Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
cortesemente, se dovete commentare questa sentenza, EVITATE di fare copia/incolla, altrimenti le pagine del forum di allungano inutilmente.
grazie
grazie
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Interessante
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per l’annullamento
1) - del decreto ministeriale del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, direttore della terza divisione, datato -OMISSIS- e notificato il 28 dicembre 2015;
2) - della nota prot. n. -OMISSIS-, del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro nazionale amministrativo, datata -OMISSIS- e ricevuta il 29 gennaio 2016;
3) - irrogata, a decorrere dal -OMISSIS-, la perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo e 923, comma quinto del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.
PARTE INTERESSANTE:
4) - parte ricorrente ha rappresentato di aver chiesto, con istanza di riesame del 27 giugno 2017, l’annullamento in autotutela dell’impugnato decreto, alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 268/2016, di declaratoria dell’illegittimità costituzionale degli articoli 866, n. 1, 867, n. 3 e 923, n. 1, lett i) d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonché della sentenza della Corte di Appello di Potenza, sezione penale, n. -OMISSIS- del -OMISSIS- di revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. In esito a tale istanza, l’Amministrazione intimata con provvedimento del -OMISSIS- ha annullato il predetto decreto. Pertanto, il ricorrente ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con condanna del Ministero della difesa alla rifusione delle spese di lite.
5) - L’Avvocatura erariale, con memoria del 31 gennaio 2018, ha concluso per l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di lite.
6) - Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
7) - e non anche alla nota del -OMISSIS- del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, con la quale è stata denegata «la corresponsione dei benefici virtuali dei sei scatti stipendiali previsti dalla legge n. 232 del 1990», pure impugnata.
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SENTENZA ,sede di POTENZA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201800218 - Public 2018-03-28 -
Pubblicato il 27/03/2018
N. 00218/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00133/2016 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 133 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Antonino Galletti, da intendersi domiciliato, ai sensi dell’art. 25, n. 1, lett. a) cod. proc. amm., presso la segreteria di questo Tribunale;
contro
- Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici è domiciliato, in Potenza, al corso XVIII Agosto 1860 n. 46;
per l’annullamento
- del decreto ministeriale del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, direttore della terza divisione, datato -OMISSIS- e notificato il 28 dicembre 2015;
- della nota prot. n. -OMISSIS-, del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro nazionale amministrativo, datata -OMISSIS- e ricevuta il 29 gennaio 2016;
- nonché di ogni altro atto o provvedimento antecedente o consequenziale, comunque connesso con i provvedimenti impugnati e lesivo degli interessi del ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2018, il Primo Referendario avv. Benedetto Nappi;
Uditi i difensori delle parti presenti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso spedito per la notificazione il 23 febbraio 2016, depositato il 10 marzo 2016, -OMISSIS-, già sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, è insorto avverso gli atti in epigrafe, con i quali gli è stata irrogata, a decorrere dal -OMISSIS-, la perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo e 923, comma quinto del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.
1.1. In diritto, parte ricorrente ha dedotto, da più angolazioni, la violazione di legge e l’eccesso di potere.
2. Il Ministero intimato, costituitosi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso.
3. Con memoria depositata il 29 gennaio 2018, parte ricorrente ha rappresentato di aver chiesto, con istanza di riesame del 27 giugno 2017, l’annullamento in autotutela dell’impugnato decreto, alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 268/2016, di declaratoria dell’illegittimità costituzionale degli articoli 866, n. 1, 867, n. 3 e 923, n. 1, lett i) d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonché della sentenza della Corte di Appello di Potenza, sezione penale, n. -OMISSIS- del -OMISSIS- di revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. In esito a tale istanza, l’Amministrazione intimata con provvedimento del -OMISSIS- ha annullato il predetto decreto. Pertanto, il ricorrente ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con condanna del Ministero della difesa alla rifusione delle spese di lite.
4. L’Avvocatura erariale, con memoria del 31 gennaio 2018, ha concluso per l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di lite.
5. Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
6. Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
6.1. Invero, l’interesse a ricorrere si sostanzia nell’utilità o nel vantaggio, materiale e morale,
che il ricorrente può ricavare dall’accoglimento della domanda proposta in giudizio (Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2017, n. 1678; Cons. Stato, sez. III, 8 settembre 2016, n. 3829). Un fatto sopravvenuto all’instaurazione del giudizio che sia idoneo a modificare l’assetto di fatto o di diritto esistente al momento in cui è stata proposta l’originaria impugnazione incide sull’interesse a ricorrere. Tra gli atti sopravvenuti idonei a modificare l’assetto del rapporto scaturito dal provvedimento originario va annoverato il provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto impugnato, adottato nel corso del giudizio. A differenza degli altri fatti sopravvenuti, quali la modifica normativa o anche la rinuncia al ricorso, esso presenta una peculiarità: può comportare la piena realizzazione dell’interesse del ricorrente, e così dar luogo ad una cessazione della materia del contendere, ovvero, non condurre a tale piena realizzazione e pur tuttavia rendere inutile la pronuncia del giudice, dando luogo, così, ad una carenza sopravvenuta di interesse.
6.2. Ora, secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale «la sopravvenuta carenza di interesse - figura, di stretta elaborazione giurisprudenziale ed ora espressamente prevista all'art. 35, comma 1 lett. c), c.p.a. (D.Lgs. n. 104/2010) - è accomunata a quella limitrofa della cessazione della materia del contendere per la disciplina, che determina in entrambi i casi l'improcedibilità del ricorso, e per la tipologia di fatto di origine, che è sempre un ulteriore provvedimento della pubblica amministrazione che interviene nel rapporto in contestazione. Le due figure si differenziano tra loro nettamente per la diversa soddisfazione dell'interesse leso. La sopravvenuta carenza di interesse, infatti, opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell'assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l'amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l'operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell'interesse azionato. Inoltre, proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte (Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4143).
6.3. Tale ultima evenienza si realizza proprio nella fattispecie in esame, in quanto il ricorrente “non opponendosi alla declaratoria della cessazione della materia del contendere” ha in buona sostanza rappresentato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, ancorché nel caso di specie l’intervenuto annullamento in autotutela si riferisca al solo decreto ministeriale del Ministero della difesa del -OMISSIS-, e non anche alla nota del -OMISSIS- del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, con la quale è stata denegata «la corresponsione dei benefici virtuali dei sei scatti stipendiali previsti dalla legge n. 232 del 1990», pure impugnata.
7. Sussistono giusti motivi, in ragione delle peculiarità della questione, della natura e complessità delle questioni trattate e dei non univoci orientamenti giurisprudenziali sul punto per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, n. 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, ordina alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Pasquale Mastrantuono, Consigliere
Benedetto Nappi, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Benedetto Nappi Giuseppe Caruso
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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per l’annullamento
1) - del decreto ministeriale del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, direttore della terza divisione, datato -OMISSIS- e notificato il 28 dicembre 2015;
2) - della nota prot. n. -OMISSIS-, del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro nazionale amministrativo, datata -OMISSIS- e ricevuta il 29 gennaio 2016;
3) - irrogata, a decorrere dal -OMISSIS-, la perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo e 923, comma quinto del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.
PARTE INTERESSANTE:
4) - parte ricorrente ha rappresentato di aver chiesto, con istanza di riesame del 27 giugno 2017, l’annullamento in autotutela dell’impugnato decreto, alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 268/2016, di declaratoria dell’illegittimità costituzionale degli articoli 866, n. 1, 867, n. 3 e 923, n. 1, lett i) d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonché della sentenza della Corte di Appello di Potenza, sezione penale, n. -OMISSIS- del -OMISSIS- di revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. In esito a tale istanza, l’Amministrazione intimata con provvedimento del -OMISSIS- ha annullato il predetto decreto. Pertanto, il ricorrente ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con condanna del Ministero della difesa alla rifusione delle spese di lite.
5) - L’Avvocatura erariale, con memoria del 31 gennaio 2018, ha concluso per l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di lite.
6) - Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
7) - e non anche alla nota del -OMISSIS- del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, con la quale è stata denegata «la corresponsione dei benefici virtuali dei sei scatti stipendiali previsti dalla legge n. 232 del 1990», pure impugnata.
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SENTENZA ,sede di POTENZA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201800218 - Public 2018-03-28 -
Pubblicato il 27/03/2018
N. 00218/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00133/2016 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 133 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Antonino Galletti, da intendersi domiciliato, ai sensi dell’art. 25, n. 1, lett. a) cod. proc. amm., presso la segreteria di questo Tribunale;
contro
- Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici è domiciliato, in Potenza, al corso XVIII Agosto 1860 n. 46;
per l’annullamento
- del decreto ministeriale del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, direttore della terza divisione, datato -OMISSIS- e notificato il 28 dicembre 2015;
- della nota prot. n. -OMISSIS-, del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro nazionale amministrativo, datata -OMISSIS- e ricevuta il 29 gennaio 2016;
- nonché di ogni altro atto o provvedimento antecedente o consequenziale, comunque connesso con i provvedimenti impugnati e lesivo degli interessi del ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2018, il Primo Referendario avv. Benedetto Nappi;
Uditi i difensori delle parti presenti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso spedito per la notificazione il 23 febbraio 2016, depositato il 10 marzo 2016, -OMISSIS-, già sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, è insorto avverso gli atti in epigrafe, con i quali gli è stata irrogata, a decorrere dal -OMISSIS-, la perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo e 923, comma quinto del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.
1.1. In diritto, parte ricorrente ha dedotto, da più angolazioni, la violazione di legge e l’eccesso di potere.
2. Il Ministero intimato, costituitosi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso.
3. Con memoria depositata il 29 gennaio 2018, parte ricorrente ha rappresentato di aver chiesto, con istanza di riesame del 27 giugno 2017, l’annullamento in autotutela dell’impugnato decreto, alla luce della decisione della Corte costituzionale n. 268/2016, di declaratoria dell’illegittimità costituzionale degli articoli 866, n. 1, 867, n. 3 e 923, n. 1, lett i) d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonché della sentenza della Corte di Appello di Potenza, sezione penale, n. -OMISSIS- del -OMISSIS- di revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. In esito a tale istanza, l’Amministrazione intimata con provvedimento del -OMISSIS- ha annullato il predetto decreto. Pertanto, il ricorrente ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con condanna del Ministero della difesa alla rifusione delle spese di lite.
4. L’Avvocatura erariale, con memoria del 31 gennaio 2018, ha concluso per l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di lite.
5. Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
6. Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
6.1. Invero, l’interesse a ricorrere si sostanzia nell’utilità o nel vantaggio, materiale e morale,
che il ricorrente può ricavare dall’accoglimento della domanda proposta in giudizio (Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2017, n. 1678; Cons. Stato, sez. III, 8 settembre 2016, n. 3829). Un fatto sopravvenuto all’instaurazione del giudizio che sia idoneo a modificare l’assetto di fatto o di diritto esistente al momento in cui è stata proposta l’originaria impugnazione incide sull’interesse a ricorrere. Tra gli atti sopravvenuti idonei a modificare l’assetto del rapporto scaturito dal provvedimento originario va annoverato il provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto impugnato, adottato nel corso del giudizio. A differenza degli altri fatti sopravvenuti, quali la modifica normativa o anche la rinuncia al ricorso, esso presenta una peculiarità: può comportare la piena realizzazione dell’interesse del ricorrente, e così dar luogo ad una cessazione della materia del contendere, ovvero, non condurre a tale piena realizzazione e pur tuttavia rendere inutile la pronuncia del giudice, dando luogo, così, ad una carenza sopravvenuta di interesse.
6.2. Ora, secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale «la sopravvenuta carenza di interesse - figura, di stretta elaborazione giurisprudenziale ed ora espressamente prevista all'art. 35, comma 1 lett. c), c.p.a. (D.Lgs. n. 104/2010) - è accomunata a quella limitrofa della cessazione della materia del contendere per la disciplina, che determina in entrambi i casi l'improcedibilità del ricorso, e per la tipologia di fatto di origine, che è sempre un ulteriore provvedimento della pubblica amministrazione che interviene nel rapporto in contestazione. Le due figure si differenziano tra loro nettamente per la diversa soddisfazione dell'interesse leso. La sopravvenuta carenza di interesse, infatti, opera solo quando il nuovo provvedimento non soddisfa integralmente il ricorrente, determinando una nuova valutazione dell'assetto del rapporto tra la pubblica amministrazione e l'amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si determina quando l'operato successivo della parte pubblica si rivela integralmente satisfattivo dell'interesse azionato. Inoltre, proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione dell’azione spetta unicamente al ricorrente, la sua carenza può essere conseguenza anche di una valutazione esclusiva dello stesso soggetto, in relazione a sopravvenienze anche indipendenti dal comportamento della controparte (Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4143).
6.3. Tale ultima evenienza si realizza proprio nella fattispecie in esame, in quanto il ricorrente “non opponendosi alla declaratoria della cessazione della materia del contendere” ha in buona sostanza rappresentato di non aver più interesse alla prosecuzione dell’azione, imponendo conseguentemente la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, ancorché nel caso di specie l’intervenuto annullamento in autotutela si riferisca al solo decreto ministeriale del Ministero della difesa del -OMISSIS-, e non anche alla nota del -OMISSIS- del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, con la quale è stata denegata «la corresponsione dei benefici virtuali dei sei scatti stipendiali previsti dalla legge n. 232 del 1990», pure impugnata.
7. Sussistono giusti motivi, in ragione delle peculiarità della questione, della natura e complessità delle questioni trattate e dei non univoci orientamenti giurisprudenziali sul punto per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, n. 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, ordina alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Pasquale Mastrantuono, Consigliere
Benedetto Nappi, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Benedetto Nappi Giuseppe Caruso
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Appello del collega perso.
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1) - Nel caso, trattandosi di un carabiniere che si appropria di un considerevole numero di buoni pasto, rendendosi imputabile, per le modalità del fatto, di furto militare pluriaggravato, non può affermarsi che la perdita del grado per rimozione costituisca una sanzione sicuramente sproporzionata, rispondendo piuttosto a criterio di razionalità che l’Amministrazione militare giudichi non compatibile la prosecuzione del rapporto di lavoro con un soggetto che, per la funzione che è chiamato a svolgere, deve specificamente contrastare reati del genere.
2) - (furto pluriaggravato di n. 130 buoni pasto).
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201803424
- Public 2018-06-07 -
Pubblicato il 07/06/2018
N. 03424/2018 REG. PROV. COLL.
N. 02624/2014 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2624 del 2014, proposto dal Signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Castiello, Eduardo Boursier Intuita e Angela Isabella Colella, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Giuseppe Carbara, n. 64 per mandato in calce all’appello
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, già costituito nel giudizio di primo grado e non costituito nel giudizio d’appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione 1^ bis, n. 10653 del 10 dicembre 2013, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 5494/2015 proposto per l’annullamento della determinazione del Vice Direttore Generale per il personale militare in data 11 febbraio 2005 con cui è stata disposta l’applicazione della sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Cons. Leonardo Spagnoletti e udito per l’appellante l’avv. Francesco Castiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) Al signor -OMISSIS-, già appuntato dell’Arma dei Carabinieri, a seguito di sentenza emanata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dal G.I.P. del Tribunale militare di Roma, irrevocabile il 20 maggio 2004, è stata applicata la pena di mesi due e giorni venti di reclusione militare, sostituita con la multa di € 3040,00, in relazione al delitto contestato di furto militare pluriaggravato.
All’esito del procedimento disciplinare, con determinazione in data 11 febbraio 2015 è stata irrogata all’interessato la sanzione della perdita del grado per rimozione.
Con il ricorso in primo grado n.r. 5494/2015 il provvedimento è stato impugnato, deducendo in sintesi le seguenti censure:
1) Decadenza dell’azione disciplinare per superamento del termine per l’avvio del procedimento
L’Amministrazione ha ricevuto comunicazione per estratto della sentenza penale sin dal 28 aprile 2004 e copia della stessa non oltre il 10 maggio 2004, data della sua trasmissione in copia alla Compagnia C.C. Aeroporto di Roma-Fiumicino.
La contestazione dell’addebito è avvenuta con nota del 17 novembre 2004.
E’ quindi spirato il termine previsto dall’art. 9 della legge n. 19/1990 per l’avvio del procedimento (centottanta giorni), essendo decorsi sino alla contestazione centonovantuno giorni, con le relative conseguenze decadenziali in ordine all’esercizio del potere disciplinare.
2) Decadenza dell’azione disciplinare per superamento del termine per la conclusione del procedimento
Il provvedimento disciplinare è stato notificato all’interessato il 29 marzo 2005 al centounesimo giorno dalla data di contestazione dell’addebito (17 novembre 2004), oltre il termine di novanta giorni pure previsto dall’art. 9 della legge n. 19/1990 per la conclusione del procedimento, con conseguente ulteriore effetto decadenziale.
Peraltro nel caso di specie non è stato svolto alcun accertamento autonomo in ordine al fatto addebitato tale da giustificare il superamento del termine legale, ove anche ritenuto ordinatorio.
Né può revocarsi in dubbio che entro il termine il provvedimento deve essere non solo emanato, bensì notificato all’interessato, trattandosi di atto di natura recettizia, come deve argomentarsi dall’art. 3 del c.p.m.p. che assoggetta alla legge penale militare i militari sino alla notificazione del provvedimento di collocamento fuori dal servizio alle armi.
3) Violazione di legge (art. 38 della legge n. 1168/1961) per mancata emissione dell’ordine di deferimento a commissione di disciplina. Violazione del contraddittorio
Il deferimento alla commissione di disciplina deve intendersi come atto autonomo, distinto e motivato rispetto alla nomina e convocazione dell’organo, nel caso di specie mancato, come del pari all’interessato non è stato partecipato il rapporto finale dell’ufficiale accertatore, con conseguente compromissione del diritto di difesa.
4) Eccesso di potere e violazione di legge per carenza di istruttoria, contraddittorietà, mancata proporzionalità, palese travisamento dei fatti
Non è stato svolto alcun autonomo accertamento dei fatti, e nemmeno sono stati acquisiti gli atti del procedimento penale, ciò che avrebbe permesso di valutare la rilevanza di circostanze segnalate dall’interessato nel medesimo a supporto della sua alternativa spiegazione (rinvenimento e appropriazione di n. 58 buoni pasto, con successiva pronta restituzione e consegna anche di n. 34 buoni pasto appartenenti all’interessato) rispetto al fatto afferente all’imputazione penale (furto pluriaggravato di n. 130 buoni pasto).
5) Violazione Costituzione europea (art. II, 107 secondo comma) - Violazione dell’art. 1 legge n. 241/1990, come novellato dall’art. 1 della legge n. 15/2005 - Eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento
L’entità della sanzione irrogata è carente di proporzionalità rispetto al fatto addebitato, trattandosi peraltro di episodio isolato, in assenza di recidiva e considerati gli “ottimi precedenti di servizio”.
Costituitasi in giudizio l’Autorità Ministeriale ha dedotto, a sua volta, l’infondatezza del ricorso.
2.) Con sentenza n. 10653 del 10 dicembre 2013 il T.A.R. per il Lazio ha rigettato il ricorso, rilevando in estrema sintesi:
- l’infondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso in ragione dell’inapplicabilità dei termini previsti dall’art. 9 della legge n. 19/1990, riferibili a sentenze di condanna e non di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., con correlata applicazione delle disposizioni generali di cui al d.P.R. n. 3/1957;
- l’infondatezza del terzo motivo perché l’atto di deferimento alla commissione di disciplina è stato comunicato dallo stesso organo collegiale con nota del 26 dicembre 2004 all’interessato che ha sottoscritto la ricezione della medesima il 29 dicembre 2004; sotto altro profilo non è prevista alcuna notificazione del rapporto finale dell’ufficiale accertatore, che non è stato oggetto di richiesta di accesso da parte dell’interessato, che invece ha ricevuto copia di tutti gli altri atti e comunque “…con dichiarazione del 26 novembre 2004 ha rinunciato a presentare giustificazioni o documenti ed a chiedere particolari indagini”;
- l’infondatezza del quarto motivo perché “…come precisato nella sentenza di applicazione della pena su richiesta, l’imputato ha reso dichiarazioni pienamente confessorie … nella fase delle indagini preliminari; il che rende non rilevanti gli eventuali dubbi e le eventuali anomalie risultanti da una ricostruzione dei fatti, effettuata in momenti successivi al verificarsi di questi, attraverso ricordi di soggetti altri”;
- l’infondatezza del quinto motivo perché l’entità della sanzione disciplinare costituisce oggetto di valutazione di ampia discrezionalità, insindacabile se non per profili di manifesta illogicità e irragionevolezza, non ravvisabili nella specie perché “…trattandosi di un carabiniere che si appropria di un considerevole numero di buoni pasto, rendendosi imputabile, per le modalità del fatto, di furto militare pluriaggravato, non può affermarsi che la perdita del grado per rimozione costituisca una sanzione sicuramente sproporzionata, rispondendo piuttosto a criterio di razionalità che l’Amministrazione militare giudichi non compatibile la prosecuzione del rapporto di lavoro con un soggetto che, per la funzione che è chiamato a svolgere, deve specificamente contrastare reati del genere”.
3.) Con appello notificato il 6 marzo 2014 e depositato il 28 marzo 2014 la sentenza è stata impugnata, con deduzione, in sintesi, dei seguenti motivi:
1) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 19/1990 - Difetto di motivazione
La disciplina e i termini di cui all’epigrafata disposizione devono trovare applicazione nel caso di specie proprio perché non occorrevano ulteriori accertamenti, né avendo l’amministrazione ritenuto di svolgerli.
2) Error in iudicando: violazione per disapplicazione dell’art. 21 bis legge n. 241/1990 - Violazione del principio della domanda - Difetto di motivazione
La sentenza ha del tutto obliterato i rilievi svolti in ricorso in relazione alla sostenuta recettizietà del provvedimento disciplinare in relazione al disposto dell’art. 3 c.p.m.p.
3) Error in procedendo: omessa considerazione della memoria difensiva depositata in primo grado - Violazione del principio della domanda. Error in iudicando: violazione del principio di adeguatezza dell’istruttoria (art. 97 Cost.) - Violazione dell’art. 6 della legge n. 241/1990 - Violazione del diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.)
Si ribadisce che l’ufficiale accertatore non ha acquisito gli atti del procedimento penale e non ha considerato le circostanze segnalate dall’interessato nel medesimo a supporto della sua alternativa spiegazione rispetto al fatto afferente all’imputazione penale, lamentando che la sentenza non abbia argomentato in ordine alla loro irrilevanza.
4) Error in iudicando: violazione dei principi dell’ordinamento interno e comunitario di ragionevolezza e proporzionalità
La sentenza ha “apoditticamente” escluso l’abnormità della sanzione espulsiva, trascurando di considerare che in relazione all’alternativa ricostruzione del fatto, non poteva considerarsi adeguata alla condotta di appropriazione, seguita comunque da spontanea restituzione, e che sulla irrogazione poteva aver influito anche altra vicenda penale dalla quale l’interessato è stato poi completamente scagionato.
Nel giudizio non si è costituita l’Amministrazione appellata.
Con memoria difensiva depositata il 26 aprile 2018, ribaditi i motivi di appello, è stato dedotto:
- che la sentenza non ha considerato come, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 2 della legge n. 97/2001, la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una ordinaria pronuncia di condanna con riferimento ai procedimenti disciplinari, con efficacia di giudicato circa l’accertamento del fatto;
- che anche considerando applicabile il d.P.R. n. 3/1957 il procedimento avrebbe dovuto avere inizio entro il termine perentorio di centottanta giorni e comunque deve ritenersi applicabile l’art. 5 comma 4 della legge n. 97/2001 quanto alla complessiva durata di duecentosettanta giorni tra avvio e conclusione del procedimento.
All’udienza pubblica del 31 maggio 2018 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
4.) L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato con la conferma della sentenza gravata, dando atto delle deduzioni contenute nella memoria difensiva ultronee rispetto alla mera illustrazione dei motivi d’appello (e segnatamente i rilievi riferiti agli artt. 2 e 5 comma 4 della legge n. 97/2001, che costituiscono motivi nuovi introdotti per la prima volta in appello, e come tali sono inammissibili).
4.1) Con riferimento all’invocata applicabilità dei termini previsti dall’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, deve ribadirsi che la disposizione riguarda in modo testuale le sole sentenze irrevocabili di condanna, e quindi non può comprendere le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, secondo costante orientamento giurisprudenziale (vedi tra le tante Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781, secondo cui: “Nel caso in cui la sentenza penale di condanna del pubblico dipendente consegue alla richiesta delle parti (cd. patteggiamento), non è applicabile il termine di 90 giorni posto dell'art. 9 comma 2 l. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento, ma la disciplina generale prevista dal t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, perché il termine più lungo ivi previsto si giustifica in considerazione della circostanza che nella fattispecie di cui all'art. 444 c.p.p. manca comunque la completezza degli elementi di prova propri del rito ordinario e l'Amministrazione è tenuta o comunque può liberamente compiere ulteriori accertamenti”; in senso conforme ancora Sez. V, 17 maggio 2010, n. 3128 e Sez. III, ;, 4 gennaio 2012, n. 9).
Né la circostanza che, nel caso di specie, l’Amministrazione non abbia ritenuto necessario svolgere ulteriore e autonomo accertamento dei fatti può implicare l’applicazione del suddetto termine.
Ne consegue che trovano applicazione i termini “dinamici” di cui all’art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che subordina l’estinzione del procedimento disciplinare alla decorrenza del termine di novanta giorni dall’ultimo atto, circostanza nella specie né allegata, né verificatasi.
Sotto altro profilo è del tutto erroneo, oltre a configurare come già rilevato un motivo nuovo inammissibile, il richiamo all’art. 5 comma 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, che concerne le sole condanne per i reati di cui al precedente art. 3, ossia riferite ai delitti previsti dagli art. 314 comma 1, 317, 318, 319, 319 ter e 320 c.p. e dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1941 n. 1383 (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 30 maggio 2013, n. 2937).
Da quanto precede consegue l’infondatezza del primo motivo d’appello.
4.2) Analogamente infondato è il secondo motivo d’appello, posto che per giurisprudenza consolidata il provvedimento disciplinare deve essere emanato e non anche comunicato entro il termine perentorio finale (o di fase) (cfr. tra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2017, n. 4586 e Sez. VI, 7 giugno 2011 n. 3414).
Nessun rilievo può, poi, assumere il richiamo all’art. 3 del c.p.m.p. che riguarda il solo assoggettamento alla legge penale militare.
4.3) E’ infondato anche il terzo motivo d’appello, perché l’amministrazione può porre a fondamento della responsabilità dell’incolpato anche i fatti che abbiano costituito oggetto di sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti (Cons. Stato, Sez. V, 23 settembre 2015, n. 4449 e Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2272), in base a un ragionevole apprezzamento dei fatti (Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 80), nella specie non scalfiti dalla prospettazione di spiegazione alternativa che non ha trovato ingresso nel giudizio penale e che non è stata comunque supportata da allegazioni difensive in sede disciplinare.
4.4) Con riferimento al quarto motivo d’appello, infine, deve rammentarsi che la valutazione della gravità del fatto, ai fini della commisurazione della sanzione, costituisce espressione di ampia discrezionalità amministrativa, insindacabile salvo che per evidenti profili di manifesto travisamento o manifesta illogicità e irragionevolezza, che palesino con immediatezza una chiara carenza di proporzionalità tra l'infrazione e il fatto, (Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858 e Sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791).
Nel caso di specie non è dato apprezzare alcuno di tali indici sintomatici, risultando correlata la sanzione espulsiva a fatto di obiettiva gravità denotante la violazione degli elementari doveri di un militare appartenente a forza armata investita di compiti di polizia; peraltro, nessun dubbio può esservi in ordine alla responsabilità dell’appellante, tenuto conto che questi ha ammesso di avere commesso i fatti contestati.
5.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con conferma della sentenza gravata.
6.) Non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio d’appello, nel quale non si è costituita l’Autorità ministeriale appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r. 2624 del 2014, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) rigetta l’appello, e per l’effetto conferma la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione 1^ bis, n. 10653 del 10 dicembre 2013;
2) dichiara non luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente FF
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Leonardo Spagnoletti Fabio Taormina
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
---------------------------------
1) - Nel caso, trattandosi di un carabiniere che si appropria di un considerevole numero di buoni pasto, rendendosi imputabile, per le modalità del fatto, di furto militare pluriaggravato, non può affermarsi che la perdita del grado per rimozione costituisca una sanzione sicuramente sproporzionata, rispondendo piuttosto a criterio di razionalità che l’Amministrazione militare giudichi non compatibile la prosecuzione del rapporto di lavoro con un soggetto che, per la funzione che è chiamato a svolgere, deve specificamente contrastare reati del genere.
2) - (furto pluriaggravato di n. 130 buoni pasto).
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201803424
- Public 2018-06-07 -
Pubblicato il 07/06/2018
N. 03424/2018 REG. PROV. COLL.
N. 02624/2014 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2624 del 2014, proposto dal Signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Castiello, Eduardo Boursier Intuita e Angela Isabella Colella, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Giuseppe Carbara, n. 64 per mandato in calce all’appello
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, già costituito nel giudizio di primo grado e non costituito nel giudizio d’appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione 1^ bis, n. 10653 del 10 dicembre 2013, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 5494/2015 proposto per l’annullamento della determinazione del Vice Direttore Generale per il personale militare in data 11 febbraio 2005 con cui è stata disposta l’applicazione della sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Cons. Leonardo Spagnoletti e udito per l’appellante l’avv. Francesco Castiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) Al signor -OMISSIS-, già appuntato dell’Arma dei Carabinieri, a seguito di sentenza emanata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dal G.I.P. del Tribunale militare di Roma, irrevocabile il 20 maggio 2004, è stata applicata la pena di mesi due e giorni venti di reclusione militare, sostituita con la multa di € 3040,00, in relazione al delitto contestato di furto militare pluriaggravato.
All’esito del procedimento disciplinare, con determinazione in data 11 febbraio 2015 è stata irrogata all’interessato la sanzione della perdita del grado per rimozione.
Con il ricorso in primo grado n.r. 5494/2015 il provvedimento è stato impugnato, deducendo in sintesi le seguenti censure:
1) Decadenza dell’azione disciplinare per superamento del termine per l’avvio del procedimento
L’Amministrazione ha ricevuto comunicazione per estratto della sentenza penale sin dal 28 aprile 2004 e copia della stessa non oltre il 10 maggio 2004, data della sua trasmissione in copia alla Compagnia C.C. Aeroporto di Roma-Fiumicino.
La contestazione dell’addebito è avvenuta con nota del 17 novembre 2004.
E’ quindi spirato il termine previsto dall’art. 9 della legge n. 19/1990 per l’avvio del procedimento (centottanta giorni), essendo decorsi sino alla contestazione centonovantuno giorni, con le relative conseguenze decadenziali in ordine all’esercizio del potere disciplinare.
2) Decadenza dell’azione disciplinare per superamento del termine per la conclusione del procedimento
Il provvedimento disciplinare è stato notificato all’interessato il 29 marzo 2005 al centounesimo giorno dalla data di contestazione dell’addebito (17 novembre 2004), oltre il termine di novanta giorni pure previsto dall’art. 9 della legge n. 19/1990 per la conclusione del procedimento, con conseguente ulteriore effetto decadenziale.
Peraltro nel caso di specie non è stato svolto alcun accertamento autonomo in ordine al fatto addebitato tale da giustificare il superamento del termine legale, ove anche ritenuto ordinatorio.
Né può revocarsi in dubbio che entro il termine il provvedimento deve essere non solo emanato, bensì notificato all’interessato, trattandosi di atto di natura recettizia, come deve argomentarsi dall’art. 3 del c.p.m.p. che assoggetta alla legge penale militare i militari sino alla notificazione del provvedimento di collocamento fuori dal servizio alle armi.
3) Violazione di legge (art. 38 della legge n. 1168/1961) per mancata emissione dell’ordine di deferimento a commissione di disciplina. Violazione del contraddittorio
Il deferimento alla commissione di disciplina deve intendersi come atto autonomo, distinto e motivato rispetto alla nomina e convocazione dell’organo, nel caso di specie mancato, come del pari all’interessato non è stato partecipato il rapporto finale dell’ufficiale accertatore, con conseguente compromissione del diritto di difesa.
4) Eccesso di potere e violazione di legge per carenza di istruttoria, contraddittorietà, mancata proporzionalità, palese travisamento dei fatti
Non è stato svolto alcun autonomo accertamento dei fatti, e nemmeno sono stati acquisiti gli atti del procedimento penale, ciò che avrebbe permesso di valutare la rilevanza di circostanze segnalate dall’interessato nel medesimo a supporto della sua alternativa spiegazione (rinvenimento e appropriazione di n. 58 buoni pasto, con successiva pronta restituzione e consegna anche di n. 34 buoni pasto appartenenti all’interessato) rispetto al fatto afferente all’imputazione penale (furto pluriaggravato di n. 130 buoni pasto).
5) Violazione Costituzione europea (art. II, 107 secondo comma) - Violazione dell’art. 1 legge n. 241/1990, come novellato dall’art. 1 della legge n. 15/2005 - Eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento
L’entità della sanzione irrogata è carente di proporzionalità rispetto al fatto addebitato, trattandosi peraltro di episodio isolato, in assenza di recidiva e considerati gli “ottimi precedenti di servizio”.
Costituitasi in giudizio l’Autorità Ministeriale ha dedotto, a sua volta, l’infondatezza del ricorso.
2.) Con sentenza n. 10653 del 10 dicembre 2013 il T.A.R. per il Lazio ha rigettato il ricorso, rilevando in estrema sintesi:
- l’infondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso in ragione dell’inapplicabilità dei termini previsti dall’art. 9 della legge n. 19/1990, riferibili a sentenze di condanna e non di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., con correlata applicazione delle disposizioni generali di cui al d.P.R. n. 3/1957;
- l’infondatezza del terzo motivo perché l’atto di deferimento alla commissione di disciplina è stato comunicato dallo stesso organo collegiale con nota del 26 dicembre 2004 all’interessato che ha sottoscritto la ricezione della medesima il 29 dicembre 2004; sotto altro profilo non è prevista alcuna notificazione del rapporto finale dell’ufficiale accertatore, che non è stato oggetto di richiesta di accesso da parte dell’interessato, che invece ha ricevuto copia di tutti gli altri atti e comunque “…con dichiarazione del 26 novembre 2004 ha rinunciato a presentare giustificazioni o documenti ed a chiedere particolari indagini”;
- l’infondatezza del quarto motivo perché “…come precisato nella sentenza di applicazione della pena su richiesta, l’imputato ha reso dichiarazioni pienamente confessorie … nella fase delle indagini preliminari; il che rende non rilevanti gli eventuali dubbi e le eventuali anomalie risultanti da una ricostruzione dei fatti, effettuata in momenti successivi al verificarsi di questi, attraverso ricordi di soggetti altri”;
- l’infondatezza del quinto motivo perché l’entità della sanzione disciplinare costituisce oggetto di valutazione di ampia discrezionalità, insindacabile se non per profili di manifesta illogicità e irragionevolezza, non ravvisabili nella specie perché “…trattandosi di un carabiniere che si appropria di un considerevole numero di buoni pasto, rendendosi imputabile, per le modalità del fatto, di furto militare pluriaggravato, non può affermarsi che la perdita del grado per rimozione costituisca una sanzione sicuramente sproporzionata, rispondendo piuttosto a criterio di razionalità che l’Amministrazione militare giudichi non compatibile la prosecuzione del rapporto di lavoro con un soggetto che, per la funzione che è chiamato a svolgere, deve specificamente contrastare reati del genere”.
3.) Con appello notificato il 6 marzo 2014 e depositato il 28 marzo 2014 la sentenza è stata impugnata, con deduzione, in sintesi, dei seguenti motivi:
1) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 19/1990 - Difetto di motivazione
La disciplina e i termini di cui all’epigrafata disposizione devono trovare applicazione nel caso di specie proprio perché non occorrevano ulteriori accertamenti, né avendo l’amministrazione ritenuto di svolgerli.
2) Error in iudicando: violazione per disapplicazione dell’art. 21 bis legge n. 241/1990 - Violazione del principio della domanda - Difetto di motivazione
La sentenza ha del tutto obliterato i rilievi svolti in ricorso in relazione alla sostenuta recettizietà del provvedimento disciplinare in relazione al disposto dell’art. 3 c.p.m.p.
3) Error in procedendo: omessa considerazione della memoria difensiva depositata in primo grado - Violazione del principio della domanda. Error in iudicando: violazione del principio di adeguatezza dell’istruttoria (art. 97 Cost.) - Violazione dell’art. 6 della legge n. 241/1990 - Violazione del diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.)
Si ribadisce che l’ufficiale accertatore non ha acquisito gli atti del procedimento penale e non ha considerato le circostanze segnalate dall’interessato nel medesimo a supporto della sua alternativa spiegazione rispetto al fatto afferente all’imputazione penale, lamentando che la sentenza non abbia argomentato in ordine alla loro irrilevanza.
4) Error in iudicando: violazione dei principi dell’ordinamento interno e comunitario di ragionevolezza e proporzionalità
La sentenza ha “apoditticamente” escluso l’abnormità della sanzione espulsiva, trascurando di considerare che in relazione all’alternativa ricostruzione del fatto, non poteva considerarsi adeguata alla condotta di appropriazione, seguita comunque da spontanea restituzione, e che sulla irrogazione poteva aver influito anche altra vicenda penale dalla quale l’interessato è stato poi completamente scagionato.
Nel giudizio non si è costituita l’Amministrazione appellata.
Con memoria difensiva depositata il 26 aprile 2018, ribaditi i motivi di appello, è stato dedotto:
- che la sentenza non ha considerato come, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 2 della legge n. 97/2001, la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una ordinaria pronuncia di condanna con riferimento ai procedimenti disciplinari, con efficacia di giudicato circa l’accertamento del fatto;
- che anche considerando applicabile il d.P.R. n. 3/1957 il procedimento avrebbe dovuto avere inizio entro il termine perentorio di centottanta giorni e comunque deve ritenersi applicabile l’art. 5 comma 4 della legge n. 97/2001 quanto alla complessiva durata di duecentosettanta giorni tra avvio e conclusione del procedimento.
All’udienza pubblica del 31 maggio 2018 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
4.) L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato con la conferma della sentenza gravata, dando atto delle deduzioni contenute nella memoria difensiva ultronee rispetto alla mera illustrazione dei motivi d’appello (e segnatamente i rilievi riferiti agli artt. 2 e 5 comma 4 della legge n. 97/2001, che costituiscono motivi nuovi introdotti per la prima volta in appello, e come tali sono inammissibili).
4.1) Con riferimento all’invocata applicabilità dei termini previsti dall’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, deve ribadirsi che la disposizione riguarda in modo testuale le sole sentenze irrevocabili di condanna, e quindi non può comprendere le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, secondo costante orientamento giurisprudenziale (vedi tra le tante Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781, secondo cui: “Nel caso in cui la sentenza penale di condanna del pubblico dipendente consegue alla richiesta delle parti (cd. patteggiamento), non è applicabile il termine di 90 giorni posto dell'art. 9 comma 2 l. 7 febbraio 1990 n. 19 per la conclusione del procedimento, ma la disciplina generale prevista dal t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, perché il termine più lungo ivi previsto si giustifica in considerazione della circostanza che nella fattispecie di cui all'art. 444 c.p.p. manca comunque la completezza degli elementi di prova propri del rito ordinario e l'Amministrazione è tenuta o comunque può liberamente compiere ulteriori accertamenti”; in senso conforme ancora Sez. V, 17 maggio 2010, n. 3128 e Sez. III, ;, 4 gennaio 2012, n. 9).
Né la circostanza che, nel caso di specie, l’Amministrazione non abbia ritenuto necessario svolgere ulteriore e autonomo accertamento dei fatti può implicare l’applicazione del suddetto termine.
Ne consegue che trovano applicazione i termini “dinamici” di cui all’art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che subordina l’estinzione del procedimento disciplinare alla decorrenza del termine di novanta giorni dall’ultimo atto, circostanza nella specie né allegata, né verificatasi.
Sotto altro profilo è del tutto erroneo, oltre a configurare come già rilevato un motivo nuovo inammissibile, il richiamo all’art. 5 comma 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, che concerne le sole condanne per i reati di cui al precedente art. 3, ossia riferite ai delitti previsti dagli art. 314 comma 1, 317, 318, 319, 319 ter e 320 c.p. e dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1941 n. 1383 (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 30 maggio 2013, n. 2937).
Da quanto precede consegue l’infondatezza del primo motivo d’appello.
4.2) Analogamente infondato è il secondo motivo d’appello, posto che per giurisprudenza consolidata il provvedimento disciplinare deve essere emanato e non anche comunicato entro il termine perentorio finale (o di fase) (cfr. tra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2017, n. 4586 e Sez. VI, 7 giugno 2011 n. 3414).
Nessun rilievo può, poi, assumere il richiamo all’art. 3 del c.p.m.p. che riguarda il solo assoggettamento alla legge penale militare.
4.3) E’ infondato anche il terzo motivo d’appello, perché l’amministrazione può porre a fondamento della responsabilità dell’incolpato anche i fatti che abbiano costituito oggetto di sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti (Cons. Stato, Sez. V, 23 settembre 2015, n. 4449 e Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2272), in base a un ragionevole apprezzamento dei fatti (Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 80), nella specie non scalfiti dalla prospettazione di spiegazione alternativa che non ha trovato ingresso nel giudizio penale e che non è stata comunque supportata da allegazioni difensive in sede disciplinare.
4.4) Con riferimento al quarto motivo d’appello, infine, deve rammentarsi che la valutazione della gravità del fatto, ai fini della commisurazione della sanzione, costituisce espressione di ampia discrezionalità amministrativa, insindacabile salvo che per evidenti profili di manifesto travisamento o manifesta illogicità e irragionevolezza, che palesino con immediatezza una chiara carenza di proporzionalità tra l'infrazione e il fatto, (Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858 e Sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791).
Nel caso di specie non è dato apprezzare alcuno di tali indici sintomatici, risultando correlata la sanzione espulsiva a fatto di obiettiva gravità denotante la violazione degli elementari doveri di un militare appartenente a forza armata investita di compiti di polizia; peraltro, nessun dubbio può esservi in ordine alla responsabilità dell’appellante, tenuto conto che questi ha ammesso di avere commesso i fatti contestati.
5.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con conferma della sentenza gravata.
6.) Non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio d’appello, nel quale non si è costituita l’Autorità ministeriale appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r. 2624 del 2014, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) rigetta l’appello, e per l’effetto conferma la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione 1^ bis, n. 10653 del 10 dicembre 2013;
2) dichiara non luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente FF
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Leonardo Spagnoletti Fabio Taormina
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
istanza di reintegrazione nel grado per "perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari".
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Ecco alcuni brani
1) - Comando Legione Carabinieri OMISSIS e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri esprimevano "parere favorevole" all'accoglimento della domanda evidenziando, in particolare, che:
— il militare, successivamente alla rimozione dal grado, aveva mantenuto "ottima condotta morale e civile";
-- i fatti risalivano a circa 30 anni orsono e non avevano avuto risvolti giudiziari;
2) - Conseguentemente, la Direzione Generale esprimeva parere favorevole all'accoglimento dell'istanza del militare e, pertanto, inviava la relativa documentazione alla Procura Generale Militare presso la Corte Militare di Appello affinché rilasciasse il necessario parere ai sensi dell'articolo 670, secondo comma, lettera a), n. 2 del D.P.R. 90/2010 "Testo unico regolamentare".
3) - La Corte Militare di Appello, in data ……. 2015, con parere n. .../2015, si esprimeva negativamente in merito all'istanza de quo, tenuto conto della complessiva condotta del ricorrente sia precedente che successiva al provvedimento di "perdita del grado" e in particolare:
OMISSIS
4) - Conseguentemente la Direzione Generale, con determinazione del .... 2015, stabiliva il rigetto dell'istanza in esame.
Il CdS precisa:
5) - Giova evidenziare che l'articolo 871, secondo comma, del decreto legislativo n. 66/2010 "Codice dell'Ordinamento Militare" prevede che il militare rimosso dal grado per motivi disciplinari possa essere reintegrato nel grado già posseduto, a domanda, e previo parere favorevole della Corte Militare d'Appello, quando abbia conservato "ottima condotta morale e civile" per almeno cinque anni dalla data della rimozione. Dal tenore letterale della disposizione (“può essere...”) emerge, quindi, che la reintegrazione nel grado non costituisce un diritto conseguente al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore ma dipende anche da una decisione di carattere discrezionale posta in essere dall’Amministrazione: ciò risulta, peraltro, confermato da un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, in base al quale “la reintegrazione non consegue automaticamente alla domanda, sussistendo in capo all'Amministrazione un ampio potere di valutazione di merito, sugli aspetti rilevanti sotto il profilo dell'interesse della funzione pubblica istituzionale” (Cons. di Stato, Sez. IV, 11 aprile 2011, n. 2233).
6) - La Sezione osserva inoltre che l'articolo 670, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 "Testo unico regolamentare", prevede che il Ministro della difesa, esaminati i documenti presentati, se ritiene di non dar corso alla domanda, provvede con decisione definitiva, altrimenti, rimette la domanda al Procuratore Generale Militare della Repubblica, al quale spetta concludere su di essa e richiedere il parere della Corte Militare d'Appello.
7) - In tale ipotesi, ai sensi dell'articolo 674 del citato D.P.R. n. 90/2010, il Ministro della difesa, nell'emettere le sue decisioni, può discostarsi dal parere della Corte Militare d'Appello solo se sarà favorevole all'accoglimento della domanda.
8) - In ultimo, la Sezione ritiene opportuno richiamare l'articolo 671 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 "Testo unico regolamentare" che prevede che la Corte Militare d'Appello "esprime il suo parere (...) tenuti presenti i fatti, la natura di essi, i precedenti e la condotta militare e morale dell'interessato e ogni altro elemento di giudizio".
9) - Dalle norme richiamate si evince come il Ministro della difesa sia vincolato dal parere della Corte Militare di Appello nell'ipotesi in cui questo sia negativo, come nel caso in esame e pertanto le doglianza del ricorrente non possono trovare accoglimento.
N.B.: rileggi però il punto n.5 ( per almeno cinque anni dalla data della rimozione).
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Ecco alcuni brani
1) - Comando Legione Carabinieri OMISSIS e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri esprimevano "parere favorevole" all'accoglimento della domanda evidenziando, in particolare, che:
— il militare, successivamente alla rimozione dal grado, aveva mantenuto "ottima condotta morale e civile";
-- i fatti risalivano a circa 30 anni orsono e non avevano avuto risvolti giudiziari;
2) - Conseguentemente, la Direzione Generale esprimeva parere favorevole all'accoglimento dell'istanza del militare e, pertanto, inviava la relativa documentazione alla Procura Generale Militare presso la Corte Militare di Appello affinché rilasciasse il necessario parere ai sensi dell'articolo 670, secondo comma, lettera a), n. 2 del D.P.R. 90/2010 "Testo unico regolamentare".
3) - La Corte Militare di Appello, in data ……. 2015, con parere n. .../2015, si esprimeva negativamente in merito all'istanza de quo, tenuto conto della complessiva condotta del ricorrente sia precedente che successiva al provvedimento di "perdita del grado" e in particolare:
OMISSIS
4) - Conseguentemente la Direzione Generale, con determinazione del .... 2015, stabiliva il rigetto dell'istanza in esame.
Il CdS precisa:
5) - Giova evidenziare che l'articolo 871, secondo comma, del decreto legislativo n. 66/2010 "Codice dell'Ordinamento Militare" prevede che il militare rimosso dal grado per motivi disciplinari possa essere reintegrato nel grado già posseduto, a domanda, e previo parere favorevole della Corte Militare d'Appello, quando abbia conservato "ottima condotta morale e civile" per almeno cinque anni dalla data della rimozione. Dal tenore letterale della disposizione (“può essere...”) emerge, quindi, che la reintegrazione nel grado non costituisce un diritto conseguente al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore ma dipende anche da una decisione di carattere discrezionale posta in essere dall’Amministrazione: ciò risulta, peraltro, confermato da un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, in base al quale “la reintegrazione non consegue automaticamente alla domanda, sussistendo in capo all'Amministrazione un ampio potere di valutazione di merito, sugli aspetti rilevanti sotto il profilo dell'interesse della funzione pubblica istituzionale” (Cons. di Stato, Sez. IV, 11 aprile 2011, n. 2233).
6) - La Sezione osserva inoltre che l'articolo 670, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 "Testo unico regolamentare", prevede che il Ministro della difesa, esaminati i documenti presentati, se ritiene di non dar corso alla domanda, provvede con decisione definitiva, altrimenti, rimette la domanda al Procuratore Generale Militare della Repubblica, al quale spetta concludere su di essa e richiedere il parere della Corte Militare d'Appello.
7) - In tale ipotesi, ai sensi dell'articolo 674 del citato D.P.R. n. 90/2010, il Ministro della difesa, nell'emettere le sue decisioni, può discostarsi dal parere della Corte Militare d'Appello solo se sarà favorevole all'accoglimento della domanda.
8) - In ultimo, la Sezione ritiene opportuno richiamare l'articolo 671 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 "Testo unico regolamentare" che prevede che la Corte Militare d'Appello "esprime il suo parere (...) tenuti presenti i fatti, la natura di essi, i precedenti e la condotta militare e morale dell'interessato e ogni altro elemento di giudizio".
9) - Dalle norme richiamate si evince come il Ministro della difesa sia vincolato dal parere della Corte Militare di Appello nell'ipotesi in cui questo sia negativo, come nel caso in esame e pertanto le doglianza del ricorrente non possono trovare accoglimento.
N.B.: rileggi però il punto n.5 ( per almeno cinque anni dalla data della rimozione).
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Ricorso alla CdC perso.
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1) - gli era stato chiesto di restituire una complessiva somma di 24.053,62 euro:
di cui
- 12.618,31 euro per il trattamento economico nei tre mesi successivi al collocamento a riposo e
- 11.435,31 euro quale compenso sostitutivo della licenza ordinaria.
La CdC precisa altresì, questa novità:
2) - Benché il XX abbia evocato in giudizio sia il Ministero della Difesa sia l’Arma dei Carabinieri, notificando loro (così come all’INPS) il ricorso introduttivo tra il 1° e il 2 marzo 2018,
la costituzione dell’Arma consente comunque di reputare integro il contraddittorio.
Infatti il primo periodo dell’art. 155 del D.Lgs. n° 66/2010 attribuisce all’Arma stessa “… collocazione autonoma …”, però “… nell’ambito del Ministero della Difesa …”:
il che rende equipollente la vocatio in ius dell’una o dell’altra di quelle P.A..
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Sezione LAZIO Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 293 Pubblicazione 09/05/2018
Sent 293/18
Corte dei conti
Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio
nella persona del giudice monocratico Eugenio Musumeci ha pronunciato la seguente
sentenza
nel giudizio pensionistico iscritto nel registro di segreteria con il n° 76035,
proposto da
XX , nato a Omissis rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra Valente (del foro di Bologna), nonché elettivamente domiciliato a Roma in viale Giuseppe Mazzini n° 113 presso lo studio dell’avv. Rosa Alba Grasso (del foro di Roma);
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Manuela Massa, Emanuela Capannolo, Clementina Pulli e Nicola Valente (tutti iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati presso il tribunale di Roma), nonché elettivamente domiciliato a Roma in via Cesare Beccaria n° 29 presso l’Avvocatura centrale dell’INPS stesso;
e contro
Ministero della Difesa, in persona del ministro pro tempore, non costituito;
e contro
Arma dei Carabinieri, in persona del comandante generale pro tempore, rappresentato e difeso dal responsabile pro tempore del Servizio trattamento economico del Centro nazionale amministrativo dell’Arma, nonché elettivamente domiciliato a Chieti in viale Benedetto Croce n° 154 presso la sede di quell’ufficio.
§§§
1. Con ricorso depositato presso questa Sezione il 21 marzo 2018 XX, militare dell’Arma dei Carabinieri collocato a riposo il OMISSIS (a causa di una “… grave patologia invalidante …”) e poi destinatario della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, ha domandato l’annullamento di un provvedimento, pervenutogli dall’Arma il 9 ottobre 2015, mediante cui gli era stato chiesto di restituire una complessiva somma di 24.053,62 euro: di cui 12.618,31 euro per il trattamento economico nei tre mesi successivi al collocamento a riposo e 11.435,31 euro quale compenso sostitutivo della licenza ordinaria. A suffragio di tale domanda il XX ha invocato il proprio affidamento riguardo al legittimo pagamento di quelle somme, l’insussistenza di alcuna delle fattispecie in cui l’art. 204 del D.P.R. n° 1092/1973 consente recuperi a carico del pensionato, l’illegittimità della sanzione disciplinare inflittagli (peraltro da lui impugnata dinanzi al giudice amministrativo), il pieno possesso dei requisiti pensionistici.
Proponendo altresì un’istanza cautelare finalizzata alla sospensione del recupero della predetta somma di 24.053,62 euro, l’odierno ricorrente ha evidenziato che oltre metà del rateo di pensione netto erogatogli mensilmente risultava destinato al pagamento di debiti verso terzi; e che, inoltre, egli era l’unico percettore di reddito in una famiglia di cinque componenti.
In via subordinata il XX ha domandato che l’importo di 12.618,31 euro, ove reputato suscettibile di recupero, venisse imputato all’INPS a compensazione dei ratei pensionistici che quest’ultimo avrebbe altrimenti dovuto pagare al XX stesso relativamente ai tre mesi successivi al suo collocamento a riposo.
2. Con memoria depositata l’11 aprile 2018 si è costituito l’INPS, eccependo sia il difetto di giurisdizione di questa Corte relativamente al recupero di somme che (a dire di quel resistente) avrebbero entrambe natura stipendiale, sia la carenza di legittimazione passiva dell’INPS stesso. Nel merito questi ha contestato anche la pretesa di imputare diversamente una componente stipendiale ed ha reputato insufficiente la prova di un periculum in mora.
Con memoria depositata il 17 di quello stesso mese si è costituita anche l’Arma dei Carabinieri, ricapitolando la vicenda sostanziale sfociata nel recupero contestato dal XX ed evidenziando che questi aveva vanamente adìto in proposito il giudice civile: atteso che il tribunale di OMISSIS, con sentenza n° OMISSIS, aveva rigettato l’opposizione dell’odierno ricorrente avverso l’ingiunzione di pagamento concernente la somma di cui gli era stata chiesta la restituzione dall’Arma stessa. Tale P.A. ha altresì sottolineato come l’odierna controversia inerisca al rapporto d’impiego del XX, dovendo perciò reputarsi devoluta al giudice amministrativo; ed ha negato pure l’esistenza tanto del periculum in mora quanto del fumus boni iuris.
3. All’udienza camerale svoltasi il 20 aprile 2018 la causa è stata discussa dai difensori del ricorrente e dell’INPS, con successiva riserva da parte di questo giudice riguardo alla decisione sulla domanda cautelare stessa: riserva che, appunto, viene sciolta con la presente sentenza.
4. Benché il XX abbia evocato in giudizio sia il Ministero della Difesa sia l’Arma dei Carabinieri, notificando loro (così come all’INPS) il ricorso introduttivo tra il 1° e il 2 marzo 2018, la costituzione dell’Arma consente comunque di reputare integro il contraddittorio. Infatti il primo periodo dell’art. 155 del D.Lgs. n° 66/2010 attribuisce all’Arma stessa “… collocazione autonoma …”, però “… nell’ambito del Ministero della Difesa …”: il che rende equipollente la vocatio in ius dell’una o dell’altra di quelle P.A..
Quindi la sostanziale “… completezza del contraddittorio …” rende ammissibile, ai sensi del comma 5 dell’art. 167 del codice di giustizia contabile, una “… decisione in forma semplificata …” del giudizio stesso: nel senso della manifesta infondatezza della pretesa attorea.
5. A tal proposito la circostanza che la restituzione del medesimo ammontare di 24.053,62 euro, oggetto dell’odierno giudizio, sia già stata direttamente avversata dal XX in altro giudizio, conclusosi sfavorevolmente per lui dinanzi al tribunale di OMISSIS (con sentenza n° OMISSIS: all. 18 alla comparsa dell’Arma dei Carabinieri), attribuisce, al giudizio dinanzi a questa Corte, valenza di inammissibile bis in idem rispetto a quel giudizio civile.
6. Inoltre ambedue le componenti di quella domanda restitutoria non rivestono natura pensionistica. Tale circostanza, se risulta palese relativamente al compenso sostitutivo della licenza ordinaria, appare confermata per l’altra componente dall’art. 58 del D.P.R. n° 1092/1973: laddove viene sancito che “… non competono le rate del trattamento di quiescenza durante il periodo di tre mesi in cui … sono corrisposti assegni pari a quelli di attività”. Né può rilevare il fatto che il recupero di tali indebiti venga operato mediante trattenute sulla pensione, anziché altrimenti.
7. Infine non è in alcun modo giustificato che l’Arma dei Carabinieri sospenda il recupero qui (nuovamente) impugnato sol perché un terzo, ossia l’INPS, sarebbe debitore nei confronti del debitore dell’Arma stessa.
Si consideri altresì che proprio quella domanda verso l’INPS, vagamente assimilabile ad un’impropria manleva, attribuisce all’ente previdenziale una legittimazione passiva altrimenti carente rispetto al presente giudizio.
8. La palese infondatezza della domanda attorea trae con sé la condanna del XX al pagamento delle spese di lite nei confronti di ciascuna delle convenute costituite. Tali spese, visto il quantum del recupero contestato dal ricorrente stesso, la mancata comparizione dell’Arma dei Carabinieri all’udienza camerale ed il minor impegno difensivo inerente un procedimento cautelare, si liquidano in euro 1.000 a favore dell’INPS ed in euro 500 a favore dell’Arma stessa.
p.q.m.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, a scioglimento della riserva formulata all’udienza camerale del 20 aprile 2018 in relazione al giudizio n° 76035, definitivamente pronunciando:
¨ rigetta la domanda proposta da XX;
¨ condanna il XX al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.000 (mille) in favore dell’INPS ed in euro 500 (cinquecento) in favore dell’Arma dei Carabinieri.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 20 aprile 2018.
il giudice
f.to (Eugenio Musumeci)
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 09/05/2018
P. Il Dirigente
f.to Dott. Alessandro VINICOLA
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1) - gli era stato chiesto di restituire una complessiva somma di 24.053,62 euro:
di cui
- 12.618,31 euro per il trattamento economico nei tre mesi successivi al collocamento a riposo e
- 11.435,31 euro quale compenso sostitutivo della licenza ordinaria.
La CdC precisa altresì, questa novità:
2) - Benché il XX abbia evocato in giudizio sia il Ministero della Difesa sia l’Arma dei Carabinieri, notificando loro (così come all’INPS) il ricorso introduttivo tra il 1° e il 2 marzo 2018,
la costituzione dell’Arma consente comunque di reputare integro il contraddittorio.
Infatti il primo periodo dell’art. 155 del D.Lgs. n° 66/2010 attribuisce all’Arma stessa “… collocazione autonoma …”, però “… nell’ambito del Ministero della Difesa …”:
il che rende equipollente la vocatio in ius dell’una o dell’altra di quelle P.A..
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Sezione LAZIO Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 293 Pubblicazione 09/05/2018
Sent 293/18
Corte dei conti
Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio
nella persona del giudice monocratico Eugenio Musumeci ha pronunciato la seguente
sentenza
nel giudizio pensionistico iscritto nel registro di segreteria con il n° 76035,
proposto da
XX , nato a Omissis rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra Valente (del foro di Bologna), nonché elettivamente domiciliato a Roma in viale Giuseppe Mazzini n° 113 presso lo studio dell’avv. Rosa Alba Grasso (del foro di Roma);
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Manuela Massa, Emanuela Capannolo, Clementina Pulli e Nicola Valente (tutti iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati presso il tribunale di Roma), nonché elettivamente domiciliato a Roma in via Cesare Beccaria n° 29 presso l’Avvocatura centrale dell’INPS stesso;
e contro
Ministero della Difesa, in persona del ministro pro tempore, non costituito;
e contro
Arma dei Carabinieri, in persona del comandante generale pro tempore, rappresentato e difeso dal responsabile pro tempore del Servizio trattamento economico del Centro nazionale amministrativo dell’Arma, nonché elettivamente domiciliato a Chieti in viale Benedetto Croce n° 154 presso la sede di quell’ufficio.
§§§
1. Con ricorso depositato presso questa Sezione il 21 marzo 2018 XX, militare dell’Arma dei Carabinieri collocato a riposo il OMISSIS (a causa di una “… grave patologia invalidante …”) e poi destinatario della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, ha domandato l’annullamento di un provvedimento, pervenutogli dall’Arma il 9 ottobre 2015, mediante cui gli era stato chiesto di restituire una complessiva somma di 24.053,62 euro: di cui 12.618,31 euro per il trattamento economico nei tre mesi successivi al collocamento a riposo e 11.435,31 euro quale compenso sostitutivo della licenza ordinaria. A suffragio di tale domanda il XX ha invocato il proprio affidamento riguardo al legittimo pagamento di quelle somme, l’insussistenza di alcuna delle fattispecie in cui l’art. 204 del D.P.R. n° 1092/1973 consente recuperi a carico del pensionato, l’illegittimità della sanzione disciplinare inflittagli (peraltro da lui impugnata dinanzi al giudice amministrativo), il pieno possesso dei requisiti pensionistici.
Proponendo altresì un’istanza cautelare finalizzata alla sospensione del recupero della predetta somma di 24.053,62 euro, l’odierno ricorrente ha evidenziato che oltre metà del rateo di pensione netto erogatogli mensilmente risultava destinato al pagamento di debiti verso terzi; e che, inoltre, egli era l’unico percettore di reddito in una famiglia di cinque componenti.
In via subordinata il XX ha domandato che l’importo di 12.618,31 euro, ove reputato suscettibile di recupero, venisse imputato all’INPS a compensazione dei ratei pensionistici che quest’ultimo avrebbe altrimenti dovuto pagare al XX stesso relativamente ai tre mesi successivi al suo collocamento a riposo.
2. Con memoria depositata l’11 aprile 2018 si è costituito l’INPS, eccependo sia il difetto di giurisdizione di questa Corte relativamente al recupero di somme che (a dire di quel resistente) avrebbero entrambe natura stipendiale, sia la carenza di legittimazione passiva dell’INPS stesso. Nel merito questi ha contestato anche la pretesa di imputare diversamente una componente stipendiale ed ha reputato insufficiente la prova di un periculum in mora.
Con memoria depositata il 17 di quello stesso mese si è costituita anche l’Arma dei Carabinieri, ricapitolando la vicenda sostanziale sfociata nel recupero contestato dal XX ed evidenziando che questi aveva vanamente adìto in proposito il giudice civile: atteso che il tribunale di OMISSIS, con sentenza n° OMISSIS, aveva rigettato l’opposizione dell’odierno ricorrente avverso l’ingiunzione di pagamento concernente la somma di cui gli era stata chiesta la restituzione dall’Arma stessa. Tale P.A. ha altresì sottolineato come l’odierna controversia inerisca al rapporto d’impiego del XX, dovendo perciò reputarsi devoluta al giudice amministrativo; ed ha negato pure l’esistenza tanto del periculum in mora quanto del fumus boni iuris.
3. All’udienza camerale svoltasi il 20 aprile 2018 la causa è stata discussa dai difensori del ricorrente e dell’INPS, con successiva riserva da parte di questo giudice riguardo alla decisione sulla domanda cautelare stessa: riserva che, appunto, viene sciolta con la presente sentenza.
4. Benché il XX abbia evocato in giudizio sia il Ministero della Difesa sia l’Arma dei Carabinieri, notificando loro (così come all’INPS) il ricorso introduttivo tra il 1° e il 2 marzo 2018, la costituzione dell’Arma consente comunque di reputare integro il contraddittorio. Infatti il primo periodo dell’art. 155 del D.Lgs. n° 66/2010 attribuisce all’Arma stessa “… collocazione autonoma …”, però “… nell’ambito del Ministero della Difesa …”: il che rende equipollente la vocatio in ius dell’una o dell’altra di quelle P.A..
Quindi la sostanziale “… completezza del contraddittorio …” rende ammissibile, ai sensi del comma 5 dell’art. 167 del codice di giustizia contabile, una “… decisione in forma semplificata …” del giudizio stesso: nel senso della manifesta infondatezza della pretesa attorea.
5. A tal proposito la circostanza che la restituzione del medesimo ammontare di 24.053,62 euro, oggetto dell’odierno giudizio, sia già stata direttamente avversata dal XX in altro giudizio, conclusosi sfavorevolmente per lui dinanzi al tribunale di OMISSIS (con sentenza n° OMISSIS: all. 18 alla comparsa dell’Arma dei Carabinieri), attribuisce, al giudizio dinanzi a questa Corte, valenza di inammissibile bis in idem rispetto a quel giudizio civile.
6. Inoltre ambedue le componenti di quella domanda restitutoria non rivestono natura pensionistica. Tale circostanza, se risulta palese relativamente al compenso sostitutivo della licenza ordinaria, appare confermata per l’altra componente dall’art. 58 del D.P.R. n° 1092/1973: laddove viene sancito che “… non competono le rate del trattamento di quiescenza durante il periodo di tre mesi in cui … sono corrisposti assegni pari a quelli di attività”. Né può rilevare il fatto che il recupero di tali indebiti venga operato mediante trattenute sulla pensione, anziché altrimenti.
7. Infine non è in alcun modo giustificato che l’Arma dei Carabinieri sospenda il recupero qui (nuovamente) impugnato sol perché un terzo, ossia l’INPS, sarebbe debitore nei confronti del debitore dell’Arma stessa.
Si consideri altresì che proprio quella domanda verso l’INPS, vagamente assimilabile ad un’impropria manleva, attribuisce all’ente previdenziale una legittimazione passiva altrimenti carente rispetto al presente giudizio.
8. La palese infondatezza della domanda attorea trae con sé la condanna del XX al pagamento delle spese di lite nei confronti di ciascuna delle convenute costituite. Tali spese, visto il quantum del recupero contestato dal ricorrente stesso, la mancata comparizione dell’Arma dei Carabinieri all’udienza camerale ed il minor impegno difensivo inerente un procedimento cautelare, si liquidano in euro 1.000 a favore dell’INPS ed in euro 500 a favore dell’Arma stessa.
p.q.m.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, a scioglimento della riserva formulata all’udienza camerale del 20 aprile 2018 in relazione al giudizio n° 76035, definitivamente pronunciando:
¨ rigetta la domanda proposta da XX;
¨ condanna il XX al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 1.000 (mille) in favore dell’INPS ed in euro 500 (cinquecento) in favore dell’Arma dei Carabinieri.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 20 aprile 2018.
il giudice
f.to (Eugenio Musumeci)
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 09/05/2018
P. Il Dirigente
f.to Dott. Alessandro VINICOLA
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
se avete letto bene la suindicata sentenza della CdC, all'interessato è stato anche chiesto la restituzione della somma di 11.435,31 euro, quale compenso sostitutivo della licenza ordinaria.
Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
CdS
1) - Visto che, con sentenza n. 268 del 2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici;
2) - Visto che il T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Sesta Sezione, con sentenza 26 luglio 2017, n. 3975, di conseguenza, ha accolto il ricorso proposto dal signor -OMISSIS- e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato;
3) - Visto che, con nota del 12 settembre 2018, l’appellante ha chiesto che sia accertata la cessata materia del contendere e, per l’effetto, dichiarata l’improcedibilità dell’appello ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.c.;
vedi allegato
1) - Visto che, con sentenza n. 268 del 2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici;
2) - Visto che il T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Sesta Sezione, con sentenza 26 luglio 2017, n. 3975, di conseguenza, ha accolto il ricorso proposto dal signor -OMISSIS- e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato;
3) - Visto che, con nota del 12 settembre 2018, l’appellante ha chiesto che sia accertata la cessata materia del contendere e, per l’effetto, dichiarata l’improcedibilità dell’appello ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.c.;
vedi allegato
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Il CdS accoglie l'appello del Ministero della Difesa
1) - “Luogotenente dell'Arma, all’epoca dei fatti Comandante della Stazione di -OMISSIS-, ometteva di comunicare all'Autorità Giudiziaria n. ... notizie di reato relative a svariate fattispecie penali, acquisite da quel Comando Stazione in epoca compresa tra il 1994 ed il 2011, in larga parte a cura del citato Ispettore e rinvenute in un ufficio ed in un armadio metallico ubicati presso il suddetto Comando, di cui solo il Luogotenente aveva la disponibilità e l’uso”;
1) - “Luogotenente dell'Arma, all’epoca dei fatti Comandante della Stazione di -OMISSIS-, ometteva di comunicare all'Autorità Giudiziaria n. ... notizie di reato relative a svariate fattispecie penali, acquisite da quel Comando Stazione in epoca compresa tra il 1994 ed il 2011, in larga parte a cura del citato Ispettore e rinvenute in un ufficio ed in un armadio metallico ubicati presso il suddetto Comando, di cui solo il Luogotenente aveva la disponibilità e l’uso”;
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Il CdS accoglie l'appello del ricorrente nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, con annullamento del provvedimento impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
1) - condannato a tre anni di reclusione e alla pena accessoria della interdizione temporanea dei pubblici uffici per cinque anni con sentenza della Corte d’appello di -OMISSIS- del 23 aprile 2003, divenuta irrevocabile il 23 gennaio 2008 con la conferma da parte della Corte di Cassazione, per il reato di OMISSIS commesso nel 1994.
2) - perdita del grado, riabilitazione e diniego della istanza di reintegrazione in servizio
Il CdS scrive:
3) - In base alla norma dell’art. 872 c.o.m., la reintegrazione è possibile quando sia intervenuta la riabilitazione in sede penale. (N.B.: ma la reintegrazione in servizio resta una scelta di carattere discrezionale dell’Amministrazione)
4) - Il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’Amministrazione, come affermato anche dal giudice di primo grado, non può non comportare la rilevanza della mancanza di partecipazione procedimentale dell’interessato, nel caso di specie, con la omissione della comunicazione del preavviso di rigetto, con la conseguenza che la relativa censura si palesa fondata ed idonea a definire il giudizio.
5) - Tale disposizione, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, è stata ritenuta applicabile anche al difetto del preavviso di rigetto (Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3948; Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667), condividendo con la comunicazione di avvio procedimentale del procedimento la stessa funzione di garantire il contraddittorio endoprocedimentale.
N.B.: per comprendere meglio tutti i motivi Vi rinvio alla lettura dell'allegato.
1) - condannato a tre anni di reclusione e alla pena accessoria della interdizione temporanea dei pubblici uffici per cinque anni con sentenza della Corte d’appello di -OMISSIS- del 23 aprile 2003, divenuta irrevocabile il 23 gennaio 2008 con la conferma da parte della Corte di Cassazione, per il reato di OMISSIS commesso nel 1994.
2) - perdita del grado, riabilitazione e diniego della istanza di reintegrazione in servizio
Il CdS scrive:
3) - In base alla norma dell’art. 872 c.o.m., la reintegrazione è possibile quando sia intervenuta la riabilitazione in sede penale. (N.B.: ma la reintegrazione in servizio resta una scelta di carattere discrezionale dell’Amministrazione)
4) - Il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’Amministrazione, come affermato anche dal giudice di primo grado, non può non comportare la rilevanza della mancanza di partecipazione procedimentale dell’interessato, nel caso di specie, con la omissione della comunicazione del preavviso di rigetto, con la conseguenza che la relativa censura si palesa fondata ed idonea a definire il giudizio.
5) - Tale disposizione, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, è stata ritenuta applicabile anche al difetto del preavviso di rigetto (Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3948; Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667), condividendo con la comunicazione di avvio procedimentale del procedimento la stessa funzione di garantire il contraddittorio endoprocedimentale.
N.B.: per comprendere meglio tutti i motivi Vi rinvio alla lettura dell'allegato.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
sanzione disciplinare della destituzione PolStato
Il CdS rigetta l'Appello del Ministero dell'Interno confermando la tesi del Tar Calabria
1) - Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, aveva accolto il ricorso proposto - avverso il decreto datato 30 luglio 2019, con il quale il Capo della Polizia ha disposto l’estinzione del rapporto di impiego del ricorrente a decorrere dal 22 maggio 2013, ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 2, 3 e 4, del D.P.R. n. 737 del 1981.
2) - Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso dell’interessato poiché il provvedimento era stato adottato oltre il termine perentorio di 180 giorni, previsto dall’art. 5, comma 4, l. 27 marzo 2001 n. 97 e decorrente dalla data di avvio del procedimento disciplinare. Ad avviso del TAR, infatti, tra il 24 gennaio 2019, data di inizio del procedimento disciplinare coincidente con la contestazione degli addebiti, e il 30 luglio 2019, data in cui è stato adottato il decreto del Capo della Polizia di destituzione dell’incolpato, intercorrono più dei centottanta giorni previsti dalla citata norma per la definizione del procedimento disciplinare.
Il CdS precisa che:
3) - L’art. 5, comma 4, l. 27 marzo 2001 n. 97 sancisce che, nel caso in cui sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici di cui all’art. 3 comma 1 (tra cui sono compresi gli appartenenti alle Forze Armate e alla Polizia di Stato), il procedimento disciplinare finalizzato all’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego deve avere inizio entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione e deve concludersi entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio.
4) - La disposizione contempla due distinti termini di fase del procedimento, ancorandoli a due differenti dies a quo di decorrenza:
a) un termine per l’avvio del procedimento disciplinare, che è pari a novanta giorni decorrenti dalla comunicazione all’amministrazione della sentenza irrevocabile di condanna;
b) un termine per la conclusione del procedimento che è pari a centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio.
5) - Una volta che il termine di cui alla lettera a) è stato rispettato con la tempestiva adozione dell’atto di contestazione degli addebiti, si apre la seconda fase procedimentale che deve chiudersi nel termine di centottanta giorni di cui alla lettera b), termine che, di conseguenza, inizia a decorre solo nel momento in cui si è chiusa la prima fase con l’atto di contestazione degli addebiti.
N.B.: Consiglio di leggere meglio il tutto direttamente dall'allegato per ulteriori chiarimenti.
Il CdS rigetta l'Appello del Ministero dell'Interno confermando la tesi del Tar Calabria
1) - Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, aveva accolto il ricorso proposto - avverso il decreto datato 30 luglio 2019, con il quale il Capo della Polizia ha disposto l’estinzione del rapporto di impiego del ricorrente a decorrere dal 22 maggio 2013, ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 2, 3 e 4, del D.P.R. n. 737 del 1981.
2) - Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso dell’interessato poiché il provvedimento era stato adottato oltre il termine perentorio di 180 giorni, previsto dall’art. 5, comma 4, l. 27 marzo 2001 n. 97 e decorrente dalla data di avvio del procedimento disciplinare. Ad avviso del TAR, infatti, tra il 24 gennaio 2019, data di inizio del procedimento disciplinare coincidente con la contestazione degli addebiti, e il 30 luglio 2019, data in cui è stato adottato il decreto del Capo della Polizia di destituzione dell’incolpato, intercorrono più dei centottanta giorni previsti dalla citata norma per la definizione del procedimento disciplinare.
Il CdS precisa che:
3) - L’art. 5, comma 4, l. 27 marzo 2001 n. 97 sancisce che, nel caso in cui sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici di cui all’art. 3 comma 1 (tra cui sono compresi gli appartenenti alle Forze Armate e alla Polizia di Stato), il procedimento disciplinare finalizzato all’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego deve avere inizio entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione e deve concludersi entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio.
4) - La disposizione contempla due distinti termini di fase del procedimento, ancorandoli a due differenti dies a quo di decorrenza:
a) un termine per l’avvio del procedimento disciplinare, che è pari a novanta giorni decorrenti dalla comunicazione all’amministrazione della sentenza irrevocabile di condanna;
b) un termine per la conclusione del procedimento che è pari a centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio.
5) - Una volta che il termine di cui alla lettera a) è stato rispettato con la tempestiva adozione dell’atto di contestazione degli addebiti, si apre la seconda fase procedimentale che deve chiudersi nel termine di centottanta giorni di cui alla lettera b), termine che, di conseguenza, inizia a decorre solo nel momento in cui si è chiusa la prima fase con l’atto di contestazione degli addebiti.
N.B.: Consiglio di leggere meglio il tutto direttamente dall'allegato per ulteriori chiarimenti.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
Il CGAR Siciliana rigetta l'appello del ricorrente
- è stata applicata nei confronti del ricorrente la sanzione della perdita del grado
Ecco alcuni brani:
1) - ha prestato servizio fino allo 07/06/2018, data in cui veniva disposta, con la determina del Comandante Regionale della Sicilia, adottata in data 05/06/2018, la sua cessazione dal servizio per il raggiungimento dei limiti d’età.
2) - In seguito, veniva avviato, in data 09/08/2018, nei confronti dello stesso un procedimento disciplinare di Stato, a seguito della sua condanna in primo grado
3) - Il procedimento disciplinare è stato avviato in data 09/08/2018 ..... , con la quale l’Ufficiale Inquirente contestava al militare gli specifici addebiti, ai sensi dell’art. 1376 d.lgs. 66/2010, stante che l’Amministrazione non avrebbe, infatti, potuto esercitare l’azione disciplinare finché non avesse avuto la conoscenza integrale della sentenza della Suprema Corte.
4) - Il procedimento disciplinare si concludeva con l’adozione, in data 04/03/2019, del provvedimento del Comandante Interregionale dell’Italia Sud-Occidentale della Guardia di Finanza ..., con il quale veniva adottata una sanzione disciplinare di stato di natura espulsiva nei confronti dell’odierno appellante e, segnatamente, la perdita del grado di Luogotenente per rimozione, con retrodatazione degli effetti a partire dallo 07/06/2018.
5) - Del resto, rilevante è la circostanza, sottolineata nella memoria delle Amministrazioni appellate del 19 gennaio 2023 che la decorrenza della sanzione, il mutamento della causa di cessazione dal servizio ed il mancato riconoscimento dei connessi benefici economici (combinato disposto degli artt. 2 e 21 l. 232/90) operano in forza di legge e non sono, pertanto, frutto di autonome decisioni dell’Autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.
N.B.: Penso che sia stato compromesso il diritto alla liquidazione del trattamento di fine servizio.
- è stata applicata nei confronti del ricorrente la sanzione della perdita del grado
Ecco alcuni brani:
1) - ha prestato servizio fino allo 07/06/2018, data in cui veniva disposta, con la determina del Comandante Regionale della Sicilia, adottata in data 05/06/2018, la sua cessazione dal servizio per il raggiungimento dei limiti d’età.
2) - In seguito, veniva avviato, in data 09/08/2018, nei confronti dello stesso un procedimento disciplinare di Stato, a seguito della sua condanna in primo grado
3) - Il procedimento disciplinare è stato avviato in data 09/08/2018 ..... , con la quale l’Ufficiale Inquirente contestava al militare gli specifici addebiti, ai sensi dell’art. 1376 d.lgs. 66/2010, stante che l’Amministrazione non avrebbe, infatti, potuto esercitare l’azione disciplinare finché non avesse avuto la conoscenza integrale della sentenza della Suprema Corte.
4) - Il procedimento disciplinare si concludeva con l’adozione, in data 04/03/2019, del provvedimento del Comandante Interregionale dell’Italia Sud-Occidentale della Guardia di Finanza ..., con il quale veniva adottata una sanzione disciplinare di stato di natura espulsiva nei confronti dell’odierno appellante e, segnatamente, la perdita del grado di Luogotenente per rimozione, con retrodatazione degli effetti a partire dallo 07/06/2018.
5) - Del resto, rilevante è la circostanza, sottolineata nella memoria delle Amministrazioni appellate del 19 gennaio 2023 che la decorrenza della sanzione, il mutamento della causa di cessazione dal servizio ed il mancato riconoscimento dei connessi benefici economici (combinato disposto degli artt. 2 e 21 l. 232/90) operano in forza di legge e non sono, pertanto, frutto di autonome decisioni dell’Autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.
N.B.: Penso che sia stato compromesso il diritto alla liquidazione del trattamento di fine servizio.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
CdC sez. 1^ d’Appello n. 8 (pubb. il 22/01/2024) in Rif. alla CdC Campania n. 1041/2021, rigetta l’appello del ricorrente della GdF,
- collocato da prima in congedo per infermità dal 2.11.2017 e, poi, per perdita del grado per rimozione, con decorrenza dalla medesima data - a seguito di condanna definitiva, all’esito del correlato procedimento disciplinare, culminato con il verdetto della commissione del 9.11.2017 e con il provvedimento di destituzione del 6.12.2017 –
- nei Motivi della decisione, il Giudice precisa altresì:
1) - Ne discende, alla stregua del quadro normativo richiamato e rettamente interpretato, che la cessazione dal servizio per motivi sanzionatori andava fatta risalire addirittura alla sospensione precauzionale e, comunque, in data antecedente a quella di maturazione dei requisiti di legge per l’ottenimento del diritto a pensione (2.11.2017)
P.S.: Cmq. per meglio comprendere il tutto, leggete direttamente dall’allegato.
- collocato da prima in congedo per infermità dal 2.11.2017 e, poi, per perdita del grado per rimozione, con decorrenza dalla medesima data - a seguito di condanna definitiva, all’esito del correlato procedimento disciplinare, culminato con il verdetto della commissione del 9.11.2017 e con il provvedimento di destituzione del 6.12.2017 –
- nei Motivi della decisione, il Giudice precisa altresì:
1) - Ne discende, alla stregua del quadro normativo richiamato e rettamente interpretato, che la cessazione dal servizio per motivi sanzionatori andava fatta risalire addirittura alla sospensione precauzionale e, comunque, in data antecedente a quella di maturazione dei requisiti di legge per l’ottenimento del diritto a pensione (2.11.2017)
P.S.: Cmq. per meglio comprendere il tutto, leggete direttamente dall’allegato.
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Re: Sanzione Disciplinare della perdita del grado.
CdC Sez. 3^ d’Appello n. 266/2024 accoglie l’Appello Principale del Comando GdF
perdita del grado per rimozione
N.B.: > alla data di cessazione dal servizio, 25 anni, mesi 8 e 21 giorni di servizio utile, di cui 23 anni e mesi 8 di servizio effettivo e aveva raggiunto 44 anni di età.
- violazione di legge dovuta all'erronea applicazione dell'art. 52, comma 3, del D.P.R. n.1092/1973 ai fini della individuazione dei requisiti per l'attribuzione della pensione normale, in quanto alla data del congedo (16/9/2005), avvenuto per perdita del grado per rimozione, ai fini dell'individuazione dei requisiti minimi necessari per conseguire la pensione ordinaria erano applicabili le norme dettate dal D.lgs. n.165/1997 e della legge n.449/1997, sicché il ricorrente non sarebbe in possesso dei requisiti (ed Altro su Pensione Privilegiata).
Ecco alcuni brani del Giudice del presente Appello precisa altresì:
DIRITTO
4. Così chiariti i termini della questione la stessa può essere decisa sulla scorta del precedente di cui alle Sezioni d’Appello per la Sicilia, nella sentenza n. 63/2023.
1) - Il possesso del requisito dei 15 anni di anzianità contributiva, in passato valido ai fini dell’accesso a pensione normale, é attualmente vigente soltanto in caso di cessazione per infermità, dipendente o meno da causa di servizio, a norma degli artt.42, comma 1, e 52, comma 1, del D.P.R. n.1092/1973.
2) - Nel caso di specie alla data del congedo (16.9.2005) l’età anagrafica del XX era di anni 44 sicché egli difettava del requisito anagrafico di cui ad ambedue le riportate disposizioni.
3) - In conclusione, al sig. XX correttamente, è stato liquidato il trattamento pensionistico privilegiato con il sistema “percentualista", ovvero secondo il comma 2 dell’art. 67 e col beneficio previsto susseguente previsto dal comma 3, di detto articolo, mentre ha errato il primo giudice nel ritenere operante il comma 4.
5. Come ha correttamente osservato l’INPS nella propria memoria difensiva l’applicazione del coefficiente di rendimento di cui all’art. 54, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973 è incompatibile con lo speciale sistema di calcolo della pensione “a percentuale” di cui all’art. 67, comma 2, del medesimo D.P.R.
N.B.: Per meglio conoscere i fatti, consiglio di leggere il tutto direttamente dalla sentenza reperibile sul sito della Corte dei Conti.
perdita del grado per rimozione
N.B.: > alla data di cessazione dal servizio, 25 anni, mesi 8 e 21 giorni di servizio utile, di cui 23 anni e mesi 8 di servizio effettivo e aveva raggiunto 44 anni di età.
- violazione di legge dovuta all'erronea applicazione dell'art. 52, comma 3, del D.P.R. n.1092/1973 ai fini della individuazione dei requisiti per l'attribuzione della pensione normale, in quanto alla data del congedo (16/9/2005), avvenuto per perdita del grado per rimozione, ai fini dell'individuazione dei requisiti minimi necessari per conseguire la pensione ordinaria erano applicabili le norme dettate dal D.lgs. n.165/1997 e della legge n.449/1997, sicché il ricorrente non sarebbe in possesso dei requisiti (ed Altro su Pensione Privilegiata).
Ecco alcuni brani del Giudice del presente Appello precisa altresì:
DIRITTO
4. Così chiariti i termini della questione la stessa può essere decisa sulla scorta del precedente di cui alle Sezioni d’Appello per la Sicilia, nella sentenza n. 63/2023.
1) - Il possesso del requisito dei 15 anni di anzianità contributiva, in passato valido ai fini dell’accesso a pensione normale, é attualmente vigente soltanto in caso di cessazione per infermità, dipendente o meno da causa di servizio, a norma degli artt.42, comma 1, e 52, comma 1, del D.P.R. n.1092/1973.
2) - Nel caso di specie alla data del congedo (16.9.2005) l’età anagrafica del XX era di anni 44 sicché egli difettava del requisito anagrafico di cui ad ambedue le riportate disposizioni.
3) - In conclusione, al sig. XX correttamente, è stato liquidato il trattamento pensionistico privilegiato con il sistema “percentualista", ovvero secondo il comma 2 dell’art. 67 e col beneficio previsto susseguente previsto dal comma 3, di detto articolo, mentre ha errato il primo giudice nel ritenere operante il comma 4.
5. Come ha correttamente osservato l’INPS nella propria memoria difensiva l’applicazione del coefficiente di rendimento di cui all’art. 54, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973 è incompatibile con lo speciale sistema di calcolo della pensione “a percentuale” di cui all’art. 67, comma 2, del medesimo D.P.R.
N.B.: Per meglio conoscere i fatti, consiglio di leggere il tutto direttamente dalla sentenza reperibile sul sito della Corte dei Conti.
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