RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Anche se la sentenza non riguarda personalmente il personale Militare però penso che si potrebbe "prendere spunto" nel caso di un eventuale ricorso Amministrativo per fatti riguardanti il servizio e non. Nel caso di questa sentenza del Consiglio di Stato riguarda un Prof. Medico così come si potra' leggere direttamente nella sentenza completa da estrapolare dal sito internet in quanto consta 32 pagine e per brevità dell'interesse nostro metto in evidenza solo alcuni elementi per uso informativo. Questi alcuni elementi:

N. 02045/2010 REG.DEC.
N. 05942/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5942 del 2008, proposto dal prof. E. L., rappresentato e difeso dall’avv. Donatella Resta, presso cui elettivamente domicilia in Roma, Lungotevere Marzio 3,
contro
l’Università degli studi di Padova, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti ……
e
il Ministero dell’università e della ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
per la riforma
della sentenza del TAR del Veneto, Sez. I, 14 maggio 2007, n. 1459, resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Vista la decisione interlocutoria n. 6226 del 9 ottobre 2009 ed il conseguente adempimento istruttorio;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2010, il consigliere Paolo Buonvino;
Uditi per le parti gli avvocati Resta, Cester e Luigi Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
1) – Si riporta, di seguito, la decisione interlocutoria della Sezione n. 6226 del 9 ottobre 2009, relativa al presente gravame.
“Oggetto dell’appello è la sentenza specificata in rubrica, con la quale il TAR del Veneto ha respinto il ricorso proposto dall'attuale appellante, in servizio fino al 1° aprile 2005 presso l'Università di Padova quale professore associato confermato, per l'accertamento del comportamento vessatorio, tenuto dall'Università nei suoi confronti fin dagli anni ‘70, e per la condanna al risarcimento dei danni subiti a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, distintamente a titolo di danno biologico, danno morale, danno esistenziale, danno all'immagine, danno patrimoniale, per complessivi di € 2.255.000,00.
Secondo il primo giudice, che, peraltro ha ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa sia in relazione alla responsabilità ex articolo 2087 del codice civile, sia in relazione alla responsabilità ex articolo 2043 del codice civile, non vi sarebbero nel caso di specie gli estremi per configurare un comportamento vessatorio imputabile al datore di lavoro ma, semmai, una situazione di forte competizione tra pari grado, che peraltro ha visto il ricorrente più volte sconfitto.
L'appellante contesta le motivazioni contenute nella sentenza, sostenendo, al contrario, che l'Amministrazione, attraverso i suoi dirigenti, avrebbe perseguito costantemente l'obiettivo di mortificarne l'immagine, la professionalità e la posizione tanto da indurlo a presentare le dimissioni dal servizio. Il primo giudice, infatti, nel ridurre le vessazioni a mere competizioni tra pari grado, ha trascurato di considerare che egli era legato agli autori della condotta dell'Amministrazione da un vincolo di dipendenza gerarchica e funzionale, posto che questi, in quanto professori ordinari, svolgevano il ruolo di direttore del Dipartimento e di direttore della Clinica ostetrica presso l'Università di Padova. Cioè del servizio cui l'appellante era assegnato in qualità di professore associato, equiparato a medico appartenente ad una posizione intermedia. Contesta, poi, la sentenza impugnata sotto il profilo del difetto di motivazione. Nelle conclusioni, l'appellante, in via istruttoria, chiede che venga disposta una consulenza tecnica d'ufficio di carattere medico legale, al fine di accertare eziologia, natura e gravità delle patologie lamentate nonché l'acquisizione di documentazione in possesso presso l'Università di Padova.
Conclude quindi chiedendo, in riforma della sentenza appellata, l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso di primo grado.
E’ costituita in giudizio l’Università degli studi di Padova, che controbatte le tesi avversarie, eccependo, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione, in relazione alla mancata attribuzione della direzione delle scuole di ostetricia di Venezia e di Udine ed al mancato svolgimento dell'attività assistenziale, per la quale è competente il Servizio sanitario nazionale. Sempre in via preliminare, eccepisce la prescrizione delle pretese anteriori al 17 giugno 1986. Contesta, poi, nel merito le affermazioni dell’appellante, che ritiene sfornite della benché minima prova per quel che attiene sia al comportamento antigiuridico che al danno subito, con riferimento alle singole voci indicate dall’appellante. Conclude, infine, per il rigetto dell'appello.
E’ altresì costituito in appello il Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca, che chiede venga dichiarata la sua estromissione del giudizio trattandosi gli atti e comportamenti riferibili unicamente all'Ateneo…………………
Il giudice di primo grado, pur ammettendo che nel caso di specie "il servizio e il cursus honorum del ricorrente, all’interno della divisione medica in cui operava, può dirsi contrassegnato da forte ostilità con le due figure di vertice con le quali egli ha avuto a che fare nel corso del suo servizio" ha però aggiunto che "anche se può sembrare in qualche modo forzato, si può dire, invero, che i veri avversari del ricorrente sono i prof. O. e A., che, stando alla narrazione dei fatti , lo hanno osteggiato in tutti i modi. Ma essi, più che come esponenti della P.A.- datore di lavoro, vanno considerati, insieme con gli altri medici- docenti preferiti al ricorrente, all’incirca quali concorrenti pressoché inter pares, sul terreno della competizione professionale (da cui il ricorrente è uscito a più riprese sconfitto)".
Ora, l'appello contesta tale impostazione osservando che i prof. O. e A., in quanto professori ordinari hanno svolto in successione un ruolo, quali direttori del Dipartimento e della clinica ostetrica presso l'Università di Padova, gerarchicamente sovraordinato a quello del ricorrente il quale rivestiva la qualifica di professore associato. Una posizione che ha loro consentito di esercitare una serie di pressioni psicologiche e vessazioni, che, in quanto tollerate dall'Amministrazione universitaria, sono ad essa direttamente riconducibili sotto il profilo risarcitorio. Sottolinea inoltre come il nesso di causalità tra le persecuzioni subite e la patologia da cui è affetto il ricorrente "cardiopatia ischemico ipertensiva e dilatativa con fibrillazione istriale" è stato già accertato dal comitato per la verifica delle cause di servizio nell'adunanza del 5 dicembre 2005 come derivante dalle particolari condizioni in cui egli è stato costretto a lavorare.
2. Prima di procedere all'esame delle questioni di diritto sottese alla presente controversia, il Collegio ritiene di dover espletare attività istruttoria al fine di collocare secondo una precisa visione prospettica alcune situazioni di fatto rilevanti ai fini del decidere:
La prima concerne la ricostruzione della posizione di dipendenza gerarchica del ricorrente dai proff. O. e A., nei periodi in cui si sono svolti gli episodi da lui riferiti e puntualmente riportati nell'esposizione in fatto contenuta nella sentenza impugnata, nonché riepilogati dall'appellante nella memoria presentata per l'odierna udienza di discussione datata 25 maggio 2009.
La seconda riguarda la conoscenza da parte degli organi accademici della situazione conflittuale esistente all’interno del Dipartimento e della Clinica ostetrica e le eventuali misure adottate per porvi rimedio.
La terza concerne il procedimento per la concessione dell'equo indennizzo, non solo in relazione al nesso di causalità ma anche in relazione agli sviluppi che esso ha avuto in termini di ristoro del pregiudizio sanitario subito dall’interessato.
3. Ai fini del decidere, pertanto, appare opportuno acquisire agli atti del presente giudizio:
- una relazione documentata dalla quale risulti la situazione gerarchica interna alla Clinica Ostetrica per i periodi nei quali erano direttori professori O. e .e i due direttori avevano assegnato al professor L.V., con l'ulteriore specificazione se tali compiti fossero assegnati in autonomia oppure sotto il coordinamento di altro sanitario. In quest'ultimo caso, la relazione dovrà contenere il nome e la qualifica del sanitario incaricato della funzione di coordinamento e direzione;
- una relazione documentata sulle misure adottate per porre fine alla conflittualità denunciata nell’atto introduttivo del giudizio ed ammessa pacificamente dall’Amministrazione universitaria negli scritti difensivi acquisiti agli atti del giudizio;
- tutti gli atti relativi al procedimento per la concessione dell'equo indennizzo”.
Intervenuto l’adempimento istruttorio da parte dell’Università appellata (atti depositati il 19 dicembre 2009), la causa torna all’esame del Collegio.
DIRITTO
1) – Prima di prendere in esame le eccezioni di inammissibilità dell’originario ricorso per difetto di legittimazione passiva dell’Università appellata (nonché la richiesta di estromissione dal giudizio avanzata dal MURST), ritiene il Collegio di dover riassumere gli specifici elementi fattuali succedutisi nel tempo ed elencati dall’interessato che connoterebbero di antigiuridicità il comportamento omissivo al quale l’appellante riconduce l’accusa di mobbing nei confronti dell’Ateneo patavino.
Le vicende in questione, che si desumono dagli atti di causa, si articolano come segue:
- il prof. L. (appellante) è stato assistente incaricato presso la Clinica di ostetricia e ginecologia dell’Università di Padova omissis
- si omettono vari passaggi……………..
2) - Fatta questa premessa in fatto, va, ora verificato se la condotta tenuta dalle Amministrazioni alle quali era riferibile, nel complesso, il rapporto di servizio del prof. L., nonché quella dei professori universitari ad esse facenti capo (e, in particolare, dai titolari della clinica Ostetrico-ginecologica presso la quale gli stessi sono stati, in successione, preposti all’attività assistenziale e accanto ai quali, negli anni, ha operato il prof. L.), fosse da ritenere produttiva di gravi pregiudizi nella sfera dell’interessato, sia sul piano professionale che su quello morale e della salute.
Al riguardo, giova premettere che il c.d. “danno da mobbing” consiste in una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, connotata dal carattere della persecuzione, finalizzata all'emarginazione del lavoratore ed idonea a concretare una lesione dell'integrità psicofisica e della personalità del prestatore, altresì (sotto il diverso profilo dell'accertamento del danno) deve essere condiviso l'orientamento giurisprudenziale secondo cui tale accertamento comporti una valutazione complessiva degli episodi lamentati dal lavoratore, i quali devono essere valutati in modo unitario, tenuto conto da un lato dell'idoneità offensiva della condotta datoriale (come desumibile dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione) e, dall'altro, della connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della richiamata condotta (in tal senso: Cass. Civ., Sez. Lav., sent. 6 marzo 2006, n. 4774); e che il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore; caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi), la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione o all'emarginazione del dipendente) e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico; fondamento dell'illegittimità è l'obbligo datoriale di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore, ai sensi dell'art. 2087 c.c. Può anche utilmente farsi riferimento alla ricostruzione dell’istituto del mobbing, secondo il quale esso non richiede la prova del dolo, essendo sufficiente che il comportamento dannoso non trovi una ragionevole spiegazione. Nel caso in cui il comportamento materiale sia posto in essere da altro dipendente, la responsabilità del datore può discendere, attraverso l'art. 2049 c.c., da colpevole inerzia nella rimozione del fatto lesivo (cfr. Cassazione civile , Sez. lavoro, 09 settembre 2008 , n. 22858; cfr. anche Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente), e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico. Lo specifico intento che lo sorregge e la sua protrazione nel tempo lo distinguono da singoli atti illegittimi (quale la mera dequalificazione ex art. 2103 cod. civ.); fondamento dell'illegittimità è (in tal senso, anche Cass. 6 marzo 2006 n. 4774) l'obbligo datoriale, ex art. 2087 cod. civ., di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore; da ciò, la responsabilità del datore anche ove (pur in assenza d'un suo specifico intento lesivo) il comportamento materiale sia posto in essere da altro dipendente; anche se il diretto comportamento in esame è caratterizzato da uno specifico intento lesivo, la responsabilità del datore (ove il comportamento sia direttamente riferibile ad altri dipendenti aziendali) può discendere, attraverso l'art. 2049 cod. civ., da colpevole inerzia nella rimozione del fatto lesivo (in tale ipotesi esigendosi tuttavia l'intrinseca illiceità soggettiva ed oggettiva di tale diretto comportamento - Cass. 4 marzo 2005 n. 4742 - ed il rapporto di occasionalità necessaria fra attività lavorativa e danno subito: Cass. 6 marzo 2008 n. 6033). Per la natura (anche legittima) dei singoli episodi e per la protrazione del comportamento nel tempo nonché per l'unitarietà dell'intento lesivo, è necessario che da un canto si dia rilievo ad ogni singolo elemento in cui il comportamento si manifesta (assumendo rilievo anche la soggettiva angolazione del comportamento, come costruito e destinato ad essere percepito dal lavoratore);d'altro canto, è necessario che i singoli elementi siano poi oggetto d'una valutazione non limitata al piano atomistico, bensì elevata al fatto nella sua articolata complessità e nella sua strutturale unitarietà.
Giova anche ricordare (cfr. Cons. St., Sezione VI, n. 728/29009) che la giurisdizione sul risarcimento del danno, anche biologico, derivante da mobbing sussiste nella misura strettamente riconducibile ad un contesto di specifiche inadempienze agli obblighi del datore di lavoro; dette inadempienze possono ravvisarsi anche in comportamenti omissivi, contraddittori o dilatori dell’Amministrazione, ovvero in atti posti in essere in violazione di norme, sulle quali non sussistano incertezze interpretative, o ancora nella reiterazione di atti, anche affetti da mere irregolarità formali, ma dal cui insieme emerga una grave alterazione del rapporto sinallagmatico, tale da determinare un danno all’immagine professionale e alla salute del dipendente.
E che (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 ottobre 2008, n. 4738), secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nell'ipotesi dell'accertamento di fatti di mobbing che si assumono aver cagionato al prestatore di lavoro rilevanti conseguenze sul piano morale e psicofisico, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale (in specie, laddove la domanda risarcitoria risulti espressamente fondata sulla lamentata inosservanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti il rapporto di impiego), potendo ipotizzarsi una configurazione aquiliana dell'actio risarcitoria solo laddove il lavoratore abbia chiesto in modo generico il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale (sul punto, cfr. - ex plurimis - Cass. Sez. Un. 4 novembre 1996 n. 9522, 28 luglio 1998 n. 7394, 14 dicembre 1999 n. 900, 12 marzo 2001 n. 99, 11 luglio 2001 n. 9385, 29 gennaio 2002 n. 1147, 25 luglio 2002 n. 10956, 5 agosto 2002 n. 11756, 23 gennaio 2004 n. 1248). Quando l’azione risarcitoria rinvenga, dunque, il proprio presupposto nell'espletamento dell'attività lavorativa da parte e nella ritenuta violazione, da parte del datore di lavoro, degli obblighi su di esso incombenti ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., ne consegue il carattere contrattuale della proposta azione risarcitoria. Una volta ricondotta, poi, la controversia risarcitoria nell'alveo della responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ., la distribuzione dell'onere probatorio fra il prestatore (asseritamente) danneggiato ed il datore di lavoro deve essere operata in base al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui grava sul lavoratore l'onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro - in base al principio di inversione dell'onus probandi di cui al richiamato art. 1218 cod. civ. - il solo onere di provare l'assenza di una colpa a se riferibile (in tal senso, ex plurimis: Cass. Civ., Sez. lavoro, sent. 25 maggio 2006, n. 12445; id., Sezione lavoro., sent. 8 maggio 2007, n. 10441). Laddove, quindi, il lavoratore ometta di fornire la prova anche solo in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale della fattispecie oggettiva (i.e., della complessiva condotta mobbizzante asseritamente realizzata in proprio danno sul luogo di lavoro), difetterà in radice uno degli elementi costitutivi della fattispecie foriera di danno (e del conseguente obbligo risarcitorio), con l'evidente conseguenza che il risarcimento non sarà dovuto, irrilevante essendo, in tal caso, ogni ulteriore indagine in ordine alla sussistenza o meno del nesso eziologico fra la condotta e l'evento dannoso.
3) - Ciò premesso in linea generale, può rilevarsi, con specifico riguardo al presente caso di specie, che il ricorso proposto dall’originario ricorrente e odierno appellante appare instaurato nel solco della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., il medesimo avendo lamentato, da un lato, i comportamenti lesivi della sua sfera giuridica tenuti nel tempo, in particolare, da due professori universitari (che in vario modo, nel tempo, avrebbero creato gravi ostacoli al libero espletamento della propria attività lavorativa e al pieno e pacifico estrinsecarsi delle proprie capacità professionali, determinando, in capo al medesimo, anche il subentro di gravi infermità) e, dall’altro, la condotta parimenti colpevole dell’Ateneo di appartenenza cha avrebbe, in passato, concorso, in varie occasioni, a privare l’interessato di adeguati sbocchi professionali ed avrebbe, inoltre, tenuto un atteggiamento negligente ed omissivo allorquando, a dire del deducente, avrebbe dovuto e potuto intervenire, nel tempo – anche a seguito delle ripetute segnalazioni da parte dell’interessato – per contrastare l’azione dei predetti docenti, restituendo normalità al rapporto di servizio.
4) - In tale ottica, ritiene il Collegio che ricorrano, nella specie, nei limiti che si andrà a precisare, i presupposti per riconoscere la lamentata condotta mobbizzante, nonché il nesso eziologico che lega questa all’evento dannoso, ovvero, al pregiudizio per la sfera giuridica dell’interessato, sul quale pure ci si soffermerà in seguito.
In particolare, sotto il primo dei detti profili, assumono carattere rilevante (anche quali indici della conflittualità tra i predetti professori universitari e il prof. L.):
- il fatto che il prof. L. pur nella veste di assistente di ruolo, dal 1977 fino al 29 dicembre 1985 presso la cattedra di ostetricia e ginecologia, non abbia potuto, in tale posizione, svolgere attività assistenziale (e percepire la relativa indennità)……;
- si omettono altri passaggi a noi non interessanti …..
5) - Questi i fatti che il Collegio ritiene rilevanti in vista della definizione della presente controversia.
Ometto i fatti rilevanti che si rimandano ad una lettura completa della sentenza sul sito internet …..; ciò quanto meno per verificare se quanto denunciato rispondesse al vero e se vi fossero margini per ricomporre una situazione che appariva, comunque degradata, ciò nell’interesse stesso della struttura sanitaria universitaria di cui si tratta, o, all’occorrenza, per intervenire sul piano disciplinare; si aggiunga che il mancato intervento degli organi universitari ha, poi, concorso a determinare l’abbandono anticipato del servizio da parte dell’interessato a cagione dell’aggravamento del suo stato di salute, documentato in atti fin dal 1990, via via aggravatosi e confermato, formalmente, dal riconoscimento, all’interessato, dell’infermità (comportante assoluta inidoneità lavorativa) dipendente da causa di servizio e dell’equo indennizzo; riconoscimenti, questi ultimi, che, nel giudizio degli organi sanitari preposti ai relativi accertamenti, appaiono correlati, oltre che a risalenti problemi di carattere cardiaco, anche alla situazione di stress lavorativo documentata dall’interessato (v. verbale n. 98 del 28 aprile 2005 della Commissione medica di verifica di Padova, che richiama la documentazione afferente a denunce, procedimenti giudiziari etc., e la delibera del Comitato di Verifica per le cause di servizio, ove si precisa che, attraverso la lettura “della relazione trasmessa dall’Amministrazione e dalla documentazione in atti è dato ravvisare….il nesso eziologico tra l’infermità denunciata dal richiedente e riscontrata dalla Commissione Medica e l’attività di servizio prestata e che, comunque, gli elementi e le circostanze di fatto evidenziati si prospettano in rapporto di valida efficienza eziopatogenica con l’insorgenza e l’evoluzione dell’evento morboso”).
Ometto altre narrazioni ….
In questa situazione s’inscrive, poi, come dianzi notato, il fatto che il Preside della Facoltà, con la ripetuta nota del 16 maggio 1985, abbia, in effetti, stigmatizzato l’iniziativa giurisdizionale assunta innanzi al giudice amministrativo dal prof. L. con riguardo al conferimento dei detti incarichi; dal che traspare un animus non sereno da parte del mondo accademico in ordine ad iniziative giudiziarie volte, in effetti, solo a far valere il buon diritto dell’interessato a svolgere incarichi professionali di sicuro spessore ai fini delle aspettative di valido sviluppo di carriera, oltre che sicuramente remunerativi.
Valenza mobbizzante hanno acquistato, poi, come notato, anche l’assoggettamento, in due occasioni, del prof. L., a procedimenti disciplinari, pure su segnalazioni del prof. O., conclusisi con l’archiviazione; anche in tal caso si tratta, invero, di un indice di pressione psicologica nei confronti del medesimo pur in presenza, evidentemente, di elementi di incolpazione privi di consistenza.
Ometto altre narrazioni ………
Quelle sin qui riportate appaiono circostanze mobbizzanti significative, intervenute, come detto, nel periodo in cui il prof. O. era preposto alle strutture sanitarie anzidette; e tali circostanze si sono riverberate, in certa misura, sia sul piano della salute del prof. L., sia su quello della dequalificazione professionale e, talora, del demansionamento; sotto il primo profilo, in quanto lo stato di salute dell’interessato risulta essere peggiorato con riferimento alle vicende, per lui dannose sul piano professionale, succedutesi negli anni, come desumibile dalla certificazione medica prodotta in atti dal ricorrente, che dà atto dell’aggravamento della situazione cardio-circolatoria e dell’insorgere di più spiccati picchi pressori (al medesimo, come notato, è stato riconosciuta anche l’infermità dipendente da causa di sevizio e il diritto all’equo indennizzo tenuto anche conto proprio delle vicende e dei precedenti di carriera dallo stesso documentati); sotto gli ulteriori profili, in quanto l’interessato risulta essere stato, a più riprese, privato di compiti assistenziali o di incarichi che era legittimato a conseguire; così come pure sottoposto a pressioni psicologiche, legate alla carriera, riconducibili alle varie azioni nei suoi confronti intentate a livello penale o sanzionatorio (sempre su iniziativa primariale); di qui il nesso eziologico corrente tra condotta tenuta dall’Amministrazione o da suoi esponenti e danno patito dall’interessato, da determinarsi, poi, anche nelle sue scansioni temporali.
6) – Rilevato, quindi che le condotte dannose descritte si sono svolte nell’ambito del rapporto di impiego universitario,si tratta, ora, di stabilire in che grado l’Università intimata possa ritenersi responsabile di tali condotte.
Ritiene, al riguardo, il Collegio che la presente vicenda verte, in effetti, su fatti venuti in essere, da una lato, con riguardo all’assegnazione di incarichi di diretta competenza dell’Università (direzione delle Scuole di Venezia e Udine), ……
7) – Quanto al periodo al quale riferire le richieste risarcitorie avanzate dall’interessato, va disattesa, anzitutto, l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Università con riferimento alle pretese antecedenti di un decennio al 16 ottobre 2006 (data di notifica del ricorso di primo grado); ciò in quanto con nota ricevuta dall’Università il 17 giugno 1996 il ricorrente ha interrotto i termini di prescrizione (la nota, “da intendersi anche ai fini dell’interruzione della prescrizione”, è da ritenersi, anche se sintetica, produttiva di effetto interruttivo delineando le responsabilità oggettive dell’Università “in relazione a fatti compiuti da dipendenti o collaboratori di detta Amministrazione ivi compresi atti denigratori, diffamatori e calunniatori”)
Si aggiunga, poi, che, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sia per responsabilità contrattuale che per responsabilità extracontrattuale, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che il termine di prescrizione ex art. 2935 c.c. inizia a decorrere non già dal momento in cui il fatto del terzo viene a ledere l'altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile (cfr. Cassazione civile , sez. lav., 20 luglio 2007 , n. 16148; Cass. n. 12666 del 2003, Cass. n. 9927 del 2000, Cass. n. 8845 del 1995, Cass. n. 3206 del 1989, Cass. n. 4532 del 1987); e, nel caso in esame, la situazione di pregiudizio relativa alle situazioni venute in essere in data più remota (mancata assegnazione di compiti assistenziali dal 1977), è potuta emergere, con certezza, già a partire dal 1983, allorché la mancata prestazione di attività assistenziale ha lasciato trasparire con certezza il significato che sul piano economico e di carriera produceva la mancata assegnazione di detti compiti; il periodo corrente fino a tale data e quello successivo (in cui il danno si era, ormai, manifestato) corrente fino al 16 giugno 1986 (data corrispondente ad un decennio antecedente alla predetta nota interruttiva della prescrizione) non può, quindi, essere preso in considerazione a fini risarcitori ostandovi l’eccepita (già in primo grado) prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.
E neppure può essere preso in utile considerazione il periodo corrente dall’inizio del 1998 fino a tutto il mese di novembre 2000 in quanto, in tale lasso temporale, l’interessato, come dallo stesso ammesso, ha potuto espletare senza pregiudizi e in assenza di contrasti interni il proprio servizio come preposto al reparto di Ostetricia.
In ordine, infine, alla concreta quantificazione dei danni che l’appellante assume di aver patito, indicati già in primo grado, ritiene il Collegio che possa procedersi ad una loro complessiva quantificazione in via equitativa e onnicomprensiva, in misura pari, per ogni anno di servizio decorrente dal 16 giugno 1986 e fino alla data di collocamento a riposo, ad € 15.000 (e con esclusione del periodo Gennaio 1998/novembre 2000, dianzi indicato); con gli interessi nella misura legale decorrenti dalla data di notificazione del ricorso di primo grado al soddisfo.
8) – Per tali motivi l’appello in epigrafe va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con la conseguente condanna dell’Università al pagamento, a favore dell’appellante, delle somme di cui all’esposizione che precede.
Le spese del doppio grado sono liquidate nel dispositivo e poste a carico dell’Università appellata; sono compensate nei confronti del Ministero dell’Università e Ricerca.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, condanna l’Università appellata al pagamento, a favore dell’appellante, delle somme di cui all’esposizione che precede.
Condanna l’Università di Padova al pagamento delle spese del doppio grado, che si liquidano in complessivi € 2.500,00(duemilacinquecento/00); compensa le spese nei confronti del Ministero appellato.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere, Estensore
Roberto Garofoli, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



Depositato in segreteria il 13/04/2010


Spero di aver fatto cosa gradita visto che sono richiamate diverse sentenze.
Un saluto a tutti.


panorama
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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Questa sentenza Parziale del Tar Lazio del 22/05/2006 riguarda un ispettore della Polizia Penitenziaria e la sua situazione non è stata portata ancora a conclusione come potete leggere anche voi. La causa è stata rinviata per ulteriore trattazione al giorno 01/07/2010 di cui al ricorso originale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio
Sez.I Quater
ha pronunciato la seguente
SENTENZA PARZIALE
sul ricorso n. 1759/2003, proposto dal sig. C. P. rappresentato e difeso dagli Avvocati ……… ed elettivamente domiciliato presso gli stessi in Roma, via ….;
contro
IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;
per il risarcimento
dei danni patrimoniali e non patrimoniali, morali e biologici per perdita di chance e lesione all’immagine del ricorrente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avv.ra Gen.le dello Stato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 2 febbraio 2006, il Consigliere G. De Michele e uditi, altresì, gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Attraverso il ricorso in esame, notificato il 10.2.2003, il signor P. C. – già Ispettore Superiore del corpo di Polizia Penitenziaria, in congedo dal 7.7.1998 ed infine dimissionario dal servizio – chiede il risarcimento dei danni subiti per cosiddetto “mobbing”, ovvero per “menzogne, falsità, offese e ingiurie”, cui sarebbero riconducibili numerose turbative della vita professionale del medesimo, con conseguente danno all’immagine e alla salute.
Diversi gli episodi contestati: due successivi procedimenti disciplinari (il primo concluso col proscioglimento, il secondo con sanzione pecuniaria annullata in sede giurisdizionale); un trasferimento per incompatibilità ambientale, che avrebbe determinato demansionamento del ricorrente; un abbassamento della qualifica nel 1997 (pure impugnato con esito favorevole); mancato conseguimento del grado superiore e mancata fruizione dell’alloggio di servizio, oltre a vessazioni di ordine morale, come l’esclusione da cerimonie.
La tematica in questione è relativamente nuova e pone, innanzi tutto, un problema di giurisdizione, che il Collegio ritiene di poter superare almeno in parte positivamente, in primo luogo per l’inapplicabilità dei criteri conseguenti alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, essendo il personale del Corpo degli Agenti di Custodia (oggi Polizia Penitenziaria) compreso fra i settori lavorativi non privatizzati, a norma dell’art. 2, comma 4 del D.Lgs. 3.2.1993, n. 29 (cfr. anche, sul punto, TAR Marche, Ancona, 29.12.2003, n. 1930). Più delicata, sotto il profilo in esame, è la questione della risarcibilità del danno derivante da mobbing, danno che il dipendente può rivendicare in due modi: in via extra-contrattuale, a norma dell’art. 2043 cod. civ., ovvero in via contrattuale, tenuto conto dell’obbligo del datore di lavoro, riconducibile all’art. 2087 cod. civ., di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (cfr. in tal senso, fra le tante, Cass. SS.UU. 28.7.1998, n. 7394).
Un primo orientamento della giurisprudenza, in ogni caso (cfr. Cons. St., sez. V, 9.10.2002, n. 5414; TAR Lazio, Roma, sez. III, 25.6.2004, n. 6254), tenderebbe a ricondurre alla giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie patrimoniali inerenti al rapporto di impiego, senza distinguere fra responsabilità contrattuale e aquiliana, essendo sufficiente per radicare la cognizione del giudice amministrativo – per i rapporti di lavoro rientranti nella predetta giurisdizione – un comportamento illegittimo del datore di lavoro e quindi un collegamento non occasionale fra la causa pretendi e il rapporto di impiego.
Non risulta conforme al predetto indirizzo, tuttavia, il più recente orientamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che pone a base del riparto non la prospettazione delle parti, ma il cosiddetto petitum sostanziale, da individuare anche in funzione della causa pretendi, ovvero dell’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, come individuata dal Giudice in relazione ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui tali fatti sono manifestazione; tenuto conto di quanto sopra, risulta necessario accertare la natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto solo l’azione per responsabilità contrattuale è ritenuta rientrante nella cognizione del Giudice Amministrativo, mentre dovrebbe ritenersi di competenza del Giudice Ordinario l’azione proposta in via extra-contrattuale (Cass. SS.UU. 4.5.2004, n. 8438).
Nel caso di specie, il ricorrente afferma di agire sotto entrambi i profili, ma sicuramente sottopone a giudizio la valutazione di una serie di atti dell’Amministrazione, che globalmente considerati potrebbero configurare violazione del citato articolo 2087 del codice civile.
Premesso quanto sopra in via pregiudiziale – e riservata ogni ulteriore considerazione all’esito degli accertamenti istruttori, richiesti dallo stesso ricorrente (accertamenti che il Collegio reputa necessari solo in parte, nei termini di seguito precisati) – si ritiene opportuno procedere alle seguenti acquisizioni in via istruttoria:
a) atti relativi al trasferimento del ricorrente a San Vittore in data 9.6.1997, con precisazione delle mansioni al medesimo assegnate e della relativa rispondenza al profilo professionale del medesimo, nonché sintetica nota riassuntiva delle vicende di servizio di cui si discute, con precisazione dei periodi di assenza per malattia ed esposizione di ogni altra circostanza, ritenuta utile per il giudizio in corso;
b) accertamento clinico-psichiatrico alla luce della documentazione sanitaria e di servizio messa a disposizione dalle parti costituite, alle quali è riconosciuta la facoltà di intervenire nella procedura di accertamento, tramite tecnici di propria fiducia, nonché alla luce della realtà organizzativa dell’ambiente di lavoro vissuto dal sig. C. P., con particolare riferimento alle seguenti circostanze:
1) attuali condizioni di salute del ricorrente e natura delle patologie da cui il medesimo è affetto;
2) genesi del quadro morboso e relativa riconducibilità all’ambiente di lavoro, con specifico riferimento alle vessazioni che si affermano subite, ovvero ad una situazione caratteriale o psicopatologica soggettiva, anche plausibilmente antecedente alle vicende lavorative controverse;
3) gravità o meno del quadro morboso stesso con precisazione della possibilità (in presenza di tutti i necessari presupposti) di quantificare il danno biologico e morale subito;
4) precisazioni, circa la sussistenza di postumi e di riduzione della capacità lavorativa;
A tal fine il Collegio demanda al Presidente dell’I.S.P.E.S.L. – via Verbania n. 167, 00184 Roma – di nominare – d’intesa con il Direttore del Day Hospital psichiatrico della Università La Sapienza di Roma – viale Policlinico n. 30, 00198 Roma – una commissione valutativa di tre componenti, affinché detta commissione svolga gli accertamenti specialistici del caso e depositi, entro 60 gg. dalla comunicazione della presente sentenza, un documentata relazione in tre copie, in ordine ai quesiti sopra elencati sub b), numeri 1), 2), 3) e 4).
Ai componenti la commissione spetta il compenso orario/giornaliero, previsto dal Ministero della Salute , o altra normativa vigente per le Università Statali, e sarà liquidata in sentenza a carico della parte soccombente, come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. I Quater) – riservata al definitivo ogni ulteriore pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, in ordine al ricorso n. 1759/2003, indicato in epigrafe – dispone quanto segue:
- ORDINA al Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di depositare presso la Segreteria del Tribunale i documenti precisati in motivazione al punto a), entro 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla notifica della stessa a cura del ricorrente;
- DISPONE un accertamento clinico-psichiatrico, per verificare la sussistenza o meno delle infermità denunciate dal ricorrente, nonché la gravità, le cause ed i postumi delle infermità stesse; la commissione designata provvederà al deposito della relazione, (nei termini pure specificati in motivazione, al punto b);
- FISSA la pubblica udienza di trattazione del ricorso per il giorno 23 ottobre 2006.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 2 febbraio 2006 con l'intervento dei Magistrati:
Presidente Pio Guerrieri
Consigliere est. Gabriella De Michele
Primo Referendario Antonella Mangia



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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Risarcimento del danno biologico-esistenziale.

Per opportuna informazione.

Interessante sentenza del Consiglio di Stato in favore di un collega della Pol.Pen.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

N. 00815/2012REG.PROV.COLL.
N. 09580/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9580 del 2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti …….., e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Vincenzo Picardi n. 4, per mandato a margine dell’appello;
contro
- Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
- Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - D.A.P., in persona del Direttore capo del personale pro-tempore, non costituito come tale in giudizio;
- Casa Circondariale OMISSIS, in persona del Direttore pro-tempore, non costituito come tale in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I quater n. 9659 del 2 ottobre 2007, resa tra le parti, di accoglimento parziale del ricorso n. 3876 del 2006 proposto, in riassunzione del giudizio definito con sentenza del Tribunale civile di Roma n. ….. del 22 febbraio 2006 (di declinatoria della giurisdizione), per il risarcimento dei danni, anche da comportamento mobbizzante, collegati a provvedimento di dispensa dal servizio per infermità, annullato con sentenza del T.A.R. Lazio n. 928 del 1° giugno 1997, confermata con sentenza della IV Sezione n. 5182 del 28 settembre 2000

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con appello notificato il 15 novembre 2008 e depositato il 4 dicembre 2008 OMISSIS ha impugnato la sentenza in epigrafe meglio indicata.
Giova premettere che:
- l’appellante, agente di polizia penitenziaria, dopo aver richiesto e ottenuto il passaggio di ruolo a qualifica amministrativa, in relazione a una priva valutazione, era dispensato dal servizio per inabilità in esito a ulteriore esame delle commissioni mediche ospedaliere di prima e seconda istanza;
- con sentenza del T.A.R. Lazio n. 928 del 1° giugno 1997, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio che accertava l’idoneità al servizio sia nel corpo di polizia penitenziaria che in altri ruoli della stessa e di ogni altra amministrazione dello Stato, la dispensa dal servizio era annullata e l’interessato reintegrato in servizio dal 26 marzo 1998;
- con sentenza di questa Sezione n. 5182 del 28 settembre 2000 l’appello interposto dal Ministero era respinto e confermata la sentenza del T.A.R.;
- l’interessato proponeva giudizio risarcitorio dinanzi al Tribunale civile di Roma che, con sentenza n. …. del 22 febbraio 2006, declinava la propria giurisdizione;
- riassunto il giudizio dinanzi al T.A.R. Lazio, con la sentenza appellata le domande di accertamento e condanna sono state accolte limitatamente alla corresponsione d’interessi legali e rivalutazione monetaria sugli emolumenti pagati al ricorrente per il periodo dal 30 luglio 1993 (data d’inizio dell’aspettativa per infermità, conseguente al giudizio d’inidoneità) e il 26 marzo 1998 (data di reintegrazione in servizio), ritenendo invece che la corresponsione degli emolumenti e la ricostruzione della carriera costituisse risarcimento satisfattivo del danno biologico, anche collegato al comportamento mobbizzante, non riconoscendosi invece nesso di causalità o prova per altre voci di danno (diminuzione di onore, decoro, reputazione, perdita di rapporti di amicizia, ritardata celebrazione del matrimonio).
A sostegno dell’appello sono state dedotte le seguenti censure:
1) Difetto di motivazione in relazione all’accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria, perché la liquidazione dei soli interessi e rivalutazione sugli emolumenti corrisposti per il periodo di estromissione dal servizio non compenserebbe i danni connessi alla perdita del lavoro e della posizione sociale, i sacrifici e le umiliazioni sopportate.
2) Difetto di motivazione in relazione all’erroneo apprezzamento della prova dei danni subiti, come comprovati dalla consulenza tecnica di parte, pure richiamata nella sentenza appellata, che si riferisce a “importanti ripercussioni negative sulla salute fisica e psichica presente e futura”, nonché delle “vessazioni” subite dal ricorrente anche dopo la riammissione in servizio (si invocano le prove testimoniali nel giudizio civile), e quindi del comportamento mobbizzante, con disconoscimento del danno da mobbing, non avendo peraltro ritenuto il primo giudice di dar corso alla pur richiesta consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione dei danni.
Conclusivamente l’appellante, salva eventuale consulenza tecnica d’ufficio, chiede, in riforma della sentenza, il riconoscimento degli ulteriori danni, da liquidarsi anche equitativamente.
Nel giudizio d’appello si è costituito il Ministero della giustizia che, con atto di mero stile, ha chiesto il rigetto del gravame.
All’udienza pubblica dell’8 novembre 2011, dato atto a verbale che nessuno è comparso per la discussione, l’appello è stato riservato per la decisione.
DIRITTO
1.) L’appello è fondato e deve essere accolto, con consequenziale riforma parziale della sentenza impugnata, nei sensi di seguito precisati.
1.1) Preliminarmente deve darsi atto che l’appello è stato ritualmente notificato entro il previgente termine “lungo” annuale, riveniente dal combinato disposto degli artt. 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 330 e 327 cod.proc.civ., decorrente in difetto di notificazione dalla pubblicazione della sentenza (2 ottobre 2007), cui deve aggiungersi il periodo di sospensione feriale, dal 1 agosto al 15 settembre 2008 (sull’applicabilità del termine annuale, prima della sua riduzione a sei mesi disposta dall’art. 46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, e sul doveroso computo, in aggiunta, del periodo di sospensione feriale vedi per tutte Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6478, nonché in generale Cass. Civ., Sez. I, 24 giugno 2011, n. 13973).
Il termine, decorrente dal 3 ottobre 2007, scadeva il 17 novembre 2008, onde l’appello, notificato il 15 novembre 2008, è affatto tempestivo.
1.2) Nel merito deve rammentarsi che appartiene alla giurisdizione amministrativa esclusiva la cognizione di domande risarcitorie proposte da dipendenti in regime d’impiego di diritto pubblico, ossia appartenenti a categorie non “contrattualizzate”, che siano ricollegate, secondo il criterio del petitum sostanziale, a provvedimenti e/o comportamenti riconducibili alla sfera della gestione del rapporto, in quanto afferenti a responsabilità di natura contrattuale (cfr. Cass. SS.UU. civili, 13 ottobre 2006, n. 22100, ordinanza su regolamento preventivo di giurisdizione; vedi anche Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2008, n. 1739).
E’ altresì pacifica la risarcibilità, in disparte il danno morale ancorato precipuamente a condotte illecite che assumano configurazione di reato, del danno biologico, quale danno all’integrità psico-fisica, e degli altri danni afferenti alla vita di relazione, l’uno e l’altro anche quando rivenienti da “comportamenti” materiali o provvedimentali di natura mobbizzante.
Ai fini da ultimo richiamati, peraltro, la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione, emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito imprescindibile ai fini dell’enucleazione del mobbing (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272 e 7 aprile 2010, n. 1991; vedi anche Cass. Civ., Sez. lav., 31 maggio 2011, n. 12048 e 26 marzo 2010, n. 7382).
1.3) Orbene, nel caso di specie, ancorché il primo giudice non si sia espresso, in modo chiaro, sulla riconducibilità dei danni riconosciuti ad una condotta mobbizzante dell’Amministrazione, la Sezione non può esimersi dall’escludere che della medesima condotta sussista prova piena ed effettiva, non potendo essa ex se desumersi dal pur illegittimo provvedimento di dispensa dal servizio -fondato su valutazione tecnico-discrezionale riconosciuta erronea a seguito della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio sfociato nell’annullamento del provvedimento-, né dalla mancata esecuzione all’ordinanza cautelare n. 1491 del 12 luglio 1995 (della quale non risulta che l’interessato abbia chiesto l’ottemperanza), e nemmeno, in pendenza dell’appello avverso la sentenza del T.A.R. n. 928/1997, dalla disposizione di nuova visita collegiale (sospesa con altra ordinanza del T.A.R. n. 648/1998) e/o dalla non immediata riconsegna dell’arma già in dotazione.
1.4) L’appello è, invece, fondato nella parte in cui censura la sentenza gravata in relazione al disconoscimento del danno biologico-esistenziale conseguente alla negativa incidenza della vicenda amministrativa sul profilo della personalità psicologica dell’interessato, in termini di perdita di autostima, stress, disadattamento, inflessione depressiva dell’umore e abbassamento della soglia di arousal (e quindi di risposta adattativa agli stimoli esterni), come individuati nella incontestata consulenza tecnica di parte.
La risarcibilità del danno biologico-esistenziale, casualmente collegato a eventi negativi rivenienti da provvedimenti illegittimi, appartiene ormai all’acquis giurisprudenziale amministrativo (cfr. tra le più incisive affermazioni Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5087 in tema di trasferimento illegittimo di dirigente di Polizia di Stato).
Orbene, il giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto che la liquidazione del danno fosse assorbita dall’integrale pagamento da parte dell’Amministrazione degli emolumenti dovuti per il periodo di allontanamento dal servizio, senza avvedersi che la corresponsione dei medesimi attiene alla reintegrazione del solo danno patrimoniale diretto, non potendo invece coprire il danno patrimonialeindiretto e ulteriore conseguente alla lesione della sfera dell’integrità psico-fisica dell’interessato, come incisa dal pur contraddittoriamente riconosciuto danno biologico-esistenziale.
Tale distinta voce di danno, di natura contrattuale e afferente alla violazione dell’art. 2087 cod.civ., inteso quale estrinsecazione settoriale dei principi costituzionali di cui all’art. 2, 4 e 32 Cost., deve invece trovare ristoro mediante liquidazione di un pretium doloris che, in difetto di altri puntuali elementi determinativi, può senz’altro essere liquidato in via equitativa in ragione della complessiva somma di € 5.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali con decorrenza dalla data della sentenza impugnata e sino al soddisfo.
La sentenza merita conferma, invece, quanto al disconoscimento delle altre voci di danno alla vita di relazione, ivi compresa l’allegata ritardata celebrazione del matrimonio, rimaste del tutto sfornite di prova.
2.) In conclusione, l’appello deve essere accolto e, in riforma parziale della sentenza impugnata, deve riconoscersi il diritto dell’appellante al risarcimento del danno biologico-esistenziale, liquidato in via equitativa nella complessiva somma di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali con decorrenza dalla data della sentenza impugnata e sino al soddisfo.
3.) Il regolamento delle spese del doppio grado di giudizio -compensate in ragione della metà e liquidate nel residuo come da dispositivo in ragione dell’accoglimento solo parziale delle domande risarcitorie proposte-, segue la soccombenza.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede sull’appello in epigrafe di cui al ricorso n. 9580 del 2008:
1) accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza del T.A.R. per il Lazio Sede di Roma Sezione I quater n. 9659 del 2 ottobre 2007, resa tra le parti, condanna il Ministero della Giustizia al risarcimento, in favore dell’appellante OMISSIS, del danno biologico-esistenziale, liquidato in via equitativa nella complessiva somma di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali con decorrenza dalla data della sentenza impugnata e sino al soddisfo;
2) compensa in parte, in ragione della metà, le spese ed onorari del doppio grado di giudizio e condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione in favore dell’appellante OMISSIS della residua parte, liquidata in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre I.V.A. e C.A.P. nella misura dovuta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/02/2012
panorama
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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Ricorso al Tar Basilicata proposto da un dipendente dell'INPS per motivi di MOBBING.
Ecco la sentenza
T.A.R. Basilicata, Sez. 1, 10 gennaio 2012, n. 6 - Risarcimento danni causati dall'illegittimo trasferimento lavorativo e mobbing.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

N. 00006/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00622/2004 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 622 del 2004, proposto da:
S. Angelo, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Gallo e Daniele Creola, con domicilio eletto presso il primo in Potenza, via Nazario Sauro,52;
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale Sede di Potenza, in persona del legale rappresentante p. t., rappresentato e difeso dagli avv. Canio Sabina, Filomena Camardese e Saverio Mercanti, con domicilio eletto in Potenza, presso Uff.Legale Inps via Pretoria, 277;
per il risarcimento danni causati dall'illegittimo trasferimento lavorativo

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale Sede di Potenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2011 il dott. Antonio Ferone e udito l’avv. Luciano Petrullo, su delega dell'Avv. Filomena Camardese.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto

Con atto notificato il 13 dicembre 2004 e depositato il 17 dicembre successivo S. Angelo ha adito questo Tribunale per ottenere il risarcimento del danno biologico, morale, esistenziale e patrimoniale, previo accertamento della responsabilità dell’INPS per l’aggravamento dell’integrità psicofisica derivata dall’illegittimo trasferimento lavorativo disposto in data 16.6.1993 dalla sede di Potenza a quella di Villa d'A..
L’interessato premette
- di essere stato assunto dall’INPS nel luglio 1978 ed assegnato alla sede di Potenza nel 1981 quale addetto all’Ufficio liquidazione pensioni;
- che in data 16.6.1993 gli veniva comunicato un provvedimento di trasferimento presso il centro operativo di Villa d'A., a seguito di mobilità regionale;
- che tale provvedimento veniva impugnato ed annullato con sentenza del C.d.S. n. 571/2001;
- che a causa del trasferimento era stata stravolta la sua vita lavorativa e personale e comunque si erano riacutizzate le patologie dalle quali era già affetto e che erano state prontamente segnalate all’INPS, in quanto passibili di aggravamento a seguito della guida in auto quotidiana e per un lungo tragitto ( 140 Km al giorno su strade montane);
- che costretto da necessità economiche, continuava a prestare servizio presso la nuova sede, pur addetto a mansioni diverse e meno qualificanti di quelle svolte nella sede di Potenza;
- che solamente in data 1.5.1995 era riuscito ad ottenere il trasferimento presso l’originaria sede di Potenza, motivato da esigenze di servizio dell’Ente datore di lavoro;
- che a seguito della decisione del C.d.S., in data 3.8.01 aveva richiesto all’INPS la ricostruzione dell’anzianità di servizio presso la sede di Potenza nonché il ristoro dei danni subiti;
- che non avendo avuto riscontro, in data 21.12.01, avanzava richiesta al competente Collegio di Conciliazione presso la DPL di Potenza;
- che, convocate le parti, la Commissione di Conciliazione proponeva l’esito di una disponendo visita medico-legale, alla quale egli accettava di sottoporsi, ma che l’INPS comunicava di non accettarne l’esito, sicchè il Collegio dava atto che non si era raggiunto alcun accordo;
- che in data 25.09.01 il medico legale dott. B. concludeva una perizia di parte ritenendo che “il disposto trasferimento lo ha danneggiato arrecandogli, attualmente, un disturbo depressivo ansioso a carattere reattivo di discreta entità…il danno biologico permanente è da valutarsi intorno al 18-20%”;
- che rilevanti sono stati anche i danni patrimoniali da lui subiti per affrontare il viaggio nella sede di Villa D’Angri, raggiungibile solo in auto, e che l’interessato effettivamente percorreva con la propria autovettura Wolksvagen Vento 1800 a benzina verde;
- che il relativo diritto al ristoro - considerato che la presenza nella sede di Villa d'A. si è protratta a seguito del trasferimento per 347 giorni - è pari ad euro 8.154,08 ( euro 0,17 x140 Km x 347 gg.), parametrato all’indennità chilometrica liquidata al personale inviato in missione presso la sede di Villa d'A., o con riferimento al costo medio della benzina e dell’usura dell’automezzo, con determinazione anche in via equitativa;
- che in data 6.10.2002 egli notificava ricorso al giudice del Lavoro del Tribunale di Potenza che con provvedimento dell’11.6.2004 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione;
- che ciò stante ha adito questo Tribunale Amministrativo Regionale facendo rilevare in diritto


A) Sul disposto trasferimento ed il conseguente danno alla salute e psicofisico ( c.d. danno biologico):
- che le condizioni dell’ambiente e le modalità della prestazione lavorativa richiesta hanno determinato nel ricorrente un danno alla salute , c.d. danno biologico, inteso come menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé per sé considerata, in quanto incidente sul valore “ uomo” in tutta la sua dimensione, e non solo come produttore di reddito;
- che tale principio si applica anche al caso di violazione dell’art. 2087 c.c.. posto a tutela delle condizioni di lavoro, il quale impone anche al datore di lavoro un vero e proprio obbligo, la cui inosservanza è fonte di responsabilità risarcitoria dell’integrità psico-fisica del lavoratore;
- che l’obbligazione ex art. 2087 determina il correlativo dovere del datore di lavoro di conformare il proprio comportamento di canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., e quindi di adibire il lavoratore affetto da infermità suscettibili di aggravamento a seguito delle mansioni o delle modalità lavorative delle stesse, ad altre mansioni compatibili con le sue condizioni;
- che il disposto trasferimento ha determinato una violazione dell’art. 2087 e dell’art. 2043 c.c., rilevandosi in un comportamento datoriale pregiudizievole per l’integrità psicofisica del lavoratore;
- che secondo la relazione medico legale di parte del dott. Bellettieri ( allegata in atti) il danno biologico permanente subito va valutato con tasso del 18-20%;
- che nel caso di specie, considerate le gravissime ripercussioni psico-fisiche, si ritiene di dover richiedere un maggior ristoro di quello tabellare e precisamente euro 115.033,94 per il danno biologico ed euro 57.916,97 per il danno morale ed esistenziale.
B) Sull’”mobbing “ e la sua rilevanza nella determinazione del danno biologico, morale ed esistenziale:
- che nel caso di specie ci troviamo di fronte ad una evidente situazione di mobbing, in quanto l’inesatta e/o voluta individuazione del ricorrente per il trasferimento, l’inveritiera comunicazione al TAR dei dati di servizio della collega del ricorrente, la reiterata indifferenza alle condizioni di salute del ricorrente, hanno originato un vero e proprio stress da persecuzione psicologica, riconosciuto come mobbing;
C) Sul comportamento illecito dell’Amministrazione convenuta e sul danno esistenziale:
- che è indubbio che vi sia stato dolo o, quanto meno, colpa grave dell’INPS sia nella fase di individuazione del ricorrente per il trasferimento, sia nel giudizio dinnanzi al TAR, sia nella fase stragiudiziale successiva, con necessità di dover proseguire nella sede giudiziaria ( ricorso in appello avverso la sentenza negativa di 1° grado) con conseguente aggravio economico e aggravamento dello stato ansioso-depressivo;
D) Sull’azionabilità della presente sentenza:
- che solo a seguito della sentenza favorevole del Consiglio di Stato del 2001 il ricorrente ha potuto richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e psicofisici alla salute;
- che con la decisione del giudice del Lavoro di Potenza del 2004 che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, il ricorrente ha di nuovo dovuto adire questo Tribunale Amministrativo Regionale.
Per contrastare il ricorso si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha prodotto documentazione e memoria difensiva con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto inammissibile ed infondato.
Alla pubblica udienza del 17 novembre 2011 la causa e stata introitata per essere decisa.

Diritto

Prive di pregio sono le eccezioni di irricevibilità della domanda sollevate dall’Amministrazione intimata nella memoria di costituzione.
Va in proposito, infatti, osservato che è inconferente il richiamo alla norma introdotta dall’art. 69, comma 7 del D Lvo n. 165/01 secondo cui le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30.6.1998 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte a pena di decadenza entro il 15 settembre 2000 e che tale termine costituisce un termine di decadenza sostanziale della situazione giuridica soggettiva di cui si assume titolare il dipendente, con la conseguenza che questa situazione giuridica si estingua qualora non sia stato fatta valere con azione proposta entro il 15 settembre 2000.
Ed invero, l’azione proposta dal ricorrente con l’odierno gravame è di accertamento e conseguente condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento di somme a titolo di risarcimento danni patrimoniali, morali, esistenziali e biologici in conseguenza dell’accertata illegittimità di un trasferimento di sede subito dal ricorrente.
Accertamento, quest’ultimo, (condizione dell’azione di cui si disputa) avvenuto a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato del 27.10.2010 con la quale il Supremo Consesso Amministrativo, in riforma di una decisione del TAR Basilicata del 30.10.1998, ha dichiarato illegittimo il trasferimento subito dal ricorrente dalla sede di Potenza a quella di Villa d'A. per il periodo 16.6.1993 / 1.5.1995.
Sicchè solo da tale momento al ricorrente era dato di adire le vie giudiziarie per ottenere, dopo aver inutilmente esperito quelle bonarie, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno a suo dire patito per effetto dell’illegittimo trasferimento.
Ed è quanto l’interessato ha provveduto a fare proponendo ricorso, depositato in data 27.8.2002, al Giudice del Lavoro del Tribunale Civile di Potenza, che con sentenza n. 1035 dell’11.6.2004 ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, in favore del Giudice Amministrativo, al quale ultimo il ricorrente si è rivolto con il gravame oggi in esame, notificato il 13.12.2004 e depositato il successivo 17.12.2004. Tanto è sufficiente per ritenere tempestiva l’azione promossa dal ricorrente non potendosi far risalire ad altro momento ( notifica dell’atto o piena conoscenza dello stesso) il termine utile per adire il giudice amministrativo dichiarato competente sulla domanda di risarcimento danni, atteso che, nel caso in cui l’azione di risarcimento dei danni non sia proposta unitamente all’azione giurisdizionale di annullamento dell’atto illegittimo, ma in via autonoma, dopo l’annullamento dello stesso, il momento iniziale del decorso del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno va individuato nella data di passaggio in giudicato della decisione di annullamento del giudice amministrativo.
Le considerazioni che precedono sono altresì sufficienti a contrastare il rilievo, pure mosso nella memoria di costituzione dell’INPS, relativo alla eccepita prescrizione o decadenza, atteso che per il calcolo delle stesse non può di certo farsi riferimento all’epoca dei fatti ( cioè al periodo 16.6.1993 / 1.5.1995) in quanto, come già chiarito, è solo dall’accertamento della illiceità del comportamento dell’Amministrazione ( recte dalla acclarata illegittimità del provvedimento di trasferimento) che decorrono i termini per eventualmente proporre l’azione di risarcimento danni conseguente all’illegittimo trasferimento.
Priva di pregio è poi l’eccezione di nullità del ricorso per violazione dell’art. 35 T.U. n. 1054 del 1924. Sul punto è sufficiente osservare che il ricorso pur se tecnicamente riferito all’art. 414 c.p.c. è intestato al Tribunale Amministrativo della Basilicata e reca a margine il mandato a firma del ricorrente ed in calce la firma dei due difensori costituiti.
La circostanza, infine, che il ricorrente abbia chiesto ed ottenuto il trasferimento presso la sede di Potenza sin dalla data dell’1.5.1995 non può di certo essere valutata come comportamento acquiescente al procedimento né tanto meno può emendare quest’ultimo dai profili di illegittimità riscontrati in sede giudiziaria.
Superate quindi le questioni pregiudiziali di cui innanzi, va esaminata nel merito la domanda azionata dal ricorrente, che risulta fondata nei limiti e nei sensi che di seguito saranno precisati.
Va preliminarmente osservato che la domanda di risarcimento del danno per “ mobbing” è priva di fondamento.
Il ricorrente ha chiesto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni ( biologico, morale, esistenziale ed alla vita di relazione) asseritamente sofferti in conseguenza della condotta mobbizzante posta in essere nei suoi confronti dal datore di lavoro: una condotta volutamente prevaricatoria volta ad emarginarlo o comunque a danneggiarlo, che s’è concretizzata in un danno alla vita di relazione costituito dallo stato ansioso depressivo in cui il ricorrente sarebbe caduto per effetto dell’illegittimo trasferimento dalla sede di Potenza a quella di Villa d'A., nonché dall’aggravarsi di alcune patologie per effetto del disagio dovuto al quotidiano viaggio necessario per raggiungere in auto la nuova sede di servizio.
Orbene, per “ mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti . a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento persecutorio.
In particolare, ai fini della configurabilità del mobbing, si richiede il riscontro di una diffusa ostilità proveniente dall’ambiente di lavoro, posta in essere attraverso una pluralità di condotte frutto di una vera e propria strategia persecutoria, avente di mira l’emarginazione del dipendente dalla struttura organizzativa di cui fa parte.
Non ricorre “ mobbing”, pertanto, qualora le circostanze addotte ed accertate non consentono di individuare, secondo un principio di verosimiglianza, il carattere persecutorio e discriminante del complesso delle condotte compiute dalla P.A.
Il Collegio ritiene che nel caso di specie i comportamenti contestati all’Amministrazione non configurano una condotta “ mobbizzante”.
Soprattutto, non è stata fornita alcuna prova dell’esistenza di una “ strategia persecutoria” nei confronti del dipendente, né questa è desumibile dalla vicenda e dal comportamento contestato alla P.A.
In particolare, come si è innanzi chiarito, il ricorrente è stato oggetto di un trasferimento avvenuto a seguito di una graduatoria predisposta senza che alcuna norma avesse stabilito in maniera chiara ed incontrovertibile l’esclusione del servizio pre-ruolo e ritenuto dapprima legittimo dal giudice di primo grado, e poi illegittimo dal giudice di secondo grado, anche in conseguenza delle note trasmesse dalla Direzione Generale dell’INPS con le quali si comunicava che, nella formazione della graduatoria di mobilità regionale, erroneamente si era tenuto conto del servizio pre-ruolo prestato dalla contro interessata sig.ra De C. e che erano state avviate le procedure necessarie a sanare la situazione creatasi con il disposto trasferimento.


Il che esclude ogni ipotesi di mobbing, così come innanzi definito.
A tanto aggiungasi che il ricorrente non ha fornito prove concrete dei danni asseritamente sofferti (non essendo a ciò sufficiente la perizia di parte prodotta in giudizio), né soprattutto della loro derivazione causale dall’illecito contestato.
Pertanto, la domanda risarcitoria per i danni subiti in conseguenza del “ mobbing” ( danno biologico, danno morale e danno esistenziale) va respinta perché infondata e non provata.
Diversa sorte, invece, merita la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal ricorrente per affrontare, per tutto il periodo di permanenza nella sede di trasferimento di Villa d'A., il viaggio con la propria autovettura.
All’uopo, considerato che il ricorrente ha dichiarato che il viaggio non poteva che essere affrontato unicamente in auto e l’Amministrazione resistente non ha per nulla contrastato tale affermazione, appare equo che lo stesso debba essere ristorato dell’ingiusto danno conseguente al disposto trasferimento con l’attribuzione della somma richiesta di euro 8.154, 08 ( euro 0,17x140 Km x 347 gg.) parametrata all’indennità chilometrica liquidata al personale inviato in missione nella sede di Villa d'A..
Alla somma su indicata andranno calcolati gli interessi legali, nonché la rivalutazione monetaria dalla data della domanda al soddisfo.
Priva di fondamento, infine, è la richiesta di spese mediche affrontate dal ricorrente nella somma indicata di euro 1.000,00 ( mille) in quanto generica e non comprovata.
In conclusione il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione e le spese di giudizio poste a carico dell’Amministrazione resistente nella misura che sarà precisata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l’Amministrazione intimata al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessive euro 2.000,00 ( duemila) e alla rifuzione del Contributo Unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Antonio Ferone, Consigliere, Estensore
Pasquale Mastrantuono, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE


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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Dequalificazione del dipendente pubblico: sì al danno esistenziale
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Si al risarcimento del danno esistenziale nel caso di dequalificazione del dipendente pubblico. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro del Tribunale di Brindisi, con la sentenza 10 febbraio 2012, n. 561.
Il caso vedeva una lavoratrice, dipendente pubblico, rientrare al lavoro dopo una lunga assenza giustificata da una malattia, ed essere destinataria di un demansionamento, con conseguente dequalificazione, che l'avevano portata ad un pensionamento anticipato con disturbo depressivo cronico e conseguenti sofferenze psichiche ed alterazioni delle proprie abitudini di vita.
La donna, che, dal momento del demansionamento, non era più riuscita a guidare l'automobile, a coltivare amicizie e ad evitare qualsiasi occasione di dialogo, agiva in giudizio chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale, sotto forma del danno esistenziale e del danno biologico.
I giudici brindisini premettono come, in fase di riorganizzazione generale di un servizio e di soppressione di precedenti uffici, l'impiegato non possa rivendicare un diritto soggettivo ad un incarico piuttosto che ad un altro, ma solo pretendere il rispetto della professionalità acquisita che, non avendo ancora preso funzioni in concreto, il giudice può valutare solo con riferimento al confronto dell'equivalenza delle mansioni descritte e della correttezza e lealtà delle relazioni lavorative in cui la trasformazione organizzativa è avvenuta.
Una volta provato il demansionamento, la dequalificazione professionale ben può comportare la lesione della dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo.
Già la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Lav., sent. n. 19785 del 17.09.2010), ebbe modo di statuire come, in tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Infatti, "mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni".
In merito alla quantificazione di tale voce di danno, il tribunale giunge alla conclusione che "la situazione di mortificazione e frustrazione in termini di disagio oggettivo che consegue all'inadempimento datoriale ben può essere misurata attendibilmente facendo riferimento alla retribuzione, quest'ultima essendo indice anche dell'apprezzamento della professionalità, in senso lato, del lavoratore, e non solo del prezzo della prestazione resa".
In conclusione, i giudici ritengono che la ricorrente abbia diritto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdurante dequalificazione con particolare riferimento alle ripercussioni nella vita personale e relazionale.
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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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risarcimento dei danni da mobbing

1) - Secondo la stessa prospettazione difensiva posta a fondamento della domanda risarcitoria, tale atteggiamento si sarebbe estrinsecato principalmente in una serie di provvedimenti, riguardanti il servizio, emanati nel 2004.

(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 23 marzo 2011 n. 3).

2) - Applicando il richiamato orientamento giurisprudenziale alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, e considerato che in tale fattispecie, al di là del dato formale della mancata impugnazione dei provvedimenti lesivi, la stessa iniziativa risarcitoria è stata posta in essere a distanza di anni dall’adozione degli stessi, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere respinto.

Il resto potete leggerlo qui sotto.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

30/01/2013 201300220 Sentenza 1


N. 00220/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00557/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 557 del 2010, proposto da A. C., rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Alberto Scalone e Tiziana Lamberti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Scalone in Palermo, via Dante 157;

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi 81;

per il risarcimento.
“dei danni da mobbing arrecati al ricorrente nel corso del servizio militare svolto presso il Ministero della Difesa nell’Aeronautica Militare Comando Logistico 6° Gruppo manutenzione Telecomunicazione a Trapani Birgi”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato l’8 marzo 2010, e depositato il successivo 6 aprile, il signor A. C. ha chiesto condannarsi l’amministrazione intimata al risarcimento dei danni da mobbing che sarebbero stati arrecati al ricorrente nel corso del servizio militare svolto presso il Comando Logistico 6° Gruppo manutenzione Telecomunicazione dell’Aeronautica Militare, a Trapani Birgi.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 novembre 2012.

Il ricorrente chiede la riparazione per equivalente monetario del pregiudizio subìto a seguito dell’atteggiamento asseritamente persecutorio cui sarebbe stato sottoposto durante lo svolgimento del servizio militare presso il Comando Logistico 6° Gruppo manutenzione Telecomunicazione dell’Aeronautica Militare.

Secondo la stessa prospettazione difensiva posta a fondamento della domanda risarcitoria, tale atteggiamento si sarebbe estrinsecato principalmente in una serie di provvedimenti, riguardanti il servizio, emanati nel 2004.

Le stesse prove testimoniali richieste hanno ad oggetto la comunicazione di uno di tali provvedimenti, avvenuta il 18 giugno 2004.

Osserva in proposito il Collegio che, quale che sia la ricostruzione del rapporto fra contestazione della legittimità dei provvedimenti lesivi ed autonoma proponibilità dell’azione risarcitoria nella fattispecie di illecito da atto della P.A. cui si intenda accedere, e pur considerando le peculiarità del c.d. danno da mobbing, nella concreta fattispecie dedotta in giudizio si rivendica il diritto al risarcimento di un danno che sarebbe stato causato da provvedimenti emanati circa sei anni prima della proposizione del ricorso, senza che mai la legittimità di tali provvedimenti – in tesi emessi per finalità persecutorie, e dunque quanto meno viziati da eccesso di potere - sia stata ritualmente dedotta o contestata in giudizio.

Il Collegio non intende disconoscere la veridicità dell’assunto di parte ricorrente: ma non può accedere ad una prospettazione che assume una precisa eziologia del pregiudizio allegato, senza farne derivare un rapporto fra illegittimità provvedimentale e lesività della complessiva condotta dell’amministrazione conforme al paradigma normativo (art. 30 cod. proc. amm.: anche alla luce dell’interpretazione resa dall’A.P. del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3/2011).

La decisione da ultimo richiamata ha infatti affermato che l’art. 1227, secondo comma, cod. civ., costituisca espressione del principio del divieto di abuso del diritto, ed ha conseguentemente escluso la risarcibilità del danno cagionato da un provvedimento non impugnato, pur in un contesto normativo che ammette la proponibilità dell’azione risarcitoria autonoma, in quanto tale azione sarebbe formalmente ammissibile (e in tesi fondata) ma sostanzialmente abusiva: “si deve allora ritenere che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno. (…..) la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile.

Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 23 marzo 2011 n. 3).

Applicando il richiamato orientamento giurisprudenziale alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, e considerato che in tale fattispecie, al di là del dato formale della mancata impugnazione dei provvedimenti lesivi, la stessa iniziativa risarcitoria è stata posta in essere a distanza di anni dall’adozione degli stessi, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere respinto.

Sussistono le condizioni di legge per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Nicola Maisano, Presidente FF
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore
Aurora Lento, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Ricorso per l'accertamento e la condanna al risarcimento dei danni subiti per mobbing

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione L'Aquila con sentenza di pochi giorni fa (Ottobre) ha precisato:

1) - il ricorrente agisce per il risarcimento dei danni asseritamente subìti per effetto dell'illecita condotta di superiori gerarchici; condotta che si sarebbe concretizzata in atti e fatti vessatori da cui sarebbe derivata la lesione dell'integrità psicofisica del ricorrente;

2) - Che essendo fondata l'eccezione di inammissibilità sollevata dai controinteressati il ricorso può essere deciso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'articolo 74 del codice del processo amministrativo;

3) - Ed invero, ha chiarito la giurisprudenza, che il collegio condivide, che con riguardo "alla responsabilità extra contrattuale per mobbing, essa, essendo riconducibile sostanzialmente e unicamente a meri comportamenti dei superiori gerarchici o dei colleghi di lavoro del dipendente interessato si pone al di fuori dall'ambito cognitorio del giudice amministrativo” non venendo il rilievo una colpa in vigilando da parte dell'amministrazione (cfr Tar Lazio sentenza n.5177 del 2008).

4) - Che anche le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che può essere affermata la Giurisdizione del Giudice Amministrativo nel solo caso in cui la lesione sia derivante dalla violazione del rapporto contrattuale, e cioè quando l'azione proposta si basa su uno specifico inadempimento dell'amministrazione (Cassazione Civile, sezioni unite, 22 maggio 2002 n.7470);

5) - Che, sul caso in esame, in sede penale, è già stata disposta l'archiviazione sul rilievo che "la vicenda in esame deve essere necessariamente inquadrata nell'ambito delle contrapposte posizioni sindacali rivestite dagli predetti sottufficiali OMISSIS.

6) - Tali conclusioni sono pienamente condivise da questo giudice, atteso che, nella fattispecie in esame, in effetti, il ricorrente, si limita a lamentare atteggiamenti asseritamente vessatori del suo superiore OMISSIS.

7) - Di certo nella specie non può ritenersi sussistente una colpa in vigilando da parte dell'Amministrazione (per vero tale colpa non viene neppure ipotizzata dal ricorrente). Anzi al contrario l'Amministrazione nella fattispecie in esame deve ritenersi abbia tenuto un comportamento più che benevolo nei confronti del ricorrente tanto che la Direzione OMISSIS ha archiviato i due procedimenti disciplinari proposti dal ....

8) - In forza della svolte considerazioni la giurisdizione deve ritenersi appartenga al giudice ordinario e pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.
I
l Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione.
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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Interessante articolo sul Mobbing nei riguardi di un collega da parte del proprio superiore (ancorché d altra Forza Armata!).

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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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c'è anche questo:

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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Mobbing e false accuse. Francesco Tesone e l'inferno dell'Arma


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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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Mobbing, generale denuncia l’Arma
"Costretto a non fare più nulla"

L’alto ufficiale accusa i vertici: abuso d’ufficio per demansionamento


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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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ANTONIO, RADIATO DALL’ARMA DEI CARABINIERI PER UN FRANCOBOLLO.

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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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mobbing il tribunale militare di napoli conferma che si tratta di mobbing

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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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questa è la più lunga storia che possa esistere.

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Re: RISARCIMENTO DANNO PER MOBBING.

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