quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

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danistea
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quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da danistea »

Salve,sono la vedova di un M.llo Capo dei CC e dal 1999 percepisco dall'Inpdap una pensione di reversibilità per me ed i miei due figli (uno minorenne e l’altro ancora studente). Attualmente è ancora provvisoria ed è di € 1200 mensili. Ho ricevuto un fascicolo dal servizio amministrativo dei CC in cui c’è il calcolo della pensione definitiva e c’è scritto: Alla vedova ed ai due figli del M.llo Capo XXX arruolato il 21/01/1984 e deceduto il 31/12/1998, per complessivi anni 17, mesi 09 e giorni 29 di servizio, spetta una pensione annua lorda di € 10.035,00 a decorrere dal 01/08/1999. Sto vivendo uno stato d’ansia pazzesco….secondo questo calcolo io dovrei prendere una miseria e già con 1200€ al mese mi riesce difficile andare avanti, figuriamoci se mi toglieranno altri soldi.C’è la possibilità di uno sbaglio nei calcoli?? Per favore aiutatemi a capire. Grazie


panorama
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quota pensione per la vedova di Maresciallo CC.

Messaggio da panorama »

Faccia confrontare il tutto ad un legale esperto in ricorsi anche alla Corte dei Conti competente per il personale non più in servizio.
Bisogna anche vedere se la morte è dovuta ad una infermità dipendente da malattia per causa di servio o meno.
Sono state fatte tutte queste valutazioni?
danistea
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quota pensione per la vedova di Maresciallo CC.

Messaggio da danistea »

mio marito è deceduto in un incidente d'auto mentre era in ferie e non aveva cause di servizio.
vedovonardecchia
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Messaggio da vedovonardecchia »

Gentile vedova, mi permetto di rispondere perché la vedova di un mio caro collega ed amico deceduto qualche anno (più o meno gli stessi anni di servizio di suo marito) vive purtroppo il suo stesso disagio. Purtroppo i calcoli temo siano quelli, considerato che con gli anni di servizio prestato e senza causa di servizio, avrebbe percepito dai 900 ai 1100 euro di pensione circa al mese.La reversibilità deve essere tra l’80 ed il 100% della pensione spettante (controlli sul foglio inpdap) perchè 2 figli orfani ed il padre deceduto in data successiva al 17 agosto 1995. Le cito anche il link di riferimento inpdap (http://www.inpdap.it/webinternet/PrevOb ... rstiti.asp" onclick="window.open(this.href);return false;)
Mi permetto, è questo è il motivo principale del mio post, di darle un consiglio seppur poco ortodosso. Oltre a chiedere all’associazione dell’arma se esistono (ma ne dubito) particolari sussidi per il suo caso, si rivolga anche al suo medico, spiegando la situazione per vedere se possibile tentare una invalidità civile per se, si faccia consigliare dal dottore, perché in molti casi le commissioni asl sono sensibili a tali situazioni, soprattutto se lei non ha altri redditi e deve mantenere due figli, ed anche un assegno di invalidità mensile di 120 euro come nel caso della vedova del mio amico aiutano ad andare avanti.
Distinti saluti
danistea
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da danistea »

Purtroppo i calcoli temo siano quelli, considerato che con gli anni di servizio prestato e senza causa di servizio, avrebbe percepito dai 900 ai 1100 euro di pensione circa al mese.La reversibilità deve essere tra l’80 ed il 100% della pensione spettante

A me spetta il 100% della pensione LORDA...60 a me, 20 ad un figlio e 20 all'altro, così mi hanno detto all'Inpdap.
Qualcuno mi ha detto che devo calcolare la rivalutazione della pensione dal 1999 ad oggi e che quindi i 1200€ mensili sono giusti ma trovo strano che in 12anni ci sia stata una rivalutazione graduale sino ad arrivare ai 5.700€ annuali in più
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da vedovonardecchia »

Gentile vedova, mi auguro per lei che sia così, personalmente la ritengo una eresia.Di norma le pensioni definitive sono sempre più alte di quelle provvisorie, le rivalutazioni di norma non arrivano a questi importi anche se sono passati 10 anni, poi si parla di lordo e per arrivare a 1200 euro netti ce ne vuole. Chieda meglio all'inpdap onde evitare di evere sorprese in futuro.Le faccio i migliori auguri. Distinti saluti
danistea
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da danistea »

infatti mi ero sbagliata...mi spetta il 100% della pensione netta ed è il 100% perchè ho 2 figli. La cosa ancor più strana è che alla fine di un fascicolo di 14pag pieno di calcoli c’è un foglio datato 08/2006 con scritto che:
CONSIDERATO gli anni di servizio prestati risultante dall’allegato prospetto. Per complessivi anni 17,mesi 09,gg 29 di servizio si DISPONE che la pensione CONTRIBUTIVA maturata dall’amministrato è di L. 3.188.880 ( Euro 1.646,91) annue. Ho telefonato ai carabinieri a Rm per chiederlo ma mi han risposto che non c'entra nulla....ma se non c'entra perchè risulta questa cifra? che caos....cmq grazie per le risposte
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lino
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da lino »

Egregia signora Danistea,i calcoli sicuramente sono stati fatti dal C.N.A. di Chieti ,potrebbe chiedere a loro tramite il nr.800271661, vedra' che sicuramente cercheranno di aiutarla in tutti i modi.
Se chiama nel pomeriggio (dalle 14.00 alle 17.00) sara' piu' facilitata nel prendere la linea.
Se vuole ci tenga informati.
Le faccio i miei migliori auguri.
Lino.
Per Aspera ad Astra!!!!
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da danistea »

no signor Lino, son stati fatti dal Servizio Amministrativo - gestione del denaro e N.A.F. della Regione Lazio. E' la seconda volta che me lo inviano perchè nel primo fascicolo avevano sbagliato...ora, secondo i nuovi calcoli, la pensione è di 10.35,00 ma precedentemente era di 8.042,91 (calcolo errato...detto da loro). Ho telefonato ed ho chiesto delucidazioni in merito a ciò che ho scritto nel mio primo post....doveva richiamarmi un M.llo per farmi sapere qualcosa ma non ho più sentito nessuno. Grazie per la risposta
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lino
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da lino »

Signora Danistea, provi lo stesso, oramai alle legioni per quanto ne so, fanno solo da tramite, i "conti" li fanno il CNA e l'inpdap.
Perlomeno potra' avere delucidazioni per il suo caso.
Un caro saluto.
Lino
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da luigino2010 »

lino ha scritto:Signora Danistea, provi lo stesso, oramai alle legioni per quanto ne so, fanno solo da tramite, i "conti" li fanno il CNA e l'inpdap.
Perlomeno potra' avere delucidazioni per il suo caso.
Un caro saluto.
Lino
I conti pensionistici non li fa il CNA ma l'INPDAP, Il CNA compila solo il modello PA04 , riportando i vari servizi effettuati , gli anni di servizio ecc. e l'INPDAP fa il conteggio pensionistico in base al modello PA04.
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lino
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da lino »

Luigino, ti ringrazio per la tua precisazione, ma non serviva, se leggi meglio il mio post la parola CONTI e virgolettata, proprio per definirlo come termine generico e quasi ironico, mi dispiace tu non l'abbia capito.
Cerchiamo di aiutare la signora Danistea, per quello che sappiamo.
Lino
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panorama
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Re: quota pensione per la vedevova di un Maresciallo CC.

Messaggio da panorama »

Per notizia e se può interessare.

Trattamento provvisorio di reversibilità della pensione di inabilità richiesta dal coniuge quand'era in vita, poi deceduto.

1) - Con nota del 27.07.2006, l'INPDAP (oggi INPS) comunicava alla sig.ra T. che a seguito delle riliquidazioni del trattamento pensionistico per cui è causa era emerso un debito a suo carico di € 12.129,54, corrispondente alla differenza tra la pensione di reversibilità definitiva di cui al D.M. n. 2539 del 26.10.2004 (pari a € 21.514,09 annua lorda) e quella erogata nel periodo dall’1.05.1999 al 31.08.2006. Con la medesima nota, l’Istituto previdenziale annunciava il recupero di tale somma mediante trattenute mensili di € 356,75 da operarsi dall’1.09.2006 al 30.06.2009.

2) - Tra un atto e l'altro aveva determinato l’indebito e con ricorso alla Corte dei Conti, chiedeva il riconoscimento della irripetibilità delle somme in più corrisposte dal 1.05.1999 al 31.08.2006 (pari a € 12.129,54) in quanto percepite in buona fede.

La Corte dei Conti precisa:

1) - La prima domanda non è meritevole di accoglimento (leggete i motivi).

2) - La seconda questione attiene invece alla legittimità del recupero della differenza tra l’importo della pensione provvisoriamente erogata e l’importo della pensione definitiva.

3) - Sul punto il ricorso è fondato e, come tale, merita accoglimento (leggete i motivi).

Il resto potete leggerlo in sentenza qui sotto.

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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA Sentenza 2714 2012 Pensioni 08-10-2012

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. Antonio NENNA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA N.2714/2012

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 46738 del registro di segreteria, depositato il 15 febbraio 2007, promosso

ad istanza di
T. P., rappresentata e difesa, giusta delega a margine dell'atto di ricorso, dall'Avv. Giuseppe Ribaudo, elettivamente domiciliato in Palermo, via Mariano Stabile n. 241,

nei confronti di
• INPS (ex INPDAP)
• MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore

VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205;
VISTI il ricorso e gli altri atti e documenti di causa;
UDITO, nella pubblica udienza del 3 ottobre 2012, l’Avv. Antonino Rizzo in rappresentanza dell’INPS; assente la difesa della ricorrente; non costituito il Ministero dell’Interno;

FATTO
La Sig.ra T. P. è vedova del dott. F. M. V. L., vice Prefetto deceduto in attività di servizio il 17.04.1999.
Dall’esame degli atti esistenti nel fascicolo processuale emerge quanto segue.

Con provvedimento ministeriale n. 20544 del 3.07.1999 veniva conferito alla sig.ra T. P. il trattamento provvisorio di reversibilità (modificato con provvedimento del 28.09.1999) della pensione di inabilità richiesta dal coniuge F. M. V. L. in data 13.04.1999 (poi deceduto il 17.04.1999).

Con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 veniva conferita alla sig.ra T. P. la pensione di inabilità reversibile definitiva a decorrere dal 17.04.1999. Tuttavia, a seguito di esito negativo del prescritto controllo di legittimità della Corte dei conti (foglio di osservazioni n. 467 del 3.07.2003), il Ministero dell’Interno annullava il D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e, al fine di adeguarsi alle osservazioni dell’Organo di controllo, emanava il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, a sua volta non registrato dalla Corte dei conti (con rilevo n. 83 del 28.01.2004).

Pertanto con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 veniva annullato anche il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 e determinato il definitivo trattamento pensionistico reversibile di inabilità, regolarmente registrato dalla Corte dei conti.

Con nota del 27.07.2006, l'INPDAP (oggi INPS) comunicava alla sig.ra T. che a seguito delle riliquidazioni del trattamento pensionistico per cui è causa era emerso un debito a suo carico di € 12.129,54, corrispondente alla differenza tra la pensione di reversibilità definitiva di cui al D.M. n. 2539 del 26.10.2004 (pari a € 21.514,09 annua lorda) e quella erogata nel periodo dall’1.05.1999 al 31.08.2006. Con la medesima nota, l’Istituto previdenziale annunciava il recupero di tale somma mediante trattenute mensili di € 356,75 da operarsi dall’1.09.2006 al 30.06.2009.

Con ricorso depositato in data 15.02.2007, la sig.ra T. impugnava il provvedimento di recupero del credito previdenziale affermando che il trattamento pensionistico conferito con D.M. n. 4722 del 10.09.2003, annullato a seguito di rilievo della Corte dei conti e sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004, non poteva essere modificato poiché non è consentita la revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto (come costantemente affermato dalla giurisprudenza contabile).

Pertanto chiedeva il ripristino del trattamento pensionistico conferito con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 il cui annullamento aveva determinato l’indebito e, in via subordinata, affermando l’assenza di dolo nella percezione del trattamento provvisorio, chiedeva il riconoscimento della irripetibilità delle somme in più corrisposte dal 1.05.1999 al 31.08.2006 (pari a € 12.129,54) in quanto percepite in buona fede.

Con memoria del 25.01.2012 la ricorrente insisteva per l’accoglimento delle domande formulate in ricorso.
All’udienza dell’8.02.2012 il giudizio veniva dichiarato interrotto per soppressione dell’INPDAP ai sensi della legge n. 214 del 22.12.2011.

Con atto depositato il 3 aprile 2012 la ricorrente riassumeva il processo interrotto, ribadendo le conclusioni già rappresentate nell’atto introduttivo.

Con memoria depositata il 21.09.2012 l’INPS (ex INPDAP) comunicava che l’indebito previdenziale era stato generato dalla necessità per il Ministero dell’Interno (dopo una prima riliquidazione di un provvedimento del 3.7.1999 che conferiva un trattamento pensionistico provvisorio pari a 20.536,54 euro annui lordi che venivano aumentati, con provvedimento, sempre provvisorio, del 28.09.1999, a euro 23.170,83 annui lordi) di procedere alla riliquidazione della conferita pensione definitiva (provvedimento del 28.06.2000 che conferiva una pensione definitiva pari a euro 23.163,50 annui lordi ridotti a euro 21.514,09 annui lordi con provvedimento del 26.10.2004) a seguito di esito negativo del prescritto controllo successivo di legittimità della Corte dei conti. Pertanto, nel caso di specie, secondo la stessa giurisprudenza della Corte dei conti, risultava non invocabile l’art. 203 del D.P.R. 1092/1973 circa la inammissibilità della revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto e anche il recupero disposto doveva ritenersi pienamente legittimo. Chiedeva pertanto il rigetto del ricorso e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda inerente l’irripetibilità delle somme asseritamente indebitamente percepite, l’INPS chiedeva la condanna del Ministero dell’Interno, in via di rivalsa (essendo tutti i provvedimenti di liquidazione/riliquidazione a quest’ultimo riferibili ed essendo l’ente previdenziale mero ordinatore secondario di spesa). Al riguardo chiedeva un rinvio dell’udienza e la fissazione di un termine in favore del predetto Ministero per integrare le proprie difese.

Alla pubblica udienza del 3.10.2012, l’Avv. Antonino Rizzo, in rappresentanza dell’INPS, reiterava le conclusioni rassegnate in atti.

La causa veniva, quindi, posta in decisione.

DIRITTO
L’odierno giudizio concerne la richiesta di ripristino del più favorevole trattamento pensionistico definitivo conferito prima con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e poi con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, entrambi annullati a seguito di successivi rilievi della Corte dei conti e (il D.M. n. 4722/2003) infine sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 (regolarmente vistato e registrato dalla Corte dei conti) nonché la irripetibilità di un indebito previdenziale (€ 12.129,54) originato dalla determinazione del trattamento definitivo di pensione di reversibilità dopo che per un lungo lasso di tempo (dall’1.05.1999 al 31.08.2006) era stata erogata la pensione nella misura maggiore rispetto a quella risultata definitivamente spettante.

La prima domanda non è meritevole di accoglimento.

Con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 veniva conferita alla sig.ra T. P. la pensione di inabilità reversibile definitiva a decorrere dal 17.04.1999. A seguito di esito negativo del prescritto controllo di legittimità della Corte dei conti (foglio di osservazioni n. 467 del 3.07.2003) il Ministero dell’Interno annullava il D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e, al fine di adeguarsi alle osservazioni dell’Organo di controllo, emanava il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, a sua volta non registrato dalla corte dei conti (con rilevo n. 83 del 28.01.2004).

Quindi con D.M. n. 2539 del 26.10.2004 veniva annullato anche il D.M. n. 4722 del 10.09.2003 e determinato il definitivo trattamento pensionistico reversibile di inabilità, regolarmente registrato dalla Corte dei conti.

Pertanto il provvedimento pensionistico di cui la ricorrente chiede il ripristino (D.M. n. 4722 del 10.09.2003) è stato annullato e sostituito con altro (D.M. n. 2539 del 26.10.2004) emesso al fine di dare riscontro alle osservazioni mosse in sede di controllo successivo di legittimità della Corte dei conti (con rilievo n. 83 del 28.01.2004), così come il precedente D.M. n. 4529 del 28.06.2000.

Orbene nel caso di specie non sono invocabili gli artt. 203 e ss. del D.P.R. n.1092/1973 circa la inammissibilità della revoca o modifica di un provvedimento pensionistico per errore di diritto in quanto il provvedimento pensionistico soggetto a controllo successivo di legittimità della Corte dei conti ex art. 166 della legge n. 312/1980, pur immediatamente efficace, non è provvedimento definitivo ai fini dell'irripetibilità di cui all'art. 203 e ss. citati.

<In proposito va osservato, infatti, che i decreti di trattamento pensionistico soggetti al controllo successivo della Corte dei conti ed immediatamente efficaci ai sensi dell'art. 166 della legge n. 312 del 1980 sono definitivi in quanto concernono un trattamento definitivo (non provvisorio) di pensione, ma tuttavia, in pendenza del procedimento di riscontro successivo, ed in relazione all'eventuale negatività del suo esito, non possono anche ritenersi compiutamente definitivi nel senso richiesto per l'applicabilità degli artt. 203 e ss. e segnatamente dell'art. 206 del DPR 1092/1973, non potendosi ritenere sottratti all'originaria disponibilità negoziale dell'Amministrazione che li ha emessi e quindi al potere di questa di rettificarli o ritirarli del tutto con effetto ex tunc> (Sez. Giur. Friuli Venezia Giulia, sentenza n.12/2007).

E ancora: <Invero, “i decreti di trattamento pensionistico, soggetti al controllo successivo della Corte dei Conti e immediatamente efficaci in virtù dell'art. 166 della legge n. 312 del 1980, sono definitivi in quanto concernono un trattamento definitivo (non provvisorio) di pensione, ma, in pendenza del procedimento di riscontro o in relazione all'eventuale negatività del suo esito, non possono ritenersi sottratti all'originaria disponibilità negoziale dell'Amministrazione che li ha emessi e quindi al potere di questa di rettificarli o ritirarli del tutto con effetto ex tunc; ne discende che, in tali ipotesi, non può trovare applicazione l'art. 206 del T.U. n. 1092 del 1973 bensì i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di recupero di somme indebitamente riscosse (quali la buona fede del percepiente, il protrarsi nel tempo dell'erogazione, la presunzione dell'impiego delle somme ai bisogni fondamentali, che il recupero non costituisca per l'Amministrazione un atto assolutamente vincolato)” (Sez. Giur. Lazio, sentenza n. 1378/1997)> (Sez. Giur. Campania, sentenza n. 1969/2011).

La seconda questione attiene invece alla legittimità del recupero della differenza tra l’importo della pensione provvisoriamente erogata e l’importo della pensione definitiva.

Sul punto il ricorso è fondato e, come tale, merita accoglimento.

Ai fini della soluzione della vertenza assume rilievo, come riconosciuto anche nell’autorevole interpretazione resa dalle SS.RR. di questa Corte con la sentenza n. 7 del 7.8.2007, (anche) la valutazione degli effetti che, nell'ambito del procedimento di liquidazione della pensione definitiva, si irradiano dall’operatività della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Proprio in considerazione della indubbia rilevanza che ormai ha, nel nostro ordinamento, il principio dell’affidamento e dei principi affermati dalla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento entro termini certi e prestabiliti, le Sezioni Riunite della Corte dei conti, allo scopo di contemperare il diritto–dovere dell’Amministrazione di procedere al recupero dell’indebito pensionistico con i suddetti principi, pervennero, con la ricordata sentenza n. 7/2007/QM, ad affermare l’irripetibilità dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, una volta decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, per il consolidarsi della situazione esistente fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione (cfr. Corte dei conti, Sez. riun., n. 7/2007/QM).

Tuttavia con la decisione n. 2/2012/QM, le SS.RR. hanno rivisitato i termini della questione e affermato che <<la configurazione dell’affidamento non può identificarsi “solo” con la scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, fermo restando che tale circostanza – e cioè, la scadenza del termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione – ben può assurgere ad uno degli elementi attraverso i quali l’affidamento può formarsi e consolidarsi nel tempo, ricorrendo comunque gli altri elementi necessari alla sua configurazione>>. Pertanto <<l’affidamento del percipiente che può legittimare, nel ricorso delle altre circostanze, l’irripetibilità dell’indebito da parte dell’amministrazione, non si configura, in capo al pensionato, in maniera “automatica” e “presuntiva” alla scadenza del termine procedimentale previsto dalla legge n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo, e “solo” al verificarsi di tale circostanza, ma si configura con il protrarsi del tempo sulla base di una serie di elementi oggettivi e soggettivi, fra cui “anche” la scadenza del predetto termine procedimentale per l’adozione del provvedimento definitivo di pensione previsto dalla legge o dai regolamenti di attuazione>>.

Quindi <<Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo>>.

Orbene tenendo conto dell’orientamento manifestato dalle SS.RR. di questa Corte dei conti con la menzionata decisione n.2/2012/QM, le condizioni di irripetibilità possono, nell’odierno giudizio, reputarsi sussistenti.

Tutto ciò considerato, deve essere riconosciuto, nel caso di specie, il diritto della ricorrente alla ritenzione degli importi indebitamente erogati.

Deve essere altresì riconosciuto il diritto della medesima alla restituzione delle somme ritenute in esecuzione del provvedimento impugnato maggiorate degli accessori.

In forza delle superiori statuizioni, l’I.N.P.S. (ex I.N.P.D.A.P.) deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente degli importi riconosciuti dovuti, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria da liquidare secondo la regola dell'assorbimento, nel senso che l'importo dovuto a titolo di interessi va comunque portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ripiano del maggior danno da svalutazione; quest'ultima va calcolata alla stregua degli indici ISTAT ex art. 150 disp. att. c.p.c. rilevati anno per anno da applicare all'indennità spettante dalla insorgenza del diritto fino al soddisfo.

Non può essere accolta la richiesta dell’INPS di condanna del Ministero dell’Interno, in via di rivalsa, previo rinvio dell’udienza di merito e con la fissazione di un termine in favore del Ministero perché questi possa integrare le proprie difese.

Innanzitutto, conformemente all'indirizzo giurisprudenziale dominante, ritiene questo Giudice che la distinzione tra ordinatore primario e secondario di spesa non assuma alcuna rilevanza esterna, afferendo essa esclusivamente al riparto interno di competenza tra apparati della pubblica amministrazione, comunque costituenti, nel loro complesso, la figura di obbligato passivo (cfr. Corte dei Conti sez. 3^ appello, n. 175/2001, Corte dei Conti sez. Friuli n. 335/2005). Nel caso di specie sussiste un concreto interesse a contraddire, ex art. 100 c.p.c., in capo all’INPDAP (ora INPS), sia in quanto esclusivo soggetto promotore, per previsione normativa, della relativa procedura recuperatoria, sia per i conseguenti propri adempimenti che scaturirebbero da un eventuale accoglimento della domanda di irripetibilità dell’indebito.

Inoltre sulla questione della rivalsa vi è un interesse solo ipotetico dell’INPS (ex INPDAP): allo stato non vi sono evidenze del fatto che l’ex Amministrazione datrice di lavoro dell’odierna ricorrente si opporrà alla richiesta dell’Istituto previdenziale di rifondere le somme eccedentariamente corrisposte.

Dunque, difetta la condizione dell’azione richiesta dall’art. 100 c.p.c. dell’interesse concreto ed attuale che postula l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice.

Secondariamente, poi, l’eventuale approfondimento della questione della rivalsa finirebbe per ostacolare la celere definizione della controversia, involgendo, peraltro, profili di non immediata rilevanza per la ricorrente.

Infine, non trascurabile è pure la circostanza che la domanda di condanna per rivalsa non è corredata da una compiuta ed esaustiva esposizione delle ragioni di fatto su cui è fondata.

Pertanto, ove l’INPS reputasse sussistenti le condizioni per esercitare detta azione, potrà, constatata l’indisponibilità dell¹Amministrazione ritenuta responsabile dell’indebita erogazione a rifondere spontaneamente gli importi eccedentariamente erogati alla pensionata, instaurare un autonomo giudizio innanzi a questa Corte, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.P.R. 8/8/1986, n. 538 (Cass. SS.UU., Sent. n. 23731 del 16/11/2007).

Sussistono giusti motivi per compensare, integralmente fra le parti, le spese del giudizio.
PQM
La Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana in composizione monocratica, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, assorbite le ulteriori questioni

- rigetta la richiesta di ripristino del trattamento pensionistico conferito prima con D.M. n. 4529 del 28.06.2000 e poi con il D.M. n. 4722 del 10.09.2003, entrambi annullati a seguito di successivi rilievi della Corte dei conti e (il D.M. n. 4722/2003) infine sostituito con D.M. n. 2539 del 26.10.2004;

- dichiara irripetibili le somme indebitamente percepite;

- condanna l’INPS (ex INPDAP) alla restituzione delle somme eventualmente trattenute maggiorate di interessi e rivalutazione da computarsi, avendo riguardo alla regola dell'assorbimento, nel senso che l'importo dovuto a titolo di interessi va comunque portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ripiano del maggior danno da svalutazione; quest'ultima va calcolata alla stregua degli indici ISTAT ex art. 150 disp. att. c.p.c. rilevati anno per anno da applicare all'indennità spettante dalla insorgenza del diritto fino al soddisfo.
Spese compensate.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2012.
IL GIUDICE
F.to Dott. Antonio Nenna
Depositata in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 03 Ottobre 2012.

Pubblicata il 08 Ottobre 2012.

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Sentenza della Corte Costituzionale n. 208/2014 del 16/07/2014
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art. 204 del dPR 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato)
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1) - dirigente superiore della Polizia di Stato collocato a riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto del Ministero dell’interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001, con il quale era stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento pensionistico già attribuitogli in via definitiva con precedente decreto del 4 febbraio 1998, n. 1266, registrato dalla Corte dei conti il 3 agosto 1998.

2) - Sostenendo che il secondo decreto si fondava su una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico di ufficiali delle Forze armate e di polizia) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 agosto 1996, n. 427 – di cui non contestava la correttezza, aveva chiesto che fosse dichiarata l’irripetibilità delle somme percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata dal secondo decreto e l’annullamento dello stesso, atteso che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei casi ivi previsti, tra cui non è annoverato l’errore di diritto.

Il resto leggetelo qui sotto.
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SENTENZA N. 208

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso dalla Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, nel procedimento vertente tra Pisani Giovanni, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), quale successore ex lege dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), ed altri, con ordinanza del 13 febbraio 2012, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 13 febbraio 2012 depositata il 20 aprile 2012, la Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto.

1.1.– Il rimettente riferisce che l’appellante nel giudizio principale, dirigente superiore della Polizia di Stato collocato a riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto del Ministero dell’interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001, con il quale era stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento pensionistico già attribuitogli in via definitiva con precedente decreto del 4 febbraio 1998, n. 1266, registrato dalla Corte dei conti il 3 agosto 1998. Sostenendo che il secondo decreto si fondava su una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico di ufficiali delle Forze armate e di polizia) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 agosto 1996, n. 427 – di cui non contestava la correttezza, aveva chiesto che fosse dichiarata l’irripetibilità delle somme percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata dal secondo decreto e l’annullamento dello stesso, atteso che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei casi ivi previsti, tra cui non è annoverato l’errore di diritto. La sentenza impugnata aveva riconosciuto l’irripetibilità di quanto indebitamente percepito, ritenendo, tuttavia, legittimo il secondo decreto in virtù del generale potere della pubblica amministrazione di annullare d’ufficio i propri atti. In sede di impugnazione, nel ribadire la richiesta di annullamento l’appellante aveva lamentato l’erronea interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto inapplicabile al caso di errore di diritto, ed escluso che il decreto pensionistico n. 1274 del 1999 potesse essere qualificato come atto di annullamento d’ufficio. Si era costituito in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), non contestando che nella fattispecie si trattasse di errore di diritto, ma sostenendo il legittimo esercizio del generale potere di annullamento d’ufficio spettante all’amministrazione.

1.2.– Il rimettente sostiene che, come peraltro non contestato dalle parti, la rideterminazione del trattamento pensionistico sia dipesa da un precedente errore interpretativo dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 341 del 1996.

A suo avviso la disciplina dettata dagli artt. 203 e seguenti del d.P.R. n. 1092 del 1973 risponderebbe all’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la necessità, riconducibile ai principi espressi dall’art. 97 Cost., di porre rimedio all’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello dovuto e quella di tutelare il pensionato, che destina le prestazioni pensionistiche, anche se parzialmente indebite, al soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia.

Tale disciplina, tuttavia, sarebbe il frutto di un’evoluzione normativa che originariamente attribuiva alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale» di liquidare il trattamento pensionistico – sulla base delle conclusioni del Procuratore generale e ad opera di una pronuncia collegiale in camera di consiglio – e, quindi, giustificava una disciplina della revocazione che escludesse l’errore di diritto. Tale esclusione, viceversa, rappresenterebbe una grave lacuna dal momento in cui la liquidazione del trattamento pensionistico è stata sottratta all’organo giurisdizionale ed attribuita all’amministrazione, il cui provvedimento ha continuato ad essere modificabile o revocabile solo in casi tassativamente indicati, tra cui non rientrerebbe l’errore di diritto.

Peraltro, il rimettente evidenzia che – al di fuori del caso in cui il provvedimento di liquidazione sia modificato in ragione dell’illegittimità rilevata dalla Corte dei conti nell’esercizio del controllo successivo – la giurisprudenza delle sezioni d’appello della Corte dei conti sarebbe univoca nell’escludere che il generale regime di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi illegittimi sia applicabile a quello definitivo di liquidazione del trattamento di quiescenza – in ciò corroborata da una pronuncia della medesima Corte a sezioni riunite in funzione nomofilattica – in ragione del principio di prevalenza dell’interesse alla stabilità e certezza del rapporto pensionistico.

In simile contesto – nonostante sia consapevole del precedente rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 91 del 1984, che ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale di analogo tenore – il giudice a quo ritiene di sollevarla nuovamente.

Preliminarmente, il rimettente sostiene di non poter dar luogo ad un’interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 che elida i profili di illegittimità di cui lo stesso sarebbe affetto. Ciò, in particolare, potrebbe avvenire escludendo la tassatività dell’elencazione contenuta nella disposizione censurata. Essa, tuttavia, risulterebbe alla stregua del diritto vivente e del tenore letterale della disposizione censurata, che impedirebbero un’interpretazione adeguatrice, come indirettamente confermato dal precedente rappresentato dalla sentenza n. 91 del 1984.

Dunque, ad avviso del giudice a quo, il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza potrebbe essere modificato o revocato solo per i motivi indicati dall’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che, in ragione della sua specialità, impedirebbe l’annullamento d’ufficio secondo il regime generale degli atti amministrativi.

Sulla base di tale premessa, il rimettente ritiene che la disposizione censurata differenzi ingiustificatamente – in violazione dell’art. 3 Cost. – la situazione in cui il provvedimento sia affetto da un errore di percezione di un dato di fatto della realtà o di calcolo da quella in cui esso sia caduto sulla norma da applicare o sulla sua interpretazione, posto che costituirebbe valore dell’ordinamento giuridico un’azione amministrativa non solo corretta e conforme al canone del buon andamento, ma anche e soprattutto conforme a legge. L’esigenza di una disciplina uniforme delle due situazioni deriverebbe anche dal fatto che l’art. 166 della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), ha assoggettato i provvedimenti definitivi sul trattamento di quiescenza non più al controllo preventivo della Corte dei conti, ma a quello successivo, facendo venir meno ogni ragione di assimilazione della modifica o revoca previste dall’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 alla revocazione delle pronunce giurisdizionali, per la quale l’errore di diritto non assumerebbe rilievo perché destinato ad essere dedotto nei vari gradi di giudizio, senza che si possano reintrodurre tematiche proprie del giudizio già svolto. D’altra parte, la tutela del pensionato sarebbe già sufficientemente assicurata dall’irripetibilità delle somme indebitamente percepite, sancita dall’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973, ormai presumibilmente impiegate per il soddisfacimento dei suoi bisogni e di quelli della sua famiglia, argomento che non potrebbe valere in proiezione futura per gli importi illegittimamente attribuiti ma non ancora percepiti.

Ad avviso del rimettente, inoltre, la norma censurata violerebbe anche l’art. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. in quanto il trattamento pensionistico del lavoratore, quale retribuzione differita, dovrebbe essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato mentre l’esclusione dell’errore di diritto dai motivi che consentono la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, sancendone la sostanziale intangibilità anche nel caso in cui sia illegittimo, altererebbe detto rapporto di adeguatezza e proporzionalità. Ciò, peraltro, non sarebbe coerente con i principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica espressi dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che ridefinirebbe il sistema previdenziale, commisurando il trattamento di quiescenza alla contribuzione e stabilizzando la spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo ed allo sviluppo del sistema previdenziale medesimo.

Infine, secondo il giudice a quo, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contrasterebbe con l’art. 97 Cost. Infatti, non consentendo di intervenire sul provvedimento definitivo di pensione illegittimo al fine di emendarlo dell’errore di diritto che lo affligge, ne impedirebbe la reductio ad legitimitatem con l’effetto di consolidare per il futuro ed in perpetuo l’indebito arricchimento del percipiente. Ciò in contrasto con il principio di buon andamento e legalità dell’azione amministrativa, cui dovrebbe adeguarsi anche la disciplina del trattamento pensionistico.

1.3.– Quanto alla rilevanza, il rimettente evidenzia che la mancata previsione dell’errore di diritto nel novero dei motivi di revoca o di modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza determinerebbe l’illegittimità del decreto del Ministero dell’interno – Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, di rideterminazione della pensione, con conseguente accoglimento dell’appello e ripristino di quella originariamente liquidata.

2.– Con atto depositato il 18 settembre 2012 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Richiamando un orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti, l’intervenuto sostiene che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contribuirebbe a definire un sistema di garanzie a favore del pensionato, la cui ratio andrebbe individuata nell’intenzione del legislatore di attuare il principio della tendenziale immodificabilità della pensione al fine di favorire la stabilità e la certezza del rapporto pensionistico e di evitare i riflessi negativi che l’attribuzione di una potestà di annullamento dell’amministrazione senza limiti oggettivi e temporali avrebbe sulla vita sociale e di relazione del dipendente collocato a riposo, che, magari in ragione dell’importo non elevato, destina le somme percepite alla soddisfazione dei bisogni alimentari propri e della propria famiglia. In sostanza, l’esigenza perseguita corrisponderebbe a quella riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, che, in ragione della natura di retribuzione differita del trattamento di quiescenza, avrebbe affermato l’intangibilità relativa del diritto alla pensione che si sia acquisito ed il diritto del pensionato a vedersi assicurata un’esistenza libera e dignitosa ed alla sicurezza giuridica, pur nella discrezionalità del legislatore di stabilire modalità e criteri, anche quantitativi, della disciplina in materia.

Sulla base di tali considerazioni il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la disciplina dettata dalla norma, di stretta interpretazione in quanto deroga alla tendenziale immodificabilità della pensione, corrisponderebbe ai principi costituzionali richiamati, con conseguente manifesta infondatezza – o, addirittura, inammissibilità – della questione sollevata, così come già ritenuto da questa Corte con riferimento a quella, analoga, decisa con la sentenza n. 91 del 1984.

3.– Con atto depositato il 23 luglio 2012 si è costituito in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) – successore ex lege dell’INPDAP nel giudizio a quo – aderendo ai motivi di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice rimettente.

Con memoria depositata il 19 maggio 2014, l’INPS ha evidenziato la possibilità di interpretare l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 nel senso che esso non impedisca all’amministrazione l’esercizio del potere di annullamento in autotutela del provvedimento pensionistico definitivo affetto da errore di diritto, così come riconosciuto da un orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte dei conti, oltre che in alcune pronunce di primo grado, anche, a suo dire, in sede d’appello. Ad avviso dell’intervenuto, tale conclusione priverebbe di rilevanza la questione di legittimità costituzionale prospettata dal rimettente.

In punto di non manifesta infondatezza, l’INPS riproduce sostanzialmente le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione, sottolineando la differenza tra la disposizione censurata e l’art. 162 del medesimo d.P.R. n. 1092 del 1973 – che disciplina la liquidazione provvisoria del trattamento di quiescenza, suscettibile di modifica o revoca da parte del provvedimento definitivo, con conseguente conguaglio a beneficio o a danno del pensionato – ed il rischio che l’amministrazione, per non commettere errori inemendabili, dilati i tempi di adozione dei provvedimenti interinali, con conseguente riverbero negativo su efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Considerato in diritto

1.– La Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto.

Secondo il giudice a quo, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 – frutto di un’evoluzione normativa che originariamente attribuiva alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale» di liquidare la pensione e, quindi, giustificava una disciplina analoga a quella della revocazione – impedirebbe di modificare o revocare il provvedimento pensionistico definitivo in presenza di errore di diritto.

Sulla base di tale premessa, il rimettente ritiene che la disposizione censurata differenzi ingiustificatamente – in violazione dell’art. 3 Cost. – la situazione in cui il provvedimento sia affetto da un errore di percezione di un dato di fatto della realtà o di calcolo da quella in cui l’errore riguardi la norma da applicare o la sua interpretazione.

Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma censurata violerebbe anche gli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., in quanto il trattamento di quiescenza del lavoratore, quale retribuzione differita, dovrebbe essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, mentre l’esclusione dell’errore di diritto dai motivi che consentono la revoca o la modifica del provvedimento pensionistico definitivo, sancendone la sostanziale intangibilità anche nel caso in cui sia illegittimo, altererebbe il rapporto di adeguatezza e proporzionalità al lavoro prestato.

Infine, secondo il rimettente, l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 contrasterebbe con l’art. 97 Cost., in quanto, non consentendo di intervenire sul provvedimento definitivo di pensione illegittimo al fine di emendarlo dell’errore di diritto che lo affligge, ne impedirebbe la reductio ad legitimitatem, con l’effetto di consolidare per il futuro l’indebito arricchimento del percipiente, in contrasto con il principio di buon andamento e legalità dell’azione amministrativa, cui dovrebbe adeguarsi anche la disciplina del trattamento pensionistico.

2.– L’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 dispone che la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza da parte dell’ufficio che l’ha emesso «può aver luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi».

Il rimettente interpreta la disposizione nel senso che il provvedimento definitivo di pensione non possa essere modificato o revocato per errore di diritto, non ricompreso nell’elencazione tassativa contenuta nell’art. 204 né altrimenti rilevante in ragione del potere di annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo spettante all’amministrazione in autotutela, in applicazione dell’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», nonché, più in generale, dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Il presupposto ermeneutico da cui muove il giudice a quo è conforme all’interpretazione delle sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n. 15/2011/QM), a cui si sono uniformate in modo costante le sezioni d’appello della medesima Corte. Tale interpretazione «costituisce, pertanto, “diritto vivente”, del quale si deve accertare la compatibilità con i parametri costituzionali evocati» (sentenza n. 338 del 2011).

3.– Ai fini della decisione è opportuno ricordare per sommi capi le modalità di determinazione del trattamento di quiescenza e la giurisprudenza della Corte dei conti in materia.

La liquidazione della pensione avviene attraverso due stadi, il primo provvisorio, secondo quanto disposto dall’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il secondo definitivo.

La liquidazione provvisoria consiste nella corresponsione al pensionato di un trattamento determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione, con riserva di conguaglio in caso di divergenza rispetto alla liquidazione definitiva. Quest’ultima, invece, conclude la fase interinale intercorrente tra il provvedimento provvisorio e quello definitivo finalizzata a conferire alla pensione speciali garanzie di certezza a tutela sia dell’Erario sia del dipendente cessato dal servizio. A seguito delle opportune verifiche degli elementi di fatto e di diritto viene consolidata, se del caso attraverso una rideterminazione, la spettanza e la misura della pensione in modo da assicurare una certezza rafforzata al rapporto vitalizio che ne deriva.

La duplice fase liquidatoria risponde all’esigenza di assicurare al pubblico dipendente collocato a riposo un reddito nel periodo immediatamente successivo alla cessazione della corresponsione dello stipendio ed, al contempo, di consentire una valutazione ponderata degli elementi di fatto e della portata della normativa da applicare per la liquidazione pensionistica. Necessitando quest’ultima valutazione di un congruo lasso temporale, la liquidazione provvisoria assicura la continuità nella percezione del reddito che, nel caso del pubblico dipendente, costituisce generalmente il solo o principale mezzo di sostentamento.

Chiamate a pronunciarsi su una questione di massima circa la possibilità di modificare in sede di liquidazione pensionistica definitiva l’interpretazione di diritto già data in occasione di quella provvisoria, le sezioni riunite della Corte dei conti (sentenza n. 7/2011/QM) hanno escluso che le garanzie del provvedimento definitivo predisposte dagli artt. 203 e seguenti del d.P.R. n. 1092 del 1973 – inclusa l’inibizione alla revoca per errore di diritto – operino fino all’adozione di quest’ultimo. In quella sede le sezioni riunite hanno affermato che la dialettica tra interessi contrapposti – quello alla certezza del diritto, su cui si fonda l’affidamento del pensionato, e quello alla correttezza e legittimità dell’azione amministrativa – deve essere risolta a favore del secondo, anche in considerazione del fatto che l’attribuzione pensionistica viene espressamente definita provvisoria dall’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e che l’amministrazione deve avere un congruo lasso temporale per individuare correttamente la normativa da applicare. Poiché la determinazione del trattamento pensionistico finale avviene attraverso il fisiologico passaggio per una fase interinale, «l’adozione del provvedimento definitivo di pensione, con connessa possibilità di variazioni e conguagli, segna il momento più significativo e valorizzabile dell’affidamento riposto dal dipendente collocato a riposo nella correttezza della procedura di determinazione della giusta pensione, essendo non solo ragionevole, ma anche del tutto attendibile ritenere che l’Amministrazione disponga, in tale occasione, di tutti gli elementi necessari per superare la fase di provvisorietà e per fissare […] le coordinate che identificano il trattamento di quiescenza» (Corte dei conti - sezioni riunite, sentenza n. 7/2007/QM).

Ai fini dello scrutinio delle questioni proposte è bene sottolineare come è solo nella fase di liquidazione definitiva che – secondo il diritto vivente precedentemente richiamato, formatosi anche sulla base della sentenza di questa Corte n. 91 del 1984 – opera il principio, espresso dalla norma della cui legittimità costituzionale dubita il rimettente, dell’intangibilità del trattamento pensionistico frutto di errore di diritto.

4.– È alla luce delle esposte premesse che si deve esaminare il merito della questione proposta dal giudice a quo.

4.1.– Anzitutto, essa non è fondata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., profili di censura scrutinabili congiuntamente.

Nel sollevare la descritta questione di legittimità costituzionale, il rimettente richiama quale tertium comparationis la disciplina dell’errore di fatto e dell’errore di calcolo, per i quali lo stesso art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 prevede la possibilità di revoca o modifica del provvedimento pensionistico definitivo.

Le situazioni, tuttavia, non sono comparabili: mentre l’errore di fatto consiste nella falsa percezione, per equivoco o svista, di quanto emerge incontrovertibilmente dagli atti e quello di calcolo deriva dall’erronea applicazione delle regole matematiche sulla base di dati numerici certi, l’errore di diritto è concetto in ordine alla cui individuazione assumono un peso rilevante argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche. L’oggettività e l’immediatezza che caratterizzano la rilevazione degli errori di fatto e di calcolo differiscono in modo sostanziale dai connotati del giudizio che accompagna la valutazione della violazione, falsa applicazione o erronea interpretazione di una norma.

Secondo il costante orientamento di questa Corte «si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche, essendo insindacabile in tali casi la discrezionalità del legislatore» (sentenze n. 340 del 2004 e, nello stesso senso, n. 108 del 2006).

A ben vedere, mentre i tertia comparationis richiamati dal rimettente non sono equiparabili alla fattispecie in esame, sussiste al contrario una sostanziale omogeneità tra l’ipotesi dell’errore di fatto e quella dell’errore di calcolo. Si tratta di situazioni che hanno in comune un tratto di semplice e concreta rilevabilità, tale da escludere o da rendere particolarmente difficile l’insorgere di affidamenti da parte dei destinatari del provvedimento che ne sia affetto.

Al contrario, la percezione dell’errore di diritto non gode della medesima immediatezza. In tal modo la revoca o la rettifica eventualmente adottate entrano più facilmente in contrasto con il convincimento indotto nel pensionato dalla già intervenuta applicazione, in senso diverso e per lui più favorevole, della norma oggetto di reinterpretazione. Peraltro, l’autorità preposta alla liquidazione provvisoria e definitiva dispone fin dall’origine degli elementi necessari a svolgere le operazioni attinenti all’applicazione della legge. Così, se la fase interinale – suscettibile di prolungarsi anche oltre i termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 o dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del decreto pensionistico definitivo – serve ad assicurare la continuità della prestazione retributiva, rimanendo impregiudicata la possibilità per l’amministrazione di correggere eventuali errori di qualsiasi genere in sede definitiva, quest’ultima possibilità, quanto all’errore di diritto, non trova giustificazione dopo la fine del periodo interinale che caratterizza funzionalmente l’articolazione del procedimento in un sistema binario.

Viene dunque in rilievo il principio dell’affidamento: non solo l’esclusione dell’errore di diritto dalle ipotesi di revoca non trasmoda in un regolamento irrazionale ed arbitrario delle correlate situazioni sostanziali dello Stato e del pensionato, ma essa è funzionale all’esigenza di garantire la sicurezza giuridica, con particolare riguardo alle aspettative del dipendente collocato a riposo.

Nella particolare ipotesi in esame, il fluire del tempo e la disponibilità di mezzi e spazi temporali adeguati ad assicurare la legittimità della prestazione pensionistica costituiscono idonei elementi diversificatori della fattispecie stessa, atteso che la demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla struttura e all’articolazione complessiva del procedimento di liquidazione.

Dunque, la determinazione definitiva del trattamento di quiescenza costituisce il momento dal quale la tutela dell’affidamento del pensionato nella stabilità del vitalizio percepito assume prevalente rilevanza nell’ambito dei valori tutelati dall’ordinamento in subiecta materia.

D’altra parte, già in precedenza questa Corte, su analoga questione, aveva osservato che il «principio di eguaglianza, in questo come in ogni altro incontro, è colorito dalle disposizioni costituzionali operanti nel settore in cui quel principio è invocato e la violazione del medesimo è lamentata» (sentenza n. 91 del 1984).

Le considerazioni svolte servono altresì a scrutinare le censure formulate in riferimento all’art. 97 Cost.
Il mero ripristino della legalità dell’azione amministrativa – ancorché finalizzato a conseguire minori oneri finanziari per l’Erario – non può prevalere sulla tutela della situazione del pensionato con modalità temporali illimitate.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, «la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione non può essere invocata se non per l’arbitrarietà e la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata, combinandosi, sotto questo profilo, con il riferimento all’art. 3 Cost. ed implicando lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata (sentenze n. 243 del 2005, n. 63 e n. 306 del 1995; n. 250 del 1993)» (ordinanze n. 100 e n. 47 del 2013).

L’esclusione della rilevanza dell’errore di diritto dai casi consentiti di modifica o revoca del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non è irragionevole o arbitraria, essendo volta – come detto – a soddisfare esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento le quali, già cedevoli nella fase interinale precedente alla liquidazione definitiva, prevalgono successivamente, per effetto di un diverso bilanciamento con l’interesse antagonista del ripristino della legittimità dell’azione amministrativa. Ciò nell’esercizio del potere di scelta del legislatore nel regolare la dialettica di interessi parimenti meritevoli di protezione (sentenze n. 257 del 2010 e n. 34 del 1999; ordinanza n. 105 del 2010).

A tali considerazioni – ed al di là del fatto che l’esigenza di correggere l’errore di diritto viene già adeguatamente garantita nella precedente e non breve fase liquidatoria interinale – si deve aggiungere che il diritto alla pensione costituisce una situazione soggettiva di natura patrimoniale, imprescrittibile, assistita da speciali garanzie di certezza e stabilità e da una particolare tutela da parte dell’ordinamento (sentenza n. 116 del 2013), anche in ragione della condizione di oggettiva debolezza in cui il titolare viene a trovarsi, sia nell’ambito del rapporto obbligatorio che si instaura con l’amministrazione sia nella particolare fase della vita in cui l’uscita dall’attività lavorativa e l’età comportano un difficile adattamento al nuovo stato.

4.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non è fondata neppure in riferimento agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita» (sentenza n. 116 del 2013). Di conseguenza «dagli articoli 36 e 38 discende il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore e alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Tuttavia, i ricordati principi di proporzionalità e di adeguatezza […] lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che – senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico – siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione» (sentenza n. 441 del 1993), operando un «bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa» (ordinanze n. 202 del 2006 e n. 531 del 2002).

La regola contenuta nell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 è espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai principi testé ricordati.

Essa, infatti, non sottrae il calcolo pensionistico al criterio normativamente previsto, sia esso contributivo o retributivo, ma prevede – entro il perimetro delle soluzioni costituzionalmente consentite – un correttivo in nome dell’esigenza di salvaguardare maggiormente, una volta conclusa la fase di liquidazione interinale, la certezza del diritto e il legittimo affidamento che su di essa si fonda.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2014.
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