Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"

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Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"

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La Corte dei Conti scrive:
cessato dal servizio a domanda a decorrere dal 30/12/2014 ed in pari data è stato collocato in ausiliaria
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1) - Il cd blocco stipendiale, dunque, si traduce in un risparmio della spesa pubblica per il periodo considerato, solo superato il quale esso cessa per effetto di una successiva valutazione della legge di stabilità, supportata dalle nuove ed attuali previsioni di disponibilità del bilancio pubblico, e interpretare retroattivamente uno “sblocco” così interpretato comporterebbe una estensione delle nuove previsioni di spesa ad un periodo per il quale la spesa non solo non avrebbe copertura, ma è stata espressamente “bloccata” dallo stesso legislatore con norme non abrogate.

2) - Se tale è il meccanismo, e se le valutazioni discrezionali del legislatore in punto di riduzione temporanea della spesa pubblica non sono per costante giurisprudenza incostituzionali, se ancorate a criteri razionali (ivi compreso quello di una precisa e non indefinita individuazione del periodo temporale entro il quale esse sono destinate ad operare), le censure del ricorrente di violazione dell’art. 3, 36, 38, 53 sono manifestamente infondate, soprattutto se si considera che un pur limitato recupero dell’aggancio della pensione alla retribuzione del livello stipendiale al momento del congedo si ha anche per le fattispecie in esame (nella determinazione dell’indennità di ausiliaria nella misura del 70% della differenza con il trattamento economico del pari grado in servizio).

Cmq. leggete tutto il contesto qui sotto.
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LAZIO SENTENZA 18 19/01/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO SENTENZA 18 2017 PENSIONI 19/01/2017


Sent. n. 18/17


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
composta dal Cons. Chiara Bersani, giudice monocratico

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

Nel giudizio sul ricorso n. 74461 presentato da V. S., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alba Giordano ed Umberto Verdacchi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Alba Giordano, in Roma, via Muzio Clementi, n. 58;

Contro il Ministero della Difesa, costituito personalmente;

Avente ad oggetto rideterminazione della pensione;

Visti gli atti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 12 ottobre 2016, l’Avv. Verdacchi e per il Ministero della Difesa il Dr. Massimo Sabatani;

FATTO:

L’Ammiraglio Ispettore del Corpo delle Capitanerie di Porto V. S. è cessato dal servizio a domanda a decorrere dal 30/12/2014 ed in pari data è stato collocato in ausiliaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 2229, comma 6, 886, comma 1 e 992, comma 1, del D.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, che ha introdotto il Codice dell’Ordinamento Militare. Quindi, rileva il ricorrente, nel periodo - compreso tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014 - di vigenza dell'art. 9, comma 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010 e del regolamento, approvato con D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, di attuazione dell'art. 16, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), norme che hanno disposto la cd. cristallizzazione degli effetti economici delle progressioni di carriera del personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 165/2001 (nel caso di specie: dirigenti militari).

Lamenta che, poiché non gli è stato attribuito, dalla promozione e fino alla cessazione dal servizio, il trattamento economico del grado rivestito, la sua pensione è stata calcolata in relazione ad una base pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla data del 31.12.2010, inferiore a quello proprio del grado effettivamente rivestito alla data di cessazione dal servizio per età.

Con l’odierno ricorso ha chiesto la rideterminazione della pensione sulla base del maggiore trattamento economico spettante alla data del congedo o al più alla data del 1.1.2015, data di cessazione del suddetto “blocco”, rispetto alla quale l’avvenuta cessazione dal servizio precedentemente o successivamente rappresenterebbe una mera casualità non sufficiente a discriminare legittimamente le posizioni dei dipendenti in questione.

La domanda si basa sulla tesi che l'inciso "ai fini esclusivamente giuridici" contenuto nel terzo periodo del comma 21 del D.L. n. 78/2010 (... - le progressioni di carriera…eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici") sarebbe stato erroneamente applicato dall’amministrazione, poiché l'effetto giuridico è di norma connesso con il perfezionamento del provvedimento amministrativo (nel caso di specie: di promozione al grado superiore), cui consegue l'effettivo svolgimento delle funzioni, con corresponsione del precipuo trattamento economico, in virtù del rapporto sinallagmatico. Afferma anche che una più restrittiva lettura della norma sarebbe anche in contrasto con la Costituzione, in quanto la penalizzazione è terminata dal 1° gennaio 2015, per effetto del disposto dell'art. 1, comma 256 della "Legge di Stabilità 2015, mentre una tale lettura ne determina effetti permanenti, violandone anche la "ratio" che sarebbe unicamente quella di addivenire ad un blocco degli effetti economici degli avanzamenti di carriera nel solo periodo 2011/2014, e solleva, in via subordinata all’accoglimento della domanda di cui in ricorso, questione di illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010 per violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, e, sotto altri profili, degli articoli 2,3,e 53 della Costituzione, trasformandosi la norma, per effetto di tale lettura, in un "tributo anomalo.

In conclusione, ha chiesto l’annullamento "in parte qua" della determinazione pensionistica impugnata, prot. M D MCOMRM 0004539 datata 30.1.2015 della Direzione di Commissariato Marina Militare di Roma, nella parte in cui assume a base pensionabile lo stipendio e gli altri assegni pensionabili propri del grado di Contrammiraglio, anziché quelli propri del grado di Ammiraglio Ispettore, e l’accertamento del diritto all'attribuzione dello stipendio e del trattamento economico propri del grado rivestito, per effetto di ordinaria progressione di carriera dal 1° gennaio 2011 al 31.12.2014, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (29.12.2014) o, quanto meno, dal 1° gennaio 2015, con diritto agli arretrati con accessori di legge, e vittoria delle spese del giudizio, o in via subordinata ha chiesto il deferimento della questione di illegittimità costituzionale.

Il Ministero della difesa si è costituito eccependo pregiudizialmente il difetto di giurisdizione, trattandosi di accertare spettanze di natura stipendiale, preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, in quanto diretto avverso u provvedimento provvisorio di pensione, e nel merito ne ha chiesto il rigetto in base al disposto dell’art. 9, comma 21, del citato decreto legge e successive modificazioni e integrazioni, per il quale la pensione è stata determinata non tenendo conto della promozione al grado di Ammiraglio Ispettore, conseguita in regime di blocco. Ha chiesto anche il rigetto della domanda subordinata, diretta alla valorizzazione di tale promozione dall’entrata in vigore della legge 23 dicembre 2014 n. 190 (c.d. legge di stabilità 2015), che per effetto del disposto di cui all’art. 1, comma 256, a decorrere dall’1/01/2015 ha fatto venir meno il blocco degli effetti economici delle promozioni attribuite dal 2011 al 2014, rilevando che il ripristino dell’efficacia economica degli incrementi retributivi derivanti dalla promozione al grado o alla qualifica superiore ed il trattamento economico superiore correlato all'anzianità di servizio senza demerito riguardano il solo personale in servizio all’1/01/2015, e, nel caso che qui occupa, di riflesso anche il ricorrente nella determinazione dell’indennità di ausiliaria nella misura del 70% della differenza con il trattamento economico del pari grado in servizio. Ha concluso il Ministero per il rigetto del ricorso.

All’udienza del 12.10.2016 le parti hanno concluso come in atti.

DIRITTO

1. La censura di difetto di giurisdizione non è fondata, se rapportata con il petitum del ricorso, che è volto alla valorizzazione di emolumenti ai soli fini della rideterminazione della pensione, e non ai fini dell’accertamento del diritto alla liquidazione degli stessi. La questione, pertanto, si prospetta in termini di fondatezza o infondatezza nel merito, in rapporto con la possibilità, prima di tutto, di ottenere una rideterminazione della pensione sulla base di emolumenti e contributi che non sono effettivamente e concretamente stati corrisposti, e in secondo luogo, in rapporto alle vigenti disposizioni che disciplinano le voci pensionabili da tenere presenti ai fini della determinazione della pensione.

2. Preliminarmente all’esame del merito va anche rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, poiché, se pure è vero quanto correttamente ha rilevato il Ministero , e cioè che il ricorso è rivolto avverso una determinazione della pensione che ancora non esprime la volontà definitiva dell’amministrazione, in quanto il ricorrente è ancora nella posizione di ausiliaria, è determinante l’osservazione che il ricorso tende a fare valere un criterio di determinazione della pensione che, se sottende alla determinazione della pensione in ausiliaria, ancor più è destinato a valere per quella che l’amministrazione dovrà emettere a termine del periodo di ausiliaria, dunque un criterio determinativo generale, per il quale sussiste senz’altro l’interesse di entrambe le parti a vedere definito un accertamento sul punto.

3. Nel merito la pretesa è infondata, sia per l’impossibilità di chiedere un provvedimento giudiziario che valorizzi voci stipendiali o retributive non concretamente percepite in servizio al di fuori dei casi di legge in cui ciò sia espressamente consentito, sia per l’infondatezza della tesi del ricorrente in punto di interpretazione dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010.

La diversa interpretazione, che il ricorrente pone quale costituzionalmente orientata, sollevando contestualmente questione di illegittimità costituzionale della disposizione medesima nel caso sia letta diversamente da quanto prospettato, non è fondata.

Come rilevato anche in sede di controllo dalla delibera 27/QM/2012, “Il comma 21 dell’art. 9 sopra citato, nel disporre che per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici, si inserisce in un complesso di norme, contenute nel medesimo articolo 9, volte a perseguire specifici obiettivi di contenimento della spesa pubblica mediante la razionalizzazione e la riduzione della spesa di personale delle pubbliche amministrazioni; riduzione che rappresenta ormai un obiettivo primario di finanza pubblica …. Le norme finanziarie in esame, al fine di contenere la spesa pubblica per esigenze di stabilità economico finanziaria della nazione, rispondono, tutte, alla logica di congelare la dinamica retributiva del pubblico impiego per il triennio 2011-2013, dettando una disciplina vincolistica che non ammette deroghe in virtù del coordinamento della finanza pubblica aggregata e dell’eccezionalità della crisi finanziaria che avvolge l’attuale ciclo economico.”. Il cd blocco stipendiale, dunque, si traduce in un risparmio della spesa pubblica per il periodo considerato, solo superato il quale esso cessa per effetto di una successiva valutazione della legge di stabilità, supportata dalle nuove ed attuali previsioni di disponibilità del bilancio pubblico, e interpretare retroattivamente uno “sblocco” così interpretato comporterebbe una estensione delle nuove previsioni di spesa ad un periodo per il quale la spesa non solo non avrebbe copertura, ma è stata espressamente “bloccata” dallo stesso legislatore con norme non abrogate. Se tale è il meccanismo, e se le valutazioni discrezionali del legislatore in punto di riduzione temporanea della spesa pubblica non sono per costante giurisprudenza incostituzionali, se ancorate a criteri razionali (ivi compreso quello di una precisa e non indefinita individuazione del periodo temporale entro il quale esse sono destinate ad operare), le censure del ricorrente di violazione dell’art. 3, 36, 38, 53 sono manifestamente infondate, soprattutto se si considera che un pur limitato recupero dell’aggancio della pensione alla retribuzione del livello stipendiale al momento del congedo si ha anche per le fattispecie in esame (nella determinazione dell’indennità di ausiliaria nella misura del 70% della differenza con il trattamento economico del pari grado in servizio).

In conclusone, la pretesa è infondata, e la questione di illegittimità costituzionale manifestamente infondata.

Nulla per le spese, per la costituzione personale del Ministero.

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, previo dichiarazione della manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale proposta con il ricorso, definitivamente pronunciando,

RESPINGE

il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 ottobre 2016.
Il giudice
f.to Chiara Bersani


Depositata in Segreteria il 19/01/2017


p. Il Dirigente
f.to dott. Enrico OCCHIGROSSI


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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Questo ricorso è stato Accolto.
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la Corte scrive:

1) - La ratio dell’art. 9 va invero individuata nella mera esigenza –temporanea- di contenimento della spesa pubblica per il periodo in esame ( blocco stipendiale ); alla stessa non può attribuirsi l’effetto -definitivo- di limitare il quantum del trattamento pensionistico, peraltro in base a criteri di mera casualità, così rendendosi permanenti conseguenze pregiudizievoli che il legislatore aveva previsto solo per un dato periodo.

2) - Va quindi dichiarato il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione in carriera verificatasi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (5/8/2014).
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LAZIO SENTENZA 278 09/10/2017
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO SENTENZA 278 2017 PENSIONI 09/10/2017



Sent. 278/2017


REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO

In composizione monocratica nella persona del Giudice dott.ssa Marzia de Falco in funzione di Giudice unico delle pensioni ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 74446 del registro di Segreteria, sul ricorso proposto da T. M., con gli avv.ti Alba Giordano e Umberto Verdacchi, contro Ministero della Difesa.

Ritenuto in
FATTO

Il ricorrente, Ammiraglio Ispettore capo della Marina Militare, con la domanda introduttiva del giudizio, chiedeva a questo Giudice la rideterminazione del trattamento pensionistico ad esso spettante, in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio (5/8/2014) o, quantomeno, dal 1/1/2015.

Premetteva all’uopo:
1) di aver conseguito, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, progressioni in carriera, in relazione alle quali la norma di cui all’art. 9, co. 21, del DL 78/2010, aveva disposto la “cristallizzazione” degli effetti economici, sino al 31/12/2014;
2) che, collocato in quiescenza per limiti di età il 5/8/2014, il trattamento pensionistico era stato determinato in relazione a una base pensionabile calcolata su un trattamento economico inferiore a quello che gli sarebbe spettato in relazione al grado rivestito al momento della cessazione dal servizio;
3) che la norma in esame era volta a bloccare la sola progressione economica legata alla progressione in carriera, limitatamente a un periodo determinato, ed era infatti venuta meno dal 1/1/2015.

Si costituiva il Ministero e chiedeva dichiararsi il difetto di giurisdizione, trattandosi di mera questione stipendiale , ovvero l’inammissibilità del ricorso, essendo il trattamento liquidato provvisorio; in subordine, chiedeva limitarsi la rideterminazione al periodo successivo al 1/1/2015, nonché la sospensione del giudizio, per essere pendente giudizio di legittimità costituzionale della norma in questione.

All’odierna udienza la causa è stata decisa mediante lettura del dispositivo e contestuale deposito della motivazione.

DIRITTO

Va preliminarmente evidenziato che sussiste la giurisdizione di questa Corte, trattandosi di domanda di rideterminazione della base pensionabile.

Non è provata, in atti, la pendenza del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, in relazione al quale si chiede la sospensione.

Nel merito, la domanda è fondata e va accolta.

La norma di cui all’art. 9, co. 21, del DL 78/2010, nel quadro delle misure volte al contenimento della spesa pubblica, ha disposto che “…le progressioni in carriera, comunque denominate, eventualmente disposte negli anno 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.

La disposizione è stata prorogata sino al 31/12/2014, in forza dell’art.1 del DPR 12/2013.

La Corte Costituzionale, con sentenze n. 304/2013, 310/2013 e 154/2014 ha dichiarato la legittimità costituzionale delle norme in questione, in quanto aventi carattere eccezionale e transeunte, anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto.

In fattispecie analoga ( blocco stipendiale degli incrementi retributivi nel pubblico impiego) la Corte di legittimità aveva ritenuto che “in tanto misure di blocco stipendiale e retributivo sono ammissibili, di talchè non se ne può predicare il contrasto con i canoni di eguaglianza sostanziale e di non irragionevolezza, sanciti dall’art. 3 Cost., in quanto i sacrifici imposti siano transeunti, eccezionali, non arbitrari e consentanei allo scopo” (C. Cost. 299/1993 e 245/1997).

Nel caso di specie, la pensione del ricorrente è stata determinata sulla base del trattamento economico ragguagliato al grado rivestito nel 2010; invero, il predetto è cessato dal servizio per limiti di età nell’agosto del 2014, sicchè, per una circostanza del tutto casuale, non ha potuto avvantaggiarsi della cessazione della vigenza della norma penalizzatrice a decorrere dall’1/1/2015 (diversamente dai colleghi collocati in quiescenza successivamente a tale data).

Gli effetti della norma transitoria, pertanto, si sono per il ricorrente “consolidati” per il semplice fatto che lo stesso ha raggiunto i limiti di età pochi mesi prima del venir meno della limitazione, così determinandosi in suo pregiudizio una situazione assolutamente irragionevole e contrastante con i criteri di eguaglianza sostanziale e non arbitrarietà, di cui all’art. 3 della Costituzione.

La ratio dell’art. 9 va invero individuata nella mera esigenza –temporanea- di contenimento della spesa pubblica per il periodo in esame ( blocco stipendiale ); alla stessa non può attribuirsi l’effetto -definitivo- di limitare il quantum del trattamento pensionistico, peraltro in base a criteri di mera casualità, così rendendosi permanenti conseguenze pregiudizievoli che il legislatore aveva previsto solo per un dato periodo.

La norma, invero, è stata considerata legittima solo in considerazione del carattere temporaneo e transeunte della stessa, e pertanto della limitazione temporale del sacrificio imposto.

Va inoltre evidenziato come dalla circolare del Ministero del Tesoro in atti (all. 5 produz ricorrente) si desuma che, in analoga fattispecie, il Ministero aveva disposto l’inclusione degli incrementi –in precedenza bloccati- ai fini della determinazione della base pensionabile.

Va quindi dichiarato il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione in carriera verificatasi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (5/8/2014).

Sugli emolumenti arretrati deve essere, infine, riconosciuto il diritto alla liquidazione degli interessi legali o, qualora più favorevole, della rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione del credito fino al soddisfo secondo i criteri fissati dalle S.S.R.R. di questa Corte con decisione n. 10 QM /2002;

Sussistono apprezzabili motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, in composizione monocratica quale Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile tenuto conto degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in relazione alla progressione in carriera verificatasi negli anni dal 2011 al 2014, con effetto dalla data di cessazione dal servizio (5/8/2014);

con maggiorazione di dette somme mediante rivalutazione monetaria dal giorno della debenza di ogni singolo rateo e fino al soddisfo, ove essa risulti superiore agli interessi legali e senza cumulo con questi ultimi, restando in caso diverso attribuibili solo gli interessi medesimi;

spese di giudizio compensate.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del giorno 29/9/2017, mediante lettura del dispositivo e contestuale deposito della motivazione.

IL GIUDICE UNICO
F.to Dott. Marzia de Falco


DEPOSITATA IN SEGRETERIA 09/10/2017


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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

Messaggio da naturopata »

Riporto questa interessante sentenza della Corte dei Conti Puglia che riprende altra analoga sentenza della medesima Corte non appellata (stranamente) che riporta un'interpretazione di carattere generale. Ho notato questo giudice, anche in altre vicende, valutare autonomamente la legge (come dovrebbe essere). Ritengo che il principio può essere applicato a tutti i pensionati pubblici:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI Sent. 53/2018

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PUGLIA

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

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Il G.U.P.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso, iscritto al n. 32507 del registro di segreteria, proposto dal Sig.re PUGLIESE Giuseppe ( n. a Nardò il 30.8.1948 ) – rapp.to e difeso dall’avv. Franco Orlando, giusta mandato in calce al presente atto.

contro

I.N.P.S. – Gestione Ex I.N.P.D.A.P. , in persona del legale rappresentante p.t.;

Ministero degli Interni, in persona del Ministro p.t.;

Ministero dell’Istruzione – Ufficio Scolastico Provinciale di Lecce, in persona del legale rappresentante p.t.;

per l’accertamento

del diritto alla perequazione del trattamento pensionistico.

Visto il ricorso, in epigrafe;

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;

Considerato in

FATTO E DIRITTO

L’odierna causa ripropone la questione della vigenza nell’ordinamento del principio di automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio.

Il suddetto principio non è, in effetti, contenuto in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini generali, ma viene di volta in volta invocato quando si ponga per una categoria di pubblici dipendenti la necessità di uno speciale adeguamento del trattamento di quiescenza, in relazione ad una dinamica salariale del personale in servizio che venga a discostarsi in misura notevole dai valori economici precedentemente attribuiti e sui quali veniva calcolato il trattamento di quiescenza.

La Corte costituzionale ( sent. n. 409 del 1995 ) ha avuto occasione di affermare che i modi attraverso i quali perseguire l’obiettivo dell’aggiornamento delle pensioni dei pubblici dipendenti possono essere, in via di principio, o la riliquidazione ( allineamento delle pensioni al trattamento di attività di servizio di volta in volta disposto con apposita legge ) o la c.d. “ perequazione automatica “ consistente in un meccanismo normativamente predeterminato, che adegui periodicamente i trattamenti di quiescenza agli aumenti retributivi intervenuti mediamente nell’ambito delle categorie del lavoro dipendente.

E’ certo, comunque, che solo in casi particolari il legislatore ha ritenuto di agganciare automaticamente la pensione allo stipendio, dettando apposite disposizioni ( cfr. art. 2, comma 2°, L. 27 ottobre 1973 n. 629, recante nuove disposizioni per le pensioni privilegiate ordinarie in favore dei superstiti dei caduti nell’adempimento del dovere, appartenenti ai Corpi di Polizia ).

Va in proposito ricordato che la Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, con decisione n. 49970 del 12 maggio 1982, si era in origine espressa nel senso che l’articolo 11 della L. 24 maggio 1951 n. 392 avesse introdotto nell’ordinamento il principio dell’adeguamento permanente delle pensioni del personale di magistratura alle retribuzioni dei pari grado in servizio, senza bisogno di appositi provvedimenti legislativi.

Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, ritenuto che detta norma non avesse valore di disposizione a carattere generale intesa a tale automatico e permanente adeguamento pensionistico, con ordinanza n. 104 del 24 giugno 1985 avevano investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della normativa nel frattempo intervenuta, che non prevedeva criteri atti a garantire trattamenti pensionistici proporzionati alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Con sentenza n. 501 del 21 aprile/5 maggio 1988 la Corte costituzionale, preso atto del cospicuo divario che, per il personale di magistratura, si era verificato tra pensioni e retribuzioni a seguito della L. 6 agosto 1984 n. 425 dopo avere affermato “ l’esigenza di un costante adeguamento “ dei due trattamenti, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 3 comma 1 e 6 della L. 17 aprile 1985 n.141 nella parte in cui avevano disposto rivalutazioni percentuali invece di assicurare l’adeguamento attraverso una apposita riliquidazione, con decorrenza 1° gennaio 1988, delle pensioni dei soggetti esclusi dai nuovi stipendi perché collocati in quiescenza anteriormente al 1° luglio 1983.

A seguito dei detta sentenza, alcuni magistrati, avendo già beneficiato della riliquidazione sulla base del trattamento spettante in applicazione della L. n.425/1984, chiesero l’ulteriore adeguamento automatico della loro pensione, come sopra liquidata, alle successive variazioni del trattamento di attività ottenute dai pari grado alle date del 1° gennaio 1989 e 1° gennaio 19990, nonché il riconoscimento del diritto all’adeguamento permanente in relazione ad ulteriori aumenti futuri, per effetto del meccanismo di incremento costante previsto dall’articolo 2 della L. 19 febbraio 1981 n. 27.

La giurisprudenza di questa Corte ( SS.RR.14 novembre 1988 n. 76/c ; Sezione del controllo 17 novembre 1988 n. 2021; Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, nn. 62911, 62912 e 62913 del 20 marzo 1989 ) si pronunciò inizialmente in senso favorevole ai ricorrenti.

Secondo tale giurisprudenza si era sostanzialmente instaurato un meccanismo di aggancio automatico e perenne tra pensioni e stipendi dei magistrati.

Successivamente, però, la stessa Sezione III Giurisdizionale Pensioni Civili, con ordinanza del 21 maggio 1990, constatata l’esistenza di un vuoto legislativo che legittimasse tale principio, denunciava l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’articolo 2 della L. 19 febbraio 1981.

La Corte costituzionale, non condividendo la prospettata questione di legittimità costituzionale, con ordinanza n. 95 dell’11/16 febbraio 1991 ne dichiarava la manifesta inammissibilità, rilevando che “ una sentenza atta ad innestare nella normativa pensionistica un meccanismo di adeguamento periodico concepito per il personale di servizio “, comportando varietà di scelte e molteplicità di implicazioni, sarebbe stato il risultato di attività “ certamente estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa propria del legislatore”.

Il legislatore interveniva qualche mese dopo, con la L. 8 agosto 1991 n. 265, sottoposta, come è noto al vaglio della Corte costituzionale in più riprese e sotto diversi profili di incostituzionalità.

Con sentenza n. 42 del 28 gennaio/10 febbraio 1993 la Corte costituzionale affermava che “ il legislatore, nell’escludere dalla riliquidazione delle pensioni l’applicabilità del meccanismo di adeguamento aveva esercitato una discrezionalità sua propria “, volendo limitare gli effetti dello stesso nell’ambito esclusivo del trattamento stipendiale per il quale era stato concepito.

Nel ribadire che esula dai limiti del controllo di legittimità l’operazione additiva consistente in una mera trasposizione dell’istituto nel settore pensionistico ( dichiarando, quindi, inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale ) la Corte osservava tuttavia che “ la radicale opzione nel senso di cristallizzare la riliquidazione alle misure stipendiali dal 1° luglio 1983, senza alcun conto, neppure parziale, degli adeguamenti, né prima né dopo “ non può non prospettarsi come fattore di nuove e ulteriori divaricazioni tra pensioni e stipendi, rappresentando l’ipotesi che nel medio periodo l’andamento delle retribuzioni finirà per discostarsi dalle pensioni “ ben al di là di quel ragionevole rapporto di corrispondenza, sia pure tendenziale ed imperfetto “ a suo tempo richiesto dalla stessa Corte ai sensi degli articoli 3 e 36 della Costituzione, con la ovvia conseguenza che le considerazioni svolte nella sentenza n, 501 del 1988 a proposito dell’omesso calcolo delle anzianità pregresse ben potrebbero alla mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo tra variazioni retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego e computo delle pensioni, così determinando l’esigenza di un riesame della questione di costituzionalità ( “un riesame della questione di costituzionalità si sarebbe reso necessario ove nel futuro la divaricazione fra stipendi e pensioni si discostasse da un ragionevole rapporto di corrispondenza “ ).

Successivamente, con sentenza n. 409 del 20/27 luglio 1995, la Corte costituzionale dichiarava ancora una volta non fondate o manifestamente infondate alcune questioni sollevate dalla sezione Giurisdizionale Sicilia e dalla Sezione Giurisdizionale Lazio, e pur riaffermando il principio costituzionale di proporzionalità ed adeguatezza della pensione, da garantire non soltanto con riferimento al momento del collocamento a riposo ma anche in prosieguo, in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta, rilevava che all’attualità ( e, quindi, nel 1995 ) tutto ciò appare assicurato dai meccanismi perequativi e rivalutativi esistenti, ribadendo che spetta al legislatore ragionevolmente soddisfare nel tempo detta esigenza ed escludendo che questo comporti inderogabilmente un costante e periodico allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di attività di servizio.

Inoltre, con ordinanza n.531 del 6/18 dicembre 2002, la Corte costituzionale interveniva nuovamente sul tema, investita dalla Sezione Giurisdizionale Regionale Puglia, riaffermando i suddetti principi e, in particolare, che spetta al legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’articolo 38 della Costituzione - con riguardo al “ bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa…con il limite comunque di assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona “ ( sentenza n. 457 del 1998 )” e aggiungendo qualcosa di più: e cioè, che “ l’esigenza di adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita è assicurata attraverso il meccanismo della perequazione automatica del trattamento pensionistico ( attualmente disciplinato dal d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 “…. )”.

Tale meccanismo di adeguamento al costo della vita è stato considerato dalla Corte costituzionale, con sentenza n.30 del 13/23 gennaio 2004, emessa su rimessione della Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale, idoneo ad assicurare il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione, e la sua validità è stata ribadita con la recente ordinanza n. 383 dell’1/14 dicembre 2004, nella quale è stata respinta la questione di legittimità costituzionale – sollevata dalla sezione Giurisdizionale Regionale Calabria - della mancata previsione, ad opera della L. 141 del 1985, della riliquidazione del trattamento pensionistico dei pubblici dipendenti collocati a riposo, a far data dal 1° gennaio 1988.

Sulla base di quanto sopra, la giurisprudenza costante della Corte dei conti è nel senso della inesistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di un principio di adeguamento automatico delle pensioni alle retribuzioni ( cfr., ad es., Sez. Reg. Lombardia 20 novembre 2002 n. 1906 ) .

Ciò premesso, deve precisarsi che la costruzione giurisprudenziale della inesistenza di un principio costituzionale che garantisca il costante adeguamento delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio risente dell’influenza esercitata in subjecta materia dalle decisioni emesse dalla Corte costituzionale, che appartengono alla tipologia delle decisoni di rigetto.

Tale tipo di decisioni non pone particolari problemi, a differenza delle decisioni interpretative di rigetto, contraddistinte dall’inserimento nel dispositivo delle parole “ nei sensi in motivazione “, formula con la quale si intende esprimere il carattere condizionale della sentenza e la portata di “ doppia pronuncia “ che essa assume.

In relazione a queste ultime, infatti, si è acceso recentemente il conflitto fra la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale in ordine al problema della loro efficacia.

Hanno affermato, infatti, le Sezioni Unite penali, con la sentenza del 17 maggio 2004 n. 23016, il seguente principio di diritto: “ Le decisoni interpretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità costituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione “.

L’occasione è stata offerta dalla interpretazione – contrastata da molti giudici di merito e dalla stessa Cassazione - secondo cui l’articolo 303, comma 2°, del c.p.p. non è in contrasto con il dettato costituzionale. Si tratta della norma secondo cui, in caso di regresso del processo, per l’imputato detenuto ricominciano a decorrere i termini della fase della custodia cautelare. Norma che la Consulta ha ritenuto costituzionale con la sentenza n. 292 del 1998, che è interpretativa di rigetto, come le successive ordinanze, con le quali è stata dichiarata la infondatezza ( n. 429/1999 ) o la inammissibilità ( n. 243/2003, n. 335/2003, n.59/2004 ) delle medesime questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito.

Osservano le Sezioni Unite penali, nella sentenza n. 23016/2004 cit., che “ L’autonomia e l’indipendenza del giudice nell’interpretazione della legge sono presidiate, a loro, volta dalla garanzia apprestata dalla specifica previsione dell’articolo 101, comma 2, Costituzione, dalla quale direttamente deriva la rigida tutela di un tale potere da possibili interferenze e condizionamenti esterni…” e che “…l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione ad ogni giudice non riguarda soltanto le operazioni ermeneutiche aventi ad oggetto leggi ordinarie ed atti con forza di legge, ma si estende al contenuto e alla portata delle disposizioni costituzionali, che si inseriscono nell’ordinamento come norme-principio, conformando i lineamenti del sistema e ponendosi quali imprescindibili parametri di riferimento nell’interpretazione delle disposizioni che lo costituiscono “.

Condividendo l’orientamento della Corte di Cassazione, rivendica questo Giudice a sé il compito di interpretare in modo autonomo ed indipendente le norme costituzionali in materia pensionistica ( artt. 36 e 38 ) - a maggior ragione , come nel caso in esame , in presenza di una interpretazione della Corte costituzionale espressa attraverso decisioni ( mere ) di rigetto, che non vincolano il giudice - giungendo ad affermare la vigenza nel nostro ordinamento di un principio di collegamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni del settore pubblico sulla base della applicazione diretta degli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Come è noto, nella Costituzione italiana non esiste una previsione espressa della applicazione diretta dei diritti costituzionali nei rapporti intersoggettivi, corrispondente al § 3 dell’art. 1 della legge fondamentale ( Grundgesetz ) della Repubblica federale tedesca del 1949 , anche se questa efficacia diretta orizzontale - la c.d. drittwirkung – è stata ormai riconosciuta dalla Corte costituzionale ( ad es., nelle sentt. 122/1970 e 88/1979 in tema di diritto alla salute, considerato suscettibile di fondare direttamente la pretesa del lavoratore di ottenere il risarcimento del danno determinato dalle condizioni di lavoro nell’impresa; nelle sent. 156/1971 e 177/1984, in tema di diritto del lavoratore ad una retribuzione minima, ex art. 36 cost. ), nonché dalla Corte dei Cassazione ( in tema di contratti: n.10511/1999; in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo: n. 4083/1996 e n.500/1999; in tema di risarcimento del danno alla persona: n.7713/2000 , n.8828/2003 e 233/2003; in tema di sequestro penale: n. 3572/1995; in tema di diritto alla salute: n. 3870/1994) e dalla dottrina.

Nel quadro della giurisprudenza costituzionale, non solo non è dato rinvenire alcuna affermazione in contrasto con la c.d. drittwirkung dei giudici, ma plurime sono addirittura le pronunzie a quella applicazione diffusa dei precetti costituzionali danno invece impulso.

La posizione della Corte costituzionale nei riguardi dell’istituto in esame si esprime in particolare : a) dando l’istituto stesso per presupposto e facendovi richiamo come dato complementare di disciplina di determinate materie ( n.333/1991 ); b) esortando anzi i giudici a farne applicazione ( n. 34/1973 ); c) rimarcandone addirittura la necessità in determinati contesti normativi ( n.184/1986 ); d) rimovendo, infine, ostacoli, frapposti dal legislatore ordinario, alla sua operatività ( n. 313/1990 )

Un principio equivalente a quello della c.d. drittwirkung è peraltro ricavabile per implicito dall’incipit dell’articolo 2 della Costituzione italiana, per cui “ la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo “ ( cfr., Cass. 20 aprile 1994 n.3775 ).

Staccandosi dal piano puramente concettuale, ci si accorge che l’utilizzo della applicazione diretta delle disposizioni costituzionali ( cfr., di recente, Corte cost. n. 512/2002 ) presuppone una concezione della Costituzione vista non soltanto in posizione di difesa nei riguardi di interventi positivi del legislatore ma come atto normativo idoneo a soddisfare in modo diretto, senza la necessaria intermediazione legislativa, la domanda di giustizia che proviene dalla società.

La Corte costituzionale, data la natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha affermato, con orientamento risalente nel tempo, il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore della sua famiglia, nel pieno rispetto dell’art. 36 Cost. ( sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968 ) e tuttavia ha altrettanto costantemente affermato che non esiste un principio costituzionale che possa garantire l’adeguamento costante delle pensioni agli stipendi, spettando alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost. sulla base di un “ ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…) compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per farvi fronte ai relativi impegni di spesa “ ( sentenza n. 119 del 1991 ) - nello stesso senso, cfr. ordinanza n. 531 del 2002 e sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993 - ma con il limite, comunque, di assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona “ ( sentenza n. 457 del 1998 ).

La stessa Corte costituzionale ha, comunque, affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia ( sentenze n. 409 del 1995 e n. 226 del 1993 ) . In quest’ultima pronuncia si riporta l’attenzione del legislatore sulla necessità di sorvegliare l’andamento del fenomeno “ al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici tali che potrebbero rendere inevitabile l’intervento correttivo della Corte”.

Nella presente situazione delle pensioni del settore pubblico, pertanto, sembra non si possa individuare più l’esercizio di una discrezionalità legislativa nell’attuare – sia pur variamente – l’adeguamento costante tra i due tronconi del trattamento retributivo ( quello di attività e quello pensionistico ), ma che si debba parlare di una completa negazione di quel principio di “ solidarietà “ tra lavoratori e pensionati, cui si deve affiancare una solidarietà più ampia dell’intera collettività, come argomenta la sentenza costituzionale n. 226/1993; si tratta di principi che - aggiunge la sentenza –se non richiedono una rigorosa corrispondenza tra contribuzioni e prestazioni previdenziali esigono però un limite di ragionevolezza nel legiferare che sembra nella specie del tutto obliterato, non essendoci più alcuna commisurazione delle pensioni agli stipendi.

Né può essere dimenticato che se è vero – come la Corte costituzionale ha più volte rilevato – che il legislatore deve farsi carico della non illimitatezza delle risorse finanziarie, è anche vero che dalla natura retributiva del trattamento di quiescenza sembrano derivare conseguenze non trascurabili ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione.

Per le ragioni sopra esposte non può condividersi l’orientamento seguito dalla prevalente giurisprudenza delle sezioni giurisdizioni e di appello della Corte dei conti.

Del resto, con riferimento ad analogo giudizio ( n. 27894), la stessa Amministrazione degli Interni non ha esperito appello avverso la sentenza di questo G.U.P., con cui è stato riconosciuto il diritto alla perequazione del trattamento pensionistico, evidentemente condividendo il ragionamento contenuto nella sentenza di accoglimento.

In applicazione, quindi, degli articoli 36 e 38 della Costituzione ritiene questo Giudice, per le considerazioni sopra espresse, che debba essere affermato il diritto del ricorrente alla perequazione del trattamento pensionistico, con aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed anzianità in attività di servizio.

Sulle somme in tal senso dovute spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge.

Sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio, in considerazione della natura della controversia.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso n° 32507 e, per lo effetto, accerta il diritto dei ricorrenti alla perequazione della pensione, con collegamento al trattamento stipendiale dei dipendenti di pari anzianità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nella misura di legge, nei sensi in motivazione.

Spese di giudizio compensate.

Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del dieci novembre duemiladiciassette.

IL GIUDICE

F.to ( V. Raeli )

Depositata in Segreteria il 23/01/2018

Il Funzionario di Cancelleria

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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

Messaggio da panorama »

Accolto solo per un aspetto. Interessante.

Inoltre, la Corte dei Conti ritiene che: "Tale circostanza, peraltro, è essenziale al fine di ritenere non necessaria la rimessione alla Corte Costituzionale della questione".
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Ecco alcuni brani.

1) - La questione posta al vaglio del giudicante attiene al diritto del ricorrente di vedersi riliquidare il trattamento di fine rapporto, la pensione e le ulteriori indennità dovute in occasione del congedo in ragione del trattamento economico dirigenziale, delle classi e degli scatti stipendiali non corrisposti durante il c.d. blocco retributivo di cui ai commi 1 e 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010.

2) - Con riferimento alla riliquidazione del trattamento pensionistico, invece, le doglianze formulate in ricorso sono fondate, sebbene solo con riferimento al riconoscimento dello scatto di anzianità.
A tale conclusione il giudice perviene proprio in ragione di un’interpretazione secundum costitutionem del quadro normativo che disciplina la materia.

3) - Ebbene, detta locuzione (per i predetti anni ), unitamente agli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia, inducono questo giudice a ritenere che il ricorrente abbia ragione a dolersi della mancata riliquidazione del trattamento pensionistico con l’inserimento nella base pensionabile anche dei miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera a decorrere, però, dall’1.1.2015.

4) - Il ricorrente, infatti, in data 4.10.2011 aveva maturato la qualifica dirigenziale spettante dopo i 25 anni dalla nomina a Ufficiale.
Il 30.10.2013 è stato posto in congedo per limiti d’età.

5) - Quanto sin qui evidenziato consente a questo giudice di interpretare secundum costitutionem la disposizione contenuta nell’art. 9 comma 21 terzo periodo nel senso di poter riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi computare, nel trattamento di quiescenza, gli effetti economici pensionabili della promozione di carriera a decorrere dall’1.1.2015.
Peraltro, una tale interpretazione è dovuta anche considerando che la norma in esame non ha esplicitamente escluso detta possibilità. L’art. 9, comma 21, infatti, non ha regolato la posizione dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nel considerato periodo 2011-2014.
Tale circostanza, peraltro, è essenziale al fine di ritenere non necessaria la rimessione alla Corte Costituzionale della questione.

6) - Ebbene, tutto ciò considerato ritiene questo giudice che commisurando la legge in rassegna alla ratio constitutionisis (come impone l’onere interpretativo attribuito a questo giudice), avendo anche in considerazione le esigenze del caso concreto, è possibile dare un’interpretazione dell’art. 9 comma 21 del d.l., 78/10 che tenga conto del principio di uguaglianza e del principio della ragionevolezza della legge; è pertanto possibile riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico tenendo in considerazione, a decorrere dall’1.1.2015, solo i benefici economici pensionabili che sono scaturiti dallo scatto di carriera.

7) - accerta il diritto del ricorrente a vedersi inserire nella base pensionabile i miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera avvenuta il 30.10.2013.

N.B.: leggete tutto il contesto qui sotto.
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CALABRIA SENTENZA 13 01/02/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
CALABRIA SENTENZA 13 2018 PENSIONI 01/02/2018
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
Il Giudice unico delle pensioni
Cons. Ida Contino

Ha emesso la seguente

SENTENZA n. 13/2018

Nel ricorso in materia di pensioni militari, iscritto al n. 21471 del registro di segreteria, il sig. A. R., (c.f. Omissis) nato a omissis il Omissis, elettivamente domiciliato in Omissis alla via Paolo Emilio n. 34 presso lo studio dell’avv. Roberto Mandolesi , avverso:

- MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZA, in persona del Ministro pro-tempore, con domicilio presso la propria sede i Roma alla via XX Settembre n. 97 ed, ex lege, presso gli Uffici dell’Avvocatura dello Stato in Catanzaro alla v. G. da Fiore n. 34;

- COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, in persona del Comandante Generale pro-tempore, con domicilio presso la propria sede i Omissis in Omissis ed ex lege presso gli Uffici dell’Avvocatura dello Stato in Omissis alla v. G. da Fiore n. 34;

- I.N.P.S., ex gestione Inpdap, in persona del Presidente pro-tempore con domicilio presso la propria sede in Omissis alla Omissis e presso la sede di Omissis in v. Francesco Crispi.

Letto il ricorso depositato il 20.11.2017;

Lette le memorie di costituzione;
Uditi, nell’odierna udienza, l’avv. Stefania Valia nell’interesse e per delega dell’avv. Roberto Mandolesi, il Capitano Bruno Murano, quale rappresentante della Guardia di Finanza e l’avv. Giacinto Greco per l’Inps.


FATTO

1) Con atto introduttivo del presente giudizio il sig. A. R. ha adito questa Corte dei conti per ottenere la declaratoria di nullità, in parte de qua, del provvedimento di liquidazione del trattamento di fine rapporto, della pensione e delle altre Indennità dovute al momento del congedo, nella parte in cui assumono come base pensionabile le voci stipendiali decurtate per effetto del d.l. 78/2010, anziché quelle dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica conseguita .

2) Il ricorrente ha prestato il proprio servizio presso il Corpo della Guardia di Finanza sin dal 10.11.1972; in data 4.10.2011 ha maturato i 25 anni dalla nomina ad Ufficiale con diritto al relativo trattamento economico dirigenziale.

Il 30.10.2013 è stato collocato in ausiliaria per raggiunti limiti d’età e successivamente è stato collocato in riserva.

Lamenta in ricorso che a causa del cd “blocco retributivo” disposto dall’art. 9, comma 1 e 21 per il periodo 2011, 2012 e 2013 (successivamente esteso al 2014 e, in un certo senso prorogato anche sino al 31 dicembre 2015), il trattamento pensionistico gli è stato calcolato sulla base delle voci stipendiali percepite nel 2010, quindi, su una base economica inferiore all’anzianità giuridicamente rivestita al momento del collocamento in ausiliaria.

Il ricorrente, a sostegno della propria pretesa, dopo aver richiamato la disciplina normativa, rileva che più volte la Corte costituzionale è stata interpellata sulla legittimità costituzionale della c.d. “cristallizzazione “ degli incrementi economici; e che ha sempre ritenuto giustificato e legittimo l’intervento normativo a causa della notoria esigenza di contenimento della spesa pubblica, sottolineando però sempre la necessità che tale sacrificio imposto abbia un carattere eccezionale e temporalmente limitato .

Proprio in ragione delle pronunce della Corte Costituzionale, il ricorrente lamenta la fondatezza del diritto a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico in ragione dei benefici economici maturati nel periodo 2011-2013 evidenziando che, diversamente operando, l’Amministrazione fa discendere dal “blocco delle retribuzioni” un effetto permanente che invece il legislatore aveva previsto solo per un periodo limitato.

Argomenta altresì il proprio diritto opponendo la violazione di principi costituzionali quali l’art. 3, l’art. 36 e 38 , 2° comma della Costituzione.

Tutto ciò premesso conclude chiedendo, previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione d’illegittimità costituzionale, l’accoglimento del ricorso.

3) Con memoria del 4.1.2018 si è costituito l’Inps, ex gestione Inpdap eccependo , in via preliminare, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con riferimento al trattamento di fine rapporto; sempre in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso non avendo l’Inps ancora ricevuto alcun provvedimento di pensione e quindi nessun pagamento a titolo di pensione risulta a carico dell’Ente previdenziale.

Nel merito oppone l’infondatezza della pretesa avanzata in considerazione del principio normativo secondo cui il trattamento pensionistico va rapportato al trattamento economico effettivamente percepito; e, poiché il ricorrente a causa del blocco disposto dal d.l. 78/2010 non ha mai percepito il trattamento economico dirigenziale, non può trovare accoglimento l’istanza di riliquidazione.

4) Con memoria del 28.12.2017, si è costituita la Guardia di Finanza opponendo la correttezza del proprio operato in ragione delle disposizioni che disciplinano il trattamento pensionistico.

5) All’odierna udienza, udite le parti, la causa è posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) La questione posta al vaglio del giudicante attiene al diritto del ricorrente di vedersi riliquidare il trattamento di fine rapporto, la pensione e le ulteriori indennità dovute in occasione del congedo in ragione del trattamento economico dirigenziale, delle classi e degli scatti stipendiali non corrisposti durante il c.d. blocco retributivo di cui ai commi 1 e 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010.

2) In primo luogo deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con riferimento alla richiesta di riliquidazione del TFR; come è noto a norma degli artt.13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, la Corte dei conti è competente sulle controversie che riguardano i trattamenti pensionistici a totale o parziale carico dello Stato e degli altri enti designati dalla legge, esercitando giurisdizione esclusiva sia nel caso in cui la lite verta sull'an che sul quantum della pensione (Cass. Sez. Un. 4 ottobre 1996, n. 8682).

Il carattere esclusivo della giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti in tema di pensioni pubbliche, comporta pertanto che in essa ricadano solo le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale.

Il trattamento di fine rapporto è invece un istituto, che, sebbene venga liquidato a condizione che il beneficiario sia collocato in quiescenza, è del tutto estraneo al rapporto di pensione rientrando invece nella dinamica del rapporto di lavoro. Detto istituto, infatti, è il frutto di accantonamenti con finalità contributive che il lavoratore compie in costanza di impiego, accantonamenti per nulla assimilabili ai versamenti previdenziali che invece danno origine al trattamento di pensione da intendersi quale retribuzione differita Deve essere pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti con esclusivo riferimento al ricalcolo del Trattamento di fine servizio.

3) Altrettanto inammissibile è il ricorso con riferimento alle non meglio specificate “ altre indennità dovute al momento del congedo”. L’inammissibilità si fonda sulla genericità della domanda stessa che non consente al Giudice di individuare concretamente a quali emolumenti il ricorrente si riferisca e se, su tali emolumenti, vi sia la competenza cognitiva della Corte dei conti.

4) Con riferimento alla riliquidazione del trattamento pensionistico, invece, le doglianze formulate in ricorso sono fondate, sebbene solo con riferimento al riconoscimento dello scatto di anzianità.

A tale conclusione il giudice perviene proprio in ragione di un’interpretazione secundum costitutionem del quadro normativo che disciplina la materia.

La disposizione di riferimento è contenuta, come innanzi evidenziato, nel comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010 a cagione del quale “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 cosi' come previsti dall’art., 24 della l. 448/98, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. . Per le categorie di personale di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale dell’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”

Ebbene, il tenore della disposizione è inequivoco nel ritenere che le classi e gli scatti di stipendio eventualmente maturati nel triennio non sono recuperabili.

In proposito, la Corte costituzionale ha giustamente precisato che “il risparmio della spesa pubblica derivante dal temporaneo divieto di contrattazione possa essere vanificato da una successiva procedura contrattuale o negoziale che abbia ad oggetto il trattamento economico relativo proprio a quello stesso triennio, trasformandosì così in un mero rinvio della spesa” ( Corte cost. sentenza n. 310/2013).

La scelta del legislatore, dunque, con il blocco stipendiale in esame, è stata quella di realizzare un taglio della spesa e non piuttosto un semplice rinvio della stessa.

Anche per tale motivo il terzo periodo della norma in esame dispone che le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, solo ai fini giuridici.

Detta ultima disposizione, tuttavia rivela altresì l’intenzione normativa di riconoscere gli effetti economici delle progressioni di carriera maturate durante il blocco, una volta cessato il triennio.

Il legislatore, infatti, laddove dice “ per i predetti anni” manifesta univocamente la volontà che gli effetti economici della progressione di carriera restino solo sospesi durante il triennio ( diventato poi quadriennio a cagione della l190/2014 che ha prorogato le misure restrittive per tutto l’anno 2014) e inizino a decorrere una volta cessato il blocco.

Tanto è vero che i dipendenti in servizio, che al pari del ricorrente sono diventati dirigenti nel periodo del blocco, hanno regolarmente ricevuto, a decorrere dall’1.1.2015, gli effetti economici della progressione di carriera sebbene correttamente non abbiano recuperato alcunché degli emolumenti non percepiti durante la cristallizzazione retributiva.

Ebbene, detta locuzione (per i predetti anni ), unitamente agli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia, inducono questo giudice a ritenere che il ricorrente abbia ragione a dolersi della mancata riliquidazione del trattamento pensionistico con l’inserimento nella base pensionabile anche dei miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera a decorrere, però, dall’1.1.2015.

Il ricorrente, infatti, in data 4.10.2011 aveva maturato la qualifica dirigenziale spettante dopo i 25 anni dalla nomina a Ufficiale.

Il 30.10.2013 è stato posto in congedo per limiti d’età.

Correttamente la progressione economica non è stata mai attribuita al A. R. durante il servizio; ma non riconoscerla ai fini pensionistici, a decorrere dall’1.1.2015, determina un ingiusto e iniquo consolidamento degli effetti economici negativi previsti dal d.l. 78/2010 determinando una irrazionale e definitiva decurtazione dell’emolumento, stigmatizzata anche dalla Consulta.

Nella sentenza n. 310/2013, avente ad oggetto proprio il sindacato di costituzionalità dell’art. 9 comma 21 d.l. 78/2010, infatti, la stessa Corte Costituzionale, richiamando un suo consolidato orientamento nella materia, ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione ( sentenze n. 245 del 1997, n. 299 del 1999 come richiamate anche dalla sentenza n. 223 del 2012 ).

Ebbene, ritiene questo giudice che ove non si riconosca ai soggetti cessati dal servizio per limiti d’età durante il blocco degli stipendi, la possibilità di vedersi riconosciuti gli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante la cristallizzazione delle retribuzioni, a far data dalla cessazione del regime di blocco, si finirebbe per determinare un effetto definitivo penalizzante in capo a taluni soggetti in violazione dei principi costituzionali e alle condizioni di ragionevolezza evidenziati dalla stessa Corte Costituzionale.

Il sacrificio così imposto al ricorrente, non avendo carattere temporaneo, produrrebbe un effetto definitivo che si pone in contrasto con la stessa ratio del d.l. 78/2010 e cioè la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica in un periodo di contingenza economica.

Non solo; causerebbe un’ ingiustificata disparita di trattamento tra chi nel periodo 2011-2014, pur avendo raggiunto lo scatto d’anzianità, si è visto costretto ad andare in quiescenza per raggiunti limiti d’età e chi, invece, proprio perché più giovane, è andato in pensione dopo il periodo di blocco.

Invero questo giudice, proprio sotto detto profilo, conosce l’insegnamento dalla giurisprudenza costituzionale secondo il quale non contrasta con il principio di uguaglianza un trattamento differenziato applicato in momenti successivi, perché lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé un elemento diversificatore in rapporto alle situazioni che nel tempo si vanno svolgendo; il che significa che le differenze di momenti in cui accadono i fatti giuridici possono giustificare diversità di disciplina.

Tuttavia, detto principio non è applicabile alla fattispecie in esame.

Il legislatore, infatti, non è intervenuto successivamente al collocamento in quiescenza del ricorrente per riconoscere benefici economici ai soggetti ancora in servizio; né con il comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/2010 ha escluso definitivamente il riconoscimento degli effetti economici derivanti dalla progressione di carriera maturata durante il triennio

Il legislatore ha solo “sospeso” l’erogazione di tali benefici economici per il periodo del blocco.

La disciplina vigente al momento del collocamento in quiescenza del ricorrente stabiliva, infatti, le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, solo ai fini giuridici.

E però, a causa del raggiungimento del limite d’età, il A. R. si è visto costretto ad andare in quiescenza proprio durante il blocco così non usufruendo degli effetti economici dello scatto di carriera che per legge, vigente al momento del suo collocamento in quiescenza, gli sarebbero spettati a decorrere dall’1.1.2015 ove non avesse raggiunto il limite d’età nel 2013.

L’elemento che, a parere di questo giudicante caratterizza la vicenda, dunque, è che la norma vigente alla data del pensionamento del ricorrente prevedeva una sospensione dell’effetto economico e non l’’eliminazione.

ll A. R. era già divenuto dirigente ma, in ragione di una norma eccezionale e temporalmente definita, per un periodo limitato ( tre anni) si era visto sospendere il vantaggio economico che ne scaturiva.

Quanto sin qui evidenziato consente a questo giudice di interpretare secundum costitutionem la disposizione contenuta nell’art. 9 comma 21 terzo periodo nel senso di poter riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi computare, nel trattamento di quiescenza, gli effetti economici pensionabili della promozione di carriera a decorrere dall’1.1.2015.

Peraltro, una tale interpretazione è dovuta anche considerando che la norma in esame non ha esplicitamente escluso detta possibilità. L’art. 9, comma 21, infatti, non ha regolato la posizione dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nel considerato periodo 2011-2014.

Tale circostanza, peraltro, è essenziale al fine di ritenere non necessaria la rimessione alla Corte Costituzionale della questione.

Ebbene, tutto ciò considerato ritiene questo giudice che commisurando la legge in rassegna alla ratio constitutionisis (come impone l’onere interpretativo attribuito a questo giudice), avendo anche in considerazione le esigenze del caso concreto, è possibile dare un’interpretazione dell’art. 9 comma 21 del d.l., 78/10 che tenga conto del principio di uguaglianza e del principio della ragionevolezza della legge; è pertanto possibile riconoscere il diritto del ricorrente a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico tenendo in considerazione, a decorrere dall’1.1.2015, solo i benefici economici pensionabili che sono scaturiti dallo scatto di carriera.

Conclusivamente, questa Corte dei conti dichiara il proprio difetto di giurisdizione con riferimento alla riliquidazione del TFR; dichiara l’inammissibilità del ricorso con riferimento alla domanda di riliquidazione delle non meglio specificate indennità conseguenti alla pensione per indeterminatezza della domanda;

accerta il diritto del ricorrente a vedersi inserire nella base pensionabile i miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera avvenuta il 30.10.2013.

Condanna l’Amministrazione alla corresponsione dei ratei arretrati a decorrere dall’1.1.2015, maggiorati degli interessi e della rivalutazione calcolati secondo le modalità indicate dalle SS.RR. della Corte dei conti e quindi come maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo.

Attesa la complessità della questione, si compensano le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Calabria, definitivamente pronunciando:

DICHIARA

il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di riliquidazione del TFR;

l’inammissibilità della domanda di riliquidazione delle indennità conseguenti alla pensione per indeterminatezza;

ACCOGLIE

Il ricorso con riferimento alla riliquidazione della pensione e per l’effetto riconosce il diritto del ricorrente a vedersi inserire nella base pensionabile i miglioramenti economici scaturenti dalla progressione di carriera avvenuta il 30.10.2013.

Condanna l’Amministrazione alla corresponsione dei ratei arretrati a decorrere dall’1.1.2015, maggiorati degli interessi e della rivalutazione monetaria calcolati secondo le modalità indicate dalle SS.RR. della Corte dei conti e quindi come maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo.

Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 17.1.2018.
Il Giudice
f.to Ida Contino


Depositato in segreteria il 31/01/2018


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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

Messaggio da naturopata »

Questo ricorso della corte Calabra è stato vinto dall'avv. Mandolesi. Ogni tanto diamo a cesare quel che è di cesare. Ovviamente questo è un ricorso singolo, rispetto ai cumulativi e molto spesso vuol, dire tanto.
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Ora dipende se l'Amministrazione non fa l'Appello, quindi rimane "forse" tutto campato in aria.
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Ricorso Accolto

1) - Accertamento e declaratoria del diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile e alla conseguente riliquidazione della pensione, a far data dalla cessazione del servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’articolo 21, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) che gli sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015.

P.Q.M.

Il giudice unico delle pensioni presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, lo accoglie e, per l’effetto:

2) - Accerta il diritto della parte ricorrente, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, agli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante la cristallizzazione delle retribuzioni, nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015.
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Sezione CALABRIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 210 Pubblicazione 21/09/2018

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
R E P U BB L I C A I T A L I A N A
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA CALABRIA
Il giudice unico delle pensioni
Primo referendario Andrea Luberti

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA n.210/2018

Sul ricorso in materia di pensioni militari numero 21691 del registro di segreteria, proposto da:
V. S., nato a omissis in data Omissis, residente a omissis alla via omissis.

Parte ricorrente, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Saccucci e Marco Magnano (indirizzi di posta elettronica certificata andreasaccucci@pec.it e matteomagnano@pec.it), con studio in Roma, alla via Lisbona, 9; ivi elettivamente domiciliata in forza di procura speciale.

Contro:

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro, con sede alla via Gioacchino da Fiore, 34;

Comando generale della Guardia di finanza, in persona del Comandante generale pro tempore, costituito direttamente.

Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, alla via Ciro il Grande, 21.

Ente rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli; domiciliato presso la sede dell’Avvocatura dell’INPS in Catanzaro, alla Via Francesco Acri, 81;

Parti resistenti

Per: Accertamento e declaratoria del diritto del ricorrente alla rideterminazione della base pensionabile e alla conseguente riliquidazione della pensione, a far data dalla cessazione del servizio, tenendo in considerazione gli incrementi stipendiali automatici (non percepiti a norma dell’articolo 21, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) che gli sarebbero spettati in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. Condanna dell’amministrazione convenuta a corrispondere al ricorrente, per effetto della suddetta rideterminazione della base pensionabile, i ratei pensionistici arretrati, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo, secondo le modalità stabilite dalla Corte dei conti, sezioni riunite, sentenza 18 ottobre 2002, n. 10.

In via subordinata, eccezione di incostituzionalità della normativa che, per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cessato dal servizio dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione del servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero maturati dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015.


Visto l’articolo 167 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174;
Visti gli atti e i documenti di causa;
Udita alla pubblica udienza del 5 settembre 2018 la parte ricorrente e quella resistente, nelle persone, rispettivamente, dell’avvocato Stefania Valia, su delega dei difensori, e dell’avvocato Giacinto Greco per l’INPS.


RITENUTO IN FATTO

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha contestato la liquidazione del proprio trattamento previdenziale.

Nel ricorso è esposto che tale determinazione sarebbe stata operata dall’ente convenuto non tenendo conto delle voci retributive decurtate per effetto dell’art. 9, commi 1 e 21 del d.l. 78/2010, dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica giuridicamente conseguite.

Il ricorrente, già appartenente al Corpo della Guardia di finanza, lamenta in sostanza che a causa di detto “blocco retributivo”, disposto per gli anni 2011, 2012 e 2013 (successivamente esteso al 2014 e prorogato anche sino al 31 dicembre 2015), il trattamento pensionistico gli sia stato calcolato sulla base delle voci stipendiali percepite nel 2010, quindi, su una base economica inferiore all’anzianità giuridicamente rivestita al momento del collocamento in congedo.

Il ricorrente, a sostegno della propria pretesa, dopo aver richiamato la disciplina normativa, rileva che più volte la Corte costituzionale è stata interpellata sulla legittimità costituzionale della c.d. “cristallizzazione “ degli incrementi economici; e che ha sempre ritenuto giustificato e legittimo l’intervento normativo a causa della notoria esigenza di contenimento della spesa pubblica, sottolineando però sempre la necessità che tale sacrificio imposto abbia un carattere eccezionale e temporalmente limitato.

Tutto ciò premesso il ricorrente conclude chiedendo previa, ove necessaria, dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione d’illegittimità costituzionale delle norme indicate, l’accoglimento del ricorso nel senso dell’accertamento del proprio diritto alla riliquidazione, oltre a interessi e a rivalutazione.

L’INPS si è costituito con note di memoria del 24 luglio 2018, chiedendo la declaratoria di incompetenza in considerazione del dato che allo stesso INPS consta la residenza della parte ricorrente nel territorio della Regione Campania.

Nel merito, l’INPS ha chiesto il rigetto del ricorso o, in subordine, di limitare la pronuncia alla disposizione, nei confronti della Guardia di finanza, di ricostruzione della carriera, in ogni caso escludendo gli oneri accessori.

Nel corso dell’udienza del 5 settembre 2018 le parti hanno insistito nelle rispettive richieste; in particolare, il difensore della parte ricorrente ha depositato un certificato di residenza storico del medesimo, al fine di dimostrare la competenza territoriale della Sezione giurisdizionale regionale per la Calabria.

Anche la Guardia di finanza si è costituita, con note del 2 agosto 2018.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente, deve essere rigettata la richiesta di declaratoria di incompetenza proposta dall’INPS, che ha peraltro contestato la validità probatoria della certificazione anagrafica storica.

Sul punto, occorre rilevare che l’INPS non ha prodotto certificazione idonea a superare quanto allegato, nel corso dell’udienza, dalla parte ricorrente, con conseguente inottemperanza all’onere probatorio di cui all’articolo 2697 del codice civile, non risultando sul punto sufficiente l’attribuzione della relativa posizione previdenziale ad altra sede.

Nel merito, le questioni sottese alla risoluzione della controversia sono state risolte dalla Sezione, con giurisprudenza ormai consolidata da cui non si avverte ragione di discostarsi (sentenze 31 gennaio 2018, n. 13; e 18 aprile 2018, n. 48); nonché da diverse pronunce di ulteriori sezioni giurisdizionali regionali (Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, sentenza 9 ottobre 2017, n. 278).

In tali sedi è stato evidenziato come, al fine di scongiurare l’ipotesi di contrasto della normativa invocata con i principi posti dalla Corte costituzionale, sia necessaria un’attività ermeneutica che valorizzi il dato testuale della norma, in modo da contenere il sacrificio delle categorie interessate da tale misura.

La disposizione contenuta nel comma 21 della norma più volte riferita dispone infatti che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 così' come previsti dall’art., 24 della l. 448/98, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale dell’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”

Il tenore della norma è inequivocabile nel limitare temporalmente la restrizione menzionata, con conseguente necessità di interpretarla nella più tenue veste di una sospensione temporanea delle progressioni di carriera, senza effetti economici sul trattamento previdenziale.

Tale interpretazione si pone in perfetta sintonia con la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 2013, n. 310, ove interventi di tale tipologia sono stati ritenuti ammissibili nei limiti del carattere “eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione”.

Da tali considerazioni discende la necessità di considerare irrilevante la cristallizzazione esposta ai fini previdenziali, determinandosi, in caso contrario, una protrazione ad infinitum del blocco retributivo in contrasto con le sopra esposte considerazioni. L’interpretazione prospettata consente, invece, di disattendere la prospettata questione di illegittimità costituzionale.

P.Q.M.

Il giudice unico delle pensioni presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, lo accoglie e, per l’effetto:

Accerta il diritto della parte ricorrente, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, agli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione di carriera avvenuta durante la cristallizzazione delle retribuzioni, nel periodo dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2015.

Condanna l’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di arretrati per i maggiori ratei.

Tale importo dovrà, inoltre, essere incrementato della maggior somma tra la rivalutazione monetaria su base annua secondo indici gli ISTAT e gli interessi legali dalla data del fatto sino a quella della pubblicazione della presente sentenza, e ancora degli interessi legali da quest'ultima data sino all’effettivo
soddisfacimento del credito.

Le spese sono compensate, in considerazione della soccombenza reciproca sulle questioni in punto di diritto.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 5 settembre 2018.

IL GIUDICE
f.to Andrea Luberti


Depositata in Segreteria il 20/09/2018


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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Bella notizia cosa bisogna fare? Ii ha vinto in altri ha perso , chi perde chi vince.. andiamo avanti così.. qualcosa e uscirà..
Cosa bisogna fare? Cordiali Saluti..
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Mah aspettiamo...
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Adesso ho capito. Chi vince e chi perde..poi si fa una sottrazione e chi prende più voti passa.
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

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Il consiglio che io posso darti e quello di contattare direttamente (se sei veramente interessato) l'avvocato indicato nella sentenza e ti togli tutti i dubbi.
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "bloc

Messaggio da Sempreme064 »

Grande Panorama, il ho fatto due ricorsi per questo motivo, uno collettivo ed uno individuale, secondo il mio punto di vista Inps che è un ente nazionale nel caso dovesse rideterminare le pensioni dovute al blocco, io penso che una causa vinta vale per tutti gli iscritti, l'ente che gestisce le nostre pensioni diramera circolari per i dovuti allineamenti o ricostituzione pensione. Non dirmi che devo fare una causa/ricorso con quel avvocato? E i due avvocati che ho per i ricorsi fatti cosa gli dico? Gli faccio telefonare a loro?
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Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"

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SENTENZA N. 200
ANNO 2018


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, nel procedimento vertente tra F. S. e il Ministero della difesa, con ordinanza del 13 gennaio 2017, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di F. S., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice relatore Giulio Prosperetti, sostituito per la redazione della decisione dal Giudice Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Umberto Verdacchi e Alba Giordano per F. S. e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, con ordinanza del 13 gennaio 2017 ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall’art. l, comma l, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendia1i per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi l, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell’arco temporale della “cristallizzazione”, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

Espone il giudice rimettente che S. F., ufficiale della Marina militare, è cessato dal servizio per limiti di età a decorrere dall’8 febbraio 2014, essendo stato collocato in ausiliaria dalla stessa data, ai sensi degli artt. 886, comma 1, e 992, comma l, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare). Lo stesso ha convenuto in giudizio il Ministero della difesa avverso il rifiuto opposto all’istanza di rideterminazione della pensione e ha chiesto l’annullamento del provvedimento di determinazione della pensione provvisoria nella parte in cui assume, nella base pensionabile, lo stipendio e gli altri assegni pensionabili propri del grado di ammiraglio ispettore, anziché quelli propri del grado di ammiraglio ispettore capo, grado attribuitogli a seguito della promozione conseguita il 30 agosto 2012. Il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo, conseguito durante il periodo di blocco, disposto dalle predette norme, degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera, e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.

Prosegue il giudice a quo che il Ministero della difesa – Direzione generale della previdenza militare e della leva, si era costituito contestando, in via pregiudiziale, la giurisdizione della Corte dei conti e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il giudice a quo, all’udienza del 18 novembre 2016, con sentenza parziale n. 109 del 2016, ha rigettato le eccezioni proposte dal Ministero della difesa, affermando la giurisdizione della Corte dei conti, e, dichiarata quindi l’ammissibilità del gravame, ha sollevato, con separata ordinanza, la suddetta questione di legittimità, peraltro prospettata dal ricorrente in via subordinata.

2.− Osserva il rimettente che il periodo di efficacia del blocco degli effetti economici derivanti dalle progressioni di carriera si è concluso al 31 dicembre 2014. Conseguentemente, a decorrere dal l° gennaio 2015, il personale in servizio ha potuto godere degli emolumenti derivanti dalle progressioni di carriera conseguite nel periodo del blocco.

Illustrate le disposizioni applicabili alla fattispecie in esame, il rimettente, nell’evidenziare che la questione dedotta in giudizio verte dunque sul quantum del diritto a pensione, assume che la pretesa avanzata nel giudizio principale dal ricorrente di vedersi determinata la pensione sulla base della retribuzione corrispondente al grado di ammiraglio ispettore capo – conseguito il 30 agosto 2012, ovvero in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate – non può, tuttavia, essere accolta atteso il contesto normativo vigente.

Il giudice a quo, al riguardo, deduce che – secondo la giurisprudenza della Corte dei conti – il trattamento stipendiale corrispondente alla progressione di carriera conseguita «ai fini esclusivamente giuridici» nel periodo del blocco, non essendo entrato a far parte della base retributiva e contributiva del ricorrente, non può, in assenza di un’espressa previsione in tal senso, entrare nel calcolo della base pensionabile e nella determinazione del trattamento di quiescenza. Infatti, ai sensi dell’art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio.

Anche per effetto delle disposizioni in materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile previste dall’art. 2, commi 9, 10 e 11, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), il trattamento di quiescenza va rapportato alla contribuzione versata durante il rapporto lavorativo e, quindi, agli emolumenti percepiti in servizio.

Il legislatore, tuttavia, introducendo un temporaneo e transeunte blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera, non ha considerato la posizione di coloro che sarebbero cessati dal servizio prima della cessazione della «cristallizzazione economica», trascurando, in tal modo, che gli stessi avrebbero subito una «vanificazione» della conseguita progressione di carriera, con definitiva perdita della retribuzione discendente dalla progressione stessa.

La mancata previsione della valorizzazione in quiescenza degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera, a far data dalla cessazione del regime di blocco, determina – secondo il giudice rimettente – il contrasto della disciplina censurata con l’art. 3 Cost., sotto il duplice aspetto della contrarietà al principio della ragionevolezza e al principio di uguaglianza.

Infatti, da una parte tale disciplina si appalesa irragionevole a causa degli effetti definitivi che si producono nei confronti dei soggetti che, cessando dal servizio prima della cessazione del blocco, non possono godere, neanche ai fini pensionistici, degli effetti economici delle conseguite promozioni. Il sacrificio loro imposto, non avendo carattere temporaneo, va oltre la giustificata necessità di risparmi immediati per il contenimento della spesa pubblica e, quindi, va oltre la insindacabile discrezionalità del legislatore, sfociando in una arbitraria, e comunque sproporzionata, compromissione, solo per alcuni, degli interessi colpiti dalla «cristallizzazione» degli adeguamenti retributivi.

D’altra parte, vi è una disciplina ingiustificatamente differenziata: i dipendenti rimasti in servizio possono godere degli effetti economici della progressione alla data di cessazione del blocco, mentre altri, come il ricorrente, cessati dal servizio per limiti di età nel periodo del blocco, non possono goderne neanche ai fini della determinazione della base pensionabile. Né la diversa età anagrafica o la sopravvenuta cessazione dal servizio dopo il periodo di blocco rappresentano elementi idonei a giustificare il trattamento differenziato a fronte di identiche situazioni giuridiche caratterizzate dalla stessa anzianità di servizio e dall’avvenuto conseguimento della medesima progressione.

3.− Con atto di intervento depositato in data 13 giugno 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto di dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate.

La difesa statale ricorda la giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale è stata dichiarata la legittimità delle disposizioni che hanno introdotto il blocco degli incrementi stipendiali, in quanto giustificate dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica, e assume che «eventuali discrasie, come quelle evidenziate dal giudice remittente in ordine alle discriminazioni tra dipendenti, costituiscono ostacoli di fatto, tali comunque da non vanificare le predette inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica».

4.− Con atto depositato in data 13 giugno 2017, si è costituito S. F., aderendo alla richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale avanzata dal giudice rimettente, per le ragioni e i profili indicati nell’ordinanza.

Aggiunge, inoltre, la parte costituita che «un ulteriore profilo di incostituzionalità si appalesa per violazione dei parametri desumibili dagli articoli 36 e 38 della Costituzione. Ed infatti: è pacifica la natura di retribuzione differita della pensione; non trova giustificazione la mancata determinazione della base pensionabile, tenendo conto del trattamento economico corrispondente al grado rivestito, per effetto della progressione di carriera maturata anche nel periodo inciso dalla “cristallizzazione”, perché l’art. 9, comma 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010, non lo prevede espressamente».

5.− In prossimità dell’udienza, la medesima parte ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni già svolte a sostegno della fondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.− Con ordinanza del 13 gennaio 2017 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, ha sollevato questioni incidentali di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1 , lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’art. 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111).

Secondo la Corte dei conti rimettente, le disposizioni censurate contrasterebbero con l’art. 3 della Costituzione nella parte in cui non hanno previsto, nei confronti dei soggetti cessati dal servizio nell’arco temporale della «cristallizzazione» degli incrementi retributivi (relativo agli anni 2011-2014), la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco stipendiale, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso.

Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso da F. S., ufficiale della Marina militare con il grado di ammiraglio ispettore, cessato dal servizio per limiti di età a decorrere dall’8 febbraio 2014, contro il Ministero della difesa, per ottenere l’annullamento del provvedimento (del 31 luglio 2015) di determinazione della pensione provvisoria della Direzione di commissariato Marina militare di Roma e la conseguente rideterminazione della pensione, considerando, come base di calcolo del trattamento di quiescenza, lo stipendio e gli altri assegni pensionabili propri del grado di ammiraglio ispettore, anziché quelli propri del grado di ammiraglio ispettore capo, conseguito a seguito della promozione del 30 agosto 2012. L’Amministrazione militare non aveva tenuto conto, al fine della determinazione provvisoria della pensione, della promozione conseguita dal ricorrente, perché ricadente nell’intervallo di tempo della vigenza della disciplina censurata, che prevedeva che gli avanzamenti di carriera avevano effetto «ai fini esclusivamente giuridici» e quindi non anche economici.

2.− Preliminarmente, sotto il profilo dell’ammissibilità, va considerato che la Corte dei conti rimettente deve fare applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, che proroga il blocco stipendiale per l’anno 2014, perché il ricorrente è cessato dal servizio per limiti di età a decorrere dall’8 febbraio 2014, ossia proprio nel corso dell’anno che ha visto prorogata la disciplina legale limitativa degli incrementi retributivi.

E infatti, l’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, non ha prorogato direttamente il blocco disposto dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 per il triennio 2011-2013, ancora in corso alla data di entrata in vigore del medesimo d.l. n. 98 del 2011, ma ha previsto che «[…] con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e dell’economia e delle finanze, può essere disposta: […] b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime». Quindi, la proroga del blocco per l’anno 2014 era rimessa a una scelta discrezionale del Governo, proroga che – disponeva l’art. 16, comma 1, lettera b), citato – «può» – non necessariamente deve – «essere disposta».

Approssimandosi la scadenza del triennio 2011-2013, il Governo è intervenuto con il regolamento emanato con il d.P.R. n. 122 del 2013, che, all’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, ha previsto: «le disposizioni recate dall’articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2014»; ossia per un ulteriore anno oltre l’iniziale triennio (2011-2013) al quale si riferiva la disposizione richiamata. La quale in tanto è anch’essa applicabile nel caso di specie in quanto richiamata dal combinato disposto dell’art. 16, comma 1, lettera b), del citato d.l. n. 98 del 2011, e dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013.

Nella specie, il trattamento pensionistico spettante al ricorrente, della cui esatta quantificazione si dibatte nel giudizio a quo, decorre dalla data del collocamento in quiescenza (8 febbraio 2014) ed è la disciplina del blocco stipendiale vigente a quella data che viene in rilievo, anche se ai fini retributivi – ma di ciò non si fa questione – il ricorrente ha subito il rigore del blocco stipendiale pure nel corso del triennio precedente a partire dalla data della progressione al grado superiore.

Quindi, nel giudizio a quo, essendo applicabile la disciplina della proroga del blocco per l’anno 2014, viene in rilievo proprio l’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, che prevede la proroga al 2014 della disciplina limitativa degli incrementi retributivi, e non già direttamente l’originaria disciplina del blocco stipendiale per il triennio 2011-2013, quest’ultima, invece, di rango solo primario.

Il citato art. 1 ha però natura regolamentare, come espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1, lettera b, citato) che ha autorizzato il Governo a emanarla, e, quindi, costituisce una norma subprimaria, priva di «forza di legge» ai sensi dell’art. 134 Cost.

3.− Tale natura subprimaria della disciplina posta dal regolamento citato potrebbe far dubitare dell’ammissibilità delle questioni sollevate dal giudice rimettente, in quanto verrebbe in rilievo il limite del sindacato accentrato di costituzionalità posto dall’art. 134 Cost.

Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di chiarire che la propria giurisdizione è limitata alla cognizione dell’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e non si estende a norme di natura regolamentare, neppure ai regolamenti di delegificazione (sentenza n. 427 del 2000; ordinanze n. 254 del 2016, n. 156 del 2013, n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006, e n. 389 del 2004). Il sindacato di costituzionalità della normativa subprimaria è rimesso alla cognizione del giudice comune: alla giurisdizione di annullamento del giudice amministrativo e al potere di disapplicazione incidentale di ogni altro giudice.

4.− Non di meno, nella fattispecie, la disposizione censurata può essere oggetto di questione incidentale di costituzionalità innanzi a questa Corte.

Vi è infatti che, con l’arresto giurisprudenziale rappresentato dalla sentenza n. 1104 del 1988, in seguito ripetutamente confermato (da ultimo, sentenza n. 178 del 2015), questa Corte ha affermato che, ove la regolamentazione censurata di illegittimità costituzionale sia rappresentata, nella sostanza, dal combinato disposto di una norma primaria e di una subprimaria e se la prima «risulta in concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nella fonte secondaria», è possibile il sindacato di costituzionalità sulla norma primaria tenendo conto che quella subprimaria ne costituisce un «completamento del contenuto prescrittivo». La citata pronuncia ha ritenuto sussistente questo nesso di specificazione qualificata e, entrando nel merito delle censure, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma primaria.

Analogamente, la sentenza n. 34 del 2011 ha ritenuto che un determinato regolamento ministeriale costituisse «specificazione di una normativa di rango primario ed in particolare della disposizione censurata sicché, unitamente a quest’ultima, può costituire oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità». In senso conforme, è anche la sentenza n. 242 del 2014, che ha affermato che «le disposizioni regolamentari contestualmente impugnate contribuiscono a chiarire il contenuto applicativo della disposizione legislativa, della quale costituiscono specificazione; pertanto, è solo unitamente a quest’ultima che le stesse possono rientrare nella valutazione rimessa a questa Corte». Più recentemente, con sentenza n. 178 del 2015, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale (sopravvenuta) del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante dalla norma primaria, come specificato dalla norma subprimaria.

Anche nella fattispecie in esame sussiste questo nesso stretto di specificazione qualificata, che lega la norma primaria e quella subprimaria.

La regola che la Corte dei conti rimettente è chiamata ad applicare per stabilire se, anche ai fini pensionistici, operi, o no, il limite agli incrementi retributivi nel corso del rapporto di lavoro, è recata dalla disposizione regolamentare che proroga il blocco stipendiale anche per l’anno 2014, autorizzata a ciò dalla disposizione di legge che demanda al regolamento – e quindi al potere esecutivo – tale scelta di politica economica. Sicché, può ben dirsi che la norma regolamentare costituisce il «completamento del contenuto prescrittivo» della norma primaria (sentenza n. 1104 del 1988).

È la disposizione regolamentare (subprimaria) che riempie di contenuto la disposizione di legge (primaria).

La regola della limitazione degli incrementi retributivi nel corso del 2014 è recata dal loro stretto combinato disposto, sicché la disposizione avente forza di legge attrae al livello primario la disposizione regolamentare, quantunque di rango subprimario.

La norma di risulta, che tale regola reca, può pertanto essere oggetto di questione incidentale di legittimità costituzionale, la quale pertanto è ammissibile.

5.− Nel merito, la questione sollevata dal giudice rimettente, con riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.

Non rilevano, invece, gli altri parametri indicati dalla parte privata costituita che ha chiesto di valutare la legittimità costituzionale della normativa censurata anche con riferimento agli artt. 36 e 38 Cost., non avendo in generale le parti costituite o intervenute in giudizio il potere di ampliare il thema decidendum, quale posto dal giudice rimettente (ex plurimis, sentenze n. 231, n. 83, n. 37 e n. 34 del 2015, n. 271 del 2011, n. 236 e n. 56 del 2009).

6.− Va rilevato, anzitutto, che la regola limitativa degli incrementi stipendiali – applicabile nel giudizio a quo per il tramite del rinvio del combinato disposto dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, e dell’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013 – è posta dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, dichiaratamente al fine di contenere le spese in materia di impiego pubblico, come risulta dalla stessa rubrica della disposizione.

Tale disposizione stabilisce: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Tutto il pubblico impiego è stato coinvolto da questa articolata regola di conformazione della retribuzione.

Infatti, si prevede che per il pubblico impiego non contrattualizzato la retribuzione è determinata senza tener conto né dei meccanismi di adeguamento retributivo – quello di cui all’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), o altri di progressione automatica degli stipendi – né delle «progressioni di carriera comunque denominate».

Simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato si prevede che la retribuzione è determinata senza tener conto né delle «progressioni di carriera comunque denominate» (esattamente come per il pubblico impiego non contrattualizzato), né dei passaggi tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di carriera.

Così articolata, è questa la regola complessiva per determinare, in chiave di contenimento della spesa, la retribuzione “spettante” in tutto il pubblico impiego, contrattualizzato e non, nel triennio 2011-2013, regola prorogata all’anno 2014.

A ciò si sono aggiunte altre misure di contenimento delle spese per il pubblico impiego, quale il blocco della contrattazione collettiva con conseguente congelamento dei livelli retributivi. Lo stesso art. 9, al precedente comma 17, ha previsto che «[n]on si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012» per il pubblico impiego contrattualizzato, aggiungendo che, per il successivo triennio (2013-2015), la contrattazione sarebbe stata possibile per la sola parte normativa e «senza possibilità di recupero per la parte economica». Il regime di sospensione della contrattazione collettiva è stato poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 178 del 2015, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

L’ampia e complessiva manovra diretta al contenimento delle spese per il pubblico impiego ha quindi superato il vaglio di costituzionalità, quanto al congelamento delle retribuzioni previsto dal comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenze n. 96 del 2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013; ordinanza n. 113 del 2014) e soltanto il regime di sospensione della contrattazione collettiva, di cui al comma 17 della medesima disposizione, è poi stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ma unicamente a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (n. 178 del 2015). Si è confermato così indirettamente il blocco per il periodo precedente e, in particolare, per il 2014, che è l’anno in cui il ricorrente nel giudizio a quo è stato collocato in quiescenza e al quale occorre fare riferimento per stabilire la retribuzione utile al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, calcolato sia con il criterio contributivo, sia residualmente ancora secondo il sistema retributivo.

7.− Va subito precisato che la censurata disposizione dettata per contenere la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, citato) è costruita come regola per conformare la retribuzione spettante e non già come prelievo straordinario su una retribuzione più elevata.

Ove si fosse trattato di un prelievo straordinario sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, sarebbe venuta in rilievo la sua possibile natura tributaria. Tuttavia la giurisprudenza di questa Corte ha già esaminato la disposizione censurata e ne ha escluso la valenza tributaria con conseguente infondatezza anche, in particolare, delle questioni di costituzionalità sollevate sulla base di tale presupposto (sentenza n. 304 del 2013). Ha affermato la Corte, in quest’ultima pronuncia, che «[l]a norma censurata […] non ha natura tributaria in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico» (in senso conforme, con riferimento alla stessa disposizione, le sentenze n. 96 del 2016 e n. 154 del 2014).

L’articolazione testuale dell’art. 9, comma 21, citato e la sua evidente ratio confermano l’esclusione della natura tributaria. Si tratta, invece, di una regola legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, che integra, temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la finalità di contenerne il costo complessivo.

Muovendo da tale presupposto, questa Corte ha dichiarato non fondate varie questioni di costituzionalità, sollevate con riferimento essenzialmente all’art. 36 Cost. (sentenza n. 304 del 2013). Il legislatore può temporaneamente congelare gli incrementi retributivi che, senza la regola limitativa posta dall’art. 9, comma 21, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre che la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost.

Con riferimento alla stessa disposizione censurata, ha affermato questa Corte (sentenza n. 96 del 2016) che «esigenze di politica economica giustificano interventi che, come quello in esame, comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione in carriera».

Questa Corte ha, quindi, già ritenuto che la limitazione degli incrementi stipendiali non sia tale da compromettere l’adeguatezza complessiva della retribuzione, sicché non vi è ragione di dubitare della legittimità di questa regola legale conformativa della retribuzione dei pubblici dipendenti.

8.− Il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo.

Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché “spettante” in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quadriennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto – come eccezione alla regola – da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia dal comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» (e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012).

Né, in generale, per il pubblico impiego è prevista alcuna contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini pensionistici.

In realtà, il giudice rimettente non dubita della legittimità della quantificazione del trattamento pensionistico al momento del collocamento in quiescenza; ciò che manca nella disposizione censurata – e comporterebbe la violazione del principio di eguaglianza – è un meccanismo di ricalcolo del trattamento pensionistico al momento di cessazione di operatività del blocco stipendiale, ossia a partire dal 1° gennaio 2015, sulla base della retribuzione che sarebbe spettata al ricorrente in ragione della progressione di carriera.

Secondo il giudice rimettente tutti i trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici non contrattualizzati, che abbiano avuto una progressione di carriera nel quadriennio 2011-2014, dovrebbero essere riliquidati con decorrenza a partire dalla data suddetta, perché sia rispettato il principio di eguaglianza, tenendo conto della superiore posizione raggiunta.

9.− Indubbiamente – come giustamente rileva il giudice rimettente – l’aver questa Corte già ritenuto infondate questioni di legittimità costituzionale di tale regime limitativo, quanto ai trattamenti retributivi, non assicura di per sé la legittimità della norma censurata nella misura in cui incide anche sul rapporto contributivo, e segnatamente sui trattamenti pensionistici.

Vi è però che, come la tenuta della prevista limitazione degli incrementi retributivi deve essere parametrata soprattutto al canone costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.) – e in passato varie questioni in tal senso sono state sollevate, e da questa Corte dichiarate non fondate (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) – così la ricaduta di tale limitazione sui trattamenti pensionistici ha come parametro di riferimento essenzialmente l’art. 38 Cost., unitamente allo stesso art. 36 Cost. Il trattamento pensionistico risultante dalla ricaduta, sul piano del rapporto previdenziale, della regola limitativa degli incrementi retributivi deve comunque, se complessivamente considerato, essere proporzionale alla contribuzione previdenziale, nonché sufficiente ad assicurare al pensionato una vita dignitosa.

Al contrario, il giudice rimettente non invoca questi parametri (lo fa – inammissibilmente – la parte costituita); non dubita, dunque, della complessiva adeguatezza del trattamento pensionistico spettante al ricorrente in ragione dell’applicazione del blocco stipendiale.

10.− La Corte dei conti rimettente invoca un diverso parametro – l’art. 3 Cost. – e pone (solo) una questione di ingiustificato trattamento differenziato di situazioni che invece, in ragione del principio di eguaglianza, andrebbero trattate allo stesso modo. Infatti, pone in comparazione i pubblici dipendenti che sono stati collocati in quiescenza nel quadriennio (e segnatamente nel 2014, come il ricorrente nel giudizio a quo) e quelli collocati dopo tale quadriennio.

Inoltre, non può non rilevarsi che la Corte dei conti rimettente ritaglia la sollevata questione di costituzionalità riferendola alla più limitata categoria dei pubblici dipendenti non contrattualizzati. Infatti, il dispositivo dell’ordinanza di rimessione limita la censura di illegittimità costituzionale alla fattispecie del terzo periodo del comma 21 dell’art. 9 citato che – come già detto – prescrive che per tale personale le «progressioni di carriera comunque denominate», disposte nel triennio (puoi divenuto quadriennio) in questione, abbiano effetto «ai fini esclusivamente giuridici» e quindi non comportino incrementi retributivi

Ma il successivo quarto periodo del censurato comma 21 dell’art. 9 citato pone la stessa regola limitativa anche per le medesime «progressioni di carriera comunque denominate» conseguite in tale periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione di carriera.

La normativa del blocco stipendiale riguarda quindi, all’evidenza, tutto il pubblico impiego, sia quello non contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla Corte dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perché la regola limitativa che il giudice rimettente censura è la stessa.

Per il resto, l’ordinanza di rimessione pone la questione in termini generali, ossia con riferimento a qualsiasi ricaduta sul trattamento pensionistico – a prescindere dal criterio di calcolo, se contributivo o, residualmente, retributivo – del «congelamento» delle retribuzioni previsto dall’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, essendo quest’ultimo censurato, unitamente alle altre disposizioni sopra richiamate, nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell’arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la «valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».

Può anche aggiungersi che nel giudizio a quo viene in rilievo, in particolare, il trattamento pensionistico del personale militare, per il quale ai sensi dell’art. 1866 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), e dell’art. 53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio. Questa peculiarità, però, non rileva al fine dello scrutinio della questione di costituzionalità, che dal giudice rimettente è posta con riferimento alla disposizione censurata che riguarda tutto il personale non contrattualizzato, tra cui quello militare.

11.− Ciò posto, è determinante considerare che il “fluire del tempo” differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile – calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo – debba tener conto della retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento.

Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.

Parimenti, una volta posta la regola dell’invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera – senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) – la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo. Così come, con riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero esser posti in comparazione i trattamenti pensionistici liquidati prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione.

12.− È solo in termini suggestivi che l’ordinanza di rimessione lamenta che il dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio subisca a tempo indeterminato il rigore della regola censurata che congela solo temporaneamente gli incrementi retributivi.

Questa prospettazione avrebbe una sua plausibilità solo se la regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera: cessata l’operatività del prelievo, la retribuzione si riespande a un livello superiore e si potrebbe dubitare della legittimità costituzionale di un prelievo che per una parte del pubblico impiego in servizio nel quadriennio sarebbe ad tempus e per altra parte – i pubblici dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio – sarebbe sofferta indefinitivamente senza limitazione di tempo.

Ma – come già sopra rilevato – la costruzione della disposizione censurata come introduttiva di un prelievo straordinario sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, con conseguente sua natura tributaria, è stata già esclusa da questa Corte (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013), a differenza della decurtazione retributiva di cui al successivo comma 22 del medesimo art. 9, di cui è stata ritenuta invece la natura tributaria (con conseguente fondatezza della questione di legittimità costituzionale: sentenza n. 223 del 2012).

La regola dell’iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione di carriera (o di passaggio a un’area superiore) – ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente “promosso”, privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita – vale a definire la retribuzione d’ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già a una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della “promozione”; regola questa che è sì di rigore, ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto di impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell’adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente “promosso”, la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo. Questa Corte, con riferimento alla stessa disposizione attualmente censurata (art. 9, comma 21, terzo periodo, citato) ha affermato che «non è prevista l’obbligatoria corrispondenza tra grado e funzioni e, conseguentemente, tra grado e trattamento economico collegato all’esercizio delle funzioni» (sentenza n. 304 del 2013). E ha ritenuto anche che non fosse violato il principio di eguaglianza in ragione della denunciata disparità di trattamento tra dipendenti che avevano conseguito una progressione di carriera raggiungendo un grado più elevato prima o dopo l’inizio del blocco stipendiale (sentenza n. 154 del 2014). Più recentemente, con riferimento alla stessa normativa, si è ribadito (sentenza n. 96 del 2016) che «questa Corte ha valorizzato il criterio oggettivo che si ricava dalla maggiore anzianità di servizio dei soggetti destinatari di un miglior trattamento economico corrispondente all’ottenuta promozione (sentenza n. 304 del 2013), criterio cui si affianca quello della maggiore anzianità nel grado (sentenza n. 154 del 2014)».

La circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente “promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica – senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014).

13.− Conclusivamente, le questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte dei conti rimettente vanno dichiarate non fondate.

Spetterebbe comunque al legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un’area superiore.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’art. 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 ottobre 2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2018.
Massimo Vitelli

Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"

Messaggio da Massimo Vitelli »

Caro Panorama, ho la sensazione che forse gli utenti del forum non abbiano ben percepito la (non condivisibile) portata NEGATIVA della sentenza della Consulta che hai illustrato.
Un altro contenzioso "affossato" che grida vendetta...............
panorama
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Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: Rideterminazione della pensione per il periodo del "blocco"

Messaggio da panorama »

purtroppo caro Avvocato ancora oggi la gente non vuole accettare le sconfitte e la massima di oggi, speriamo che li convince.
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