Sanzione di Stato - 8 mesi sospensione

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Sanzione di Stato - 8 mesi sospensione

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"Maresciallo Capo, all'epoca dei fatti Maresciallo in sottordine alla stazione Carabinieri di Portici (Na), in data 12 marzo 2010, interveniva nei confronti dei componenti di una pattuglia del suo stesso Reparto affinché non procedessero alla contestazione amministrativa di una violazione del Codice della Strada nei riguardi di un soggetto sorpreso alla guida di un motoveicolo privo di copertura assicurativa…..”.

Ricorso rigettato.

TAR CAMPANIA, pubblicato 01/03/2021
N. 01307/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01117/2019 REG.RIC.


FATTO

Parte ricorrente, Maresciallo Capo dell’Arma dei Carabinieri in servizio permanente impugna il provvedimento in epigrafe indicato recante “la sanzione disciplinare della sospensione dall'impiego per 8 mesi, ai sensi dell'art. 1357, comma primo lettera a) del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 con la seguente motivazione : Maresciallo Capo, all'epoca dei fatti Maresciallo in sottordine alla stazione Carabinieri di Portici (Na), in data 12 marzo 2010, interveniva nei confronti dei componenti di una pattuglia del suo stesso Reparto affinché non procedessero alla contestazione amministrativa di una violazione del Codice della Strada nei riguardi di un soggetto sorpreso alla guida di un motoveicolo privo di copertura assicurativa…..”.

Espone in fatto che in data 3 gennaio 2018 veniva con sentenza penale, divenuta irrevocabile il 20 aprile 2018, assolto nell’ambito del procedimento penale n. -OMISSIS-/13 RGNR istaurato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ai sensi dell’art. 530, comma 2 c.p.p. con formula piena “per non aver commesso il fatto” dai reati ascritti di cui agli artt. -OMISSIS- del c.p.

Detto procedimento aveva visto imputato il ricorrente insieme ad altri due militari dell’Arma a lui sotto-ordinati, in quanto ritenuti dall’autorità inquirente in concorso tra loro responsabili di aver agevolato il proprietario di un ciclomotore che, fermato per un controllo, pur essendo risultato sprovvisto di polizza assicurativa, veniva portato in caserma e, dopo poco, rilasciato senza alcun tipo di sanzione; nella ricostruzione dell’autorità inquirente il tutto veniva fatto al fine di agevolare il soggetto fermato in quanto legato da rapporto di lavoro con una quarta persona a sua volta in amicizia con il ricorrente. Il reato contestato risaliva al 12.03.2010. In data 30.5.2018, la sentenza penale di assoluzione veniva acquisita dall’Amministrazione. Nella sentenza si legge che “... il compendio conoscitivo offerto al Collegio consente di operare una ricostruzione dei fatti fondanti l’assunto accusatorio solo attraverso le dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio dall’imputato …, soggette ai limiti di utilizzabilità di cui all’art. 513 c.p.p. venendo altrimenti in rilievo degli accertamenti di pg di per se’ insufficienti a delineare l’ipotesi accusatoria ed a comprovare la responsabilità degli imputati.

Di qui la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato deducendone vizi di violazione e di legge ed eccesso di potere.

Si costituiva l’amministrazione intimata, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza del 23.2.2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono.

Con la prima, articolata censura parte ricorrente deduce l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, da un alto, per violazione di legge ed, in particolare, dell’art. 653 c.p.p. in correlazione del giudicato penale assolutorio ed al principio del ne bis in idem; e, dall’altro, per eccesso di potere sotto il profilo del difetto e travisamento delle norme di riferimento e per insufficiente e/o irrazionale motivazione.

La doglianza non merita favorevole considerazione.

Quanto al primo profilo s’osserva in senso contrario che, come emerso in sede di documentazione procedimentale in atti, l’autorità preposta all’accertamento della responsabilità disciplinare, pur innestandosi sull’attività istruttoria svolta in sede penale, ha autonomamente considerato la fondatezza dei fatti addebitati, al fine di valutare la rilevanza a tal fine delle condotte de quibus, con conseguente inoperatività del vincolo ex art. 653 c.p.p. ed inconfigurabilità della dedotta violazione del principio del ne bis in idem. Sul punto, del resto, con orientamento consolidato la giurisprudenza amministrativa ribadisce il principio di diritto per cui “non sussiste alcuna violazione del giudicato penale che, quand’anche assolutorio (nella specie, con la formula per non aver commesso il fatto”), può ben contenere elementi suscettibili di autonoma valutazione in sede disciplinare, eventualmente per accertati rapporti comunque significativi sotto tale profilo e, nel caso in esame, posti in luce dal funzionario istruttore (Cons. Stato, sez. VI, sent. nr. 3426/2006. Con specifico riferimento a fatti “come desumibili da intercettazioni telefoniche, acquisite da altro ispettore di Polizia e già utilizzate dal pubblico ministero per ricostruire i fatti poi esposti nella sentenza penale conclusiva della vicenda”).

Quanto al secondo e correlato aspetto - premesso in termini generali che il livello di certezza richiesto in sede di accertamento della responsabilità penale non si pone su di un piano di perfetta simmetria rispetto all’addebito disciplinare in ragione della diversa traiettoria prospettica delle sottese valutazioni e del differente grado di rimproverabilità ad esse correlato - s’osserva che gli ivi dedotti elementi presuntivi (sussistenza di rapporti non meramente formali, presenza in servizio presso la stazione quale vicecomandante nel giorno dei fatti e composizione della pattuglia operante aveva proceduto al controllo), penalmente ritenuti insufficienti anche in considerazione della inutilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento penale stante il divieto di cui all’art. 270 co.1 c.p.p., sono stati congruamente ritenuti idonei a fondare l’addebito disciplinare in quanto significativi di un sufficiente livello di consumabilità della condotta ascritta. Ne consegue la congruità istruttorio-motivazionale dell’impugnato provvedimento che resiste in tal senso alle critiche sviluppate in sede di ricorso e do successiva memoria.

Parimenti è da dirsi infine in relazione alla subordinata censura di violazione di legge ed eccesso di potere sotto il profilo dell’irragionevolezza della sanzione per inidoneità della stessa, iniquità, non congruità, non gradualità e non proporzionalità.

Ed, invero, tenuto conto della gravità dei fatti in relazione alla qualifica rivestita al tempo degli stessi ed alla appartenenza ad un corpo di Polizia preposto istituzionalmente al rispetto delle regole di condotta da parte dei consociati, la valutazione dosimetrica operata nel caso di specie non evidenzia quei profili di manifesta illogicità e palese incongruità entro i quali può operare i sindacato in sede giurisdizionale.

In definitiva il ricorso va respinto.

Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.


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