Riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957

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Riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957

Messaggio da panorama »

Ispettore capo della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° dicembre 2007, riferisce che nel corso della carriera gli erano state comminate due sanzioni disciplinari:

1) - Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.

2) - Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.

IL TAR scrive (ecco alcuni brani):

3) - Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.

4) - Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.

Il resto leggetelo qui sotto.
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26/05/2014 201400245 Sentenza 1


N. 00245/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00516/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 516 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Pescara, via L'Aquila, 9;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo c/ S. Domenico;

per l'annullamento
del decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente; nonchè degli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il dott. Michele Eliantonio e udito l'avv. OMISSIS per la parte ricorrente; nessuno comparso per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’attuale ricorrente, Ispettore capo della Polizia di Stato in quiescenza dal 1° dicembre 2007, riferisce che nel corso della carriera gli erano state comminate due sanzioni disciplinari:
- la prima, il 21 luglio 1997 (pena pecuniaria di 1/30) per aver subito presso la propria abitazione il furto della pistola d’ordinanza;
- la seconda, il 16 agosto 2005 (pena pecuniaria di 1/30) per aver smarrito il portatessere in dotazione, con il relativo contenuto.
Riferisce, altresì, di aver chiesto con istanza del 30 gennaio 2012 di accedere al beneficio della riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Con il ricorso in esame ha impugnato il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto tale istanza, sulla base nella sostanza della considerazione che “non vi è stato un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.

Nell’impugnare anche tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali 27 settembre 2012 del Consiglio centrale di disciplina e 8 agosto 2013 della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato, ha dedotto le seguenti censure:

1) che, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”), l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto, dato che i requisiti di ammissione al beneficio non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale;

2) che il predetto parere della Commissione per il personale del ruolo degli Ispettori di Polizia di Stato era illegittimo in quanto in circa due ore erano state esaminate 113 istanze ed in quanto aveva partecipato a tale Commissione il dr. OMISSIS, che già aveva espresso parere negativo in sede di esame dell’istanza del ricorrente da parte del Consiglio centrale di disciplina.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, depositando oltre a tutti gli atti del procedimento anche una relazione dell’Amministrazione in ordine alle censure dedotte.

Con ordinanza collegiale 23 gennaio 2014, n. 13, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amministrazione intimata di riprovvedere in merito.

Alla pubblica udienza del 22 maggio 2014 il difensore del ricorrente ha dichiarato che allo stato l’Amministrazione non aveva ancora assunto alcun ulteriore provvedimento in ottemperanza al predetto ordine di riesame. La causa è stata, quindi, trattenuta a decisione.

DIRITTO

L’art. 87 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, dispone testualmente che “trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di «ottimo», possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa”.

Con il ricorso in esame - come sopra esposto - è stato impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, il decreto del 10 ottobre 2013, con il quale il Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di riabilitazione presentata dal ricorrente.

Tale atto impugnato è motivato con riferimento unicamente alla considerazione che non vi era stato “un adeguato periodo di servizio” (poco più di due anni dalla sanzione al collocamento in quiescenza), nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”.

Tale motivazione posta a sostegno dell’atto impugnato non si sottrae, ad avviso del Collegio, alle censure di legittimità dedotte con il gravame e con le quali l’istante si è nella sostanza lamentato del fatto che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio, avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto.

Va al riguardo premesso che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la riabilitazione - così come anche la riammissione in servizio - costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della P.A. che sfugge al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, purché non sia inficiata da evidenti vizi logici; perciò la latitudine della discrezionalità di pertinenza dell’Amministrazione, chiamata a valutare comparativamente l’interesse del richiedente con gli interessi pubblici coinvolti, restringe il sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità entro i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. I, parere n. 366/2014 del 31/01/2014).

In altri termini, l’Amministrazione, in sede di esame di istanze come quella ora all’esame, gode di una discrezionalità particolarmente ampia, che non può neanche ritenersi confinata al vaglio delle condotte tenute dall’istante negli ultimi due anni, dovendo essere contestualmente tenute presenti anche la natura e gravità della precedente condotta del dipendente che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare (Cons. St, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6922). E sul piano processuale ciò comporta, secondo principi consolidati, che il sindacato al riguardo esperibile dal giudice amministrativo resta confinato al riscontro di eventuali profili di abnormità e illogicità manifeste, essendo esclusa ogni possibilità di invadere il merito del giudizio riservato all’autorità amministrativa.

Ciò detto, va anche ricordato che in via generale la richiesta dell’Amministrazione di attendere un periodo di tempo maggiormente congruo per dimostrare concretamente l’eventuale riacquisizione, da parte di un dipendente sottoposto a sanzione disciplinare, di quelle spiccate qualità morali che sono richieste ad ogni appartenente alla Polizia di Stato costituisce espressione di un apprezzamento ampiamente discrezionale che la p.a. compie, suscettibile - come già detto - di essere sindacato solo per manifesta illogicità od irrazionalità (Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8285).

Fatte tali premesse e per passare all’esame del caso di specie, va evidenziato che l’istante dopo l’irrogazione dell’ultima sanzione disciplinare (del 16 agosto 2005) ha svolto, prima di essere collocato in quiescenza (il 1° dicembre 2007), poco più di due anni di servizio, riportando un giudizio non inferiore ad “ottimo”: il dipendente, cioè, era di certo in possesso dei predetti requisiti minimi richiesti dal predetto art. 87 per ottenere la riabilitazione.

Ora, essendo il ricorrente in possesso di tali requisiti, ad avviso del Collegio, l’Amministrazione non avrebbe potuto negare il beneficio richiesto perché non vi era stato “un adeguato periodo di servizio”, nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinare a carico”, dato che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale avrebbe dovuto in realtà valutare in concreto le qualità morali e la complessiva condotta del dipendente.

Inoltre, va anche osservato che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico.

In definitiva, ritiene il Collegio che la predetta motivazione, proprio perche relativa ad un dipendente in quiescenza, sia manifestamente illogica ed irrazionale in quanto non potrà mai dimostrare alcun ulteriore “ravvedimento”, dato che non possono essere inflitte sanzioni disciplinari al personale non più in servizio, dal momento che l’Amministrazione mantiene il potere di concludere i procedimenti disciplinari anche nei riguardi di dipendenti collocati in quiescenza solo in ipotesi del tutto particolari (come il valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale per il periodo di sospensione cautelare).

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato; mentre restano, ovviamente, salve le ulteriori ed, in ipotesi, meglio motivate determinazioni che l’Amministrazione dovrà adottare in merito.

Sussistono, infine, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre una parziale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato del decreto del 10 ottobre 2013 del Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento a favore del ricorrente delle spese e degli onorari di giudizio che, per la parte non compensata, liquida nella complessiva somma di € 2.000 (duemila), oltre agli accessori di legge (spese generali, IVA e CAP) ed al rimborso del contributo unico se versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente, Estensore
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/05/2014


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Re: Riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 19

Messaggio da panorama »

Questa è la continuazione di quella di cui sopra.

Quando l'Amministrazione è dura e fa orecchie "sorde".
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1) - Chiede ulteriormente l’accertamento del suo diritto a conseguire la riabilitazione e la condanna del Ministero resistente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

IL TAR precisa:

2) - È cioè evidente che, una volta che la norma ha fissato, in via generale ed astratta, il periodo che legittima la presentazione dell’istanza in due anni, l’amministrazione ne può ritenere l’insufficienza solo in concreto, e cioè facendo uso di quel potere discrezionale, che viene rivendicato ma in fin dei conti non esercitato, di valutazione di tutti gli elementi rilevanti per l’espressione del giudizio di meritevolezza o meno del beneficio.

3) - È infatti evidente che il fatto di essere in servizio non priva il dipendente del diritto ad ottenere una motivazione congrua del diniego, ed è parimenti evidente che tale congruità può essere valutata solo alla luce della situazione specifica, essendo manifestamente diverse le esigenze motivazionali in ordine alla brevità del periodo di servizio se riferita ad un fatto grave e recente piuttosto che ad un fatto più lieve e remoto.
- ) - Si tratta perciò di applicare in ogni caso i medesimi principi alle varie situazioni, e quindi di effettuare valutazioni concrete illustrando le ragioni in base alle quali, nelle singole fattispecie, un determinato periodo di servizio (comunque superiore ai due anni) sia ritenuto, alla luce di ogni altra circostanza, troppo breve per consentire un giudizio di meritevolezza.

4) - La necessità di considerare la fattispecie nella sua concretezza perciò imponeva, alla luce di quanto statuito nella sentenza 245, di dare adeguato rilievo anche al fatto che il ricorrente era ormai fuori dal servizio e non avrebbe perciò più potuto maturare (a differenza di chi è ancora dipendente) ulteriori periodi “utili” per aspirare ad una nuova valutazione.
- ) - Non sembra perciò irrilevante, ai fini della suddetta valutazione, la circostanza che, allorché il procedimento è stato definito, erano passati oltre 17 anni dalla prima sanzione e 9 dalla seconda, e quindi un tempo comunque adeguato a consentire un giudizio sul grado di affievolimento dell’interesse dell’Amministrazione a mantenere gli effetti delle sanzioni irrogate alla luce, torna a ribadirsi, delle altre caratteristiche della fattispecie.

5) - In considerazione della evidenziata discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nell’esame del merito della richiesta, è invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto a conseguire la riabilitazione.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di PESCARA ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201500299, - Public 2015-07-10 -


N. 00299/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00016/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 16 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Pescara, Via L'Aquila, N.9;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la sede della stessa domiciliata ope legis in L'Aquila, Via Buccio di Ranallo C/ S. Domenico;

per l'annullamento
del decreto del 17 ottobre 2014 con il quale il Direttore Centrale per le Risorse Umane del Dipartimento per la Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno non ha accolto l'istanza del ricorrente di essere ammesso a godere del beneficio della riabiliatazione riguardo a sanzioni disciplinari inflitte; dei verbali in data 13/03/2014 e 02/10/2014 nella parte in cui il Consiglio Centrale di Disciplina ha espresso parere contrario all'accoglimento della suddetta istanza; nonché di ogni altro atto preordinato, propedeutico, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 il dott. Alberto Tramaglini e uditi per le parti i difensori l'avv. OMISSIS, su delega dell'avv. OMISSIS, per la parte ricorrente, l'avv. distrettuale dello Stato Domenico Pardi per l'Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 - Costituisce oggetto di impugnazione il decreto 17 ottobre 2014 con cui il Ministero resistente ha respinto l’istanza di riabilitazione disciplinare presentata dal ricorrente ex art. 87 d.p.r. n. 3/1957.

Va evidenziato che il ricorrente, già Ispettore Capo della Polizia di Stato cessato dal servizio il 1° dicembre 2007, in data 30 gennaio 2012 aveva inoltrato istanza per accedere al beneficio della riabilitazione in relazione a due sanzioni disciplinari (ex art. 4 d.p.r. 737/1981, entrambe consistenti nella pena pecuniaria pari a 1/30 di una mensilità dello stipendio), rispettivamente irrogate il 21 luglio 1997 (per aver subito presso la propria abitazione il furto della pistola d’ordinanza) ed il 16 agosto 2005 (per aver smarrito il portatessere in dotazione con il relativo contenuto).

L’istanza (che aveva ricevuto il parere favorevole del Questore di Chieti) veniva respinta con decreto 10 ottobre 2013 del Direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della Pubblica Sicurezza sulla base della considerazione che il tempo intercorso (poco più di due anni) tra l’ultima sanzione ed il collocamento in quiescenza non integrava “un adeguato periodo di servizio” che potesse “dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinari a carico”.

Il suddetto diniego veniva impugnato davanti a questa Sezione che dapprima accoglieva la domanda cautelare (ord. 23 gennaio 2014, n. 13) e quindi annullava il provvedimento con sentenza 26 maggio 2014 n. 245.

Richiamato l’art. 87 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il D.P.R. 10 gennaio1957 n. 3 (“trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di «ottimo», possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva; possono altresì essere modificati i giudizi complessivi riportati dall’impiegato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa”), nella decisione di merito la Sezione osservava che “la motivazione posta a sostegno dell’atto impugnato non si sottrae, ad avviso del Collegio, alle censure di legittimità dedotte con il gravame e con le quali l’istante si è nella sostanza lamentato del fatto che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale, essendo il ricorrente in possesso dei requisiti minimi per accedere al beneficio, avrebbe dovuto valutare in concreto la possibilità di accordare o meno il beneficio richiesto”.

L’istanza è stata quindi riesaminata dall’Amministrazione, dapprima (13 marzo 2014) dal Consiglio centrale di disciplina in esecuzione dell’ordinanza cautelare e quindi dalla Commissione per il personale (2 ottobre 2014), che ha preso in considerazione anche la sentenza 245/2014. Entrambi gli organismi predetti, muovendo dal rilievo che la maturazione dei requisiti normativi non determina “alcun dovere dell’Amministrazione in ordine alla concessione del beneficio”, da un lato hanno ritenuto ricevibile l’istanza (essendo trascorsi almeno due anni dall’ultima sanzione ed avendo l’interessato riportato in tale periodo il giudizio di ottimo) e dall’altro hanno ribadito le già censurate ragioni di diniego. Si è tornato a sostenere, in particolare, che la brevità del tempo intercorso dalla data dell’ultimo provvedimento disciplinare a quella di cessazione dal servizio “ha impedito al dipendente di evidenziare quel concreto ravvedimento tale da renderlo meritevole dell’istituto premiale”.

Il ricorrente chiede l’annullamento del nuovo diniego adottato sulla scorta di tali pareri in via principale rilevando che l’atto è fondato su motivazione già dichiarata illegittima. Chiede ulteriormente l’accertamento del suo diritto a conseguire la riabilitazione e la condanna del Ministero resistente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno che ha ribadito il carattere discrezionale della concessione della riabilitazione già espresso nei suddetti pareri.

2 – Le deduzioni dell’Amministrazione, ed in particolare quelle espresse nella relazione ministeriale depositata in giudizio, nella misura in cui insistono sull’inesistenza di qualsiasi automatismo tra le condizioni di ricevibilità dell’istanza (“trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di ‘ottimo’…) e l’accoglimento della medesima e sottolineano il carattere ampiamente discrezionale della concessione del beneficio, tornano a sollevare questioni già adeguatamente considerate nella sentenza 245/2014 in quanto espresse in termini pressoché identici nel provvedimento annullato e negli atti consultivi presupposti.

La predetta sentenza aveva infatti evidenziato “che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la riabilitazione -così come anche la riammissione in servizio- costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della P.A. che sfugge al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, purché non sia inficiata da evidenti vizi logici; perciò la latitudine della discrezionalità di pertinenza dell’Amministrazione, chiamata a valutare comparativamente l’interesse del richiedente con gli interessi pubblici coinvolti, restringe il sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità entro le i confini della verifica di eventuali indici di eccesso di potere per travisamento di fatti ed illogicità manifesta (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. I, parere n. 366/2014 del 31/01/2014)”, per cui l’Amministrazione spende argomentazioni per rivendicare un potere discrezionale che non è contestato ed è stato anzi esplicitamente riconosciuto dalla sentenza che si trattava di ottemperare.

Ciò che l’Amministrazione continua a fraintendere, allorché ripropone (tanto in questa sede tanto in quella procedimentale) un ragionamento già disatteso, è che l’esercizio della suddetta discrezionalità implica l’esame del merito dell’istanza (“che non può neanche ritenersi confinata al vaglio delle condotte tenute dall’istante negli ultimi due anni, dovendo essere contestualmente tenute presenti anche la natura e gravità della precedente condotta del dipendente che ha portato all’irrogazione della sanzione disciplinare”: così la sentenza 245/2014), e cioè la considerazione delle concrete caratteristiche del caso (gravità dei fatti, entità della sanzione, condotta complessiva del richiedente…), in assenza della quale ogni rilievo in ordine alla sufficienza del periodo di servizio successivo all’ultima sanzione finisce per rivelarsi privo di un qualsiasi sostegno.

È cioè evidente che, una volta che la norma ha fissato, in via generale ed astratta, il periodo che legittima la presentazione dell’istanza in due anni, l’amministrazione ne può ritenere l’insufficienza solo in concreto, e cioè facendo uso di quel potere discrezionale, che viene rivendicato ma in fin dei conti non esercitato, di valutazione di tutti gli elementi rilevanti per l’espressione del giudizio di meritevolezza o meno del beneficio.

In tali termini si è già espressa la sentenza 245/2014 che, dopo aver “ricordato che in via generale la richiesta dell’Amministrazione di attendere un periodo di tempo maggiormente congruo … costituisce espressione di un apprezzamento ampiamente discrezionale che la p.a. compie, suscettibile - come già detto - di essere sindacato solo per manifesta illogicità od irrazionalità (Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8285)”, ha statuito che “essendo il ricorrente in possesso di tali requisiti, ad avviso del Collegio, l’Amministrazione non avrebbe potuto negare il beneficio richiesto perché non vi era stato “un adeguato periodo di servizio”, nel quale l’ex dipendente aveva “potuto dimostrare un concreto ravvedimento attraverso l’oggettiva assenza di rilevi disciplinari a carico”, dato che i requisiti di ammissione al beneficio (due anni dalla data di irrogazione della sanzione e giudizio non inferiore ad “ottimo”) non avrebbero potuto essere oggetto di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione, la quale avrebbe dovuto in realtà valutare in concreto le qualità morali e la complessiva condotta del dipendente”.

È il caso di ribadire che non si intende sostenere che la valutazione del fattore temporale sia immancabilmente preclusa: si vuole al contrario evidenziare che l’amministrazione procedente può ben ritenere che un solo biennio di servizio costituisca un tempo troppo breve perché siano “resi nulli gli effetti” della sanzione, ma ciò può fare solo nell’ambito di un giudizio che tenga conto delle “qualità morali e (del) la complessiva condotta del dipendente”, e quindi dell’entità delle infrazioni disciplinari, della gravità dei fatti, della loro natura dolosa o colposa, della personalità del soggetto e dei vari elementi rilevanti ai fini dell’effettuazione del giudizio di meritevolezza del beneficio.

In assenza di tale complessiva valutazione, l’affermazione che tale è il “criterio … che, insieme ad altri, sta alla base delle decisioni di questo Consiglio” (così il verbale del parere 27 settembre 2012, che evidenzia come l’Amministrazione concepisca tale criterio in termini del tutto astratti) è evidentemente inadeguata a dar conto del caso concreto, così reiterandosi il palese difetto di motivazione visto che il nuovo provvedimento non contiene alcun elemento significativo che lo differenzi da quello annullato dalla sentenza 245/2014. Il passaggio sopra richiamato rende infatti evidente che il nuovo atto ha riprodotto con identiche espressioni la motivazione già giudicata “manifestamente illogica ed irrazionale”, sì da rendere manifesta la violazione del giudicato censurata dal ricorrente.

Il Ministero non ha dato alcun rilievo nemmeno al passaggio motivazionale della sentenza 245 che evidenziava “che appare, per altro verso, illogica una motivazione, come quella sopra ricordata, formulata nei confronti di un dipendente che è già stato collocato in quiescenza, dato che questi non può più dimostrare un ulteriore concreto “ravvedimento” attraverso l’assenza per un periodo più lungo di rilevi disciplinare a carico”, visto che ripropone negli stessi termini quanto già espresso negli atti annullati dalla sentenza 245: “qualora il Consesso intendesse determinarsi in senso favorevole, di fatto tale situazione produrrebbe una evidente disparità di trattamento tra la posizione dell’odierno istante e quella di altro dipendente, però in servizio, al quale, dopo solo due anni, anche se punito con sanzione di minor gravità, non viene concesso il beneficio della riabilitazione per le motivazioni poste alla base del presente parere, ovvero perché il poco tempo trascorso … non è sufficiente per dimostrare un concreto ravvedimento operoso…” (parere del Consiglio di disciplina), così evidenziando il persistere nel profilo di illogicità messo in evidenza nella precedente decisione.

È infatti evidente che il fatto di essere in servizio non priva il dipendente del diritto ad ottenere una motivazione congrua del diniego, ed è parimenti evidente che tale congruità può essere valutata solo alla luce della situazione specifica, essendo manifestamente diverse le esigenze motivazionali in ordine alla brevità del periodo di servizio se riferita ad un fatto grave e recente piuttosto che ad un fatto più lieve e remoto. Si tratta perciò di applicare in ogni caso i medesimi principi alle varie situazioni, e quindi di effettuare valutazioni concrete illustrando le ragioni in base alle quali, nelle singole fattispecie, un determinato periodo di servizio (comunque superiore ai due anni) sia ritenuto, alla luce di ogni altra circostanza, troppo breve per consentire un giudizio di meritevolezza.

La necessità di considerare la fattispecie nella sua concretezza perciò imponeva, alla luce di quanto statuito nella sentenza 245, di dare adeguato rilievo anche al fatto che il ricorrente era ormai fuori dal servizio e non avrebbe perciò più potuto maturare (a differenza di chi è ancora dipendente) ulteriori periodi “utili” per aspirare ad una nuova valutazione. Non sembra perciò irrilevante, ai fini della suddetta valutazione, la circostanza che, allorché il procedimento è stato definito, erano passati oltre 17 anni dalla prima sanzione e 9 dalla seconda, e quindi un tempo comunque adeguato a consentire un giudizio sul grado di affievolimento dell’interesse dell’Amministrazione a mantenere gli effetti delle sanzioni irrogate alla luce, torna a ribadirsi, delle altre caratteristiche della fattispecie.

In quanto manifestamente illegittimo alla luce dei vari profili censurati in ricorso, il provvedimento impugnato va quindi annullato.

In considerazione della evidenziata discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nell’esame del merito della richiesta, è invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto a conseguire la riabilitazione.

La palese illegittimità dell’atto impugnato comporta la condanna del Ministero resistente al rimborso alla controparte delle spese e competenze di giudizio relative alla domanda impugnatoria, che si liquidano nella complessiva somma di € 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (spese generali, IVA, CAP, contributo unico versato).

Va invece respinta, in quanto l’esito della domanda di accertamento impedisce di considerare l’Amministrazione totalmente soccombente, la domanda risarcitoria proposta ex art. 96 c.p.c.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei termini indicati in motivazione e per l’effetto annulla l’atto impugnato. Condanna il Ministero resistente al rimborso delle spese di giudizio come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Alberto Tramaglini, Consigliere, Estensore
Massimiliano Balloriani, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 09/07/2015
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Re: Riabilitazione di cui all’art. 87 del D.P.R. n. 3 del 1957

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