Sentenza del 2023.
Sospeso con decreto del Questore nel 1994 e successivamente con decreto del Prefetto del 1995 revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di guardia giurata e quella connessa di porto d’armi.
A distanza di anni il CdS con sentenza pubblicata in data 20/04/2023, accoglie l’appello del ricorrente per il risarcimento del danno da provvedimento amministrativo.
N.B.: qui sotto alcuni brani finali della sentenza del CdS
1) - A tal fine, pare opportuno considerare che nella legge è dato rinvenire il criterio di misurazione dell’equivalente monetario alternativo alla tutela reale: ci si riferisce, segnatamente, all’indennità prevista dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 23/2015.
2) - L’Amministrazione intimata viene condannata a risarcire l’appellante del danno patrimoniale e non patrimoniale da questi patito per effetto dell’illegittima revoca del porto d’armi.
3) - Ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., si ordina all’Amministrazione resistente di proporre entro trenta giorni dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione se anteriore, della presente sentenza all’appellante il pagamento della somma di denaro, determinata facendo applicazione, quanto al danno patrimoniale, del criterio desumibile dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 23/2015 e, quanto al danno non patrimoniale, della percentuale del 10% sul danno patrimoniale così liquidato.
OMISSIS
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto – in riforma della sentenza gravata – accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna l’Amministrazione resistente a rifondere all’appellante le spese di giudizio, che liquida in complessivi euro 1.000,00 (mille/00) in favore dell’appellante, oltre agli accessori di legge.
OMISSIS
Il tutto potete leggerlo direttamente dall’allegato.
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DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2015, n. 23
Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00037)
note: Entrata in vigore del provvedimento: 07/03/2015 (Ultimo aggiornamento all'atto pubblicato il 28/02/2024)
(GU n.54 del 06-03-2015)
Art. 2
Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale
1. Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
((9))
Aggiornamenti all'articolo
DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2015, n. 23
Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00037) (GU n.54 del 6-3-2015 )
28/02/2024 • La Corte costituzionale, con sentenza 23 gennaio 2024, n. 22 (in G.U. 28/02/2024 n. 9)
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1.
N. 22 SENTENZA 23 gennaio - 22 febbraio 2024
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Licenziamento individuale - Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (c.d. Jobs Act) - Applicazione ai lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore - Licenziamenti nulli, discriminatori e disciplinari ingiustificati per specifiche fattispecie - Tutela reintegratoria - Condizioni - Necessita' che la nullita' del licenziamento appartenga ai casi espressamente previsti dalla legge, anziche' ai casi previsti dalla legge - Eccesso di delega - Illegittimita' costituzionale parziale. - Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, art. 2, comma 1. - Costituzione, art. 76.
(GU n.9 del 28-02-2024)
2. Con la pronuncia di cui al comma 1, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
4. La disciplina di cui al presente articolo trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.
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AGGIORNAMENTO (9)
La Corte Costituzionale, con sentenza 23 gennaio - 22 febbraio 2024 n. 22 (in G.U. 1ª s.s. 28/02/2024 n. 9), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alla parola «espressamente»".
Risarcimento del danno da provvedimento amministrativo.
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