di 90 gg
- (v. art. 120 cit. a norma del quale il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto)
- (cfr. ex plurimis Corte Costituzionale sentenza n. 197 del 28 maggio 1999; Cons. St., Adunanze Plenarie, nn. 4 e 6 del 25 gennaio 2000; Cons. St., Adunanza Plenaria, n. 10 del 27 marzo 2006; Cons. St., sez, IV, 12 marzo 2007, n. 1213; Cons. St., sez. VI, 30 ottobre 2006, n. 6448; Cons. St., sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5210; Cons. St., sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3619; Cons. St., sez. V, 20 gennaio 2003, n. 175).

Le ragioni di tale orientamento guardano, segnatamente, alla natura della sentenza di patteggiamento che, ai fini disciplinari, potrebbe richiedere un’attività istruttoria più approfondita con autonomi accertamenti.

Nel caso di specie l’Amministrazione ha ritenuto legittimamente (arg. ex Cons. St., sez. V, 7 novembre 2006, n. 6550) di sospendere il procedimento proprio al fine di acquisire contezza dell’esito del procedimento penale a carico di un collega del ricorrente che aveva concorso all’illecito; il procedimento disciplinare è stato quindi riavviato in data 14/12/2004, non appena conclusosi quel procedimento penale, e si è definito in data 16/3/2005.

Quanto al secondo motivo, osserva preliminarmente il Collegio che anche se in sede disciplinare la sentenza penale di patteggiamento non può essere assunta a presupposto unico dell'applicazione del provvedimento sanzionatorio, tuttavia è legittimo il richiamo agli atti del procedimento penale in tal modo definito, per ritenere accertati fatti che siano stati espressamente ammessi o che risultino, comunque, addebitabili all'incolpato (v. Cons. St., sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 477).

Nel caso di specie, ad una attenta lettura dell’ampio processo verbale della Commissione di disciplina del 23/2/2005, richiamato nel provvedimento impugnato, si evince che la responsabilità disciplinare del ricorrente è stata desunta non solo dalla sentenza di patteggiamento, ma anche dalle dichiarazioni autoaccusatorie di un collega successivamente condannato in sede dibattimentale, avverso il quale il ricorrente non ha (stranamente) mosso alcuna azione legale, dalle dichiarazioni testimoniali di privati coinvolti nella vicenda, nonché dalla circostanza che il ricorrente non ha fornito alcuna giustificazione in grado di ridimensionare gli addebiti a suo carico.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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DESTITUZIONE

Il Ministero dell'Interno perde l'Appello, poiché non sono stati rispettati i termini del procedimento.
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1) - è impugnata la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna, ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato, assistente della Polizia di Stato, avverso il decreto del Capo della Polizia, emesso in data 3 novembre 2006, che ha disposto la sua destituzione dal servizio ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737/1981.

2) - In particolare, il Giudice di prime cure ha ritenuto meritevole di accoglimento la censura di violazione dei termini di perenzione del procedimento disciplinare.

IL CdS chiarisce:

3) - È invero destituito di fondamento il motivo, con cui si critica la sentenza di primo grado per aver accolto la censura concernente la violazione dei termini di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare, di cui all’art. 9 della legge n. 19 del 1990.

4) - Difatti, la sentenza appellata ha correttamente affermato che “assumendo il 13 dicembre 2005 (data indicata dall’Amministrazione stessa negli atti del procedimento) come dies a quo per la decorrenza del termine cumulativo (180 + 190 = 270 giorni) per la conclusione del procedimento, di cui all’art.9 della legge n.19/90, risulta già palese la sua violazione, in quanto la proposta del Consiglio di disciplina è stata formulata il 10 ottobre 2006, e il provvedimento di destituzione del Capo della Polizia data 3 novembre 2006”

5) Peraltro, le evidenti anomalie procedimentali, come risultanti dagli atti di causa, che hanno determinato la violazione del termine per la conclusione del procedimento e dunque in concreto la non punibilità del comportamento del dipendente, inducono il Collegio a disporre la trasmissione degli atti del giudizio al Ministro dell’Interno, ai fini della valutazione, da parte dello stesso, circa la sussistenza di eventuali responsabilità nelle modalità di conduzione e svolgimento del procedimento in questione.

Consiglio di leggere il contesto per comprendere i motivi.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201405910 2014-11-28


N. 05910/2014REG.PROV.COLL.
N. 09175/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9175 del 2008, proposto da:
Ministero dell’Interno,
in persona del Ministro p.t.,
ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro
-OMISSIS-,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti P. C. e C. M. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. P. M. M., in Roma, via delle Milizie, 38,

per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA - SEZIONE I n. 01577/2008, resa tra le parti.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Vista la memoria prodotta dall’appellante a sostegno delle sue domande;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla pubblica udienza del 30 ottobre 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Agnese Soldani dello Stato per l’appellante e l’avv. C. M. per l’appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. - Con l’atto di appello all’esame è impugnata la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna, ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato, assistente della Polizia di Stato, avverso il decreto del Capo della Polizia, emesso in data 3 novembre 2006, che ha disposto la sua destituzione dal servizio ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 4, del D.P.R. n. 737/1981.

In particolare, il Giudice di prime cure ha ritenuto meritevole di accoglimento la censura di violazione dei termini di perenzione del procedimento disciplinare.

Con unico, articolato, motivo, il Ministero dell’Interno sostiene la non condivisibilità dell’assunto del T.A.R., soffermandosi poi sui profili di ricorso non esaminati in primo grado.

Si è costituito in giudizio, per resistere, l’appellato, che ritiene esente dalle censure svolte la motivazione della sentenza impugnata e comunque ripropone le ulteriori doglianze svolte col ricorso originario, rimaste assorbite dall’accoglimento del primo motivo.

Con memoria in data 24 settembre 2014 l’appellante ha svolto ulteriori considerazioni a sostegno delle sue tesi.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 30 ottobre 2014.

2. - L’appello va respinto.

È invero destituito di fondamento il motivo, con cui si critica la sentenza di primo grado per aver accolto la censura concernente la violazione dei termini di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare, di cui all’art. 9 della legge n. 19 del 1990.

Difatti, la sentenza appellata ha correttamente affermato che “assumendo il 13 dicembre 2005 (data indicata dall’Amministrazione stessa negli atti del procedimento) come dies a quo per la decorrenza del termine cumulativo (180 + 190 = 270 giorni) per la conclusione del procedimento, di cui all’art.9 della legge n.19/90, risulta già palese la sua violazione, in quanto la proposta del Consiglio di disciplina è stata formulata il 10 ottobre 2006, e il provvedimento di destituzione del Capo della Polizia data 3 novembre 2006” ( pag. 2 ).

A fronte di tale assunto, da un lato vanno ritenute non pertinenti le osservazioni dell’appellante circa la avvenuta osservanza, da parte dell’Amministrazione, del termine per l’avvio del procedimento, dal momento che il T.A.R. ha ravvisato, come s’è visto, la violazione del solo termine fissato per la conclusione del procedimento; dall’altro, una volta che non è contestata in fatto la intervenuta adozione del provvedimento oggetto del giudizio ben oltre il duecentosettantesimo giorno dal dies a quo ( 13 dicembre 2005 ) dalla stessa Amministrazione indicato come momento di ricezione di copia della sentenza adottata ex art. 444 c.p.p. divenuta irrevocabile ( fermo che il termine di novanta giorni previsto dalla indicata norma per la conclusione del procedimento inizia a decorrere non già dalla data dell’effettuato avvio del procedimento stesso, ma dalla scadenza del termine di centottanta giorni, previsto dal comma 2 dell’art. 9, cit., entro il quale, avuta conoscenza della sentenza penale di condanna – deve avere inizio – o proseguire – il procedimento medesimo; v. Cons. St., IV, 9 gennaio 2013, n. 80 ), ritiene il Collegio di convenire col T.A.R. sulla tassatività e non derogabilità del citato termine finale, nemmeno nell’ipotesi, ricorrente nella fattispecie, di procedimento disciplinare promosso a seguito di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ( c.d. patteggiamento ), stanti l’efficacia di giudicato che tale sentenza ha nel giudizio di responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici (com’è noto, a’ sensi del combinato disposto dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. e dell'art. 653, comma 1-bis, dello stesso codice, come rispettivamente introdotti dall'art. 1, comma 1, lett. a) e c), della legge 17 marzo 2001, n. 97 ed anche in dipendenza della sostituzione poi operata dall'art. 2 della legge 12 giugno 2003, n. 134, la sentenza emessa a’ sensi dell'art. 444 c.p.p., espressamente equiparata a tal fine a quella irrevocabile di condanna, assume ora efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso) ed i conseguenti limiti che ne derivano, in tale ultimo giudizio, ad una istruttoria probatoria, che vada al di là dell’accertamento contenuto nella sentenza penale.

Ciò sta a significare la generale perentorietà del veduto termine di conclusione del procedimento, in virtù del principio di carattere generale, secondo cui l'Amministrazione è tenuta ad esercitare il proprio potere punitivo in un arco di tempo tale da non compromettere il corrispondente diritto dell'inquisito di vedere definita la propria posizione in un termine ragionevole, pena l'illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato (C.d.S., Sez. V, 9 marzo 2010, n. 1374).

Tanto vale a maggior ragione quando in concreto, come accade nel caso all’esame, l’Amministrazione stessa non abbia ritenuto opportuno lo svolgimento di una particolare attività istruttoria nel corso della procedura per l’irrogazione della destituzione di cui si tratta, come ben si evince dalla relazione del Funzionario Istruttore dell’Istruttoria disciplinare versata in atti, che ha sottolineato l’insussistenza della necessità di procedere “ad accertamenti, verifiche e dibattiti” sui fatti oggetto del giudizio disciplinare, “senza ulteriore onere da parte del Funzionario Istruttore di rinnovare gli accertamenti effettuati in sede penale”; sì che atti istruttorii limitati, come risulta da detta relazione, alla visione del fascicolo del processo penale ed all’acquisizione di alcune pronunce giurisdizionali richiamate dall’incolpato a sostegno delle sue difese, non possono in alcun modo giustificare, come pretende l’Amministrazione appellante, una deroga al sopra affermato principio di perentorietà del termine ed alla ratio che lo pervade.

Del resto, una volta superate, come s’è visto, in via legislativa (con l'anzidetta equiparazione della sentenza resa ex art. 444 e ss. c.p.p. alla sentenza definitiva di condanna agli effetti dei giudizi disciplinari, introdotta dall'art. 1 della legge n. 97 del 2001), le ragioni poste a base dell’affermazione della non perentorietà del termine per l’ultimazione del procedimento disciplinare promosso a seguito di sentenze di patteggiamento (fondate sul fatto che, antecedentemente alle vedute modifiche apportate all’art. 653 c.p.p., comma 1-bis, le sentenze stesse non costituivano accertamento di responsabilità a fini disciplinari e quindi potevano determinare la necessità di ulteriori indagini), nessun elemento normativo induce a dare rilievo al tempo in concreto necessario all’Amministrazione per l’istruttoria disciplinare ( v. Cass. civ., sez. lav., 3 marzo 2014, n. 4917 ).

3. - Alla luce di quanto sopra illustrato, il ricorso va pertanto respinto.

Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

Peraltro, le evidenti anomalie procedimentali, come risultanti dagli atti di causa, che hanno determinato la violazione del termine per la conclusione del procedimento e dunque in concreto la non punibilità del comportamento del dipendente, inducono il Collegio a disporre la trasmissione degli atti del giudizio al Ministro dell’Interno, ai fini della valutazione, da parte dello stesso, circa la sussistenza di eventuali responsabilità nelle modalità di conduzione e svolgimento del procedimento in questione.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti del giudizio alla persona del Ministro dell’Interno ai fini di cui in motivazione ( punto 3. ).
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellato, manda altresì alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Così deciso in Roma, addì 30 ottobre 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/11/2014
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perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari (CC.).

STUPEFACENTI

Tar Puglia di Bari, respinge il ricorso.
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1) - sanzione della perdita del grado per rimozione, per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 861, comma primo, lett. d) e art. 865 del D.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.

2) - In sostanza, secondo la difesa del ricorrente, da un lato, la sanzione impugnata sarebbe basata su di una presunzione erronea ed infondata, non potendo dirsi provato l’utilizzo di sostanze stupefacenti: né in maniera continuativa (gli accertamenti tossicologici successivi sarebbero risultati negativi) né in via solo occasionale o isolata, ritenendosi che l’unico episodio di positività registrato in data 21 agosto 2012 “può essere ben riferito ad alcuni medicinali che lo stesso assumeva all’epoca”.

3) - La prefata circostanza, tra l’altro, ha indotto il sospetto nell’Amministrazione che il -OMISSIS- facesse abuso di sostanze stupefacenti, sicché questi è stato più volte invitato a sottoporsi ad analisi tossicologiche, ma invano, in ragione dei reiterati rifiuti addotti tuttavia senza particolari giustificazioni al riguardo.

4) - Lo stesso, inoltre, veniva più volte sottoposto a visita medica e giudicato temporaneamente “non idoneo” perché affetto da stato ansioso reattivo con sospetto abuso di sostanze stupefacenti, senza che tale ultima circostanza potesse essere smentita, in ragione dell’impossibilità di svolgere per mesi ulteriori verifiche a causa dell’atteggiamento per nulla collaborativo dello stesso ricorrente.

5) - I rilievi addotti dal -OMISSIS- nel corso del procedimento disciplinare per sconfessare la predetta circostanza sono stati giudicati inconferenti dall’Amministrazione (cfr. pag. 4 della relazione finale del 17 dicembre 2012, cit., ove si precisa che “l’eventuale applicazione della pomata oftalmica prescritta al militare non interferisce con le analisi di cui trattasi”), con valutazione non oggetto di contestazione.

6) - Inoltre, non risulta comunque fornita alcuna prova contraria nel corso dell’odierno giudizio (l’esame del capello prodotto dalla difesa del ricorrente è stato effettuato circa tre mesi dopo - in data 28 dicembre 2012- e viepiù su un campione inattendibile in quanto di lunghezza inferiore a 3 cm).

7) - Del resto il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell'Amministrazione nella valutazione sotto il profilo disciplinare dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti, ma può soltanto verificare che detta valutazione sia sorretta da adeguata motivazione e basata su fatti manifestamente gravi, ragionevolmente considerati incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7964).

8) - Inoltre, come provato da una nutrita letteratura medica, l’assunzione di sostanze stupefacenti genera una sensibile alterazione dell'equilibrio psichico, inficia certamente l'esemplarità della condotta, si pone in contrasto con i doveri attinenti allo status di agente di p.g. e di p.s detenuto, influisce negativamente sulla formazione professionale e lede il prestigio dell'Istituzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 novembre 2005, n. 6686).

9) - Come ha più volte affermato il Consiglio di Stato, la perdita del grado è infatti “sanzione unica ed indivisibile”, non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all’Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 20 giugno 2012, n. 1722).
panorama
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Il Ministero dell'Interno perde l'Appello per i motivi che potete leggere direttamente qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201700949
– Public 2017-03-01 -


Pubblicato il 01/03/2017


N. 00949/2017REG.PROV.COLL.
N. 08851/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8851 del 2015, proposto dal Ministero dell'Interno, Dipartimento P.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
Il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Formica, con domicilio eletto presso lo studio Marco Gregoris in Roma, p.zza di Villa Carpegna, 43;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 05922/2015, resa tra le parti, concernente l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Marco La Greca e l'avvocato Pietro A. Siciliano, su delega dell’avvocato Domenico Formica;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con decreto del Capo della Polizia di Stato in data 22 settembre 2014, in esisto a procedimento disciplinare collegato ad una condanna per concussione, l’odierno appellato, già assistente capo, è stato destituito con decorrenza dal 31 gennaio 2005, ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 4, del d.P.R. n. 737/1981.

2. Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (I-ter, n. 5922/2015), ha accolto il ricorso proposto avverso la destituzione, ritenendo fondate (soltanto) le censure di violazione del termine a difesa.

3. Il TAR ha sottolineato che la notificazione al dipendente in data 19 agosto 2014 della convocazione per la riunione del Consiglio di disciplina del 29 agosto successivo (con cui è stata comunicata all’inquisito la facoltà di “prendere visione degli atti o chiederne copia entro dieci giorni dalla presente comunicazione, farsi assistere dal difensore…, comunicando il nominativo entro tre giorni dalla data di notifica”) ha comportato la violazione del termine di dieci giorni, incomprimibile, previsto dall’art. 20 del d.P.R. 737/1981 e dalla stessa Amministrazione assegnato al dipendente per svolgere compiutamente la proprie difese.

4. Appella il Ministero, prospettando che:

- il Consiglio di disciplina si è determinato a procedere in assenza dell’incolpato alla luce della circostanza che egli non ha avanzato richiesta di accesso agli atti, non ha partecipato alla trattazione orale del 29 agosto 2014, non ha presentato alcuna giustificazione, non ha nominato un difensore, adottando quindi lo stesso comportamento omissivo tenuto nel primo procedimento disciplinare (il cui esito era stato annullato in autotutela con decreto del 18 aprile 2014);

- la previsione dell’art. 20 del d.P.R. 737/1981, posta a garanzia del diritto di difesa dell’incolpato, rileva ove egli abbia un interesse effettivo, non quando per propria scelta abbia abdicato completamente, sin dall’inizio del procedimento, ad esercitare difese in contraddittorio (cfr. Cons. Stato, III, n. 9/2012; I, n. 1532/2015 – parere su affare n. 248/2015).

5. L’appellato ha controdedotto, anche riproponendo, mediante appello incidentale, i motivi di censura ritenuti infondati dal TAR (incentrati sulla violazione: dell’art. 120 del t.u. 3/1957, per superamento del termine di 90 giorni fra un atto e l’altro della procedure; dell’obbligo di astensione del presidente e di un componente, in quanto si erano già pronunciati nel precedente procedimento; dell’art. 4, prot. n. 8, della CEDU, a causa dell’illegittima duplicazione di procedimenti penale disciplinare per i medesimi accadimenti; del principio di proporzionalità della sanzione ai fatti contestati ed alla personalità del reo).

6. L’appello principale è infondato e deve pertanto essere respinto.

6.1. L’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 4/2000, con riferimento ai termini del procedimento disciplinare previsti dal t.u. 3/1957, ha affermato che “Sono inderogabili, in quanto posti a garanzia dell'inquisito, i termini previsti per la presentazione delle giustificazioni (venti giorni, prorogabili di quindici giorni: art. 105); per la presa di visione degli atti (venti giorni: art. 111, comma II); per il preavviso della trattazione davanti alla commissione (venti giorni prima della seduta che va fissata dopo la scadenza del termine precedente: art. 111, comma IV)”.

6.2. Tale principio è riferibile a tutte le fattispecie procedimentali caratterizzate da fasi organizzative analoghe.

Del resto, lo stesso principio è stato implicitamente ribadito, con riferimento alle disposizioni del d.P.R. 737/1981, dalla stessa Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 10/2006, allorchè ha affermato che hanno carattere ordinatorio i termini fissati per la nomina del funzionario istruttore, per il compimento degli incombenti preliminari e per la trasmissione della delibera della Commissione di Disciplina, per la conclusione dell'inchiesta disciplinare, nonché quello, previsto dall'art. 21, per la comunicazione all'inquisito del provvedimento finale, precisando, riguardo a quest’ultimo termine, che “ha carattere ordinatorio, non incidendo, a procedimento oramai concluso, con le esigenze di garanzia connesse al diritto di difesa dell'interessato.”.

6.3. In altri termini, va ribadito che all’interno del procedimento disciplinare propriamente detto (che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termine con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato) vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito - e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione (riguardo ad esso, cfr. in tal senso anche Cons. Stato, IV, n. 5796/2004) - da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono i termini restanti.

6.4. I precedenti invocati dall’Amministrazione appellante non conducono a diversa conclusione.
Infatti, nel parere della I Sezione (n. 1532/2015 – r.s. affare n. 248/2015), non è rinvenibile alcuna specifica motivazione sulla questione del rispetto del termine di cui all’art. 20, nonostante fosse oggetto di censura (e per questo è stata proposto ricorso per revocazione, ex art. 395, n. 4, c.p.c.).

Nel caso deciso da questa Sezione (cfr. Cons. Stato, III, n. 9/2012), nonostante la fissazione della seduta in violazione del termine, l’incolpato “aveva chiesto ed ottenuto la visione e la copia degli atti … dopo solo tre giorni”, sicchè “aveva avuto la possibilità di predisporre le sue difese. In effetti ha partecipato alla discussione con l’intervento di un difensore, e non risulta che in quella occasione abbia chiesto un ulteriore termine a difesa o fatto altre contestazioni”.

Nel caso oggi in esame, viceversa, l’appellato sostiene di non aver partecipato al primo procedimento a causa dell’illegittima composizione del Consiglio Provinciale di disciplina, e che pertanto il suo comportamento pertanto non era riconducibile a disinteresse, ma “intendeva richiamare l’attenzione su di un organo illegittimamente formato e, come tale, privo di legittimazione” (come dimostrato dall’annullamento in autotutela del provvedimento sanzionatorio); e di non aver partecipato al secondo, “essendo evidente l’illegittimità del procedimento per il mancato rispetto del termine a difesa” … “con il comportamento concludente, ha voluto rimarcare la nullità che inficiava il procedimento e, non partecipando, non ha voluto sanare la stessa”.

Tale comportamento rientrava nelle facoltà dell’incolpato, rilevando comunque le esigenze di rispettare la garanzia formale sottesa ai termini del procedimento in questione.

6.5. Il Collegio ritiene infine di precisare che, trattandosi del riscontro di un vizio procedimentale, in esito all’annullamento del decreto di destituzione resta potenzialmente applicabile (salva la rilevanza di atti o comportamenti sopravvenuti) dall’Amministrazione l’art. 119 del d.P.R. 3/1957.

Ad avviso del Collegio, infatti, la decorrenza del termine di decadenza, ivi previsto ai fini della riattivazione del procedimento a partire dal primo degli atti annullati, presuppone la formazione del giudicato amministrativo, come si desume dall’epigrafe della disposizione “Rapporto tra procedimento disciplinare e giudicato amministrativo”.

7. Occorre pertanto esaminare l’appello incidentale, con cui vengono dedotte censure astrattamente idonee a determinare un effetto satisfattivo maggiore (cioè preclusivo della rinnovazione del procedimento disciplinare).

Riguardo a dette censure, il Collegio condivide le conclusioni della sentenza di primo grado, e pertanto anche l’appello incidentale deve essere respinto.

7.1. E’ utile anzitutto ricordare che, mediante decreto del Capo della Polizia in data 18 aprile 2014, era stata disposto l’annullamento degli atti del Collegio di disciplina, a partire dal verbale della prima riunione in data 19 marzo 2014, in ragione dell’illegittima composizione dell’organo, e disposta la rinnovazione del procedimento a partire dalla richiesta di designazione dei componenti sindacali.

L’appellante incidentale ripropone la censura di violazione dell’art. 120 del t.u. 3/1957, per superamento del termine di 90 giorni fra un atto e l’altro della procedura, in quanto gli atti che interrompono il termine per la perenzione sono solo quelli tipici, facenti parte del procedimento disciplinare, mentre tra il decreto di annullamento e l’atto di convocazione del consiglio di disciplina (31 luglio 2014) sono intercorsi 104 giorni, periodo durante il quale è stato adottato solo un atto interno.

Con memoria finale, egli sostiene poi che, a seguito dell’autotutela, il termine di 90 è nuovamente decorso dall’adozione del primo atto non annullato, vale a dire dall’11 marzo 2014 (rimessione degli atti al presidente del Consiglio di disciplina da parte del Questore di OMISSIS), e quindi entro il 9 giugno 2014 non è stato compiuto alcun atto con conseguente perenzione del procedimento.

7.2. Il Collegio rileva in contrario che, come sottolineato dal TAR, nei 90 giorni in realtà l’Amministrazione, oltra ad aver notificato il decreto di annullamento all’interessato, soprattutto, ha richiesto (in data 17 luglio 2014) alle Organizzazioni sindacali di designare un membro del Consiglio; tale atto deve considerarsi necessario alla riattivazione del procedimento disciplinare, e quindi tutt’altro che dilatorio o atipico (mentre la distinzione tra atti interni ed esterni, non rileva, in coerenza con la giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale il termine perentorio s’interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocamente desumersi la volontà dell’Amministrazione di portare a conclusione il procedimento – cfr. Cons. Stato, IV, n. 4257/2012, n. 1993/2012 e n. 2643/2011).

La prospettazione finale dell’appello incidentale, poi, costituisce in sostanza una censura nuova, e come tale inammissibile, in quanto, seppur con riferimento al medesimo parametro normativo, si basa su presupposti di fatto diversi.

In ogni caso, anch’essa è infondata, non sembrando dubbio che l’esercizio del potere di autotutela debba considerarsi manifestazione della potestà disciplinare ed evidenzi la volontà di riattivare il procedimento, una volta emendato dall’illegittimità riscontrata, e pertanto debba essere considerato anche idoneo a determinare una nuova decorrenza del termine di perenzione.

7.3. Viene anche riproposta la censura sulla violazione dell’obbligo di astensione del presidente e di un componente del Consiglio di disciplina, i quali si erano già pronunciati nel precedente procedimento.

Oltre a ribadire che l’obbligo di astensione discende dall’art. 97 Cost. e dall’art. 6 del d.m. 28 novembre 2000, l’appellante incidentale sottolinea che tale obbligo è affermato dalla giurisprudenza nei confronti di chi abbia manifestato il suo parere sull’oggetto del provvedimento al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni procedimentali.

7.4. Il Collegio rileva in contrario che, come sottolineato dal TAR, i predetti componenti non erano implicati nel motivo di illegittimità eliminato mediante l’autotutela e nulla vietava che, a seguito della riattivazione del procedimento, fossero ancora presenti nell’organo collegiale, posto che la ragione suindicata non rientra tra quelle per le quali l’ordinamento prevede l’obbligo di astensione, non sussistendo alcun impedimento derivante dall’inimicizia personale, ovvero dall’essersi pronunciati al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, né ravvisandosi altrimenti gravi ragioni di convenienza (previste dal Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al d.m. succitato), tali da impedire la partecipazione dei suddetti due componenti del Consiglio alla decisione disciplinare concernente l’attuale ricorrente.

7.5. L’appellante incidentale ripropone anche la censura di violazione dell’art. 4, prot. n. 8 CEDU, a causa dell’illegittima duplicazione di procedimenti, penale e disciplinare, essendosi irrogata per i medesimi accadimenti dopo la condanna penale una sanzione altrettanto grave.

7.6. Il Collegio osserva al riguardo che il motivo di appello si esaurisce in sostanza nell’asserzione suddetta, e non sottopone a critica la decisione motivata del TAR, risultando pertanto inammissibile.
In ogni caso, il medesimo motivo è anche infondato, in quanto nulla impedisce che un soggetto venga sottoposto, per gli stessi fatti, sia ad un procedimento penale, sia ad uno disciplinare, atteso che, come ha sottolineato il TAR, i due rimedi sono contemplati dall’ordinamento a difesa di distinte sfere di interesse pubblico, e le due sanzioni irrogate sono evidentemente eterogenee e soddisfano in concreto interessi pubblici distinti, anche se complementari.

7.7. Infine, l’appellante incidentale ripropone il motivo di difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti e violazione del principio di proporzionalità della sanzione, alla luce dei fatti contestati ed alla personalità del sanzionato, che assume non esaminato dal TAR.

Egli sottolinea al riguardo le seguenti circostanze: la somma percepita nei due episodi per i quali è stato condannato per concussione è di modica entità; aveva avuto fino ad allora un comportamento in servizio che non ha mai creato pregiudizio per l’Amministrazione; ha chiesto la revisione del processo, dichiarandosi non colpevole; sono trascorsi dieci anni dai fatti e medio tempore è stato collocato a riposo per inidoneità fisica.

7.8. Il Collegio osserva al riguardo che gli elementi evidenziati nel decreto di destituzione annullato, e comunque desumibili dagli atti di causa, non confortano la tesi dell’appellante incidentale.

In particolare, il decreto sottolinea puntualmente la condotta dell’appellato reiterata negli anni e la sua condanna definitiva a seguito della pronuncia di inammissibilità del ricorso in Cassazione in data 21 gennaio 2014, mentre il tempo trascorso appare dovuto al contenzioso sviluppatosi nelle diverse sedi giurisdizionali, e nessuna rilevanza possono assumere le altre vicende del suo rapporto di impiego.

8. Per le ragioni che precedono, l’appello principale e quello incidentale vanno respinti, con conferma della sentenza gravata di annullamento dell’atto impugnato in primo grado.

Le spese del grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del motivo dell’accoglimento disposto in primo grado, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8851 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge, con conferma della sentenza impugnata e con salvezza degli ulteriori provvedimenti, ai sensi dell’art. 119 del d.P.R. 3/1957.

Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Pierfrancesco Ungari Luigi Maruotti





IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

Messaggio da avt8 »

E pur vero che ha annullato la destituzione con il rigetto di appello del Ministero.ma il c.d.s.ha fatto salvo di rifare il procedimento disciplinare.che sicuramente fara con una nuova destituzione
panorama
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

Messaggio da panorama »

infatti si legge:

e con salvezza degli ulteriori provvedimenti, ai sensi dell’art. 119 del d.P.R. 3/1957.
panorama
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

Messaggio da panorama »

Il ricorrente perde anche l'appello al CdS
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1) - carabiniere in servizio permanente, il giorno 1 maggio 2009 veniva sottoposto a fermo di P.G. a seguito del rinvenimento, nelle sue immediate vicinanze, di un ovulo di sostanza stupefacente di tipo cocaina.

Il CdS precisa altresì:

1) - Nessun rilievo assume, inoltre, il richiamo fatto dall’appellante all’articolo 89 bis della legge numero 685/1975 come modificato dalla legge numero 162/1990, perché la norma si riferisce al personale militare di leva, all’epoca obbligatoria e non agli appartenenti alle forze di polizia, particolarmente tenuti al rispetto di solidi principi etici, morali e comportamentali.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201705173 - Public 2017-11-09 -
Pubblicato il 09/11/2017


N. 05173/2017REG.PROV.COLL.
N. 07232/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7232 del 2010, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Medaglie d'Oro, n. 266;

contro
il Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica e la Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 17501/2010, resa tra le parti, concernente la destituzione dal servizio di carabiniere per motivi disciplinari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e della Direzione Generale per il Personale Militare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2017 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti l’avvocato A.F. Tartaglia e l’avvocato dello Stato G. Natale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il sig. -OMISSIS-, carabiniere in servizio permanente, il giorno 1 maggio 2009 veniva sottoposto a fermo di P.G. a seguito del rinvenimento, nelle sue immediate vicinanze, di un ovulo di sostanza stupefacente di tipo cocaina.

L'Amministrazione disponeva, quindi, una serie di accertamenti sanitari, all'esito dei quali il sig. -OMISSIS- veniva giudicato non idoneo al servizio militare e di istituto per un periodo di 60 giorni.

In data 16.7.2009 l'Amministrazione avviava nei confronti del sig. -OMISSIS- un'inchiesta formale e in data 4.8.2009 veniva nuovamente collocato in aspettativa per ulteriori 63 giorni, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 53/1989, per infermità non dipendente da causa di servizio.

Su iniziativa del Comando di appartenenza il sig. -OMISSIS-, in data 22.9.2009, veniva sottoposto ad esami ematochimici che accertavano la sua positività all'assunzione di cannabinoidi e cocaina.

Tale referto, all'esito di ulteriori esami specialistici, veniva confermato dal Dipartimento Militare di Medicina Legale di Torino che, in data 30.9.2009, giudicava il predetto affetto da "reazione disadattativa in documentato uso di cocaina e THC", con dichiarazione del medesimo di non idoneità al servizio militare per altri 180 giorni.

1.2. L'Amministrazione, pertanto, con provvedimento n. 405/3-2009 del 22.10.2009, avviava un nuovo procedimento disciplinare al termine del quale la Commissione di disciplina giudicava il Carabiniere -OMISSIS- "non meritevole di conservare il grado".

La Direzione Generale per il personale Militare del Ministero della Difesa, in data 2 febbraio 2010, facendo proprie le conclusioni della Commissione di Disciplina, con provvedimento notificato il 10.2.2010 sanzionava il sig. -OMISSIS-- con la perdita del grado per rimozione e la cessazione dal servizio permanente, ai sensi dell'art. 34 e dell'art. 12, lettera f) della legge n. 1168/1961.

Avverso il provvedimento il sig. -OMISSIS-- proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio.

1.3. Il T.A.R. con sentenza n. 1750 del 14 giugno 2010, resa in forma semplificata, ha rigettato il ricorso, ritenendo le determinazioni dell'Amministrazione "più che sufficientemente motivate" e adottate "a conclusione di una approfondita istruttoria: nel corso della quale sono sempre state rispettate le garanzie difensive dell'inquisito."

1.4. Avverso la sentenza il sig. -OMISSIS-- ha proposto appello.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa che ha chiesto di rigettare l'appello sostenendone l'infondatezza.

All'udienza pubblica del 5 ottobre 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e va respinto.

2.1 Con articolate censure l’appellante lamenta l’illegittimità del provvedimento emanato dall’Amministrazione per violazione e falsa applicazione di legge, dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa, del principio del giusto procedimento e del contraddittorio.

L’appellante lamenta, inoltre, eccesso di potere per carenza, inadeguatezza e insufficienza della motivazione del provvedimento ed eccesso di potere per violazione del principio della gradualità nell’applicazione delle sanzioni disciplinari.

L’appellante sostiene che il T.A.R. Lazio avrebbe omesso di effettuare un’istruttoria autonoma, senza motivare la ragione di tali decisioni e si sarebbe limitato a recepire le conclusioni della Commissione di disciplina, mentre sarebbe stato necessario effettuare una accurata valutazione perchè l’irrogazione della massima sanzione della destituzione non può che essere conseguenza di un autonomo e approfondito accertamento disciplinare.

3. Le censure non meritano accoglimento.

3.2 Il provvedimento del 2 febbraio 2010 del Ministero della Difesa, con cui è stata irrogata nei confronti dell’interessato la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado e di cessazione dal servizio permanente è stato adottato, infatti, sulla base degli accurati approfondimenti effettuati dalla Commissione di disciplina, per cui appaiono pretestuose le affermazioni dell’appellante che sia stato tralasciato “di osservare e valutare tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi dell’illecito ascritto”.

L’Amministrazione non ha mancato, poi, di agire con prudenza, tenendo conto sia delle risultanze offerte dalla Commissione di disciplina, che dei referti sanitari e dei laboratori di analisi acquisiti agli atti dell’inchiesta.

3.3. Il signor -OMISSIS- nell'atto di appello non disconosce l’esito degli accertamenti sanitari disposti nell’immediatezza del suo fermo, avvenuto in data 1 maggio 2009 a Torino, né di essere stato trovato in possesso di sostanza stupefacente di tipo cocaina (acquistata da spacciatore senegalese), sostanza il cui sequestro è stato convalidato dalla procura della Repubblica e per la cui detenzione è stato segnalato all’autorità prefettizia.

Ed è sulla base di ciò che egli è stato dichiarato temporaneamente non idoneo al servizio militare, mentre in sede di inchiesta formale gli è stato contestato che il possesso della cocaina caratterizzava un comportamento contrario ai doveri propri di un carabiniere il quale, per i delicati compiti ricoperti, deve conservare integre le proprie capacità fisiche e psichiche. Le analisi di laboratorio disposte hanno confermato, poi, che la sostanza trovata era effettivamente cocaina (quantità pari a 204,50 mg.).

3.4 Orbene il signor -OMISSIS-, pochi giorni dopo il rientro in servizio, e precisamente il 22 settembre 2009, sottoposto ad esami ematochimici è ancora risultato positivo all’assunzione di cannabinoidi e di cocaina, per cui è stato dichiarato nuovamente non idoneo al servizio per 180 giorni a far tempo dall’1 ottobre 2009.

Da ciò l’avvio di un altro procedimento disciplinare, all’esito del quale egli è stato giudicato non meritevole di conservare il grado e incompatibile a prestare ulteriormente servizio nell’Arma dei carabinieri.

3.5. Il Collegio non può che osservare che l’appellante non ha addotto, a giustificazione del proprio operato, alcuna argomentazione utile e che la sua condotta è da considerarsi palesemente riprovevole e contraria al comune senso della morale e, in quanto tale, inconciliabile con le funzioni proprie di un carabiniere e con la sua permanenza in una Istituzione che ha, tra i vari compiti di polizia, anche quello di contrastare i traffici di droga e la tossicodipendenza.

Per consolidata giurisprudenza (sent. n. 2810 del 23/05/2013 Cons. di Stato sez. III), il comportamento di un carabiniere che abbia fatto uso di sostanze stupefacenti, inficia l’esemplarità della sua condotta, si ripercuote sull’equilibrio psichico e si pone in contrasto con i doveri attinenti al suo status e al grado rivestito, ledendo il prestigio del Corpo. Resta fermo che l'Amministrazione dispone, in materia disciplinare, di ampio potere discrezionale nell’apprezzare i fatti e nel caso di specie, non si appalesano vizi logici nel suo operato, né incongruenze o sproporzione tra fatti e sanzione adottata, circostanze sole che avrebbero consentito un sindacato da parte del giudice della legittimità.

4. Nessun rilievo assume, inoltre, il richiamo fatto dall’appellante all’articolo 89 bis della legge numero 685/1975 come modificato dalla legge numero 162/1990, perché la norma si riferisce al personale militare di leva, all’epoca obbligatoria e non agli appartenenti alle forze di polizia, particolarmente tenuti al rispetto di solidi principi etici, morali e comportamentali.

Nel caso che ci occupa l’Amministrazione ha operato, come si è detto, con il massimo della prudenza e sottoposto ripetutamente l’interessato ad accertamenti sanitari che hanno riscontrato il persistente stato di tossicodipendenza.

5. In conclusione, le determinazioni dell’Amministrazione, essendo state adottate dopo approfondita istruttoria e nell’accertato rispetto delle garanzie difensive dell'appellante, non possono che determinare il rigetto del gravame.

6. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in misura di complessivi euro 2000,00 in favore del Ministero della Difesa appellato e della Direzione Generale del Personale dello stesso Ministero, appellati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il signor -OMISSIS- al pagamento delle spese nel presente grado di giudizio che si liquidano in misura di complessivi euro 2.000,00 in favore del Ministero della Difesa e della Direzione Generale del Personale dello stesso Ministero, appellati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il signor -OMISSIS-.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Troiano, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Schilardi Paolo Troiano





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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.

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Il CdS da ragione al collega ed accoglie il suo Appello, tralasciando altri aspetti.
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Ecco alcuni brani.

1) - veniva dapprima condannato dal Tribunale di Roma per il reato di rapina alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa,
- ) - ma successivamente
- ) - la Corte di Appello di Roma, accertato che i fatti contestati integravano il delitto di furto, dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per difetto di querela.

2) - Tale ultima decisione passava in giudicato, a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal sig. OMISSIS.

3) - La sentenza impugnata – escluso il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, “attesa la assoluta gravità dei fatti addebitati all’interessato” - afferma, in particolare:
- non sussiste alcuna violazione dell’art. 39 l. n. 1168/1961, poiché la presenza in Commissione di disciplina di un tenente colonnello, in qualità di Presidente, di un Maggiore e di un Capitano è dovuta per “assicurare una migliore e più attenta disamina della fattispecie, circostanza che non può non essere interpretata come di maggior favore e garanzia per il militare sottoposto a procedimento disciplinare”;

- ) - Il collega insiste sulla norma di legge, qui sotto citata.

4) - Avverso tale sentenza vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione:
a) violazione art. 39 l. n. 1168/1961, per difetto di costituzione della commissione di disciplina; violazione art. 3 e 97 Cost.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente ingiustizia ed iniquità manifesta; ciò in quanto “è risultato palesemente anomalo nominare in Commissione un solo Capitano dell’Arma anziché due come imposto dall’art. 39 cit.”, derivando da ciò “un vizio insanabile di costituzione della Commissione in grado di inficiare . . . tutti i successivi atti del procedimento ivi compresa la rimozione del ricorrente dal grado per motivi disciplinari”;

5) - Infine, l’appellante chiede la condanna dell’amministrazione “al pagamento di tutte le somme (pari alla metà della paga e degli altri assegni di carattere fisso e continuativo) non corrisposte durante il quinquennio di sospensione, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino all’effettivo soddisfo”.

Il C.d.S, precisa:

6) - L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al primo motivo proposto.

7) - “La Commissione di disciplina per i giudizi a carico di militari di truppa dell'Arma dei carabinieri è formata e convocata, di volta in volta, dal comandante di corpo dal quale il giudicando dipende per ragioni di impiego o nella cui giurisdizione risiede. Se i giudicandi siano più di uno, provvede il comandante di Legione dal quale dipende o nella cui giurisdizione risiede il militare più elevato in grado o più anziano. La Commissione si compone di un ufficiale superiore dell'Arma dei carabinieri, presidente, e di due capitani dell'Arma stessa in servizio. . .”.

8) - Per completezza, è il caso di aggiungere che la disposizione ora citata è stata riprodotta nel Codice dell’ordinamento militare, il cui art. 1384 attualmente dispone, quanto alla composizione della Commissione di disciplina per gli appuntati e carabinieri, che la stessa “si compone di un ufficiale superiore dell’Arma dei Carabinieri, presidente, e di due Capitani dell’Arma stessa in servizio”.

9) - La disposizione vigente all’epoca dei fatti (ma successivamente “riconfermata”), dunque, prescrive con precisione la composizione della Commissione di disciplina, di modo che nessuna possibilità di “variazione” della medesima è concessa all’amministrazione, la quale, ove operi diversamente, determina una illegittimità che si riverbera inevitabilmente su tutti gli atti del procedimento disciplinare.

10) - Come si è detto, la composizione della Commissione di disciplina è stabilita dal legislatore in modo non derogabile, di modo che ogni valutazione in ordine alla migliore e più opportuna ed efficace composizione della medesima è stata già effettuata dalla legge, non residuando all’amministrazione alcun margine di discrezionalità, se non nei limitati termini in cui la legge stessa la conceda.

11) - L’intervenuto annullamento del provvedimento disciplinare (che fa seguito alla sentenza di proscioglimento in sede penale) comporta – in ciò accogliendo la domanda in tal senso proposta dall’appellante – che l’amministrazione debba provvedere alla attribuzione al medesimo di tutte le somme non corrisposte, in dipendenza del provvedimento di sospensione dall’impiego e per il tempo di durata di questa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ovvero, nei limiti di applicabilità del divieto di cumulo, la maggior somma spettante tra le due.

12) - Resta fermo il potere dell’amministrazione di valutare, con ogni conseguenza sullo stato giuridico ed economico dell’appellante, l’applicabilità dell’art. 1373 d. lgs. n. 66/2010

N.B.: rileggi i punti 7, 8, 9, 10 e 11.

per completezza leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201800624
- Public 2018-01-30 -

Pubblicato il 30/01/2018

N. 00624/2018REG.PROV.COLL.
N. 07053/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7053 del 2008, proposto da:
OMISSIS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Tarullo, Antonio Meola, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Tarullo in Roma, via Vincenzo Cardarelli, 9;

contro
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Ministero della Difesa non costituiti in giudizio;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA, SEZ. VI n. 08840/2008, resa tra le parti, concernente rimozione dal grado per motivi disciplinari


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti l’avv. Tarullo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, l’appuntato dei Carabinieri in congedo OMISSIS impugna la sentenza 16 luglio 2008 n. 8840, con la quale il TAR per la Campania, sez. IV, ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento 21 febbraio 2008 n. ……../D–3- 69, di rimozione dal grado.

Tale misura era adottata all’esito di un procedimento disciplinare, avviato dopo che si era concluso il procedimento penale a carico dell’attuale appellante. In tale sede processuale il signor OMISSIS veniva dapprima condannato dal Tribunale di Roma per il reato di rapina alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, ma successivamente la Corte di Appello di Roma, accertato che i fatti contestati integravano il delitto di furto, dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per difetto di querela.

Tale ultima decisione passava in giudicato, a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal sig. OMISSIS.

La sentenza impugnata – escluso il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, “attesa la assoluta gravità dei fatti addebitati all’interessato” - afferma, in particolare:

- non sussiste alcuna violazione dell’art. 39 l. n. 1168/1961, poiché la presenza in Commissione di disciplina di un tenente colonnello, in qualità di Presidente, di un Maggiore e di un Capitano è dovuta per “assicurare una migliore e più attenta disamina della fattispecie, circostanza che non può non essere interpretata come di maggior favore e garanzia per il militare sottoposto a procedimento disciplinare”;

- non sussiste la violazione dei termini procedimentali e, segnatamente, del termine per la conclusione del procedimento, posto che “il termine procedimentale complessivo è pari a 270 giorni, componendosi di 180 giorni per l’inizio del procedimento disciplinare decorrenti dalla conoscenza della sentenza penale e di (successivi) 90 giorni per la conclusione del procedimento”; di modo che, in sostanza, l’amministrazione dispone, nel complesso, di 270 giorni (e tale è il termine cui fare riferimento)”.

Avverso tale sentenza vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione:

a) violazione art. 39 l. n. 1168/1961, per difetto di costituzione della commissione di disciplina; violazione art. 3 e 97 Cost.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente ingiustizia ed iniquità manifesta; ciò in quanto “è risultato palesemente anomalo nominare in Commissione un solo Capitano dell’Arma anziché due come imposto dall’art. 39 cit.”, derivando da ciò “un vizio insanabile di costituzione della Commissione in grado di inficiare . . . tutti i successivi atti del procedimento ivi compresa la rimozione del ricorrente dal grado per motivi disciplinari”;

b) violazione art. 9 l. n. 19/1990, del D.M. n. 690/1996 (all. 1) e art. 59 DPR n. 545/1986 (decadenza dal potere di provvedere per decorrenza del termine finale); violazione artt. 3 e 97 Cost.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente ingiustizia ed iniquità manifeste; ciò in quanto anche il superamento di uno dei due termini previsti per l’avvio del procedimento disciplinare e per la sua conclusione comporta la decadenza dal potere di provvedere. Nel caso di specie, a fronte della contestazione degli addebiti avvenuta in data 23 novembre 2007, “il provvedimento finale di rimozione dal grado reca la data del 21 febbraio 2008 (quando, se pur per un solo giorno, il termine perentorio era già scaduto)”;

c) violazione art. 42, co. 2, l. n. 1168/1961; violazione art. 3 e 97 Cost.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche; poichè nel caso di specie “tanto la segretezza della votazione quanto la distruzione delle schede arbitrariamente disposta dalla Commissione, oltre ad essere avvenuta praeter legem . . . priva l’appellante della possibilità di ricostruire in ogni sua parte e, soprattutto, quanto alla provenienza, il giudizio valutativo espresso dalla Commissione medesima”;

d) violazione art. 97 Cost., art. 3 l. n. 241/1990, art. 60 DPR n. 545/1986; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, segnatamente, omessa comparazione tra interessi confliggenti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta; stante il difetto di motivazione dell’atto impugnato, atteso che “l’amministrazione viene a sostenere la pertinenza della sanzione irrogata senza in nessun modo considerare grado, età, stato di servizio ed anzianità del ricorrente”.

Infine, l’appellante chiede la condanna dell’amministrazione “al pagamento di tutte le somme (pari alla metà della paga e degli altri assegni di carattere fisso e continuativo) non corrisposte durante il quinquennio di sospensione, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino all’effettivo soddisfo”.

Il Ministero della Difesa non si è costituito in giudizio.

All’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al primo motivo proposto.

2.1. L’art. 39 della legge 18 ottobre 1961 n. 1168 (recante “Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell’Arma dei Carabinieri”), ora abrogato dall’art. 2268, co. 1, n. 493, d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66, prevede, per quel che interessa nella presente sede:

“La Commissione di disciplina per i giudizi a carico di militari di truppa dell'Arma dei carabinieri è formata e convocata, di volta in volta, dal comandante di corpo dal quale il giudicando dipende per ragioni di impiego o nella cui giurisdizione risiede. Se i giudicandi siano più di uno, provvede il comandante di Legione dal quale dipende o nella cui giurisdizione risiede il militare più elevato in grado o più anziano. La Commissione si compone di un ufficiale superiore dell'Arma dei carabinieri, presidente, e di due capitani dell'Arma stessa in servizio. . .”.

Per completezza, è il caso di aggiungere che la disposizione ora citata è stata riprodotta nel Codice dell’ordinamento militare, il cui art. 1384 attualmente dispone, quanto alla composizione della Commissione di disciplina per gli appuntati e carabinieri, che la stessa “si compone di un ufficiale superiore dell’Arma dei Carabinieri, presidente, e di due Capitani dell’Arma stessa in servizio”.

La disposizione vigente all’epoca dei fatti (ma successivamente “riconfermata”), dunque, prescrive con precisione la composizione della Commissione di disciplina, di modo che nessuna possibilità di “variazione” della medesima è concessa all’amministrazione, la quale, ove operi diversamente, determina una illegittimità che si riverbera inevitabilmente su tutti gli atti del procedimento disciplinare.

E ciò in quanto la composizione dell’organo giudicante, nei sensi prescritti dalla legge, attiene alle garanzie espressamente previste per il rispetto sia dei principi di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., sia del diritto di difesa dell’incolpato, che non può avere altro “giudicante” se non quello previsto, in modo vincolato, dalla legge.

Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (con riferimento alla prescrittività della legge – art. 1370 del Codice dell’ordinamento militare – in ordine al grado che deve essere posseduto dal difensore del militare nel procedimento disciplinare), le prescrizioni afferenti alla individuazione del difensore ed al suo grado (ed ora, viepiù, alla composizione dell’organo giudicante) attengono al diritto di difesa dell’incolpato, di modo che la violazione del medesimo conseguente al mancato rispetto delle prescrizioni “è palese e, in ragione del suo carattere anche formale, rileva di per sé, al di là di quella dimostrazione di un concreto pregiudizio” (Cons. Stato, sez. IV, 25 febbraio 2013 n. 1114).

Non può, dunque, essere condiviso quanto affermato dalla sentenza impugnata, laddove, nel rigettare il motivo di ricorso proposto, assume che la diversa composizione è volta ad “assicurare una migliore e più attenta disamina della fattispecie, circostanza che non può non essere interpretata come di maggior favore e garanzia per il militare sottoposto a procedimento disciplinare”.

Come si è detto, la composizione della Commissione di disciplina è stabilita dal legislatore in modo non derogabile, di modo che ogni valutazione in ordine alla migliore e più opportuna ed efficace composizione della medesima è stata già effettuata dalla legge, non residuando all’amministrazione alcun margine di discrezionalità, se non nei limitati termini in cui la legge stessa la conceda.

Ed infatti, laddove il legislatore ha inteso concedere all’amministrazione una potestà (pur limitata) d scelta nella individuazione del graduato da inserire in Commissione di disciplina lo ha espressamente previsto, ricorrendo ad indicazioni diverse e “più generali”, senza prescrivere la titolarità di un grado specifico (attualmente si vedano, in tal senso, gli artt. 1382/1384 del Codice militare attualmente vigente).

2.2. Per le ragioni esposte, il primo motivo di appello (sub lett. a) dell’esposizione in fatto) è fondato e deve essere, pertanto, accolto.

Ciò determina, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e l’annullamento del provvedimento impugnato, il che esime il Collegio dall’esaminare gli ulteriori motivi di impugnazione proposti.

2.3. L’intervenuto annullamento del provvedimento disciplinare (che fa seguito alla sentenza di proscioglimento in sede penale) comporta – in ciò accogliendo la domanda in tal senso proposta dall’appellante – che l’amministrazione debba provvedere alla attribuzione al medesimo di tutte le somme non corrisposte, in dipendenza del provvedimento di sospensione dall’impiego e per il tempo di durata di questa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ovvero, nei limiti di applicabilità del divieto di cumulo, la maggior somma spettante tra le due.

3. Resta fermo il potere dell’amministrazione di valutare, con ogni conseguenza sullo stato giuridico ed economico dell’appellante, l’applicabilità dell’art. 1373 d. lgs. n. 66/2010.

4. Stante la natura e novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da OMISSIS (n. 7053/2008 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed annulla il provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oberdan Forlenza Filippo Patroni Griffi





IL SEGRETARIO
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