RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

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avt8
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RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da avt8 »

Ogggi il T.A.R Sezione 1 TER ha pubblicato una valanaga di sentenze su ricorsi presentati da appartenenti alla Polizia di Stato, destituiti- NESSUN RICORSO ACCOLTO


christian
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da christian »

avt8 ha scritto:Ogggi il T.A.R Sezione 1 TER ha pubblicato una valanaga di sentenze su ricorsi presentati da appartenenti alla Polizia di Stato, destituiti- NESSUN RICORSO ACCOLTO
e che significa? di che parlavano i ricorsi...? destituzioni per cosa? .il consiglio di stato credimi va per conto suo........ne so qualkosa io......se serve un vero avvocato a qualke collega saro' ben lieto di aiutarlo......
avt8
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da avt8 »

christian ha scritto:
avt8 ha scritto:Ogggi il T.A.R Sezione 1 TER ha pubblicato una valanaga di sentenze su ricorsi presentati da appartenenti alla Polizia di Stato, destituiti- NESSUN RICORSO ACCOLTO
e che significa? di che parlavano i ricorsi...? destituzioni per cosa? .il consiglio di stato credimi va per conto suo........ne so qualkosa io......se serve un vero avvocato a qualke collega saro' ben lieto di aiutarlo......
Destituiti a seguito dui condanne penali- che si significa che l'avvocato che conosci tu in caso di destituzione a seguito di sentenza di condanna penale, fa annullare la destituzione ?
panorama
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da panorama »

1) - il Capo della Polizia aveva applicato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio, con decorrenza dal 9 maggio 2002, nonché tutti gli atti presupposti, ed aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’intero trattamento economico per il periodo (9 maggio 2002- 29 settembre 2005) di sospensione cautelare dal servizio.

2) - Né risulta manifestamente irragionevole l’irrogazione della sanzione in relazione al tempo trascorso dalla vicenda che aveva dato luogo al giudizio penale, considerato che il procedimento disciplinare è stato portato a termine solo dopo la conclusione della lunga vicenda penale.

3) - Resta da aggiungere, con riferimento alle altre censure sollevate in primo grado, che sono state assorbite dal T.A.R. e sono state richiamate dal sig. XX con la memoria di costituzione, che l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità fisica non priva l’Amministrazione del potere di definire il procedimento disciplinare avviato per fatti precedenti soprattutto quando l’interessato per tali fatti è stato sospeso in via cautelativa dal servizio con riduzione della retribuzione. Altrimenti, venendo meno con la mancata instaurazione del procedimento disciplinare o con l’estinzione del procedimento disciplinare già avviato, gli effetti della sospensione dal servizio, l’interessato avrebbe poi diritto alla integrale ricostruzione della sua posizione economica pur non avendo svolto il servizio per fatti comunque a lui imputabili.

Accolto l'Appello del M.I. al CdS
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02/07/2014 201403324 Sentenza 3


N. 03324/2014REG.PROV.COLL.
N. 05281/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5281 del 2013, proposto dal:
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS, con domicilio eletto in Roma, viale delle OMISSIS;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, resa tra le parti, concernente la sanzione della destituzione dal servizio.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- Il sig. OMISSIS, già …… della Polizia di Stato, aveva impugnato davanti al T.A.R. di Salerno il decreto, in data 19 agosto 2011, con il quale il Capo della Polizia aveva applicato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio, con decorrenza dal 9 maggio 2002, nonché tutti gli atti presupposti, ed aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’intero trattamento economico per il periodo (9 maggio 2002- 29 settembre 2005) di sospensione cautelare dal servizio.

2.- Il T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, con sentenza n. 1 del 7 gennaio 2013 ha accolto il ricorso.

2.1.- In particolare, il T.A.R. ha ritenuto fondato il secondo motivo del ricorso con il quale era stata dedotta la violazione della composizione della Commissione consultiva di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 737 del 1981. Infatti, secondo il T.A.R., la Commissione che ha adottato la proposta di destituzione era stata «appositamente nominata ai fini del procedimento» e risultava «presieduta da un dirigente privo della qualifica di vicario del Questore e da un componente (….) neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo».
2.2.- Il T.A.R. ha poi ritenuto fondato anche il quarto motivo del ricorso, con il quale il ricorrente aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle responsabilità dagli stessi derivanti, aveva acriticamente fatto proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che aveva giudicato il sig. … colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione.
2.3.- Il T.A.R. ha ritenuto fondato anche il primo motivo e l’ulteriore parte del quarto motivo sostenendo che l’Amministrazione non aveva considerato diverse circostanze rilevanti delle quali doveva tenere conto, quali la personalità del reo, il recupero morale del medesimo, il tempo effettivamente trascorso dalla commissione del reato.
Mentre, nella fattispecie, la grave sanzione della destituzione, con effetto retroattivo, … «è stata comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica».
2.4.- Il T.A.R. ha, infine, ritenuto fondata anche la domanda del ricorrente volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione alla "restitutio in integrum" degli emolumenti non corrisposti per tutto il periodo di durata della sospensione dall’impiego, ai sensi dell'articolo 96 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, con interessi e rivalutazione monetaria.
3.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
All’appello si oppone il sig. XX. che ha insistito per la sua reiezione.
4.- L’appello è fondato.
4.1.- Seguendo l’ordine delle questioni trattate dal T.A.R. nell’appellata sentenza, non sussiste preliminarmente alcun vizio nella composizione della Commissione che ha proposto l’irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio del sig. XX.
4.2.- Al riguardo, l’art. 16 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 761, richiamato anche dal giudice di primo grado, prevede che «con decreto del questore è costituito, in ogni provincia, il consiglio di disciplina composto: a) dal vice questore con funzioni vicarie che lo convoca e lo presiede; b) da due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato; c) da due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell'incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale. Un funzionario del ruolo direttivo della Polizia di Stato funge da segretario. I membri di cui alla lettera b) durano in carica un anno. Con le stesse modalità si procede alla nomina di un pari numero di supplenti per i membri di cui alla lettera b».
4.3- Ciò premesso, nella fattispecie, come emerge dagli atti, il Consiglio di disciplina che ha trattato il caso del signor XX è stato, in una prima, fase presieduto, come normativamente previsto, dal Vicario del Questore dr. XX. Successivamente, essendo stato promosso e trasferito ad altro incarico il dr. XX e nelle more della nomina di un nuovo Vicario, è stato presieduto dal primo dirigente dr. XX, nominato con decreto del Capo della Polizia in data 15 giugno 2011.
Considerato che, come si è visto, la nomina del dr. XX è stata determinata dalla temporanea vacanza del posto di Vicario del Questore e tenuto conto che il procedimento disciplinare non poteva essere sospeso fino alla nomina del Vicario, non risulta censurabile l’operato dell’Amministrazione che ha nominato un proprio dirigente, in servizio presso la stessa Questura, quale presidente della commissione in questione.
4.4.- Erronea in fatto è poi l’affermazione del T.A.R. secondo la quale avrebbe fatto parte della Commissione anche un componente (….) «neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo».
Risulta, infatti, dagli atti che il dr. …. era stato regolarmente nominato quale supplente del Consiglio di Disciplina con decreto del Questore di Salerno in data 21 dicembre 2010.
5.- Passando al merito della vicenda, si deve ricordare che il signor XX era stato tratto in arresto il 9 maggio 2002, in esecuzione di ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di XXX, perché accusato dei reati di cui agli artt. 81, 319, 321 e 326, comma 3, c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio), con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare una associazione XXX (art. 416 c.p.).
Il signor XX era stato quindi, in pari data, sospeso dal servizio e in tale condizione permaneva fino alla data del 18 marzo 2006, di intervenuta cessazione dal servizio per inabilità fisica.
Con sentenza del Tribunale penale di XX, in data 14 luglio 2005, il signor XX era stato riconosciuto colpevole per i reati ascritti ed era stato, quindi, condannato alla pena di anni quattro e mesi nove di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Con sentenza della Corte d’Appello, in data 13 settembre 2006, la pena era stata ridotta ad anni tre e mesi dieci ed era stata confermata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La Corte di Cassazione, con decisione del 6 febbraio 2008, annullava senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla imputazione di cui all’art. 416 c.p., per non aver commesso il fatto, e rinviava alla Corte d’Appello di XXX per la rideterminazione della pena per gli altri reati.
La Corte d’Appello di XXX, in data 21 gennaio 2010, rideterminava quindi la pena per i reati per i quali il signor XX era stato definitivamente riconosciuto colpevole, in anni due di reclusione.
Il signor XX ricorreva nuovamente in Cassazione che, in data 25 gennaio0 2011, annullava la sentenza della Corte d’Appello di XXX per l’intervenuta prescrizione dei reati.
6.- Ciò premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., si deve ritenere infondato il motivo con il quale il signor XX aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle sue responsabilità, aveva acriticamente fatte proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che lo aveva giudicato colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, «senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione».
6.1.- Come emerge dagli atti, l’Amministrazione aveva, infatti, chiaramente valutato la gravità della vicenda che aveva interessato il signor XX, che era stato tratto in arresto e sospeso in via cautelare dal servizio per fatti la cui rilevanza era stata accertata (più volte) in sede penale in un lungo giudizio poi concluso favorevolmente per l’interessato solo per l’intervenuta prescrizione.

6.2.- Per principio pacifico, peraltro, l’Amministrazione, nei confronti di un dipendente che è stato assolto dal reato contestato per intervenuta prescrizione, ben può procedere all’instaurazione di un procedimento disciplinare ed alla irrogazione di una (eventuale) sanzione, all’esito di una valutazione sulla gravità dei fatti che hanno determinato il giudizio penale.

Infatti, come ha ricordato anche il giudice di primo grado, una questione disciplinare non può essere posta soltanto quando, in sede penale, abbia avuto luogo un proscioglimento con formula piena, cioè quando i fatti oggetto della sentenza penale sono stati definiti come storicamente inesistenti oppure la sentenza ha ricostruito la condotta materiale o l’elemento psicologico in modo tale da collocare con sicurezza gli episodi esaminati al di fuori delle fattispecie disciplinari.

6.3.- Si è, al riguardo, anche di recente affermato che, al fine di irrogare al pubblico dipendente una sanzione disciplinare non occorre che sul procedimento penale avviato per i medesimi fatti a lui imputati si sia formato il giudicato di condanna, essendo vero il contrario, e cioè che, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., per escludere la veridicità dei fatti assunti a fondamento del procedimento disciplinare occorre un giudicato assolutorio circa l'insussistenza del fatto o la mancata commissione dello stesso da parte del dipendente pubblico. Mentre nelle rimanenti ipotesi di conclusione del giudizio, per le quali non si è giunti ad una condanna in conseguenza dell'intervento di cause di prescrizione o di altre cause di estinzione del reato, non si ha un giudicato sulla commissione dei fatti di carattere assolutorio e l'Amministrazione può legittimamente utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati nella sede penale senza doverli ripetere, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi ed argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5344 del 17 ottobre 2012).

6.4.- Nella fattispecie, peraltro, i fatti per i quali è stata inflitta al signor XX la sanzione disciplinare della destituzione erano stati confermati nelle diverse fasi, che si sono ricordate, del giudizio penale, senza che fossero possibili elementi diversi di valutazione.

6.5.- In conseguenza, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., risulta esente dalla censura sollevata il provvedimento adottato dall’Amministrazione.

7.- La sentenza appellata non risulta condivisibile nemmeno nella parte in cui ha ritenuto sproporzionata la misura della sanzione irrogata al signor XX, per essere stata «comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica».

A tal proposito lo stesso T.A.R. aveva giustamente ricordato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati.

La giurisprudenza ha quindi affermato che il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest’ultimo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3125 del 21 maggio 2009, sez. IV, n. 512 del 14 febbraio 2008).

7.1.- Ciò chiarito, nella fattispecie, la gravità della vicenda che ha interessato il signor XX non può far ritenere manifestamente sproporzionata, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la sanzione della destituzione dal servizio irrogata nei suoi confronti.

Infatti, come si è ricordato, il signor XX era stato ritenuto colpevole dei reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio (in tutti i gradi di giudizio) ed era stato infine assolto solo per intervenuta prescrizione a causa del tempo trascorso.

7.2.- Né risulta manifestamente irragionevole l’irrogazione della sanzione in relazione al tempo trascorso dalla vicenda che aveva dato luogo al giudizio penale, considerato che il procedimento disciplinare è stato portato a termine solo dopo la conclusione della lunga vicenda penale.

7.3.- Nemmeno può avere rilievo la circostanza che, nelle more, l’interessato era stato dispensato dal servizio (con decreto del 18 marzo 2006, peraltro oggetto di annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione con decreto del 3 febbraio 2014), tenuto conto che, a prescindere da ogni altra considerazione, l’Amministrazione aveva comunque il dovere di regolare il periodo (decorrente dal 9 maggio 2002) durante il quale l’interessato era stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione.

8.- Resta da aggiungere, con riferimento alle altre censure sollevate in primo grado, che sono state assorbite dal T.A.R. e sono state richiamate dal sig. XX con la memoria di costituzione, che l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità fisica non priva l’Amministrazione del potere di definire il procedimento disciplinare avviato per fatti precedenti soprattutto quando l’interessato per tali fatti è stato sospeso in via cautelativa dal servizio con riduzione della retribuzione. Altrimenti, venendo meno con la mancata instaurazione del procedimento disciplinare o con l’estinzione del procedimento disciplinare già avviato, gli effetti della sospensione dal servizio, l’interessato avrebbe poi diritto alla integrale ricostruzione della sua posizione economica pur non avendo svolto il servizio per fatti comunque a lui imputabili.
9.- Infondato è, infine, il motivo con il quale il signor XX ha lamentato, anche in appello, la mancata osservanza dei termini stabiliti per la conclusione del procedimento disciplinare.

Il termine massimo (di complessivi 270 giorni) previsto per la conclusione del procedimento disciplinare (art. 9 della legge n. 19 del 1990) si deve, infatti, ritenere rispettato ove prima del suo decorso sia stato adottato il provvedimento sanzionatorio, risultando irrilevante la circostanza che lo stesso sia stato solo successivamente notificato poiché la comunicazione all'interessato dell'atto sanzionatorio si colloca al di fuori del procedimento disciplinare, riguardando esclusivamente la fase del perfezionamento dell’efficacia dell’atto nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell'anzidetto termine di decadenza (Consiglio di Stato, sez. III, n. 2264 del 18 aprile 2012).

9.1.- Mentre, del tutto irrilevante, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, risulta l’asserito mancato rispetto di termini previsti per la fase istruttoria.
10.- Per tutte le ragioni esposte, l’appello è fondato e deve essere quindi accolto.
Per l’effetto, in integrale riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
11.- Considerata la natura della questione trattata si ritiene di poter disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, respinge il ricorso di primo grado.
Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/07/2014
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da panorama »

1) - provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.

2) - A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato, disponendo contestualmente – in considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi d’istituto.

3) - Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo questi previsti solo al momento dell’assunzione.

4) - l’interessato deduce che nel corso del rapporto di servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.

5) - La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198,

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

6) - La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una compiuta “messa a punto” della questione.

7) - Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

8) - Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che ne rafforzano le conclusioni.

9) - Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis.

10) - In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.

Appello del collega perso.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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11/09/2014 201404651 Sentenza 3


N. 04651/2014REG.PROV.COLL.
N. 06406/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6406 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Greggio, con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00978/2011, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio in esito ad un procedimento disciplinare - (ris.danni)

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, contenente anche appello incidentale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2011 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Resta su delega di Greggio e l’avvocato dello Stato Saulino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, all’epoca dei fatti dipendente della Polizia di Stato con qualifica di ispettore, è stato destinatario nell’anno 2002 di un provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.

A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato (provvedimento 21 marzo 2006), disponendo contestualmente – in considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi d’istituto.

Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo questi previsti solo al momento dell’assunzione.

2. In pendenza del giudizio così introdotto davanti al T.A.R. Veneto (con sospensiva respinta) sono stati effettuati gli accertamenti di idoneità, con esito sfavorevole all’interessato. Con atto del 28 novembre 2006 l’amministrazione ha dichiarato definitivamente cessato “per inidoneità” il rapporto di servizio dell’interessato con decorrenza dal 27 ottobre 2006 (data del giudizio tecnico di inidoneità).

Lo stesso provvedimento ha statuito riguardo alle spettanze retributive e contributive dell’interessato, con riferimento ai vari periodi nel corso dei quali (a motivo di sospensione cautelare, destituzione, etc.) non vi era stata prestazione del servizio. In dettaglio, il provvedimento prevedeva la restitutio in integrum dal 20 novembre 1998 (inizio della mancata prestazione per sospensione cautelare) fino al 13 maggio 2003 (data di un precedente giudizio di inidoneità assoluta al servizio, non impugnato).

3. L’atto sopravvenuto è stato impugnato davanti al T.A.R. Veneto con “motivi aggiunti” al ricorso già pendente (R.G. 1259/2006) e contemporaneamente con un ricorso autonomo, di uguale tenore (R.G. n. 388/2007).

Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 978/2011, ha riunito i due ricorsi; quindi ha dichiarato inammissibile il secondo, quale inutile duplicazione dei “motivi aggiunti” proposti relativamente al primo ricorso.
Nel merito, il T.A.R. ha così deciso:

(a) ha rigettato l’impugnazione, nella parte in cui investiva la determinazione di sottoporre l’interessato agli accertamenti attitudinali: infatti ha osservato che «non esiste, infatti, alcuna preclusione a che l'Amministrazione sottoponga a nuova visita attitudinale il dipendente prima di riammetterlo in servizio dopo un periodo di lunga assenza, dal momento che si provvede alla (re)instaurazione di un rapporto di impiego rispetto al quale ragioni di pubblico interesse, da valutarsi discrezionalmente da parte dell'Amministrazione, possono e debbono imporre di verificare il persistere dei requisiti occorrenti per l'espletamento del servizio nella Polizia di Stato» e che «pertanto, l'Amministrazione dell'interno è legittimata a sottoporre ad accertamenti psico-fisici ed attitudinali i dipendenti che, come l’odierno ricorrente, rientrano in servizio dopo lunghi periodi di assenza»;

(b) ha rigettato altresì una distinta censura, osservando che in questa luce correttamente gli accertamenti erano stati demandati all’apposito organo centrale avente sede in Roma e non all’Ospedale militare del luogo di residenza;

(c) nondimeno ha giudicato illegittimo il giudizio di inidoneità pronunciato dall’apposita commissione tecnica, per difetto di motivazione;

(d) ha esplicitamente precisato che per effetto di tale giudizio residuava all’amministrazione il potere-dovere di rideterminarsi sulle prove psico-attitudinali sostenute dal ricorrente;

(e) ha giudicato illegittimo il mancato riconoscimento degli arretrati retributivi e contributivi per il periodo dal 14 maggio 2003 al 27 ottobre 2006;

(f) ha compensato le spese del giudizio.

4. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio, contestando la sentenza nella parte in cui essa ha giudicato in senso a lui sfavorevole. Vale a dire nella parte in cui ha ritenuto che l’Amministrazione abbia il potere di sottoporre agli accertamenti psico-attitudinali il personale già in servizio (intendendosi per tale anche chi, come l’attuale appellante, si accinga a riprendere il servizio attivo dopo un lungo periodo di assenza, senza tuttavia che vi sia stata cessazione del rapporto d’impiego) o comunque di farlo con le stesse modalità e gli stessi criteri dettati per i candidati ai concorsi di ammissione all’impiego.

In particolare, la tesi dell’appellante, già sostenuta in primo grado, è che l’Amministrazione potrebbe sottoporre i dipendenti alla verifica della (sola) idoneità psico-fisica – peraltro con modalità diverse da quelle previste per gli accertamenti preliminari all’assunzione in servizio - e non anche di quella attitudinale.

5. L’Amministrazione, da parte sua, ha proposto appello incidentale relativamente a quella parte della sentenza che ha pronunciato favorevolmente all’interessato.

In particolare, l’appellante incidentale deduce:

(a) che la sentenza ha pronunciato ultra petita, perché il vizio del difetto di motivazione non era stato dedotto dal ricorrente; anzi quest’ultimo non aveva in realtà contestato l’esito della verifica, né per difetto di motivazione né per altro, limitandosi a ribadire le proprie tesi circa l’illegittimità del procedere a verifica; in ogni caso, l’atto conclusivo era correttamente motivato per relationem agli atti della commissione giudicatrice, dei quali peraltro il ricorrente non aveva chiesto l’esibizione;

(b) che correttamente l’Amministrazione aveva escluso che spettassero gli arretrati per il periodo successivo al 13 maggio 2003 (durante il quale non vi era stata prestazione di servizio) giacché in quella data l’interessato era stato riconosciuto permanentemente inidoneo alla prestazione del servizio, con giudizio medico-legale mai contestato anzi accettato dal dipendente, all’esito di un procedimento di accertamento della causa di servizio per una infermità.

6. Esaminando l’appello principale dell’interessato, il Collegio si ritiene dispensato dal replicare distintamente alle singole argomentazioni, esposte in modo prolisso e disordinato, per lo più non pertinenti all’oggetto del contendere e riferite ad una serie di accadimenti spesso appartenenti ad altre vicende e comunque non rilevanti rispetto alla questione principale che è esclusivamente una questione di diritto – peraltro correttamente individuata dal T.A.R..

7. Per mettere a fuoco la questione essenziale conviene premettere che il ricorrente parte dal presupposto che in occasione dei controversi accertamenti egli abbia superato positivamente le verifiche di idoneità “psico-fisica” e che pertanto il conclusivo giudizio sfavorevole dipenda solo dalle verifiche “attitudinali”.

Partendo da tale presupposto, l’interessato deduce che nel corso del rapporto di servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.

La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198, intitolato «Regolamento concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale di cui devono essere in possesso i candidati ai concorsi per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e gli appartenenti ai predetti ruoli». L’art. 2 concerne specificamente gli accertamenti relativi al personale già in servizio, esplicitamente chiarendo che possono venire disposti a discrezione dell’amministrazione in una serie di ipotesi, fra le quali quella di «specifiche circostanze rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio» (ed è questa la previsione normativa che, secondo giurisprudenza consolidata, legittima la procedura di verifica anche nel caso di rientro in servizio dopo una lunga assenza).

L’art. 2 è intitolato «Accertamento dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato» e contiene dunque (al pari dell’intitolazione dell’intero regolamento) un esplicito richiamo a verifiche “attitudinali” (oltre che psico-fisiche) nei confronti del personale della P.S. in servizio. Il testo dell’art. 2, però, menziona in modo esplicito solo gli accertamenti psico-fisici; e da quest’ultimo dettaglio l’interessato trae argomento per sostenere che l’ordinamento “non” consente verifiche attitudinali nei confronti del personale in servizio.

In buona sostanza, una volta depurato di tutte le digressioni non pertinenti, il ricorso dell’interessato si basa tutto su questo argomento di diritto.

8. La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una compiuta “messa a punto” della questione.

Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che ne rafforzano le conclusioni.

Per quanto qui interessa, i princìpi affermati nel parere sono i seguenti:

(a) la verifica della permanenza dei requisiti di idoneità del personale della P.S. già in servizio include legittimamente anche il profilo “attitudinale” e non solo quello “psico-fisico”: «nulla osta ad ammettere, sul piano normativo, che l’accertamento dell’idoneità attitudinale possa avvenire in costanza di rapporto ove sussistano peculiari condizioni»;

(b) «Quanto alle “specifiche circostanze” che possono essere, alla luce del principio del buon andamento dell’azione amministrativa, poste a base obiettivamente della ritenuta necessità di riesaminare l’attitudine al servizio, [può] menzionarsi... l’esistenza di un periodo lungo di assenza dal servizio che possa avere inciso sulla concreta idoneità a prestare servizio».

9. Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis.

La legge fondamentale dell’ordinamento della Polizia di Stato (legge n. 121/1981), art. 25, demanda ad apposito regolamento di definire «i requisiti psico-fisici e attitudinali, di cui debbono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che esplicano funzioni di polizia». La norma è inequivoca nell’accomunare, in unica disciplina, i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali, e non distingue sotto questo profilo fra le verifiche da fare al momento dell’ingresso in carriera e quelle da fare in costanza di rapporto.

D’altra parte, una ipotetica differenziazione – nel senso che i requisiti psico-fisici debbano essere posseduti, e se del caso, accertati, tanto al momento dell’accesso quanto in costanza di rapporto, mentre quelli attitudinali dovrebbero essere sottratti a verifiche in corso di rapporto – non avrebbe alcuna base razionale. Se il sistema contempla il potere-dovere dell’Amministrazione di verificare la permanenza dei requisiti in corso di rapporto, non vi è ragione di distinguere fra i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali.

Del resto, anche il regolamento n. 198/2003, come si è visto, contiene espliciti riferimenti alla verifica dei requisiti “attitudinali” (oltre che di quelli psico-fisici) anche per il personale già in servizio: tali riferimenti vi sono nell’intitolazione del decreto e in quella dell’art. 2, e pur non avendo valore normativo in senso stretto, sono certamente rilevanti sul piano interpretativo come indici non equivoci delle intenzioni dell’autorità emanante.

In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.

10. L’appellante tuttavia lamenta di essere stato sottoposto alle verifiche attitudinali “come se fosse stato il candidato di un concorso” e dovendo sostenere le stesse prove, ma di averlo dovuto fare individualmente, anziché contestualmente o contemporaneamente ad altri candidati che, in effetti, non vi erano e non potevano esservi (così, almeno, sembra doversi intendere la censura esposta in modo non perspicuo, che parla di una “mancanza del momento collettivo).

Questa censura appare manifestamente infondata e comunque riferita ad un profilo irrilevante, non suscettibile di assurgere a vizio di legittimità, anche perché non si vede in che cosa consisterebbe la lesione, anche da un punto di vista sostanziale. Su questo punto il Collegio non ritiene di doversi dilungare ulteriormente.

Lo stesso si deve dire per la doglianza riferita al fatto che gli accertamenti sono stati compiuti presso l’apposita struttura centrale della Polizia di Stato (Scuola Tecnica di Polizia in Roma) anziché presso un Ospedale militare periferico.

11. Altra questione è se la “prolungata assenza” dal servizio, sia pure per causa non imputabile al dipendente (e cioè, nella presente fattispecie al pari di quella esaminata dal parere n. 2206/2010 del Consiglio di Stato, a motivo di una destituzione disciplinare successivamente annullata dal giudice) rientri fra le speciali circostanze, valutabili discrezionalmente, che possono giustificare l’assoggettamento dell’interessato alle verifiche di idoneità al momento del rientro in servizio.

Conviene sottolineare che la questione così posta si riferisce alla prolungata assenza dal servizio come fatto materiale, e perciò non è pertinente il principio (sul quale pure il ricorrente si diffonde) che per effetto dell’annullamento giurisdizionale della destituzione il rapporto d’impiego si ristabilisce ex tunc con piena ricostruzione della carriera ai fini giuridici e con diritto agli arretrati di stipendio.

Fatta questa premessa, non si può che confermare la sentenza appellata, nel punto in cui ha giudicato che la mancata prestazione di fatto del servizio per la durata di sette anni consecutivi possa essere una ragione sufficiente per giustificare la verifica dei requisiti idoneità al momento attuale. E va messo in evidenza che nella presente vicenda l’Amministrazione non ha messo in dubbio (in linea di massima e salvo l’aspetto particolare di cui si parlerà più avanti) che la cessazione dall’impiego in caso di verifica sfavorevole produca effetto dal momento attuale, fermi restando i diritti dell’impiegato (agli arretrati di stipendio, etc.) per il periodo anteriore, in virtù del principio della restitutio in integrum come conseguenza dell’annullamento della destituzione.

12. L’appello principale dell’interessato va dunque respinto.

Si passa ora all’esame dell’appello incidentale dell’Amministrazione.

13. L’Amministrazione critica la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto nel provvedimento impugnato (cessazione dal servizio per accertata carenza dei requisiti di idoneità) il vizio del difetto di motivazione.

L’appellante incidentale sostiene che non era stato formulato un motivo di ricorso in questo senso e che del resto il provvedimento era motivato per relationem sicché sarebbe stato sufficiente acquisire gli atti del procedimento (eventualmente anche a seguito di una richiesta di accesso dell’interessato, che non vi è stata) per conoscere la motivazione effettiva.

Il Collegio ritiene che il motivo di appello così formulato non meriti accoglimento.

E’ vero che il ricorrente in primo grado non aveva articolato specificamente un motivo di ricorso riferito all’assenza di motivazione; ed è anche vero che non è stata richiesta l’esibizione degli atti del procedimento o quanto meno delle relazioni conclusive degli organi tecnici (peraltro, la difesa dell’Amministrazione avrebbe potuto produrli spontaneamente).

Tuttavia, le critiche del ricorrente agli atti che hanno portato al decreto di cessazione dall’impiego erano state formulate in termini talmente estesi ed omnicomprensivi (con riferimento persino ai più minuti ed irrilevanti dettagli del procedimento) che il difetto di motivazione non vi si può non considerare compreso, se non altro come implicazione logicamente necessaria.

Se questo è vero, l’Amministrazione avrebbe potuto produrre spontaneamente gli atti che, a suo dire, costituivano la motivazione per relationem. Non avendolo fatto, non può dolersi del fatto che quella produzione non sia stata sollecitata.

Peraltro, la sentenza non richiede un nuovo svolgimento degli esami e delle prove, ma solo la riformulazione (motivata) del giudizio finale. Pertanto la decisione, che qui si conferma, non pregiudica il corretto esercizio della potestà amministrativa e della inerente discrezionalità.

14. Il secondo punto dell’appello incidentale contesta quella parte della sentenza che ha dichiarato illegittima l’esclusione degli arretrati, etc., con riferimento al periodo successivo al 13 maggio 2003: data nella quale la Commissione Medica Ospedaliera di Padova ha dichiarato l’interessato «non idoneo permanentemente ed in modo assoluto al servizio nella Polizia di Stato». Questo giudizio tecnico era stato espresso a conclusione di un procedimento di riconoscimento della causa di servizio, e l’interessato lo aveva sottoscritto per accettazione.

Secondo l’appellante incidentale, quel giudizio medico-legale, formalmente accettato dall’interessato e comunque mai impugnato o altrimenti contestato nel merito, impedisce di considerare utile il tempo decorso successivamente, anche in sede di restitutio in integrum.

Il Collegio osserva che l’art. 38 del d.P.R. n. 686/1957 (regolamento di attuazione del t.u. n. 3/1957 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato, applicabile al personale della P.S. per quanto non diversamente disposto) disponeva che la Commissione medica incaricata di accertare la causa di servizio si pronunciasse altresì sulla eventuale inabilità permanente dell’impiegato a prestare servizio «al fine di porre in grado l’amministrazione di disporre il collocamento... in quiescenza». E’ tuttavia quanto meno discutibile che questa disposizione regolamentare consentisse all’amministrazione di disporre la cessazione del rapporto d’impiego per inidoneità fisica, senza l’apposito procedimento di “dispensa dal servizio” con le inerenti formalità e garanzie, disciplinato con norme primarie; verosimilmente il “collocamento in quiescenza” cui fa cenno l’art. 38 è l’accoglimento della domanda dell’impiegato di essere collocato anticipatamente a riposo in ragione dell’infermità derivante da causa di servizio; non un provvedimento a danno dell’impiegato, che avrebbe presupposto un procedimento diverso.

A parte ciò, sta di fatto che la disposizione citata non è riprodotta nel regolamento vigente attualmente (e al momento della pronuncia della C.M.O. del 13 maggio 2003) in materia di accertamento della causa di servizio: ossia il d.P.R. n. 461/2001.

Sta di fatto, inoltre, che a tutto concedere l’Amministrazione, avuto il verbale del 13 maggio 2003, avrebbe forse potuto avviare d’ufficio il procedimento di dispensa dal servizio, ma non lo ha fatto né subito, né in seguito. Anzi, disponendo nel 2006 che l’interessato si sottoponesse alle verifiche di cui al d.m. n. 198/2003, ha implicitamente rinunciato ad utilizzare il verbale del 13 maggio 2003 per dichiarare il dipendente “permanentemente non idoneo al servizio” con ciò che ne conseguiva. Se avesse inteso utilizzarlo, non avrebbe avuto motivo di disporre i nuovi accertamenti. In questa prospettiva, il decreto impugnato in primo grado (28 novembre 2006) appare illogicamente contraddittorio nella parte in cui dispone la cessazione dal servizio dal 27 ottobre 2006 (e non dal 14 maggio 2003) e nello stesso tempo esclude il riconoscimento delle spettanze per il periodo successivo al 13 maggio 2003.

Anche sotto questo profilo, l’appello incidentale deve essere respinto.

15. In conclusione, la sentenza appellata va interamente confermata, con rigetto sia dell’appello principale che dell’incidentale. La natura e l’esito della controversia giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello principale e rigetta l’appello incidentale. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante principale manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014
panorama
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da panorama »

Il CdS Accoglie l'Appello del M.I..
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1) - Il contenzioso verte sostanzialmente sulla valutazione dei tests attitudinali sostenuti dall’appellante presso l’apposito Centro Psicotecnico del Dipartimento di P.S. e che la competente Commissione ha ritenuto non tali da renderlo ancora idoneo ad essere riammesso nei ruoli della Polizia di Stato, mentre il T.A.R. ha ritenuto quel giudizio influenzato dallo stress causato dai procedimenti penali ancora in itinere con conseguente inattendibilità e contraddittorietà dei tests stessi e dei provvedimenti anche nel confronto con altri analoghi tests cui l’interessato si è sottoposto presso uno psicologo-psicoterapeuta privato.

2) - La Sezione già con la citata ordinanza cautelare n. 2356/2014 ha posto in evidenza il carattere tecnico-discrezionale della valutazione dell’Amministrazione, immune da vizi di illogicità ed irrazionalità ed in effetti quella valutazione risulta estesa e puntuale circa l’esame specifico delle capacità attitudinali e non poteva non esserlo, in quanto volta ad assicurare la permanenza dei necessari requisiti in capo a persona che, assente dal servizio per i disposti 5 anni di sospensione obbligatoria, comunque pretendeva di rientrare nell’espletamento di compiti di polizia notoriamente complessi e onerosi.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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12/11/2014 201405576 Sentenza 3


N. 05576/2014REG.PROV.COLL.
N. 03652/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2014, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
V. M., rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Discepolo, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Conca D'Oro, 184/190;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA - SEZIONE I n. 00143/2014, resa tra le parti, concernente cessazione del rapporto di servizio

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio- controricorso del signor V. M.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2014 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Perucca su delega dell’avv. Discepolo e l’avvocato dello Stato Barbieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche – Ancona – Sezione I, con sentenza n. 143 del 21 novembre 2013 depositata il 24 gennaio 2014, ha accolto in parte, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dal signor V. M., sovrintendente capo della Polizia di Stato presso il Commissariato di Polizia di OMISSIS, avverso il provvedimento del Ministero dell’Interno n. 333 D/2887 del 19 febbraio 2013, con cui si disponeva la visita volta all’accertamento dell’idoneità attitudinale e psico-fisica nei confronti dello stesso riammesso in servizio dal 27 febbraio 2013 nonché avverso il decreto e la nota stesso numero ambedue in data 20 marzo 2013, recanti la cessazione del ricorrente dal servizio condizionata alla conclusione del procedimento penale pendente per gli artt. 81 c.p.v., 317, 610 e 61 n. 9 c.p. (concussione continuata e violenza privata aggravata), che aveva dato motivo alla sospensione del medesimo dal servizio dal 27 febbraio 2008.

Il giudice di prime cure ha in primis ribadito la legittimità del provvedimento con cui il Ministero ha disposto la detta visita ai sensi dell’art. 2 D.M. n. 198/2003, esercitando una potestà riconosciuta anche dalla giurisprudenza (III, n. 1051/2013), quindi ha ritenuto inattendibile l’esito negativo (media globale inferiore ai 12/20) del giudizio sulle capacità attitudinali del ricorrente, rilasciato dall’apposita Commissione presso il Centro Psicotecnico del Dipartimento di P.S. e basato su prove, in particolare sul colloquio, eseguite in un momento contingente di grande stress e stato emotivo collegati alle vicende giudiziarie ancora in itinere, a fronte di 30 anni di servizio e anche in contrasto con la valutazione di un professionista privato che ha effettuato successivamente con esito favorevole una serie di tests attitudinali.

Il T.A.R., nell’annullare pro parte i provvedimenti impugnati, ha disposto la rinnovazione del giudizio attitudinale del ricorrente con diversa Commissione.

2. Il Ministero, con atto dell’Avvocatura generale dello Stato notificato il 17 aprile 2014 e depositato il 2 maggio 2014, ha interposto appello, con domanda di sospensiva, sottolineando, con richiamo a più sentenze di questo Consesso, la discrezionalità tecnica dell’accertamento in questione, che per la tua oggettività è irripetibile e prescinde da stress o stati emotivi del momento, irrilevanti e ininfluenti al riguardo.

3. L’appellato ha depositato in data 3 giugno 2014 controricorso a sostegno della inattendibilità dei tests ministeriali affermata dal T.A.R., insistendo però sulla richiesta di riforma della sentenza nella parte che dispone nuovi tests nei confronti dello stesso, ritenendo probanti a tal fine quelli sostenuti successivamente da professionista privato, specialista in materia.

Peraltro si chiede nelle conclusioni la mera conferma della sentenza appellata.

4. La Sezione, con ordinanza n. 2356 del 5 giugno 2014, ha accolto l’istanza cautelare, ritenendo meritevoli di favorevole apprezzamento profili sul piano del fumus, posto che la valutazione della Amministrazione, di natura tecnico-discrezionale, appariva immune da vizi di illogicità e di irrazionalità.

5. La causa, all’udienza pubblica del 23 ottobre 2014, è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello è fondato e la sentenza impugnata va riformata.

Il contenzioso verte sostanzialmente sulla valutazione dei tests attitudinali sostenuti dall’appellante presso l’apposito Centro Psicotecnico del Dipartimento di P.S. e che la competente Commissione ha ritenuto non tali da renderlo ancora idoneo ad essere riammesso nei ruoli della Polizia di Stato, mentre il T.A.R. ha ritenuto quel giudizio influenzato dallo stress causato dai procedimenti penali ancora in itinere con conseguente inattendibilità e contraddittorietà dei tests stessi e dei provvedimenti anche nel confronto con altri analoghi tests cui l’interessato si è sottoposto presso uno psicologo-psicoterapeuta privato.

La Sezione già con la citata ordinanza cautelare n. 2356/2014 ha posto in evidenza il carattere tecnico-discrezionale della valutazione dell’Amministrazione, immune da vizi di illogicità ed irrazionalità ed in effetti quella valutazione risulta estesa e puntuale circa l’esame specifico delle capacità attitudinali e non poteva non esserlo, in quanto volta ad assicurare la permanenza dei necessari requisiti in capo a persona che, assente dal servizio per i disposti 5 anni di sospensione obbligatoria, comunque pretendeva di rientrare nell’espletamento di compiti di polizia notoriamente complessi e onerosi.

Ne consegue che non è condivisibile l’assunto del giudice di prime cure, posto che, ad avviso della Sezione, quegli esami e quei tests, svolti da soggetti per compiti di istituto ordinariamente preposti al riguardo, non potevano formare oggetto di riedizione in momento successivo, con il solo richiamo allo “stress giudiziario in atto”, dovendo invece avere una valenza oggettiva in quel momento e non potendo essere esposti a continue modifiche di fronte a eventuali nuove e diverse condizioni.

Si può presumere pure che tale circostanza abbia avuto una qualche oggettiva e naturale conseguenza sulle generali condizioni psicologiche, ma quello stress allora sarebbe durato per tutta la vicenda giudiziaria, per cui, in astratto, le prove avrebbero dovuto essere rinviate alla conclusione di quel procedimento, come sicuramente non era intendimento dell’interessato che infatti nessuna richiesta ha inoltrato in tali sensi.

Lo stesso stress non ha comunque inciso sulla valutazione psico-diagnostica rilasciata dalla Commissione ad altro fine nello stesso contesto medico.

D’altra parte l’effettuazione dei tests ben poteva essere rinviata ad altra data per oggettivi motivi di forza maggiore, quali, ad esempio, impossibilità fisica e/o psichica momentanea.

Né ha rilevanza in questa sede il successivo accertamento attitudinale effettuato da esperto privato, in quanto di parte e di portata più generale, tale da non superare il giudizio invece fornito da organismi, come detto, ordinariamente deputati in proposito.

Non può poi oggettivamente accedersi alla pretesa dell’interessato che, con il controricorso in epigrafe, addirittura sostiene di non doversi sottoporre neanche a nuovi tests con altra Commissione ministeriale ritenendo sufficienti per l’appunto quelli sostenuti con il citato professionista.

7. Ne consegue che l’appello va accolto con la conseguente riforma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso in primo grado, salvo l’eventuale riesame dell’Amministrazione di nuova aggiornata istanza.

La particolarità del caso e il tempo trascorso inducono a compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso in primo grado.

Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 12/11/2014
Alfaromeo
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da Alfaromeo »

Sospeso dal servizio.... Tribunale del riesame è cassazione annullano provvedimento custodia cautelare....
naturopata
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da naturopata »

Alfaromeo ha scritto: dom feb 17, 2019 9:27 pm Sospeso dal servizio.... Tribunale del riesame è cassazione annullano provvedimento custodia cautelare....
C'è la sospensione a titolo facoltativo che può sostituire quella a titolo obbligatorio, se dal reato può derivare, comunque, la destituzione dal servizio che, di regola, nel caso di custodia cautelare è praticamente certa.
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da avt8 »

Correttamente come ha risposto il collega,annullando la custodia cautelare che prevede la sospensione obbligatoria, il MInistero applica quella facoltativa-
A Meno che la sentenza della Corte di Cassazione ha annullato le sentenze dei gradi precedenti,perchè il fatto non sussiste,oppure l''imputato non l'ha commesso- e La Corte Suprema ha annullato la sentenza senza rinvio-
M da come hai scritto ha annullato la sola custodia cautelare-
E comunque anche se vi e stato annullamento della custodia cautelare, se non si e assolti con formula piena la destituzione e assicurata al 100%
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da naturopata »

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7093.

La massima estrapolata:



In tema di sanzioni disciplinari a carico di appartenenti alla polizia di Stato, il capo è competente a verificare in autotutela la legittimità di ogni fase del procedimento, compresa la deliberazione della commissione disciplinare, fermo restando che la predetta autorità non può invece intervenire (se non a favore dell’incolpato) sul merito della sanzione proposta dall’organo consultivo.
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Re: RICORSI AVVERSO DESTITUZIONE

Messaggio da panorama »

Per notizia, il CdS rigetta l'appello del ricorrente.

Il CdS alla fine scrive:

1) - Ad ogni modo, va rilevato che, nel provvedimento impugnato, il servizio di fatto espletato dall’interessato nel periodo dal 10 luglio 2006 (data di riammissione in servizio) fino al 16 ottobre 2011 (data antecedente la cessazione del servizio per fisica inabilità) è stato dichiarato utile ai fini della corresponsione del trattamento economico in attività di servizio e valido sia ai fini giuridici che a quelli del trattamento di quiescenza, assistenza e previdenza.
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