R.I.A. SENTENZA NR 4/2024 CORTE COSTITUZIONALE

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R.I.A. SENTENZA NR 4/2024 CORTE COSTITUZIONALE

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N. 4 SENTENZA 6 dicembre 2023- 11 gennaio 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego pubblico - Trattamento economico - Retribuzione individuale
di anzianita' (RIA) - Maggiorazione riconosciuta dagli accordi di
comparto per il triennio 1988-1990, poi prorogato al 1993 -
Successiva novella, innovativa e con efficacia retroattiva, che
priva di effetto la proroga, salvi i giudicati gia' maturati -
Violazione dei principi, costituzionali e convenzionali, del giusto
processo e della parita' delle parti in giudizio - Illegittimita'
costituzionale.
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 51, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, primo e secondo
comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6.
(GU n.3 del 17-1-2024 )


LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:
Presidente:Augusto Antonio BARBERA;
Giudici :Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,
Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI,
Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma
3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001)», promosso dal Consiglio di Stato, sezione seconda,
nel procedimento vertente tra L. B. e altri e il Ministero della
difesa e altri, con ordinanza del 3 maggio 2023, iscritta al n. 76
del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2023.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023 il Giudice
relatore Marco D'Alberti;
deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 3 maggio 2023, iscritta al n. 76 del
registro ordinanze 2023, il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111,
commi primo e secondo, e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)».
La disposizione censurata dispone che «[l]'articolo 7, comma 1,
del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta
nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 - 31 dicembre 1990, non
modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la
maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E' fatta
salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della
presente legge».
1.1.- Il Consiglio di Stato espone di dover decidere sull'appello
contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, sezione prima bis, 1° settembre 2014, n. 9255, che ha respinto
il ricorso proposto da seicentocinquantotto dipendenti del Ministero
della difesa per il riconoscimento di maggiorazioni della
retribuzione individuale di anzianita' (RIA), ai sensi dell'art. 9,
commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio
1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti
dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 settembre 1989
concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di
cui all'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo
1986, n. 68).
Il giudice rimettente riferisce che i ricorrenti avevano agito
dinanzi al TAR Lazio per l'accertamento del relativo diritto alle
maggiorazioni della RIA maturate negli anni 1991, 1992 e 1993,
facendo valere la proroga al 31 dicembre 1993 dell'efficacia
dell'intero d.P.R. n. 44 del 1990, la quale era stata disposta
dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384
(Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico
impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito, con
modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438.
Il TAR Lazio, nella menzionata sentenza n. 9255 del 2014, ha
rigettato le pretese dei ricorrenti dando atto della sopravvenienza,
nelle more del giudizio, della disposizione oggetto dell'odierno
incidente di costituzionalita' (art. 51, comma 3, della legge n. 388
del 2000), la quale ha espressamente escluso che la proroga al 31
dicembre 1993 dell'intera disciplina contenuta nel d.P.R. n. 44 del
1990 potesse estendere anche il termine per la maturazione
dell'anzianita' di servizio ai fini dell'ottenimento della
maggiorazione della RIA.
Avverso tale decisione hanno proposto appello dinanzi al
Consiglio di Stato novantadue ricorrenti, i quali hanno contestato,
tra l'altro, l'erronea applicazione della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo sulle leggi aventi efficacia
retroattiva, chiedendo, in via subordinata, che venisse sollevata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della
legge n. 388 del 2000, poiche' la disposizione avrebbe interferito
con la funzione giurisdizionale e con il diritto di agire e di
difendersi in giudizio, ponendosi altresi' in contrasto con i
principi della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative,
del divieto di ingiustificate disparita' di trattamento, della tutela
dell'affidamento e della certezza del diritto.
1.2.- Il Consiglio di Stato ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge n. 388
del 2000, ritenendo che la disposizione censurata, «sebbene formulata
in termini astratti, appare in realta' preordinata a condizionare,
con l'efficacia propria delle disposizioni interpretative, l'esito
dei giudizi ancora in corso in quella materia».
In particolare, il rimettente ha precisato che prima
dell'adozione della disposizione censurata, si era affermato un
orientamento giurisprudenziale secondo cui l'art. 7, comma 1, del
d.l. n. 384 del 1992, come convertito, - avendo prorogato l'efficacia
dell'intera disciplina di cui al d.P.R. n. 44 del 1990 - aveva
modificato anche la data originariamente stabilita per la maturazione
dell'anzianita' di servizio ai fini della maggiorazione della RIA,
con conseguente riconoscimento del diritto dei dipendenti pubblici ad
ottenere tale maggiorazione pure in caso di raggiungimento
dell'anzianita' di servizio successivamente al 31 dicembre 1990 (e'
richiamata, tra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione
quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522).
Alla luce di tale orientamento, e stante la pendenza di diversi
ricorsi collettivi promossi da dipendenti pubblici per il
riconoscimento del diritto alla maggiorazione della RIA, ad avviso
del giudice rimettente l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del
2000, sarebbe intervenuto al fine di «negare il beneficio a coloro
che avessero maturato le anzianita' necessarie per il computo delle
maggiorazioni successivamente alla data del 31 dicembre 1990 anche
per chi avesse gia' un giudizio in corso, facendo salva solo
l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi alla data della sua entrata
in vigore».
In ragione di cio', la disposizione oggetto dell'odierno
incidente di costituzionalita' si porrebbe in contrasto con i
principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e
potere giurisdizionale, nonche' con le disposizioni costituzionali
che riconoscono il diritto ad un equo processo e il principio della
parita' delle parti in giudizio. In particolare, il giudice
rimettente ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che - in
linea con gli orientamenti della Corte EDU - ha precisato i limiti
per l'adozione di leggi con efficacia retroattiva, dando anche
rilievo ad una serie di elementi sintomatici dell'uso distorto della
funzione legislativa, sia in relazione al metodo, sia in relazione
alle tempistiche dell'intervento del legislatore (sono citate le
sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018).
Proprio sulla base di tali orientamenti, ad avviso del Consiglio
di Stato, la disposizione censurata violerebbe i parametri
costituzionali evocati, essendo intervenuta nove anni dopo l'entrata
in vigore dell'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come
convertito, al fine specifico di condizionare l'esito dei ricorsi
collettivi pendenti e sulla base di mere ragioni finanziarie di
contenimento della spesa.
Quanto infine alla rilevanza delle questioni, il giudice
rimettente - dopo aver verificato in sede istruttoria l'attestazione,
da parte dei ricorrenti, delle anzianita' di servizio utili alla
maturazione della maggiorazione della RIA - ritiene che, sulla base
dell'orientamento giurisprudenziale formatosi anteriormente
all'entrata in vigore della disposizione censurata, il ricorso di
primo grado sarebbe almeno in parte da ritenersi fondato.
2.- Con atto depositato in data 4 luglio 2023, e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.
2.1.- Viene innanzitutto eccepita l'inammissibilita' della
questione di legittimita' costituzionale per difetto di rilevanza o,
comunque, per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, infatti, il Consiglio di Stato,
nel corso del giudizio, aveva rilevato «non solo la mancanza di prova
circa la maturazione dell'anzianita' di servizio necessaria per
beneficiare della maggiorazione della R.I.A. in relazione a ciascun
ricorrente, ma, previamente, la mancata allegazione di tale
presupposto nel ricorso introduttivo sempre con riferimento alla
posizione di ciascun ricorrente». Tuttavia, ad avviso
dell'interveniente, a seguito dell'esecuzione degli incombenti
istruttori da parte degli appellanti, il giudice rimettente non
avrebbe dimostrato in che modo la questione processuale, di per se'
idonea a definire il giudizio d'appello con una pronuncia di
inammissibilita', «sia stata ritenuta superata tanto da potere dare
ingresso all'esame del merito e, con essa, alla questione di
costituzionalita' sollevata». Cio' in contrasto con la giurisprudenza
costituzionale che richiede, anche in relazione alla sussistenza
delle condizioni dell'azione nel giudizio a quo, una motivazione non
implausibile da parte del giudice rimettente (sono richiamate, tra le
altre, le sentenze n. 262 del 2015, n. 34 del 2010 e n. 50 del 2004).
2.2.- In ogni caso, l'Avvocatura dello Stato ritiene le questioni
di legittimita' costituzionale non fondate.
In relazione alla denunciata violazione degli artt. 3, 24, primo
comma, e 102 Cost., rileva l'interveniente che la norma censurata si
sarebbe limitata ad assegnare alla disposizione oggetto di
interpretazione uno dei possibili significati normativi ad essa
attribuibili. Cio' impedirebbe di configurare una lesione
dell'affidamento dei destinatari, posto che «il testo originario
rendeva plausibile una lettura diversa da quella che i destinatari
stessi avevano ritenuto di privilegiare» (e' richiamata la sentenza
di questa Corte n. 170 del 2008). D'altra parte, ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, la prospettazione da parte del
legislatore di una determinata interpretazione costituisce una
«espressione della potesta' ad esso attribuita e, di conseguenza il
suo esercizio non puo', ad ogni buon conto, considerarsi lesivo della
sfera riservata al potere giudiziario», muovendosi i due poteri su
piani differenti: il legislatore, infatti, agisce sul piano delle
fonti, mentre il giudice opera sul piano della concreta applicazione
della norma (e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 150 del
2015).
Quanto alla lamentata violazione del principio della parita'
delle parti in giudizio e del diritto a un equo processo (ai sensi
degli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU), l'interveniente richiama
l'orientamento della giurisprudenza costituzionale che consente al
legislatore di attribuire efficacia retroattiva alla legge, la' dove
cio' sia necessario per tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale (sono menzionate, tra le altre, le sentenze n. 46 del
2021, n. 156 del 2014 e n. 78 del 2012). D'altra parte, la stessa
giurisprudenza della Corte EDU consentirebbe l'adozione di leggi
retroattive allorche' «vengano in rilievo imperative ragioni di
interesse generale».
Nel caso in esame, secondo l'Avvocatura dello Stato, l'art. 51,
comma 3, della legge n. 388 del 2000, sarebbe peraltro intervenuto
per «circoscrivere il beneficio a favore di coloro che avessero
maturato le anzianita' necessari[e] per il computo delle
maggiorazioni entro la data del 31 dicembre 1990, data di scadenza
originaria dell'accordo sindacale, cosi' eliminando la disparita' di
trattamento che, con una diversa interpretazione del termine di
maturazione, si sarebbe venuta a creare in particolare in relazione
al personale che tale anzianita' avesse maturato successivamente».
In ragione di tutto cio', non sussisterebbe la lamentata
violazione dei parametri costituzionali denunciati dal Consiglio di
Stato nell'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1.- Il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, commi primo e
secondo, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 6 CEDU, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
51, comma 3, della legge n. 388 del 2000.
2.- La disposizione censurata ha previsto che l'art. 7, comma 1,
del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, «si interpreta nel senso
che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla
base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n.
93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 - 31 dicembre 1990, non
modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la
maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'», facendo
«salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore
della presente legge».
3.- Il rimettente denuncia la violazione dei principi
costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere
giurisdizionale, nonche' del diritto ad un equo processo e alla
parita' delle parti in giudizio. La disposizione censurata, infatti,
pur essendo formulata in termini astratti, risulterebbe in realta'
preordinata a condizionare l'esito dei ricorsi collettivi pendenti, a
fronte di un orientamento giurisprudenziale che si era consolidato in
senso sfavorevole alle amministrazioni pubbliche. Tanto le
tempistiche, quanto le concrete modalita' di adozione della legge
renderebbero evidente l'utilizzo distorto della funzione legislativa,
in contrasto con la giurisprudenza costituzionale e con gli
orientamenti della Corte EDU in materia di leggi retroattive.
4.- In via preliminare, occorre esaminare l'eccezione di
inammissibilita' formulata dall'Avvocatura dello Stato per difetto di
rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale o, comunque,
per difetto di motivazione sulla rilevanza.
4.1.- L'eccezione e' priva di fondamento.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, «la valutazione
dell'interesse a ricorrere e degli altri presupposti concernenti la
legittima instaurazione del giudizio a quo e' riservata al giudice
rimettente, mentre la verifica di questa Corte e' meramente esterna e
strumentale al riscontro di una adeguata motivazione in punto di
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, con la
conseguenza che il vaglio del rimettente sull'esistenza delle
condizioni dell'azione puo' essere sindacato solo laddove
implausibile» (cosi' la sentenza n. 193 del 2022; nello stesso senso,
anche le sentenze n. 150 del 2022, n. 240 del 2021, n. 224 e n. 168
del 2020).
Nel caso in esame, l'ordinanza di rimessione ha illustrato in
maniera adeguata che, a seguito di richiesta istruttoria, tutti gli
appellanti hanno attestato in giudizio le anzianita' di servizio
necessarie ai fini dell'applicazione della disciplina riguardante le
maggiorazioni retributive, ad eccezione di uno di essi per il quale
e' stata rilevata, in via d'ufficio, l'inammissibilita' del ricorso
di primo grado, con conseguente parziale riforma della sentenza
appellata.
Una simile differenziazione tra le posizioni dei diversi
appellanti dimostra chiaramente che il giudice rimettente ha risolto
positivamente la questione concernente la sussistenza delle
condizioni dell'azione nel giudizio di primo grado, sulla base di una
motivazione non implausibile.
5.- L'ordinanza di rimessione ha mancato di fare riferimento a
quattro ordinanze di questa Corte che avevano dichiarato la manifesta
infondatezza di questioni di costituzionalita' aventi ad oggetto la
medesima disposizione oggi censurata (ordinanze n. 440 e n. 263 del
2002, n. 181 e n. 10 del 2003). E', tuttavia, evidente la volonta'
del giudice rimettente di prospettare la questione in ordine a
profili e sulla scorta di argomenti nuovi, facendo esplicito
riferimento ai piu' recenti orientamenti di questa Corte e della
Corte EDU in materia di leggi retroattive (sono ampiamente citate le
sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018).
D'altra parte, appare significativo che l'ordinanza di rimessione
abbia fatto riferimento a parametri costituzionali (art. 111, commi
primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 6 CEDU), i quali non erano stati evocati nei precedenti
incidenti di costituzionalita' aventi ad oggetto la medesima
disposizione.
6.- Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento agli
artt. 3, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU.
7.- Occorre innanzitutto evidenziare che, diversamente da quanto
sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, la disposizione censurata e'
priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica, avendo
invece la portata di una legge innovativa con efficacia retroattiva.
7.1.- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «la
disposizione di interpretazione autentica e' quella che, qualificata
formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella
sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla
previsione interpretata secondo gli ordinari criteri
dell'interpretazione della legge» (sentenza n. 133 del 2020).
Diversamente, nel caso in cui «la disposizione, pur
autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione
interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli gia'
estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa e'
innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133
del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)» (sentenza n. 104 del
2022).
7.2.- Nel caso in esame, l'art. 51, comma 3, della legge n. 388
del 2000, lungi dall'aver assegnato all'art. 7, comma 1, del d.l. n.
384 del 1992, come convertito, uno dei possibili significati
normativi ad esso attribuibili, ha conferito allo stesso un nuovo
significato che non era ricavabile dal testo della legge.
7.2.1.- Sul punto, occorre premettere che l'istituto della RIA
era stato disciplinato dal d.P.R. n. 44 del 1990, il quale aveva
recepito l'accordo sindacale del 26 settembre 1989 concernente il
personale dei Ministeri e degli altri enti di cui all'art. 2 del
decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68
(Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione
collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego
29 marzo 1983, n. 93).
In particolare, l'art. 9, comma 4, del d.P.R. n. 44 del 1990
aveva riconosciuto alcune maggiorazioni della RIA in favore del
personale che «alla data del 1° gennaio 1990» avesse «acquisito
esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo
servizio» o che avesse maturato «detto quinquennio nell'arco della
vigenza contrattuale»; nel successivo comma 5 era stato previsto il
raddoppio o la quadruplicazione delle somme dovute a titolo di
maggiorazione della RIA al personale che, «nell'arco della vigenza
contrattuale», avesse maturato, rispettivamente, «dieci o venti anni
di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni».
L'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, -
tenendo «ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, e successive modificazioni e integrazioni» - ha prorogato al
triennio 1991-1993 l'efficacia dell'intero d.P.R. n. 44 del 1990, la
cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990 (art. 1,
comma 1, del d.P.R. citato).
Alla luce di tale proroga legislativa, l'«arco della vigenza
contrattuale» - cui facevano riferimento i citati commi 4 e 5
dell'art. 9 di tale d.P.R. ai fini della maturazione delle anzianita'
di servizio per il riconoscimento della maggiorazione della RIA -
doveva chiaramente intendersi come riferito al nuovo termine di
efficacia dello stesso d.P.R. (31 dicembre 1993) e non gia' al
termine originariamente previsto (31 dicembre 1990).
D'altra parte, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa,
la disciplina di origine pattizia contenuta in tale decreto
rappresentava un «unicum indivisibile» (Consiglio di Stato, sezione
quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). Proprio in ragione di tale
indivisibilita', l'eventuale volonta' del legislatore di escludere
dalla proroga alcuni istituti retributivi contenuti nel d.P.R. n. 44
del 1990 - come quelli legati alle maggiorazioni della RIA - avrebbe
richiesto una esplicita previsione normativa, come e' peraltro
avvenuto con riferimento alla disposizione che ha espressamente
impedito, per esigenze di contenimento della spesa, l'operativita'
degli automatismi stipendiali per il solo anno 1993 (art. 7, comma 3,
del d.l. n. 384 del 1992, come convertito).
7.2.2.- In definitiva, stante l'assenza nell'art. 7, comma 1, del
d.l. n. 384 del 1992, come convertito, di qualsiasi dato testuale da
cui potesse ricavarsi la volonta' del legislatore di impedire
l'operativita' della disciplina sulla RIA nel triennio 1991-1993,
l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 - nell'escludere che
la proroga del d.P.R. n. 44 del 1990 al 31 dicembre 1993 potesse
estendere anche il termine per la maturazione delle anzianita' di
servizio ai fini delle maggiorazioni della RIA - ha attribuito
retroattivamente alla disposizione originaria un nuovo significato,
non rientrante tra quelli estraibili dal suo testo.
8.- Una volta esclusa la natura autenticamente interpretativa
della disposizione, dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva
questa Corte e' chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente
rigoroso: cio' in ragione della centralita' che assume il principio
di non retroattivita' della legge, «inteso quale fondamentale valore
di civilta' giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.),
ma anche in altri settori dell'ordinamento (sentenze n. 174 del 2019,
n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145
del 2022).
Il controllo di costituzionalita' diviene ancor piu' stringente
qualora l'intervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora
in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo
un'amministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale,
quanto i principi concernenti l'effettivita' della tutela
giurisdizionale e la parita' delle parti in giudizio, impediscono al
legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di
determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni
delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e
n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014).
8.1.- Con riguardo al sindacato di costituzionalita' delle leggi
retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo
sempre piu' decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre,
sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri
contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro
Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro
Italia, paragrafo 47). Cio' in virtu' della «funzione interpretativa
eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte
europea» (sentenza n. 348 del 2007).
Come chiarito da questa Corte, infatti, nel sindacato di
costituzionalita' delle leggi retroattive si e' ormai pervenuti alla
costruzione di una «solida sinergia fra principi costituzionali
interni e principi contenuti nella CEDU», che consente di leggere in
stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali
«al fine di massimizzarne l'espansione in un "rapporto di
integrazione reciproca"» (sentenza n. 145 del 2022).
Sulla base di tale sinergia, questa Corte e' chiamata
innanzitutto a verificare se l'intervento legislativo retroattivo sia
effettivamente preordinato a condizionare l'esito di giudizi
pendenti. A tal fine, assumono rilievo - sulla scorta della
giurisprudenza della Corte EDU - alcuni «elementi, ritenuti
sintomatici dell'uso distorto della funzione legislativa» e
riferibili principalmente al «metodo e alla tempistica seguiti dal
legislatore» (cosi', sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso,
sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Occorre dunque
effettuare una verifica di legittimita' costituzionale che - in
maniera non dissimile dal sindacato sull'eccesso di potere
amministrativo mediante l'impiego di figure sintomatiche - assicuri
una particolare estensione e intensita' del controllo sul corretto
uso del potere legislativo.
8.2.- Tra gli elementi sintomatici dell'uso distorto del potere
legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che «lo Stato
o l'amministrazione pubblica» siano «parti di un processo gia'
radicato» e che l'intervento legislativo si collochi «a notevole
distanza dall'entrata in vigore delle disposizioni oggetto di
interpretazione autentica» (sentenza n. 174 del 2019).
Nel caso in esame, l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del
2000 e' entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e, quindi, ben nove anni
dopo l'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito,
quando erano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei
confronti di amministrazioni pubbliche.
8.3.- E' altresi' rilevante, come elemento sintomatico, il fatto
che - lo si e' anticipato supra, al punto 7.2.2. - la disposizione
censurata, pur essendosi "auto-qualificata" come interpretativa,
abbia in realta' introdotto un significato che non si poteva in alcun
modo evincere dal testo dell'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del
1992, come convertito.
Come chiarito da questa Corte, la stessa erroneita' della
«autoqualificazione della disposizione censurata quale norma di
interpretazione autentica» puo' costituire un sintomo di un uso
improprio della funzione legislativa (sentenza n. 145 del 2022). Tale
uso improprio dello strumento della legge interpretativa, ove questa
incida sul contenzioso pendente, concorre a disvelare la volonta' del
legislatore di incidere retroattivamente sui rapporti in essere e di
condizionare i giudizi in corso.
8.4.- Ma, soprattutto, risulta decisivo il fatto che il
legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un
orientamento giurisprudenziale consolidato, al fine specifico di
incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte
l'amministrazione pubblica, fatta salva la sola esecuzione dei
giudicati gia' formatisi alla data di entrata in vigore della
disposizione medesima.
Va infatti evidenziato che, nell'ambito di controversie promosse
da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni
della RIA ai sensi dell'art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del
1990, il Consiglio di Stato aveva chiaramente affermato che la
proroga legislativa dell'efficacia del d.P.R. n. 44 del 1990 al
triennio 1991-1993 (disposta dall'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384
del 1992, come convertito) avesse modificato anche il termine utile
ai fini del calcolo delle anzianita' di servizio necessarie alla
maturazione di tali maggiorazioni: con la conseguenza che i
dipendenti pubblici - sino all'entrata in vigore della disposizione
censurata - si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base di
anzianita' di servizio maturate successivamente al 31 dicembre 1990
(tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre
2000, n. 5522).
In un simile contesto, il legislatore e' intervenuto, con la
disposizione censurata, al fine specifico di superare tale
orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande
diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il
riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio
1991-1993. Tale finalita' emerge in maniera incontrovertibile dalla
documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione
dei contenuti dell'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove
si sottolinea che «[l]'iniziativa e' giustificata dalla
considerazione che e' intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di
Stato [...] ormai consolidata che riconosce l'ultrattivita' al 31
dicembre 1992 degli accordi di comparto ai fini della maturazione
dell'anzianita' di servizio utile per il conseguimento del beneficio,
la quale, laddove e' [e]stesa alla generalita' del personale
interessato, comporterebbe rilevanti effetti di spesa per la
corresponsione del beneficio, avente per altro decorrenza
retroattiva».
8.5.- Ne', infine, puo' ritenersi che l'intervento legislativo in
questione trovasse una ragionevole giustificazione nell'esigenza di
tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha
chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale
possono consentire un'interferenza del legislatore su giudizi in
corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo
impongono che tali ragioni «siano trattate con il massimo grado di
circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro
Italia, paragrafo 48).
8.5.1.- In ragione di cio', come evidenziato dalla giurisprudenza
costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l'art. 6
CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi
in corso, la' dove «i soggetti ricorrenti avevano tentato di
approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23
ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire
Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano
cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione
medesima, cui l'ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio
(sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)»
(sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, e' stato valorizzato il
fatto che l'intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una
serie piu' ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione
tedesca, al fine di «assicurare in modo duraturo la pace e la
sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal
c. Germania, paragrafo 64).
All'infuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la
Corte EDU ha ritenuto che «le considerazioni finanziarie non possono,
da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice
nella definizione delle controversie» (sentenza 29 marzo 2006,
Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile
2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha
sottolineato che, in linea di principio, «i soli motivi finanziari,
volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far
fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un
intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso
(sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013)» (sentenza n.
145 del 2022).
8.5.2.- Nel caso in esame non emerge, ne' dai lavori preparatori,
ne' dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione
giustificatrice dell'intervento legislativo retroattivo rispetto
all'esigenza di assicurare un risparmio della spesa pubblica, in
considerazione di orientamenti giurisprudenziali che stavano
riconoscendo tutela alle pretese economiche dei dipendenti nei
confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza.
Come chiarito nella sopramenzionata documentazione predisposta
dagli uffici parlamentari e nella stessa relazione illustrativa, la
disposizione censurata mirava ad evitare gli aggravi di spesa
conseguenti all'estensione, alla generalita' del personale
interessato dal d.P.R. n. 44 del 1990, della giurisprudenza del
Consiglio di Stato sui termini per la maturazione dell'anzianita' di
servizio utile ai fini del conseguimento della maggiorazione della
RIA. A riprova di cio', nella relazione tecnica e' stato evidenziato
che l'approvazione della disposizione impugnata avrebbe determinato
un risparmio, posto che alcune amministrazioni avevano gia' «tenuto
conto nelle previsioni tendenziali di spesa delle maggiori esigenze
derivanti dal consolidamento dell'indirizzo giurisprudenziale».
8.5.3.- In ultimo, non puo' neanche ritenersi, come sostenuto
dall'Avvocatura dello Stato, che l'intervento legislativo fosse
giustificato dalla finalita' di eliminare una disparita' di
trattamento tra i dipendenti che avrebbero maturato le anzianita' di
servizio prima del 31 dicembre 1990 (data originariamente prevista
dall'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 44 del 1990) e coloro che
avrebbero potuto maturare tali anzianita' di servizio anche dopo tale
data.
Infatti, alla luce della proroga dell'intera disciplina
contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31 dicembre
1993, la possibilita' per i dipendenti di maturare l'anzianita' di
servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso del
nuovo periodo di vigenza del d.P.R. n. 44 del 1990 (1991-1993)
rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza e di giustizia del
sistema retributivo. Semmai, e' stata la disposizione censurata ad
aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno
di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in
relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare
l'anzianita' di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993
ai fini delle maggiorazioni della RIA.
9.- In ragione di tutto cio', la disposizione censurata, avendo
introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine
specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa
amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di
interesse generale, si e' posta in contrasto con i principi del
giusto processo e della parita' delle parti in giudizio, sanciti
dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonche' con i principi di
eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell'ordinamento giuridico di
cui all'art. 3 Cost.
10.- Sono assorbite le ulteriori questioni sollevate in
riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, Cost.


per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001)».
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.

F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Marco D'ALBERTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2024

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA


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GERRY54
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Re: R.I.A. SENTENZA NR 4/2024 CORTE COSTITUZIONALE

Messaggio da GERRY54 »

qualcuno competente ne sa qualcosa? sono interessati coloro che da anni sono in pensione?
mauri64
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Re: R.I.A. SENTENZA NR 4/2024 CORTE COSTITUZIONALE

Messaggio da mauri64 »

Ciao GERRY54,
ho allegato la relativa nota al seguente link.

sciacallaggio-della-r-i-a-41255?view-po ... 45#p299445.
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