ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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Ares
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da Ares »

Amici io mi sono deciso a fare ricorso. Ho letto articoli, inviato lettere e mandato mail. Ieri ho letto l'ultimo articolo di xxxxxxxxxxx che fa il punto sulla situazione ed ho contattato l'avvocato che lo ha scritto. Non perdiamoci in ciance! http://studiolegalezilio.com/ricorso-pe ... ari-81-83/


panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Anche se l'argomento del Ricorso/Sentenza è una cosa diversa, posto in toto la qui sotto Sentenza n. 668/2016 emessa dalla Seconda Sez. Centrale d'Appello della Corte dei Conti, poiché tratta anche l'argomento del servizio utile e servizio effettivo, nonché il famoso art. 54 e 44 pensionistico + Legge 29/1979.

Ecco alcuni brani:

1) - Si dà atto, per completezza espositiva, che l’art. 12, comma 12 undecies, del d.l. n. 78 del 31.05.2010, convertito nella legge n. 122 del 30.07.2010, ha abrogato, in sede di conversione, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 40 della l. n. 1646 del 1962. Ma l’abrogazione non può produrre effetti per i dipendenti, tra cui rientra l’’odierno ricorrente, cessati dal servizio prima del 31.07.2010, data di entrata in vigore della nuova normativa.

2) - a titolo di esempio, il servizio utile viene considerato dall’art. 54 per la misura della pensione spettante al militare, ma per la misura della pensione spettante al personale civile viene considerato dall’art. 44 solo dopo l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo, al fine di determinare gli aumenti spettanti per ogni ulteriore anno di servizio utile;

3) - il servizio utile è poi considerato per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare, ma insieme con il servizio effettivo, dal primo comma dell’art. 52, che richiede appunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo;

4) - per l’art. 42, il servizio utile non rileva invece per il conseguimento del diritto alla pensione normale del dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio (primo comma) e nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio (secondo comma);

5) - il servizio utile non viene parimenti in alcun modo considerato dall’art. 52 per il conseguimento del diritto a pensione da parte dei militari che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado (terzo comma) e da parte dei militari non appartenenti al servizio permanente e continuativo (quarto comma);

6) - il significato dell’espressione “servizio prestato”, nell’art. 124, va tratto dalla lettura combinata del medesimo articolo e dell’articolo unico della legge n. 322 del 02.04.1958, in cui per la costituzione della posizione assicurativa viene fatto riferimento al “corrispondente periodo di iscrizione”, senza considerare alcuna maggiorazione per particolari servizi;

7) - ai fini dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 viene in rilievo l’art. 8 dello stesso d.P.R., per il quale il computo dei servizi prestati dai militari si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione dal servizio stesso, senza tener conto dei periodi ivi individuati;

N.B.: la sentenza qui sotto negativa riguarda tutt'altra cosa ma chiarisce il fattore sull'art. 54 e 44.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 668 27/06/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 668 2016 PENSIONI 27/06/2016
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai magistrati:
Dott. Stefano IMPERIALI Presidente
Dott. Piero FLOREANI Consigliere
Dott. Giuseppina MAIO Consigliere
Dott. Daniela ACANFORA Consigliere
Dott. Francesca PADULA Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’appello, iscritto al n. 47854 del registro generale, proposto dal Sig. CANDIDO Marco, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alessandra Polonio e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Catanzaro, n. 9,
contro il Ministero della Difesa e l’INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D’Aloisio, Emanuele De Rose, Giuseppe Matano, ed Ester Ada Vita Sciplino,
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna n. 321/2013 del 09.12.2013;

esaminati gli atti e i documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 09 giugno 2016 il relatore Consigliere Francesca Padula, l’Avv. Alberto Maria Papadia per l’appellante CANDIDO Marco e l’Avv. Filippo Mangiapane, per delega dell’Avv. Antonino Sgroi, per l’INPS, non comparso il Ministero della Difesa.

FATTO

Con la sentenza impugnata la Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna ha respinto il ricorso proposto da Alessandro Filippo Del Giudice, sulla domanda relativa al computo, in sede di costituzione della posizione assicurativa, delle maggiorazioni di servizio previste dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973. Ha dichiarato, inoltre, il difetto di giurisdizione, in favore del giudice ordinario, sulla domanda concernente la ricongiunzione.

Il ricorrente aveva invocato l’applicazione dell’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973. Precisato che i fatti costitutivi del diritto, riguardanti il periodo prestato per il servizio di volo, dal 13.11.1980 al 22.09.1986, erano antecedenti alla norma abrogativa di cui al d.l. 78/2010 convertito in legge 122/2010, aveva osservato che il riferimento al “servizio prestato”, contenuto nella suddetta norma, dovesse intendersi come “servizio utile”, sulla base degli artt. 40 e 128 del medesimo d.P.R. n. 1092/1973.

La Sezione regionale ha:

- respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’INPS;

- dato applicazione ai principi affermati dalle Sezioni Riunite nella decisione n. 8/2011/QM, del 27 maggio 2011 (ribaditi nella successiva n. 11/2011/QM, del 21 giugno 2011), secondo cui l’espressione “periodo di servizio prestato”, contenuta nell’art. 124, debba intendersi come “servizio effettivo” e non come “servizio utile”;

- escluso sussistessero ragioni per sollevare una nuova questione di massima;

- ritenuto manifestamente infondata la questione relativa alla illegittimità costituzionale dell’art. 124, 1° comma, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione,

- dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di ricongiunzione degli anni di servizio di aeronavigazione nel Fondo Volo istituito presso l’INPS (l. n. 859/1965), nonché sulla determinazione del relativo onere, ai fini del trattamento di quiescenza da erogarsi nell’ambito del sistema pensionistico privato.

Ha proposto appello il Candido, depositato il 03.07.2014, per il seguente motivo:

- violazione e falsa applicazione degli artt. 124, comma 1, 20 e 40 del d.P.R. n. 1092/1973, della l. n. 322/1958 e dell’art. 2 l. 29/1979; carenza di motivazione.

L’appellante, premesso che nessuna argomentazione difensiva è stata presa in considerazione dal primo giudice, ha dedotto che:

- il legislatore, nel citato art. 124, nell’individuazione del periodo da considerare, non ha fatto riferimento al servizio “effettivamente” prestato, ma ha utilizzato una formula più generica ed ampia, dove il significato di “prestato” va inteso come complessivo servizio rilevante ai fini pensionistici, con esclusione soltanto di quei periodi, come ad es. l’aspettativa per motivi di salute, non computabili nell’anzianità di servizio.
Posto che l’art. 40 ha ben distinto il servizio “effettivo” dal servizio “utile”, ha ritenuto che se nell’art. 124 il legislatore avesse voluto considerare soltanto il servizio “effettivo”, l’avrebbe detto espressamente, come è accaduto in altra norma in materia di costituzione della posizione assicurativa, ossia nell’art. 128;

- il nuovo codice dell’ordinamento militare, nel confermare integralmente il disposto di cui all’art. 124, ha recepito detta interpretazione;

- la finalità dell’istituto è quella di trasferire nell’assicurazione generale obbligatoria il complessivo “patrimonio previdenziale”, senza che rilevino le vicende successive alla cessazione dal servizio militare;

- il diritto all’integrità della posizione assicurativa è stato riconosciuto dalla Cassazione (nn. 5767/02 e 6772/02), dalla Corte costituzionale (n. 374/1997) e da pronunce della sezione Lazio (nn. 100 e 182/2013);

- il suddetto diritto è esercitabile anche quando l’assicurato si avvale della facoltà di cui all’art. 2 della l. n. 29/1979, che ha superato l’art. unico della l. 322/1958, sul quale le SSRR hanno fondato la loro decisione

L’appellante ha quindi riproposto la questione relativa alla sussistenza della violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Precisato che nel fondo volo ove è iscritto il ricorrente esistono ipotesi di aumento dell’efficacia della contribuzione simile a quella presente per la disciplina militare, ha rilevato che l’interpretazione avversata comporta disparità di trattamento in quanto verrebbero riconosciuti o meno benefici conseguenti a prestazioni lavorative, ugualmente usuranti, prestate nei medesimi periodi e nelle stesse condizioni, a seconda dell’ordinamento previdenziale nel quale nasce il diritto a pensione.

Ha evidenziato anche che, in considerazione dell’armonizzazione del sistema pensionistico, e della soppressione dell’INPDAP, è irrazionale, oltre che in contrasto con l’art. 38 Cost., discriminare i servizi, a seconda che la pensione fosse stata concessa dall’INPS o dall’ex INPDAP, ovvero erogata in regime pensionistico contributivo (nel caso delle pensioni INPS) o retributivo puro (pensioni ex INPDAP).

Ha concluso chiedendo, in parziale riforma della sentenza, dichiarare il diritto al computo del periodo di servizio prestato dal 02.01.1984 al 15.04.1994 presso il Ministero della Difesa, con valorizzazione delle maggiorazioni previste dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092/1973 in sede di costituzione della posizione assicurativa e di ricongiunzione; in subordine, ha chiesto, in relazione ai motivi di dissenso alla decisione n. 8/2011/QM delle Sezioni Riunite, di rimettere la questione alle Sezioni Riunite; in caso si ritenesse di condividere il principio di diritto già delineato dall’organo nomofilattico, ha chiesto dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092/1973, per contrasto con gli artt. 3 e 38, commi 2 e 4, della Costituzione, nella parte in cui prevede che si faccia luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell’AGO-VIS presso l’INPS, in relazione ai periodi che danno luogo agli aumenti nel computo dei servizi di cui agli artt. 18-28 del d.P.R. n. 1092/1973 (Titolo II, capo III, Parte I), anziché per il periodo di servizio utile, spese e compensi di lite rifusi.

Con memoria depositata trasmessa a mezzo PEC il 27.05.2016 si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, osservando che gli aumenti di servizio, sebbene rilevanti ai fini della misura della pensione e dell’indennità una tantum, non si possono trasferire all’AGO e non possono essere valutati per la costituzione della posizione assicurativa. Una diversa interpretazione comporterebbe disparità di trattamento tra i militari in servizio permanente e i militari volontari in ferma, cui, ai sensi dell’art. 128 del d.P.R. n. 1092/1973, sostituito dall’art. 1861, comma 2, del d. lgs. n. 66/2010, ai fini della costituzione della posizione assicurativa, viene valorizzato il solo effettivo periodo di servizio prestato. Ha osservato che, accogliendo la tesi proposta da parte avversa, non potrebbe mai realizzarsi, restando priva di giustificazione, l’eventualità delineata dall’art. 124, comma 2, ovvero che l’importo dei contributi da versare all’INPS risulti inferiore all’indennità una tantum.

Ha richiamato copiosa giurisprudenza.

Ha chiesto il rigetto dell’appello con vittoria delle spese e competenze di lite, quantificate forfettariamente in € 1.000,00.

Si è costituito in giudizio l’INPS, con nota depositata il 17.05.2011, rilevando che l’appellante non ha apportato alcun elemento diverso rispetto a quelli già analizzati dalle numerose decisioni sulla questione, sulla quale si è creato un orientamento da considerarsi diritto vivente. Ha chiesto il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese, competenze ed onorari.

Con memoria depositata il 30.05.2016 parte appellante.

- ha confermato la fondatezza della pretesa del ricorrente:

- ha ribadito l’irragionevolezza dell’identificazione del servizio prestato con il servizio effettivo, soprattutto in considerazione dell’inesistenza di una differenziazione tra i due regimi pensionistici, pubblico e privato;

- ha insistito anche circa il contrasto con l’art. 38, commi II e IV della Costituzione;

- ha chiesto disporsi il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, III comma, TFUE, per la violazione del divieto di discriminazione di cui agli articoli 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 21 della carta dei diritti fondamentali dell’UE e 10 del TFUE, “in ordine all’interpretazione dell’art. 2, paragrafi 1 e 2, e dell’art. 6 della direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27.11.2000, per richiedere se tali norme debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una disposizione nazionale, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092/1973, la quale consenta la maturazione del diritto a pensione ad una età più elevata a parità di durata e condizioni del rapporto di lavoro”.

Nella pubblica udienza l’Avv. Alberto Maria Papadia per l’appellante e l’Avv. Filippo Mangiapane per l’INPS si sono riportati agli atti scritti, confermando le conclusioni ivi contenute.

DIRITTO

Si premette che sulla domanda relativa alla ricongiunzione dei servizi in applicazione dell’art. 2 della legge n. 29 del 1979, si è formato il giudicato sulla statuizione di difetto di giurisdizione, non impugnata dall’appellante.

Quest’ultimo, infatti, pur conclusivamente chiedendo, nell’atto di gravame, il computo delle maggiorazioni di cui all’art. 20 del d.P.R. n. 1092/1973 in sede non solo di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, ma anche “di ricongiunzione”, non ha proposto motivi di appello al fine di avversare la statuizione pregiudiziale del giudice regionale.

L’appello è infondato.

Il citato articolo 20, inserito nel titolo secondo, capo terzo, intitolato “aumenti nel computo dei servizi”, dispone che “il servizio di volo, prestato con percezione delle relative indennità mensili, è aumentato di un terzo”.

Quindi l’articolo 40, primo comma, inserito nel capo V del medesimo titolo secondo, chiarisce che “per gli effetti previsti dal presente testo unico, la somma dei servizi e periodi computabili in quiescenza, considerati senza tener conto degli aumenti di cui al precedente capo III, costituisce il servizio effettivo;

con l'aggiunta di tali aumenti, costituisce il servizio utile”;

L’articolo 124, primo comma, stabilisce che “qualora il dipendente civile ovvero il militare in servizio permanente o continuativo cessi dal servizio senza aver acquistato il diritto a pensione per mancanza della necessaria anzianità di servizio, si fa luogo alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, per il periodo di servizio prestato”.

Anteriormente all’entrata in vigore del citato d.P.R., l’articolo unico della l. 322 del 02.04.1958 prevedeva che ”In favore dei lavoratori iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione da detta assicurazione, dev'essere provveduto, quando viene a cessare il rapporto di lavoro che aveva dato luogo alla iscrizione alle suddette forme o trattamenti di previdenza senza il diritto a pensione, alla costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nella assicurazione obbligatoria per l'invalidità, le vecchiaia e i superstiti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione”.

Ai sensi dell’art. 40 della L. n. 1646 del 22.11.1962 “La costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, prevista dalla legge 2 aprile 1958, n. 322, si effettua, per il personale dipendente da Amministrazioni statali… purché si tratti di periodi per i quali vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato e a condizione che tali periodi non siano coperti da contribuzione nell'assicurazione predetta”.

Da ultimo l’art. 1861 del d.lgs. n. 66 del 15.03.2010, che ha approvato il “Codice dell’ordinamento militare”, ha rivitalizzato l’istituto, prevedendo che “la costituzione della posizione assicurativa per il militare in servizio permanente è effettuata ai sensi dell’art. 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092”.

Si dà atto, per completezza espositiva, che l’art. 12, comma 12 undecies, del d.l. n. 78 del 31.05.2010, convertito nella legge n. 122 del 30.07.2010, ha abrogato, in sede di conversione, l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 40 della l. n. 1646 del 1962. Ma l’abrogazione non può produrre effetti per i dipendenti, tra cui rientra l’’odierno ricorrente, cessati dal servizio prima del 31.07.2010, data di entrata in vigore della nuova normativa.

Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Riunite di questa Corte, di cui è nota la funzione nomofilattica, le quali, con sentenza n. 8/QM del 27.05.2011, in sede di risoluzione di questione di massima, aderendo all’orientamento di parte della giurisprudenza di questa Corte che respingeva pretese analoghe a quella all’odierno esame, hanno affermato che “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>”.

Hanno osservato le Sezioni Riunite che:

- il servizio utile cui fa riferimento l’art. 40 del d.P.R. n. 1092 del 1973, comprensivo delle maggiorazioni riconosciute per particolari servizi, non è un servizio rilevante a tutti gli effetti pensionistici in sostituzione di quello effettivo, come avverrebbe se si trattasse di un intangibile patrimonio previdenziale;

- in tutti i casi in cui il d.P.R. n. 1092 del 1973 si riferisce, per un qualche effetto pensionistico, al servizio prestato dal dipendente civile o militare, è la stessa disposizione che precisa se si tratti di servizio “effettivo” ovvero di servizio “utile”;

- a titolo di esempio, il servizio utile viene considerato dall’art. 54 per la misura della pensione spettante al militare, ma per la misura della pensione spettante al personale civile viene considerato dall’art. 44 solo dopo l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo, al fine di determinare gli aumenti spettanti per ogni ulteriore anno di servizio utile; il servizio utile è poi considerato per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare, ma insieme con il servizio effettivo, dal primo comma dell’art. 52, che richiede appunto una anzianità di almeno quindici anni di servizio utile di cui dodici di servizio effettivo;

per l’art. 42, il servizio utile non rileva invece per il conseguimento del diritto alla pensione normale del dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio (primo comma) e nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio (secondo comma); il servizio utile non viene parimenti in alcun modo considerato dall’art. 52 per il conseguimento del diritto a pensione da parte dei militari che cessano dal servizio permanente o continuativo a domanda, per decadenza o per perdita del grado (terzo comma) e da parte dei militari non appartenenti al servizio permanente e continuativo (quarto comma);

- il significato dell’espressione “servizio prestato”, nell’art. 124, va tratto dalla lettura combinata del medesimo articolo e dell’articolo unico della legge n. 322 del 02.04.1958, in cui per la costituzione della posizione assicurativa viene fatto riferimento al “corrispondente periodo di iscrizione”, senza considerare alcuna maggiorazione per particolari servizi;

- ai fini dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 viene in rilievo l’art. 8 dello stesso d.P.R., per il quale il computo dei servizi prestati dai militari si effettua dalla data di assunzione del servizio sino a quella di cessazione dal servizio stesso, senza tener conto dei periodi ivi individuati;

- la differente formulazione contenuta nell’art. 128, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, si spiega considerando che detto articolo “…ha riprodotto pedissequamente l’art. 6, comma 1, della legge n. 447 del 10.6.1964 sulla costituzione della posizione assicurativa INPS per i <volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica>: una disposizione ove era appunto già contenuta l’espressione <per l’effettivo periodo di servizio prestato>. Si tratta pertanto di una tralatizia ridondanza priva in realtà di effetti pratici, in quanto sia per la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS a favore dei militari in servizio permanente e continuativo, che per l’analoga costituzione di posizione assicurativa a favore di volontari, il d.P.R. n. 1092 del 1973 intende comunque riferirsi al servizio realmente, in concreto, effettivamente prestato, senza alcuna maggiorazione in ragione della particolare gravosità di alcuni servizi”.

Il principio in diritto stabilito medesime nella decisione dell’organo nomofilattico presenta carattere generale cogente (art 1, comma 7 della legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’art. 42, comma 2 della legge 18 giugno 2009, n. 69) per tutti i Giudici di primo e secondo grado, che siano chiamati a decidere in controversie nelle quali quel principio risulti direttamente rilevante ed applicabile.

E’ sì prevista l’attivazione del procedimento di motivato dissenso, ma sul presupposto della non condivisione della massima in diritto, come definita dalle Sezioni riunite all’esito di un antecedente deferimento, per rimettere la decisione alle Sezioni riunite, sulla base di ulteriori argomentazioni che giustifichino una riconsiderazione da parte dell’organo nomofilattico (C. conti, SS.RR. n. 8/QM/2010 del 13.10.2010; id. n. 12/QM/2011 del 03.08.2011).

Non si ravvisano ragioni per una tale rimessione, trattandosi di principio già affermato e confermato da questa Sezione (Sez. II n. 235 del 09.07.2008, n. 426 del 25.10.2010, n. 165 del 28.03.2011; n. 419 del 19.04.2016) e che il Collegio condivide pienamente (si vedano anche le sentenze della Sez. I, nn. 64 del 22.01.2015 e 138 dell’11.02.2015, che hanno annullato rispettivamente le decisioni della sezione Lazio nn. 100 e 182 del 2013 citate dall’appellante).

Dunque non sussiste la asserita lesione della posizione assicurativa posseduta dal ricorrente nell’ambito della gestione di provenienza, per effetto della determinazione della predetta senza aumento nel computo dei servizi, in relazione al servizio di volo prestato.

Va ancora osservato che l’art. 124 del d.P.R. 1092/1973 non si appalesa censurabile per violazione di principi costituzionali.

Non risulta contrasto con l’art. 3, non riscontrandosi l’asserita identità delle situazioni oggetto di diversa disciplina.

In primis non rileva il richiamo effettuato dall’appellante alla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 09.05.2011, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto del quinto comma dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell’art. 40 della legge n. 1646 del 1962, “nella parte in cui, per i periodi di studi che sono stati oggetto di riscatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 del citato d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 - subordinano la costituzione della posizione assicurativa nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, alla condizione che, per gli stessi periodi, <vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato>”.

Come osservato nella più volte citata sentenza n. 8/2011/QM, “Si tratta infatti di disposizioni che attengono ai < servizi computabili a domanda> - questione diversa da quella qui in esame - e comunque la sentenza della Corte costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale solo in parte, in vista di particolari finalità:< incentivare l’accesso nella pubblica amministrazione di personale idoneo per preparazione e cultura>, <evitare la penalizzazione dei lavoratori che abbiano dovuto ritardare l’inizio della loro attività onde acquisire il titolo necessario per essere ammessi all’impiego>”.

Inoltre, va considerato che, come puntualizzato sempre dalle Sezioni Riunite, la diversità della disciplina si giustifica per il mutamento “di regime cui era soggetto, e in parte lo è ancora, il militare passato dal regime pensionistico< pubblico> a quello <privato>”.

Aggiunge il Collegio che, in relazione ai precetti di cui agli artt. 3 e 38 Cost., “costante giurisprudenza costituzionale …ha …riconosciuto, la legittimità del pluralismo dei diversi regimi previdenziali, escludendo la comparabilità dei trattamenti pensionistici delle varie categorie professionali, e in particolare di quelli spettanti ai dipendenti privati rispetto al regime previsto per i dipendenti di enti pubblici…” (così Cass. Sez. Un., n. 14254 del 07.07.2005, che cita: Corte cost. 25 febbraio 1988 n.220, 7 aprile 1988 n.408, 19 aprile 1990 n.217, 6 marzo 1995 n.78).

D’altro canto la gradualità e tendenzialità della armonizzazione risulta chiaramente dall’art. 2, comma 23, della l. di riforma n. 335 dell’8.08.1995, che contiene delega al Governo ad emanare per il personale in regime di diritto pubblico norme di armonizzazione ai principi ispiratori della legge “secondo criteri coerenti e funzionali alle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività dei lavoratori medesimi”.

Ed in effetti il percorso in questione non può dirsi a tutt’oggi esaurito: la stessa attribuzione all’INPS delle funzioni degli enti soppressi ex art. 21 del d.l. n. 201 del 2011, non va di pari passo con l’obiettivo di convergenza e armonizzazione del sistema pensionistico, al quale pure contribuisce, ma per un aspetto precipuamente legato al miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione attraverso la riduzione dei costi degli apparati (questa Sezione, n. 48 del 14.02.2014).

Nessun vulnus all’art. 38 della Costituzione può affermarsi, tenuto conto che la limitazione costituisce un contrappeso rispetto alla finalità propria della costituzione della posizione assicurativa, di tutela previdenziale in favore del lavoratore che cessi dal servizio senza diritto a pensione, al quale è garantita la possibilità di beneficiare, in presenza ovviamente delle previste condizioni, di un trattamento pensionistico, secondo le regole dell'assicurazione generale obbligatoria.

All’esclusione del prospettato vulnus si perviene anche tenendo conto che appartiene alla discrezionalità del legislatore, col solo limite della evidente irrazionalità, nella specie non riscontrabile, stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e le variazioni dell'ammontare delle prestazioni, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti (ex multis, C. cost., sent. n. 316 dell’11.11.2010).

Anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea va respinta.

Innanzitutto va precisato che la non riconducibilità al diritto comunitario delle norme CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) implica la non operatività dei meccanismi di disapplicazione del diritto interno contrastante e di interpretazione, che si impongono invece al giudice, al cospetto di leggi nazionali e regionali incompatibili con norme comunitarie aventi efficacia diretta (C.cost., ordinanza n. 103 del 15.04.2008).

Il Collegio, sul punto, si limita a rammentare che la Corte costituzionale ha affermato, nella sentenza n. 113 del 07.04.2011 (riprendendo l’opzione interpretativa di cui alle sentenze della Consulta nn. 348 e 349 del 24.10.2007), come<< …le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrino, quali “norme interposte”, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali” (sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008).
Prospettiva nella quale, ove si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilità di una interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verifica dia esito negativo – non potendo a ciò rimediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante – egli deve denunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento all’indicato parametro>>.

Il quadro, come accennato nella sentenza citata n. 113/2011, non risulta mutato con la sopravvenienza del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130, che modifica il Trattato sull’Unione europea ed il Trattato che istituisce la Comunità europea.

Il Collegio richiama la sentenza della Consulta (sent. n. 80 dell’11.03.2011) in cui è stato spiegato, con riferimento al nuovo art. 6 del Trattato UE, paragrafi 2 e 3, le ragioni per cui restano fermi, dopo il Trattato di Lisbona, i principi già enunciati dal giudice delle leggi in ordine ai rapporti tra ordinamento nazionale e norme CEDU.

Per quanto riguarda, invece, la violazione delle norme comunitarie, nel caso di specie della richiamata direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27.11.2000, che afferma il principio generale di non discriminazione in materia di occupazione, condizioni di lavoro e prestazioni di sicurezza sociale assimilate alla retribuzione, occorre considerare che l’obbligo di rinvio pregiudiziale, finalizzato alla interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario, che fa capo al giudice le cui decisioni non sono impugnabili, non è assoluto, ma relativo, e sussiste, come affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sin dalla sentenza CGUE 06.10.1982, Soc. Cilfit, C 283/81), quando:

- la questione esegetica è rilevante per il giudizio;

- essa non è già stata valutata dalla CGUE;

- il giudice abbia accertato che la corretta applicazione del diritto comunitario non dà adito a ragionevoli dubbi;

- la soluzione non è ricavabile da una costante giurisprudenza della CGUE, anche ove non sussista stretta identità di materia.

Ebbene, osserva il Collegio, valorizzando quest’ultimo profilo, che è pacifico nella giurisprudenza della Corte del Lussemburgo che il diritto dell’Unione rispetta la competenza degli Sati membri ad organizzare i propri sistemi previdenziali e che, in mancanza di un’armonizzazione al livello di Unione Europea, spetta alla normativa di ogni Stato nazionale determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia previdenziale (CGUE 14.04.2015, L. C. Fernandez, C 527/13 e numerosi precedenti ivi richiamati).

Alla luce dei suddetti principi la questione interpretativa può essere superata, dovendosi escludere che l’art. 124 del d.P.R. n. 1092/1973 integri una misura anche indirettamente discriminatoria, sotto il profilo rilevato dall’appellante, in quanto il conseguimento del diritto a pensione ad un’età più avanzata, rispetto al lavoratore che è rimasto alle dipendenze del Ministero della Difesa, costituisce un naturale effetto della disciplina discrezionalmente posta dal legislatore nazionale, che ben può porre norme in materia pensionistica che penalizzino una categoria di beneficiari in determinate situazioni (nella specie, in ragione del passaggio al servizio civile).

Alla luce delle svolte considerazioni, dichiarata manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale, respinta l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’appello va rigettato in quanto infondato.

L’appellante Candido Marco va condannato, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in € 1.500,00 in favore dell’INPS ed in € 300,00, in favore del Ministero della Difesa.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale,
RESPINGE l’appello avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna n. 321/2013 del 09.12.2013,

CONDANNA l’appellante CANDIDO Marco al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in € 1.500,00 in favore dell’INPS ed in € 300,00, in favore del Ministero della Difesa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 09 giugno 2016.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Francesca PADULA) (Stefano IMPERIALI)
f.to Francesca PADULA f.to Stefano IMPERIALI


Depositata in Segreteria il 27 giugno 2016


IL DIRIGENTE
(Dr.ssa Daniela D’AMARO)
f.to Daniela D’AMARO



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La 3^ Sez. d'Appello della Corte dei Conti, con la qui sotto sentenza tratta anche l’argomento della Legge 29/1979, ossia l'unificazione dei contributi.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 420 22/08/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 420 2016 PENSIONI 22/08/2016
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

Composta dai seguenti magistrati:
Enzo Rotolo Presidente
Giuseppa Maneggio Consigliere
Elena Tomassini Consigliere
Giovanni Comite Consigliere
Giuseppe Di Benedetto Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso in appello iscritto al numero 46034 del registro di Segreteria della Sezione Terza Giurisdizionale di Appello, proposto da Rizzi Luca, nato il ......., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra Polonio e dall’avv. Alberto Maria Papadia ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma alla via Catanzaro n. 9.

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore,

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), rappresentato e difeso dagli avvocati, Antonino Sgroi, Lello Maritato, Carla d’Aloisio, Emanuele De Rose, Giuseppe Matano e Ester Ada Vita Sciplino,

per la riforma della sentenza n. 273/2012 della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Emilia Romagna.


Visti il ricorso e tutti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, all'udienza del 10 giugno 2016, con l'assistenza della Segretaria Signora Gerarda Calabrese, il Cons. relatore Giuseppe Di Benedetto, l'Avv. Alberto Maria Papadia per l’appellante, l’avv. Lidia Carcavallo per l’I.N.P.S. e il dott. Michele Grisolia per il Ministero della Difesa,


FATTO

1.Con l’impugnata sentenza, n. 273/2012, la Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna ha respinto il ricorso col quale il sig. Rizzi Luca – ex Ufficiale della Marina Militare - aveva chiesto la declaratoria del diritto:

• al computo, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l'INPS, dell’aumento di servizio di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973; ciò in riferimento al servizio prestato con la percezione dell’indennità di aeronavigazione;

• alla determinazione dell’onere di ricongiunzione con detrazione degli interessi ai sensi dell’art. 2, II comma L. 29/1979, con condanna dell’INPS a provvedere alla conseguente riliquidazione del suddetto onere, ed alla restituzione al ricorrente delle maggiori somme nel frattempo eventualmente versate, con interessi e rivalutazione.

1.1 La Corte territoriale adita ha ritenuto il ricorso non meritevole di accoglimento, nella parte volta all’accertamento del diritto al computo, in sede di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, della maggiorazione di servizio prevista dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973, e inammissibile per difetto di giurisdizione dell’adito giudice nella restante parte, relativa alla rideterminazione della ricongiunzione ex legge n. 29 del 1979 dei servizi presso l’INPS ed all’esatto computo dell’onere contributivo, spettandone la cognizione al giudice ordinario.

2. Il sig. Rizzi Luca ha interposto appello avverso tale pronuncia assumendone l’erroneità e deducendo:

• la violazione e falsa applicazione degli artt. 124, I comma, 20, e 40 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dell'art. 2 della legge n. 29 del 1979 e la carenza di motivazione, poiché la decisione impugnata si era supinamente adeguata alle decisioni n. 8/2011/Q.M. e 11/2011/QM delle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti;

• la contrarietà della disposizione come interpretata con l’identificazione del servizio “prestato” con il servizio “effettivo”, agli artt. 3, 1 comma, e 38, commi 2 e 4, della Costituzione;

concludendo con la richiesta, in parziale riforma della sentenza gravata, di declaratoria del diritto dell’appellante al computo del periodo di servizio prestato presso il Ministero della Difesa dal 5.10.1987 al 25.06.1999 secondo le maggiorazioni previste dall'art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e, in via gradata, di rimettere la decisione del giudizio alla Sezioni Riunite, con vittoria di spese.

2.1 Con ulteriore memoria depositata 31 maggio 2016 Parte attrice ha illustrato i motivi di appello e proposto istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267, 3 comma TFUE.

3. L’ I.N.P.S. si è costituito in giudizio e con memoria depositata in data 17.05.2016 ha sostenuto l’infondatezza dell’appello evidenziando che il ricorso si pone in contrasto con un orientamento giurisprudenziale costante e consolidato. Ha, pertanto, concluso con la richiesta di reiezione del ricorso, con condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 92 cpc.

4. Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 30.05.2016 con la quale ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto la reiezione, con vittoria di spese.

5. All’udienza del 10 giugno 2016, dopo l’esposizione introduttiva del Giudice relatore, l’Avv. Alberto Maria Papadia ha insistito per l’accoglimento dell’appello, mentre l’Avv. Carcavallo, per l’INPS, e il dott. Grisolia per il Ministero per la sua reiezione, entrambi con vittoria di spese. La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. La questione posta all’esame del Collegio ha formato oggetto di pronuncia delle SS.RR. di questa Corte che, con le decisioni n. 8QM/2011 e n. 11QM/2011 che hanno, rispettivamente, affermato i seguenti principi di diritto:

• “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>” (8QM/2011);

• “All’ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo senza aver maturato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico normale, non spetta, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS prevista dall’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’aumento del quinto del periodo di servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto, previsto dall’art. 3 della legge n. 284 del 27.5.1977” (11QM/2011).

1.1 Alla luce della autorevole e condivisibile giurisprudenza richiamata si deve ritenere che gli aumenti di favore non possano essere valorizzati ai fini della costituzione della posizione (quale ricongiunzione dei servizi) assicurativa presso l'Inps e che, in particolare, la maggiorazione riconosciuta dagli artt. 2 e 17 della legge 5 maggio 1976 n. 187, in applicazione dell'art. 124 del D.P.R. n. 1092 del 1973, non possa partecipare alla costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps, ma sia valutabile soltanto ai fini della liquidazione dell'indennità una tantum prevista dallo stesso art. 124 cit.

2. Non meritevole di accoglimento si appalesa poi la richiesta di parte ricorrente di una nuova rimessione alle Sezioni Riunite non sussistendo alcun contrasto orizzontale tra le Sezioni di appello che la legittimerebbe, giacché, i principi di diritto affermati dall'Organo di nomofilachia sono stati costantemente osservati (II Sezione n. 406, 2011; Sez. III nn. 778/2011, ex pluribus).

3.Vanno poi disattese anche le questioni circa l'asserito contrasto del complesso normativo, così come interpretato, con l'art. 3 e l'art. 38 della Costituzione.

Sotto il primo profilo, il ricorrente lamenta la disparità di trattamento rispetto al dipendente del Ministero della Difesa, per il quale vi sarebbe la valorizzazione massima del servizio svolto con l'aumento per l'indennità di aeronavigazione, rispetto a quello che – come nella specie – cessato senza diritto a pensione, ha effettuato il ricongiungimento dei servizi svolti presso l'INPS. Il ricorrente sottolinea che tale disparità di trattamento è ancora più evidente alla luce della convergenza e armonizzazione del sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo e della soppressione dell'INPDAP confluito nell'INPS.

La relativa questione, benché rilevante, non è “non manifestamente infondata”. La disparità di trattamento presuppone situazioni sovrapponibili, mentre, nella specie, è evidente la differenza tra la condizione del dipendente del Ministero della Difesa che ha conseguito il diritto a pensione rispetto a quello dimissionario per accedere ad altro impiego (privato) sulla base di una valutazione di convenienza, e al quale, sulla base della valutazione del servizio prestato con la supervalutazione è stata già erogata l'indennità una tantum; del tutto differente è, inoltre, il regime pensionistico di riferimento, anche se attualmente erogato dallo stesso INPS, però in gestioni diverse e con norme di riferimento differenti. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte, sopra citata, con motivazione che qui si condivide, ha ritenuto non lesiva del diritto di eguaglianza la scelta di sottoporre soggetti collocati a riposo in regimi previdenziali diversi a una disciplina differenziata.

3.1 Non si ravvisa, poi, il contrasto dell'art. 124 – nell'interpretazione ormai consolidata - con l'art. 38 della Costituzione, perché la Corte costituzionale ha sempre ribadito che, ferme la proporzionalità e l'adeguatezza della pensione rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato e alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, spetta alla discrezionalità del legislatore determinarne le modalità di attuazione (sentenze nn. 531/2002, 457/1998, 173/1986).

Nè in questa sede, peraltro, è stata dedotta la rilevanza di tale contrasto, poiché non è stato documentato che la pensione erogabile al ricorrente sia, in concreto, in contrasto con tali principi di proporzionalità e adeguatezza.

4. Infine, l'appellante, nella memoria conclusionale, fa istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ai sensi dell'art. 267 TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea) che prevede che le giurisdizioni nazionali di ultima istanza, le cui decisioni non possono essere oggetto di ricorso, hanno l'obbligo di adire la Corte di Giustizia per la richiesta di un rinvio pregiudiziale per chiarire la portata di una norma di diritto della U.E., salvo nel caso in cui esista una giurisprudenza della Corte in materia o nel caso in cui l'interpretazione della norma di diritto dell' U.E. sia evidente.

L'istanza non può essere accolta, mancandone i presupposti.

Si rileva, infatti, che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia è ammissibile:

• con riguardo all'interpretazione di una norma comunitaria e non di diritto interno, poiché quest'ultima spetta in via esclusiva al giudice nazionale;

• quando non sussista una giurisprudenza già consolidata della Corte di Giustizia ovvero un'interpretazione evidente della norma di diritto dell'U.E.,
circostanze non ravvisabili nella fattispecie.

5. Le spese legali seguono la soccombenza e vengono determinate in € 500,00 in favore di ciascuna delle parti resistenti. Nulla è dovuto per le spese di giudizio.

P.Q.M

La Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, rigetta l’appello nel merito.

Le spese legali seguono la soccombenza e vengono liquidate in € 500,00 in favore di ciascuna delle parti resistenti.

Nulla per le spese di giudizio
Manda in Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 10 giugno 2016.
L'estensore Il Presidente
F.to Giuseppe Di Benedetto F.to Enzo Rotolo


Depositata in Segreteria il 22 Agosto 2016


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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Altra sentenza che però spiega pure la differenza del servizio prestato "servizio effettivo" e il servizio utile -che per definizione è, almeno in parte, servizio non “prestato”, ecc. ecc., come da brani sottostanti.
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1) - servizio militare dal 10.02.1983 al 7.05.1999, valutabile in misura intera (Anni 16, mesi 2 e giorni 26);

2) - supervalutazione dal 13.0.1983 al 7.05.1999, valutabile nella misura di 1/5 (Anni 3, mesi 1 e giorni 23) ai sensi del beneficio dell’art. 3 della legge nr. 284/77.

3) - Resiste il Ministero delle Difesa eccependo che «il diniego dell’Amministrazione ha trovato fondamento nella considerazione che la normativa riguardante la costituzione della posizione assicurativa, come la ricongiunzione dei servizi, i riscatti, il premio di congedamento (cfr. L.322/1958, L.447/1964, L.191/1975 e L.29/1979) fa riferimento al “servizio prestato”, che risulti effettivamente coperto da contribuzione, con esclusione degli aumenti di favore, quali il terzo del volo e della navigazione, il quinto del servizio operativo e del servizio d’istituto, le campagne di guerra.

4) - Difatti, tale orientamento, che dall’entrata in vigore della normativa il Ministero della Difesa ha ritenuto di adottare, è stato confortato dalle varie circolari applicative del Ministero dell’Economia e Finanze – Ragioneria Generale dello Stato – che si sono succedute nel tempo.

5) - Gli aumenti di servizio, perciò, sebbene rilevanti ai fini della misura della pensione, non si possono trasferire presso l’assicurazione generale obbligatoria e non producono alcun effetto sul periodo da prendere a base per la costituzione della posizione assicurativa (artt. 44 e 54 cit. D.P.R.).

6) - ...... mentre per i dipendenti che hanno maturato il diritto al trattamento di quiescenza questi benefici servono solo per determinare l’ammontare.

7) - Inoltre, non potrebbe ravvisarsi alcuna razionale giustificazione nel creare un’ulteriore disparità di trattamento tra i militari in servizio permanente o continuativo, per i quali l’art.124 D.P.R. 1092/73 stabilirebbe che la posizione assicurativa debba essere costituita sulla base del c.d. “servizio utile”, e i militari volontari dell’Esercito e dell’Aeronautica, che, ai sensi del successivo art. 128, vedono valorizzato ai medesimi fini il solo “effettivo periodo di servizio prestato”.

8) - Peraltro, come ricordato in precedenza, al fine di dirimere ogni dubbio in ordine all’applicazione di detta normativa, il Ministero del Tesoro – Ragioneria Generale dello Stato, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel prosieguo del tempo ha emanato distinte circolari contenenti istruzioni in merito (circolare n.76 del 1960 e n. 21 del 1981, riferita alla L. 29/1979) affermando espressamente che debbano essere esclusi dalla costituzione della posizione assicurativa, tra gli altri, tutti gli aumenti di favore previsti dal legislatore sulle pensioni statali.

9) - Infatti deve considerarsi che l’indennità Una Tantum è pari ad un ottavo della base pensionabile per ogni anno di servizio utile (volendo percentualizzare, il 12,5% cfr. art.54, u.c., del medesimo D.P.R.1092/73), mentre la posizione assicurativa presso l’I.N.P.S. viene costituita tenendo conto di un’aliquota che comprende la quota di contributi sia a carico del datore di lavoro che del dipendente, per una percentuale totale di circa il 30% da computare sulle paghe o stipendi percepiti durante tutto l’arco temporale dell’attività lavorativa.

10) - In conclusione, sulla questione è recentemente intervenuta la Corte dei Conti, Sezioni Riunite in Sede Giurisdizionale che con sentenza n.8 /2011/QM in data 11.05.2011 e n.11/2011/QM in data 15.06.2011, ha chiarito che “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art.124, comma 1, del D.P.R. n.1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>” e che “All’ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo senza aver maturato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico normale, non spetta, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S. prevista dall’art.124 del D.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’aumento del quinto del periodo di servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto, previsto dall’art.3 della legge n. 284 del 27.05.1977”».

11) - Pertanto, se l’art. 124 del DPR n. 1092 del 1973 avesse voluto abbandonare questo criterio e riferirsi invece al “servizio utile”, comprensivo delle maggiorazioni previste per particolari servizi, l’avrebbe affermato espressamente, mentre ha continuato a fare riferimento al “periodo di servizio prestato”.

12) - Peraltro, nella disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 284 del 1977 viene espressamente precisato che l’aumento del “servizio comunque prestato” rileva unicamente “ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni ”, mentre la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS consiste in una mera ricongiunzione di servizi, come affermava espressamente il titolo della legge n. 322 del 1958.

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LAZIO SENTENZA 23 16/01/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LAZIO SENTENZA 23 2018 PENSIONI 16/01/2018
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SENT.N. 23/2018


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL LAZIO
nella persona del giudice monocratico Giovanni GUIDA, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio pensionistico iscritto al n° 74407 del registro di segreteria della Sezione

PROPOSTO DA

F.L. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato Giovanna Passiatore e dall’Abogado Patrizia Pino ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Roma, in Via Filippo Corridoni n. 15;

CONTRO
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS), in persona del presidente pro tempore, elettivamente domiciliato a Roma in via Cesare Beccaria n° 29 presso l’Avvocatura centrale dell’INPS stesso;

CONTRO
MINISTERO DELLA DIFESA – DIREZIONE GENERALE DELLA PREVIDENZA MILITARE, DELLA LEVA E DEL COLLOCAMENTO AL LAVORO DEI VOLONTARI CONGEDATI – I REPARTO – 3^ DIVISIONE, in persona del Ministro pro tempore.

FATTO E DIRITTO

1. Come si legge nel ricorso il «Sig. F.L. prestava servizio alle dipendenze dell’Arma dei carabinieri dal 10.02.1983 sino al 7.05.1999, data in cui era collocato in congedo a domanda. Con decreto nr. 969 del 26.10.2000, registrato alla Corte dei Conti in data 28.02.2001, il Ministero della Difesa provvedeva alla determinazione e liquidazione di indennità una tantum ed alla costituzione della posizione assicurativa del sig. F.L. per il servizio dal medesimo prestato per l’importo complessivo di lire 121.199,976 (centoventunomilionicentonovantanovemilanovecentosettantasei), richiamando i seguenti servizi: servizio militare dal 10.02.1983 al 7.05.1999, valutabile in misura intera (Anni 16, mesi 2 e giorni 26);

supervalutazione dal 13.0.1983 al 7.05.1999, valutabile nella misura di 1/5 (Anni 3, mesi 1 e giorni 23). Il suddetto decreto era notificato a cura del Ministero della Difesa sia al sig. L. sia alla sede INPS ed INPS Gestione Dipendenti Pubblici di Roma “che provvede ad accreditare nella contabilità speciale intestata alla sede provinciale dell’INPS, l’importo dei contributi dovuti per il servizio prestato nell’Arma dei Carabinieri dal 10.02.1983 al 7.05.1999”; che tuttavia, a seguito delle richieste formulate dall’odierno ricorrente, il Ministero della Difesa con provvedimento del 4.06.2015 Pos. 21/1528, affermava che “il beneficio dell’art. 3 della legge nr. 282/77 (aumento di 1/5 del servizio) non trova applicazione in caso di costituzione della posizione assicurativa, in quanto le norme che regolano la materia prevedono che, nei riguardi di coloro che cessano dal servizio (sia esso continuativo o permanente o volontario) senza avere acquisito il diritto a pensione, si costituisca la posizione assicurativa presso la sede INPS per il solo servizio effettivamente prestato. Per quanto sopra, nel confermare la legittimità del D.M. sopra indicato, si precisa che la scrivente non deve concedere nel caso di specie la supervalutazione ai sensi della legge n. 284/77”.

L’assunto non è assolutamente condivisibile.

Si ritiene infatti che il ricorrente F.L. abbia diritto alla costituzione della posizione assicurativa comprensiva anche del periodo di servizio fittizio ex lege n. 284/77. Si ricorda infatti che l'ultimo comma dell'art. 3 della legge 27 maggio 1977, n. 284 (recante “Adeguamento e riordinamento di indennità alle forze di polizia ed al personale civile degli istituti penitenziari”) dispone nel senso che “Ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni , il servizio comunque prestato con percezione dell'indennità per servizio di istituto o di quelle indennità da essa assorbite per effetto della legge 22 dicembre 1969, n. 967, è computato con l'aumento di un quinto”. Ne deriva che l'unica condizione posta dal legislatore affinchè l'ex militare possa beneficiare dell'aumento in esame, è l'avere svolto un servizio in condizioni di impiego operativo, vale a dire un servizio che abbia comportato la percezione della relativa indennità per servizio di istituto (o equiparate). Nessun'altra condizione o requisito è richiesto dalla normativa di riferimento, da cui emerge in maniera alquanto chiara anche la ratio che sottende al sopra richiamato dettato normativo, dovendosi ritenere che il beneficio dell'aumento di 1/5 del periodo utile spetti a tutti coloro che abbiano prestato un determinato servizio, considerato con una presunzione iuris et de iure dal legislatore come particolarmente gravoso o impegnativo e, quindi, meritevole di specifica considerazione, anche ai fini pensionistici e previdenziali. […]”. Conseguentemente si richiede che venga accertato “il diritto del ricorrente … ad ottenere ai fini pensionistici e previdenziali il riconoscimento ed il conseguente computo della maggiorazione di un quinto del servizio prestato presso il Ministero della Difesa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3 della legge nr. 284/1977, con ogni conseguente provvedimento di legge».

2. Resiste il Ministero delle Difesa eccependo che «il diniego dell’Amministrazione ha trovato fondamento nella considerazione che la normativa riguardante la costituzione della posizione assicurativa, come la ricongiunzione dei servizi, i riscatti, il premio di congedamento (cfr. L.322/1958, L.447/1964, L.191/1975 e L.29/1979) fa riferimento al “servizio prestato”, che risulti effettivamente coperto da contribuzione, con esclusione degli aumenti di favore, quali il terzo del volo e della navigazione, il quinto del servizio operativo e del servizio d’istituto, le campagne di guerra. Difatti, tale orientamento, che dall’entrata in vigore della normativa il Ministero della Difesa ha ritenuto di adottare, è stato confortato dalle varie circolari applicative del Ministero dell’Economia e Finanze – Ragioneria Generale dello Stato – che si sono succedute nel tempo. La disciplina contenuta nell’art.124 del D.P.R. 1092/73 stabilisce che il diritto alla costituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S. è relativo soltanto al “periodo di servizio prestato” correlando tale diritto alla mancata maturazione dei requisiti per la pensione. Gli aumenti di servizio, perciò, sebbene rilevanti ai fini della misura della pensione, non si possono trasferire presso l’assicurazione generale obbligatoria e non producono alcun effetto sul periodo da prendere a base per la costituzione della posizione assicurativa (artt. 44 e 54 cit. D.P.R.). D’altronde, il computo degli aumenti di servizio comporterebbe una doppia valutazione della stessa situazione, che sarebbe rilevante per determinare l’ammontare dell’indennità “Una Tantum” e per far sorgere il diritto a pensione nell’assicurazione generale obbligatoria, mentre per i dipendenti che hanno maturato il diritto al trattamento di quiescenza questi benefici servono solo per determinare l’ammontare. Inoltre, non potrebbe ravvisarsi alcuna razionale giustificazione nel creare un’ulteriore disparità di trattamento tra i militari in servizio permanente o continuativo, per i quali l’art.124 D.P.R. 1092/73 stabilirebbe che la posizione assicurativa debba essere costituita sulla base del c.d. “servizio utile”, e i militari volontari dell’Esercito e dell’Aeronautica, che, ai sensi del successivo art. 128, vedono valorizzato ai medesimi fini il solo “effettivo periodo di servizio prestato”. Peraltro, come ricordato in precedenza, al fine di dirimere ogni dubbio in ordine all’applicazione di detta normativa, il Ministero del Tesoro – Ragioneria Generale dello Stato, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel prosieguo del tempo ha emanato distinte circolari contenenti istruzioni in merito (circolare n.76 del 1960 e n. 21 del 1981, riferita alla L. 29/1979) affermando espressamente che debbano essere esclusi dalla costituzione della posizione assicurativa, tra gli altri, tutti gli aumenti di favore previsti dal legislatore sulle pensioni statali. Sotto diverso profilo, si osserva che, accogliendo la tesi proposta dal ricorrente, fondata sull’art.124 – c. 1° - D.P.R.1092/73, resterebbe priva di giustificazione, e risulterebbe concretamente inapplicabile, la disposizione di cui al successivo comma 2° dello stesso articolo, la quale prevede che l’importo complessivo delle quote da versare all’I.N.P.S. venga portato in detrazione dall’indennità “Una Tantum” spettante agli interessati e, solo laddove la contribuzione risulti maggiore, l’onere differenziale faccia carico alla Stato. Infatti deve considerarsi che l’indennità Una Tantum è pari ad un ottavo della base pensionabile per ogni anno di servizio utile (volendo percentualizzare, il 12,5% cfr. art.54, u.c., del medesimo D.P.R.1092/73), mentre la posizione assicurativa presso l’I.N.P.S. viene costituita tenendo conto di un’aliquota che comprende la quota di contributi sia a carico del datore di lavoro che del dipendente, per una percentuale totale di circa il 30% da computare sulle paghe o stipendi percepiti durante tutto l’arco temporale dell’attività lavorativa. Pertanto, per i militari in servizio permanente, laddove anche la posizione assicurativa dovesse essere costituita sulla base del servizio utile, non potrebbe mai realizzarsi l’eventualità delineata dall’art.124 – c.1° - D.P.R.1092/73, ovvero che l’importo dei contributi da versare all’I.N.P.S. risulti inferiore all’indennità “Una Tantum”.

Viceversa, solo presupponendo che la posizione assicurativa vada calcolata sulla base del servizio effettivamente prestato (come d’altronde è previsto dall’art.124 – c.1°), può accadere che l’importo dei contributi da versare all’I.N.P.S. sia inferiore all’indennità “Una Tantum”, pur essendo tale indennità calcolata sulla base di un’aliquota nettamente inferiore (12,5%). Preme rilevare che tali argomentazioni sono state accolte da pronunce delle Sezioni Giurisdizionali Regionali e Centrali della Corte dei Conti (cfr. Sezione Giurisdizionale Lombardia n.623/2009; I Sezione Centrale n.235/2009; II Sezione Centrale n.235/2008; II Sezione Centrale n.165 /2011 ). In conclusione, sulla questione è recentemente intervenuta la Corte dei Conti, Sezioni Riunite in Sede Giurisdizionale che con sentenza n.8 /2011/QM in data 11.05.2011 e n.11/2011/QM in data 15.06.2011, ha chiarito che “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art.124, comma 1, del D.P.R. n.1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>” e che “All’ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo senza aver maturato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico normale, non spetta, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S. prevista dall’art.124 del D.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’aumento del quinto del periodo di servizio prestato con percezione dell’indennità di istituto, previsto dall’art.3 della legge n. 284 del 27.05.1977”».

3. Si è costituito anche l’Inps, sostenendo argomentazioni analoghe a quelle rappresentate dall’Amministrazione, oltre a specificare che «la posizione sostanziale e processuale dell’Inps afferisce alla costituzione, ai sensi dell’art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, in favore del ricorrente, della posizione assicurativa nell’A.G.O.» e che «la riquantificazione del trattamento pensionistico in essere è funzione della contribuzione per cui è causa e pertanto la stessa non potrà che avvenire dopo il versamento della contribuzione e delle sanzioni civili dovute dal datore di lavoro ai sensi della legge n. 338/00». Sulla base di queste argomentazioni, si è chiesto, in via principale il rigetto del ricorso ed, in subordine, «nell’ipotesi di accoglimento della domanda del

ricorrente, ritenere dichiarare e statuire il diritto dell’Inps al pagamento della contribuzione previdenziale omessa in capo al datore di lavoro e delle sanzioni civili dovute ai sensi dell’art. 116 della l. n. 388/00 e conseguentemente condannare il datore di lavoro al pagamento della contribuzione dovuta per servizio di istituto nel periodo di causa, nonché al pagamento delle sanzioni civili connesse al mancato pagamento della contribuzione previdenziale a tempo debito ai sensi dell’art. 116 della l. n 388/00».

4. All’odierna udienza, sono presenti, per il ricorrente, l’avv. Giovanna Passiatore, e per l’Inps, l’avv. Manuela Massa, che si riportano ai propri scritti difensivi. Non è presente alcun rappresentante del Ministero della Difesa. La causa, conseguentemente, è stata posta in decisione.

5. Il ricorso non può trovare accoglimento. Questa Corte, anche di recente (sentenza Sez. I App. n. 221/2017, nello stesso senso Sez. II App. n. 415/2016), ha avuto modo chiaramente di evidenziare che «l’argomento è stato più volte affrontato da queste sezioni di appello (cfr., ex multis, Sezione I app., 5.4.2009, n. 235; Sezione II app., 31.1.2011, n. 58 e 8.3.2011, n. 136), che con orientamento in misura largamente maggioritaria hanno ritenuto che, ai fini della costituzione della posizione assicurativa, il “servizio prestato” non può non essere che il servizio realmente prestato, quindi il “servizio effettivo”.

Il “servizio utile” - che per definizione è, almeno in parte, servizio non “prestato” - può essere pertanto utilizzato ai fini della liquidazione dell’indennità una tantum che in applicazione degli artt. 42 e 52 del d.P.R. n. 1092 del 1973 viene attribuita al “personale cui non spetti la pensione”: non anche, appunto, ai fini della costituzione della posizione assicurativa. Tale posizione è stata autorevolmente confermata dalle Sezioni riunite, che si sono espresse sull’argomento in due occasioni: con la sentenza 27.5.2011, n. 8/QM, la quale ha fissato il principio di diritto secondo cui “Ai fini della costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 29.12.1973, l’espressione <periodo di servizio prestato>, ivi contenuta, deve intendersi come <servizio effettivo> e non come <servizio utile>” e, di recente, con la sentenza n. 11/2012/QM, che ha ribadito siffatto principio proprio con riferimento alla questione della computabilità, ai fini della costituzione della posizione assicurativa, delle maggiorazioni per il servizio utile previste dall’art. 3 della legge n. 284/1987, oggetto anche del presente giudizio. Con tale ultima pronuncia le Sezioni riunite hanno precisato che l’aumento del servizio disposto dall’art. 3 della legge n. 284 del 1977 non ha natura diversa dai vari aumenti previsti per particolari servizi dal DPR n. 1092 del 1973. Hanno quindi osservato che l’articolo unico della legge n. 322 del 1958, abrogato solo a partire dal 31.7.2010, che aveva previsto la costituzione della posizione assicurativa, aveva fatto espresso riferimento al “periodo di iscrizione” presso “forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti”, senza prevedere alcuna maggiorazione per particolari servizi. Pertanto, se l’art. 124 del DPR n. 1092 del 1973 avesse voluto abbandonare questo criterio e riferirsi invece al “servizio utile”, comprensivo delle maggiorazioni previste per particolari servizi, l’avrebbe affermato espressamente, mentre ha continuato a fare riferimento al “periodo di servizio prestato”. Privo di pregio è pure il motivo di appello con il quale si denuncia la disparità di trattamento che l’interpretazione appena delineata comporta per i dipendenti che cessano dal servizio avendo conseguito il diritto a pensione – per i quali il servizio utile comprensivo delle maggiorazioni viene computato nel calcolo della misura del trattamento pensionistico -e per coloro che non hanno conseguito il diritto a pensione, a favore dei quali la costituzione della posizione assicurativa prevede solo il servizio effettivo. Secondo le Sezioni riunite la cennata disparità di trattamento concreta, infatti, uno dei vari cambiamenti di regime cui era soggetto il militare nel passaggio dal sistema pensionistico pubblico a quello privato. I principi suddetti sono pienamente applicabili alla fattispecie in esame, contrariamente a quanto opinato dall’appellante, con insussistenza degli stessi presupposti per una nuova remissione alle SS.RR., data anche la chiarezza del principio da esse affermato. Peraltro, nella disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 284 del 1977 viene espressamente precisato che l’aumento del “servizio comunque prestato” rileva unicamente “ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni ”, mentre la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS consiste in una mera ricongiunzione di servizi, come affermava espressamente il titolo della legge n. 322 del 1958. In definitiva, nel sistema delineato dal DPR n. 1092 del 1973 il “servizio utile”, comprensivo, cioè, delle maggiorazioni per particolari servizi, non è un servizio rilevante a tutti gli effetti pensionistici al pari di quello “effettivo”, come avverrebbe se si trattasse di un intangibile patrimonio previdenziale del dipendente; pertanto, in assenza di una espressa previsione normativa, le disposizioni dettate per determinare la misura della pensione non possono essere applicate automaticamente al diverso ambito della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS. Non vi è quindi alcuna disparità di trattamento, né lesione del principio di adeguatezza del trattamento pensionistico ex art. 38 Cost., che possa far ritenere a questo Giudice rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dianzi prospettata. In definitiva, l'appello in esame deve essere respinto e va per conseguenza confermata la sentenza impugnata».

5.1. Le conclusioni interpretative ora riportate appaiono pienamente condivisibili e da ribadire anche in questa sede, non avendo peraltro la difesa di parte ricorrente proposto alcun nuovo argomento, in grado di scalfire l’opzione ermeneutica ora richiamata, che, come visto, può considerarsi ormai diritto vivente di questa Corte. Ne deriva, come anticipato, il rigetto del ricorso.

6. In assenza di significativa attività difensiva espletata in favore delle Amministrazioni appellate, si dispone la compensazione delle spese legali.

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette

Rigetta

il ricorso di cui in epigrafe.
Spese compensate.

Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 30 novembre 2017.
IL GIUDICE
(F.to: Giovanni Guida)


Depositata in Segreteria il 16.01.2018


p. Il Dirigente
F.to: Dott. Alessandro VINICOLA
Highlander
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da Highlander »

Con l'articolo 54 cosa c'entra?
naturopata
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da naturopata »

La Sardegna a valanga per il si con ulteriori due sentenze positive:

REPUBBLICA ITALIANA Sent. N. 43/2018
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere Maria Elisabetta LOCCI, quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24.050 del registro di Segreteria, proposto dal sig. E. C., nato a Omissis il Omissis (C.F. Omissis), rappresentato e difeso dall’Avvocato Alessandro MARIANI (C.F. MRNLSN61L07B354U; PEC: alessandromariani@legalmail.it), presso il cui studio, sito in Cagliari, via Sebastiano Satta n. 12, ha eletto domicilio, contro l’INPS, Gestione Dipendenti Pubblici (CF: 80078750587).
Uditi, nella pubblica udienza del 21 febbraio 2018, il difensore del ricorrente, Avvocato Alessandro MARIANI, e l’Avvocato Roberto AIME per l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Ritenuto in
FATTO
Con atto depositato in data 29 settembre 2017, il signor C., ex sottufficiale dell'Esercito Italiano, dal 14 settembre 2015 titolare di trattamento pensionistico (iscrizione n. 17141098) ha proposto ricorso contro l’INPS di Cagliari, chiedendo l’accertamento del proprio diritto - ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/73 - al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico erogato, con attribuzione della percentuale del 44 per cento ai fini del calcolo della base pensionabile, il tutto con decorrenza dalla data di collocamento in congedo, con condanna di parte convenuta alla corresponsione di tutto quanto per l’effetto dovuto, oltre arretrati maturati (con interessi e rivalutazioni di legge su ciascun rateo), ed adeguamento del trattamento corrente, previo annullamento e/o disapplicazione di qualsivoglia provvedimento sotteso, inerente, connesso, o comunque preparatorio o conseguenziale che sia di ostacolo al riconoscimento del diritto medesimo. Con vittoria di spese, diritti e onorari di causa.
In fatto, il ricorrente ha esposto di essere cessato dal servizio a domanda, con decorrenza giuridica ed amministrativa dal 14 settembre 2015, e di essere titolare di trattamento pensionistico, calcolato secondo il sistema c.d. “misto”, in quanto alla data del 31 dicembre 1995 non poteva far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni (nello specifico, aveva un’anzianità pari a 16 anni e 9 mesi).
Avendo maturato alla data del 31 dicembre 1995 un’anzianità - in attività di servizio - di più di 15 anni e meno di 20 anni di servizio utile, ha sostenuto di essere destinatario del trattamento previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, per il quale “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”.
Invece, il trattamento pensionistico in godimento gli è stato calcolato con l’attribuzione della minore e più sfavorevole aliquota di cui all’art. 44 del medesimo d.P.R. per il quale “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile ... aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”.
Con nota del 2 maggio 2017, indirizzata all’INPS, il ricorrente ha lamentato quanto sopra rilevato e, in tal senso, ha invitato l’Istituto a voler provvedere al riconoscimento integrale di tutto quanto lui spettante ai sensi del citato art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, con decorrenza dalla relativa data di collocamento in pensione, ed a procedere pertanto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del relativo trattamento pensionistico.
In risposta, con nota in data 28.06.2017, l’Istituto ha respinto la richiesta avanzata adducendo che “il riconoscimento dell’aliquota del 44% da applicare per il calcolo della pensione” fosse “attribuito esclusivamente al personale militare che, all’atto di cessazione, può vantare un servizio utile complessivo tra i 15 ed i 20 anni (da intendersi come non meno di 15 e non più di 20 anni) e con il sistema di calcolo esclusivamente retributivo”, confermando in tal modo la correttezza del calcolo del trattamento pensionistico in pagamento.
A sostegno della tesi di parte, la difesa del ricorrente, dopo aver richiamato le norme che attengono alla liquidazione della pensione con il sistema cd. misto, nell’ambito delle quali troverebbe applicazione l’invocato art. 54 (per la parte liquidata con il sistema retributivo), ha citato il contenuto di alcune circolari (emesse dalla Direzione di Amministrazione del Comando Generale Arma Carabinieri, dal Ministero del Tesoro e dallo stesso INPDAP), tutte concordi nel confermare che il calcolo della quota retributiva della pensione del personale militare debba essere effettuato con l’applicazione dell’aliquota prevista dalla norma suddetta.
Dallo stesso tenore letterale della norma, si evincerebbe, conclusivamente, che essa non circoscriva la sua operatività ai soli soggetti con l’anzianità ivi indicata, escludendo quelli con maggiore anzianità, come si ricaverebbe peraltro dall’inciso finale per il quale la base pensionabile è “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”, che avrebbe senso proprio in quanto riferibile anche a soggetti con anzianità maggiore di 20 anni.
L’INPS si è costituito in giudizio a ministero degli avvocati Alessandro DOA, Mariantonietta PIRAS e Laura FURCAS, con memoria difensiva depositata in Segreteria tramite PEC l’8 febbraio 2018, con la quale sono state formulate conclusioni di rigetto del ricorso. Con vittoria di spese e competenze come per legge.
Nell’atto defensionale è stato sostenuto che la norma invocata dal ricorrente non sarebbe applicabile, giacché limitata alle sole ipotesi di trattamento pensionistico liquidato interamente con il sistema retributivo. Nel caso di specie, invece, il ricorrente vantava all’atto della cessazione, 38 anni e 10 mesi di servizio, anzianità superiore a quella prevista dall’art. 54 del DPR n. 1092/1973, dettata per sopperire ai casi in cui l’applicazione del calcolo retributivo avrebbe dato luogo ad un trattamento di importo troppo basso.
Nell’udienza del 21 febbraio 2018, fissata per la discussione della causa, l’Avvocato MARIANI ha ribadito come la stessa dizione letterale della norma individuerebbe tra i destinatari anche i soggetti con un’anzianità maggiore rispetto ai venti anni (in caso contrario non avrebbe senso l’indicazione della percentuale dell’1,80% per gli anni successivi al ventesimo). Ma, oltre le ragioni di natura giuridica, soccorrerebbe, ad avvallare l’impianto difensivo, anche una funzione perequativa della norma che, interpretata nei sensi indicati in ricorso, ridurrebbe il divario venutosi a creare, per effetto delle riforme pensionistiche, tra coloro che possono vantare l’anzianità utile per poter usufruire del calcolo della pensione secondo il sistema retributivo e i destinatari del sistema “misto”, anche se provvisti di anzianità di servizio di poco differente.
L’Avvocato AIME, nell’interesse dell’INPS, nel precisare che un’interpretazione “perequativa” non potrebbe trovare ingresso, ha richiamato integralmente le conclusioni di cui alla memoria in atti.
Considerato in
DIRITTO
Come traspare dalla narrativa del fatto, il ricorrente ha chiesto la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico, con l’applicazione dell’aliquota di rendimento prevista dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
La norma invocata dal ricorrente ha disposto, testualmente, che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Peraltro, non può essere dimenticato che l’ordinamento italiano è stato interessato, nei primi anni novanta, da un’integrale riforma del sistema pensionistico, che ha preso avvio con il D.lgs. n. 503 del 30.12.1992, il quale ha recepito i principi e criteri direttivi della legge delega, n° 421 del 23 ottobre 1992, ed è proseguita, per l’aspetto che qui interessa, con la legge 8 agosto 1995 n° 335, la quale ha introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni, dal sistema retributivo (imperniato sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi), al sistema contributivo (basato sull’ammontare dei contributi versati nell’intera vita lavorativa).
La stessa legge n° 335 (art. 1 comma 13), ha fatto salva, in regime transitorio, a favore dei dipendenti che avevano maturato, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di oltre diciotto anni, la liquidazione della pensione “secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo” (calcolata, dunque, tenuto conto della retribuzione pensionabile, dell’anzianità contributiva e dell’aliquota di rendimento).
Per i dipendenti che, alla medesima data, avevano un’anzianità inferiore, il trattamento pensionistico è attribuito con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), in cui le anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 vengono calcolate secondo il sistema retributivo (quota A), mentre le anzianità successivamente maturate sono computate secondo il sistema contributivo (cfr. art. 1 comma 12, legge n. 335/1995).
Ne consegue che le modalità di calcolo della pensione e le relative aliquote, previste dall’art. 54 DPR 1092/1973, potranno trovare applicazione, in maniera integrale, laddove la pensione sia liquidata interamente secondo il sistema retributivo, o in maniera parziale, qualora la pensione medesima sia attribuita con il sistema misto (quindi sulla parte del trattamento che “rimane” in retributivo).
Al riguardo, non appare condivisibile l’interpretazione offerta dall’Istituto previdenziale, secondo cui la norma potrebbe trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui la pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo.
Detta affermazione, infatti, non trova riscontro nel dato testuale della disposizione, la quale, per come formulata, attribuisce l’aliquota del 44% a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni, mentre il successivo comma chiarisce che la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio, atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo. Come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione (cfr., negli stessi sensi, Sezione Sardegna, sentenza n. 2/2018).
Né è dato rinvenire alcuna norma che abbia limitato, nei sensi voluti dall’INPS, l’applicazione dell’aliquota pensionistica di cui all’art. 54 al solo sistema retributivo, desumendosi per contro, chiaramente, dalle leggi più sopra succintamente riportate, che hanno ridisegnato il sistema pensionistico, il mantenimento, per le quote di pensione maturate anteriormente al 31 dicembre 1995, dei precedenti criteri di calcolo (limitati alla quota A).
Va, infine, rammentato che lo stesso INPDAP, nella circolare n. 22/2009 (allegato n. 7 al ricorso), aveva chiarito che le norme citate andavano applicate nel senso ora detto.
Il ricorso, siccome fondato, va pertanto accolto.
Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.
In ordine alle spese, in ragione della novità della questione e dell’esistenza di un precedente giurisprudenziale di segno contrario, si ritiene sussistano i motivi per disporne la compensazione, ex art. 31 comma 3, D.lgs. n. 174/2016.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso proposto dal sig. E. C. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
Sui maggiori ratei di pensione conseguentemente dovuti spettano al ricorrente gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria (quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi), con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.
Spese compensate.
Fissa in venti giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell'udienza del 21 febbraio 2018.
Il Giudice unico
f.to Maria Elisabetta LOCCI

Depositata in Segreteria il 27/02/2018
Il Dirigente
f.to Giuseppe Mullano








REPUBBLICA ITALIANA Sent. N. 42/2018
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere Maria Elisabetta LOCCI, quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24.054 del registro di Segreteria, proposto dal sig. A. S., nato a il Omissis il Omissis (C.F. Omissis), rappresentato e difeso dall’Avvocato Alessandro MARIANI (C.F. MRNLSN61L07B354U; PEC: alessandromariani@legalmail.it), presso il cui studio, sito in Cagliari, via Sebastiano Satta n. 12, ha eletto domicilio, contro l’INPS, Gestione Dipendenti Pubblici (CF: 80078750587).
Uditi, nella pubblica udienza del 21 febbraio 2018, il difensore del ricorrente, Avvocato Alessandro MARIANI, e l’Avvocato Roberto AIME per l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Ritenuto in
FATTO
Con atto depositato in data 29 settembre 2017, il signor A. S., ex sottufficiale dell'Aeronautica Militare, dal 19 febbraio 2015 titolare di trattamento pensionistico (iscrizione n. 17453180), ha proposto ricorso contro l’INPS di Cagliari, chiedendo l’accertamento del proprio diritto - ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 54 del D.P.R. n. 1092/73 - al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico erogato con attribuzione della percentuale del 44 per cento ai fini del calcolo della base pensionabile, il tutto con decorrenza dalla data di collocamento in congedo, con condanna di parte convenuta alla corresponsione di tutto quanto per l’effetto dovuto, oltre arretrati maturati (con interessi e rivalutazioni di legge su ciascun rateo), ed adeguamento del trattamento corrente, previo annullamento e/o disapplicazione di qualsivoglia provvedimento sotteso, inerente, connesso, o comunque preparatorio o conseguenziale, che sia di ostacolo al riconoscimento del diritto medesimo. Con vittoria di spese, diritti e onorari di causa.
In fatto, il ricorrente ha esposto di essere cessato dal servizio a domanda con decorrenza giuridica ed amministrativa dal 19 febbraio 2015, e di essere titolare di trattamento pensionistico, calcolato secondo il sistema c.d. “misto”, in quanto alla data del 31 dicembre 1995 non poteva far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni (nello specifico, aveva un’anzianità pari a 17 anni, 11 mesi e 18 giorni).
Avendo maturato alla data del 31 dicembre 1995 un’anzianità - in attività di servizio - di più di 15 anni e meno di 20 anni di servizio utile, ha sostenuto di essere destinatario del trattamento previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, per il quale “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”.
Invece, il trattamento pensionistico in godimento gli è stato calcolato con l’attribuzione della minore e più sfavorevole aliquota di cui all’art. 44 del medesimo d.P.R. per il quale “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile ... aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”.
Con nota del 2 maggio 2017, indirizzata all’INPS, il ricorrente ha lamentato quanto sopra rilevato e, in tal senso, ha invitato l’Istituto a voler provvedere al riconoscimento integrale di tutto quanto lui spettante ai sensi del citato art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, con decorrenza dalla relativa data di collocamento in pensione, ed a procedere pertanto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del relativo trattamento pensionistico.
In risposta, con nota in data 1°.06.2017, l’Istituto ha respinto la richiesta avanzata adducendo che “il riconoscimento dell’aliquota del 44% da applicare per il calcolo della pensione” fosse “attribuito esclusivamente al personale militare che, all’atto di cessazione, può vantare un servizio utile complessivo tra i 15 ed i 20 anni (da intendersi come non meno di 15 e non più di 20 anni) e con il sistema di calcolo esclusivamente retributivo”, confermando in tal modo la correttezza del calcolo del trattamento pensionistico in pagamento.
A sostegno della tesi di parte, la difesa del ricorrente, dopo aver richiamato le norme che attengono alla liquidazione della pensione con il sistema cd. misto, nell’ambito delle quali troverebbe applicazione l’invocato art. 54 (per la parte liquidata con il sistema retributivo), ha citato il contenuto di alcune circolari (emesse dalla Direzione di Amministrazione del Comando Generale Arma Carabinieri, dal Ministero del Tesoro e dallo stesso INPDAP), tutte concordi nel confermare che il calcolo della quota retributiva della pensione del personale militare debba essere effettuato con l’applicazione dell’aliquota prevista dalla norma suddetta.
Dallo stesso tenore letterale della norma, si evincerebbe, conclusivamente, che essa non circoscriva la sua operatività ai soli soggetti con l’anzianità ivi indicata, escludendo quelli con maggiore anzianità, come si ricaverebbe peraltro dall’inciso finale per il quale la base pensionabile è “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”, che avrebbe senso proprio in quanto riferibile anche a soggetti con anzianità maggiore di 20 anni.
L’INPS si è costituito in giudizio a ministero degli avvocati Maurizio FALQUI CAO, Stefania SOTGIA, Mariantonietta PIRAS e Alessandro DOA, con memoria difensiva depositata in Segreteria tramite PEC il 7 febbraio 2018, con la quale sono state formulate conclusioni di rigetto del ricorso. Spese di lite rifuse.
Nell’atto defensionale è stato sostenuto che la norma invocata dal ricorrente non sarebbe applicabile, giacché limitata alle sole ipotesi di trattamento pensionistico liquidato con il sistema retributivo. Una contraria interpretazione e applicazione della stessa avverrebbe a discrezione dell’interprete, in violazione del principio di legalità e dei vincoli di bilancio.
Nell’udienza del 21 febbraio 2018, fissata per la discussione della causa, l’Avvocato MARIANI ha ribadito come la stessa dizione letterale della norma individuerebbe tra i destinatari anche i soggetti con un’anzianità maggiore rispetto ai venti anni (in caso contrario non avrebbe senso l’indicazione della percentuale dell’1,80% per gli anni successivi al ventesimo). Ma, oltre le ragioni di natura giuridica, soccorrerebbe, ad avvallare l’impianto difensivo, anche una funzione perequativa della norma che, interpretata nei sensi indicati in ricorso, ridurrebbe il divario venutosi a creare, per effetto delle riforme pensionistiche, tra coloro che possono vantare l’anzianità utile per poter usufruire del calcolo della pensione secondo il sistema retributivo e i destinatari del sistema “misto”, anche se provvisti di anzianità di servizio di poco differente.
L’Avvocato AIME, nell’interesse dell’INPS, nel precisare che un’interpretazione “perequativa” non potrebbe trovare ingresso, ha richiamato integralmente le conclusioni di cui alla memoria in atti.
Considerato in
DIRITTO
Come traspare dalla narrativa del fatto, il ricorrente ha chiesto la riliquidazione del proprio trattamento pensionistico, con l’applicazione dell’aliquota di rendimento prevista dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
La norma invocata dal ricorrente ha disposto, testualmente, che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Peraltro, non può essere dimenticato che l’ordinamento italiano è stato interessato, nei primi anni novanta, da un’integrale riforma del sistema pensionistico, che ha preso avvio con il D.lgs. n. 503 del 30.12.1992, il quale ha recepito i principi e criteri direttivi della legge delega, n° 421 del 23 ottobre 1992, ed è proseguita, per l’aspetto che qui interessa, con la legge 8 agosto 1995 n° 335, la quale ha introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni, dal sistema retributivo (imperniato sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi), al sistema contributivo (basato sull’ammontare dei contributi versati nell’intera vita lavorativa).
La stessa legge n° 335 (art. 1 comma 13), ha fatto salva, in regime transitorio, a favore dei dipendenti che avevano maturato, alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità contributiva di oltre diciotto anni, la liquidazione della pensione “secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo” (calcolata, dunque, tenuto conto della retribuzione pensionabile, dell’anzianità contributiva e dell’aliquota di rendimento).
Per i dipendenti che, alla medesima data, avevano un’anzianità inferiore, il trattamento pensionistico è attribuito con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), in cui le anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 vengono calcolate secondo il sistema retributivo (quota A), mentre le anzianità successivamente maturate sono computate secondo il sistema contributivo (cfr. art. 1 comma 12, legge n. 335/1995).
Ne consegue che le modalità di calcolo della pensione e le relative aliquote, previste dall’art. 54 DPR 1092/1973, potranno trovare applicazione, in maniera integrale, laddove la pensione sia liquidata interamente secondo il sistema retributivo, o in maniera parziale, qualora la pensione medesima sia attribuita con il sistema misto (quindi sulla parte del trattamento che “rimane” in retributivo).
Al riguardo, non appare condivisibile l’interpretazione offerta dall’Istituto previdenziale, secondo cui la norma potrebbe trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui la pensione sia calcolata unicamente con il sistema retributivo.
Detta affermazione, infatti, non trova riscontro nel dato testuale della disposizione, la quale, per come formulata, attribuisce l’aliquota del 44% a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni, mentre il successivo comma chiarisce che la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio, atteso che esso prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo. Come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente, la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione (cfr., negli stessi sensi, Sezione Sardegna, sentenza n. 2/2018).
Né è dato rinvenire alcuna norma che abbia limitato, nei sensi voluti dall’INPS, l’applicazione dell’aliquota pensionistica di cui all’art. 54 al solo sistema retributivo, desumendosi per contro, chiaramente, dalle leggi più sopra succintamente riportate, che hanno ridisegnato il sistema pensionistico, il mantenimento, per le quote di pensione maturate anteriormente al 31 dicembre 1995, dei precedenti criteri di calcolo (limitati alla quota A).
Va, infine, rammentato che lo stesso INPDAP, nella circolare n. 22/2009 (allegato n. 7 al ricorso), aveva chiarito che le norme citate andavano applicate nel senso ora detto.
Il ricorso, siccome fondato, va pertanto accolto.
Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono al ricorrente gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, la seconda per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo di pensione e sino al pagamento degli arretrati stessi.
In ordine alle spese, in ragione della novità della questione e dell’esistenza di un precedente giurisprudenziale di segno contrario, si ritiene sussistano i motivi per disporne la compensazione, ex art. 31 comma 3, D.lgs. n. 174/2016.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso proposto dal sig. A. S. e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973.
Sui maggiori ratei di pensione conseguentemente dovuti spettano al ricorrente gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria (quest’ultima limitatamente all’importo eventualmente eccedente quello dovuto per interessi), con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.
Spese compensate.
Fissa in venti giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell'udienza del 21 febbraio 2018.
Il Giudice unico
f.to Maria Elisabetta LOCCI

Depositata in Segreteria il 27/02/2018
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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La Corte dei Conti Veneto ha rigettato un nuovo ricorso in relazione all'art. all’art. 3, comma 7, D.Lgs. n. 165/1997 e all'art. 54.

Come al solito si fa un passo avanti e uno indietro.
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

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Come già detto sopra è tutto negativo

VENETO SENTENZA 46 30/03/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 46 2018 PENSIONI 30/03/2018
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N°46/2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

Nella pubblica udienza del 24 gennaio 2018 ha pronunciato la seguente
SENTENZA

Nel giudizio iscritto al n. 30420 del registro di segreteria, proposto con ricorso da C. P., nato il OMISSIS a OMISSIS e residente a OMISSIS, c.f. OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Vitelli, con studio in Teramo, Via Fonte Regina n. 23, presso il quale ha eletto domicilio

Contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, rappresentato e difeso dall’Avv. Filippo Doni, con domicilio eletto presso l’Avvocatura dell’INPS di Venezia, Dorsoduro 3500/d;

Per l’attribuzione dell’incremento figurativo di cui all’art. 3, comma 7, D.Lgs. n. 165/1997 e per il riconoscimento dell’aliquota di rendimento del 44% in ordine pro rata alla quota fino alla data del 31.12.1995, con la ripartizione nella misura del 34,20% per la quota A) e del 9,80% per la quota B), con conseguente rideterminazione del trattamento pensionistico privilegiato e pagamento degli arretrati in tal modo maturati;

ESAMINATI il ricorso ed i documenti con esso depositati in causa nonché gli atti e i documenti di costituzione dell’I.N.P.S., nonché gli ulteriori acquisiti in corso di causa;

Sentiti all’odierna udienza i difensori delle parti come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 13 luglio 2017 ed iscritto al n. 30420 del registro di segreteria, il ricorrente, premesso di essere stato M.llo Capo della Guardia di Finanza e di essere in congedo assoluto per infermità dal 23 settembre 2011 con attribuzione di trattamento pensionistico privilegiato di VII cat. Tab. A in regime misto, lamenta l’illegittimità della determinazione n. OMISSIS emessa dalla sede INPS di Rovigo in data 30 giungo 2015, con la quale veniva liquidato il trattamento definitivo di pensione privilegiata.

In particolare il ricorrente lamenta che il trattamento pensionistico riconosciutogli era stato calcolato senza l’incremento figurativo previsto dall’art. 3, comma 7, del D.Lgs. 165/1997 –che, con riferimento al calcolo della pensione con sistema c.d. “misto”, prevede ai militari in congedo che sono esclusi dall’ausiliaria l’incremento del montante contributivo relativo alla c.d. quota C) pari a 5 volte quello dell’ultimo anno di servizio - nonostante l’espresso richiamo alla citata norma da parte dell’art. 1865 del D.Lgs. n. 66 del 2010, applicabile anche al personale della Guardia di Finanza.

La disposizione, sostiene il ricorrente, trova applicazione in ogni caso in cui il personale sia escluso dall’accesso all’ausiliaria, anche allorchè, come nel proprio caso, tale esclusione non dipenda dal raggiungimento dei limiti d’età ma da causa esterna, essendo egli stato costretto ad abbandonare il servizio per motivi di salute, da ciò derivando la forzata rinuncia ai vantaggi della posizione dell’ausiliaria.

A sostegno della propria tesi il ricorrente ha richiamato talune pronunce di Sezioni regionali della Corte dei Conti (in particolare, Sez. Abruzzo n. 28/2012 e 27/2017).

In secondo luogo il ricorrente lamenta l’applicazione dell’aliquota di rendimento del 36,95% ai sensi dell’art. 44 del D.P.R. 1092/1973 –relativa agli impiegati civili dello Stato- anziché di quella del 44%, applicabile ex art. 54 del medesimo D.P.R. al personale militare.

Secondo il ricorrente la norma da ultimo citata, che prevede l’applicazione dell’aliquota di rendimento del 44% al trattamento pensionistico del personale militare che ha maturato (al 31.12.1995) un’anzianità contributiva maggiore di 15 anni ma non superiore a 20, si attaglia al proprio caso avendo egli maturato, alla data del 31.12.1995, 16 anni e 1 mese di servizio utile.

Ai fini del computo delle quote A) e B) del trattamento pensionistico, quindi, l’aliquota di rendimento applicabile avrebbe dovuto essere quella del 44%, suddivisa (secondo un criterio di proporzionalità alla durata del servizio) nel 34,20% per il servizio reso fino al 31.12.1992 e nel 9,80% per il servizio reso dal 1.1.1993 al 31.12.1995.

Con atto di memoria depositata il 17 novembre 2017 si è costituita in giudizio l’INPS, eccependo in primo luogo l’intervenuta decadenza ex art. 204, lett. b) e 205 del D.P.R. n.1092 del 1973.

I motivi di ricorso attengono, infatti, al calcolo del trattamento pensionistico “normale”, liquidato in via definitiva e comunicato al ricorrente in data 1.2.2012: la richiesta di rettifica dell’errore di calcolo è intervenuta oltre il triennio previsto dal combinato disposto delle surrichiamate disposizioni, incorrendo quindi il ricorrente nella prevista decadenza.

In via tuzioristica la resistente ha comunque osservato, con riferimento alla prima domanda di parte ricorrente, che, ferma restando la carenza di legittimazione passiva dell’INPS, l’incremento figurativo invocato non trova applicazione, avendo il ricorrente già beneficiato del trattamento di privilegio.

Con riferimento alla seconda domanda, la resistente ha contestato l’interpretazione dell’art. 54 D.P.R. 1092/1973 prospettata dal ricorrente, rappresentando che la norma trova applicazione esclusivamente al personale che, all’atto della cessazione dal servizio (e non al 31.12.1995), avesse maturato un servizio utile non inferiore a 15 e non superiore a 20 anni, circostanza che nel caso in esame non si dà, avendo il ricorrente maturato, all’atto della cessazione dal servizio, un servizio utile di 34 anni e 8 mesi.

All’udienza del 30 novembre 2017 a seguito della discussione, il G.U.P. ordinava all’INPS la produzione in giudizio dei fascicoli integrali relativi ai trattamenti pensionistici entro il 4 gennaio 2018 e ha rinviato all’odierna udienza la discussione, assegnando alle parti termine fino a 5 giorni prima per memorie.

In data 17 gennaio 2018 parte ricorrente depositava memoria con la quale contestava l’eccepita decadenza triennale, e ribadiva i motivi di ricorso già formulati, riportando giurisprudenza di Sezioni territoriali di questa Corte nelle more intervenuta (in particolare, Sez. Sardegna n. 162 e 156/2017, Sez. Calabria n. 350/2017 e Sez. Sardegna n. 2/2018).

All’odierna udienza le parti, dopo articolata discussione, hanno concluso come in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.

1. Quanto all’applicazione del coefficiente di valutazione, per le quote A e B della pensione, di cui al primo comma dell’art. 54 del D.P.R. 1092/73.

Il ricorrente ritiene di aver diritto all’applicazione di tale disposizione avendo maturato al 31 dicembre 1995 (data alla quale cessa la liquidazione della pensione con il sistema retributivo) anni 16 e mesi 1 di servizio utile, e quindi un servizio superiore a 15 anni ma inferiore a 20 come richiesto dalla norma per l’applicazione dell’aliquota del 44%, ma che nel calcolo della propria pensione sarebbe stato applicato un coefficiente inferiore, pari al 36,95% per cento, previsto dall’art. 44 del D.P.R. 1092/1973 per gli impiegati civili dello Stato che avessero maturato un pari servizio.

Secondo il ricorrente il fatto che, ai sensi del sopravvenuto D.lgs. n. 503/1992 (art. 13), il servizio prestato fino al 31.12.1995 debba essere suddiviso in due periodi (appunto, uno fino al 31.12.1992 e uno successivo all’entrata in vigore della norma, dal 1.1.93 e fino al 31.12.1995, quest’ultimo in virtù delle successive novelle) non potrebbe valere ad escludere l’applicazione della norma, poiché tale suddivisione, se incide unicamente sulla determinazione delle basi pensionabili, non comporta modificazioni sull’aliquota di rendimento applicabile, che resterebbe –appunto- quella prevista dal citato art. 54, la cui perdurante vigenza sarebbe dimostrata anche dall’espresso richiamo contenuto nel nuovo Codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n. 66/2010, art. 1867).

A tale ricostruzione ermeneutica l’INPS ha contrapposto una diversa e più restrittiva interpretazione dell’art. 54 citato, la cui applicabilità troverebbe luogo esclusivamente nei casi in cui all’atto della cessazione dal servizio il personale militare destinatario della norma si trovasse nella situazione da quest’ultima descritta, e, cioè, aver maturato un’anzianità superiore a 15 anni e non superiore a 20 anni di servizio utile.

Entrambe le prospettazioni espresse dalle parti in giudizio trovano riscontro nelle pronunce, di diverso segno, delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti e si riportano a due distinte interpretazioni della disposizione.

La prima, di carattere estensivo e sostenuta con il ricorso, trae dalla disposizione una norma di carattere generale per i militari che abbiano maturato più di quindici anni, fermo restando che, superati i venti, essi cumulano tale beneficio con gli ulteriori aumenti annuali previsti dai commi seguenti (dell’1,80 o dell’3,60 per cento per cento, a seconda della qualifica, per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo, come ricordato anche dal ricorrente negli atti di causa).

La seconda, aderente al testo letterale, limita l’applicazione del più favorevole (rispetto agli altri dipendenti pubblici) coefficiente di rendimento ivi previsto (44 per cento) ai militari che abbiano maturato, nel contempo, almeno quindici ma non più di venti anni di servizio, trovando la disposizione la sua ratio in quelle situazioni in cui il militare, per motivi indipendenti dalla sua volontà (limiti di età, inabilità, ecc.), non abbia potuto maturare un’anzianità superiore.

Questo Giudice ritiene di prestare adesione al secondo orientamento interpretativo per le seguenti ragioni di natura ermeneutica e sistematica.

In primo luogo, come già evidenziato (e ricordato dalla resistente nelle proprie difese), tale interpretazione risponde ai criteri ermeneutici delle preleggi, risultando non solo maggiormente aderente al dato letterale, ma soprattutto tenendo conto del fatto che la norma è da considerarsi speciale ed attributiva di un trattamento di favore e, in quanto tale, da interpretarsi in senso restrittivo. A tal riguardo sovviene la ratio della disposizione, introdotta, va ricordato, allorchè vigeva il sistema retributivo puro, con funzione perequativa per quei militari che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, fossero costretti ad abbandonare il servizio non avendo raggiunto i vent’anni di servizio.

In secondo luogo, se si aderisse alla prima interpretazione, si porrebbe (come in effetti lo stesso ricorrente si pone) il problema del riparto della aliquota di rendimento tra i periodi maturati al 31.12.1992 (per i quali si applica alla base pensionabile pari all’ultima retribuzione), e quelli maturati successivamente e fino al 31.12.1995 (per i quali si applica alla base pensionabile pari alla media degli ultimi dieci anni): alcuna disposizione positiva indica l’eventuale (quanto insussistente) criterio di riparto, risultando qualsivoglia indicazione del tutto arbitraria e priva di riferimento normativo.

Dunque, l’art. 54, primo comma del D.P.R. 1092/1973 trova applicazione esclusivamente allorchè il congedato avesse maturato, all’atto del congedo, almeno 15 anni e non più di vent’anni di servizio utile, caso che non si attaglia alla situazione del ricorrente, che è stato collocato in congedo con una anzianità complessiva maturata al congedo superiore a 20 anni (34 anni e 8 mesi).

La domanda pertanto non può trovare accoglimento.

2. Sul riconoscimento dei benefici figurativi di cui all’articolo 3, comma 7, del D.Lgs 165/1997.

Quanto alla ritenuta applicabilità al caso di cui si tratta dell’aumento figurativo del montante contributivo di cui all’art. 3, comma 7, del D.Lgs. 165/97 va rappresentato che la disposizione, espressamente richiamata dall’art. 1865 C.O.M. ed applicabile al personale escluso dall’istituto dell’ausiliaria di cui all’art. 992 C.O.M., deve trovare coordinamento con le altre disposizioni del medesimo codice, tra cui appunto quella dell’attribuzione della pensione di privilegio.

Orbene, l’accesso all’istituto dell’ausiliaria (che comporta non solo l’applicazione della relativa indennità per il periodo, ma anche il ricalcolo, al termine del periodo medesimo, del trattamento pensionistico tenendo conto, appunto, della suddetta indennità) avviene unicamente a seguito di cessazione dal servizio per raggiunti limiti d’età o a domanda nei casi di cui all’art. 909/4 C.O.M..

Dunque la disposizione di cui si invoca l’applicazione, laddove fa riferimento al personale che per carenza dei requisiti psico-fisici non può accedere all’istituto dell’ausiliaria, non può che far riferimento al personale che al raggiungimento dei limiti d’età non sia in possesso di tali requisiti, tant’è che essa si applica non solo ai fini dell’accesso, ma anche della permanenza in ausiliaria.

Se, infatti, è ben vero che coloro i quali siano dispensati dal servizio per inabilità assoluta sono di per sé esclusi dall’ausiliaria, è altrettanto vero che il trattamento pensionistico loro riservato (appunto, quello di privilegio e/o di inabilità) attribuisce di per sé a tale categoria di soggetti un vantaggio economico (e/o temporale ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico) volto a compensare, appunto, lo svantaggio derivante dall’impossibilità di prestare ulteriormente servizio fino al raggiungimento del limite d’età e conseguire il diritto alla pensione.

Seguendo l’opzione ermeneutica proposta dal ricorrente porterebbe a riconoscere, quindi, la cumulabilità di tale beneficio con quello di cui al citato art. 3, comma 7, D. lgs 165/97 sulla base del medesimo presupposto di fatto e, quindi, con una non consentita interpretazione estensiva della disposizione –che, va sottolineato, è norma speciale di favore-, possibile unicamente con espressa previsione di legge (come è dimostrato dalla recente novella del medesimo art. 3, comma 7, di cui al D.L. 94 del 2017).

Il ricorrente è cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto con un'età anagrafica di 46 anni e 7 mesi ed un servizio utile a pensione di 34 anni e 8 mesi, quindi, senza aver maturato nessun requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, pertanto, nessuna "esclusione " dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare applicazione nel caso di specie.

La domanda pertanto non può trovare accoglimento.

3. Quanto alle spese, ritiene questo Giudicante che la novità della questione possa giustificare, ex art. 31, comma 3,D.Lgs 174/2016 l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da C. P. iscritto al numero 30420 del registro di segreteria, ogni diversa domanda od eccezione respinta,

-respinge il ricorso;

-spese compensate.

Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio all’esito della pubblica udienza del 24 gennaio 2018.
Il Giudice Unico delle Pensioni
F.to Primo Ref. Daniela Alberghini


Il G.U.P., ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs 196/03, dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, venga apposta l’annotazione di cui al co 3 del medesimo art. 52 nei riguardi del ricorrente.
Il G.U.P.
F.to Primo Ref. Daniela Alberghini


Depositata in Segreteria il 30/03/2018


Il Funzionario Preposto
F.to Nadia Tonolo

In esecuzione del provvedimento del G.U.P. ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Venezia, 30/03/2018
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panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

La Corte dei Conti Calabria accoglie il ricorso per l'art. 54 e lo rigetta per l'art. 3.
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1) - L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che ..........

2) - Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. V. A. avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

La Corte precisa:

Ecco alcuni brani.

3) - Questo giudice è di contrario avviso.
- Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

4) - L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

5) - Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna.

6) - La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

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CALABRIA SENTENZA 44 27/03/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
CALABRIA SENTENZA 44 2018 PENSIONI 27/03/2018
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R E P U BB L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE DELLE PENSIONI
CONS. DOMENICO GUZZI

ha pronunziato la seguente
SENTENZA N.44/2018

Sul il ricorso in materia di pensioni civili n. 21600 del registro di Segreteria, proposto da
- V. A., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Delfino, presso il cui studio in Villa San Giovanni, via Zanotti Bianco n. 33, ha eletto domicilio,

contro
- l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Direzione di Reggio Calabria, in persona del suo Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, con i quali ha eletto domicilio in Catanzaro, via F. Acri n. 81, presso la sede dell’Avvocatura INPS territoriale.

Uditi all’udienza del 23 marzo 2018 l’avv. Santo Delfino per il ricorrente e il dott. Francesco Vecchio per l’INPS.

FATTO

Con l’interposto gravame, il sig. V. A. agisce avverso la determinazione atto n. RC012016850884 del 07.07.2017 con la quale l'INPS sede di Reggio Calabria - gestione ex lnpdap - ha quantificato il trattamento di quiescenza iscritto al n. 1749025.

A tal fine rappresenta di essersi arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 29 settembre 1989 e, dopo circa 32 anni di servizio (nel grado di maresciallo aiutante), di essere stato posto in congedo assoluto dal 5.05.2016, a seguito di sopravvenuta inidoneità psico-fisica.

In conseguenza di ciò, il trattamento di pensione avrebbe dovuto essergli liquidato con l’applicazione dei benefici di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, anziché, come fatto dall’amministrazione previdenziale, facendo applicazione del sistema di calcolo di cui all’art. 44 dello stesso testo unico.

Il ricorrente chiede, inoltre, il rimborso degli arretrati maturati per l'applicazione dei benefici previsti dall'articolo 3, del D.Lgs n° 165/1997, sul presupposto che, cessato dal servizio per inidoneità assoluta, è stato escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria ex art. 992 del D.L.gs n° 66/2010.

Con memoria depositata il 22 febbraio 2018, l’INPS si è ritualmente costituito per contestare la domanda attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto, e per chiedere che la stessa sia integralmente respinta.

In udienza, le parti intervenute hanno insistito, ciascuna per quanto di rispettiva competenza, per l’accoglimento delle conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.

Considerato
D I R I T T O

Come evidenziato in narrativa, il ricorso comprende due capi di domanda.

Con il primo, il ricorrente chiede che il suo trattamento pensionistico ordinario gli venga liquidato secondo il sistema di calcolo previsto dall’art. 54 del d. P.R. n. 1092 del 1973.

Il secondo capo di domanda fa, invece, riferimento all’asserito diritto di conseguire i benefici derivanti dall’applicazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 165/1997.

Orbene, ritiene questo giudice che il ricorso possa essere accolto parzialmente e solo con riguardo al primo capo di domanda per le ragioni di seguito esposte.

I. L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. V. A. avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

Ritiene al riguardo l’INPS che l'art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad “attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20”.

Dal suo punto di vista, in pratica sarebbe sufficiente “porre mente al meccanismo delle aliquote percentuali. Fino a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1,8% sino al conseguimento dell'80% al 40esimo anno (che, tuttavia, per i militari era più veloce trattandosi di servizio utile e non effettivo, ove il servizio utile era contraddistinto dalle maggiorazioni)”.

In concreto, dunque, il “comma 1 dell'art. 54, quindi, non creava nuove aliquote annuali di calcolo, bensì si limitava a fornire un bonus a coloro che cessassero con anzianità compresa tra 15 e 20 anni di servizio.

Bonus variabile, chiaramente, in base all'anzianità superiore a 15 fino a 20. Per cui, chi cessava con 16 anni aveva un bonus di 1,8% x 4 anni, chi cessava a 17 anni un bonus di 1,8%, e così via”.

In definitiva, dunque, sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante personale dello Stato.

Questo giudice è di contrario avviso.

Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

Non è pertanto corretto sostenere, come fa invece l’INPS (sopra se ne è dato conto) che fino “a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5).

Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1'1,8% sino al conseguimento dell'80%......”, giacché così opinando non si coglie ciò che il chiaro tenore letterale della disposizione non può che portare a cogliere e cioè che il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.

In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80 per cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D.Lgs. n. 503/1992 e consolidatosi con la nota legge n. 335 dell’8 agosto 1995, sistema che ha, infatti, notoriamente previsto come la pensione dovesse essere determinata in parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A" corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto".

Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna.

La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

II. In merito alla richiesta di applicazione del beneficio compensativo di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n° 165/1997, con ogni ulteriore diritto a favore del ricorrente compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo, il ricorse deve essere invece respinto.

Il ricorrente è cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto con un'età anagrafica di 51 anni 1 mese e 3 giorni ed un servizio utile a pensione di 35 anni e 7 mesi, quindi, senza aver maturato nessun requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, pertanto, nessuna "esclusione " dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare applicazione nel caso di specie.

L’ art. 3 del DLgs n. 165/1997, in attuazione della delega conferita ai sensi dell’ art. 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 662/96 (legge finanziaria 1997), ha infatti introdotto rilevanti modifiche alla normativa riguardante la posizione di ausiliaria, sotto il profilo delle modalità di accesso, dei limiti di permanenza e dell’importo dell’indennità, prevedendo che in essa possa essere collocato il personale militare delle Forze Armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza giudicato idoneo a seguito di accertamento sanitario e a tale personale compete, e stabilendo che in aggiunta al trattamento pensionistico, a detto personale compete un’indennità pari all’80% della differenza tra la pensione percepita e la retribuzione spettante al pari grado in servizio.

Ora, i fini del presente giudizio e per risolvere la questione di diritto posta dal ricorrente, non si può che denotare come, a proposito delle modalità di accesso, il citato art. 3, comma 1, abbia in buona sostanza escluso dalla possibilità di poter transitare in ausiliaria il personale militare che sia cessato dal servizio non per raggiunti limiti di età ma per inidoneità al servizio di istituto.

Il ricorrente, come detto, è stato dispensato dal servizio attivo per inidoneità, sicché lo stesso non vantava il requisito soggettivo per il collocamento in ausiliaria e, dunque, per il conseguimento degli effetti economici per come preteso in domanda.

Il ricorso va in conclusione parzialmente accolto, mentre per ciò che concerne le spese, la complessità delle questioni trattate induce a

disporne la compensazione integrale tra le parti in causa.

P.Q.M.

La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria,
ACCOGLIE

Il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto alla riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 sulla parte dell’assegno calcolata con il sistema retributivo.

Sui maggiori ratei spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

RESPINGE
Il ricorso per i restanti capi di domanda.

Spese compensate.

Manda alla Segreteria di provvedere agli adempimenti di rito.
Così deciso in Catanzaro il 23 marzo 2018
IL GIUDICE
f.to Domenico Guzzi


Depositata in Segreteria il 26/03/2018


Il Responsabile della Segreteria Pensioni
f.to Dott.ssa Francesca Deni
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da gi_max66 »

In anteprima, oggi la Corte dei Conti Calabria ha accolto due distinti ricorsi di ex militari GdiF, sia parametri che moltiplicatore. Aspettiamo la pubblicazione.
Mamete
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da Mamete »

gi_max66 ha scritto:In anteprima, oggi la Corte dei Conti Calabria ha accolto due distinti ricorsi di ex militari GdiF, sia parametri che moltiplicatore. Aspettiamo la pubblicazione.
chissà cosa ci riserva questa escalation di contraddizioni ...


Alessandro Curci
naturopata
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da naturopata »

Sezione: CALABRIA
Esito: SENTENZA
Numero: 45
Anno: 2018
Materia: PENSIONI
Data pubblicazione: 19/04/2018
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Cons. Quirino Lorelli
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 45 /2018
sul ricorso in materia di pensioni militari, iscritto al n.21614 del registro di
segreteria, proposto da R. P., nato a omissis, il Omissis, rappresentato e
difeso dall’avv. Pietro Paolo Tucci
C O N T R O
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica e rappresentante
legale p.t., costituito con memoria depositata il 29/3/2018
I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco e Francesco
Muscari Tomaioli, giusta memoria depositata il 15/3/2018;
uditi all’udienza del 13 aprile 2018, l’avv.to Pietro Paolo Tucci per il ricorrente
e l’avv. Francesco Muscari Tomaioli per l’INPS, il cap. Francesco Ferrise per
il Ministero della Difesa, esperito il tentativo di conciliazione come da verbale
di udienza
F A T T O
Con atto introduttivo del presente giudizio, depositato il 9/2/2018, il sig. R. P.,
chiede che sia accertato e dichiarato il proprio diritto alla rideterminazione del
trattamento pensionistico, previa applicazione del beneficio di cui all'art. 3, co.
7, d.lgs n. 165/97 e quello alla rideterminazione del trattamento previdenziale
con l’applicazione dell’art.54, comma 1 del T.U. N.1092/1973, con
conseguente statuizione in ordine al ricalcolo del trattamento pensionistico ed
accertamento del diritto a percepire le somme maturate e maturande a titolo
di incremento figurativo ex art.3, co. 7, d. lgs n. 165/97, con decorrenza dal
31/5/2017, o d altra data ritenuta di giustizia e/o di equità, oltre interessi e
rivalutazione monetaria come per legge, fino all'effettivo soddisfo.
Precisa il ricorrente di essere tenente colonnello dell’Esercito Italiano, in
congedo assoluto (per infermità) dal 30-5-2017, beneficiario di pensione
ordinaria di inabilità INPS n. 17473571 e di avere presentato in data
18/11/2017 istanza di liquidazione dell'incremento figurativo di cui all'art. 3,
comma 7, D. Lgs n. 165/1997; tuttavia sia l’Amministrazione di appartenenza
che l’INPS, con distinte note, rispettivamente, del novembre 2017 e del
gennaio 2018, avrebbero respinto detta istanza, onde i relativi provvedimenti
vengono impugnati per il riconoscimento del beneficio. Ricorda ancora il
ricorrente di avere presentato in data 25-1-2018 una richiesta all’INPS di
ricalcolo del proprio trattamento pensionistico in applicazione dell’art.54 del
T.U. 1092/1973, essendogli invece stata applicata, giusta la previsione
dell’art.44 del suddetto T.U., una aliquota pensionabile conteggiata del
35,250%, anziché quella del 44% da lui invocata.
Con memoria depositata il 15/3/2018 si è costituito in giudizio l’INPS,
eccependo l'inammissibilità della pretesa rideterminazione del trattamento
pensionistico previa applicazione del beneficio di cui all'articolo 3, comma 7
del decreto legislativo 30 aprile 1997, n.165, posto che il ricorrente, sarebbe
cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto,
con un servizio utile a pensione di 39 anni e 2 mesi, di cui solo 12 anni e 3
mesi maturati fino alla data del 31-12-1992, quindi, senza aver maturato il
requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, onde
nessuna "esclusione" dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici
dell'articolo 3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n° 165 potrebbe trovare
applicazione nel caso di specie.
Rappresenta ancora l’INPS come alla data del 31/12/1992 il ricorrente
vantava un'anzianità di servizio inferiore ai quindici anni stabiliti dal primo
comma dell'articolo 54 del DPR 29 dicembre 1973, n° 1092 ai fini
dell'applicazione dell'aliquota del 44%, rientrando invece, nel disposto dettato
dal penultimo comma dello stesso articolo 54.
Il ricorrente risultava infatti cessato dal rapporto di lavoro a far data dal
30/05/2017 con un'anzianità complessiva di servizio utile a pensione pari a 39
anni e 2 mesi, di cui: 12 anni e 3 mesi maturati alla data del 31/12/1992, 15
anni e 3 mesi maturati alla data del 31/12/1995, la pensione spettante non
può essere ritenuta quella maturata con un'anzianità contributiva di almeno
quindici anni e non più di venti e rapportata ad un'aliquota di rendimento del
44%, atteso che il disposto dettato dall'articolo 54 del D.P.R. 1092/1973 è
chiaramente riferito alla pensione spettante al militare e non già alla quota di
pensione determinata con il sistema retributivo. Si ritiene che la quota di
pensione determinata con il sistema retributivo data dalla somma di due
quote (quota "A" per le anzianità maturate fino alla data del 31/12/1992 e
quota "B" per le anzianità contributive maturate entro la data del 31/12/1995)
non possa essere valorizzata con un rendimento fisso ed invariabile del 44
per cento anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15esimo anno per
il personale militare, posto che si verrebbe ad avere un rendimento annuo del
2,93 fino al 15esimo anno di servizio ed un rendimento pari allo zero per
l'anzianità maturata dal 15esimo anno al 20esimo anno,
Con memoria depositata il 29-3-2018 si è costituito in giudizio il Centro Unico
Stipendiale dell’Esercito, chiedendo il rigetto del ricorso sotto ambedue i
profili. In particolare quanto al beneficio di cui al D. Lgs. n.165/1997,
emergerebbe la volontà del legislatore di circoscriverne l'applicazione alle
sole ipotesi di cessazione dal servizio di personale che, pur avendo maturato
il diritto all'ausiliaria (per aver raggiunto il limite di età ordinamentale per
essere collocato in quiescenza ovvero perché ricompreso nelle aliquote di
militari da collocare in aspettativa per riduzione quadri), ne sia rimasto
successivamente escluso per sopravvenuta perdita dell'idoneità fisica e non
anche, in senso generalizzato, al personale che sia stato dispensato dal
servizio anzitempo per perdita dell'idoneità al servizio militare incondizionato
(ovvero riformato).
Quanto invece all’aliquota percentuale di pensionabilità di cui all'articolo 54,
comma 1, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, trattandosi di modalità di
calcolo della pensione operata in via esclusiva dall'INPS, nel cui
procedimento non è mai intervenuta l'Amministrazione Militare, si ritiene di
non dover esprimere alcuna considerazione in merito.
All’udienza di discussione del 13/4/2018, esperito il tentativo conciliativo,
come da verbale, i procuratori delle parti si sono riportati alle rispettive
domande e difese; il cap. Ferrise per il Ministero della Difesa ha eccepito
come non potrebbe applicarsi la norma sull’ausiliaria in quanto il ricorrente è
stato dispensato per riforma prima dell’entrata in vigore della modifica
all’art.1865 del Codice dell’Ordinamento Militare apportata dal D. Lgs.
n.94/2017.
D I R I T T O
1) In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione di inapplicabilità al caso di
specie delle disposizioni in materia di ausiliaria di cui all’art. 1865 C.O.M. al
caso di specie in quanto le relative modifiche alla norma sarebbero state
apportate dal D. Lgs. n.94/2017 entrato in vogore dopo la dispensa dal
servizio del ricorrente.
L’eccezione è infondata.
L’art. 1865 C.O.M. nel testo precedente alla modifica del 2017 testualmente
stabiliva che “1. Per il personale militare escluso dall'istituto dell'ausiliaria di
cui all'articolo 992, si applica l'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 30
aprile 1997, n. 165”, ma la norma invocata dal ricorrente è esattamente quella
colà indicata e cioè l’art.3, comma 7 del D. Lgs. n.165/1997, onde l’eccezione
non appare calzante, né conferente, posto pure che la nuova formulazione
del predetto art.1865, dopo la novella del 2017, è la seguente: “1. Per il
personale militare ((...)) si applica l'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo
30 aprile 1997, n. 165”.
Nel caso di specie il ricorrente alla data di quiescenza risultava ex lege
escluso dall’ausiliaria non avendone, per come meglio precisato in appresso, i
requisiti e con la conseguenza che egli invoca con il ricorso esattamente
l’applicazione del beneficio indicato nell’art.1865 C.O.M.
*
2) Nel merito la prima questione che va analizzata è la fondatezza alla
pretesa della applicazione dei benefici della c.d. ausiliaria anche al personale
militare collocato in quiescenza prima del raggiungimento del limite
anagrafico di età, sulla base di una accertata inidoneità a qualunque servizio
(nell’ordinamento militare la c.d. riforma).
L’ausiliaria è una categoria del congedo che interessa il solo personale
militare che, dopo la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di
età, previsto per il grado rivestito, manifesta la propria disponibilità ad essere
chiamato nuovamente in servizio per lo svolgimento di attività in favore
dell’amministrazione di appartenenza o di altre pubbliche amministrazioni
statali e territoriali. L’ausiliaria è stata oggetto di recenti modifiche ad opera di
interventi legislativi che si succeduti dal 2012 ad oggi (non ultima la legge di
Stabilità del 2015); attualmente è prevista e disciplinata dagli articoli da 992 a
996 e dagli articoli 1864, 1870, 1871, 1876 del Codice dell’Ordinamento
Militare (C.O.M., D. Lgs. n. 66/2010).
L’art. 992 del C.O.M. così dispone:
“1. Il collocamento in ausiliaria del personale militare avviene esclusivamente
a seguito di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età
previsto per il grado rivestito o a domanda, ai sensi dell'articolo 909, comma
4.
2. Il personale militare permane in ausiliaria per un periodo di 5 anni.
3. All'atto della cessazione dal servizio, il personale è iscritto in appositi ruoli
dell'ausiliaria, da pubblicare annualmente nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana con indicazione della categoria, del ruolo di appartenenza,
nonché del grado rivestito. Le pubbliche amministrazioni statali e territoriali,
limitatamente alla copertura delle forze in organico, possono avanzare
formale richiesta al competente Ministero per l'utilizzo del suddetto personale,
nell'ambito della provincia di residenza e in incarichi adeguati al ruolo e al
grado rivestito.
4. Ai fini della corresponsione dell'indennità di ausiliaria, il personale, all'atto
della cessazione dal servizio, manifesta, con apposita dichiarazione scritta, la
propria disponibilità all'impiego presso l'amministrazione di appartenenza e le
altre pubbliche amministrazioni.”.
In base all’attuale normativa, per essere collocati in ausiliaria occorre:
1) Appartenere al personale militare.
2) Aver cessato dal servizio per raggiunto limite di età.
3) Aver presentato domanda, all’atto della cessazione dal servizio e nei
termini prescritti, manifestando per iscritto la disponibilità al richiamo.
4) Il possesso dell’idoneità psico-fisica, che consenta al militare di svolgere
l’attività di impiego presso le amministrazioni pubbliche che ne facciano
richiesta.
Durante il periodo di ausiliaria il militare non può assumere impieghi, né
rivestire cariche, retribuite e non, presso imprese che hanno rapporti
contrattuali con l’amministrazione militare, pena l’immediato passaggio nella
categoria riserva, e perdita del relativo trattamento economico.
Il militare collocato in ausiliaria, percepisce una indennità in aggiunta al
trattamento di quiescenza e, al termine del predetto periodo, ha diritto a
vedersi liquidato un nuovo trattamento di quiescenza che è comprensivo
anche del periodo di permanenza in ausiliaria.
L’indennità annua lorda percepita dal militare in ausiliaria è attualmente pari al
50% della differenza tra il trattamento di quiescenza percepito e il trattamento
economico spettante nel tempo al pari grado in servizio dello stesso ruolo e
con anzianità di servizio corrispondente a quella effettivamente posseduta dal
militare all’atto del collocamento in ausiliaria.
L’art.3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n. 165, stabilisce che:
“7. Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto
dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età
previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non
sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella
posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in
parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n.335, il
montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un
importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio
moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle
Forze di polizia ad ordinamento militare e per il personale delle Forze armate
il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa
opzione dell'interessato.”
Nel caso di specie il ricorrente alla data di collocamento in quiescenza non
risultava in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella
posizione di ausiliaria in quanto gli è stata attribuita la pensione ordinaria di
inabilità, giusta provvedimento di conferimento dell’INPS e considerato che
egli era cessato dal servizio, per come si evince dal tenore del provvedimento
di concessione anzidetto, per invalidità assoluta e permanente a qualsiasi
proficuo lavoro.
Quanto ai militari inquadrati nei ruoli in ausiliaria, la categoria comprende, ai
sensi dell'art. 886 C.O.M., "il personale militare che, essendovi transitato nei
casi previsti, ha manifestato all'atto del collocamento nella predetta posizione
la propria disponibilità a prestare servizio nell'ambito del comune o della
provincia di residenza presso l'amministrazione di appartenenza o altra
amministrazione".
Il personale collocato in ausiliaria ex art. 992 C.O.M., è soggetto a possibili
richiami in servizio ex art. 993 C.O.M. ed è soggetto agli obblighi di cui all'art.
994 C.O.M.
L'esame della suddetta disciplina, evidenzia dunque come il militare collocato
in congedo assoluto per infermità non possa esser collocato in ausiliaria,
considerata la sua assoluta inidoneità al servizio e dunque l'impossibilità di
assolvere agli obblighi di servizio cui sono soggetti i militari in ausiliaria.
Questa Corte dei conti, in una recente decisione, ha ricordato come il
legislatore abbia riconosciuto l'incremento del montante contributivo sia al
"personale di cui all'art. 1 escluso dall'ausiliaria che cessa dal servizio per
raggiungimento dei limiti di età", che "al personale militare che non sia in
possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di
ausiliaria", categoria quest'ultima nella quale evidentemente rientra l'ufficiale
ricorrente, dichiarato non idoneo permanentemente al servizio d'istituto ex art.
929 del C.O.M. e, dunque, impossibilitato a prestare i conseguenti (pur
delimitati ed eventuali) servizi d'Istituto e dunque ad accedere all'istituto
dell'ausiliaria.
Ovviamente, considerate le ragioni dell'impossibilità normativo/oggettiva di
collocamento del militare in ausiliaria, neppure può propriamente ipotizzarsi
l'esercizio di un'opzione da parte dell'interessato, in quanto raggiunto da un
provvedimento cogente di collocamento in congedo assoluto per inidoneità
assoluta e permanente al servizio (cfr. Corte dei conti, Sez. giurisd. Molise,
n.53/2017).
In questo senso l’I.N.P.S. nel proprio messaggio del 10 dicembre 2013 n.
20238, recante “Articolo 3, comma 7 del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165 -
Precisazioni in merito alle modalità applicative.”, non esclude, per come
invece si pretenderebbe, una interpretazione letterale della norma, limitandosi
a prevedere che “Al fine di superare ogni eventuale dubbio interpretativo in
merito alle voci ricomprese nella base imponibile su cui calcolare la
maggiorazione di cui alla disposizione in esame si rappresenta che la stessa
corrisponde alla retribuzione contributiva percepita alla cessazione
annualizzata, comprensiva della 13° mensilità, delle competenze accessorie
per la parte eccedente il 18% e, qualora spettanti, degli scatti di cui all'articolo
4 del decreto legislativo n. 165/1997.
Si precisa inoltre che, qualora non vi sia eccedenza o non vi sia trattamento
accessorio, la base imponibile deve comunque tener conto della parte della
retribuzione maggiorabile del 18%.”.
*
2. Venendo alla seconda questione introdotta con il ricorso e cioè alla
richiesta di piena applicazione della previsione di cui all’art.54 del D.P.R.
n.1092/1973, in luogo dell’applicazione della disposizione di cui all’art.44 del
medesimo D.P.R. osserva in via pregiudiziale questo Giudicante che tale
ultima disposizione non può in alcun caso trovare applicazione al personale
militare, cui appartiene l’odierno ricorrente, trattandosi di disposizione
espressamente ricompresa nel Titolo III, rubricato “Trattamento di quiescenza
normale”, Capo I, rubricato “Personale civile”, mentre, correttamente,
l’invocato art.54 rientra nel Capo II, rubricato “Personale militare”.
Ad ogni buon fine sul punto non ritiene questo Giudicante di doversi
discostare dalle considerazioni e motivazioni espressa da questa Sezione
nelle sentenze n.12, 43 e 44 del 2018.
L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, prevede per il personale
militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello
disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico,
stabilendo che
“1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni
e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base
pensionabile
2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di
servizio utile oltre il ventesimo”.
Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il ricorrente
avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia
secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non
potrebbe trovare applicazione. Ritiene al riguardo l’INPS che l'art.54 non
avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto
dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad attribuire un ulteriore beneficio ristretto
a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20. Quindi secondo l’Istituto
previdenziale sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare
applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del
servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per
coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta
configura con il restante personale dello Stato.
Ritiene però questo Giudicante che l’INPS erroneamente parifica ambiti di
disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale
tutt’altro che omologabili.
L’art.54 detta – come già ricordato - una disciplina di favore nei confronti del
personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato,
disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della
base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di
servizio, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e
così fino al 20° anno di servizio utile.
In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo
fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se
per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni
in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta
aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe
avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due
categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo
giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio
che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.
Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80%
per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere
dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi
in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il
comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato
con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione
pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1
anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per
cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal
comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44,
comma 1, per il personale civile.
Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18
anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non
poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema
previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D. Lgs. n.
503/1992 e consolidatosi con la Legge n. 335/1995.
Tale sistema ha previsto come la pensione dovesse essere determinata in
parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31
dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata
dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A"
corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite
anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di
decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente
alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per
quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della
retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del
trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente
decreto".
Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può
che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la
parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve
dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista
dalla norma in rassegna. La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva
dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, posto che il calcolo
della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento
della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.
*
3) In conclusione il ricorso risulta meritevole di accoglimento, con
conseguente condanna dell'Amministrazione al ricalcolo del trattamento
pensionistico facendo applicazione dei benefici in questione, nonché alla
corresponsione degli arretrati sui ratei pensionistici già percepiti.
Sulle somme arretrate dovute spettano, in adesione ai criteri posti dalle
Sezioni Riunite con la sentenza n.10/2002/QM, interessi legali e rivalutazione
monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla
scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale,
cumulativamente, nel senso però di una solo possibile integrazione degli
interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura
degli stessi (c.d. principio del cumulo parziale).
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità delle
questioni dedotte e della assenza di un unitario orientamento di questa Corte
dei conti.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, Giudice
unico delle pensioni, definitivamente pronunciando
1) accoglie la domanda attorea, riconoscendo il diritto del ricorrente alla
rideterminazione del trattamento previdenziale con applicazione dei benefici
calcolati per come indicato in parte motiva ed a far data dalla presentazione
della domanda amministrativa;
2) Condanna altresì le parti convenute, ciascuno secondo le proprie
competenze, alla corresponsione dei conseguenti arretrati sui ratei
pensionistici già percepiti, maggiorati di interessi legali e rivalutazione
monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla
scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale,
cumulativamente, nel senso di una solo possibile integrazione degli interessi
di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi.
Spese compensate.
Così deciso in Catanzaro alla pubblica udienza del 13 aprile 2018.
Il giudice unico
Fto Quirino Lorelli
Depositata in segreteria il 18/04/2018
Il responsabile delle segreterie pensioni
f.to Dott.ssa Francesca Deni





Sezione: CALABRIA
Esito: SENTENZA
Numero: 46
Anno: 2018
Materia: PENSIONI
Data pubblicazione: 19/04/2018
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Cons. Quirino Lorelli
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 46/2018
sul ricorso in materia di pensioni militari, iscritto al n.21617 del registro di
segreteria, proposto da G. S., nato a Omissis, il Omissis, rappresentato e
difeso dall'avv. Santo Delfino
CONTRO
I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco e Francesco
Muscari Tomaioli, giusta memoria depositata il 23/2/2018;
uditi all'udienza del 13 aprile 2018, l'avv.to Santo Delfino per il ricorrente e
l'avv. Francesco Muscari Tomaioli per l'INPS, esperito il tentativo di
conciliazione come da verbale di udienza
FATTO
Con atto introduttivo del presente giudizio, depositato il 22/02/2018, il sig. G.
S., chiede a questa Corte dei conti di annullare la determinazione atto n.
RC012014776782 del 15.11.2013, iscrizione. n.17491795 con la quale l'INPS
sede di Reggio Calabria — gestione ex Inpdap - ha quantificato il trattamento
di quiescenza, con particolare riferimento ai criteri adottati dall'Istituto di
previdenza nel calcolare l'anzianità contributiva per la parte in "quota
retributiva" della pensione, nonché avverso ogni altro atto presupposto,
connesso e conseguenziale. Chiede altresì di accertare e dichiarare il proprio
diritto: alla corretta applicazione dell'aliquota del 44%, ex art. 54 D.P.R. n.
1092/1973, in luogo dell'errata applicazione dell'aliquota del 35%, ex art. 44,
primo comma, dello stesso T.U. del 1973; all'applicazione del beneficio
compensativo di cui all'art. 3, comma 7, del D. Lgs. 165/1997 e
conseguentemente ordinare che l'I.N.P.S. - o i resistenti secondo chi di
ragione e le proprie competenze - in persona del legale rappresentante p.t.
provveda alla riliquidazione della pensione iscrizione n.17491896 del 28-11-
2014, tenendo conto:
del corretto computo dell'ammontare dell'aliquota, secondo il criterio fissato
dall'art. 44, secondo comma, DPR n. 1092/1973;
della corretta applicazione - dell'aliquota del 44%, ex art. 54 D.P.R. n.
1002/1973; dell'applicazione del beneficio compensativo di cui all'art 3,
comma 7, del D.L.gs 165/1997, con ogni ulteriore diritto in proprio favore
compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli
interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo e
con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.
Con memoria depositata il 23/2/2018 si è costituito in giudizio l'INPS,
eccependo preliminarmente l'incompetenza territoriale, in quanto il ricorrente
risiederebbe in Messina e l'inammissibilità della pretesa rideterminazione del
trattamento pensionistico, in relazione alla richiesta di annullare la
determinazione n° n. RC012014776782 del 15.11.2013, con particolare
riferimento ai criteri adottati dall'Istituto previdenziale nel calcolare l'anzianità
contributiva per la parte in "quota retributiva" della pensione, al corretto
computo dell'ammontare dell'aliquota del 44%, secondo il criterio fissato dal
primo comma dell'articolo 54, del DPR n° 1092/1973.
Secondo l'INPS infatti alla data del 31/12/1992 il ricorrente vantava
un'anzianità di servizio inferiore ai quindici anni stabiliti dal primo comma
dell'articolo 54 del DPR 29 dicembre 1973, n° 1092 ai fini dell'applicazione
dell'aliquota del 44%, rientrando invece, nel disposto dettato dal penultimo
comma dello stesso articolo 54.
Il ricorrente è cessato dal rapporto di lavoro a far data dal 17/10/2013 con
un'anzianità complessiva di servizio utile a pensione pari a 34 anni, di cui 9
anni e 7 msi maturati alla data del 31/12/1992 e 13 anni e 2 mesi maturati alla
data del 31/12/1995 , la pensione spettante non può essere ritenuta quella
maturata con un'anzianità contributiva di almeno quindici anni e non più di
venti e rapportata ad un'aliquota di rendimento del 44 per cento, atteso che il
disposto dettato dall'articolo 54 del DPR 1092 è chiaramente riferito alla
pensione spettante al militare e non già alla quota di pensione determinata
con il sistema retributivo.
Ritiene quindi l'ente previdenziale che la quota di pensione determinata con il
sistema retributivo data dalla somma di due quote (quota "A" per le anzianità
maturate fino alla data del 31/12/1992 e quota "B" per le anzianità contributive
maturate entro la data del 31/12/1995) non possa essere valorizzata con un
rendimento fisso ed invariabile del 44 per cento anche con un solo giorno in
più di servizio oltre il 15esimo anno per il personale militare, posto che si
verrebbe ad avere un rendimento annuo del 2,93 fino al 15esimo anno di
servizio ed un rendimento pari allo zero per l'anzianità maturata dal 15esimo
anno al 20esimo anno, diversamente opinando, per un soggetto che maturi
un'anzianità di 20 anni si verrebbe a realizzare un'aliquota del 53 % data (15
anni = 44,00 + 5 anni x 1,8 = 9,00) e per un soggetto che maturi 40 anni
un'aliquota di rendimento complessiva dell'89 per cento, data da (15 anni =
44,00 + 25 anni x 1,80 = 45,00) determinando un'aliquota superiore
all'aliquota massima dell'80 per cento.
Quanto poi all'applicazione del beneficio di cui all'articolo 3, comma 7 del
decreto legislativo 30 aprile 1997, n.165, l'INPS, parimenti, deduce la
inammissibilità ovvero la infondatezza posto che il ricorrente, sarebbe cessato
dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto, con un
servizio utile a pensione di 37 anni, di cui solo 12 anni e 7 mesi maturati fino
alla data del 31-12-1992, quindi, senza aver maturato il requisito
espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, onde nessuna
"esclusione" dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo
3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n.165 potrebbe trovare applicazione
nel caso di specie.
Chiede quindi il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite.
All'udienza di discussione del 13/4/2018 i difensori delle parti hanno insistito
nelle rispettive domande, eccezioni e difese; il procuratore di parte ricorrente
ha rappresentato come l'eccezione dell'INPS di incompetenza territoriale sia
priva della indicazione del Giudice ritenuto competente (art.151 C.G.C.), con
l'effetto che si avrebbe per non formulata; il procuratore dell'INPS sul punto
ha rilevato come risulti comunque indicata la sede di residenza (Messina) del
ricorrente e che ciò radichi la competenza territoriale della Sezione Siciliana
della Corte dei conti.
DIRITTO
1. Preliminarmente va vagliata l'eccezione di incompetenza territoriale che,
per come proposta, non può essere accolta
L'art.151, comma 2 del C.G.C. testualmente prevede che "Il difetto della
competenza per territorio, come definita dall'articolo 18, comma 1, lettera c),
non e rilevabile d'ufficio ed è eccepito a pena di decadenza nella comparsa di
risposta tempestivamente depositata. L'eccezione si ha per non proposta se
non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente.".
Detta disposizione ripropone nel giudizio contabile la previsione di cui
all'art.38, comma 1 del cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dall'art.45
della Legge n.69/2009. In particolare la previsione per la quale l'eccezione si
ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte
ritiene competente, contenuta all'ult. cpv. della norma del C.G.C. è
letteralmente identica a quella di cui all'ult. cpv. del comma 1 del cod. proc.
civ.
Nel caso di specie, per come evidenziato da parte ricorrente in sede di
discussione orale all'odierna udienza, l'eccezione formulata dall'INPS nella
comparsa di costituzione appare priva dell'indicazione del Giudice da adirsi.
ed a ciò non può supplire, stante la lettera della norma, la individuazione dello
stesso in sede di discussione orale della causa da parte del procuratore
costituito di parte resistente che la ha formulata. Ciò in quanto la struttura
dell'udienza di discussione della causa pensionistica, delineata dagli artt.164
e 165 del C.G.C., non consente una possibile integrazione del contenuto delle
proprie memorie in capo alle parti, nemmeno su ordine del Giudice che dirige
l'udienza, con la conseguenza che le rispettive difese rimangono fissate-nei
rispettivi scritti difensivi. Né, d'altro canto, a fronte della controeccezione di
incompletezza dell'eccezione di incompetenza territoriale, parrebbe possibile,
proprio per non elidere lo spirito della norma con integrazioni all'eccezione
formulate in sede orale, ammettere tale possibilità.
La S.C. con riferimento alla previsione dell'art.38, comma 1 del cod. proc. civ.
ha poi ricordato come "a fronte del rilievo da parte del giudice della sua
incompetenza per materia per essere competente il tribunale ordinario,
l'ulteriore rilievo della sua incompetenza per territorio (semplice) doveva
essere necessariamente subordinato ad un'eccezione di parte, da formularsi
nei termini e nei modi- Stabiliti dall'art. 38 del cod. proc. civ., ovvero nella
comparsa di risposta o, nel caso di specie, nella memoria difensiva
tempestivamente depositata e con la specifica indicazione del giudice ritenuto
competente, diversamente, radicandosi la competenza per territorio del
giudice adito" (eass. Civ., Sez. VI, 9 gennaio 2018, n.698)
Tale interpretazione conduce così a dover ritenere requisito essenziale
dell'eccezione di incompetenza, ai fini anche della sola proponibilità, la
indicazione del Giudice che la parte ritiene competente e che tale indicazione
non possa essere differita dal proponente l'eccezione alla prima udienza, ma
vada assolta al momento della formulazione dell'eccezione nella comparsa di
risposta tempestivamente depositata.
In conclusione l'eccezione, a termini dell'art.151, comma 2, ult. cpv., appare
improponibile.
*
2. Venendo al merito la prima questione introdotta con il ricorso attiene
alla richiesta di piena applicazione della previsione di cui all'art.54 del D.P.R.
n.1092/1973, in luogo dell'applicazione della disposizione di cui all'art.44 del
medesimo D.P.R.; al riguardo osserva in via pregiudiziale questo Giudicante
che tale ultima disposizione non può in alcun caso trovare applicazione al
personale militare, cui appartiene l'odierno ricorrente, trattandosi di
disposizione espressamente ricompresa nel Titolo III, rubricato "Trattamento
di quiescenza normale", Capo I, rubricato "Personale civile", mentre,
correttamente, l'invocato art.54 rientra nel Capo II, rubricato "Personale
militare". Ne consegue che in alcun modo a tale disposizione può farsi
riferimento ai fini del calcolo delle pensioni militari.
Ad ogni buon fine sul punto non ritiene questo Giudicante di doversi
discostare dalle considerazioni e motivazioni espressa da questa Sezione
nelle sentenze n.12, 43 e 44 del 2018.
L'art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, prevede per il personale
militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello
disciplinato per il personale civile dall'art. 44 dello stesso testo unico,
stabilendo che
"1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni
e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base
pensionabile
2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di
servizio utile oltre il ventesimo".
Nel caso di specie, è indubbio che all'atto del pensionamento il ricorrente
avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia
secondo l'Istituto
controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare
applicazione.
Ritiene al riguardo l'INPS che Part.54 non avrebbe innovato l'ordinario
meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall'art. 44 citato, essendosi
limitato ad attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15
anni ma non ancora 20. Quindi secondo l'Istituto previdenziale sembrerebbe
che l'art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale
militare che all'atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato
il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato
nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante
personale dello Stato.
Ritiene però questo Giudicante che l'INPS erroneamente parifica ambiti di
disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale
tutt'altro che omologabili.
L' art.54 detta — come già ricordato - una disciplina di favore nei confronti del
personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato,
disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della
base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di
servizio, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e
così fino al 20° anno di servizio utile.
In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo
fatto dall'INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se
per il personale civile l'aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni
in conformità all' art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta
aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe
avuto ragion d'essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due
categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo
giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio
che, come già osservato, non è contemplato dall'art. 44, comma 1.
Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all'1,80%
per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere
dall'interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi
in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il
comma 2 "aumentata", di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato
con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione
pari al
45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno),
fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all'80% della base
pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell'art. 54
citato analogamente a quanto stabilito dall'art. 44, comma 1, per il personale
civile.
Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18
anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non
poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema
previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D. Lgs. n.
503/1992 e consolidatosi con la Legge n. 335/1995.
Tale sistema ha previsto come la pensione dovesse essere determinata in
parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31
dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata
dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A"
corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite
anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di
decorrenza della pensione secondo" la normativa vigente precedentemente
alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per
quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della
retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del
trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente
decreto".
Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all'art.54 non può
che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la
parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve
dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista
dalla norma in rassegna. La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva
dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, posto che il calcolo
della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento
della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.
*
2) Va poi analizzata la fondatezza della pretesa della applicazione dei
benefici della c.d. ausiliaria anche al personale militare collocato in
quiescenza prima del raggiungimento del limite anagrafico di età, sulla base
di una accertata inidoneità a qualunque servizio (nell'ordinamento militare la
c.d. riforma).
L'ausiliaria è una categoria del congedo che interessa il solo personale
militare che, dopo la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di
età, previsto per il grado rivestito, manifesta la propria disponibilità ad essere
chiamato
nuovamente in servizio per lo svolgimento di attività in favore
dell'amministrazione di appartenenza o di altre pubbliche amministrazioni
statali
e territoriali. L'ausiliaria è stata oggetto di recenti modifiche ad opera di
interventi legislativi che si succeduti dal 2012 ad oggi (non ultima la legge di
Stabilità del 2015); attualmente è prevista e disciplinata dagli articoli da 992 a
996 e dagli articoli 1864, 1870, 1871, 1876 del Codice dell'Ordinamento
Militare (C.O.M., D. Lgs. n. 66/2010).
L'art. 992 del C.O.M. così dispone:
"1. Il collocamento in ausiliaria del personale militare avviene esclusivamente
a seguito di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età
previsto per il grado rivestito o a domanda, ai sensi dell'articolo 909, comma
4.
2. Il personale militare permane in ausiliaria per un periodo di 5 anni.
3. All'atto della cessazione dal servizio, il personale è iscritto in appositi
ruoli dell'ausiliaria, da pubblicare annualmente nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana con indicazione della categoria, del ruolo di appartenenza,
nonché del grado rivestito. Le pubbliche amministrazioni statali e territoriali,
limitatamente alla copertura delle forze in organico, possono avanzare
formale
richiesta al competente Ministero per l'utilizzo del suddetto personale,
nell'ambito della provincia di residenza e in incarichi adeguati al ruolo e al
grado rivestito.
4. Ai fini della corresponsione dell'indennità di ausiliaria, il personale,
all'atto della cessazione dal servizio, manifesta, con apposita dichiarazione
scritta, la propria disponibilità all'impiego presso l'amministrazione di
appartenenza e le altre pubbliche amministrazioni".
In base all'attuale normativa, per essere collocati in ausiliaria occorre:
1) Appartenere al personale militare.
2) Aver cessato dal servizio per raggiunto limite di età.
3) Aver presentato domanda, all'atto della cessazione dal servizio e nei
termini prescritti, manifestando per iscritto la disponibilità al richiamo
4) Il possesso dell'idoneità psico-fisica, che consenta al militare di svolgere
l'attività di impiego presso le amministrazioni pubbliche che ne facciano
richiesta.
Durante il periodo di ausiliaria il militare non può assumere impieghi, né
rivestire cariche, retribuite e non, presso imprese che hanno rapporti
contrattuali con l'amministrazione militare, pena l'immediato passaggio nella
categoria riserva, e perdita del relativo trattamento economico.
Il militare collocato in ausiliaria, percepisce una indennità in aggiunta al
trattamento di quiescenza e, al termine del predetto periodo, ha diritto a
vedersi liquidato un nuovo trattamento di quiescenza che è comprensivo
anche del periodo di permanenza in ausiliaria.
L'indennità annua lorda percepita dal militare in ausiliaria è attualmente pari al
50% della differenza tra il trattamento di quiescenza percepito e il trattamento
economico spettante nel tempo al pari grado in servizio dello stesso ruolo e
con anzianità di servizio corrispondente a quella effettivamente posseduta dal
militare all'atto del collocamento in ausiliaria.
L' art.3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n. 165, stabilisce che:
"7. Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto
dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età
previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non
sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella
posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in
parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n.335, il
montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un
importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio
moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle
Forze di polizia ad ordinamento militare e per il personale delle Forze armate
il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa
opzione dell'interessato."
Nel caso di specie il ricorrente alla data di collocamento in quiescenza non
risultava in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella
posizione di ausiliaria in quanto gli è stata attribuita la pensione ordinaria di
inabilità, giusta provvedimento di conferimento dell'INPS e considerato che
egli era cessato dal servizio, per come si evince dal tenore del provvedimento
di concessione anzidetto, per invalidità assoluta e permanente a qualsiasi
proficuo lavoro.
Quanto ai militari inquadrati nei ruoli in ausiliaria, la categoria comprende, ai
sensi dell'art. 886 C.O.M., "il personale militare che, essendovi transitato nei
casi previsti, ha manifestato all'atto del collocamento nella predetta posizione
la propria disponibilità a prestare servizio nell'ambito del comune o della
provincia di residenza presso l'amministrazione di appartenenza o altra
amministrazione". Il personale collocato in ausiliaria ex art. 992 C.O.M., è
soggetto a possibili richiami in servizio ex art. 993 C.O.M. ed è soggetto agli
obblighi di cui all'art. 994 C.O.M.
L'esame della suddetta disciplina, evidenzia dunque come il militare collocato
in congedo assoluto per infermità non possa esser collocato in ausiliaria,
considerata la sua assoluta inidoneità al servizio e dunque l'impossibilità di
assolvere agli obblighi di servizio cui sono soggetti i militari in ausiliaria.
Questa Corte dei conti, in una recente decisione relativa ad un sottufficiale
della Guardia di Finanza, ha ricordato come il legislatore abbia riconosciuto
l'incremento del montante contributivo sia al "personale di cui all'art. 1 escluso
dall'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età", che
"al personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per
accedere o permanere nella posizione di ausiliaria", categoria quest'ultima
nella quale evidentemente rientra l'ufficiale ricorrente, dichiarato non idoneo
permanentemente al servizio d'istituto ex art. 929 del C.O.M. e, dunque,
impossibilitato a prestare i conseguenti (pur delimitati ed eventuali) servizi
d'Istituto e dunque ad accedere all'istituto dell'ausiliaria.
Ovviamente, considerate le ragioni dell'impossibilità normativo/oggettiva di
collocamento del militare in ausiliaria, neppure può propriamente ipotizzarsi
l'esercizio di un'opzione da parte dell'interessato, in quanto raggiunto da un
provvedimento cogente di collocamento in congedo assoluto per inidoneità
assoluta e permanente al servizio (cfr. Corte dei conti, Sez. giurisd. Molise,
n.53/2017).
In questo senso l'I.N.P.S. nel proprio messaggio del 10 dicembre 2013 n.
20238, recante "Articolo 3, comma 7 del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165 -
Precisazioni in merito alle modalità applicative.", non esclude, per come
invece si pretenderebbe, una interpretazione letterale della norma, limitandosi
a prevedere
che "Al fine di superare ogni eventuale dubbio interpretativo in merito alle voci
ricomprese nella base imponibile su cui calcolare la maggiorazione di cui alla
disposizione in esame si rappresenta che la stessa corrisponde alla
retribuzione contributiva percepita alla cessazione annualizzata, comprensiva
della 13° mensilità, delle competenze accessorie per la parte eccedente il
18% e, qualora spettanti, degli scatti di cui all'articolo 4 del decreto legislativo
n. 165/1997.
Si precisa inoltre che, qualora non vi sia eccedenza o non vi sia trattamento
accessorio, la base imponibile deve comunque tener conto della parte della
retribuzione maggiorabile del 18%.".
*
3) In conclusione il ricorso risulta meritevole di accoglimento, con
conseguente condanna dell'INPS al ricalcolo del trattamento pensionistico
facendo applicazione dei benefici in questione, nonché alla corresponsione
degli arretrati sui ratei pensionistici già percepiti.
Sulle somme arretrate dovute spettano, in adesione ai criteri posti dalle
Sezioni Riunite con la sentenza n.10/2002/QM, interessi legali e rivalutazione
monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla
scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale,
cumulativamente, nel senso però di una solo possibile integrazione degli
interessi di legge ove l'indice di svalutazione dovesse eccedere la misura
degli stessi (c.d. principio del cumulo parziale).
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità delle
questioni dedotte e della assenza di un unitario orientamento di questa Corte
dei conti.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, Giudice
unico delle pensioni, definitivamente pronunciando
1. dichiara improponibile l'eccezione di incompetenza territoriale;
2. accoglie la domanda attorea, riconoscendo il diritto del ricorrente alla
rideterminazione del trattamento previdenziale con applicazione dei benefici
calcolati per come indicato in parte motiva ed a far data dalla presentazione
della domanda amministrativa;
3. Condanna altresì l'INPS alla corresponsione dei conseguenti arretrati sui
ratei pensionistici già percepiti, maggiorati di interessi legali e rivalutazione
monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla
scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale,
cumulativamente, nel senso di
una solo possibile integrazione degli interessi di legge ove l'indice di
svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi. Spese compensate.
Così deciso in Catanzaro alla pubblica udienza del 13 aprile 2018
Il giudice unico
f.to Quirino Lorelli
Depositata in segreteria il 18/04/2018
Il responsabile delle segreterie pensioni
F,to Dott.ssa Francesca Deni
Mamete
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da Mamete »

Certo che non bisogna mica avere una competenza finanziaria da genio per capire sta cosa , basta solo “leggere anche l’articolo 2” della legge e subito si chiarisce a chi è diretto l’articolo 1 !!! Semplice no ? :) . Ma non per l’INPS sembrerebbe [emoji23] che bel paese ...


Alessandro Curci
panorama
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Corte dei Conti Calabria Accoglie ( anche art. 3 )

applicazione dell’art.54.
--------------------------------------------------------------

1) - Il ricorrente è cessato dal rapporto di lavoro a far data dal 05/10/2014 con un'anzianità complessiva di servizio utile a pensione pari a 37 anni,

- ) - di cui 12 anni e 7 mesi maturati alla data del 31/12/1992

- ) - e, 16 anni 2 mesi maturati alla data del 31/12/1995,
------------------------------------------------------------------------------

Sezione CALABRIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2018 Numero 53 Pubblicazione 20/04/2018
------------------------------------------------------------------

R E P U B B L I C A I T A L I A N A
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Cons. Quirino Lorelli

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 53/2018

sul ricorso in materia di pensioni militari, iscritto al n.21603 del registro di segreteria, proposto da G. T., nato a Omissis, il Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Delfino

C O N T R O

I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, giusta memoria depositata il 23/2/2018;

uditi all’udienza del 13 aprile 2018, l’avv.to Santo Delfino per il ricorrente e l’avv. Francesco Muscari Tomaioli per l’INPS, esperito il tentativo di conciliazione come da verbale di udienza

F A T T O

Con atto introduttivo del presente giudizio, depositato il 22/1/2018, il sig. G. T., chiede a questa Corte dei conti di annullare la determinazione atto n. RC01 2014810297 del 28.11.2014, iscrizione. n.17491896 con la quale l'INPS sede di Reggio Calabria — gestione ex Inpdap - ha quantificato il trattamento di quiescenza, con particolare riferimento ai criteri adottati dall'Istituto di previdenza nel calcolare l'anzianità contributiva per la parte in "quota retributiva" della pensione, nonché avverso ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale. Chiede altresì di accertare e dichiarare il proprio diritto: alla corretta applicazione dell'aliquota del 44%, ex art. 54 D.P.R. n. 1092/1973, in luogo dell'errata applicazione dell'aliquota del 35%, ex art. 44, primo comma, dello stesso T.U. del 1973; all'applicazione del beneficio compensativo di cui all'art. 3, comma 7, del D. Lgs. 165/1997 e conseguentemente ordinare che l’I.N.P.S. - o i resistenti secondo chi di ragione e le proprie competenze - in persona del legale rappresentante p.t. provveda alla riliquidazione della pensione iscrizione n.17491896 del 28-11-2014, tenendo conto:
del corretto computo dell'ammontare dell'aliquota, secondo il criterio fissato dall'art. 44, secondo comma, DPR n. 1092/1973;

della corretta applicazione - dell'aliquota del 44%, ex art. 54 D.P.R. n. 1002/1973;

dell'applicazione del beneficio compensativo di cui all'art 3, comma 7, del D.L.gs 165/1997, con ogni ulteriore diritto in proprio favore compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo e con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.

Con memoria depositata il 23/2/2018 si è costituito in giudizio l’INPS, eccependo l'inammissibilità della pretesa rideterminazione del trattamento pensionistico, in relazione alla richiesta di annullare la determinazione n° RC012014810297 del 28/11/2014, con particolare riferimento ai criteri adottati dall'Istituto previdenziale nel calcolare l'anzianità contributiva per la parte in "quota retributiva" della pensione, al corretto computo dell'ammontare dell'aliquota del 44%, secondo il criterio fissato dal primo comma dell'articolo 54, del DPR n° 1092/1973.

Secondo l’INPS infatti alla data del 31/12/1992 il ricorrente vanta un'anzianità di servizio inferiore ai quindici anni stabiliti dal primo comma dell'articolo 54 del DPR 29 dicembre 1973, n° 1092 ai fini dell'applicazione dell'aliquota del 44%, rientrando invece, nel disposto dettato dal penultimo comma dello stesso articolo 54.

Il ricorrente è cessato dal rapporto di lavoro a far data dal 05/10/2014 con un'anzianità complessiva di servizio utile a pensione pari a 37 anni, di cui 12 anni e 7 mesi maturati alla data del 31/12/1992 e, 16 anni 2 mesi maturati alla data del 31/12/1995, la pensione spettante non può essere ritenuta quella maturata con un'anzianità contributiva di almeno quindici anni e non più di venti e rapportata ad un'aliquota di rendimento del 44 per cento, atteso che il disposto dettato dall'articolo 54 del DPR 1092 è chiaramente riferito alla pensione spettante al militare e non già alla quota di pensione determinata con il sistema retributivo.

Ritiene quindi l’ente previdenziale che la quota di pensione determinata con il sistema retributivo data dalla somma di due quote (quota "A" per le anzianità maturate fino alla data del 31/12/1992 e quota "B" per le anzianità contributive maturate entro la data del 31/12/1995) non possa essere valorizzata con un rendimento fisso ed invariabile del 44 per cento anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15esimo anno per il personale militare, posto che si verrebbe ad avere un rendimento annuo del 2,93 fino al 15esimo anno di servizio ed un rendimento pari allo zero per l'anzianità maturata dal 15esimo anno al 20esimo anno, diversamente opinando, per un soggetto che maturi un'anzianità di 20 anni si verrebbe a realizzare un'aliquota del 53 % data (15 anni = 44,00 + 5 anni x 1,8 = 9,00) e per un soggetto che maturi 40 anni un'aliquota di rendimento complessiva dell'89 per cento, data da (15 anni = 44,00 + 25 anni x 1,80 = 45,00) determinando un'aliquota superiore all'aliquota massima dell'80 per cento.

Quanto poi all’applicazione del beneficio di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n.165, l’INPS, parimenti, deduce la inammissibilità ovvero la infondatezza posto che il ricorrente, sarebbe cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto, con un servizio utile a pensione di 37 anni, di cui solo 12 anni e 7 mesi maturati fino alla data del 31-12-1992, quindi, senza aver maturato il requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, onde nessuna "esclusione" dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n.165 potrebbe trovare applicazione nel caso di specie.

Chiede quindi il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite.

All’udienza di discussione del 13/4/2018 il procuratore di parte ricorrente ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

D I R I T T O

1. La prima questione introdotta con il ricorso attiene alla richiesta di piena applicazione della previsione di cui all’art.54 del D.P.R. n.1092/1973, in luogo dell’applicazione della disposizione di cui all’art.44 del medesimo D.P.R.; al riguardo osserva in via pregiudiziale questo Giudicante che tale ultima disposizione non può in alcun caso trovare applicazione al personale militare, cui appartiene l’odierno ricorrente, trattandosi di disposizione espressamente ricompresa nel Titolo III, rubricato “Trattamento di quiescenza normale”, Capo I, rubricato “Personale civile”, mentre, correttamente, l’invocato art.54 rientra nel Capo II, rubricato “Personale militare”. Ne consegue che in alcun modo a tale disposizione può farsi riferimento ai fini del calcolo delle pensioni militari.

Ad ogni buon fine sul punto non ritiene questo Giudicante di doversi discostare dalle considerazioni e motivazioni espressa da questa Sezione nelle sentenze n.12, 43 e 44 del 2018.

L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che

“1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile

2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il ricorrente avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

Ritiene al riguardo l’INPS che l'art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20. Quindi secondo l’Istituto previdenziale sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante personale dello Stato.

Ritiene però questo Giudicante che l’INPS erroneamente parifica ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

L’art.54 detta – come già ricordato - una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.

In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80% per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80% della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D. Lgs. n. 503/1992 e consolidatosi con la Legge n. 335/1995.

Tale sistema ha previsto come la pensione dovesse essere determinata in parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A" corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto".

Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna. La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, posto che il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

*

2) Va poi analizzata la fondatezza della pretesa della applicazione dei benefici della c.d. ausiliaria anche al personale militare collocato in quiescenza prima del raggiungimento del limite anagrafico di età, sulla base di una accertata inidoneità a qualunque servizio (nell’ordinamento militare la c.d. riforma).

L’ausiliaria è una categoria del congedo che interessa il solo personale militare che, dopo la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età, previsto per il grado rivestito, manifesta la propria disponibilità ad essere chiamato nuovamente in servizio per lo svolgimento di attività in favore dell’amministrazione di appartenenza o di altre pubbliche amministrazioni statali e territoriali. L’ausiliaria è stata oggetto di recenti modifiche ad opera di interventi legislativi che si succeduti dal 2012 ad oggi (non ultima la legge di Stabilità del 2015); attualmente è prevista e disciplinata dagli articoli da 992 a 996 e dagli articoli 1864, 1870, 1871, 1876 del Codice dell’Ordinamento Militare (C.O.M., D. Lgs. n. 66/2010).

L’art. 992 del C.O.M. così dispone:

“1. Il collocamento in ausiliaria del personale militare avviene esclusivamente a seguito di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età previsto per il grado rivestito o a domanda, ai sensi dell'articolo 909, comma 4.

2. Il personale militare permane in ausiliaria per un periodo di 5 anni.

3. All'atto della cessazione dal servizio, il personale è iscritto in appositi ruoli dell'ausiliaria, da pubblicare annualmente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana con indicazione della categoria, del ruolo di appartenenza, nonché del grado rivestito. Le pubbliche amministrazioni statali e territoriali, limitatamente alla copertura delle forze in organico, possono avanzare formale richiesta al competente Ministero per l'utilizzo del suddetto personale, nell'ambito della provincia di residenza e in incarichi adeguati al ruolo e al grado rivestito.

4. Ai fini della corresponsione dell'indennità di ausiliaria, il personale, all'atto della cessazione dal servizio, manifesta, con apposita dichiarazione scritta, la propria disponibilità all'impiego presso l'amministrazione di appartenenza e le altre pubbliche amministrazioni.”.

In base all’attuale normativa, per essere collocati in ausiliaria occorre:

1) Appartenere al personale militare.

2) Aver cessato dal servizio per raggiunto limite di età.

3) Aver presentato domanda, all’atto della cessazione dal servizio e nei termini prescritti, manifestando per iscritto la disponibilità al richiamo.

4) Il possesso dell’idoneità psico-fisica, che consenta al militare di svolgere l’attività di impiego presso le amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta.

Durante il periodo di ausiliaria il militare non può assumere impieghi, né rivestire cariche, retribuite e non, presso imprese che hanno rapporti contrattuali con l’amministrazione militare, pena l’immediato passaggio nella categoria riserva, e perdita del relativo trattamento economico.

Il militare collocato in ausiliaria, percepisce una indennità in aggiunta al trattamento di quiescenza e, al termine del predetto periodo, ha diritto a vedersi liquidato un nuovo trattamento di quiescenza che è comprensivo anche del periodo di permanenza in ausiliaria.

L’indennità annua lorda percepita dal militare in ausiliaria è attualmente pari al 50% della differenza tra il trattamento di quiescenza percepito e il trattamento economico spettante nel tempo al pari grado in servizio dello stesso ruolo e con anzianità di servizio corrispondente a quella effettivamente posseduta dal militare all’atto del collocamento in ausiliaria.

L’art.3, comma 7 del D. Lgs. 30 aprile 1997, n. 165, stabilisce che:

“7. Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n.335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e per il personale delle Forze armate il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”

Nel caso di specie il ricorrente alla data di collocamento in quiescenza non risultava in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria in quanto gli è stata attribuita la pensione ordinaria di inabilità, giusta provvedimento di conferimento dell’INPS e considerato che egli era cessato dal servizio, per come si evince dal tenore del provvedimento di concessione anzidetto, per invalidità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro.

Quanto ai militari inquadrati nei ruoli in ausiliaria, la categoria comprende, ai sensi dell'art. 886 C.O.M., "il personale militare che, essendovi transitato nei casi previsti, ha manifestato all'atto del collocamento nella predetta posizione la propria disponibilità a prestare servizio nell'ambito del comune o della provincia di residenza presso l'amministrazione di appartenenza o altra amministrazione".

Il personale collocato in ausiliaria ex art. 992 C.O.M., è soggetto a possibili richiami in servizio ex art. 993 C.O.M. ed è soggetto agli obblighi di cui all'art. 994 C.O.M.

L'esame della suddetta disciplina, evidenzia dunque come il militare collocato in congedo assoluto per infermità non possa esser collocato in ausiliaria, considerata la sua assoluta inidoneità al servizio e dunque l'impossibilità di assolvere agli obblighi di servizio cui sono soggetti i militari in ausiliaria.

Questa Corte dei conti, in una recente decisione relativa ad un sottufficiale della Guardia di Finanza, ha ricordato come il legislatore abbia riconosciuto l'incremento del montante contributivo sia al "personale di cui all'art. 1 escluso dall'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età", che "al personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria", categoria quest'ultima nella quale evidentemente rientra l'ufficiale ricorrente, dichiarato non idoneo permanentemente al servizio d'istituto ex art. 929 del C.O.M. e, dunque, impossibilitato a prestare i conseguenti (pur delimitati ed eventuali) servizi d'Istituto e dunque ad accedere all'istituto dell'ausiliaria.

Ovviamente, considerate le ragioni dell'impossibilità normativo/oggettiva di collocamento del militare in ausiliaria, neppure può propriamente ipotizzarsi l'esercizio di un'opzione da parte dell'interessato, in quanto raggiunto da un provvedimento cogente di collocamento in congedo assoluto per inidoneità assoluta e permanente al servizio (cfr. Corte dei conti, Sez. giurisd. Molise, n.53/2017).

In questo senso l’I.N.P.S. nel proprio messaggio del 10 dicembre 2013 n. 20238, recante “Articolo 3, comma 7 del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 165 - Precisazioni in merito alle modalità applicative.”, non esclude, per come invece si pretenderebbe, una interpretazione letterale della norma, limitandosi a prevedere che “Al fine di superare ogni eventuale dubbio interpretativo in merito alle voci ricomprese nella base imponibile su cui calcolare la maggiorazione di cui alla disposizione in esame si rappresenta che la stessa corrisponde alla retribuzione contributiva percepita alla cessazione annualizzata, comprensiva della 13° mensilità, delle competenze accessorie per la parte eccedente il 18% e, qualora spettanti, degli scatti di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 165/1997.

Si precisa inoltre che, qualora non vi sia eccedenza o non vi sia trattamento accessorio, la base imponibile deve comunque tener conto della parte della retribuzione maggiorabile del 18%.”.

*

3) In conclusione il ricorso risulta meritevole di accoglimento, con conseguente condanna dell’INPS al ricalcolo del trattamento pensionistico facendo applicazione dei benefici in questione, nonché alla corresponsione degli arretrati sui ratei pensionistici già percepiti.

Sulle somme arretrate dovute spettano, in adesione ai criteri posti dalle Sezioni Riunite con la sentenza n.10/2002/QM, interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale, cumulativamente, nel senso però di una solo possibile integrazione degli interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (c.d. principio del cumulo parziale).

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità delle questioni dedotte e della assenza di un unitario orientamento di questa Corte dei conti.

P. Q. M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, Giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando

1) accoglie la domanda attorea, riconoscendo il diritto del ricorrente alla rideterminazione del trattamento previdenziale con applicazione dei benefici calcolati per come indicato in parte motiva ed a far data dalla presentazione della domanda amministrativa;

2) Condanna altresì l’INPS alla corresponsione dei conseguenti arretrati sui ratei pensionistici già percepiti, maggiorati di interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale, cumulativamente, nel senso di una solo possibile integrazione degli interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi. Spese compensate.

Così deciso in Catanzaro alla pubblica udienza del 13 aprile 2018.

Il giudice unico
f.to Quirino Lorelli


Depositata in segreteria il 18/04/2018


Il responsabile delle segreterie pensioni
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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Accolto per l'art. 54 e perso per l'art. 3.

Questa sentenza firmata dal giudice Guzzi.

Non so come fanno a fare i conti, perché, se arruolato in data 21 settembre 1994 e deceduto in data 11 giugno 2017, tra la data di arruolamento e l'avvenuto decesso, sono quasi 23 anni di servizio e non circa 27 anni.
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Ricorso portato avanti dalla vedova.

1) - il coniuge si è arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 21 settembre 1994 e, dopo circa 27 anni di servizio (nel grado di maresciallo capo), a seguito di sopravvenuta malattia, in data 11 giugno 2017 è deceduto.

2) - Con memoria in atti, l’INPS si è ritualmente costituito per eccepire, in via preliminare, il difetto di competenza territoriale di questa Sezione, atteso che all’atto della proposizione del ricorso la ricorrente era residente in Messina, e nel merito per contestare la domanda attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto.

3) - In via preliminare va delibata l’eccezione di competenza territoriale che controparte pubblica ha formulato sul presupposto che all’atto del ricorso, la sig.ra omissis fosse residente in Messina, ovvero in un Comune ubicato al di fuori del territorio sul quale questa Sezione vanta giurisdizione.

4) - L’eccezione deve essere considerata come non proposta e, per l’effetto, va accolta la controdeduzione difensiva di parte ricorrente.

5) - A norma dell’art. 151, comma 2, del c.g.c., l’eccezione per difetto di competenza per territorio si deve intendere ritualmente proposta se la parte che la solleva indica il giudice che invece viene ritenuto competente; in caso contrario, l’”eccezione si ha per non proposta”.

6) - Per il caso in questione, in effetti si ha che l’INPS non ha provveduto alla indicazione del giudice territorialmente competente, sicché la questione così come sollevata non può avere alcun effetto sulla procedibilità del ricorso.

7) - Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. omissis avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.
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Sezione CALABRIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2018 Numero 56 Pubblicazione 02/05/2018
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R E P U BB L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE DELLE PENSIONI
CONS. DOMENICO GUZZI

ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 56/2018

Sul il ricorso in materia di pensioni civili n. 21641 del registro di Segreteria, proposto da
- A. M. G., nata a omissis il Omissis, nella qualità di coniuge superstite del sig. omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Santo Delfino, presso il cui studio in Villa San Giovanni, via Zanotti Bianco n. 33, ha eletto domicilio,

contro
- l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Direzione di Reggio Calabria, in persona del suo Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, con i quali ha eletto domicilio in Catanzaro, via F. Acri n. 81, presso la sede dell’Avvocatura INPS territoriale.

Uditi all’udienza del 27 aprile 2018 l’avv. Santo Delfino per il ricorrente e l’avv. Giacinto Greco per l’INPS.

FATTO e DIRITTO

Con l’interposto gravame, la sig.ra A. M. G. agisce avverso la determinazione atto n. RC012017876268 del 27.07.2017 con la quale l'INPS sede di Reggio Calabria - gestione ex lnpdap - ha quantificato il trattamento di quiescenza iscritto al n. 17492105 e spettante al sig. omissis, coniuge deceduto e, dunque, dante causa dell’odierna ricorrente

A tal fine rappresenta che il coniuge si è arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 21 settembre 1994 e, dopo circa 27 anni di servizio (nel grado di maresciallo capo), a seguito di sopravvenuta malattia, in data 11 giugno 2017 è deceduto.

In conseguenza di ciò, il trattamento di pensione avrebbe dovuto essergli liquidato con l’applicazione dei benefici di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, anziché, come fatto dall’amministrazione previdenziale, facendo applicazione del sistema di calcolo di cui all’art. 44 dello stesso testo unico.

Il ricorrente chiede, inoltre, il rimborso degli arretrati maturati per l'applicazione dei benefici previsti dall'articolo 3, del D.Lgs n° 165/1997, sul presupposto che, cessato dal servizio per inidoneità assoluta, è stato escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria ex art. 992 del D.L.gs n° 66/2010.

Con memoria in atti, l’INPS si è ritualmente costituito per eccepire, in via preliminare, il difetto di competenza territoriale di questa Sezione, atteso che all’atto della proposizione del ricorso la ricorrente era residente in Messina, e nel merito per contestare la domanda attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto.

In udienza, il legale di parte ricorrente si è opposto alla declaratoria di incompetenza territoriale, in quanto non ritualmente eccepita da controparte.

Nel merito, ha insistito per l’integrale accoglimento del ricorso.

Il legale dell’Istituto previdenziale, invece, ha ribadito l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

Considerato in

D I R I T T O

In via preliminare va delibata l’eccezione di competenza territoriale che controparte pubblica ha formulato sul presupposto che all’atto del ricorso, la sig.ra omissis fosse residente in Messina, ovvero in un Comune ubicato al di fuori del territorio sul quale questa Sezione vanta giurisdizione.

L’eccezione deve essere considerata come non proposta e, per l’effetto, va accolta la controdeduzione difensiva di parte ricorrente.

A norma dell’art. 151, comma 2, del c.g.c., l’eccezione per difetto di competenza per territorio si deve intendere ritualmente proposta se la parte che la solleva indica il giudice che invece viene ritenuto competente; in caso contrario, l’”eccezione si ha per non proposta”.

Per il caso in questione, in effetti si ha che l’INPS non ha provveduto alla indicazione del giudice territorialmente competente, sicché la questione così come sollevata non può avere alcun effetto sulla procedibilità del ricorso.

Passando al merito, con il primo, la ricorrente chiede che il trattamento pensionistico di sua spettanza venga liquidato secondo il sistema di calcolo previsto dall’art. 54 del d. P.R. n. 1092 del 1973.

Il secondo capo di domanda fa, invece, riferimento all’asserito diritto di conseguire i benefici derivanti dall’applicazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 165/1997.

Orbene, ritiene questo giudice che il ricorso possa essere accolto parzialmente e solo con riguardo al primo capo di domanda per le ragioni di seguito esposte.

I. L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. omissis avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

Ritiene al riguardo l’INPS che l'art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad “attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20”.

Dal suo punto di vista, in pratica sarebbe sufficiente “porre mente al meccanismo delle aliquote percentuali. Fino a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1,8% sino al conseguimento dell'80% al 40esimo anno (che, tuttavia, per i militari era più veloce trattandosi di servizio utile e non effettivo, ove il servizio utile era contraddistinto dalle maggiorazioni)”.

In concreto, dunque, il “comma 1 dell'art. 54, quindi, non creava nuove aliquote annuali di calcolo, bensì si limitava a fornire un bonus a coloro che cessassero con anzianità compresa tra 15 e 20 anni di servizio.

Bonus variabile, chiaramente, in base all'anzianità superiore a 15 fino a 20. Per cui, chi cessava con 16 anni aveva un bonus di 1,8% x 4 anni, chi cessava a 17 anni un bonus di 1,8%, e così via”.

In definitiva, dunque, sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante personale dello Stato.

Questo giudice è di contrario avviso.

Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

Non è pertanto corretto sostenere, come fa invece l’INPS (sopra se ne è dato conto) che fino “a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5).

Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1'1,8% sino al conseguimento dell'80%......”, giacché così opinando non si coglie ciò che il chiaro tenore letterale della disposizione non può che portare a cogliere e cioè che il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.

In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80 per cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D.Lgs. n. 503/1992 e consolidatosi con la nota legge n. 335 dell’8 agosto 1995, sistema che ha, infatti, notoriamente previsto come la pensione dovesse essere determinata in parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A" corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto".

Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna.

La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

II. In merito alla richiesta di applicazione del beneficio compensativo di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n° 165/1997, con ogni ulteriore diritto a favore del ricorrente compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo, il ricorse deve essere invece respinto.

Il ricorrente è deceduto in attività di servizio e tuttavia la ricorrente ritiene che avrebbe comunque diritto ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare applicazione nel caso di specie.

L’ art. 3 del DLgs n. 165/1997, in attuazione della delega conferita ai sensi dell’ art. 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 662/96 (legge finanziaria 1997), ha introdotto rilevanti modifiche alla normativa riguardante la posizione di ausiliaria, sotto il profilo delle modalità di accesso, dei limiti di permanenza e dell’importo dell’indennità, prevedendo che in essa possa essere collocato il personale militare delle Forze Armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza giudicato idoneo a seguito di accertamento sanitario e a tale personale compete, e stabilendo che in aggiunta al trattamento pensionistico, a detto personale compete un’indennità pari all’80% della differenza tra la pensione percepita e la retribuzione spettante al pari grado in servizio.

Ora, i fini del presente giudizio e per risolvere la questione di diritto posta dalla ricorrente, non si può che denotare come, a proposito delle modalità di accesso, il citato art. 3, comma 1, abbia in buona sostanza escluso dalla possibilità di poter transitare in ausiliaria il personale militare che sia cessato dal servizio non per raggiunti limiti di età ma per inidoneità al servizio di istituto.

Il ricorrente, come detto, è cessato dal servizio per decesso e dunque viene a mancare il requisito oggettivo sopra indicato per la concessione del beneficio. Il ricorso va in conclusione parzialmente accolto, mentre per ciò che concerne le spese, la complessità delle questioni trattate induce a
disporne la compensazione integrale tra le parti in causa.

P.Q.M.

La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria,

ACCOGLIE

Il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto alla riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 sulla parte dell’assegno calcolata con il sistema retributivo.

Sui maggiori ratei spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

RESPINGE

Il ricorso per i restanti capi di domanda.

Spese compensate.

Manda alla Segreteria di provvedere agli adempimenti di rito.

Così deciso in Catanzaro il 27 marzo 2018

IL GIUDICE
f.to Domenico Guzzi


Depositata in Segreteria il 27/04/2018


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Re: ricalcolo pensione art 54 D.P.R.1092/1973.

Messaggio da panorama »

Accolto per l'art. 54 e perso per l'art. 3.

anche questa, firmata dal giudice Guzzi.

- ricorso iscritto al n. 21628
- ricorso iscritto al n. 21629
N.B.: la Corte li tratta con un unica sentenza.
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1) - il sig. A. T. agisce avverso la nota provvedimento 2500.26/01/2018.0028454, emessa dall’Istituto previdenziale per la reiezione dell’istanza che il ricorrente aveva presentato il 19 gennaio 2018 al fine di ottenere la rideterminazione del trattamento pensionistico in godimento.

2) - arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 1 ottobre 1982 e, dopo circa 32 anni di servizio (nel grado di maresciallo aiutante), di essere stato posto in congedo assoluto dal 14 dicembre 2011, a seguito di sopravvenuta inidoneità psico-fisica.
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Sezione CALABRIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI
Anno 2018 Numero 57 Pubblicazione 02/05/2018
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R E P U BB L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
IL GIUDICE DELLE PENSIONI
CONS. DOMENICO GUZZI

ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 57/2018

Sui ricorsi in materia di pensioni militari n. 21628 e n. 21629 del registro di Segreteria, proposti da
- A. T., nato a Omissis il Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Cesare Greco, ed elettivamente domiciliato in Omissis, in Omissis, presso lo studio dell’avv. Massimo Nunnari,

contro
- l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Direzione di Cosenza, in persona del suo Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, con i quali ha eletto domicilio in Catanzaro, via F. Acri n. 81, presso la sede dell’Avvocatura INPS territoriale.

Uditi all’udienza del 27 aprile 2018 l’avv. Cesare Greco per il ricorrente e l’avv. Giacinto Greco per l’INPS.

FATTO

Con il ricorso iscritto al n. 21628 del ruolo, il sig. A. T. agisce avverso la nota provvedimento 2500.26/01/2018.0028454, emessa dall’Istituto previdenziale per la reiezione dell’istanza che il ricorrente aveva presentato il 19 gennaio 2018 al fine di ottenere la rideterminazione del trattamento pensionistico in godimento.

A tal proposito rappresenta di essersi arruolato nel Corpo della Guardia di Finanza in data 1 ottobre 1982 e, dopo circa 32 anni di servizio (nel grado di maresciallo aiutante), di essere stato posto in congedo assoluto dal 14 dicembre 2011, a seguito di sopravvenuta inidoneità psico-fisica.

In conseguenza di ciò, il trattamento di pensione avrebbe dovuto essergli liquidato con l’applicazione dei benefici di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, anziché, come fatto dall’amministrazione previdenziale, facendo applicazione del sistema di calcolo di cui all’art. 44 dello stesso testo unico.

Con il ricorso iscritto al n. 21629 del ruolo, il ricorrente chiede, inoltre, il rimborso degli arretrati maturati per l'applicazione dei benefici previsti dall'articolo 3, del D.Lgs n° 165/1997, sul presupposto che, cessato dal servizio per inidoneità assoluta, è stato escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria ex art. 992 del D.L.gs n° 66/2010.

Con memoria depositata in atti, l’INPS si è ritualmente costituito per contestare la domanda attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto, e per chiedere che la stessa sia integralmente respinta.

In udienza, le parti intervenute hanno insistito, ciascuna per quanto di rispettiva competenza, per l’accoglimento delle conclusioni rispettivamente rassegnate in atti.

Considerato

D I R I T T O

In via preliminare va disposta la riunione dei due giudizi per evidenti ragioni di connessione sia soggettiva che oggettiva.

Come evidenziato in narrativa, i ricorsi in atti comprendono due differenti capi di domanda.

Con il primo, il ricorrente chiede che il suo trattamento pensionistico ordinario gli venga liquidato secondo il sistema di calcolo previsto dall’art. 54 del d. P.R. n. 1092 del 1973.

Il secondo fa, invece, riferimento all’asserito diritto di conseguire i benefici derivanti dall’applicazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 165/1997.

Orbene, ritiene questo giudice che il ricorso possa essere accolto parzialmente e solo con riguardo al primo capo di domanda per le ragioni di seguito esposte.

I. L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, commi 1 e 2, com’è noto prevede per il personale militare dello Stato un regime pensionistico più favorevole rispetto a quello disciplinato per il personale civile dall’art. 44 dello stesso testo unico, stabilendo che “1. La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile 2. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

Nel caso di specie, è indubbio che all’atto del pensionamento il sig. A. T. avesse maturato oltre 15 anni, ma anche più di 20 di servizio e tuttavia secondo l’Istituto controparte, la disposizione dallo stesso invocata non potrebbe trovare applicazione.

Ritiene al riguardo l’INPS che l'art. 54 non avrebbe innovato l’ordinario meccanismo delle aliquote di rendimento previsto dall’art. 44 citato, essendosi limitato ad “attribuire un ulteriore beneficio ristretto a coloro cessati con 15 anni ma non ancora 20”.

Dal suo punto di vista, in pratica sarebbe sufficiente “porre mente al meccanismo delle aliquote percentuali. Fino a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5). Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1,8% sino al conseguimento dell'80% al 40esimo anno (che, tuttavia, per i militari era più veloce trattandosi di servizio utile e non effettivo, ove il servizio utile era contraddistinto dalle maggiorazioni)”.

In concreto, dunque, il “comma 1 dell'art. 54, quindi, non creava nuove aliquote annuali di calcolo, bensì si limitava a fornire un bonus a coloro che cessassero con anzianità compresa tra 15 e 20 anni di servizio. Bonus variabile, chiaramente, in base all'anzianità superiore a 15 fino a 20. Per cui, chi cessava con 16 anni aveva un bonus di 1,8% x 4 anni, chi cessava a 17 anni un bonus di 1,8%, e così via”.

In definitiva, dunque, sembrerebbe che l’art. 54, comma 1, possa trovare applicazione per il solo personale militare che all’atto della cessazione del servizio non avesse ancora superato il 20° anno di servizio utile, mentre per coloro che lo avevano superato nessuna differenziazione si sarebbe potuta configura con il restante personale dello Stato.

Questo giudice è di contrario avviso.

Sul punto, risulta evidente la commistione che l’INPS erroneamente compie tra ambiti di disciplina tra di loro differenti al fine di omologare situazioni e personale tutt’altro che omologabili.

L’art. 54 detta, come lo stesso INPS peraltro riconosce, una disciplina di favore nei confronti del personale militare che non è prevista per i dipendenti civili dello Stato, disciplina che sancisce il diritto ad una pensione pari al 44 per cento della base pensionabile per coloro che siano cessati tra il 15° e il 20° anno di servizio.

Non è pertanto corretto sostenere, come fa invece l’INPS (sopra se ne è dato conto) che fino “a 15 anni si matura il 2,33% annuo, pervenendo al 35% con 15 anni. Dal 15esimo l'aliquota si riduce al 1,8%. Ne consegue che, al 20 anno di servizio, l'aliquota complessiva è pari al 44% (35% + 9% derivante da 1,80% x 5).

Dopo il 20esimo anno l'aliquota è sempre 1'1,8% sino al conseguimento dell'80%......”, giacché così opinando non si coglie ciò che il chiaro tenore letterale della disposizione non può che portare a cogliere e cioè che il 44 per cento della base pensionabile spetta al militare che cessi avendo compiuto 15 anni, dunque anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno e così fino al 20° anno di servizio utile.

In concreto e in estrema sintesi, volendo seguire il calcolo esemplificativo fatto dall’INPS, rapportando su base annua la percentuale di rendimento, se per il personale civile l’aliquota è in effetti del 2,33% annuo per i primi 15 anni in conformità all’art.44, comma 1, per il personale militare, invece, detta aliquota è del 2,93% (44%:15), giacché diversamente opinando non avrebbe avuto ragion d’essere la differenziazione operata dal legislatore tra le due categorie con il riconoscimento del vantaggio del 44% anche con un solo giorno in più di servizio oltre il 15° anno per il personale militare, vantaggio che, come già osservato, non è contemplato dall’art. 44, comma 1.

Superata tale soglia, è sì vero che la percentuale spettante è pari all’1,80 per cento per ogni anno di servizio, ma tale percentuale, come è agevole desumere dall’interpretazione anche in questo caso letterale della norma, è da calcolarsi in aggiunta a quella di cui al comma precedente, che ne risulta come dice il comma 2 “aumentata”, di tal che, ad esempio, il dipendente militare cessato con un anzianità di servizio di 21 anni, avrebbe avuto diritto ad una pensione pari al 45,80% della base pensionabile (44% fino a 20 anni + 1,80% per 1 anno), fermo restando, ovviamente, il limite massimo finale pari all’80 per cento della base pensionabile previsto anche per il personale militare dal comma 7 dell’art. 54 citato analogamente a quanto stabilito dall’art. 44, comma 1, per il personale civile.

Ovviamente, poiché il ricorrente aveva un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il relativo trattamento pensionistico non poteva che essere determinato, come in effetti avvenuto, in base al sistema previsto dal nuovo ordinamento pensionistico introdotto dal D.Lgs. n. 503/1992 e consolidatosi con la nota legge n. 335 dell’8 agosto 1995, sistema che ha, infatti, notoriamente previsto come la pensione dovesse essere determinata in parte secondo il sistema retributivo per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996, ovvero, a partire dal 1993, dalla somma della "quota A" corrispondente "all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo” la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile" e della "quota B" corrispondente "all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto".

Ne consegue che quanto in precedenza dedotto in ordine all’art. 54 non può che valere per la parte della pensione spettante in quota A, ovverosia per la parte della pensione calcolata sulla scorta del sistema retributivo, che deve dunque essere ricalcolata tenendo conto della aliquota di rendimento prevista dalla norma in rassegna.

La cui applicazione, peraltro, viene anche fatta salva dalla citata disciplina di riforma del sistema pensionistico, se è vero come è vero che, come sopra evidenziato, il calcolo della pensione deve essere effettuato secondo le norme vigenti al momento della entrata in vigore della legge n 335 del 1995.

II. In merito alla richiesta di applicazione del beneficio compensativo di cui all'articolo 3, comma 7 del decreto legislativo n° 165/1997, con ogni ulteriore diritto a favore del ricorrente compreso il riconoscimento, la liquidazione e pagamento degli arretrati, degli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge dal dovuto al soddisfo, il ricorse deve essere invece respinto.

Il ricorrente è cessato dal servizio per inidoneità permanente al servizio militare e d'istituto e senza aver maturato nessun requisito espressamente previsto per il collocamento in ausiliaria, pertanto, nessuna "esclusione " dalla posizione di ausiliaria o in alternativa ai benefici dell'articolo 3, comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1997, n° 165 può trovare applicazione nel caso di specie.

L’ art. 3 del DLgs n. 165/1997, in attuazione della delega conferita ai sensi dell’ art. 1, commi 97, lettera g), e 99, della legge 662/96 (legge finanziaria 1997), ha infatti introdotto rilevanti modifiche alla normativa riguardante la posizione di ausiliaria, sotto il profilo delle modalità di accesso, dei limiti di permanenza e dell’importo dell’indennità, prevedendo che in essa possa essere collocato il personale militare delle Forze Armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza giudicato idoneo a seguito di accertamento sanitario, stabilendo che in aggiunta al trattamento pensionistico, a detto personale compete un’indennità pari all’80% della differenza tra la pensione percepita e la retribuzione spettante al pari grado in servizio.

Ora, i fini del presente giudizio e per risolvere la questione di diritto posta dal ricorrente, non si può che denotare come, a proposito delle modalità di accesso, il citato art. 3, comma 1, abbia in buona sostanza escluso dalla possibilità di poter transitare in ausiliaria il personale militare che sia cessato dal servizio non per raggiunti limiti di età ma per inidoneità al servizio di istituto.

Il ricorrente, come detto, è stato dispensato dal servizio attivo per inidoneità, sicché lo stesso non vantava il requisito soggettivo per il collocamento in ausiliaria e, dunque, per il conseguimento degli effetti economici per come preteso in domanda.

Il ricorso va in conclusione parzialmente accolto, mentre per ciò che concerne le spese, la complessità delle questioni trattate induce a disporne la compensazione integrale tra le parti in causa.

P.Q.M.

La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria, riuniti i ricorsi in epigrafe, riuniti i giudizi in epigrafe,

ACCOGLIE

La domanda di cui al ricorso n. 21628 e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto alla riliquidazione della pensione con applicazione dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 sulla parte dell’assegno calcolata con il sistema retributivo.

Sui maggiori ratei spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento.

RESPINGE

La domanda di cui al ricorso n. 21629.

Spese compensate.

Manda alla Segreteria di provvedere agli adempimenti di rito.

Così deciso in Catanzaro il 27 aprile 2018.

IL GIUDICE
f.to Domenico Guzzi


Depositata in Segreteria il 27/04/2018


p. Il Responsabile di cancelleria
f.to Salvatore Coschina
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