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quesito revoca pensione inabilità

Inviato: gio gen 10, 2013 1:18 pm
da mustevex
Mi inserisco in questa discussione per porre un importante quesito a coloro che sapranno darmi una risposta ed un valido aiuto, il 7 settembre 2012 il Ministero dell'interno ha disposto nei confronti del sottoscritto la cessazione ope legis dal servizio a decorrere dal 02.07.2004 ai sensi dell'art. 8 lettera b del D.P.R. nr. 737/1981, a seguito di una sentenza di condanna diventata definitiva e dell''interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il 27.12.2010 a seguito di riforma della c.m.o per fisica inabilità, ho iniziato a percepire il previsto trattamento pensionistico, ma alla sopracitata data del 7 settembre 2012 tale trattamento pensionistico con nota della Prefettura della mia città mi è stato revocato, poichè il Ministero dell'interno con analoga disposizione ha comunicato alla locale sede provinciale dell'inps gestione ex inpdap di volere sospendere il pagamento del mio trattamento pensionistico poichè alla nuova data di cessazione(02.07.2004) non avevo maturato i requisiti necessari per la pensione. Vorrei chiedere a chi conosce la materia se sono ancora in tempo a fare qualche ricorso che per motivi di forza maggiore non ho potuto finora fare, e se a tale riguardo ho qualche possibilità di vincerlo e a chi dovrei indirizzarlo( TAR; CORTE DEI CONTI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, etc). Saluto tutti e ringrazio sin d'orà chi saprà rispondermi.

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: gio gen 10, 2013 6:17 pm
da giu16
Buonasera a tutti,

Vorrei porre un quesito:

Se un appartenente alle FF.OO. che percepisce la pensione di inabilità, nel corso della sua vita da pensionato incorre in qualche denuncia che finisce con la condanna, c'è il rischio che l'amministrazione a seguito di procedimento disciplinare ti revochi la pensione di inabilità? magari con qualche querela di un vicino di casa? corriamo veramente questo rischio? La mia è semplicemente una quesito che vorrei chiarire per stare piu' tranquillo.
Grazie

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: sab gen 12, 2013 4:32 pm
da petit1964
buonasera atutti, sono brig cc e mi è successo questo:
pur essendo ricorrente per un errore del minist difesa sono stato prima destituito e successivamente con altro decreto riassunto e collocato nella precedente posizione di sospeso, ora sto contattando un legale per vedere se il mio è un caso di Ne Bis Ib Idem, staremo a vedere.
saluti a tutti.

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: ven mag 31, 2013 7:59 pm
da panorama
destituito dal servizio a decorrere dal 10.2.199X.

1) - Il ricorrente, assistente della Polizia di Stato, in data 17.9.199X, durante l’espletamento del servizio di vigilanza con turno veniva sorpreso “comodamente sdraiato e addormentato”.

2) - In data 21.10.2005 il OMISSIS depositava copia della sentenza …../04 del Tribunale Ordinario di Roma che lo assolveva dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

3) - L'Appello proposto dal M.I. è stato RESPINTO dal Consiglio di Stato.

Il resto dei fatti leggeteli qui sotto.

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21/05/2013 201302752 Sentenza 3


N. 02752/2013REG.PROV.COLL.
N. 08433/2006 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8433 del 2006, proposto da:
Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Dell'Erba, con domicilio eletto presso Franco Dell'Erba in Roma, via XX Settembre, n.4;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA SEZIONE I TER n. 04462/2006

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Cimino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il ricorrente, assistente della Polizia di Stato, in data 17.9.199X, durante l’espletamento del servizio di vigilanza con turno veniva sorpreso “comodamente sdraiato e addormentato”.

In data 25.9.199X il Questore di Roma attivava la inchiesta disciplinare nei suoi confronti; con delibera del Consiglio provinciale di disciplina del 2.12.199X veniva proposta la destituzione dal servizio; con il provvedimento (OMISSIS) veniva destituito dal servizio a decorrere dal 10.2.199X.

Con ricorso al Tar del Lazio, sede di Roma, l’interessato deduceva i seguenti motivi di diritto:

-violazione del principio generale della prevalenza della funzione giurisdizionale penale;

-violazione dell’art. 12 del DPR 25 ottobre 1981 recante norme sulle sanzioni disciplinari per il personale dell’amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti;

-violazione di legge; mancanza e insufficienza di motivazione.

In data 21.10.2005 il OMISSIS depositava copia della sentenza …../04 del Tribunale Ordinario di Roma che lo assolveva dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

Con ordinanza istruttoria n. 13750/2005 il Tar chiedeva chiarimenti all’amministrazione dai quali risultava che :

-per i fatti del 17.9.1996 il giudice penale aveva assolto il ricorrente “perché il fatto non sussiste”;

-in data 24.3.1983 il OMISSIS aveva riportato la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 1/30, in data 4.10.1985 la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 5/30 (derubricata dal Capo della Polizia in richiamo scritto), in data 8.9.1992 la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei.

Il Tar riteneva il ricorso fondato in relazione al secondo motivo dedotto con il quale il ricorrente si doleva che nell’irrogare la sanzione l’amministrazione aveva violato i principi di gradualità, proporzionalità e gravità.

Nell’atto di appello il Ministero assume che è principio giurisprudenziale in materia disciplinare quello secondo cui la scelta della punibilità del comportamento rientra nella valutazione discrezionale della amministrazione e non può essere sindacata se non per evidenti ragioni di contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti così come il sindacato del giudice amministrativo sulla misura della sanzione disciplinare inflitta dalla amministrazione, per non sconfinare in un inammissibile sindacato di merito, deve essere limitato ai soli casi in cui vi sia abnorme sproporzione tra i fatti contestati e accertati e la misura medesima.

La sentenza non avrebbe motivato in ordine alla ritenuta, grave, abnorme sproporzione esistente tra i fatti contestati e la sanzione inflitta.

Aggiunge il Ministero appellante rilevando che il giudizio della amministrazione in presenza di una pluralità di provvedimenti sanzionatori non consta, schematicamente e aritmeticamente della loro sommatoria, ma si risolve viceversa in una valutazione complessiva nella quale le singole infrazioni acquistano un peso significativo e maggiore proprio in ragione della loro pluralità,

Si è costituito in appello il signor OMISSIS sostenendo la inammissibilità dell’appello per avere criticato la sentenza con considerazioni generiche e incongrue obliterando che il potere disciplinare è sindacabile dal giudice amministrativo in caso di uso contraddittorio, illogico e travisato dei fatti, circostanze, queste, ricorrenti nel caso di specie in cui anche il giudice penale aveva assolto il OMISSIS dichiarando che il fatto non sussiste.

Nel merito, l’appellato rileva che la commissione di disciplina avrebbe omesso un accurato e ponderato accertamento istruttorio e aveva obliterato la valenza di un certificato medico rilasciato dal Policlinico Umberto I° di Roma che certificava una patologia oculare a carico del sig. OMISSIS disattendendo anche la situazione logistica in cui si sarebbe consumata la infrazione (un Corpo di guardia particolarmente frequentato e con un costante via vai di utenti), omettendo infine la audizione delle persone presenti al fatto contestato.

Inoltre, a parte alcuni episodi sporadici e isolati, come quello del 1992, che faceva riferimento, tuttavia, ad un fatto penalmente non giudicato perché estinto, il ricorrente riportava, in servizio, valutazioni positive coerentemente con il suo operato pluriennale, caratterizzato da diligenza e devozione al proprio servizio e alla divisa che indossava.

Con ordinanza cautelare n.5840/2006 questo Consiglio di Stato respingeva la richiesta di sospensione della sentenza presentata dal Ministero appellante.

All’udienza di trattazione del 3 maggio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO
1. La destituzione è stata irrogata all’appellato ai sensi dell’art. 7 del DPR n. 737 del 1981 n. 2, relativo a atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, n.3 per grave abuso di autorità o di fiducia, n.6, reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari.

Come rilevato dal Tar risultava in atti che le tre sanzioni disciplinari in precedenza irrogate erano piuttosto risalenti nel tempo (1983, 1985 e 1992) e che due di esse erano di significativa tenuità (pena pecuniaria nella misura di 1/30 e richiamo scritto) mentre quanto alla terza e più grave (sospensione dal servizio di mesi sei irrogata con provvedimento del 1992) dagli atti di causa risultava che il relativo procedimento penale si era estinto per intervenuta amnistia.

Pertanto per il primo giudice l’operato dell’amministrazione intimata non poteva considerarsi in sintonia con i principi della gradualità, proporzionalità e gravità della mancanza anche in relazione alla parte motiva della sentenza n…../2004 del Tribunale Ordinario di Roma secondo il quale “all’esito di quanto emerso non può dirsi raggiunta la prova della penale responsabilità dell’odierno imputato che, forse colpito da un bruciore più intenso, come anche dimostrato dai certificati rilasciati lo stesso giorno dal Pronto Soccorso dell’Umberto I°, si è momentaneamente coperto gli occhi con le mani, assentandosi per alcuni secondi, ma che certo non può dirsi si sia addormentato da non sentire ciò che succedeva attorno a lui, consentendo di addivenire ad una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste”.

Nell’atto di appello il Ministero ricorda che è principio giurisprudenziale consolidato in materia disciplinare quello secondo cui la scelta della punibilità del comportamento rientra nella valutazione discrezionale della amministrazione e non può essere sindacata se non per evidenti ragioni di contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti, così come il sindacato del giudice amministrativo sulla misura della sanzione disciplinare inflitta dalla amministrazione, per non sconfinare in un inammissibile sindacato di merito, deve essere limitato ai soli casi in cui vi sia abnorme sproporzione tra i fatti contestati e accertati e la misura medesima.

La sentenza quindi avrebbe travalicato il limite esterno della giurisdizione amministrativa entrando nel merito della valutazione sulla scorta di un non plausibile ed inaccettabile argomentazione sulla non proporzionalità della sanzione irrogata.

2. La Sezione ritiene che le censure dell’amministrazione appellante non meritano accoglimento.

Infatti se è vero che il potere discrezionale della amministrazione è assai ampio nell’apprezzare le varie ipotesi disciplinari e se è anche vero che al giudice amministrativo non è consentito di ripercorrere la intera formazione del giudizio in materia di sanzioni disciplinari, è pure vero che il principio di proporzionalità e graduazione delle sanzioni in relazione agli addebiti, essendo emanazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., non è affatto insindacabile sia pure nei limiti di un sindacato estrinseco sull’attività posta in essere dalla amministrazione.

Nella specie, l’accusa mossa al OMISSIS nel 199X e ritenuta tale da giustificare la più grave delle sanzioni possibili quale la destituzione, è stata quella di essere stato trovato, dal dirigente del Commissariato, addormentato mentre era preposto al servizio di vigilanza del corpo di guardia di un commissariato.

Il procedimento disciplinare e il conseguente provvedimento di destituzione partono e si esauriscono in tale episodio richiamando, in una sorta di diretta derivazione e automatismo, la norma che si assume violata (art. 7 del DPR 737/1981 punti 2,3 e 6) senza prendere in esame e approfondire in maniera adeguata le circostanze del caso specifico e in specie:

-la valenza di un certificato medico rilasciato da struttura pubblica nella stessa serata in cui era avvenuto l’episodio, che certificava una patologia oculare a carico dell’appellato e che, secondo la successiva valutazione del giudice penale, poteva avere giustificato un momentaneo bruciore che costringeva il poliziotto a coprirsi gli occhi;

-la possibilità quindi che lo stesso OMISSIS, anche se momentaneamente con gli occhi chiusi e in un atteggiamento rilassato, non si fosse addormentato non essendosi reso quindi responsabile della violazione dei doveri di ufficio nei termini stringenti e definitivi che lascia intendere il provvedimento di destituzione;

-la presenza nel Commissariato, nella giornata e nelle ore in cui si erano svolti i fatti, di altri appartenenti alla Polizia di Stato che non risulta essere stati uditi nel corso del procedimento disciplinare essendosi proceduto alla sola audizione del Vice Ispettore OMISSIS;

-la relativa valenza dei precedenti di servizio del OMISSIS che nel corso di molti anni aveva riportato giudizi positivi (superiore alla media, distinto, ottimo), salvo avere riportato tre sanzioni disciplinari per lo più risalenti nel tempo alcune delle quali oggettivamente di lieve entità tanto da essere sanzionate con una pena pecuniaria di 1/30 e con richiamo scritto, mentre l’altra risulta estinta per amnistia.

In un tale contesto fattuale appare censurabile la valutazione dell’amministrazione per avere basato le proprie conclusioni senza una adeguata istruttoria e approfondimento sul comportamento del ricorrente, la cui condotta andava valutata con severità per la delicatezza dei compiti affidati in qualità di appartenente alla Polizia di Stato e per il rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere con l’amministrazione, ma che, in relazione alle implicazioni gravissime di tale valutazione, comportava la necessità di una equilibrata ponderazione di tutti gli elementi che potevano emergere dall’istruttoria anche a favore dello stesso dipendente, risultando, altrimenti, l’atto di destituzione, sproporzionato e abnorme.

3. L’appello in conclusione va rigettato, mentre le spese ed onorari, per la peculiarità della vicenda, possono essere compensati.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2013

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: dom lug 14, 2013 5:20 pm
da panorama
cessazione dal servizio per inidoneita' attitudinale al servizio di polizia ( l’assenza dal servizio si è protratta per oltre dieci anni).

1) - il ricorrente era stato destituito dal servizio, a seguito di condanna penale.

2) - Il TAR del Lazio (Roma, I-ter, n. 670/2006) ha annullato il provvedimento di destituzione, in quanto adottato oltre il termine massimo di durata del procedimento disciplinare.

3) - Con provvedimento del Dipartimento di P.S. in data 25 settembre 2006, l’appellato è stato riammesso in servizio (con decorrenza 12 giugno 1996), con obbligo di riprendere il servizio il 7 ottobre 2006 e, “considerato il periodo di assenza dal servizio”, di sottoporsi il 9 ottobre 2006 ad accertamenti per verificare la permanenza dei requisiti attitudinali e psico-fisici.

4) - In esito agli accertamenti effettuati in data 10 ottobre 2006, con provvedimento del Dipartimento di P.S. in data 13 ottobre 2006, è stata disposta la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale ai servizi di Polizia (carenza di uno dei requisiti di cui all’art. 25, comma 2, della legge 121/1981).

5) - Ha impugnato i provvedimenti dinanzi al TAR del Lazio.

6) - Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (I-ter, n. 12647/2009) ha accolto il ricorso, affermando che non sussistevano o comunque non erano state motivate le “specifiche circostanze”, rilevabili d’ufficio, quali elementi sintomatici che inducano a dubitare sulla permanenza dei requisiti, che potevano giustificare la verifica attitudinale; non essendo per contro sufficiente la sola circostanza della riammissione in servizio a seguito di pronuncia favorevole al dipendente, altrimenti il comportamento dell’Amministrazione apparirebbe palesemente volto ad eluderla.

7) - Nell’appello, il Ministero dell’interno sostiene che la verifica (anche) attitudinale era legittima, in base al d.m. 198/2003 ed alla luce della lunga assenza dal servizio del dipendente e delle caratteristiche delle vicende procedimentali e processuali pregresse.

IL CONSIGLIO DI STATO spiega:

8) - Il nodo fondamentale della controversia, già affrontato in primo grado, consiste nella sussistenza o meno dei presupposti per la sottoposizione dell’appellato alla verifica dell’idoneità attitudinale, al momento della sua riammissione in servizio.

9) - Secondo un orientamento giurisprudenziale, l'Amministrazione può, durante lo svolgimento del servizio, disporre una verifica del possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali, ma solo quando vengano in rilievo elementi sintomatici che inducano a dubitare della permanenza dei requisiti stessi; non invece quando si tratti di riammettere in servizio un dipendente a seguito di provvedimenti giurisdizionali favorevoli, apparendo altrimenti il comportamento della P.A. come palesemente volto ad eluderli (cfr. Cons. Stato, VI, 1 febbraio 2010, n. 422 – peraltro relativo ad una vicenda in cui in sede penale era intervenuta assoluzione – e IV, ord. n. 2712/2004 e n. 2961/2004).

10) - In particolare, nei precedenti richiamati, ad integrare le “specifiche circostanze” utili a rendere possibile ed opportuna una nuova e accurata verifica attitudinale del dipendente, è stata ritenuta sufficiente la obiettiva circostanza che questi non avesse prestato servizio per un lungo arco temporale.

11) - La medesima circostanza sussiste nel caso in esame, e, per la sua natura oggettiva e la sua consistenza (nel caso dell’appellato, l’assenza dal servizio si è protratta per oltre dieci anni), deve ritenersi equivalente ad un elemento sintomatico che induca a dubitare della permanenza dei requisiti stessi.

Appello del M.I. è stato accolto.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.

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10/07/2013 201303664 Sentenza 3


N. 03664/2013REG.PROV.COLL.
N. 01830/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1830 del 2010, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 12647/2009, resa tra le parti, concernente cessazione dal servizio per inidoneita' attitudinale al servizio di polizia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato OMISSIS e l’avvocato dello Stato Ferrante Wally;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con decreto del Capo della Polizia in data 13 gennaio 1999, l’odierno appellato, assistente della Polizia di Stato, era stato destituito dal servizio, a seguito di condanna penale.

2. Il TAR del Lazio (Roma, I-ter, n. 670/2006) ha annullato il provvedimento di destituzione, in quanto adottato oltre il termine massimo di durata del procedimento disciplinare.

3. Con provvedimento del Dipartimento di P.S. prot. 333-D/..... in data 25 settembre 2006, l’appellato è stato riammesso in servizio (con decorrenza 12 giugno 1996), con obbligo di riprendere il servizio il 7 ottobre 2006 e, “considerato il periodo di assenza dal servizio”, di sottoporsi il 9 ottobre 2006 ad accertamenti per verificare la permanenza dei requisiti attitudinali e psico-fisici.

In esito agli accertamenti effettuati in data 10 ottobre 2006, con provvedimento del Dipartimento di P.S. prot. 333-D/..... in data 13 ottobre 2006, è stata disposta la cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale ai servizi di Polizia (carenza di uno dei requisiti di cui all’art. 25, comma 2, della legge 121/1981).

4. Ha impugnato i provvedimenti dinanzi al TAR del Lazio.

Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (I-ter, n. 12647/2009) ha accolto il ricorso, affermando che non sussistevano o comunque non erano state motivate le “specifiche circostanze”, rilevabili d’ufficio, quali elementi sintomatici che inducano a dubitare sulla permanenza dei requisiti, che potevano giustificare la verifica attitudinale; non essendo per contro sufficiente la sola circostanza della riammissione in servizio a seguito di pronuncia favorevole al dipendente, altrimenti il comportamento dell’Amministrazione apparirebbe palesemente volto ad eluderla.

5. Nell’appello, il Ministero dell’interno sostiene che la verifica (anche) attitudinale era legittima, in base al d.m. 198/2003 ed alla luce della lunga assenza dal servizio del dipendente e delle caratteristiche delle vicende procedimentali e processuali pregresse.

6. Resiste l’appellato, controdeducendo in ordine al motivo di appello.

7. Il nodo fondamentale della controversia, già affrontato in primo grado, consiste nella sussistenza o meno dei presupposti per la sottoposizione dell’appellato alla verifica dell’idoneità attitudinale, al momento della sua riammissione in servizio.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, l'Amministrazione può, durante lo svolgimento del servizio, disporre una verifica del possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali, ma solo quando vengano in rilievo elementi sintomatici che inducano a dubitare della permanenza dei requisiti stessi; non invece quando si tratti di riammettere in servizio un dipendente a seguito di provvedimenti giurisdizionali favorevoli, apparendo altrimenti il comportamento della P.A. come palesemente volto ad eluderli (cfr. Cons. Stato, VI, 1 febbraio 2010, n. 422 – peraltro relativo ad una vicenda in cui in sede penale era intervenuta assoluzione – e IV, ord. n. 2712/2004 e n. 2961/2004).

D’altro canto, questa Sezione è ormai ferma nel ritenere che, anche nel corso del rapporto di lavoro (e non solo al momento dell'assunzione), per i dipendenti della Polizia di Stato può e deve essere accertata la permanenza dell'idoneità fisica, psichica e attitudinale allo svolgimento di compiti che sono connessi all'ordine pubblico e alla sicurezza e richiedono specifiche qualità sul piano fisico, psichico e attitudinale (cfr. III, 19 giugno 2012, n. 3566; 1 febbraio 2012, n. 512; 4 luglio 2011, n. 3991). Ciò, in quanto, in base all'articolo 2, comma 3, del d.m. 198/2003 <<Il giudizio di idoneità al servizio … [oltre che ai fini dell'applicazione delle disposizioni dei d.P.R. 738/1981 e 339/1982] può essere chiesto dall'Amministrazione in occasione di istanze presentate dal personale per congedo straordinario, aspettativa per motivi di salute, riconoscimento di dipendenza da causa di servizio di infermità, concessioni di equo indennizzo, ai fini della dispensa dal servizio per motivi di salute oppure, con adeguata motivazione, in relazione a specifiche circostanze rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio>>.

In particolare, nei precedenti richiamati, ad integrare le “specifiche circostanze” utili a rendere possibile ed opportuna una nuova e accurata verifica attitudinale del dipendente, è stata ritenuta sufficiente la obiettiva circostanza che questi non avesse prestato servizio per un lungo arco temporale.

La medesima circostanza sussiste nel caso in esame, e, per la sua natura oggettiva e la sua consistenza (nel caso dell’appellato, l’assenza dal servizio si è protratta per oltre dieci anni), deve ritenersi equivalente ad un elemento sintomatico che induca a dubitare della permanenza dei requisiti stessi.

8. Per tali motivi l’appello deve essere accolto.

9. La natura della controversia ed il tempo trascorso inducono a compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/07/2013

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: ven ago 02, 2013 5:39 pm
da panorama
destituzione dal servizio a decorrere dal 18 novembre 1998.

1) - Il provvedimento impugnato è stato emesso perché l’interessato è stato condannato alla pena di tre anni quattro mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per alcuni reati commessi nell’esercizio delle funzioni, ........

2) - Gli effetti della destituzione sono stati fatti decorrere dalla data di sospensione cautelare del servizio seguita all’applicazione degli arresti domiciliari per i reati poi oggetto di condanna.

3) - Con i motivi n. 3, 4 e 5 del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7, ed 8 della legge n. 737 del 1981, in relazione all’art. 9 della legge n. 19 del 1990 ed al principio di irretroattività dell’atto amministrativo, con riferimento alla decorrenza degli effetti, fissata al 18.11.1998, data della sospensione cautelare dal servizio, invece che dal passaggio in giudicato della sentenza.

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

4) - Le censure, strettamente connesse, sono fondate per le assorbenti ragioni di seguito indicate.

5) - Il citato art. 8, lett. b), d.P.R. n. 737 del 1981, delinea la destituzione “di diritto” come un provvedimento dichiarativo, doverosamente susseguente alla condanna definitiva per determinati reati, come lo stesso Ministero riferisce.

6) - Ne consegue che è improprio ricollegare gli effetti del provvedimento alla pregressa sospensione cautelare del servizio, a prescindere dalla questione – sollevata dal ricorrente sulla base del disposto di cui all’art. 9 della legge n. 19 del 1990 – che tale sospensione, decorsi i cinque anni, cessa, e di essa non può tenersene conto.

7) Ciò che rileva, infatti, è la circostanza che il fondamento della destituzione non è in un procedimento disciplinare, ma esclusivamente nella condanna penale, a cui devono riferirsi, anche sul piano temporale, gli effetti immediatamente scaturenti dal provvedimento amministrativo.

8) - Tale interpretazione è coerente con il principio generale di irretroattività dell’atto amministrativo, derogabile solo in presenza di un’espressa previsione di legge.

9) - Dalla fondatezza delle censure in esame discende l’annullamento in parte qua del provvedimento impugnato, e la validità del servizio prestato successivamente alla sospensione cautelare.

Per completezza potete leggere il tutto qui sotto.
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30/07/2013 201300692 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 03/07/2013


Numero 03493/2013 e data 30/07/2013


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 10 aprile 2013 e del 3 luglio 2013


NUMERO AFFARE 00692/2013

OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto dal signor OMISSIS, avverso destituzione dal servizio a decorrere dal 18 novembre 1998;

LA SEZIONE
Vista la relazione del 05/03/2013 con la quale il Ministero dell'interno dipartimento della pubblica sicurezza ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
Con il ricorso in epigrafe OMISSIS domanda l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento del 24.09.2012 di destituzione dal servizio.

A fondamento del ricorso deduce plurimi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Ministero riferente ha concluso perché il ricorso sia respinto.

CONSIDERATO:
Il provvedimento impugnato è stato emesso perché l’interessato è stato condannato alla pena di tre anni quattro mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per alcuni reati commessi nell’esercizio delle funzioni, tra cui OMISSIS.

Gli effetti della destituzione sono stati fatti decorrere dalla data di sospensione cautelare del servizio seguita all’applicazione degli arresti domiciliari per i reati poi oggetto di condanna.

Con i primi due motivi di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7, ed 8 della legge n. 737 del 1981, nonché violazione del principio di tipicità dell’atto amministrativo, non essendo individuato il potere amministrativo esercitato, in pregiudizio delle garanzie previste dal procedimento disciplinare.

Le censure, che vanno congiuntamente esaminate, sono infondate.

La destituzione è stata disposta ai sensi dell’art. 8, lett. b), d.P.R. n. 737 del 1981, secondo cui “L’appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza incorre nella destituzione di diritto: […] b) per condanna, passata in giudicato, che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici; …”, quale effetto automatico dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, come tale legittimamente adottata in assenza di procedimento disciplinare.

Con i motivi n. 3, 4 e 5 del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7, ed 8 della legge n. 737 del 1981, in relazione all’art. 9 della legge n. 19 del 1990 ed al principio di irretroattività dell’atto amministrativo, con riferimento alla decorrenza degli effetti, fissata al 18.11.1998, data della sospensione cautelare dal servizio, invece che dal passaggio in giudicato della sentenza.

Le censure, strettamente connesse, sono fondate per le assorbenti ragioni di seguito indicate.

Il citato art. 8, lett. b), d.P.R. n. 737 del 1981, delinea la destituzione “di diritto” come un provvedimento dichiarativo, doverosamente susseguente alla condanna definitiva per determinati reati, come lo stesso Ministero riferisce.

Ne consegue che è improprio ricollegare gli effetti del provvedimento alla pregressa sospensione cautelare del servizio, a prescindere dalla questione – sollevata dal ricorrente sulla base del disposto di cui all’art. 9 della legge n. 19 del 1990 – che tale sospensione, decorsi i cinque anni, cessa, e di essa non può tenersene conto.

Ciò che rileva, infatti, è la circostanza che il fondamento della destituzione non è in un procedimento disciplinare, ma esclusivamente nella condanna penale, a cui devono riferirsi, anche sul piano temporale, gli effetti immediatamente scaturenti dal provvedimento amministrativo.

Tale interpretazione è coerente con il principio generale di irretroattività dell’atto amministrativo, derogabile solo in presenza di un’espressa previsione di legge.

Dalla fondatezza delle censure in esame discende l’annullamento in parte qua del provvedimento impugnato, e la validità del servizio prestato successivamente alla sospensione cautelare.

P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere accolto per quanto di ragione, con annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa alla decorrenza degli effetti. Sospensiva assorbita.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
Giovanni Mastrocola

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: sab ago 03, 2013 12:18 pm
da Domenico61
salve panorama ma se o capito bene il ricorso e stato vinto da questo poliziotto giusto .

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: sab ago 03, 2013 6:49 pm
da Domenico61
Salve a tutti sono un brig dei cc mi inserisco in questa discussione e vi chiedo un quesito chi di voi sa dirmi la DIFFERENZA che passa tra "destituzione dal servizio con annessa retroattività per condanna passata ingiudicata " e "decaduto dal servizio" .
Qui su questo forum ho letto che la prassi "decaduto dal servizio" avviene automaticamente perché la condanna supera i 5 anni e l'interdizione e perpetua dai pubblici uffici e non può essere il "soggetto" perseguito con azione disciplinare per eventuale retroattività e destituzione dal servizio.
Se ho capito bene la destituzione per condanna passata ingiudicato (terzo grado) viene instaurata una pratica disciplinare dal Ministero Difesa o Ministeri dell'Interno nei confronti degli appartenenti alla forza pubblica per destituirlo dal servizio con la perdita del grado etc etc .... Qualcuno sa qualcosa??? Rivolta anche a Panorama che vedo che sa molto su sentenze etc etc ...Grazie a TUTTI Saluti Domenico61.

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: gio gen 16, 2014 10:38 pm
da panorama
destituzione, riammesso in servizio, ma con contestuale sua sottoposizione a nuovi accertamenti attitudinali e successiva cessazione dal servizio nella Polizia di Stato.

Il Ministero dell'Interno ha perso anche l'appello al Consiglio di Stato.

Il resto leggetelo qui sotto.
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14/01/2014 201400107 Sentenza Breve 3


N. 00107/2014REG.PROV.COLL.
N. 08055/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 c.p.a., sul ricorso n. 8055/2013 RG, proposto dal Ministero dell'interno, in persona del sig. Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

contro
il sig. M. L., appellante incidentale, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Gaetano Scoca ed Alessandro Gigli, con domicilio eletto in Roma, via G. Paisiello n. 55,

per la riforma
della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. I-ter, n. 7893/2013, resa tra le parti e concernente la cessazione del sig. OMISSIS dal servizio nella Polizia di Stato;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato sig. OMISSIS;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 3 dicembre 2013 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Gigli e l’Avvocato dello Stato Ferrante;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a.;

Ritenuto in fatto che, a seguito dell’annullamento giurisdizionale della sua destituzione, il sig. M. L., agente scelto di PS, fu sì riammesso in servizio con la nota ministeriale del 30 agosto 2004 (notificata il giorno successivo), ma con contestuale sua sottoposizione a nuovi accertamenti attitudinali;

Rilevato che il sig. OMISSIS, rientrato in servizio il 4 settembre 2004, i successivi giorni 6 e 7 fu sottoposto all’accertamento della permanenza dei requisiti attitudinali ex DM 30 giugno 2003 n. 198, il quale ebbe esito negativo;

Rilevato che di conseguenza, con nota ministeriale dell’8 settembre 2004, notificata il giorno successivo, la P.A. datrice di lavoro comunicò la cessazione del sig. OMISSIS dall’impiego per inidoneità attitudinale al servizio di polizia;

Rilevato altresì che, avverso tal nota, il sig. OMISSIS adì il TAR Lazio con il ricorso n. 11209/2004 RG, con cui dedusse vari profili di censura e chiedendo il risarcimento del danno per equivalente nel caso in cui l’annullamento dell’atto impugnato non fosse pienamente satisfattivo;

Rilevato inoltre che, ricevuto il 24 gennaio 2005 il decreto ministeriale dell’8 settembre 2004 circa la cessazione dal servizio per inidoneità, il successivo giorno 27 il sig. OMISSIS lo impugnò in una con le valutazioni espresse dalla Commissione tecnica (verbali del 6 e del 7 settembre 2004; scheda di profilo individuale) con un atto per motivi aggiunti al ricorso n. 11209/2004 RG, ottenendo l’invocata sospensione cautelare di tal provvedimento, giusta ordinanza n. 1132 del 4 marzo 2005, confermata in appello;

Rilevato ancora che, essendo stato dichiarato perento il ricorso n. 11209/2004 RG, è intervenuto il decreto del 27 settembre 2012, notificato il successivo 21 novembre e con il quale detta P.A. ha definitivamente disposto la cessazione del sig. OMISSIS dal servizio;

Rilevato, quindi, che il sig. OMISSIS ha nuovamente adito il TAR Lazio, con il ricorso n. 10359/2012 RG, colà impugnando il decreto stesso e deducendo tre articolati gruppi di censure, in esito al cui giudizio è intervenuta la sentenza n. 7893 dell’8 agosto 2013, la quale, riuniti il presente al ricorso n. 11209/2004 RG, ha accolto in parte la pretesa così azionata, anche ai fini risarcitori;

Ritenuto al riguardo che, con il ricorso in epigrafe, il Ministero dell’interno si grava avverso detta sentenza n. 7893/2013, deducendone in punto di diritto l’erroneità perché, a suo dire, la valutazione tecnica espressa dalla Commissione non solo non evidenziò alcuna manifesta irragionevolezza sulla riscontrata inidoneità attitudinale del sig. OMISSIS alla luce dei rigorosi criteri posti dal DM 198/2003, ma soprattutto tal giudizio non può esser considerato in base ai comportamenti successivi a siffatto accertamento, ancorché positivi e favorevolmente apprezzati;

Ritenuto infine che il sig. OMISSIS propone a sua volta appello incidentale, impugnando la sentenza n. 7893/2013 laddove ha ritenuto tardive le censure prospettate con i motivi aggiunti al ricorso n. 11204/2004 RG (in occasione, cioè, del gravame contro la cessazione dal servizio notificata il 24 gennaio 2005), in quanto, a suo dire, la comunicazione notificatagli il 9 settembre 2004 fu del tutto generica e non fece alcuna menzione del DM 198/2003, onde v’è stata una situazione d’obiettiva incertezza tale da non far decorrere i termini d’impugnazione, sotto tal specifico profilo, fino alla notificazione del decreto definitivo di destituzione;

Considerato in diritto che prioritario s’appalesa, nella specie, l’esame del testé citato gravame incidentale, giacché l’eventuale suo accoglimento, nella misura in cui implica astrattamente una più radicale illegittimità dei provvedimenti contestati —così assicurando all’appellante incidentale un effetto inibitorio ab imis della sua soggezione ad un nuovo giudizio di idoneità—, sarebbe in grado di rendere comunque improcedibile, al di là di ogni oggettivo pregio nel merito delle doglianze relative, l’appello principale per estinzione dell’interesse fatto valere;

Considerato al riguardo, nondimeno, che l’appello incidentale non appare condivisibile, in quanto, come rettamente sul punto ha precisato il TAR, grazie alla (e fin dal momento della) comunicazione notificatagli il 9 settembre 2004 il sig. OMISSIS ebbe precisa contezza della ragione della sua cessazione dal servizio, ossia di quell’accertata inidoneità attitudinale ai servizi di polizia «... a seguito degli accertamenti attitudinali effettuati il 7 settembre…»;

Considerato allora che, pur materialmente vera essendo la mancanza del richiamo della P.A. al DM 198/2003, non per ciò solo il sig. OMISSIS fu indotto in errore o in confusione, per la duplice ragione della sua specifica cognizione di dover esser sottoposto al predetto giudizio attitudinale ai sensi del citato DM e non appena rientrato in servizio, nonché della sua partecipazione ai relativi test il 7 settembre 2004, ché, anzi, egli tempestivamente si dolse del difetto di motivazione di quanto notificatogli il 9 settembre 2004 e, con i motivi aggiunti, aggredì la sua cessazione dal servizio notificatagli il 25 gennaio 2005 per il contenuto precipuo del giudizio stesso;

Considerato pertanto che, seppur al momento (31 agosto 2004) della notificazione la sottoposizione del sig. OMISSIS al predetto giudizio non fosse, ancora e di per sé sola, un evento lesivo, tale lesione, appunto perché egli seppe fin da quella data a che procedura sarebbe di lì a poco rimasto soggetto, si attualizzò non appena gli fu notificato l’esito negativo del giudizio idoneativo, onde a quello e non in un tempo successivo sorse il di lui onere di contestarne, insieme all’esito, anche l’an;

Considerato inoltre che l’appellante incidentale non sfugge all’intervenuta decadenza così descritta per il sol fatto della citazione, nella comunicazione del giudizio negativo, del solo art. 25, c. 2 della l. 1° aprile 1981 n. 121, poiché tal norma è la fonte primaria su cui si fonda la potestà regolamentare poi definita con il DM 198/2003, ma già impone agli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che esplicano funzioni di polizia, il possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali, onde la vicenda del sig. OMISSIS va letta non solo con riguardo a tal (per vero, irrilevante) mancanza, ma nel complesso di tutti i fatti accadutigli nell’arco di tempo dal 31 agosto al 9 settembre 2004 ed alla consapevolezza di essi secondo la normale diligenza da lui esigibile;

Considerato di conseguenza che scolorano le doglianze dell’appellante incidentale sulla natura provvedimentale, o no, della comunicazione del 9 settembre 2004, in quanto quest’ultima non è che la notificazione sì del dispositivo d’un giudizio negativo, ma non anche d’un giudizio qualunque, bensì solo di quello condotto, nei di lui confronti, in coerenza a quanto già dettogli il precedente giorno 31 e secondo le regole ex DM 198/2003, delle quali in quel giorno fu reso edotto;

Considerato, anzi, che la sottoposizione a tal giudizio idoneativo, ben lungi dall’atteggiarsi in sé quale strumento direttamente elusivo del giudicato cassatorio della destituzione del sig. OMISSIS, è atto necessitato a cagione della non breve assenza di questi dal servizio, di talché, a tutto concedere, se ne possono discutere le modalità, il contenuto, la congruenza e la (il)legittimità del relativo esito, non certo se effettuare il giudizio stesso;

Considerato altresì che va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’appello principale, perché, se è vera l’erroneità del secondo provvedimento di cessazione del sig. OMISSIS dal servizio —in effetti insussistente appalesandosi il presupposto colà addotto, ossia l’avvenuta perenzione del ricorso n. 11209/2004—, tal vicenda da sola non preclude affatto l’eventuale accoglimento dell’appello contro la declaratoria d’illegittimità del giudizio idoneativo, accoglimento in sé idoneo a confermare in via definitiva la primitiva statuizione desti tutoria ed a rendere inutile ogni valutazione sulla seconda (oggetto del ricorso n. 10359/2012 RG);

Considerato ancora che non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al merito dell’appello principale, che è appunto da rigettare;

Considerato infatti che, pur non potendo questo Giudice delibare direttamente il merito tecnico del giudizio idoneativo de quo, né sostituire con il proprio l’apprezzamento della situazione personale ed attitudinale del soggetto valutato, la valutazione in questione dev’esser svolta con accuratezza, la quale s’invera nell’effettuazione di accertamenti rigorosamente conformi alle regole tecniche del DM 198/2003, congruenti con queste e con un’interpretazione dei fatti secondo buona fede, sì in particolare da depurare, secondo ragionevolezza ed equanimità, il giudizio dalle condizioni di obiettivo disagio in cui eventualmente il soggetto versi al momento della somministrazione dei relativi test;

Considerato a tal proposito che l’impugnato giudizio evidenziò nel sig. OMISSIS un sensibile disagio emotivo, un pensiero non agile in situazioni di stress e, soprattutto, la tendenza a «… commiserarsi, probabilmente anche in conseguenza ai risvolti socio-emotivi dovuti alla sua situazione nei confronti dell’Amministrazione…», ossia un complesso di criticità ictu oculi non strutturali nella personalità dell’appellante, ma, a quanto la stessa Commissione precisò, perlopiù indotti dallo stato, transeunte, del suo pregresso vissuto lontano dal servizio e dell’immediatezza della sottoposizione a visita non appena riammessovi;

Considerato quindi che va condivisa sul punto l’appellata sentenza, laddove sottolinea l’evidente non congruenza tra siffatte premesse, di cui la Commissione fu consapevole tanto da riportarle nel corpo del giudizio, ed il contenuto di quest’ultimo in termini d’immaturità attitudinale dello stesso sig. OMISSIS, come se l’intero bagaglio di esperienze negative da lui accumulate verso la P.A. non avesse inciso in nulla nel comportamento valutato e nelle risposte fornite;

Considerato che rettamente il TAR s’avvede, indipendentemente dall’irrilevanza, o meno, dei giudizi caratteristici favorevoli ottenuti dal sig. OMISSIS nelle more del giudizio di primo grado, di come l’accertamento così su di lui condotto non intese i fattori esterni di condizionamento in sé stressanti, derivanti pure dall’atteggiamento non equanime della P.A. appellante;

Considerato al riguardo che, sebbene il soggetto valutato non possa pretendere di versare in una condizione psicologica di serenità od ottimale prima d’affrontare il giudizio idoneativo —ché ciò, con tutt’evidenza, potrebbe falsare la sua capacità di mantenere atteggiamenti equilibrati in vicende di rilevante stress improvviso—, nemmeno può dirsi immune dai riscontrati vizi d’irragionevolezza e d’ingiustizia manifesta un giudizio attitudinale sì negativo, ma reso in un contesto temporale e fattuale in cui è la stessa P.A. procedente ad aver creato o aggravato la situazione stressante;

Considerato pure che i predetti giudizi caratteristici successivi, quand’anche li si volesse intendere non dirimenti, offrono pur sempre un complesso di elementi di riscontro sulla personalità del sig. OMISSIS e sulle di lui reazioni in ambienti operativi anche stressanti, sì da corroborare il sospetto d’anomalia di quello sulla impugnata inidoneità, basata, si badi, non sulla strutturale incapacità di questi a reagire in modo corretto a tali situazioni faticose, quanto anche sull’effetto indotto dalle vicende inerenti alla di lui destituzione ed alla complessa riammissione in servizio;

Considerato di conseguenza che non giova al Ministero appellante affermare né la preparazione del personale che condusse l’accertamento de quo (trattandosi d’un pre-requisito in difetto del quale l’accertamento stesso ed il giudizio, prim’ancora che inattendibili, sarebbero illeciti), né il rigore scientifico adoperato (assunto, questo, come si vede comunque inidoneo nella specie a prevenire ogni errore possibile), né la riscontrata emotività del sig. OMISSIS quale presupposto del giudizio di inidoneità (ché essa è l’effetto transitorio del contesto non equanime in cui è stato disposto e poi condotto tal giudizio, non già un tratto caratterizzante la personalità dell’appellato);

Considerato al contrario che, nella specie, è mancato un completo giudizio sulla definitiva non idoneità del sig. OMISSIS al servizio di polizia (donde il difetto di motivazione del giudizio gravato in primo grado), la cui non definitività è facilmente inferibile proprio dalla transitorietà della vicenda stressante, anche sotto il profilo della scansione temporale tra la di lui riammissione in servizio (peraltro a seguito di ed in esito ad un serio contenzioso pregresso) e la relativa sottoposizione al giudizio ex DM 198/2003;

Considerato, infine e quanto alle spese del presente giudizio, che queste seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 8055/2013 RG in epigrafe, respinge l’appello incidentale e quello principale.

Condanna il Ministero appellante al pagamento, a favore dell’appellato resistente e costituito, delle spese del presente giudizio che sono nel complesso liquidate in € 2.500,00 (Euro duemilacinquecento/00), di cui € 800,00 per la fase di studio, € 800,00 per la fase introduttiva ed € 900,00 per la fase di studio, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2014

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: mar apr 22, 2014 1:18 pm
da panorama
provvedimento disciplinare

1) - Era stato contestato l’omesso adempimento di uno specifico obbligo di servizio (trasmissione al Compartimento del “mattinale dell’attività di P.G.), assunto come “notoriamente” connesso, di sabato e nei giorni festivi, alla mansione di operatore di giornata a cui il ricorrente era stato comandato.

2) - Disattesi gli argomenti difensivi dell’incolpato, il Dirigente infliggeva la sanzione del richiamo scritto perché “nonostante le ripetute esortazioni di un collega e successivamente di un Ispettore Superiore del Compartimento, non ottemperava al dovere di trasmettere il mattinale di polizia giudiziaria adducendo pretestuosamente che tale compito fosse di competenza di altro ufficio e che lui non poteva sopperire perché completamente sprovvisto di conoscenze o istruzioni in merito”.

3) - Il ricorrente deduce quindi la violazione del suo diritto di difesa, fondandosi la decisione sui predetti elementi di prova su cui egli non ha potuto contraddire.

4) - Il rispetto di tali principi fondamentali impone quindi all’amministrazione adempimenti idonei a mettere gli interessati in condizione di potersi adeguatamente difendere. Nello specifico ciò implica che la previsione legislativa sopra richiamata, secondo cui il provvedimento disciplinare non può essere assunto se non dopo che sia stato assicurato il rispetto del principio del contradditorio, va necessariamente intesa nel senso che sull’autorità procedente gravano gli obblighi, anche se non esplicitamente previsti, funzionali ad assicurare l’effettivo esercizio dei suddetti diritti procedimentali. Deve pertanto ritenersi che, acquisiti in sede gerarchica nuovi elementi utili alla decisione, prima della fase decisoria l’autorità procedente debba quantomeno comunicare all’interessato gli elementi istruttori raccolti, informandolo del suo diritto di prendere visione del fascicolo e di presentare le proprie deduzioni in merito.

Ricorso accolto, per cui vi invito ha leggete per qui sotto ( x brevità e spazio ho tolto alcuni passaggi).
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09/05/2013 201300464 Sentenza 1


N. 00464/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00305/2007 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 305 del 2007, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. Elvio Fortuna, Amilcare Lauria, con domicilio eletto presso Andrea Avv. Filippi De Santis in L'Aquila, via G. Caldora, 5;

contro
Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale di L'Aquila;

nei confronti di
Polizia di Stato - Sezione Polizia Stradale di ….; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;

per l'annullamento
impugnativa provvedimento disciplinare

Visti il ricorso e i relativi allegati;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, assistente capo della Polizia di Stato, espone:
- con nota 21.11.2006 il Dirigente … gli contestava la violazione di cui all’art. 3, punti 2,3,6, DPR 737/1981 per un fatto verificatosi in data 28.10.2006;
- Omissis.
Avverso tali atti deduce:
- Omissis;
- illegittimità della decisione gerarchica per violazione del diritto di difesa, del principio di parità delle parti nonché di terzietà dell’organo decidente, essendo la stessa fondata su atti su cui non è stato consentito il contraddittorio procedimentale ed acquisiti d’ufficio a sostegno dell’accusa;
- dagli atti posti a base della misura sanzionatoria non emerge comunque alcun elemento di prova a suo carico.

2. Costituitasi in giudizio l’amministrazione ha depositato documenti. In vista dell’udienza di discussione ha con breve memoria concluso per l’infondatezza del ricorso.

3. Va premesso che, ai sensi dell’allora vigente art. 20 legge TAR (“ omissis”), oggetto del presente giudizio è la decisione gerarchica, in cui è assorbito il provvedimento originario, a maggior ragione allorché fondata, come nella fattispecie, sul rinnovo dell’istruttoria e quindi su considerazioni ulteriori rispetto a quelle effettuate in primo grado. Ne consegue che l’annullamento di tale decisione determina il venir meno del provvedimento sanzionatorio.

4. Il primo motivo è comunque infondato, omissis.

Ai sensi dell’art. 3 DPR 737/1981 il richiamo scritto OMISSIS (cfr., in tali termini, art. 55bis, co. 2, d.lgs. 165/2001).

E’ anche infondata la censura con cui si contesta il potere dell’autorità gerarchica di acquisire nuovi elementi, OMISSIS .

Vige, infatti, la regola opposta ex art. 4, 3° co., d.p.r. n. 1199 del 1971, secondo cui l’autorità gerarchica può disporre tutti gli “accertamenti utili ai fini della decisione”, peraltro nella fattispecie sollecitati dallo stesso ricorso gerarchico.

5. Deve ritenersi invece fondato l’ulteriore profilo della medesima censura, con cui si deduce la violazione del principio del contraddittorio.

Era stato contestato l’omesso adempimento di uno specifico obbligo di servizio (trasmissione al Compartimento del “mattinale dell’attività di P.G.), assunto come “notoriamente” connesso, di sabato e nei giorni festivi, alla mansione di operatore di giornata a cui il ricorrente era stato comandato. Disattesi gli argomenti difensivi dell’incolpato, il Dirigente infliggeva la sanzione del richiamo scritto perché “nonostante le ripetute esortazioni di un collega e successivamente di un Ispettore Superiore del Compartimento, non ottemperava al dovere di trasmettere il mattinale di polizia giudiziaria adducendo pretestuosamente che tale compito fosse di competenza di altro ufficio e che lui non poteva sopperire perché completamente sprovvisto di conoscenze o istruzioni in merito”.

Nel ricorso gerarchico il ricorrente evidenziava che nessuna prova era stata addotta a suo carico e ciò nonostante il provvedimento si fondasse su dichiarazioni di altri soggetti, di cui tuttavia nel fascicolo non vi era traccia. Che tali accertamenti si rendessero invece necessari era argomentato con una lunga esposizione dei fatti svoltisi la mattina di sabato 28 ottobre 2006, essenzialmente incentrata sull’insorgere di un equivoco, protrattosi per tutta la mattinata nonostante una serie di contatti telefonici, sul documento di cui il Compartimento aveva richiesto l’invio a mezzo fax. Come risulterebbe dal brogliaccio di servizio, il ricorrente deduceva di avere inteso che la richiesta si riferisse ad “un non meglio specificato mattinale che veniva inoltrato tutte le mattine dall’ufficio servizi”, quella mattina tuttavia chiuso, ed impossibilitato egli a risolvere personalmente la questione e perciò attivatosi per coinvolgere gli addetti al predetto ufficio.

Nel rigettare il ricorso, il dirigente compartimentale ha richiamato tre relazioni di servizio, acquisite nel corso del procedimento gerarchico, “che confermano concordemente la notorietà della specifica disposizione trasgredita”.

Il ricorrente deduce quindi la violazione del suo diritto di difesa, fondandosi la decisione sui predetti elementi di prova su cui egli non ha potuto contraddire.

6. “notoriamente” connesso, di sabato e nei giorni festivi, La disposizione appena richiamata tratta espressamente del procedimento di primo grado, ma essa deve ritenersi espressione del principio generale del “giusto procedimento” di cui alla la legge 241/1990 e pertanto operante anche in sede gerarchica, il cui carattere di rimedio giustiziale non fa venir meno il fatto che l’organo procedente è titolare di analogo potere di quello esercitato in primo grado, e quindi anch’esso assoggettato ai principi generali del procedimento amministrativo.

Che la fattispecie possa essere ricondotta alla violazione del principio fondamentale del contraddittorio emerge chiaramente da Corte Cost. 182 del 2008: “secondo i principi che ispirano la disciplina del «patrimonio costituzionale comune» relativo al procedimento amministrativo (sentenza n. 104 del 2006), desumibili dagli obblighi internazionali, dall'ordinamento comunitario e dalla legislazione nazionale (art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, … art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, nonché la legge 7 agosto 1990, n. 241…), vanno garantiti all'interessato alcuni essenziali strumenti di difesa, quali la conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione alla formazione dei medesimi e la facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti (sentenze n. 460 del 2000 e nn. 505 e 126 del 1995)”. La possibilità dell’interessato di accedere agli elementi di prova raccolti fa quindi parte di quel nucleo di “essenziali strumenti di difesa” in cui si estrinseca il principio del contraddittorio e del giusto procedimento disciplinare e, in fin dei conti, della “pubblicità dell'azione amministrativa (che) ha assunto, specie dopo l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 …, il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell'amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.)”.

La medesima garanzia deriva dalla nuova formulazione dell’art. 1, 1° comma, l. 241/1990, tra cui si pone, nell’ambito dei principi chiamati ad orientare l’attività amministrativa, quale “principio fondamentale del diritto comunitario, che dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma disciplinante la procedura”, … il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e idoneo a sfociare in un atto per essa lesivo” (cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, sez. III, 15 giugno 2006, in causa C-28/05, paragrafo 74). Il principio in questione “impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sugli elementi addebitati a loro carico per fondare la decisione impugnata”.

Il rispetto di tali principi fondamentali impone quindi all’amministrazione adempimenti idonei a mettere gli interessati in condizione di potersi adeguatamente difendere. Nello specifico ciò implica che la previsione legislativa sopra richiamata, secondo cui il provvedimento disciplinare non può essere assunto se non dopo che sia stato assicurato il rispetto del principio del contradditorio, va necessariamente intesa nel senso che sull’autorità procedente gravano gli obblighi, anche se non esplicitamente previsti, funzionali ad assicurare l’effettivo esercizio dei suddetti diritti procedimentali. Deve pertanto ritenersi che, acquisiti in sede gerarchica nuovi elementi utili alla decisione, prima della fase decisoria l’autorità procedente debba quantomeno comunicare all’interessato gli elementi istruttori raccolti, informandolo del suo diritto di prendere visione del fascicolo e di presentare le proprie deduzioni in merito.

Non sembra in senso contrario rilevante la considerazione che l’interessato, a cui è in via generale assicurato il diritto di accesso agli atti, si trova già nella condizione di poter acquisire in ogni momento la piena conoscenza del contenuto del fascicolo. Le difficoltà di assolvimento dell’onere di monitorare costantemente lo stato degli atti alla ricerca di elementi di novità, in quanto posto a carico di un soggetto estraneo all’apparato amministrativo, lo renderebbero, infatti, manifestamente sproporzionato rispetto al correlativo obbligo, di ben più facile adempimento, di effettuare una semplice comunicazione.

Si tratta peraltro di una previsione che il legislatore ha adottato, tuttavia riguardo ai soli procedimenti ad impulso di parte, con l’istituto del preavviso di rigetto ex art. 10bis l. 241/1990, mentre nella disciplina di settore analogo schema si rinviene nell’art. 20 DPR 737/1981, che disciplina il procedimento dinanzi al consiglio centrale o provinciale, ma da ritenersi espressione dei suddetti sopravvenuti principi generali di tutela del contraddittorio.

6. Il ricorso va in conclusione accolto con annullamento dei provvedimenti impugnati.

Quanto alle spese di giudizio ne va disposta la compensazione.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, L’Aquila, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Alberto Tramaglini, Consigliere, Estensore
Maria Abbruzzese, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2013

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: gio mag 08, 2014 10:17 am
da panorama
- sanzione disciplinare della destituzione dal servizio

- riammesso in servizio e contestualmente convocato per l’accertamento dei requisiti attitudinali.
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IL CONSIGLIO DI STATO scrive:

(ecco alcuni brani)

1) - Quanto al merito della controversia va osservato che, ai sensi dell’art. 1 del d.m. n. 198 del 2003, l’accertamento dell’idoneità sotto il profilo attitudinale al servizio di polizia trova la sua collocazione primaria e naturale al momento dell’ingresso in servizio nei ruoli della Polizia di Stato (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 909 del 2010).

2) - In caso di annullamento del provvedimento che ha illegittimamente interrotto il rapporto di pubblico impiego (nella specie l’atto di destituzione del 4 dicembre 2001) la riammissione in servizio non dà luogo alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro ma, per l’effetto ex tunc della pronunzia di annullamento, si ha una prosecuzione del rapporto precedente indebitamente interrotto.

3) - Restano, quindi, ferme tutte le precedenti verifiche che, al momento dell’ammissione in impiego, avevano investito i requisiti di idoneità dell’interessato a svolgere i compiti della qualifica.

4) - Con riguardo alla verifica del requisito psico attitudinale la giurisprudenza di questo Consiglio - in presenza di riammissione in servizio dopo un provvedimento espulsivo dichiarato illegittimo - ha limitato detto esame alle specifiche ipotesi di assenza per un non limitato periodo dal servizio di polizia.

Ricorso del collega Accolto in Appello da parte del CdS.

N.B.: per completezza leggete tutto il contesto qui sotto.
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02/05/2014 201402287 Sentenza 3


N. 02287/2014REG.PROV.COLL.
N. 06981/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6981 del 2013, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Romeo Romei, n. 35;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale Dello Stato, con domicilio per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 05287/2013, resa tra le parti, concernente cessazione dal servizio per accertata inidoneità attitudinale al servizio di polizia

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2014 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti l’avv. OMISSIS e l’ avvocato dello Stato Marchini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il sig. OMISSIS, agente scelto della Polizia di Stato, era destinatario della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio (decreto del Capo della Polizia del 4 dicembre 2001) che impugnava avanti il T.A.R. il Lazio.

In giudice territoriale annullava l’atto destitutivo con sentenza n. 15309 del 9 dicembre 2004, che riceveva conferma con sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 115 del 19 gennaio 2007.

Con atto del 14 luglio 2005 il OMISSIS era riammesso in servizio e contestualmente convocato per l’accertamento dei requisiti attitudinali.

L’accertamento aveva esito negativo e con provvedimento del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’ Interno in data 3 agosto 2005 era disposta la cessazione dal servizio del ricorrente.

Il ricorso proposto dal OMISSIS avanti al T.A.R. per il Lazio contro il nuovo provvedimento espulsivo era con sentenza n. 5287 del 2013 in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto.

Il T.A.R. rilevava un profilo di inammissibilità del ricorso per la mancata tempestiva impugnazione dell’atto di convocazione per gli accertamenti in questione.

Nel merito il primo giudice escludeva ogni automatismo ripristinatorio del rapporto di pubblico impiego per effetto della sentenza di annullamento dell’atto di destituzione e con richiamo alla specifica disciplina dettata dall’art. 2 del d.m. n. 198 del 2003 riconosceva in capo all’ Amministrazione la possibilità di attivare il giudizio di idoneità al servizio “con adeguata motivazione, in relazione a specifiche circostanze rilevate d’ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio”, circostanze che nella specie trovavano riscontro nell’assenza per la durata di quattro anni dal servizio e, quanto al contenuto del provvedimento, l’inequivocabile verifica dell’ inidoneità attitudinale con richiamo ob relationem alla valutazione espressa dall’apposita commissione.

Avverso la sentenza del T.A.R. ha proposto appello il sig. OMISSIS ed ha dedotto:

a. la natura endoprocedimentale dell’atto di invio a visita con esclusione dell’onere di immediata impugnazione;

b. la riammissione in servizio non determina una novazione del rapporto di impiego, ma si pone in continuità con il precedente già legittimamente costituito; ciò esclude la possibilità di una rinnovata verifica del requisito psico/attitudinale che assume rilievo solo in sede di concorso di prima assunzione nei ruoli della Polizia di Stato;

c. che con provvedimento del 14 giugno 2006 il ricorrente è stato dichiarato idoneo al servizio di polizia ed impiegato nei compiti di istituto, con ricostruzione della carriera, ed ha poi conseguito la promozione ora per allora alla qualifica di assistente con atto del 5 marzo 2009 e decorrenza dal 12 luglio 2004, restando in tal modo assorbita e superata ogni precedente statuizione impeditiva del prosieguo del rapporto di impiego, con ogni effetto sulla cessazione della materia del contendere.

Resiste il Ministero dell’ Interno che ha contrastato i motivi di ricorso e chiesto la conferma della sentenza impugnata.

In sede di note conclusive il sig. OMISSIS ha insistito nelle proprie tesi difensive.

2. L’appellante fondatamente contesta la sentenza del T.A.R. che ha dichiarato inammissibile il ricorso per non aver immediatamente impugnato il provvedimento che, contestualmente alla riammissione in impiego, disponeva l’ invio alla visita per l’accertamento del possesso del requisito psicoattitudinale.

Tale ultima determinazione ha, invero, natura di atto iniziale e di impulso degli accertamenti che investono il possesso delle qualità psico fisiche dai fini del servizio nella Polizia di Stato. Solo all’esito degli stessi, ove di segno negativo, si determina l’effettività di una lesione nella sfera del soggetto che vede in tal modo precluso il prosieguo del rapporto di impiego. Vale, quindi, la regola generale che nel processo amministrativo ogni questione che investa gli atti preparatori e serventi del procedimento vanno impugnati unitamente all’atto terminale ed entro il termine decadenziale dalla sua notifica o comunicazione.

2.1. Quanto al merito della controversia va osservato che, ai sensi dell’art. 1 del d.m. n. 198 del 2003, l’accertamento dell’idoneità sotto il profilo attitudinale al servizio di polizia trova la sua collocazione primaria e naturale al momento dell’ingresso in servizio nei ruoli della Polizia di Stato (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 909 del 2010).

In caso di annullamento del provvedimento che ha illegittimamente interrotto il rapporto di pubblico impiego (nella specie l’atto di destituzione del 4 dicembre 2001) la riammissione in servizio non dà luogo alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro ma, per l’effetto ex tunc della pronunzia di annullamento, si ha una prosecuzione del rapporto precedente indebitamente interrotto. Restano, quindi, ferme tutte le precedenti verifiche che, al momento dell’ammissione in impiego, avevano investito i requisiti di idoneità dell’interessato a svolgere i compiti della qualifica.

L’Amministrazione, tuttavia, con scelta discrezionale ed in presenza di determinati presupposti può disporre la verifica dell’ idoneità psichica e fisica al servizio di polizia in costanza del rapporto, tenendo conto “degli incarichi svolti, dell’età, dell’anzianità di servizio e dell’eventuale presenza di patologie pregresse e croniche” (art. 2, comma 2, d.m. n. 198 del 2003). L’ accertamento dell’idoneità al servizio può, in particolare, essere richiesta “in occasione di istanze presentate dal personale per congedo straordinario, aspettativa per motivi di salute, riconoscimento di dipendenza da causa di servizio di infermità, concessioni di equo indennizzo, ai fini della dispensa dal servizio per motivi di salute” oppure “con adeguata motivazione in relazione a specifiche circostanze rilevate d’ufficio alle quali obiettivamente emerga obiettivamente la necessità del suddetto giudizio”.

Con riguardo alla verifica del requisito psico attitudinale la giurisprudenza di questo Consiglio - in presenza di riammissione in servizio dopo un provvedimento espulsivo dichiarato illegittimo - ha limitato detto esame alle specifiche ipotesi di assenza per un non limitato periodo dal servizio di polizia. Questo, infatti, si caratterizza per continuità di impegno sul territorio, nei servizi di ordine pubblico e di repressione dei reati. Il suo stesso svolgimento concorre, quindi, nello sviluppo ed affinamento delle qualità professionali dell’ operatore di polizia e la sua interruzione per lungo periodo può avere incidenza sui requisiti di idoneità fisica e psichica, quali accertati nel momento di ingresso nei ruoli della Polizia di Stato, e determinare una ricaduta degli stessi al di sotto della soglia di idoneità ordinariamente richiesta (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2306 del 19 aprile 2012).

La necessità di procedere ad una nuova verifica del requisito attitudinale è stata, inoltre, collegata alla presenza di plurimi illeciti disciplinari in cui sia incorso l’appartenente ai ruoli della Polizia di Stato. Ciò può costituire un indice sintomatico di un mutamento nella sfera motivazionale del soggetto ad assolvere il delicato ruolo che grava sull’appartenente alla Polizia di Stato, che implica specifico impegno, spirito di sacrificio, assunzione di rischio, conduzione di una vita di relazione ispirata al rigoroso rispetto della legge ed una massima tutela della propria immagine e reputazione. In tale ipotesi può rendersi necessario, oltreché opportuno, procedere ad un rinnovata verifica dell’ idoneità, anche sotto il profilo dell’attitudine, all’assolvimento dei compiti di istituto. (Cons. St., sez VI, n. 2306 del 2012 cit.)
Siffatte evenienze non trovano, tuttavia riscontro nei confronti dell’odierno appellante.

Invero, come posto in rilievo in sede di note a difesa, in virtù dei provvedimenti cautelari di sospensione della misure estintive del rapporto di impiego oggetto di contestazione e poi annullate, l’allontanamento dal servizio ha avuto effetto solo per due limitati periodi di tempo della durata di tre mesi nel 2001/2002 e di due mesi nel 2005.

Non risultano, inoltre, ascritte al ricorrente gravi mende penali o disciplinari, ove si consideri che la notitia criminis che aveva originato il procedimento disciplinare, conclusosi con l’atto destituivo, ha formato poi oggetto di provvedimento di archiviazione.

A fronte della sostanziale continuità del servizio e dell’assenza di elementi che sul piano sintomatico possano costituire segnale di un mutamento sul piano psichico del livello evolutivo, del controllo emotivo, delle qualità e capacità intellettive e di socialità dell’agente di polizia e che possano riflettersi sulla permanenza dell’attitudine al servizio, vengono meno in presupposti giustificativi per un nuovo screening psico attitudinale, con riedizione di test e controlli che, in via ordinaria, intervengono al momento dell’ ammissione ai corsi per l’ingresso nella Polizia di Stato. Tale conclusione è del resto coerente con l’esigenza posta in rilievo in giurisprudenza di prevenire, in presenza di giudizi che vedono soccombente l’ Amministrazione, l’attivazione di procedimenti che possano condurre a provvedimenti di contenuto elusivo del giudicato, con esercizio di un potere che lo stesso art. 2, comma 2, del d.m. n. 198 del 2003, subordina a circostanze caratterizzate da specificità dalle quali “obiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio” (cfr. Cons. St., n. 422 del 1° febbraio 2010).

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto – restando assorbiti in motivi non esaminati - e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il decreto 3 agosto 2005 con esso impugnato, unitamente agli atti presupposti e conseguenti.

In relazione ai profili della controversia spese ed onorari del giudizio vanno compensati fra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento con esso impugnato ed ogni atto presupposto e conseguente.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Michele Corradino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/05/2014

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: gio lug 03, 2014 8:19 am
da panorama
1) - il Capo della Polizia aveva applicato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio, con decorrenza dal 9 maggio 2002, nonché tutti gli atti presupposti, ed aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’intero trattamento economico per il periodo (9 maggio 2002- 29 settembre 2005) di sospensione cautelare dal servizio.

2) - Né risulta manifestamente irragionevole l’irrogazione della sanzione in relazione al tempo trascorso dalla vicenda che aveva dato luogo al giudizio penale, considerato che il procedimento disciplinare è stato portato a termine solo dopo la conclusione della lunga vicenda penale.

3) - Resta da aggiungere, con riferimento alle altre censure sollevate in primo grado, che sono state assorbite dal T.A.R. e sono state richiamate dal sig. XX con la memoria di costituzione, che l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità fisica non priva l’Amministrazione del potere di definire il procedimento disciplinare avviato per fatti precedenti soprattutto quando l’interessato per tali fatti è stato sospeso in via cautelativa dal servizio con riduzione della retribuzione. Altrimenti, venendo meno con la mancata instaurazione del procedimento disciplinare o con l’estinzione del procedimento disciplinare già avviato, gli effetti della sospensione dal servizio, l’interessato avrebbe poi diritto alla integrale ricostruzione della sua posizione economica pur non avendo svolto il servizio per fatti comunque a lui imputabili.

Accolto l'Appello del M.I. al CdS
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02/07/2014 201403324 Sentenza 3


N. 03324/2014REG.PROV.COLL.
N. 05281/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5281 del 2013, proposto dal:
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS, con domicilio eletto in Roma, viale delle OMISSIS;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, resa tra le parti, concernente la sanzione della destituzione dal servizio.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- Il sig. OMISSIS, già …… della Polizia di Stato, aveva impugnato davanti al T.A.R. di Salerno il decreto, in data 19 agosto 2011, con il quale il Capo della Polizia aveva applicato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio, con decorrenza dal 9 maggio 2002, nonché tutti gli atti presupposti, ed aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’intero trattamento economico per il periodo (9 maggio 2002- 29 settembre 2005) di sospensione cautelare dal servizio.

2.- Il T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, con sentenza n. 1 del 7 gennaio 2013 ha accolto il ricorso.

2.1.- In particolare, il T.A.R. ha ritenuto fondato il secondo motivo del ricorso con il quale era stata dedotta la violazione della composizione della Commissione consultiva di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 737 del 1981. Infatti, secondo il T.A.R., la Commissione che ha adottato la proposta di destituzione era stata «appositamente nominata ai fini del procedimento» e risultava «presieduta da un dirigente privo della qualifica di vicario del Questore e da un componente (….) neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo».
2.2.- Il T.A.R. ha poi ritenuto fondato anche il quarto motivo del ricorso, con il quale il ricorrente aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle responsabilità dagli stessi derivanti, aveva acriticamente fatto proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che aveva giudicato il sig. … colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione.
2.3.- Il T.A.R. ha ritenuto fondato anche il primo motivo e l’ulteriore parte del quarto motivo sostenendo che l’Amministrazione non aveva considerato diverse circostanze rilevanti delle quali doveva tenere conto, quali la personalità del reo, il recupero morale del medesimo, il tempo effettivamente trascorso dalla commissione del reato.
Mentre, nella fattispecie, la grave sanzione della destituzione, con effetto retroattivo, … «è stata comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica».
2.4.- Il T.A.R. ha, infine, ritenuto fondata anche la domanda del ricorrente volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione alla "restitutio in integrum" degli emolumenti non corrisposti per tutto il periodo di durata della sospensione dall’impiego, ai sensi dell'articolo 96 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, con interessi e rivalutazione monetaria.
3.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
All’appello si oppone il sig. XX. che ha insistito per la sua reiezione.
4.- L’appello è fondato.
4.1.- Seguendo l’ordine delle questioni trattate dal T.A.R. nell’appellata sentenza, non sussiste preliminarmente alcun vizio nella composizione della Commissione che ha proposto l’irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio del sig. XX.
4.2.- Al riguardo, l’art. 16 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 761, richiamato anche dal giudice di primo grado, prevede che «con decreto del questore è costituito, in ogni provincia, il consiglio di disciplina composto: a) dal vice questore con funzioni vicarie che lo convoca e lo presiede; b) da due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato; c) da due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell'incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale. Un funzionario del ruolo direttivo della Polizia di Stato funge da segretario. I membri di cui alla lettera b) durano in carica un anno. Con le stesse modalità si procede alla nomina di un pari numero di supplenti per i membri di cui alla lettera b».
4.3- Ciò premesso, nella fattispecie, come emerge dagli atti, il Consiglio di disciplina che ha trattato il caso del signor XX è stato, in una prima, fase presieduto, come normativamente previsto, dal Vicario del Questore dr. XX. Successivamente, essendo stato promosso e trasferito ad altro incarico il dr. XX e nelle more della nomina di un nuovo Vicario, è stato presieduto dal primo dirigente dr. XX, nominato con decreto del Capo della Polizia in data 15 giugno 2011.
Considerato che, come si è visto, la nomina del dr. XX è stata determinata dalla temporanea vacanza del posto di Vicario del Questore e tenuto conto che il procedimento disciplinare non poteva essere sospeso fino alla nomina del Vicario, non risulta censurabile l’operato dell’Amministrazione che ha nominato un proprio dirigente, in servizio presso la stessa Questura, quale presidente della commissione in questione.
4.4.- Erronea in fatto è poi l’affermazione del T.A.R. secondo la quale avrebbe fatto parte della Commissione anche un componente (….) «neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo».
Risulta, infatti, dagli atti che il dr. …. era stato regolarmente nominato quale supplente del Consiglio di Disciplina con decreto del Questore di Salerno in data 21 dicembre 2010.
5.- Passando al merito della vicenda, si deve ricordare che il signor XX era stato tratto in arresto il 9 maggio 2002, in esecuzione di ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di XXX, perché accusato dei reati di cui agli artt. 81, 319, 321 e 326, comma 3, c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio), con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare una associazione XXX (art. 416 c.p.).
Il signor XX era stato quindi, in pari data, sospeso dal servizio e in tale condizione permaneva fino alla data del 18 marzo 2006, di intervenuta cessazione dal servizio per inabilità fisica.
Con sentenza del Tribunale penale di XX, in data 14 luglio 2005, il signor XX era stato riconosciuto colpevole per i reati ascritti ed era stato, quindi, condannato alla pena di anni quattro e mesi nove di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Con sentenza della Corte d’Appello, in data 13 settembre 2006, la pena era stata ridotta ad anni tre e mesi dieci ed era stata confermata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La Corte di Cassazione, con decisione del 6 febbraio 2008, annullava senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla imputazione di cui all’art. 416 c.p., per non aver commesso il fatto, e rinviava alla Corte d’Appello di XXX per la rideterminazione della pena per gli altri reati.
La Corte d’Appello di XXX, in data 21 gennaio 2010, rideterminava quindi la pena per i reati per i quali il signor XX era stato definitivamente riconosciuto colpevole, in anni due di reclusione.
Il signor XX ricorreva nuovamente in Cassazione che, in data 25 gennaio0 2011, annullava la sentenza della Corte d’Appello di XXX per l’intervenuta prescrizione dei reati.
6.- Ciò premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., si deve ritenere infondato il motivo con il quale il signor XX aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle sue responsabilità, aveva acriticamente fatte proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che lo aveva giudicato colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, «senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione».
6.1.- Come emerge dagli atti, l’Amministrazione aveva, infatti, chiaramente valutato la gravità della vicenda che aveva interessato il signor XX, che era stato tratto in arresto e sospeso in via cautelare dal servizio per fatti la cui rilevanza era stata accertata (più volte) in sede penale in un lungo giudizio poi concluso favorevolmente per l’interessato solo per l’intervenuta prescrizione.

6.2.- Per principio pacifico, peraltro, l’Amministrazione, nei confronti di un dipendente che è stato assolto dal reato contestato per intervenuta prescrizione, ben può procedere all’instaurazione di un procedimento disciplinare ed alla irrogazione di una (eventuale) sanzione, all’esito di una valutazione sulla gravità dei fatti che hanno determinato il giudizio penale.

Infatti, come ha ricordato anche il giudice di primo grado, una questione disciplinare non può essere posta soltanto quando, in sede penale, abbia avuto luogo un proscioglimento con formula piena, cioè quando i fatti oggetto della sentenza penale sono stati definiti come storicamente inesistenti oppure la sentenza ha ricostruito la condotta materiale o l’elemento psicologico in modo tale da collocare con sicurezza gli episodi esaminati al di fuori delle fattispecie disciplinari.

6.3.- Si è, al riguardo, anche di recente affermato che, al fine di irrogare al pubblico dipendente una sanzione disciplinare non occorre che sul procedimento penale avviato per i medesimi fatti a lui imputati si sia formato il giudicato di condanna, essendo vero il contrario, e cioè che, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., per escludere la veridicità dei fatti assunti a fondamento del procedimento disciplinare occorre un giudicato assolutorio circa l'insussistenza del fatto o la mancata commissione dello stesso da parte del dipendente pubblico. Mentre nelle rimanenti ipotesi di conclusione del giudizio, per le quali non si è giunti ad una condanna in conseguenza dell'intervento di cause di prescrizione o di altre cause di estinzione del reato, non si ha un giudicato sulla commissione dei fatti di carattere assolutorio e l'Amministrazione può legittimamente utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati nella sede penale senza doverli ripetere, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi ed argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5344 del 17 ottobre 2012).

6.4.- Nella fattispecie, peraltro, i fatti per i quali è stata inflitta al signor XX la sanzione disciplinare della destituzione erano stati confermati nelle diverse fasi, che si sono ricordate, del giudizio penale, senza che fossero possibili elementi diversi di valutazione.

6.5.- In conseguenza, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., risulta esente dalla censura sollevata il provvedimento adottato dall’Amministrazione.

7.- La sentenza appellata non risulta condivisibile nemmeno nella parte in cui ha ritenuto sproporzionata la misura della sanzione irrogata al signor XX, per essere stata «comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica».

A tal proposito lo stesso T.A.R. aveva giustamente ricordato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati.

La giurisprudenza ha quindi affermato che il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest’ultimo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3125 del 21 maggio 2009, sez. IV, n. 512 del 14 febbraio 2008).

7.1.- Ciò chiarito, nella fattispecie, la gravità della vicenda che ha interessato il signor XX non può far ritenere manifestamente sproporzionata, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la sanzione della destituzione dal servizio irrogata nei suoi confronti.

Infatti, come si è ricordato, il signor XX era stato ritenuto colpevole dei reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio (in tutti i gradi di giudizio) ed era stato infine assolto solo per intervenuta prescrizione a causa del tempo trascorso.

7.2.- Né risulta manifestamente irragionevole l’irrogazione della sanzione in relazione al tempo trascorso dalla vicenda che aveva dato luogo al giudizio penale, considerato che il procedimento disciplinare è stato portato a termine solo dopo la conclusione della lunga vicenda penale.

7.3.- Nemmeno può avere rilievo la circostanza che, nelle more, l’interessato era stato dispensato dal servizio (con decreto del 18 marzo 2006, peraltro oggetto di annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione con decreto del 3 febbraio 2014), tenuto conto che, a prescindere da ogni altra considerazione, l’Amministrazione aveva comunque il dovere di regolare il periodo (decorrente dal 9 maggio 2002) durante il quale l’interessato era stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione.

8.- Resta da aggiungere, con riferimento alle altre censure sollevate in primo grado, che sono state assorbite dal T.A.R. e sono state richiamate dal sig. XX con la memoria di costituzione, che l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità fisica non priva l’Amministrazione del potere di definire il procedimento disciplinare avviato per fatti precedenti soprattutto quando l’interessato per tali fatti è stato sospeso in via cautelativa dal servizio con riduzione della retribuzione. Altrimenti, venendo meno con la mancata instaurazione del procedimento disciplinare o con l’estinzione del procedimento disciplinare già avviato, gli effetti della sospensione dal servizio, l’interessato avrebbe poi diritto alla integrale ricostruzione della sua posizione economica pur non avendo svolto il servizio per fatti comunque a lui imputabili.
9.- Infondato è, infine, il motivo con il quale il signor XX ha lamentato, anche in appello, la mancata osservanza dei termini stabiliti per la conclusione del procedimento disciplinare.

Il termine massimo (di complessivi 270 giorni) previsto per la conclusione del procedimento disciplinare (art. 9 della legge n. 19 del 1990) si deve, infatti, ritenere rispettato ove prima del suo decorso sia stato adottato il provvedimento sanzionatorio, risultando irrilevante la circostanza che lo stesso sia stato solo successivamente notificato poiché la comunicazione all'interessato dell'atto sanzionatorio si colloca al di fuori del procedimento disciplinare, riguardando esclusivamente la fase del perfezionamento dell’efficacia dell’atto nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell'anzidetto termine di decadenza (Consiglio di Stato, sez. III, n. 2264 del 18 aprile 2012).

9.1.- Mentre, del tutto irrilevante, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, risulta l’asserito mancato rispetto di termini previsti per la fase istruttoria.
10.- Per tutte le ragioni esposte, l’appello è fondato e deve essere quindi accolto.
Per l’effetto, in integrale riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
11.- Considerata la natura della questione trattata si ritiene di poter disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, respinge il ricorso di primo grado.
Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/07/2014

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: ven set 19, 2014 12:11 pm
da panorama
1) - provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.

2) - A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato, disponendo contestualmente – in considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi d’istituto.

3) - Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo questi previsti solo al momento dell’assunzione.

4) - l’interessato deduce che nel corso del rapporto di servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.

5) - La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198,

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

6) - La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una compiuta “messa a punto” della questione.

7) - Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

8) - Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che ne rafforzano le conclusioni.

9) - Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis.

10) - In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.

Appello del collega perso.

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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11/09/2014 201404651 Sentenza 3


N. 04651/2014REG.PROV.COLL.
N. 06406/2011 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6406 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Greggio, con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00978/2011, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio in esito ad un procedimento disciplinare - (ris.danni)

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, contenente anche appello incidentale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2011 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Resta su delega di Greggio e l’avvocato dello Stato Saulino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, all’epoca dei fatti dipendente della Polizia di Stato con qualifica di ispettore, è stato destinatario nell’anno 2002 di un provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.

A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato (provvedimento 21 marzo 2006), disponendo contestualmente – in considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi d’istituto.

Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo questi previsti solo al momento dell’assunzione.

2. In pendenza del giudizio così introdotto davanti al T.A.R. Veneto (con sospensiva respinta) sono stati effettuati gli accertamenti di idoneità, con esito sfavorevole all’interessato. Con atto del 28 novembre 2006 l’amministrazione ha dichiarato definitivamente cessato “per inidoneità” il rapporto di servizio dell’interessato con decorrenza dal 27 ottobre 2006 (data del giudizio tecnico di inidoneità).

Lo stesso provvedimento ha statuito riguardo alle spettanze retributive e contributive dell’interessato, con riferimento ai vari periodi nel corso dei quali (a motivo di sospensione cautelare, destituzione, etc.) non vi era stata prestazione del servizio. In dettaglio, il provvedimento prevedeva la restitutio in integrum dal 20 novembre 1998 (inizio della mancata prestazione per sospensione cautelare) fino al 13 maggio 2003 (data di un precedente giudizio di inidoneità assoluta al servizio, non impugnato).

3. L’atto sopravvenuto è stato impugnato davanti al T.A.R. Veneto con “motivi aggiunti” al ricorso già pendente (R.G. 1259/2006) e contemporaneamente con un ricorso autonomo, di uguale tenore (R.G. n. 388/2007).

Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 978/2011, ha riunito i due ricorsi; quindi ha dichiarato inammissibile il secondo, quale inutile duplicazione dei “motivi aggiunti” proposti relativamente al primo ricorso.
Nel merito, il T.A.R. ha così deciso:

(a) ha rigettato l’impugnazione, nella parte in cui investiva la determinazione di sottoporre l’interessato agli accertamenti attitudinali: infatti ha osservato che «non esiste, infatti, alcuna preclusione a che l'Amministrazione sottoponga a nuova visita attitudinale il dipendente prima di riammetterlo in servizio dopo un periodo di lunga assenza, dal momento che si provvede alla (re)instaurazione di un rapporto di impiego rispetto al quale ragioni di pubblico interesse, da valutarsi discrezionalmente da parte dell'Amministrazione, possono e debbono imporre di verificare il persistere dei requisiti occorrenti per l'espletamento del servizio nella Polizia di Stato» e che «pertanto, l'Amministrazione dell'interno è legittimata a sottoporre ad accertamenti psico-fisici ed attitudinali i dipendenti che, come l’odierno ricorrente, rientrano in servizio dopo lunghi periodi di assenza»;

(b) ha rigettato altresì una distinta censura, osservando che in questa luce correttamente gli accertamenti erano stati demandati all’apposito organo centrale avente sede in Roma e non all’Ospedale militare del luogo di residenza;

(c) nondimeno ha giudicato illegittimo il giudizio di inidoneità pronunciato dall’apposita commissione tecnica, per difetto di motivazione;

(d) ha esplicitamente precisato che per effetto di tale giudizio residuava all’amministrazione il potere-dovere di rideterminarsi sulle prove psico-attitudinali sostenute dal ricorrente;

(e) ha giudicato illegittimo il mancato riconoscimento degli arretrati retributivi e contributivi per il periodo dal 14 maggio 2003 al 27 ottobre 2006;

(f) ha compensato le spese del giudizio.

4. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio, contestando la sentenza nella parte in cui essa ha giudicato in senso a lui sfavorevole. Vale a dire nella parte in cui ha ritenuto che l’Amministrazione abbia il potere di sottoporre agli accertamenti psico-attitudinali il personale già in servizio (intendendosi per tale anche chi, come l’attuale appellante, si accinga a riprendere il servizio attivo dopo un lungo periodo di assenza, senza tuttavia che vi sia stata cessazione del rapporto d’impiego) o comunque di farlo con le stesse modalità e gli stessi criteri dettati per i candidati ai concorsi di ammissione all’impiego.

In particolare, la tesi dell’appellante, già sostenuta in primo grado, è che l’Amministrazione potrebbe sottoporre i dipendenti alla verifica della (sola) idoneità psico-fisica – peraltro con modalità diverse da quelle previste per gli accertamenti preliminari all’assunzione in servizio - e non anche di quella attitudinale.

5. L’Amministrazione, da parte sua, ha proposto appello incidentale relativamente a quella parte della sentenza che ha pronunciato favorevolmente all’interessato.

In particolare, l’appellante incidentale deduce:

(a) che la sentenza ha pronunciato ultra petita, perché il vizio del difetto di motivazione non era stato dedotto dal ricorrente; anzi quest’ultimo non aveva in realtà contestato l’esito della verifica, né per difetto di motivazione né per altro, limitandosi a ribadire le proprie tesi circa l’illegittimità del procedere a verifica; in ogni caso, l’atto conclusivo era correttamente motivato per relationem agli atti della commissione giudicatrice, dei quali peraltro il ricorrente non aveva chiesto l’esibizione;

(b) che correttamente l’Amministrazione aveva escluso che spettassero gli arretrati per il periodo successivo al 13 maggio 2003 (durante il quale non vi era stata prestazione di servizio) giacché in quella data l’interessato era stato riconosciuto permanentemente inidoneo alla prestazione del servizio, con giudizio medico-legale mai contestato anzi accettato dal dipendente, all’esito di un procedimento di accertamento della causa di servizio per una infermità.

6. Esaminando l’appello principale dell’interessato, il Collegio si ritiene dispensato dal replicare distintamente alle singole argomentazioni, esposte in modo prolisso e disordinato, per lo più non pertinenti all’oggetto del contendere e riferite ad una serie di accadimenti spesso appartenenti ad altre vicende e comunque non rilevanti rispetto alla questione principale che è esclusivamente una questione di diritto – peraltro correttamente individuata dal T.A.R..

7. Per mettere a fuoco la questione essenziale conviene premettere che il ricorrente parte dal presupposto che in occasione dei controversi accertamenti egli abbia superato positivamente le verifiche di idoneità “psico-fisica” e che pertanto il conclusivo giudizio sfavorevole dipenda solo dalle verifiche “attitudinali”.

Partendo da tale presupposto, l’interessato deduce che nel corso del rapporto di servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.

La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198, intitolato «Regolamento concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale di cui devono essere in possesso i candidati ai concorsi per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e gli appartenenti ai predetti ruoli». L’art. 2 concerne specificamente gli accertamenti relativi al personale già in servizio, esplicitamente chiarendo che possono venire disposti a discrezione dell’amministrazione in una serie di ipotesi, fra le quali quella di «specifiche circostanze rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio» (ed è questa la previsione normativa che, secondo giurisprudenza consolidata, legittima la procedura di verifica anche nel caso di rientro in servizio dopo una lunga assenza).

L’art. 2 è intitolato «Accertamento dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato» e contiene dunque (al pari dell’intitolazione dell’intero regolamento) un esplicito richiamo a verifiche “attitudinali” (oltre che psico-fisiche) nei confronti del personale della P.S. in servizio. Il testo dell’art. 2, però, menziona in modo esplicito solo gli accertamenti psico-fisici; e da quest’ultimo dettaglio l’interessato trae argomento per sostenere che l’ordinamento “non” consente verifiche attitudinali nei confronti del personale in servizio.

In buona sostanza, una volta depurato di tutte le digressioni non pertinenti, il ricorso dell’interessato si basa tutto su questo argomento di diritto.

8. La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una compiuta “messa a punto” della questione.

Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che ne rafforzano le conclusioni.

Per quanto qui interessa, i princìpi affermati nel parere sono i seguenti:

(a) la verifica della permanenza dei requisiti di idoneità del personale della P.S. già in servizio include legittimamente anche il profilo “attitudinale” e non solo quello “psico-fisico”: «nulla osta ad ammettere, sul piano normativo, che l’accertamento dell’idoneità attitudinale possa avvenire in costanza di rapporto ove sussistano peculiari condizioni»;

(b) «Quanto alle “specifiche circostanze” che possono essere, alla luce del principio del buon andamento dell’azione amministrativa, poste a base obiettivamente della ritenuta necessità di riesaminare l’attitudine al servizio, [può] menzionarsi... l’esistenza di un periodo lungo di assenza dal servizio che possa avere inciso sulla concreta idoneità a prestare servizio».

9. Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis.

La legge fondamentale dell’ordinamento della Polizia di Stato (legge n. 121/1981), art. 25, demanda ad apposito regolamento di definire «i requisiti psico-fisici e attitudinali, di cui debbono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che esplicano funzioni di polizia». La norma è inequivoca nell’accomunare, in unica disciplina, i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali, e non distingue sotto questo profilo fra le verifiche da fare al momento dell’ingresso in carriera e quelle da fare in costanza di rapporto.

D’altra parte, una ipotetica differenziazione – nel senso che i requisiti psico-fisici debbano essere posseduti, e se del caso, accertati, tanto al momento dell’accesso quanto in costanza di rapporto, mentre quelli attitudinali dovrebbero essere sottratti a verifiche in corso di rapporto – non avrebbe alcuna base razionale. Se il sistema contempla il potere-dovere dell’Amministrazione di verificare la permanenza dei requisiti in corso di rapporto, non vi è ragione di distinguere fra i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali.

Del resto, anche il regolamento n. 198/2003, come si è visto, contiene espliciti riferimenti alla verifica dei requisiti “attitudinali” (oltre che di quelli psico-fisici) anche per il personale già in servizio: tali riferimenti vi sono nell’intitolazione del decreto e in quella dell’art. 2, e pur non avendo valore normativo in senso stretto, sono certamente rilevanti sul piano interpretativo come indici non equivoci delle intenzioni dell’autorità emanante.

In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.

10. L’appellante tuttavia lamenta di essere stato sottoposto alle verifiche attitudinali “come se fosse stato il candidato di un concorso” e dovendo sostenere le stesse prove, ma di averlo dovuto fare individualmente, anziché contestualmente o contemporaneamente ad altri candidati che, in effetti, non vi erano e non potevano esservi (così, almeno, sembra doversi intendere la censura esposta in modo non perspicuo, che parla di una “mancanza del momento collettivo).

Questa censura appare manifestamente infondata e comunque riferita ad un profilo irrilevante, non suscettibile di assurgere a vizio di legittimità, anche perché non si vede in che cosa consisterebbe la lesione, anche da un punto di vista sostanziale. Su questo punto il Collegio non ritiene di doversi dilungare ulteriormente.

Lo stesso si deve dire per la doglianza riferita al fatto che gli accertamenti sono stati compiuti presso l’apposita struttura centrale della Polizia di Stato (Scuola Tecnica di Polizia in Roma) anziché presso un Ospedale militare periferico.

11. Altra questione è se la “prolungata assenza” dal servizio, sia pure per causa non imputabile al dipendente (e cioè, nella presente fattispecie al pari di quella esaminata dal parere n. 2206/2010 del Consiglio di Stato, a motivo di una destituzione disciplinare successivamente annullata dal giudice) rientri fra le speciali circostanze, valutabili discrezionalmente, che possono giustificare l’assoggettamento dell’interessato alle verifiche di idoneità al momento del rientro in servizio.

Conviene sottolineare che la questione così posta si riferisce alla prolungata assenza dal servizio come fatto materiale, e perciò non è pertinente il principio (sul quale pure il ricorrente si diffonde) che per effetto dell’annullamento giurisdizionale della destituzione il rapporto d’impiego si ristabilisce ex tunc con piena ricostruzione della carriera ai fini giuridici e con diritto agli arretrati di stipendio.

Fatta questa premessa, non si può che confermare la sentenza appellata, nel punto in cui ha giudicato che la mancata prestazione di fatto del servizio per la durata di sette anni consecutivi possa essere una ragione sufficiente per giustificare la verifica dei requisiti idoneità al momento attuale. E va messo in evidenza che nella presente vicenda l’Amministrazione non ha messo in dubbio (in linea di massima e salvo l’aspetto particolare di cui si parlerà più avanti) che la cessazione dall’impiego in caso di verifica sfavorevole produca effetto dal momento attuale, fermi restando i diritti dell’impiegato (agli arretrati di stipendio, etc.) per il periodo anteriore, in virtù del principio della restitutio in integrum come conseguenza dell’annullamento della destituzione.

12. L’appello principale dell’interessato va dunque respinto.

Si passa ora all’esame dell’appello incidentale dell’Amministrazione.

13. L’Amministrazione critica la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto nel provvedimento impugnato (cessazione dal servizio per accertata carenza dei requisiti di idoneità) il vizio del difetto di motivazione.

L’appellante incidentale sostiene che non era stato formulato un motivo di ricorso in questo senso e che del resto il provvedimento era motivato per relationem sicché sarebbe stato sufficiente acquisire gli atti del procedimento (eventualmente anche a seguito di una richiesta di accesso dell’interessato, che non vi è stata) per conoscere la motivazione effettiva.

Il Collegio ritiene che il motivo di appello così formulato non meriti accoglimento.

E’ vero che il ricorrente in primo grado non aveva articolato specificamente un motivo di ricorso riferito all’assenza di motivazione; ed è anche vero che non è stata richiesta l’esibizione degli atti del procedimento o quanto meno delle relazioni conclusive degli organi tecnici (peraltro, la difesa dell’Amministrazione avrebbe potuto produrli spontaneamente).

Tuttavia, le critiche del ricorrente agli atti che hanno portato al decreto di cessazione dall’impiego erano state formulate in termini talmente estesi ed omnicomprensivi (con riferimento persino ai più minuti ed irrilevanti dettagli del procedimento) che il difetto di motivazione non vi si può non considerare compreso, se non altro come implicazione logicamente necessaria.

Se questo è vero, l’Amministrazione avrebbe potuto produrre spontaneamente gli atti che, a suo dire, costituivano la motivazione per relationem. Non avendolo fatto, non può dolersi del fatto che quella produzione non sia stata sollecitata.

Peraltro, la sentenza non richiede un nuovo svolgimento degli esami e delle prove, ma solo la riformulazione (motivata) del giudizio finale. Pertanto la decisione, che qui si conferma, non pregiudica il corretto esercizio della potestà amministrativa e della inerente discrezionalità.

14. Il secondo punto dell’appello incidentale contesta quella parte della sentenza che ha dichiarato illegittima l’esclusione degli arretrati, etc., con riferimento al periodo successivo al 13 maggio 2003: data nella quale la Commissione Medica Ospedaliera di Padova ha dichiarato l’interessato «non idoneo permanentemente ed in modo assoluto al servizio nella Polizia di Stato». Questo giudizio tecnico era stato espresso a conclusione di un procedimento di riconoscimento della causa di servizio, e l’interessato lo aveva sottoscritto per accettazione.

Secondo l’appellante incidentale, quel giudizio medico-legale, formalmente accettato dall’interessato e comunque mai impugnato o altrimenti contestato nel merito, impedisce di considerare utile il tempo decorso successivamente, anche in sede di restitutio in integrum.

Il Collegio osserva che l’art. 38 del d.P.R. n. 686/1957 (regolamento di attuazione del t.u. n. 3/1957 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato, applicabile al personale della P.S. per quanto non diversamente disposto) disponeva che la Commissione medica incaricata di accertare la causa di servizio si pronunciasse altresì sulla eventuale inabilità permanente dell’impiegato a prestare servizio «al fine di porre in grado l’amministrazione di disporre il collocamento... in quiescenza». E’ tuttavia quanto meno discutibile che questa disposizione regolamentare consentisse all’amministrazione di disporre la cessazione del rapporto d’impiego per inidoneità fisica, senza l’apposito procedimento di “dispensa dal servizio” con le inerenti formalità e garanzie, disciplinato con norme primarie; verosimilmente il “collocamento in quiescenza” cui fa cenno l’art. 38 è l’accoglimento della domanda dell’impiegato di essere collocato anticipatamente a riposo in ragione dell’infermità derivante da causa di servizio; non un provvedimento a danno dell’impiegato, che avrebbe presupposto un procedimento diverso.

A parte ciò, sta di fatto che la disposizione citata non è riprodotta nel regolamento vigente attualmente (e al momento della pronuncia della C.M.O. del 13 maggio 2003) in materia di accertamento della causa di servizio: ossia il d.P.R. n. 461/2001.

Sta di fatto, inoltre, che a tutto concedere l’Amministrazione, avuto il verbale del 13 maggio 2003, avrebbe forse potuto avviare d’ufficio il procedimento di dispensa dal servizio, ma non lo ha fatto né subito, né in seguito. Anzi, disponendo nel 2006 che l’interessato si sottoponesse alle verifiche di cui al d.m. n. 198/2003, ha implicitamente rinunciato ad utilizzare il verbale del 13 maggio 2003 per dichiarare il dipendente “permanentemente non idoneo al servizio” con ciò che ne conseguiva. Se avesse inteso utilizzarlo, non avrebbe avuto motivo di disporre i nuovi accertamenti. In questa prospettiva, il decreto impugnato in primo grado (28 novembre 2006) appare illogicamente contraddittorio nella parte in cui dispone la cessazione dal servizio dal 27 ottobre 2006 (e non dal 14 maggio 2003) e nello stesso tempo esclude il riconoscimento delle spettanze per il periodo successivo al 13 maggio 2003.

Anche sotto questo profilo, l’appello incidentale deve essere respinto.

15. In conclusione, la sentenza appellata va interamente confermata, con rigetto sia dell’appello principale che dell’incidentale. La natura e l’esito della controversia giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello principale e rigetta l’appello incidentale. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante principale manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2014

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: lun feb 09, 2015 10:12 am
da panorama
Fa seguito alla sentenza del CdS postata il giorno 08/05/2014.

Anche per la revocazione il Ministero dell'Interno perde nuovamente avendo ottenuto il giudizio di inammissibilità.
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Il Ministero dell'Interno si era rivolto nuovamente al CdS per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. III n. 02287/2014, resa tra le parti, concernente cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale al servizio di polizia.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201500623
- Public 2015-02-06 -


N. 00623/2015REG.PROV.COLL.
N. 07699/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7699 del 2014, proposto da:

MINISTERO dell’INTERNO,
in persona del Ministro p.t.,
ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro
-OMISSIS-,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to OMISSIS ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, in Roma, via Romeo Romei, 35,

per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. III n. 02287/2014, resa tra le parti, concernente cessazione dal servizio per inidoneità attitudinale al servizio di polizia.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 29 gennaio 2015, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Agnese Soldani dello Stato per l’appellante e l’avv. OMISSIS per la parte privata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – L’Amministrazione odierna ricorrente, una volta riammesso in servizio l’intimato agente scelto della Polizia di Stato dopo l’annullamento in sede giurisdizionale della sanzione della destituzione per motivi disciplinari irrogata in precedenza nei suoi confronti in relazione a fatti contestatigli come reato, decideva di sottoporlo ad accertamenti psico-attitudinali, i quali si concludevano in senso per lui sfavorevole, con conseguente adozione del decreto n. 333 – D/……. in data 3 agosto 2005, con il quale veniva disposta la sua cessazione dal servizio dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dal 4 agosto 2005.

Il ricorso proposto dall’interessato avanti al T.A.R. per il Lazio contro il nuovo provvedimento espulsivo era, con sentenza n. 5287 del 2013, in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto.

La sentenza di primo grado veniva dal ricorrente impugnata con appello R.G. n. 6981/2013, che questa Sezione accoglieva con sentenza n. 2287/2014, affermando:

- quanto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado pronunciata dal T.A.R. sull’assunto della mancata tempestiva impugnazione del provvedimento che contestualmente alla riammissione in servizio disponeva l’invio alla visita per l’accertamento del requisito psicoattitudinale, che vale “la regola generale che nel processo amministrativo ogni questione che investa gli atti preparatori e serventi del procedimento vanno impugnati unitamente all’atto terminale ed entro il termine decadenziale dalla sua notifica o comunicazione”;

- quanto al mérito della controversia, che non trovano riscontro nei confronti dell’appellante nessuna delle evenienze, cui la giurisprudenza di questo Consiglio ha collegato la possibilità di una nuova verifica del persistere del requisito attitudinale occorrente per lo svolgimento del servizio nella Polizia di Stato: “Invero, come posto in rilievo in sede di note a difesa, in virtù dei provvedimenti cautelari di sospensione della misure estintive del rapporto di impiego oggetto di contestazione e poi annullate, l’allontanamento dal servizio ha avuto effetto solo per due limitati periodi di tempo della durata di tre mesi nel 2001/2002 e di due mesi nel 2005. Non risultano, inoltre, ascritte al ricorrente gravi mende penali o disciplinari, ove si consideri che la notitia criminis che aveva originato il procedimento disciplinare, conclusosi con l’atto destituivo, ha formato poi oggetto di provvedimento di archiviazione. A fronte della sostanziale continuità del servizio e dell’assenza di elementi che sul piano sintomatico possano costituire segnale di un mutamento sul piano psichico del livello evolutivo, del controllo emotivo, delle qualità e capacità intellettive e di socialità dell’agente di polizia e che possano riflettersi sulla permanenza dell’attitudine al servizio, vengono meno in presupposti giustificativi per un nuovo screening psico attitudinale, con riedizione di test e controlli che, in via ordinaria, intervengono al momento dell’ ammissione ai corsi per l’ingresso nella Polizia di Stato. Tale conclusione è del resto coerente con l’esigenza posta in rilievo in giurisprudenza di prevenire, in presenza di giudizi che vedono soccombente l’ Amministrazione, l’attivazione di procedimenti che possano condurre a provvedimenti di contenuto elusivo del giudicato, con esercizio di un potere che lo stesso art. 2, comma 2, del d.m. n. 198 del 2003, subordina a circostanze caratterizzate da specificità dalle quali obiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio (cfr. Cons. St., n. 422 del 1° febbraio 2010)”.

Con il ricorso in epigrafe il Ministero dell’Interno propone avverso tale sentenza ricorso per revocazione a’ sensi dell’art. 196 c.p.a.

Il ricorrente, in particolare, sostiene che l’assunto sul quale la sentenza revocanda ha fondato l’accoglimento della censura d’appello vòlta a contestare la legittimità del provvedimento di cessazione dal servizio sulla base della insussistenza dei presupposti per la rinnovazione dell’accertamento del requisito attitudinale ( “ … in virtù dei provvedimenti cautelari di sospensione della misure estintive del rapporto di impiego oggetto di contestazione e poi annullate, l’allontanamento dal servizio ha avuto effetto solo per due limitati periodi di tempo della durata di tre mesi nel 2001/2002 e di due mesi nel 2005” ) sia “del tutto erroneo e palesemente contrastante con le pacifiche risultanze di causa poiché al contrario di quanto era stato sostenuto dalla difesa del -OMISSIS- nella memoria depositata in vista dell’udienza di discussione il provvedimento di destituzione dal servizio assunto nei confronti del medesimo fu oggetto d’immediata impugnativa e sospeso dall’adito Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con l’ordinanza n. 1456/2002 ma detta ordinanza fu immediatamente appellata dal Ministero e riformata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 3112/2002 …” ( pag. 6 ric. ).

Inoltre, prosegue il ricorrente, anche il provvedimento di cessazione dal servizio oggetto del giudizio “non fu mai sospeso poiché nel mentre l’adito Tribunale Amministrativo Regionale doveva pronunciarsi sull’istanza che accompagnava il ricorso il -OMISSIS- ebbe a proporne un secondo accompagnato da altra istanza cautelare. I due ricorsi furono, quindi, trattati congiuntamente nel corso della Camera di Consiglio e l’adito Tribunale Amministrativo Regionale, come pure era stato puntualmente evidenziato, ebbe a disporre la sospensione dell’esecutività del secondo dei due provvedimenti impugnati con l’ordinanza n. 7042/2005 dell’01.12.2005 cui fece seguito la riammissione in servizio …” ( pag. 7 ric. ).

Conclude affermando che “in definitiva il periodo di assenza dal servizio … si è protratto dall’04.12.2001 fino alla fine del 2005 e, quindi, per un arco temporale di gran lunga superiore ai due limitati periodi di tempo della durata di tre mesi nel 2001/2002 e di due mesi nel 2005 cui si allude nella sentenza revocanda” e che del tutto evidenti sarebbero sia “l’errore fattuale in cui codesto Consiglio è caduto”, sia “il fatto che l’effettivo periodo di assenza dal servizio … risultava incontrovertibilmente dagli atti di causa” ( ibidem ).

Il medesimo ricorrente ripropone quindi, per l’evenienza del giudizio rescissorio, le difese già dispiegate avverso l’atto di appello deciso con la sentenza revocanda.

L’intimato resiste a tale gravame, concludendo per l’inammissibilità dello stesso e comunque, in subordine, per l’accoglimento del suo appello nell’eventuale giudizio rescissorio sulla base delle censure a suo tempo dedotte e qui riproposte.

Egli ha altresì prodotto documenti in data 15 gennaio 2015.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 29 gennaio 2015.

2. – Va, preliminarmente, dichiarata l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dall’intimato in data 15 gennaio 2015, in quanto tardiva ai sensi degli artt. 54 e 73 c.p.a.

3. - Il ricorso per revocazione è inammissibile.

Non sussiste, invero, il denunciato errore di fatto, che il ricorrente assume provocato dalla supposizione di un fatto, la cui verità sarebbe incontrastabilmente esclusa dalle risultanze degli atti di causa.

3.1 – Come detto innanzi, il ricorrente prospetta che per errore di fatto il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che l’effettivo periodo di assenza dal servizio dell’appellante si sarebbe protratto dal 4 dicembre 2001 fino alla fine del 2005 e che la stessa risulta incontrovertibilmente dagli atti di causa.

Giova innanzitutto rimarcare che l'errore di fatto sussiste - come è ben noto - soltanto se la sentenza "è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare" ( cfr. art. 395, n. 4, cod. proc. civ. ); ossia - detto altrimenti - l'errore di fatto medesimo consiste in una falsa percezione della realtà processuale che abbia portato ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, poiché - diversamente - sussiste semmai un errore di giudizio, il quale non dà ingresso all'impugnazione per revocazione ( così, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 16 settembre 2013 n. 4573; da ultimo, Cons. St., V, 25 settembre 2014, n. 4828 ).

Inoltre, perché possa ritenersi sussistente un siffatto errore di fatto, occorre che tale percezione sia determinante sulla pronuncia, nel senso che l'errore deve rivelarsi decisivo nella dimostrazione di un rapporto di causalità tra l'erronea supposizione e la pronuncia stessa ( Cons. Stato, Sez. V 20/10/2005, n. 5896; idem, 31/7/2008, n. 3816; Sezione IV, 19/6/2009 n. 3296; idem, 24/4/2009 n. 2414; idem, 13 ottobre 2014, n. 5043 ).

Ciò debitamente premesso, va rilevato come nel caso di specie:

- la rilevanza del periodo di allontanamento del servizio dell’odierno intimato a causa di una vicenda poi accertata illegittima ha costituito in fin dei conti un punto controverso, sul quale la sentenza impugnata ha pronunciato, in accoglimento del secondo motivo di appello, in netto contrasto con la sentenza di primo grado, che al punto 3.5 aveva rinvenuto la motivazione della determinazione di sottoporre il ricorrente agli accertamenti di che trattasi “nella circostanza che per quattro anni lo stesso non ha prestato servizio” ( come appunto sostiene l’Amministrazione nel ricorso per revocazione all’esame, che finisce così per trasformarsi inammissibilmente in un terzo grado del giudizio );

- in ogni caso, la durata dell’effettivo periodo di assenza dal servizio per effetto dell’originario provvedimento di destituzione non risulta affatto dagli atti di causa ( la cui integrazione non è certo ammissibile in sede di giudizio di revocazione ) e tanto meno dalla qui invocata “ricostruzione dei fatti” su cui erano fondate le difese del Ministero, che si limitavano sul punto a sottolineare l’intervenuta riammissione in servizio in esecuzione della sentenza T.A.R. n. 15309/2004 di annullamento del provvedimento di destituzione dal servizio ( il che rappresentava conseguenza necessitata dell’annullamento stesso ), senz’alcun riferimento alle vicende del rapporto per effetto dei provvedimenti cautelari intervenuti in sede giurisdizionale, sì che il preteso accertamento di un errore di fatto del tutto inesistente finisce per risolversi nella mera contestazione, chiaramente inammissibile in sede di revocazione, delle note a difesa del ricorrente, poste dal Giudice a base delle sue deduzioni in assenza di qualsivoglia contestazione sul punto da parte dell’appellato;

- quanto, poi, al periodo ( di quattro mesi anziché di due ) di efficacia del provvedimento di cessazione dal servizio oggetto del giudizio prima che venisse accolta la relativa istanza cautelare di sospensione, risulta evidente la non decisività dell’errore sul giudizio ( ch’è operazione logica che rimane estranea all’àmbito della revocazione ) reso dal Giudice della sentenza revocanda di insufficienza del periodo stesso a configurare quel “lungo tempo dall’allontanamento dal servizio”, idoneo a supportare la necessità di un nuovo giudizio di idoneità;

- l’errore di fatto, quand’anche in ipotesi sussistente, non si rivela peraltro decisivo anche sotto il diverso profilo per cui il Giudice di appello ha ritenuto non sussistenti i presupposti per la verifica della attitudine a prestare il servizio dismesso anche sulla base “dell’assenza di elementi che sul piano sintomatico possano costituire segnale di un mutamento sul piano psichico del livello evolutivo, del controllo emotivo, delle qualità e capacità intellettive e di socialità dell’agente di polizia e che possano riflettersi sulla permanenza dell’attitudine al servizio”, ch’è profilo che deve concorrere con quello della lunga discontinuità del servizio per giustificare “un nuovo screening psico attitudinale”; ciò tenuto anche conto, il che è dirimente sul punto, del fatto che il Giudice stesso ha ritenuto di valorizzare e sottolineare “l’esigenza posta in rilievo in giurisprudenza di prevenire, in presenza di giudizi che vedono soccombente l’ Amministrazione, l’attivazione di procedimenti che possano condurre a provvedimenti di contenuto elusivo del giudicato, con esercizio di un potere che lo stesso art. 2, comma 2, del d.m. n. 198 del 2003, subordina a circostanze caratterizzate da specificità dalle quali obiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio”.

4. – In definitiva, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.

Giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di impugnazione.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma, addì 29 gennaio 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/02/2015

Re: quesito urgente da carlos3

Inviato: gio set 15, 2016 9:39 am
da panorama
LOMBARDIA SENTENZA 148 12/08/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA SENTENZA 148 2016 PENSIONI 12/08/2016



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA

nella persona del magistrato Eugenio MUSUMECI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio iscritto al n° 28281 del registro di segreteria della Sezione;

PROPOSTO DA
G. N., nato a Omissis il Omissis e residente a Omissis, codice fiscale OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Zabbara (del foro di Milano), nonché elettivamente domiciliato a Milano in via Benedetto Marcello n° 48 presso lo studio del difensore stesso;

CONTRO
INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Peco (iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati presso il tribunale di Milano), nonché elettivamente domiciliato a Milano in piazza Giuseppe Missori nn° 8/10 presso l’ufficio legale distrettuale dell’INPS stesso.

§ § §
FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso depositato presso questa Sezione l’11 maggio 2015 G. N., ex dipendente della Polizia di Stato, ha domandato l’attribuzione della pensione ordinaria in riferimento ad un (asserito) requisito contributivo di 35 anni: da coniugarsi con l’età anagrafica di 57 anni e tre mesi o, quanto meno, con quella di 60 anni da lui raggiunta alla data del ricorso.

A suffragio di tale pretesa il G. N. ha ricordato che, dopo esser stato dispensato (nel luglio 2004) dal servizio nella Polizia di Stato per inabilità fisica, aveva fruito di un trattamento pensionistico sino al luglio 2010: per poi veder revocata quella pensione allorquando era stata confermata la legittimità di una pregressa destituzione dal servizio inflittagli nel 1997, la cui esecutività era stata sospesa l’anno dopo dal Consiglio di Stato. Ed ha altresì richiamato la sentenza n° 381/2012 di questa Sezione: in virtù della quale la sua anzianità contributiva era stata determinata in 29 anni, 2 mesi e 15 giorni.

2. Con comparsa depositata all’udienza camerale del 10 giugno 2016, fissata per l’esame di una domanda cautelare proposta dal G. N. nel ricorso introduttivo, si è costituito l’INPS. Il quale ha resistito alla pretesa attorea evidenziando: che, in virtù della sentenza n° 6521/2008 emessa dal Consiglio di Stato, aveva avuto reviviscenza il provvedimento di destituzione dal servizio (nella Polizia di Stato) irrogato all’odierno ricorrente il 23 luglio 1997, la cui esecutività era stata poi sospesa dal giudice amministrativo; che, comunque, i requisiti pensionistici previsti per il personale della Polizia di Stato andavano raggiunti in costanza di servizio; e che, infine, la contribuzione maturata dal G. N. durante l’originario servizio nella Polizia di Stato, seppur insufficiente illo tempore per attribuirgli stabilmente la pensione , aveva dato vita alla costituzione di una posizione assicurativa presso l’INPS stesso.

3. Dopo che alla già ricordata udienza camerale del 10 giugno 2016 si era costituito quale difensore dell’odierno ricorrente l’avv. Francesco Zabbara e che questi aveva depositato (qualche giorno dopo) una memoria a sostegno della pretesa attorea, all’ulteriore udienza camerale svoltasi il 25 di quello stesso mese questo giudice si è riservato di decidere sull’istanza cautelare proposta dal G. N.. Tale riserva è stata poi sciolta, con ordinanza n° 86/2015, nel senso di escludere l’esistenza del fumus boni iuris nella domanda attorea e perciò di rigettare la domanda cautelare stessa.

Nel successivo giudizio di merito è stata sollevata ex officio la questione concernente l’eventuale difetto di giurisdizione della Corte dei conti, venendo perciò assegnato alle parti termine ex art. 101 c.p.c. per memorie al suddetto riguardo. Depositata memoria (il 23 novembre 2015) soltanto da parte del G. N., successivamente questi ha revocato il mandato difensivo all’avv. Zabbara; e tuttavia dopo alcuni rinvii, inframezzati da un’altra memoria scritta stilata personalmente dall’odierno ricorrente e depositata il 26 gennaio scorso, ha officiato nuovamente quel medesimo difensore. Questi ha depositato il 31 marzo 2016 un’ulteriore memoria scritta ed infine, all’udienza del 20 aprile successivo, la causa è stata discussa dalle parti e trattenuta in decisione.

4. Preliminarmente va osservato che nella testé ricordata memoria del 31 marzo 2016 il G. N. ha emendato la propria domanda originaria: rivendicando l’accertamento del diritto alla pensione e, “… in ogni caso …”, il ripristino del trattamento pensionistico di cui egli godeva anteriormente al decreto emesso dal Ministero dell’Interno (dipartimento della Pubblica Sicurezza) il 22 dicembre 2009.

Invero mediante tale provvedimento (all. 1 di parte resistente), conseguente alla già menzionata sentenza n° 6521/2008 del Consiglio di Stato in virtù della quale era stata confermata la legittimità della destituzione dal servizio inflitta al G. N. il 23 luglio 1997, erano stati annullati sia la sua provvisoria reintegrazione in servizio (avvenuta nel 1998, sulla scorta di una pronuncia cautelare del giudice amministrativo stesso) sia la dispensa dal servizio con la quale quel periodo di provvisoria reintegrazione in servizio si era concluso il 21 luglio 2004. Se dunque quest’ultima è la data in cui il G. N. è definitivamente cessato dal servizio nella Polizia di Stato, con la sentenza n° 381/2012 questa Sezione ha già escluso che a quella medesima data l’odierno ricorrente vantasse il diritto ad una pensione che traesse fondamento da una causa di risoluzione del rapporto d’impiego diversa dalla dispensa per inabilità fisica: dispensa che, una volta confermata la legittimità della pregressa destituzione dal servizio, a quest’ultima aveva ceduto il passo cronologicamente e, soprattutto, giuridicamente.

Inoltre il novero delle questioni deducibili in quel giudizio, nel quale il G. N. risulta aver censurato (pag. 1 della su menzionata sentenza) innanzitutto il predetto decreto ministeriale del 22 dicembre 2009, includevano necessariamente anche la legittimità della revoca della pensione che gli era stata concessa in conseguenza della su richiamata dispensa per inabilità fisica: perché evidentemente quella revoca costituiva il presupposto logico della domanda attorea finalizzata a vedersi attribuito, a decorrere da quella medesima data del 21 luglio 2004, un trattamento pensionistico che sostanzialmente tenesse il luogo di quello che, in conseguenza del testé richiamato provvedimento ministeriale, gli era stato appunto revocato.

Conclusivamente va rigettato il secondo capo di domanda attorea, perché costituente un bis in idem rispetto alle domande definite da questa Sezione con la sentenza n° 381/2012.

5. A detrimento del merito del primo capo di domanda attorea appaiono sostanzialmente meritevoli di conferma le considerazioni svolte da questo giudice nell’ordinanza cautelare n° 86/2015.

In sintesi, una volta escluso che il G. N. vantasse un diritto a pensione alla data del 21 luglio 2004, successivamente sono venute meno la “… specificità del rapporto di impiego e ... le obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività …” (art. 6 comma 2 del D.Lgs. n° 165/1997) che possano giustificare la perdurante applicabilità di quei più favorevoli requisiti pensionistici. Inoltre l’incontestata anzianità contributiva (di 34 anni, 3 mesi e 20 giorni) attribuitagli dal Ministero dell’Interno con il decreto n° 373 dell’11 novembre 2014 (all. 2 alla memoria depositata dall’INPS il 10 giugno 2015) risulta lontana da quella di oltre 42 anni prevista per la pensione c.d. anticipata dal comma 10 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011 (convertito dalla legge n° 214/2011). Mentre il diritto alla pensione di vecchiaia è anch’esso palesemente escluso dalla circostanza che il ricorrente non ha ancora raggiunto il requisito anagrafico di 66 anni sancito dalla lettera c del comma 6 del testé menzionato art. 24 del D.L. n° 201/2011.

6. Tuttavia, relativamente al primo dei due capi di domanda attoreo, risulta assorbente il difetto di giurisdizione di questa Corte: dovendosi infatti ascrivere al giudice ordinario tale giurisdizione.

Invero la circostanza che il G. N. sia cessato dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione ha comportato la “… costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti …” (primo comma dell’articolo unico della legge n° 322/1958, quale vigente alla data del 21 luglio 2004: che è quella in cui, come fin qui ampiamente chiarito, andava considerato cessato il rapporto d’impiego del G. N. presso la Polizia di Stato, provvisoriamente ripristinato in via cautelare). Ma, evidentemente, la costituzione della suddetta posizione assicurativa esclude che la successiva pensione possa considerarsi “… in tutto o in parte a carico dello Stato …” (art. 13 terzultimo alinea del R.D. n° 1214/1934): ciò che neanche il ricorrente ha sostanzialmente contestato, pur avendo concretamente potuto fruire di un termine ben più ampio di quello sancito dal secondo comma dell’art. 101 c.p.c..

7. La peculiarità della vicenda e, soprattutto, la circostanza che le prospettive pensionistiche del G. N. siano state sensibilmente modificate in peius per effetto dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011 (invece non contemplato, ratione temporis, da questa Sezione nella sentenza n° 381/2012) giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n° 28281:

1) dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in riferimento alla domanda di cui al punto 1 delle note conclusionali depositate da G. N. il 31 marzo 2016, indicando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario;

2) rigetta la domanda di cui al punto 2 di quelle medesime note conclusionali;

3) compensa integralmente fra le parti le spese di lite;

4) fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della presente sentenza.

Così deciso a Milano nella camera di consiglio del 20 aprile 2016.
IL GIUDICE
(Eugenio Musumeci)

DEPOSITO IN SEGRETERIA, 12/08/2016