ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Riepilogo dei ricorsi Accolti con sentenze della CdC Basilicata:
- 12/2019;
- 17/2019;
- 23/2019;
- 27/2019 di oggi 11/06/2019 che allego.
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militareriformato22
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da militareriformato22 »

Salve, vorrei sapere se in definitiva il ricalcolo ex art. 54 è applicabile a chi ha meno di 15 anni di servizio al 31.12.1995. Grazie per le risposte
panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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In questa sentenza della CdC Veneto n. 63/2019, possiamo notare che la sentenza della 2^ Sez. d'appello n. 61/2019 viene DIRETTAMENTE richiamata dal Giudice e che la cita in Diritto al punto n. 4, in quanto anche recepita dalla citata CdC, infatti possiamo leggere qui sotto:

"Nel merito, questo Giudice prende, preliminarmente, atto del contrasto giurisprudenziale che si è formato sulla questione sottoposta all’esame di questo Giudice concernente l’applicazione dell’art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973 (vedasi, ex multis Sez. I Centr. Appello sentenza n. 422/2018, Sez. Giurisd. Calabria n. 39/2019, Sez. II Giurisd. App. n. 61/2019)."

P.S.: se questa sentenza dovrebbe essere ribaltata in Appello, aprirebbe altre strade sotto un particolare, giacché il ricorrente come si legge in sentenza, si è arruolato il 25 settembre 1989.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE VENETO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 63 Pubblicazione 15/05/2019

N°63/2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE VENETO
in composizione monocratica nella persona del Consigliere Marta Tonolo, in funzione di Giudice Unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 30763 del registro di segreteria promosso dal sig. S. G., nato a OMISSIS , C.F. OMISSIS, residente in OMISSIS, rappresentato e difeso dall’Avv.to Mario Bacci ed elettivamente domiciliato presso e nello studio del proprio procuratorem ad litem, sito in Roma alla Via Luigi Capuana n. 207

contro
INPS – DIREZIONE PROVINCIALE DI PADOVA, in persona del Dirigente pro tempore, con sede in Viale Delù n. 3, Padova;

Ministero dell’Economia e Finanza, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di VENEZIA;

VISTO il ricorso depositato presso la segreteria di questa Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti il 12 febbraio 2019;
ESAMINATI tutti gli atti e documenti di causa;
CHIAMATO il giudizio alla pubblica udienza del 14 maggio 2019 con l’assistenza della segretaria sig.ra Doriana Tornielli, sono presenti l'avv. Mario Bacci per il ricorrente, il capitano Silvia Pettine per la Guardia di Finanza e l’avv. Filippo Doni per l’INPS;

FATTO
1. Con il gravame in epigrafe, il sig. S. G. – già appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, arruolato il 25 settembre 1989 e posto in congedo alla data del 10 settembre 2013 – fa presente di essere destinatario del trattamento pensionistico ordinario diretto di inabilità, integrato con trattamento di privilegio, elaborato, in virtù della Riforma Dini L. n. 335 del 1995 con sistema misto, avendo maturato alla data del 31.12.1995 meno di 18 anni di servizio utile (retributivo sino al 31/12/95 e contributivo a decorrere dal 01/01/1996).

Rileva, al riguardo, che l'INPS, nel liquidare il trattamento di pensione, con riferimento alle quote A e B, da calcolare con il sistema retributivo, non ha applicato l’aliquota di rendimento del 44% pervista dall'art. 54, co. 1 del D.P.R. n. 1092 del 1973 per il personale militare in violazione della predetta disposizione e della Legge n. 335 del 1995. A suo dire, infatti – essendo cessato dal servizio dopo il 31.12.1995 – l’INPS avrebbe dovuto applicare l’aliquota al 44 % quale base pensionabile per il calcolo delle quote da computarsi secondo il sistema retributivo e non, invece, i coefficienti di rendimento previsti per il personale civile ex art. 44 del DPR1092\73.

Reputa, pertanto, che la pensione sia stata determinata secondo i seguenti criteri errati:

“1) Servizio utile conteggiato (b) al 31.12.1992, pari ad anni 9 e mesi 2: Coefficiente rendimento D.P.R. 1092\73 0,21389;

2) Servizio utile conteggiato (a) al 31.12.1995, pari ad anni 12 e mesi 9;

3) Quota A) totale Coefficienti di rendimento Servizio utile a) + b) = 0,2975.”

Al proposito, sottolinea come “tali dati, in estrema sintesi, evidenziano che la percentuale di rendimento applicata dall’INPS è stata pari al 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni e, dunque, in definitiva secondo l’aliquota prevista per il personale civile ex art. 44 del DPR1092\73” e che l’Inps ha operato una inesatta commistione tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt'altro che assimilabili.

Afferma, quindi, che - avendo maturato al 31.12.1992 un servizio utile pari a anni 9 e mesi 2 ed al 31.12.1995 un servizio utile pari a anni 12 e mesi 9 - il coefficiente di rendimento da applicare al servizio ante 31.12.1992 deve essere pari a 26,8583 (ventisei/8583) circa (formula: 44% : 15 X anni di servizio) e non quello del D.P.R. 1092\73: 0,21389; ritiene, altresì, che, anche nel suo caso, debbano trovare applicazione i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte dei conti a lui favorevole e, in particolare, dalla sentenza della Sezione Giurisdizionale d’Appello n. 422/2018. Conclude per l’accoglimento del ricorso.

2. Con memoria del 29.4.2019, si è costituita in giudizio la Guardia di Finanza che ha eccepito, in primis, il difetto di legittimazione passiva e chiesto la propria estromissione dal giudizio in quanto spetta all’INPS la gestione dei trattamenti pensionistici dei dipendenti.

Nel merito, ha evidenziato che il ricorrente, arruolato nel 1989 e cessato a domanda nel 2013, alla data del 31 dicembre 1995 non aveva un’anzianità contributiva pari a 15 anni (servizio utile pari a 12 anni e 9 mesi) e, pertanto, non aveva diritto al calcolo della pensione con le aliquote in misura intera in base all’art. 54 del DPR n. 1092/1973.

Concludeva per il rigetto del ricorso.

3. Con memoria depositata il 7 maggio 2019, l’INPS ha eccepito, preliminarmente, la decadenza triennale dal diritto di ottenere il ricalcolo del trattamento di cui è causa, ex art. 205 D.P.R. n. 1092/73, e la prescrizione quinquennale.

Nel merito, l’Istituto previdenziale ha rilevato che parte ricorrente chiede di estendere una disposizione, testualmente destinata a chi va in pensione con un’anzianità complessivamente pari a quella indicata dall’art. 54 D.P.R. 1092/73 (tra i 15 e i 20 anni), anche a coloro che vi accedono con un’anzianità complessivamente maggiore, frammentando l’anzianità contributiva complessiva, aumentando artificiosamente il peso della quota retributiva (anteriore al 31.12.1995) ed utilizzando in tal modo l’art. 54 cit. come parametro per la determinazione della successione dei regimi previdenziali nel tempo.

Parte resistente contesta, infatti, la fondatezza delle argomentazioni attoree rilevando come la norma non possa trovare applicazione nei confronti del militare posto in quiescenza con un’anzianità ben superiore a quanto previsto dalla stessa in quanto ciò altererebbe il rapporto tra quota retributiva e quota contributiva nei trattamenti di pensione soggetti al regime c.d. misto creando, altresì, situazioni di ingiustificabile disparità di trattamento tra gli stessi militari.

Non sarebbe possibile, inoltre, attribuire a tale norma una valenza di disciplina intertemporale quanto ai sistemi di calcolo delle pensioni; diversamente, si finirebbe per utilizzare l’art. 54 cit. per snaturare il sistema e il meccanismo stabiliti dalla legge n. 335/1995 adottando un parametro non voluto dal legislatore e facendo prevalere norme anteriori (scritte 22 anni prima della riforma), non confermate neppure dal decreto legislativo n. 165/1997.

Non assumerebbe, conclusivamente, alcun rilievo l’anzianità di servizio al 31/12/1995 se non quale momento di cesura tra diversi sistemi di computo degli elementi utili ai fini del calcolo della pensione e non come momento a cui far riferimento per il calcolo di quote retributive artificiosamente aumentate in deroga alla legge n. 335/1995.

L’INPS rileva, inoltre, che l’applicazione dell’intera misura dell’aliquota di rendimento del 44% prevista dall’art. 54, comma 1, “fa oggi riferimento a coloro che cessino dal servizio nell’arco compreso tra i 15 e i 20 anni di servizio effettivo con il sistema interamente retributivo (…)” e che “dal 21º anno la percentuale di cui sopra è incrementata dell’1,8%, ma ciò solo perché la pensione era nel 1973 interamente retributiva e pertanto si applica oggi solo alle pensioni che restino retributive anche dopo il 31/12/1995 (e fino al 31/12/2011)”.

Nel ritenere del tutto ingiustificate le tesi del ricorrente - atteso, tra l’altro, che lo stesso aveva al 31/12/1995 un’anzianità di servizio inferiore ai 18 anni - conclude per la reiezione del ricorso contestando gli errori di calcolo in cui sarebbe incorsa la controparte nel computo della propria pensione.

4. All'odierna udienza, l’avv. Mario Bacci per il ricorrente ha esposto le proprie tesi a sostegno della domanda giudiziale mentre la Guardia di Finanza ha chiesto la propria estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva, riportandosi, in ogni caso, alla memoria depositata.

L’avv. Filippo Doni per l’INPS ha ribadito le conclusioni di cui alla memoria scritta.

La causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

2. Preliminarmente dev’essere respinta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dal Comando della Guardia di Finanza convenuto posto che lo stesso riveste il ruolo di ordinatore primario di spesa e, in quanto tale, gli vanno riconosciuti specifica competenza nel procedimento di liquidazione del trattamento pensionistico quale datore di lavoro di parte ricorrente e interesse a contraddire.

Come affermato da consolidata giurisprudenza sul punto, le attribuzioni di “ordinatore principale e secondario di spesa” rappresentano una mera ripartizione di competenze degli apparati della pubblica amministrazione che costituiscono nel loro complesso la figura di obbligato passivo; la citazione in giudizio dell’amministrazione che ha emesso l’atto pensionistico garantisce, infatti, non solo l’interesse del ricorrente, ma anche quello del datore di lavoro, quanto meno ai fini della individuazione del soggetto tenuto a pagare le spese di lite in funzione della soccombenza.

3. Va, altresì, respinta l’eccezione sollevata dall’INPS di inammissibilità del ricorso, ex art. 205 DPR n. 1092/73, per non aver il ricorrente, titolare di pensione definitiva sin dal 2013, proposto all’INPS istanza volta alla riliquidazione della pensione entro il termine decadenziale triennale previsto dalla citata disposizione.

In aderenza a condivisibile orientamento giurisprudenziale (Corte dei conti, Sezione I giurisdizionale di appello, sent. n. 349/2018), questo Giudice ritiene che la norma in esame si riferisca esclusivamente alla possibilità per l'interessato di sollecitare l'Amministrazione all'esercizio del proprio potere di revoca o modifica della liquidazione della pensione. Il termine decadenziale – previsto per la proposizione di tale istanza all'amministrazione - non costituisce, quindi, un presupposto processuale per l’esercizio del diritto dell’interessato a far valere dinnanzi al giudice contabile le pretese afferenti il proprio trattamento pensionistico.

4. Nel merito, questo Giudice prende, preliminarmente, atto del contrasto giurisprudenziale che si è formato sulla questione sottoposta all’esame di questo Giudice concernente l’applicazione dell’art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973 (vedasi, ex multis Sez. I Centr. Appello sentenza n. 422/2018, Sez. Giurisd. Calabria n. 39/2019, Sez. II Giurisd. App. n. 61/2019).

Tuttavia, non reputa di aderire all’impianto motivazionale che ha indotto le diverse Sezioni di questa Corte ad accogliere i ricorsi dei militari afferenti la medesima questione di cui è causa, ritenendo, viceversa, di condividere la lineare ricostruzione normativa e le argomentazioni tracciate con le sentenze di questa Sezione giurisdizionale nn. 42 e 43/2019 alle quali intende riportarsi e a cui fa integrale riferimento.

Le richiamate pronunce esaminano, infatti, tutte le tesi poste a sostegno dell’accoglimento dei gravami proposti in materia dai militari tratteggiando, preliminarmente e compiutamente, l’evolversi della normativa pensionistica di cui va tenuto conto nella risoluzione delle questioni interpretative poste all’attenzione dei giudici e, in particolare, nel caso specifico ove il militare, alla data del 31 dicembre 1995, non aveva maturato neppure il limite minimo dei quindici anni richiesti per l’applicazione dell’art. 54 DPR n. 1072/1973 (servizio utile 12 anni e 9 mesi).

Va evidenziato, innanzitutto, come il contesto normativo [D.P.R. n. 1092/1973 - Capo II: Personale militare. Art. 52 (diritto al trattamento normale), Art. 53 (Base pensionabile); Art. 54 (misura del trattamento nomale)] e il tenore letterale della norma di cui si chiede l’applicazione (“La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo”) consentano di affermare che, con l’art. 54 del D.P.R. cit., il legislatore abbia inteso attribuire – nella vigenza di un sistema pensionistico “retributivo puro” (art. 53 - ultima retribuzione percepita) - un trattamento di favore nei confronti di una limitata categoria di militari (ove certamente non rientra l’odierno ricorrente) e cioè a favore di coloro che cessavano dal servizio avendo maturato il minimo pensionabile (15 anni) senza poter contare su vent’anni di servizio utile, salvo prevedere un aumento percentuale di 1,80 per ogni anno di servizio utile in più oltre al ventesimo.

In tal senso, è stato, già, correttamente rilevato che “la previsione del secondo comma dell’art. 54, riferita ai militari con un’anzianità di servizio superiore ai vent’anni, in verità non presuppone il trattamento più favorevole dettato dal primo comma dell’art. 54, ma l’applicazione del trattamento ordinario previsto all’art. 44 e applicato dall’Inps all’odierno ricorrente. Secondo tale disposizione, infatti al dipendente che venga posto in quiescenza con 15 anni di servizio, spetta una pensione calcolata nella misura del 35% della base pensionabile e per gli anni successivi si applica l’aliquota annua dell’1,80% sino al raggiungimento del massimo dell’80%. A ben vedere, dunque al dipendente, civile o militare che sia, che ha raggiunto l’anzianità di servizio utile di vent’anni, spetta una pensione calcolata nella misura del 44% della base pensionabile (35%+ 1,80%x 5= 44); per gli anni successivi l’aliquota è in ogni caso pari all’1,80% con il tetto massimo dell’80%. Ciò conferma che il primo comma dell’art. 54 costituisce disposizione di favore per coloro che siano costretti a cessare dal servizio con un’anzianità compresa tra i 15 e i vent’anni mentre il secondo comma si limita a ribadire che, per coloro che maturano un’anzianità di servizio maggiore, continuano a valere le aliquote previste dall’art. 44. Deve, infine, considerarsi che è principio generale che il trattamento di quiescenza si determina con riferimento alla situazione e alle norme vigenti al momento della cessazione dal servizio (Sezione Terza Centrale, sent. n. 273/2018) ed è incontestato che ricorrente è stato posto in quiescenza, nella vigenza della legge n. 335/1995” (Sez. Giurisd. Emilia-Romagna sent. n. 197/2018).

Di conseguenza, “con l’elevazione dell’anzianità contributiva minima per il conseguimento del diritto a pensione a vent’anni ad opera del decreto legislativo n. 503 del 1992 (art. 6, primo comma e art. 2, primo comma), la disposizione ha perso utilità essendone venuta meno la ratio” (Sez. Giurisd. Veneto sent. n. 43/2019 cit.).

Il richiamato decreto legislativo n. 503, infatti, nel prevedere all’art. 2, I comma, che: “ Nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti”, ha posto nel nulla la previsione dell’art. 54 cit. innalzando il diritto a pensione a vent’anni ed estendendo, di fatto, l’aliquota del 44% a tutti i dipendenti, civili e militari.

Quanto alle modalità di computo della pensione di cui è causa (cessazione al 2013), dunque, trova applicazione, per il periodo precedente al 31.12.1995 (12 anni e 9 mesi), il sistema retributivo risultante dalla riforma del 1992 secondo cui “il diritto alla pensione si conseguiva, per tutti, civili e militari, al raggiungimento dell’anzianità contributiva minima di 20 anni (secondo la tab. b allegata al D.Lgs n. 503/92 la soglia minima di 20 anni trova applicazione dal 2001 in poi) e con l’applicazione della aliquota a tale anzianità corrispondente, pari al 44% tanto per i civili che per i militari, ad una base pensionabile che, fino al 31.12.92 era costituita dall’ultima retribuzione e, dal 1.1.93, dalla media delle ultime retribuzioni, ed in cui anzianità inferiori dovevano essere valorizzate con l’applicazione dell’aliquota del 2,2% annuo (pari ad 1/20 di 44%) per ogni anno di servizio utile. Il sistema retributivo vigente non era, quindi, quello di cui all’art. 52 e ss. del D.P.R.1092/73 (in coerenza al quale era nato l’art. 54), in quanto sostituito e/o modificato ed integrato da norme successive nel tempo (e, quindi, in virtù del criterio cronologico di composizione delle antinomie normative, prevalenti, non potendosi riconoscere carattere di specialità alla previgente disciplina in rapporto a quella successiva, essendo entrambe specificamente dirette ai medesimi destinatari)” (Sez. Giurisd. Veneto sent. n. 42/2019).

Meritano, inoltre, piena condivisione, le osservazioni svolte, nella richiamata pronuncia di questa Sezione, circa l’interpretazione dell’art. 1867 C.O.M. (“1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione è determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”) il quale fa riferimento alla disposizione di cui all’art. 54, comma 1, cit. soltanto per fissare un limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (a decorrere dall’1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94.

In un contesto normativo teso ad armonizzare i regimi pensionistici come espressamente previsto dall’art. 1839 del C.O.M., ( “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilità, é corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”) non è dato ritenere ancora applicabile una normativa che aveva una sua precisa ratio nella vigenza di un diverso sistema pensionistico e che a tutt’oggi non risulta applicabile essendo stata confermata la soglia minima per il diritto a pensione in 20 anni di anzianità contributiva (“Il personale di cui al comma 1 è collocato a riposo, con diritto a pensione, al raggiungimento del limite di età, se in possesso dell'anzianità contributiva stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.” - art. 1840, II comma, C.O.M.).

La disposizione in parola, inoltre, non può, in tutta evidenza, trovare applicazione nei confronti del ricorrente che non solo non è cessato dal servizio nella vigenza della stessa, ma alla data del 31 dicembre 1995 non aveva maturato neppure i quindici anni di servizio utile richiesti dalla norma per l’applicazione del coefficiente di favore.

Conclusivamente, per le motivazioni esposte, questo Giudice ritiene che la domanda attorea non meriti accoglimento.

3.Visti la natura della questione e i contrasti giurisprudenziali in materia, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite, ex art. 31, comma 3, c.g.c..

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, in composizione monocratica quale Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.g.c..
Così deciso, in Venezia, all’esito della pubblica udienza del 14 maggio 2019.
IL GIUDICE UNICO
F.to Cons. Marta TONOLO


Depositata in Segreteria il 15/05/2019


Il Funzionario Preposto
F.to Nadia Tonolo
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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P.S.: se questa sentenza dovrebbe essere ribaltata in Appello, aprirebbe altre strade sotto un particolare, giacché il ricorrente come si legge in sentenza, si è arruolato il 25 settembre 1989.

Più che altro bisognerebbe spiegare questo:


Reputa, pertanto, che la pensione sia stata determinata secondo i seguenti criteri errati:

“1) Servizio utile conteggiato (b) al 31.12.1992, pari ad anni 9 e mesi 2: Coefficiente rendimento D.P.R. 1092\73 0,21389;
2) Servizio utile conteggiato (a) al 31.12.1995, pari ad anni 12 e mesi 9;

Se si è arruolato nell'89 come fa ad avere 9 anni al 1992? Dovrebbe essere 1983. Quindi credo che non aprirà alcuna nuova strada. Questa sentenza, ad oggi andrebbe in 3^ sezione che non si è ancora espressa. La motivazione comunque è diversa dalle pronunce ribaltate in appello attualmente ottenute.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da sintozz »

In pratica se ne è inventata un'altra, adesso ha cambiato idea dicendo che il ricorrente ha meno dii 15 anni al 31/12/1995 se ne avesse avuto di più, avrebbe avuto il diritto alla rivalutazione di favore dell'art. 54. Chissà ancora quante ne deve inventare questo Giudice.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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naturopata ha scritto: ven giu 14, 2019 2:25 pm P.S.: se questa sentenza dovrebbe essere ribaltata in Appello, aprirebbe altre strade sotto un particolare, giacché il ricorrente come si legge in sentenza, si è arruolato il 25 settembre 1989.

Più che altro bisognerebbe spiegare questo:


Reputa, pertanto, che la pensione sia stata determinata secondo i seguenti criteri errati:

“1) Servizio utile conteggiato (b) al 31.12.1992, pari ad anni 9 e mesi 2: Coefficiente rendimento D.P.R. 1092\73 0,21389;
2) Servizio utile conteggiato (a) al 31.12.1995, pari ad anni 12 e mesi 9;

Se si è arruolato nell'89 come fa ad avere 9 anni al 1992? Dovrebbe essere 1983. Quindi credo che non aprirà alcuna nuova strada. Questa sentenza, ad oggi andrebbe in 3^ sezione che non si è ancora espressa. La motivazione comunque è diversa dalle pronunce ribaltate in appello attualmente ottenute.
Perché non potrebbe andare in 1^ o 2^ sezione? Motivo? Questa sentenza prima che vada giudicata in appello ci vorranno minimo un anno e mezzo. Per quale motivo debba andare in 3^ sezione?
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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sintozz ha scritto: ven giu 14, 2019 3:31 pm In pratica se ne è inventata un'altra, adesso ha cambiato idea dicendo che il ricorrente ha meno dii 15 anni al 31/12/1995 se ne avesse avuto di più, avrebbe avuto il diritto alla rivalutazione di favore dell'art. 54. Chissà ancora quante ne deve inventare questo Giudice.
Credo che il Giudice abbia semplicemente sbagliato il computo degli anni effettivi, ovvero 12 e 9 mesi effettivi (e non utili) al 1995 e quindi + di 15 al 1995 e l'anno di arruolamento è 83 e non 89.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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Perché non potrebbe andare in 1^ o 2^ sezione? Motivo? Questa sentenza prima che vada giudicata in appello ci vorranno minimo un anno e mezzo. Per quale motivo debba andare in 3^ sezione?
[/quote]

Perché le Sezioni Centrali si dividono l'Italia e quindi ad oggi la 3 si occupa degli appelli delle sezioni territoriali del nord, la 2 il sud, la 1 il centro. Ogni tot., anche ogni anno, girano e cambiano la loro competenza.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da sintozz »

Sono convinto che prima che la 3^ sezione venga a conoscenza di questa sentenza per deciderla, ne avrà già sentenziato a centinaiai di appelli per l'art.54, quindi l'orientamento che prenderà non sarà di sicuro influenzato da ciò che ha sentenziato e motivato questo Giudice.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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Sono convinto che prima che la 3^ sezione venga a conoscenza di questa sentenza per deciderla, ne avrà già sentenziato a centinaiai di appelli per l'art.54, quindi l'orientamento che prenderà non sarà di sicuro influenzato da ciò che ha sentenziato e motivato questo Giudice.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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sintozz ha scritto: ven giu 14, 2019 4:45 pm Sono convinto che prima che la 3^ sezione venga a conoscenza di questa sentenza per deciderla, ne avrà già sentenziato a centinaiai di appelli per l'art.54, quindi l'orientamento che prenderà non sarà di sicuro influenzato da ciò che ha sentenziato e motivato questo Giudice.
Probabile, sta di fatto che però neanche il giudice (e non è l'unico) di I° è influenzato dalle pronunce di ben due sezioni centrali. D'altronde anche la Corte Costituzionale rivede le proprie decisioni, figuriamoci delle sezioni centrali della Corte dei Conti.
sintozz
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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C'è anche da dire che questa sentenza è stata emessa nei primi giorni di maggio, quindi la 2^ sezione allora non si era ancora espressa. Sarei curioso di leggere cosa tira fuori dal cilindro la dottoressa alla prossima udienza.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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CdC Sez. 2^ d'Appello n. 208/2019 del 14/06/2019.


Questa è la sentenza riferita al collega GRANDOLFO Saverio, arruolatosi in data 01/07/1981 che vede rigettare gli appelli proposti dal Ministero Difesa e dall'INPS, con conferma integrale della sentenza impugnata ed in più, condannati alla liquidazione delle spese di giudizio a favore dell’appellato G. S., nell’importo complessivo di euro 700,00, in ragione del 50% ciascuno.


N.B.: Siamo a quota 5 con gli Appelli.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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La qui sotto sentenza della CdC Sez. 3^ n. 2/2019, spiega tutto sulla prescrizione 5 o 10 anni dei ratei pensione ed Altro.

Interessante per come spiegata.

Da leggere tutta.
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Sezione TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 2 Pubblicazione 07/01/2019

Sent. 2/2019

Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di appello

Composta dai Sigg.ri magistrati:
Dott. Antonio Galeota Presidente f.f. rel.
Dott. ssa Giuseppa Maneggio Consigliere
Dott. Marco Smiroldo Consigliere
Dott.ssa Patrizia Ferrari Consigliere
Dott. Giovanni Comite Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso in appello in materia pensionistica N. 50588 proposto dal MEF, Direzione Generale servizi del Tesoro rappresentato e difeso dal funzionario delegato dott.ssa Antonella Giammichele, elettivamente domiciliato in Roma, via Casilina n. 3 contro xxx, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Lippi e Simonetta Marchetti, elettivamente domiciliato in primo grado nello studio di quest’ultima in Roma, via Paolo Emilio n. 71

avverso

la sentenza della Sezione giurisdizionale Lazio n. 59/2016 del 12.2.2016;

uditi, nella camera di Consiglio del giorno 7 novembre 2018 con l’assistenza del Segretario Sig.ra Maria Elisabetta Sfrecola il relatore, dott. Antonio Galeota e la dott.ssa Giammichele per il MEF.

FATTO

Con la impugnata sentenza la Sezione Lazio di questa Corte ha accolto il ricorso del sig. xxxx, con il quale l’interessato chiedeva di sentire dichiarare il suo diritto alla corresponsione dell’indennità integrativa speciale (d’ora in poi IIS) e della tredicesima mensilità in misura intera, ex tunc, dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico sul trattamento economico tabellare (iscrizione n.4083965), oltre interessi e rivalutazione dal giorno del dovuto e fino al soddisfo.

La Sezione territoriale riteneva fondata la richiesta di corresponsione di IIS sulla pensione tabellare anche nel caso di percezione di una pensione all’estero - di cui peraltro non è stata fornito alcun riscontro – attesa la sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1991 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 99 del DPR n. 1092 del 1973 (peraltro già abrogato dall’art. 2 della legge n. 82 del 1985 però solo a partire dalla entrata in vigore della stessa legge) nella parte ove non consentiva la liquidazione della IIS a quanti riscuotessero pensioni all’estero.

Quanto all’eccepita prescrizione quinquennale, rilevava la Sezione Lazio che con la citata sentenza della Corte costituzionale è intervenuto un atto interruttivo della prescrizione stessa, in relazione al quale, attesa l’inottemperanza dell’Amministrazione, va applicato il normale termine della prescrizione decennale, concludendo, quindi, nel senso dell’accoglimento del ricorso con interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge, da ogni singola scadenza fino al soddisfo.

Ha impugnato la sentenza il MEF, per non avere il GUP riconosciuto la sussistenza della prescrizione quinquennale, ritualmente eccepita dall’amministrazione; in subordine, anche a voler ritenere efficace, ai fini interruttivi del termine prescrizionale, la sentenza della Corte costituzionale, parimenti andava considerata la prescrizione quinquennale e non già quella decennale. In ulteriore subordine, anche in presenza di un atto interruttivo, esso non può avere altro effetto che quello di interrompere la prescrizione e fungere da dies a quo di un ulteriore termine prescrizionale il quale, peraltro, non può essere diverso da quello previsto dall’art. 2948 c.c.. Da quanto detto deriva, per il MEF, che il GUP non ha correttamente applicato il termine prescrizionale che, quindi, va fatto decorrere dalla sola data dell’istanza amministrativa del 12.11.2013, risultando, quindi, prescritte tutte le rate relative al periodo precedente al 12.11.2008, come correttamente fatto dalla amministrazione, che ha corrisposto con rata 4/2016, un importo pari a 32.605,07 €, con rata continuativa di € 861,96, coma da nota 25739 del 18.2.2016, comunicando che la stessa amministrazione stava provvedendo alla liquidazione degli interessi.

In secondo luogo, il MEF impugna la sentenza in epigrafe anche nella parte in cui, in forma asseritamente generica, statuisce su interessi e rivalutazione. L’amministrazione chiede che venga specificata la non spettanza della rivalutazione sulla suddetta pensione in quanto non compatibile con la natura risarcitoria della stessa, di tal che, a giudizio del MEF, sulla pensione competono solo gli interessi legali. Comunque, anche a voler ritenere applicabile alle pensioni tabellari l’art. 429, c. 3 cpc, esso va fatto decorrere dall’entrata in vigore della l. 205/2000 (SS.RR. 6/2008/QM).

Con ordinanza 30/2016 questa Sezione rigettava l’istanza di sospensiva interposta dalla amministrazione.

Nella odierna pubblica udienza la dott.ssa Giammichele si è riportata a quanto espresso in appello.

DIRITTO

L’appello del MEF è da accogliere con le puntualizzazioni che seguono.

L’appellante, con la prima doglianza, si grava, con articolati motivi, della illegittimità della sentenza impugnata per la violazione dell’articolo 2948 cod. civ., avendo in fattispecie il giudice di prime cure ritenuta applicabile la prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale.

Osserva il Collegio che in materia di prescrizione dei ratei pensionistici opera l’articolo 2 del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n.295, come modificato dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428 secondo cui: “...Le rate di stipendio e di assegni equivalenti, le rate di pensione e gli assegni indicati nel D.L.Lgt. 2 agosto 1917, n. 1278, dovuti dallo Stato, si prescrivono con il decorso di cinque anni. Il termine di prescrizione quinquennale si applica anche alle rate e differenze arretrate degli emolumenti indicati nel comma precedente spettanti ai destinatari o loro aventi causa e decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere."

A seguito dell’intervento del Giudice delle leggi (sentenza n. 50/1981), il legislatore ha previsto anche per i beneficiari di trattamenti di quiescenza erogati dallo Stato la disciplina della prescrizione quinquennale, estendendola, altresì, alle “... rate e differenze arretrate di rate di stipendio o assegni equivalenti e di pensione...” (comma 2°), mentre il termine decennale di prescrizione è stato riservato soltanto “... alle indennità una volta tanto che tengono luogo di pensione…” e alle “... indennità di licenziamento...” (comma 3°).

Il termine quinquennale di prescrizione si riferisce indistintamente a tutte le pensioni a prescindere dalla loro natura, sia essa retributiva (pensioni ordinarie dirette, di privilegio e di riversibilità) o risarcitoria/indennitaria (pensioni dirette e di riversibilità di guerra e privilegiate tabellari) nonché ai ratei di indennità integrativa speciale, trattandosi di componente accessoria al trattamento di quiescenza che segue la disciplina di quest’ultimo.

L’assoggettamento alla prescrizione quinquennale, previsto dal citato articolo 2, opera inoltre, non solo per i ratei di pensione liquidi ed esigibili, ma anche per quelli non ancora tali e, quindi, non ancora ammessi a pagamento (né a disposizione del creditore), come da giurisprudenza consolidata di questa Corte (ex multis, v. SSRR 16/QM/2003; 2^ Sez. App. sentt. n. 541/2012, n. 684/2012, n.303/2014, n.765/2014; Sez. 3^ App. n. 283/2012, nn. 852, 845 e 822/2011, 328/2016), avallato altresì dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 234 del 27 giugno 2008.

Pertanto, atteso che la suddetta norma speciale sulla prescrizione quinquennale dei ratei (articolo 2 r.d.l. 295 del 1939) non subordina il decorso della prescrizione all’avvenuta liquidazione delle somme da parte dell’ufficio, la sentenza impugnata va riformata in parte qua e l’appello interposto dal MEF va accolto sul punto, anche in relazione alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, che va ancorato alla data del 12.11.2013, risultando, quindi, prescritte tutte le rate relative al periodo precedente al 12.11.2008, come correttamente fatto dalla amministrazione, che ha corrisposto con rata 4/2016, un importo pari a 32.605,07 €, con rata continuativa di € 861,96, coma da nota 25739 del 18.2.2016, comunicando che la stessa amministrazione stava provvedendo alla liquidazione degli interessi.

Quanto al motivo di appello che espone una asserita carenza motivazionale della sentenza di primo grado in ordine al cumulo tra interessi e rivalutazione (denegato, in via principale, dalla amministrazione, o, in subordine, eventualmente disciplinato ai sensi della sentenza nomofilattica delle SS.RR. di questa Corte n. 6/2008/QM), il Collegio non ha motivo di discostarsi da un consolidato indirizzo giurisprudenziale che, sulla scorta della sentenza or ora menzionata, ha, sì, consolidato l’applicabilità dell’art. 429, comma 3, c.p.c. in materia di trattamento pensionistico di guerra e tabellare, ma con esclusivo riferimento, anche per i giudizi in corso, ai ratei scaduti dopo la data di entrata in vigore dell’art. 5, l. n. 205/2000, di cui è stata riconosciuta la portata innovativa per tali tipologie di pensioni. Per il periodo precedente, la rivalutazione può essere, invece, riconosciuta solo nei limiti dell’art. 1224, comma 2, c.c., spettando al pensionato fornire la prova del maggior danno da ritardato pagamento, che, da una osservazione mera (ed estrinseca, quanto alle funzioni di questa Sezione di appello) degli atti di causa, non appare essere stata fornita.

In sostanza, in applicazione della richiamata sentenza dell’Organo nomofilattico n. 6/QM/2008, si appalesa la fondatezza della richiesta dell’appellante, seppure avanzata in via dubitativa e subordinata alla pagina 7 dell’atto di appello, volta a far dichiarare la (riconosciuta) rivalutazione monetaria dei ratei pensionistici, nella parte eccedente gli interessi, dal 10 agosto 2000 all’effettivo soddisfo.

In tal senso l’appello del Ministero della Difesa va accolto anche con riferimento al secondo motivo di gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono determinate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Sezione Terza centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza o eccezione reiette, accoglie l’appello del MEF n. 50588 avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale Lazio n. 59/2016 del 12.2.2016 contro il sig. xxx e la riforma nel senso e nei limiti di cui in motivazione.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono determinate in euro 800,00.
Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 7 novembre 2018.
IL PRESIDENTE F.F.
(F.to Antonio Galeota)


Depositata in Segreteria il 7 Gennaio 2019


Il Dirigente
F.to Dott. Salvatore Antonio Sardella
panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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Rammento che, la CdC Lazio quest’anno e sino ad oggi, ha emesso n. 5 sentenze favorevoli a Militari in genere e relative all’art. 54 e ve li riporto:
- n. 197 datata 09/05/2019;
- n. 201 stessa data;
- n. 261 datata 05/06/2019;
- n. 271 datata 07/06/2019;
- n. 287 datata 18/06/2019.

Allego la n. 287/2019
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