Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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N. 00643/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00002/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Addolorata Bianco, con domicilio eletto in Bari, presso lo studio dell’avv. Gaio Vitinio Casulli, via Melo n.15;
contro
Ministero della Difesa, Comando Legione Carabinieri Puglia Servizio Amministrativo, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distr.le Stato Di Bari, domiciliata per legge in Bari, via Melo, 97;
nei confronti di
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Senatore, con domicilio eletto in Bari, presso lo studio dell’avv. Italo De Zio Di Myra, corso Cavour n. 156;
per l’accertamento
del diritto di accesso e conseguente annullamento dell’impugnata comunicazione (doc. n. A/1 allegato al presente ricorso) prot. n. 77/35-7 del Comando Legione Carabinieri Puglia- servizio amministrativo del 29.11.11, notificata il 30.11.11 mod. 26, con racc. a.r. n. 05219343403 0, e di tutti gli atti presupposti e consequenziali, compresa anche la comunicazione prot. n. ……../15/29-8, DEL Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri-Centro Nazionale Amministrativo di Chieti del 09.11.11. pervenuta il 23.11.11
OMISSIS

FATTO
Con il ricorso in esame OMISSIS impugna il diniego di accesso ai documenti richiesti espresso dal Comando della Legione Carabinieri Puglia con la nota di cui in epigrafe, in una con la richiesta di accertamento del proprio diritto ad ottenere l’accesso nei termini richiesti.
La ricorrente, premessa la pendenza presso il Tribunale di Taranto di giudizio di separazione nei confronti del coniuge OMISSIS (r.g. 608/09 dott. Attanasio), in relazione all’esigenza di poter articolare un ricorso per la modifica delle condizioni della separazione (attualmente stabilite in via provvisoria con decreto presidenziale del 15.4.2009), ha richiesto più volte all’Amministrazione di appartenenza del coniuge l’accesso e il rilascio di copia conforme delle buste paga del predetto relative agli anni 2010 e 2011 nonché ogni altro documento e, in particolare, i modelli CUD dal 2008 in poi (2009 e 2010).
L’Amministrazione, dopo aver sentito il controinteressato OMISSIS il quale ha rappresentato la sua opposizione all’istanza, ha espresso diniego sull’istanza medesima, limitandosi alla comunicazione dei parametri stipendiali riguardanti il grado di OMISSIS.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, nonché il controinteressato OMISSIS, contestando le avverse deduzioni e chiedendo la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio dell’1.3.2012 il ricorso è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Occorre premettere che i rapporti patrimoniali tra i coniugi risultano attualmente stabiliti in via provvisoria con provvedimento presidenziale, nel quale si prevede che il militare debba corrispondere alla ricorrente l’importo mensile di euro 700,00 dei quali euro 300,00 per la ricorrente ed euro 200,00 in favore di ciascuno dei due figli.
A seguito della presentazione di ricorso ex art. 709 c.p.c., la ricorrente ha presentato dapprima istanza di accesso alle buste paga relative agli anni 2010 e 2011 (16.3.2011), cui ha fatto seguito una diffida in data 28.4.2011, nonché una successiva diffida del 22.6.2011.
In data 30.9.2011 la ricorrente ha notificato ricorso avverso il silenzio sull’istanza di accesso, ricorso tuttavia non seguito da rituale deposito.
In data 21.10.2011 la ricorrente ha proposto nuova istanza di accesso ai documenti, richiedendo questa volta anche le buste paga relative agli anni 2008 e 2009 nonché tutti i modelli CUD a far data dal 2008 e fino all’evasione dell’istanza.
Il Comando Legione Carabinieri di Bari, dopo aver attivato il sub procedimento in contraddittorio con il OMISSIS, ha espresso diniego sull’istanza.
Rileva il Collegio che il provvedimento presidenziale in sede di giudizio di separazione è stato adottato sulla base della documentazione reddituale già documentata in atti, essendo stati prodotti in giudizio i modelli CUD 2009, 2010, documentazione ritenuta evidentemente sufficiente ed anzi esaustiva da parte del Giudice civile, il quale ai sensi dell’art. 213 c.p.c. può richiedere alla pubblica Amministrazione tutti i documenti e le informazioni necessarie al fine di stabilire eventuali variazioni degli importi stabiliti per il mantenimento.
La ricorrente risulta già aver richiesto innanzi al Giudice istruttore della causa di separazione l’ordine di esibizione in giudizio dei medesimi documenti oggetto dell’istanza di accesso, senza che sia tuttavia intervenuta apposita ordinanza del Giudice ex art. 210 c.p.c., ritenendosi evidentemente non rilevante l’acquisizione di che trattasi.
La reiterazione delle istanze e degli atti di diffida con riferimento a documenti non ritenuti evidentemente dal Giudice civile rilevanti ai fini del decidere, nonché in considerazione della natura interinale e provvisoria degli importi stabiliti nelle more della definizione del giudizio di separazione, rendono evidente la natura emulativa delle istanze medesime, atteso l’evidente difetto di interesse, corroborata dalla causa di separazione personale proposta dal OMISSIS nei confronti della ricorrente con richiesta di addebito della separazione a carico di quest’ultima.
Non è infatti sufficiente la mera pendenza di un giudizio di separazione e, in particolare, del ricorso ex art. 709 c.p.c. a giustificare l’interesse all’accesso a documenti ed al trattamento di dati personali del controinteressato, occorrendo viceversa la prova di un nesso causale e della obiettiva rilevanza della documentazione di cui si chiede l’accesso con l’oggetto della decisione.
Il Giudice della separazione potrà e dovrà stabilire la necessità o meno di acquisire la documentazione ritenuta utile ai sensi dell’art. 213 c.p.c., non ricorrendo evidentemente interesse alcuno all’acquisizione di atti e documenti non utili allo stato ai fini del decidere.
Il ricorso va dunque respinto, dovendosi ritenere prevalente nel caso in esame la tutela del diritto alla riservatezza ex art. 22 l. 241/1990 così come correttamente ritenuto dall’Amministrazione resistente.
Ragioni equitative inducono il Collegio a ritenere interamente compensate tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere, Estensore
Desirèe Zonno, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2012


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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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N. 04122/2012REG.PROV.COLL.
N. 05042/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5042 del 2011, proposto da: OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Leonardo Zanetti, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'interno e la Commissione per l’ accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00185/2011, resa tra le parti, il diniego di accesso ai documenti del proprio fascicolo personale e/o relativi ad indagine amministrativa.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione del Ministero dell'interno e della Commissione per l’ accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2012 il consigliere Bruno Rosario Polito e udito l’ avvocati dello Stato Santoro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il dottor OMISSIS, vice questore aggiunto in servizio prima presso la OMISSIS, ha chiesto l’accesso, con richiesta di estrazione in copia, a documenti amministrativi inerenti a distinti procedimenti : ispettivo, disciplinare e di trasferimento a suo tempo disposti nei suoi confronti dal Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza.
Il dottor OMISSIS- archiviati con formula piena i procedimenti penale e disciplinare - ha motivato la richiesta per il fine di tutelare i propri interessi giuridici onde eventualmente di conseguire il ritiro del provvedimento di trasferimento ad altro incarico conseguente a quei procedimenti, nonché di rivalersi, ove del caso, in sede penale e civile.
L’istanza è stata respinta limitatamente ad alcuni documenti conservati presso la Segreteria di Sicurezza della Questura di Bologna in quanto il ricorrente era “sprovvisto del N.O.S. e la Commissione per l’Accesso presso la Presidenza del Consiglio ha rigettato il conseguente ricorso ritenendo i documenti stessi sottratti all’accesso previsto dall’articolo 24 della legge 241/1990”.
Il T.A.R. Emilia-Romagna,con sentenza n. 185 del 2011 ha poi respinto l’impugnativa proposta dall’interessato avverso le predette determinazioni, sul rilievo che i documenti in questione non sono ostensibili perché, ai sensi dell’art. 2 del d.m. n. 415 del 1994 recano riferimento a fatti e situazioni per la cui conoscenza si rende necessario il possesso del nulla osta di sicurezza (n.o.s.). Il T.A.R. rilevava, inoltre, che non era stato evidenziato l’eventuale rilevanza del contenuto di detti documenti agli effetti della necessità di cognizione in relazione alla posizioni soggettive da tutelare.
Avverso detta sentenza il dr. OMISSIS ha proposto atto di appello ed ha confutato le conclusioni del primo giudice, ribadendo l’insussistenza di preclusioni per l’accesso al carteggio in questione, in quanto classificato “Riservato”, quindi escluso dal possesso del n.o.s. agli effetti della loro ostensione.
Con una prima ordinanza n. 5896 del 2011 la Sezione dava incarico al Garante della protezione dei dati personali di verificare “se il contenuto dei documenti in questioe, sottratti all’accesso, presenti aspetti inerenti alla sicurezza dello Stato in relazione al possesso o meno del prescritto n.o.s. ed alla conseguente procedura per il rilascio o il ritiro”.
Con nota in data 2 dicembre 2011 il Garante declinava ogni competenza in materia di classifica dei documenti, in quanto non riconducibile agli ordinari compiti di istituto sul controllo del trattamento dei dati personali.
Con successiva ordinanza n. 1226 del 2012 era disposta l’acquisizione di documentati chiarimenti, in relazione agli atti richiesti dall’interessato con le differenti istanze di accesso; ai documenti già ottenuti dal dipendente nonché a quelli negati dall’amministrazione, indicando le ragioni dell’eventuale diniego di accesso, con onere di un apposito prospetto con l’analitica indicazione dell’atto richiesto, della data dell’istanza di accesso, della decisione assunta dall’amministrazione (accesso o diniego) e delle ragioni dell’eventuale diniego;
L’incombente, posto a carico del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, o di Funzionario dotato delle necessarie qualifiche e competenze all’uopo delegato, è stato assolto in data 23 maggio 2012.
Alla camera di consiglio del 15 giugno 2012 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. L’appello è fondato nei sensi e limiti che di seguito si espongono.
2.1. A sostegno della preclusione dell’accesso l’ Amministrazione dell’ Interno – nelle determinazioni a ciò ostative - richiama la classifica di “riservato” apposta a taluni dei documenti di cui è stata richiesta l’ostensione, nonché gli artt. 2 e 3 del d.m. 10 maggio 1994, n. 415, recanti l’elenco di categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti rispettivamente “alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionale” e “alla sicurezza pubblica” ovvero alla “prevenzione e repressione della criminalità”.
Quanto all’interesse alla cognizione di detti documenti lo stesso si caratterizza per attualità e concretezza, in quanto è riferito a documenti che hanno coinvolto il dr. OMISSIS sul piano della responsabilità disciplinare, con incidenza sulla posizione di impiego e con rilevanza, quindi, ai fini di ogni tutela della situazioni soggettive che ha detta posizione si riconnettono.
2.2. La riconduzione dei documenti in talune delle categorie elencate all’art. 24 della legge n. 241 del 1990, agli effetti dell’ inibitoria di accesso, non preclude in assoluto la conoscenza degli atti da parte dei soggetti a ciò interessati..
L' art. 24 dalla legge n. 241 del 1990 opera, invero, un prudente bilanciamento fra i due contrapposti interessi inerenti alla riservatezza ed alle esigenze di difesa, stabilendo che ove l'accesso sia necessario per “curare e difendere di propri interessi giuridici” - tale ultima evenienza che ricorre nella fattispecie di cui è controversia – assume carattere prevalente sulla tutela della riservatezza.
In tale ipotesi la soglia di tutela si sposta sulle modalità con le quali deve avvenire l’accesso - secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 3, della legge n. 241 del 1990 – consentendo l’accesso nei soli limiti della visione ed esame del documento, con esclusione dell’estrazione di copia e duplicazione; ciò a salvaguardia di ogni potenziale divulgazione del documento oltre il limite della conoscenza da parte del soggetto direttamente interessato.
Peraltro l’esame dei documenti versati in giudizio dall’ Amministrazione – tutti attinenti all’inchiesta disciplinare promossa nei confronti del dott. OMISSIS – contengono solo un riferimento indiretto (per titolazione ed estremi delle pagine) alle trascrizioni di parti integrali e/o analogiche di piani di sicurezza aeroportuale o relativi alla gestione dei emergenze biologiche, chimiche radiologiche e nucleari, in testi editi dal ricorrente, ma non recano alcun elemento contenutismo relativo a detti piani così che la conoscenza di detti atti - per di più da parte di funzionario per dovere istituzionale tenuto al segreto d’ufficio - non appare comportare vulnus agli interessi di rilievo pubblico inerenti alla difesa nazionale ed alla sicurezza pubblica a prevenzione di attività criminogene.
2.3. La classifica di “riservato” apposta sugli atti di cui è domandato l’accesso non preclude con carattere assoluto la cognizione degli stessi, a fronte delle necessità di difesa degli interessi giuridici del richiedente.
Come posto in rilievo dall’appellante con richiamo al combinato disposto di cui all’art. 3 lett. nn) e 16 del D.P.C.M 24 febbraio 2006, n. 46, ove sussista la necessità di conoscere, l’accesso alle informazioni con detta classifica è consentita indipendentemente dal possesso del n.o.s. rilasciato dall’ Autorità nazionale di sicurezza, a differenza degli atti e delle informazioni con classifica di riservatissimo, segreto e segretissimo, per le quali, oltre all’esistenza dell’effettiva necessità di conoscere è richiesto il nulla osta abilitativo per la classifica corrispondente.
2.4. L’appello va, quindi accolto nei sensi e limiti di cui in motivazione ed, in riforma della sentenza impugnata, vanno annullati gli atti di diniego impugnati e va ordinato al Ministero dell’ Interno di consentire l’accesso per visione agli ulteriori documenti per i quali il dott. OMISSIS ha formulato domanda.
2.5. Il relazione ai profili della controversia spese ed onorari possono essere compensati fra le parti per i due gradi di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione ed, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti di diniego impugnati; per l’effetto
ordina
al Ministero dell’ Interno di consentire l’accesso per visione agli ulteriori documenti per i quali il dott. OMISSIS ha formulato domanda.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 12/07/2012
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Ricorso contro l’Agenzia delle Entrate con la quale è stata respinta l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente in data 8 agosto 2012, avente ad oggetto il rilascio di copia delle ultime cinque dichiarazioni dei redditi presentate dal marito per il mantenimento della figlia.

Ricorso Accolto.

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14/01/2013 201300261 Sentenza 2


N. 00261/2013 REG.PROV.COLL.
N. 08913/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 8913 del 2012, proposto da M. M., rappresentata e difesa dall’avvocato Matteo Magnano, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via della Madonna del Riposo n. 57, presso la dottoressa Giulia Borgna;

contro
l’Agenzia delle Entrate, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con la quale è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

M. T., non costituito in giudizio;

per l'accertamento
dell’illegittimità della nota dall’Agenzia delle Entrate n. 170054/12 in data 30 agosto 2012, con la quale è stata respinta l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente in data 8 agosto 2012, avente ad oggetto il rilascio di copia delle ultime cinque dichiarazioni dei redditi presentate dal signor M. T., con conseguente condanna dell’Amministrazione ad esibire la documentazione richiesta;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2012 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

CONSIDERATO che la ricorrente, madre della minore OMISSIS - dopo aver analiticamente esposto le ragioni di fatto e di diritto che radicano l’interesse al ricorso, connesso all’intenzione di agire in giudizio nei confronti del signor M. T., padre della minore OMISSIS, per ottenere un assegno di mantenimento per la figlia - denuncia l’illegittimità del provvedimento impugnato (motivato in ragione del fatto che «l’accesso ed il rilascio di copia delle dichiarazioni dei redditi può essere richiesto dal titolare o da terza persona solo ove autorizzata dall’Autorità giudiziaria»), evidenziando che, nei rapporti tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza di terzi, prevale il primo laddove l’accesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante;

CONSIDERATO che la ricorrente con memoria depositata in data 3 dicembre 2012 ha insistito per l’accoglimento del ricorso, evidenziando che la giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’illegittimità dei provvedimenti di diniego adottati in relazione ad istanze di accesso a documenti amministrativi, quali le dichiarazioni dei redditi o i C.U.D., proposte da chi intenda provare in (altro) giudizio i redditi altrui, a tutela di una propria situazione giuridica, come nel caso del diritto al mantenimento del coniuge (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I-quater, n. 35020/2010) o dei figli (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, n. 325/2006) o di altri diritti di credito (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, n. 1021/2009);

CONSIDERATO che la Difesa erariale con memoria depositata in data 3 dicembre 2012, in via preliminare, ha eccepito la carenza di legittimazione e di interesse ad agire della ricorrente, nonché la mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del signor M. T., e, in via subordinata, l’infondatezza del ricorso evidenziando, in particolare, quanto segue: «anche alla stregua della documentazione allegata dalla ricorrente emerge la inadeguatezza della motivazione a corredo della richiesta di accesso e la non necessarietà della stessa ai fini della tutela del diritto al mantenimento della figlia naturale minore, il cui obbligo prescinde dalla conoscenza della consistenza patrimoniale del controinteressato. La documentazione cui è riferita l’istanza non incide neanche sulle possibilità di accoglimento della richiesta di tutela, essendo questa connessa al semplice accertamento dell'avvenuto riconoscimento. La consistenza patrimoniale dell’obbligato rileva, dunque, ai soli fini della precisa determinazione dell’entità dell’importo da destinare alle esigenze di mantenimento della figlia, con la conseguenza che la relativa conoscenza attraverso l’accesso compete e potrà essere disposta dal giudice nel momento in cui si troverà a determinare, in sede giudiziale, nel quantum il contenuto del dovere di mantenimento»;

CONSIDERATO che la ricorrente con memoria depositata in data 7 dicembre 2012 ha replicato alle eccezioni della Difesa erariale;

CONSIDERATO, in via preliminare, che le eccezioni processuali della Difesa erariale, incentrate sulla carenza di legittimazione e di interesse ad agire, sono palesemente infondate perché - come condivisibilmente affermato dalla ricorrente nella sua memoria di replica - «la conoscenza preventiva dei redditi del soggetto nei cui confronti si intende agire per chiederne la condanna al mantenimento, consente di modulare sin dalla proposizione della causa le pretese a quelle che sono le sostanze dell’altro genitore tenuto al mantenimento (infatti ex art. 148 c.c. i genitori sono tenuti a contribuire al mantenimento della prole “in proporzione alle rispettive sostanze”). Pertanto, ove il sig. T…… dovesse risultare privo di redditi, la ricorrente potrebbe decidere di non agire innanzi al giudice civile, e continuare a provvedere da sola al mantenimento della figlia. Infatti, ottenere una pronuncia nei confronti di un soggetto che non ha redditi e nei cui confronti potrebbe essere infruttuosa l’esecuzione forzata, potrebbe essere del tutto inutile, sicché è interesse della ricorrente quello di accedere ai dati reddituali del sig. T……. ancor prima dell’eventuale giudizio civile»;

CONSIDERATO che dagli atti di causa risulta che il signor M. T. è stato ritualmente evocato, sicché risulta palesemente infondata anche l’ulteriore eccezione processuale della Difesa erariale;
CONSIDERATO, nel merito, che il ricorso risulta fondato alla luce delle seguenti considerazioni: A) i rapporti tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza sui dati personali non sensibili sono oggi disciplinati dall’art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990, secondo il quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”; B) questa Sezione, in relazione ad una fattispecie nella quale l’accesso era stato negato con una motivazione analoga a quella contenuta nel provvedimento in esame, ha già avuto modo di evidenziare che deve essere ritenuta accessibile la dichiarazione dei redditi di un soggetto ai fini dell’accertamento del credito vantato nei suoi confronti (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 3 febbraio 2009, n. 1021); C) questo Tribunale in altra occasione ha già avuto modo di evidenziare che «non vi è alcuna preclusione alla instaurazione del giudizio sull’accesso ai documenti, per la pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal giudice ordinario mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, laddove, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale» (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I-quater, 2 dicembre 2010, n. 35020);

CONSIDERATO che, tenuto conto di quanto precede, il ricorso deve essere accolto e, quindi, si deve ordinare all’Amministrazione intimata di esibire copia delle ultime cinque dichiarazioni dei redditi del signor M. T., limitatamente ai quadri da cui si evincono i redditi dallo stesso dichiarati;
CONSIDERATO che, in applicazione della regola della soccombenza, le spese relative al presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico dell’Agenzia delle Entrate;

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 8913/2012, lo accoglie e, per l’effetto ordina all’Agenzia delle Entrate di esibire, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza, copia delle ultime cinque dichiarazioni dei redditi del signor M. T., limitatamente ai quadri da cui si evincono i redditi dallo stesso dichiarati.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di giudizio, che si quantificano in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Salvatore Mezzacapo, Consigliere
Carlo Polidori, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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La ricorrente chiedeva all'INPS di avere copia degli atti amministrativi, ivi compreso il mandato di pagamento, relativi alla liquidazione del trattamento di fine servizio liquidato al signor OMISSIS, Carabiniere cessato dal servizio il 27.12.2009 ed ex coniuge della istante in ragione della cessazione degli effetti civili del matrimonio in forza della sentenza del Tribunale.

Ricorso Accolto.

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03/04/2013 201301755 Sentenza 6


N. 01755/2013 REG.PROV.COLL.
N. 05485/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5485 del 2012, proposto da OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Di Felice, con domicilio eletto presso il suo studio in San Prisco (CE) e pertanto ai sensi dell’art. 25 c.p.a., in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. per la Campania;

contro
L’I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Savastano, con domicilio eletto presso l’avvocatura dell’ente in Napoli, via A. De Gasperi, 55;

nei confronti di
OMISSIS, non costituito in giudizio;
per l'esibizione e l’estrazione di copie della documentazione concernente la liquidazione e l’ammontare del trattamento di fine servizio (TFS), liquidato al signor OMISSIS avendo cessato il servizio in data 27.12.2009.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2013 la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe la signora OMISSIS impugna il diniego pervenutole il 18.10.2012 dall’ente di previdenza dei pubblici dipendenti in ordine alla sua richiesta di accesso agli atti del 25.09.2012, con la quale chiedeva di avere copia degli atti amministrativi, ivi compreso il mandato di pagamento, relativi alla liquidazione del trattamento di fine servizio liquidato al signor OMISSIS, Carabiniere cessato dal servizio il 27.12.2009 ed ex coniuge della istante in ragione della cessazione degli effetti civili del matrimonio in forza della sentenza del Tribunale di OMISSIS nr. 569/2011. Il diniego di accesso è motivato con l’insussistenza, a parere dell’INPS, di un interesse diretto, concreto e attuale all’accesso da parte della signora OMISSIS, tale da giustificare la presa visione di atti attinenti la sfera giuridica di altra persona, di cui andrebbe tutelata la privacy.

La menzionata richiesta della ricorrente è l’ultima in ordine di tempo di una serie di precedenti richieste, alle quali l’INPS - ex Inpdap aveva già dato riscontri interlocutori e comunque non positivi per la ricorrente (n. …… note del 25/06/2010, n. …… del 04/08/2010, n. ……. del 15/05/2012).

Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 24 della legge 07 agosto 1990 n. 241 e la non sussistenza della violazione della privacy.

Si è costituito in giudizio l’ente previdenziale che ha ribadito, nella propria memoria, le ragioni già espresse nella nota impugnata, in base alle quali ha denegato l’accesso agli atti richiesti. Il controinteressato non si è costituito in giudizio.

Alla camera di consiglio del 20 marzo 2013 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è fondato e và accolto.

La questione è se la ricorrente possa ottenere l’ostensione e il rilascio di copia degli atti inerenti l’avvenuta liquidazione del pagamento del trattamento di fine servizio dell’ex coniuge, nonché controinteressato, che le sono necessari per conoscere l’entità del citato trattamento, in quanto la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio pronunciata dal Tribunale di OMISSIS nr. 569/2011 ha sancito il riconoscimento di una quota del trattamento di fine servizio in favore dell’istante solo al momento della maturazione in favore del ricorrente.

In ordine a tale pretesa, la difesa dell’amministrazione ha opposto che la ricorrente non sarebbe titolare di un interesse concreto all’accesso in via diretta ai documenti richiesti, venendo meno così uno degli elementi fondanti l’interesse sostanziale descritto dallo stesso articolo 22 della legge n. 241 del 1990.

La medesima amministrazione sostiene, inoltre, che alla richiesta di parte ricorrente può validamente opporsi l’interesse alla riservatezza ed alla privacy garantito dallo stesso articolo 22 della l. n. 241 del 1990.

Le tesi dell’ente previdenziale non possono essere condivise.

Quando il legislatore ha offerto la definizione di “interessati” recata dall’art. 22 della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, ha recepito la giurisprudenza sull’argomento, collegando alla posizione dell’interesse diretto, concreto ed attuale la corrispondente situazione giuridicamente tutelata come evincibile dal documento al quale è chiesto l’accesso.

Nel caso in esame, la ricorrente ha sufficientemente dimostrato sia la presenza di un interesse diretto, concreto ed attuale sia il collegamento con una situazione giuridica rilevante, resa evidente dalla sentenza divorzile emessa all’esito del giudizio di separazione dal coniuge, nella quale il riconoscimento del diritto della ricorrente alla quota di trattamento di fine rapporto è condizionato al momento della maturazione in favore del ricorrente, di cui al momento della pubblicazione della sentenza non vi era ancora prova.

E’ dunque provato quanto richiesto dalla norma citata, ossia la dimostrazione del collegamento con una situazione giuridicamente rilevante e dell’interesse di cui è portatore il richiedente che non è futuro, né astratto, né indiretto rispetto ad essa.

Quanto alla tutela della riservatezza di terzi è fondata la tesi della parte ricorrente, ossia che l’erogazione e la quantificazione del trattamento di fine servizio (che rientra nel concetto di reddito) percepito dall’ex coniuge non costituisce un dato sensibile, in quanto non rientra nella espressa elencazione di cui all’art. 4, comma 1 lett. d) del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 che, tra i dati sensibili, ricomprende: “i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Il ricorso va pertanto accolto e, per l’effetto, va dichiarato illegittimo il diniego opposto dall’amministrazione sulla richiesta presentata dalla ricorrente in data 21.09.2012 e va ordinato all’INPS – ex Inpadp il rilascio della copia della documentazione concernente la liquidazione e l’ammontare del trattamento di fine servizio (T.F.S.), liquidato all’ex coniuge salvo l’onere della ricorrente di corrispondere diritti e spese di riproduzione.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato e ordina all’INPS – ex Inpdap - Istituto Nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione il rilascio della copia della documentazione concernente la liquidazione e l’ammontare del trattamento di fine servizio (T.F.S.), erogato al controinteressato, salvo l’onere della ricorrente di corrispondere diritti e spese di riproduzione.

Condanna l’amministrazione costituita al pagamento di Euro 1.000,00 (mille/00) a favore della ricorrente a titolo di spese di giudizio, oltre ad accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso, in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Renzo Conti, Presidente
Umberto Maiello, Consigliere
Emanuela Loria, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 03/04/2013
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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visita invalidità civile.

la ricorrente – sottoposta a visita presso la commissione medica dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo per il riconoscimento dell’invalidità civile - ha impugnato il diniego opposto dall’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, nonché il rifiuto opposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, entrambi formatisi sull’istanza inoltrata dalla predetta il 26.02.2013, tendente ad ottenere il rilascio di copia del relativo verbale di accertamento, della documentazione medica presentata in sede di visita, della documentazione attestante la data di invio del verbale ASP all’INPS, con relativo numero di protocollo.

Ricorso Accolto.

Il resto per completezza leggetelo qui sotto.

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07/06/2013 201301286 Sentenza 1


N. 01286/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00765/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 765 del 2013, proposto da:
M. G., rappresentata e difesa dall'avv. Raimondo Cammalleri, con domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore in Palermo, via Fiume n. 6;

contro
- l’INPS – Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Jeni, Gino Madonia, Bernocchi Giuseppe e Pulli Clementina, con domicilio eletto in Palermo, via Maggiore Toselli n. 5 (Ufficio Legale INPS);

- l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Narbone, con domicilio eletto presso la sede dell’Ufficio Legale dell’Azienda in Palermo, via Pindemonte n. 88;

per l'accertamento e la declaratoria
di illegittimità del rifiuto opposto dall’ASP di Palermo con nota del 15.03.2013, nonché del rifiuto opposto dall’INPS con lettera raccomandata del 12.03.2013, formatosi sulle istanze di accesso agli atti inoltrate in data 26.02.2013, e del conseguente diritto della ricorrente a prendere visione ed estrarre copia dei documenti appresso specificati, con conseguente condanna degli enti intimati all’esibizione e al rilascio di copia degli stessi;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, con le relative deduzioni difensive;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, con le relative deduzioni difensive;
Vista la memoria di replica prodotta dalla parte ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 87 e 116 cod. proc. amm.;
Relatore il primo referendario dott. Maria Cappellano;
Uditi alla camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013 i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
A. – Con ricorso notificato nelle date 5-11 aprile 2013, e depositato il 16 aprile, la ricorrente – sottoposta a visita presso la commissione medica dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo per il riconoscimento dell’invalidità civile - ha impugnato il diniego opposto dall’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, nonché il rifiuto opposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, entrambi formatisi sull’istanza inoltrata dalla predetta il 26.02.2013, tendente ad ottenere il rilascio di copia del relativo verbale di accertamento, della documentazione medica presentata in sede di visita, della documentazione attestante la data di invio del verbale ASP all’INPS, con relativo numero di protocollo; nonché, solo all’INPS, la eventuale data di sospensione della procedura ai sensi dell’art. 1, c. 7, l. n. 295/1990 e le valutazioni medico-legali sulla base delle quali l’INPS ha sospeso la procedura.

Parte ricorrente, assumendo la violazione degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990, ha chiesto che venga accertata l’illegittimità dei dinieghi espressi e, conseguentemente, il suo diritto a prendere visione ed estrarre copia della documentazione richiesta, con il favore delle spese.

B. – Si è costituito in giudizio l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (d’ora in poi “INPS”), eccependo preliminarmente la parziale inammissibilità del ricorso per genericità del petitum, il proprio difetto di legittimazione passiva; ha altresì contestato la domanda avversaria, concludendo per il rigetto del ricorso.

C. – Si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo (d’ora in poi “ASP”), chiedendo il rigetto del ricorso nei propri confronti, attesa la competenza dell’INPS per l’intero procedimento in interesse.

D – Parte ricorrente ha replicato a tutte le eccezioni ed argomentazioni, insistendo per l’accoglimento del gravame.

E. – Alla camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013, uditi i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato posto in decisione.

F. – Il ricorso è fondato.

A decorrere dal 1° gennaio 2010 le domande (quali quella di parte ricorrente) volte ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, complete della certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, sono presentate all'INPS, secondo modalità stabilite dall'ente medesimo. Ai fini degli accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità le Commissioni mediche delle Aziende sanitarie locali sono integrate da un medico dell'INPS quale componente effettivo e in ogni caso l'accertamento definitivo è effettuato dall'INPS (v. art. 20 d.l. n. 78/2009, conv. in l. 102/2009).

Gli accertamenti sanitari conclusi con giudizio unanime dalla Commissione Medica, previa validazione da parte del Responsabile del CML dell’INPS territorialmente competente, allorché comportino il riconoscimento di una prestazione economica, danno luogo all’immediata verifica dei requisiti socio economici. Invece, gli accertamenti sanitari conclusi con giudizio a maggioranza dalla Commissione Medica, comportano la sospensione della procedura, l’esame della documentazione sanitaria in atti e l’eventuale disposizione di una nuova visita.

Segue da ciò che, ad avviso del Collegio, è l’INPS ad essere tenuto in via principale a garantire il rispetto del diritto di accesso nel caso in esame, in quanto titolare del procedimento volto ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, dal momento della presentazione della domanda a quello dell’erogazione della provvidenza (v. anche art. 10 d.l. n. 203/2005, conv. in l. n. 248/2005).

Le modalità applicative del procedimento di cui trattasi sono state disciplinate dall’INPS con la circolare 28 dicembre 2009, n. 131, nella quale si legge che: “Il nuovo flusso organizzativo e procedurale, … è ispirato ai seguenti principi: trasparenza del procedimento; realizzazione di un sistema di presentazione, gestione, trattamento e archiviazione elettronica delle domande; rilascio sul sito internet dell’Istituto dell’applicativo per la presentazione delle domande, per la gestione degli appuntamenti e per la stesura del verbale di visita da parte delle Commissioni Mediche delle ASL; archiviazione elettronica di tutti gli atti e degli esiti delle fasi procedurali registrati informaticamente; tempestiva disponibilità degli atti, grazie all’utilizzo della sola modalità telematica per la presentazione e gestione, da parte delle funzioni amministrative, sanitarie e legali ai fini dell’erogazione delle prestazioni e della eventuale difesa in giudizio.”.

E’ evidente pertanto che in base ai principi ai quali si è autovincolato l’INPS e tenuto conto del disposto di cui all’art. 22, c. 2, l. n. 241/1990 a norma del quale l’accesso ai documenti amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, sussiste il diritto della parte ricorrente di ottenere dall’INPS stesso, il rilascio di copia, previo pagamento dei relativi diritti:

1) del verbale dell’accertamento sanitario posto in essere dalla Commissione medica dell’ASP di Palermo, con indicazione del numero di protocollo di partenza e della data di spedizione all’INPS, nonché con indicazione del numero di protocollo di ingresso e della data di ricezione da parte dell’INPS;

2) dell’eventuale provvedimento dell’INPS - con indicazione del numero di protocollo e della data – contenente le risultanze dell’esame della documentazione sanitaria in atti e l’eventuale disposizione di una nuova visita, qualora l’accertamento sanitario della Commissione medica dell’ASP di Palermo si sia concluso con giudizio a maggioranza.

Per quanto concerne la documentazione medica depositata dalla parte ricorrente al momento dell’accertamento sanitario presso la Commissione medica dell’ASP, l’obbligo di ostensione di detta documentazione va posta a carico di entrambi gli enti resistenti.

Nella circolare INPS richiamata viene, infatti, chiarito che la documentazione sanitaria presentata dal cittadino all'atto della visita viene acquisita agli atti della ASP (paragr. 6); e che la stessa viene richiesta dall'INPS solo in caso di mancata validazione del verbale: in tal caso, infatti – come chiarito - l'INPS sospende l'invio del verbale al cittadino e acquisisce la documentazione sanitaria dall'Azienda sanitaria (punto B).

Ne consegue che detta documentazione sanitaria dovrà essere fornita alla parte ricorrente da uno dei resistenti enti, a seconda della fase in cui si trova l’iter per il riconoscimento dell’invalidità civile; con conseguente obbligo esclusivamente gravante sull’INPS, nel caso di già disposta acquisizione di detti atti o a seguito di mancata validazione del verbale, o per altra causa.

G. – Le spese, da liquidarsi in dispositivo, seguono come di regola la soccombenza tra le parti costituite e, tenuto conto della titolarità del procedimento in materia di invalidità civile in capo all’INPS, soggetto tenuto a garantire il diritto di accesso, possono dichiararsi irripetibili nei confronti dell’ASP di Palermo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese e degli onorari di causa che liquida in favore della parte ricorrente in complessivi € 500,00 (Euro cinquecento/00), oltre oneri accessori come per legge.

Dichiara irripetibili le spese di giudizio nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Aurora Lento, Consigliere
Maria Cappellano, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 07/06/2013
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Ottima sentenza del Consiglio di Stato e molta chiara.
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29/01/2014 201400461 Sentenza 4


N. 00461/2014REG.PROV.COLL.
N. 02067/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2067 del 2013, proposto da:
A. T., rappresentato e difeso dagli avv. Fausto Buccellato, Natalina Raffaelli, con domicilio eletto presso Fausto Buccellato in Roma, viale Angelico 45;

contro
Agenzia delle Entrate in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di
(società -omissis) Sas di omissis (Ora Srl), omissis;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO - SEZIONE I n. 00116/2013, resa tra le parti, concernente diniego accesso agli atti di presa visione e rilascio copie dei modelli unico relativi agli ultimi cinque anni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2013 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Natalina Raffaelli e l'Avvocato dello Stato Elefante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il sig. OMISSIS, proprietario di un immobile locato alla società OMISSIS S.a.s. per usi commerciali, chiedeva all’Agenzia delle Entrate di Catanzaro copia delle dichiarazioni reddituali presentati negli ultimi cinque anni di imposta, dalla società, dal suo legale rappresentante e da altro socio.

Avanzava dichiaratamente la richiesta in forza della necessità di conoscere le reali condizioni economiche della società e dei soci personalmente responsabili, atteso che la prima era in mora nel pagamento del canone d’affitto, aveva già comunicato preavviso di recesso dal contratto di locazione per insostenibilità economica del relativo canone, nonché programmato la trasformazione in società di capitali (trasformazione alla quale il sig. OMISSIS, creditore, si era opposto).

I controinteressati si opponevano al rilascio degli atti per asserite ragioni di privacy. L’Agenzia respingeva l’istanza con provvedimento del 18 giugno 2012.

Il TAR Catanzaro, investito del gravame dal sig. OMISSIS, ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di interesse affermando, in parte motiva, che i dati sono sensibili, non risulta proposta alcuna azione giudiziaria e, soprattutto, i dati reddituali nulla hanno a che vedere con la vicenda locativa.

Propone ora appello il sig. OMISSIS: i dati non sarebbero sensibili. L’interesse giuridicamente rilevante sarebbe semplicemente dato dall’esistenza di un rapporto contrattuale. Il giudice non dovrebbe spingersi sino a verificare la sussistenza e la pendenza dell’azione o, addirittura, il nesso di strumentalità tra i documenti da ostendere e l’azione da esperire.

Si è costituita l’amministrazione. L’interesse che sorregge la richiesta sarebbe di mero fatto, non legata ad una effettiva esigenza defensionale, e pertanto soccombente rispetto alla tutela della sfera di riservatezza dei terzi.

DIRITTO

Le tesi dell’appellante sono quelli più fedeli alla lettera ed allo spirito della legge.

La legge subordina l’accessibilità del documento amministrativo ad un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. L’interesse (diretto, concreto ed attuale) è dunque riferito al documento del quale si chiede l’ostensione; la “corrispondenza” è da intendersi invece quale nesso di strumentalità o anche semplicemente connessione con una situazione giuridica che l’ordinamento protegge attraverso la concessione di strumenti di tutela (non importa se essi siano giurisdizionali od amministrativi).

La norma non richiede per l’ostensibilità del documento la pendenza di un giudizio, o la dichiarazione di volerlo proporre, né a fortiori autorizza valutazioni in ordine alla concreta utilità del documento rispetto alle ragioni difensive dell’istante, non foss’altro perché spesso è la stessa amministrazione ad essere indicata quale responsabile della lesione della posizione giuridica che l’istante vuol tutelare, sicché lasciare all’amministrazione il sindacato sull’utilità ed efficacia del documento in ordine all’esito della causa, significherebbe dare ad una parte del giudizio il dominio della causa.

Ciò non significa che l’amministrazione non debba fare alcuna valutazione: piuttosto la valutazione deve riguardare il “collegamento” della situazione giuridica da tutelare, con il documento del quale è richiesta l’ostensione.

L’amministrazione deve dunque consentire l’accesso se il documento contiene notizie e dati che, secondo quanto esposto dall’istante, nonché alla luce di un esame oggettivo, attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, o ancora documentano parametri, criteri e giudizi, rilevanti al fine di individuare il metro di valutazione utilizzato in procedure concorsuali .

Accertato il collegamento, ogni altra indagine sull’utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento, od ancora, sull’ammissibilità o tempestività della domanda di tutela prospettata, è sicuramente ultronea.

Così com’è ultronea l’indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili, poiché essi possono essere giurisdizionali, ma anche amministrativi, e finanche di natura non remediale (come potrebbe essere semplicemente la costruttiva partecipazione ad un procedimento amministrativo, ad ex art. 10 bis l. 241/90) o sollecitatoria (ad es. la richiesta di annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo).

Una volta accertato il collegamento, l’amministrazione deve parimenti accertare se l’interesse sia diretto, concreto ed attuale: ciò significa che l’istante dev’essere il portatore della posizione giuridica soggettiva tutelata (o, ovviamente un suo rappresentante), che l’esigenza di tutela non dev’essere astratta o meramente ipotetica, ed ancora, che vi siano riflessi attuali del documento sulla posizione giuridica tutelata (l’interesse non deve cioè essere meramente storico documentativo).

Il quadro muta ove vi siano controinteressati all’accesso per motivi di tutela della propria sfera di riservatezza: in questo caso, in effetti, la norma fa riferimento, alla necessità di “curare” o “difendere” interessi giuridici.

Nel caso di specie tuttavia, deve escludersi che si tratti di dati personali sussumibili nel disposto dell’art. 24 comma 6 lett. d) e comma 7. Il legislatore è addirittura intervenuto ad affermare il principio di trasparenza nei rapporti fiscali consentendo espressamente l’accessibilità delle dichiarazioni fiscali nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, (Cfr. art. 42 DL 112/2008, convertito in legge 133/2008).

Non v’è motivo dunque per negare l’accesso. L’essere titolare di un rapporto contrattuale con la società controinteressata, allo stato morosa, che ha tra l’altro già comunicato preavviso di recesso dal contratto di locazione per insostenibilità economica del relativo canone, nonché programmato la trasformazione in società di capitali (trasformazione alla quale il sig. OMISSIS, creditore, si è opposto) costituisce circostanza idonea a sostanziare un interesse giuridicamente rilevate e collegato ai documenti fiscali richiesti, in quanto rappresentativi dell’ammontare dei redditi posseduti dai soggetti debitori.

Piuttosto, può ricorrersi all’oscuramento delle parti delle dichiarazioni che possano indirettamente fornire notizie sulle convinzioni religiose o filosofiche, o sulle condizioni di salute (il riferimento è alla scelta dell’8 per mille, o alle detrazioni delle spese per motivi sanitari).

L’appello è pertanto accolto. Per l’effetto deve ordinarsi all’amministrazione l’esibizione degli atti richiesti.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, ordina all’amministrazione l’esibizione degli atti richiesti, con l’osservanza delle modalità di cui v’è cenno in parte motiva, entro e non oltre giorni 20 dalla notificazione o comunicazione della presente decisione.

Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, forfettariamente liquidate in complessivi €. 3.000 oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 29/01/2014
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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ricorso per separazione personale.
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1) - L’Agenzia delle Entrate e il Garante per la protezione dei dati personali hanno appellato la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato accolto il ricorso del signor OMISSIS avverso il diniego tacito formatosi sulla sua richiesta di accedere ai documenti fiscali detenuti dall’Agenzia delle Entrate, al fine di dimostrare la capacità reddituale della moglie, signora OMISSIS, nel giudizio di separazione in corso con la stessa.

2) - Il T.A.R. adito ha accolto il ricorso richiamando la giurisprudenza che riconosce il diritto del coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, di accedere alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale del coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata;
- inoltre, nel caso di specie, il T.A.R. ha ritenuto sussistente uno stretto nesso di pertinenza tra il documento e la tutela dell’interesse, in quanto i documenti fiscali del coniuge risultavano “oggettivamente utili” al perseguimento del fine di tutela.

IL CdS scrive:

3) - Nel caso di specie la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori delle parti in causa, prevale o quantomeno deve essere contemperata con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti “sensibili” del coniuge.

4) - Va considerato dirimente, al riguardo, il fatto che nella specie la richiesta di accesso sia provenuta dal marito della controinteressata, e non da un quisque de populo, e che l’interesse dello stesso, attuale e concreto, alla cura dei propri interessi in giudizio si presentasse sicuramente qualificato:
- donde la condivisibilità, in via di principio, delle conclusioni del primo giudice laddove ha ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di accesso anche con riferimento alle comunicazioni suindicate.

Per completezza dell'argomento in discussione, leggete il tutto qui sotto.
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14/05/2014 201402472 Sentenza 4


N. 02472/2014REG.PROV.COLL.
N. 00933/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 933 del 2014, proposto dalla AGENZIA DELLE ENTRATE e dal GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro
il signor M. C., non costituito,

nei confronti di
signora R. B., non costituita,

per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Terza, nr. 9036/2013, depositata il 21 ottobre 2013 e non notificata.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014, il Consigliere Raffaele Greco;
Udito l’avv. dello Stato Marco Stigliano Messuti per le Amministrazioni appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’Agenzia delle Entrate e il Garante per la protezione dei dati personali hanno appellato la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato accolto il ricorso del signor OMISSIS avverso il diniego tacito formatosi sulla sua richiesta di accedere ai documenti fiscali detenuti dall’Agenzia delle Entrate, al fine di dimostrare la capacità reddituale della moglie, signora OMISSIS, nel giudizio di separazione in corso con la stessa.
A sostegno dell’appello sono stati articolati i seguenti motivi :

1) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 6, del d.P.R. 29 settembre 1973, nr. 605, modificato dall’art. 37, commi 4 e 5, del d.l. 4 luglio 2006, nr. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, nr. 248 (stante l’accoglimento della richiesta di accesso a dati “sensibili” fuori dei casi tassativamente previsti dalla vigente normativa e dalla disciplina di settore, con conseguente grave pericolo di violazione dei diritti fondamentali e della privacy individuale);

2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, per inconfigurabilità di documenti ostensibili (atteso che i dati contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari, ancorché definiti dal legislatore quali “comunicazioni”, non sono riconducibili al concetto di documento amministrativo e, più in generale, all’oggetto del diritto di accesso agli atti amministrativi, che deve riguardare atti precisi e ben individuati e non può essere riferibile ad un generico accesso ad una banca dati, come l’Anagrafe tributaria, specie con riferimento all’Archivio dei rapporti finanziari).

La parte appellata non si è costituita in giudizio.

Alla camera di consiglio del 15 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’odierno appellato, signor OMISSIS, è stato convenuto in giudizio dal coniuge, signora OMISSIS, dinanzi al Tribunale di Roma con ricorso per separazione personale.

Al fine di tutelare i propri interessi nel giudizio di separazione, con nota del 17 maggio 2013, inoltrata il 21 maggio 2013 e ricevuta il 23 successivo, egli ha chiesto all’Agenzia delle Entrate di esercitare il diritto di accesso con riferimento a documenti fiscali del coniuge e, in particolare, alle “dichiarazioni dei redditi degli anni 2009, 2010 e 2011, contratti di locazione a terzi delle proprietà immobiliari dal 2009 alla data odierna, comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari dell’ Anagrafe tributaria – sezione Archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla Sig.ra OMISSIS anche in qualità di delegante o di delegata, dal 2009 alla data odierna”, al fine di dimostrare in giudizio la capacità reddituale della moglie.

Decorsi trenta giorni dalla richiesta senza che l’Amministrazione desse riscontro alla richiesta, l’istante ha proposto ricorso al T.A.R. del Lazio avverso il diniego così implicitamente oppostogli.

Il T.A.R. adito ha accolto il ricorso richiamando la giurisprudenza che riconosce il diritto del coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, di accedere alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale del coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata; inoltre, nel caso di specie, il T.A.R. ha ritenuto sussistente uno stretto nesso di pertinenza tra il documento e la tutela dell’interesse, in quanto i documenti fiscali del coniuge risultavano “oggettivamente utili” al perseguimento del fine di tutela.

L’Agenzia delle Entrate, unitamente al Garante per la protezione dei dati personali, ha quindi impugnato tale sentenza sulla base dei motivi esposti nella narrativa in fatto.

2. Ciò premesso, l’appello va accolto nei limiti appresso precisati, e va respinto per il resto.

3. Innanzitutto, è certamente infondato il secondo motivo di appello, col quale si assume che le “comunicazioni” relative ai rapporti finanziari non costituirebbero documento ai sensi della normativa in materia di accesso.

Al contrario, gli atti in questione rientrano certamente nella nozione di documento amministrativo di cui all’art. 22 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, trattandosi di atti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ancorché non formati da questa.

Infatti, è proprio l’art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, nr. 605 (richiamato da parte appellante), a disciplinare compiutamente la forma, i contenuti e le modalità di trasmissione di dette “comunicazioni”, nonché la loro destinazione e i loro possibili impieghi da parte dell’Amministrazione (oltre alla loro conservazione e tenuta): di modo che non è possibile sostenere né che si tratti di atti interni privi di ogni rilevanza giuridica, né che si tratti di mere informazioni, rispetto alle quali sarebbe richiesta all’Amministrazione una non esigibile attività di elaborazione e/o estrapolazione.

4. Quanto al primo mezzo, col quale si chiama in causa la specifica normativa che disciplina la conservazione, la tenuta e l’uso delle “comunicazioni” riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari, lo stesso si appalesa solo in parte fondato.

4.1. In primis, le deduzioni di parte appellante – a tutto voler concedere – concernono esclusivamente le comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria, relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, mentre nulla viene eccepito per quanto attiene alle dichiarazioni dei redditi e ai contratti di locazione: di modo che sull’accesso ordinato quanto a tali ultimi atti deve intendersi formato il giudicato.

4.2. Al di là di ciò, la normativa a cui fanno riferimento le Amministrazioni odierne appellanti (art. 7 del d.P.R. nr. 605 del 1973, come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, nr. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, nr. 248) ha previsto l’obbligo per ogni operatore finanziario di comunicazione, in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, denominata Archivio dei rapporti finanziari, dell’esistenza e relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto.

Tali norme però, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale a sostegno della pretesa sottrazione all’accesso delle comunicazioni in questione, non contemplano affatto che queste, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate “unicamente” dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, limitandosi a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l’azione di contrasto all’evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.

4.3. Sotto quest’ultimo profilo, occorre verificare secondo i comuni principi se l’Amministrazione delle finanze abbia ritenuto di sottrarre all’accesso le comunicazioni de quibus con specifico atto, come previsto dall’art. 24 comma 2, della citata legge nr. 241 del 1990.

Al riguardo, la disciplina di riferimento si rinviene nel d.m. 29 ottobre 1996, nr. 603 (recante “Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241” ), laddove alcuna previsione si rinviene nel senso sostenuto dalle Amministrazioni odierne appellanti: e, anzi, i documenti per cui è causa appaiono riconducibili alla previsione dell’art. 5 di tale norma (lettera a) : “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa”), il quale precisa che, pur trattandosi di documenti sottratti all’accesso, va però garantita “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.

Tale ultima precisazione rinvia immediatamente alla previsione del comma 7 dell’art. 24 della legge nr. 241 del 1990 (“…Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”), da cui emerge la necessità di effettuare un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione o l’accesso al documento amministrativo e il diritto alla riservatezza dei terzi.

4.4. In dottrina e giurisprudenza è ormai pacifico che, con la modifica della legge n. 241 del 1990, operata dalla legge 11 febbraio 2005, nr. 15, è stata codificata la prevalenza del diritto di accesso agli atti amministrativi e considerato recessivo l’interesse alla riservatezza dei terzi, quando l’accesso sia esercitato prospettando l’esigenza della difesa di un interesse giuridicamente rilevante.

L’equilibrio tra accesso e privacy è dato, dunque, dal combinato disposto degli artt. 59 e 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196 (c.d. Codice della privacy) e delle norme di cui alla legge nr. 241 del 1990: la disciplina che ne deriva delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso: nel più elevato si richiede la necessità di una situazione di “pari rango” rispetto a quello dei dati richiesti; a livello inferiore si richiede la “stretta indispensabilità” e, infine, la “necessità”.

In tutti e tre i casi, quindi, l’istanza di accesso deve essere motivata in modo ben più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente: in particolare, si è osservato che, fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “diritto” all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l’accesso dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi e ciò anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla “conoscenza” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2013, nr. 1568).

4.5. Nel caso di specie la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori delle parti in causa, prevale o quantomeno deve essere contemperata con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti “sensibili” del coniuge.

Va considerato dirimente, al riguardo, il fatto che nella specie la richiesta di accesso sia provenuta dal marito della controinteressata, e non da un quisque de populo, e che l’interesse dello stesso, attuale e concreto, alla cura dei propri interessi in giudizio si presentasse sicuramente qualificato: donde la condivisibilità, in via di principio, delle conclusioni del primo giudice laddove ha ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di accesso anche con riferimento alle comunicazioni suindicate.

5. Alla luce delle norme sopra richiamate, che autorizzano l’accesso agli atti de quibus nella sola forma della “visione”, la sentenza di primo grado va peraltro riformata nella sola parte in cui autorizzava anche il rilascio di copia delle comunicazioni ex art. 7 comma 6, del d.P.R. nr. 605 del 1973.

Di conseguenza, l’appello va accolto solo limitatamente alla circoscrizione alla sola visione dell’accesso alle comunicazioni in questione, mentre va respinto per il resto.

6. Le spese vanno dichiarate irripetibili, attesa la mancata costituzione della parte appellata.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e lo respinge per il resto e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, quanto alle comunicazioni inoltrate all’Archivio dei rapporti finanziari presso l’Anagrafe tributaria, ordina all’Amministrazione di consentire al ricorrente l’accesso nella sola forma della visione, fermo restando il rilascio di copia degli altri documenti oggetto dell’istanza di accesso.

Spese irripetibili.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
panorama
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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accesso
- ai documenti (certificazioni dei redditi erogati alla figlia del ricorrente, relativamente agli anni di imposta 2010-2011-2012);

1) - Dal matrimonio sono nati tre figli, tra cui la controinteressata, che attualmente risiede con la madre.

2) - Con sentenza definitiva il Tribunale di Brescia ha condannato il ricorrente a versare alla ex moglie, oltre all’assegno divorzile, un assegno mensile di € 700 (con clausola di rivalutazione automatica) a titolo di concorso nel mantenimento dei figli.

3) - In sede di revisione delle condizioni di divorzio, il Tribunale di Brescia con decreto ha ridotto l’assegno di mantenimento dei figli a € 400 (con clausola di rivalutazione automatica). L’obbligo di mantenimento è stato limitato alla sola controinteressata, maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, in quanto i due figli più grandi erano ormai economicamente autonomi.

4) - Con un ulteriore decreto del 16 settembre 2009 il Tribunale ha disposto che una parte del predetto assegno fosse versata dal ricorrente direttamente alla figlia e la restante parte ancora alla ex moglie. Oltre a questo era ribadito l’obbligo per il ricorrente di corrispondere alla ex moglie il 50% delle spese straordinarie (mediche e scolastiche) relative alla figlia.

5) - Il ricorrente aveva evidenziato che la figlia, laureatasi a pieni voti nel 2010 in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie, aveva intrapreso una carriera professionale corrispondente al proprio percorso formativo prestando attività lavorativa.

6) - Allo scopo di procurarsi una prova certa dei redditi della figlia, in vista della riproposizione della domanda di revisione delle condizioni di divorzio, il ricorrente in data 4 ottobre 2013 ha chiesto all’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) copia delle certificazioni o dichiarazioni dei redditi erogati dai datori di lavoro alla figlia negli anni di imposta 2010-2011-2012.

7) - L’Agenzia delle Entrate con nota del 6 novembre 2013 ha respinto l’istanza, affermando che la stessa avrebbe potuto essere accolta solo “a seguito dell’instaurazione di un procedimento giudiziario e sulla base di richiesta dell’Autorità adita”.

IL TAR chiarisce:

8) - I modelli 770 sono in effetti dichiarazioni di soggetti privati, o di amministrazioni che agiscono come datori di lavoro, tuttavia diventano documenti amministrativi nel momento in cui sono acquisiti alla banca dati fiscale. L’acquisizione determina il passaggio di tali documenti dalla sfera privata del rapporto di lavoro alla sfera pubblica del controllo sull’adempimento delle obbligazioni tributarie.

9) - Una volta entrate nella sfera pubblica, le informazioni contenute nelle dichiarazioni inviate all’Agenzia delle Entrate sono trattate per finalità pubblicistiche di natura tributaria, e dunque non sono più nella disponibilità dei soggetti tra cui è intercorso il rapporto di lavoro. Ne consegue che i documenti contenenti i dati fiscali possono essere oggetto di accesso da parte di terzi, quando questi ultimi dimostrino di avere un interesse prevalente rispetto al diritto alla riservatezza delle parti del sottostante rapporto di lavoro.

10) - Rispetto a tale forma di accesso l’unico contraddittore è l’amministrazione tributaria, e non sussistono controinteressati da coinvolgere necessariamente nella procedura.

Ricorso Accolto.

Il resto leggetelo x completezza qui sotto.
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20/05/2014 201400535 Sentenza 1


N. 00535/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01170/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1170 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. W. M., con domicilio presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE - UFFICIO TERRITORIALE DI BRESCIA 2, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Brescia, via S. Caterina 6;

nei confronti di
OMISSIS, non costituitasi in giudizio;

per l'accesso
- ai documenti chiesti con nota inviata il 4 ottobre 2013 (certificazioni dei redditi erogati a OMISSIS, figlia del ricorrente, relativamente agli anni di imposta 2010-2011-2012);

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate - Ufficio Territoriale di Brescia 2;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2014 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale di Brescia con sentenza non definitiva del 18 ottobre 2001 ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio nei confronti dell’attuale ricorrente e della moglie . Dal matrimonio sono nati tre figli, tra cui la controinteressata OMISSIS, che attualmente risiede con la madre.

2. Con sentenza definitiva del 23 giugno 2003 il Tribunale di Brescia ha condannato il ricorrente a versare alla ex moglie, oltre all’assegno divorzile, un assegno mensile di € 700 (con clausola di rivalutazione automatica) a titolo di concorso nel mantenimento dei figli.

3. In sede di revisione delle condizioni di divorzio, il Tribunale di Brescia con decreto del 26 maggio 2006 ha ridotto l’assegno di mantenimento dei figli a € 400 (con clausola di rivalutazione automatica). L’obbligo di mantenimento è stato limitato alla sola controinteressata, maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, in quanto i due figli più grandi erano ormai economicamente autonomi. Con un ulteriore decreto del 16 settembre 2009 il Tribunale ha disposto che una parte del predetto assegno fosse versata dal ricorrente direttamente alla figlia e la restante parte ancora alla ex moglie. Oltre a questo era ribadito l’obbligo per il ricorrente di corrispondere alla ex moglie il 50% delle spese straordinarie (mediche e scolastiche) relative alla figlia.

4. Infine, con decreto del 20 aprile 2012, il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda del ricorrente diretta a ottenere la cessazione dell’obbligo di mantenimento della figlia e la revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie. Il ricorrente aveva evidenziato che la figlia, laureatasi a pieni voti nel 2010 in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie, aveva intrapreso una carriera professionale corrispondente al proprio percorso formativo prestando attività lavorativa presso una OMISSIS. A sostegno di questa affermazione il ricorrente aveva prodotto il rapporto di un’agenzia investigativa e il curriculum vitae predisposto dalla figlia. Il Tribunale ha però ritenuto insufficienti queste prove, in quanto dalle stesse, e in particolare dal rapporto investigativo, si poteva desumere soltanto la frequentazione dei due centri ma non il reddito eventualmente percepito.

5. Allo scopo di procurarsi una prova certa dei redditi della figlia, in vista della riproposizione della domanda di revisione delle condizioni di divorzio, il ricorrente in data 4 ottobre 2013 ha chiesto all’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) copia delle certificazioni o dichiarazioni dei redditi erogati dai datori di lavoro alla figlia negli anni di imposta 2010-2011-2012.

6. L’Agenzia delle Entrate con nota del 6 novembre 2013 ha respinto l’istanza, affermando che la stessa avrebbe potuto essere accolta solo “a seguito dell’instaurazione di un procedimento giudiziario e sulla base di richiesta dell’Autorità adita”.

7. Di fronte al diniego il ricorrente ha esercitato l’azione di accesso ex art. 116 cpa con atto notificato il 10 dicembre 2013 e depositato il 20 dicembre 2013.

8. L’amministrazione tributaria si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. In particolare, nella memoria depositata il 14 febbraio 2014 l’amministrazione afferma che la controinteressata non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi, e che nella banca dati sono presenti solo le informazioni ricavabili dai modelli 770 presentati dai datori di lavoro, atti privati e quindi non ostensibili.

9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni.

Qualificazione dei documenti richiesti
10. L’istanza di accesso riguarda tutti i documenti detenuti presso l’Agenzia delle Entrate, dai quali si possano desumere i redditi percepiti dalla figlia del ricorrente negli anni di imposta 2010-2011-2012. Benché i modelli 770 presentati dai datori di lavoro non siano nominati in modo esplicito, si deve ritenere sul piano logico che l’istanza di accesso si estenda anche a questi documenti, nei quali sono esposti, tra gli altri dati fiscali, i redditi da lavoro dipendente e quelli equiparati e assimilati, compresi i compensi per prestazioni coordinate e continuative.

11. I modelli 770 sono in effetti dichiarazioni di soggetti privati, o di amministrazioni che agiscono come datori di lavoro, tuttavia diventano documenti amministrativi nel momento in cui sono acquisiti alla banca dati fiscale. L’acquisizione determina il passaggio di tali documenti dalla sfera privata del rapporto di lavoro alla sfera pubblica del controllo sull’adempimento delle obbligazioni tributarie.

12. Una volta entrate nella sfera pubblica, le informazioni contenute nelle dichiarazioni inviate all’Agenzia delle Entrate sono trattate per finalità pubblicistiche di natura tributaria, e dunque non sono più nella disponibilità dei soggetti tra cui è intercorso il rapporto di lavoro. Ne consegue che i documenti contenenti i dati fiscali possono essere oggetto di accesso da parte di terzi, quando questi ultimi dimostrino di avere un interesse prevalente rispetto al diritto alla riservatezza delle parti del sottostante rapporto di lavoro.

Rispetto a tale forma di accesso l’unico contraddittore è l’amministrazione tributaria, e non sussistono controinteressati da coinvolgere necessariamente nella procedura.

Profili processuali
13. L’amministrazione tributaria ha negato l’accesso affermando che la relativa istanza doveva essere formulata nell’ambito di una lite pendente e sottoposta al vaglio del giudice. Questa tesi non può essere condivisa. Il diritto di accesso ha un rilievo autonomo rispetto alla controversia di merito che potrebbe trovare fondamento negli atti acquisiti, e dunque deve essere soddisfatto direttamente dall’amministrazione detentrice dei documenti.

14. In ogni caso, il diritto di accesso non può essere subordinato all’avvio di una controversia sulla pretesa di merito, al fine di provocare l’ordine del giudice rivolto a un terzo o a una pubblica amministrazione per l’esibizione di documenti ex art. 210-213 cpc. Non sarebbe infatti ragionevole, né coerente con il principio di proporzionalità, e neppure rispettoso del principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost., esigere che il diritto di accesso sia esercitato in prima battuta attraverso la via giurisdizionale e attivando la controversia di merito (in definitiva con uno scopo esplorativo). La sequenza corretta è invece la seguente:
(a) rilascio del documento da parte dell’amministrazione detentrice, una volta esclusa la presenza di dati sensibili;
(b) utilizzo del rimedio giurisdizionale diretto e ordinario ex art. 116 cpa;
(c) avvio eventuale della causa di merito, con richiesta di emissione di un ordine di esibizione da parte del giudice.

Profili sostanziali
15. Sul piano sostanziale, l’amministrazione non può qualificare discrezionalmente un’intera serie di documenti come avente natura sensibile, né come espressione del segreto professionale.

16. Per quanto riguarda il primo aspetto, il carattere sensibile di un’informazione deve essere ricondotto alle categorie previste espressamente dall’art. 4 comma 1-d del Dlgs. 30 giugno 2003 n. 196. Occorre quindi un esame in concreto dei singoli documenti. Se effettivamente un documento contenesse un’informazione di natura sensibile, sarebbe sufficiente la schermatura del singolo dato, salva la possibilità per chi ha chiesto l’accesso di dimostrare di essere titolare di un pariordinato interesse a conoscere anche quella specifica informazione.

17. Per quanto riguarda il secondo aspetto, anche ammettendo che i dati sulla retribuzione siano coperti da una forma di riservatezza paragonabile al segreto professionale, l’accesso dei terzi non potrebbe essere escluso in via preventiva per questo motivo. In realtà, anche a fronte della generica eccezione di segreto professionale (ossia quando non risultino coinvolti dati sensibili) il diritto di accesso risulta comunque prevalente, una volta che si accerti la necessità di disporre della documentazione per la difesa in giudizio, o per altro apprezzabile interesse.

18. Nel caso in esame, come risulta con evidenza dalla ricostruzione delle vicende processuali effettuata sopra, la conoscenza dell’esatta situazione reddituale della figlia è l’unico strumento a disposizione del ricorrente per ottenere la revisione delle condizioni di divorzio, e in particolare la cancellazione dell’obbligo di mantenimento. I documenti chiesti all’Agenzia delle Entrate sono quindi necessari per garantire il diritto di difesa, il che costituisce un interesse qualificato ai fini dell’accesso.

Conclusioni
19. Vista la fondatezza dell’istanza di accesso, il ricorso deve essere accolto. Tutte le informazioni rilevanti per l’interesse del ricorrente sembrano avere natura economica, e pertanto non ricadono nella categoria dei dati sensibili. Peraltro, qualora nei documenti richiesti vi fossero anche dati sensibili, qualificabili come tali in base alla rigorosa definizione legislativa, diventerebbe necessaria (e sufficiente) la schermatura selettiva delle singole informazioni.

20. Ferma restando quest’ultima precisazione, l’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) è tenuta a fornire copia della documentazione oggetto della richiesta del ricorrente, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza.

21. Le spese di lite seguono la soccombenza e possono essere liquidate in € 1.500 oltre agli oneri di legge.

Il contributo unificato è a carico della parte soccombente ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando:

(a) accoglie il ricorso come precisato in motivazione, e conseguentemente ordina all’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) di fornire copia della documentazione oggetto dell’istanza di accesso del ricorrente, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza;

(b) condanna l’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) al pagamento delle spese di lite, che sono liquidate in € 1.500 oltre agli oneri di legge;

(c) pone a carico dell’Agenzia delle Entrate (Ufficio Territoriale di Brescia 2) l’onere del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Mosconi, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 20/05/2014
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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diniego di accesso ad atti detenuti dall’amministrazione.
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1) - Il Comando ha opposto un diniego, ed il carabiniere è ricorso al TAR. Ha fatto inoltre domanda di accesso al fine di verificare la situazione degli organici nei Comandi di appartenenza e di invocata destinazione, nonché i motivi per i quali alcuni dei colleghi erano stati trasferiti, prima e dopo. Il Comando ha denegato l’ostensione ritenendola inibita dall’art. 1049 del dPR 90/2010 (atti riguardanti la struttura ordinativa e dotazioni organiche di personale, mezzi, armamento….dell’Arma dei carabinieri).

2) - Il TAR ha accolto il ricorso, in relazione agli atti di natura organizzativa, ritenendo sussistere ineludibili esigenze di difesa del ricorrente; lo ha dichiarato invece inammissibile per gli atti riguardanti il trasferimento di altri militari in quanto non notificato ai controinteressati.

3) - Avverso la sentenza ha proposto appello l’amministrazione. Gli atti sarebbero riservati ex art. 1049 dPR 90/2010, e comunque non utili alla difesa in giudizio del ricorrente attesa la discrezionalità che connota i trasferimenti.

IL CONSIGLIO DI STATO scrive:

4) - L’appello principale è solo in parte fondato, nei limiti di cui si dirà.

5) - Priva di fondamento è la censura in ordine alla violazione dell’art. 1049 comma 2 lett. b) del dPR 90/2010. E’ vero che la norma sottrae all’accesso per 50 anni “ .........”, tuttavia, ciò fa in dichiarata applicazione dell’art. 24 della legge 241/90. E’ quindi a tale fonte che occorre guardare per comprendere i limiti entro i quali la deroga opera: essa consente al Governo di prevedere casi di sottrazione al diritto di accesso in relazione (per quanto qui rileva) all’interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico, della prevenzione e repressione della criminalità, ma ha cura di specificare che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (art. 24 comma 7).

6) - Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle alla difesa degli interessi dell’istante, ove i documenti risultino perciò necessari.

7) - Non v’è dubbio che, nel caso di specie, le tabelle degli organici fossero necessarie a contestare efficacemente, nella sede giurisdizionale amministrativa (presso la quale già all’epoca della domanda pendeva giudizio), il diniego opposto dall’amministrazione alla domanda di ricongiungimento.

8) - A motivo di ciò, nel caso di specie, pur dovendosi affermare il diritto del militare ad ottenere accesso alla documentazione richiesta, deve nondimeno individuarsi, quale modalità idonea ad assicurare il predetto contemperamento, la sola visione del documento senza il rilascio di copie.

9) - Le copie, in quando riproducibili e divulgabili, potrebbero infatti arrecare grave nocumento agli interessi pubblici tutelati dall’amministrazione (incolumità, sicurezza), senza al contempo garantire all’istante un’utilità ulteriore, necessaria in chiave difensiva, rispetto a quanto già assicurato dalla conoscenza del dato e dalla sua valorizzabilità in giudizio.

10) - E’ solo in tali ristretti limiti che l’appello dell’amministrazione può essere accolto.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l’effetto, in riforma della sentenza di prime cure, ordina all’amministrazione di consentire l’accesso nelle sole forme della visione.

Il resto leggetelo direttamente qui sotto.

N.B.: sentenza 1 a 1.
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03/09/2014 201404493 Sentenza 4


N. 04493/2014REG.PROV.COLL.
N. 01208/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2014, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Girolamo Rubino, con domicilio eletto presso Francesco Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski, 118;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 01077/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di accesso ad atti detenuti dall’amministrazione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Fabrizio Paoletti (su delega di Girolamo Rubino) e l'avv. dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il sig. OMISSIS è un carabiniere in servizio presso la Compagnia di Vibo Valentia che ha chiesto di essere trasferito in Sicilia ai fini di un ricongiungimento al coniuge lavoratore. Il Comando ha opposto un diniego, ed il carabiniere è ricorso al TAR. Ha fatto inoltre domanda di accesso al fine di verificare la situazione degli organici nei Comandi di appartenenza e di invocata destinazione, nonché i motivi per i quali alcuni dei colleghi erano stati trasferiti, prima e dopo. Il Comando ha denegato l’ostensione ritenendola inibita dall’art. 1049 del dPR 90/2010 (atti riguardanti la struttura ordinativa e dotazioni organiche di personale, mezzi, armamento….dell’Arma dei carabinieri).

Il TAR ha accolto il ricorso, in relazione agli atti di natura organizzativa, ritenendo sussistere ineludibili esigenze di difesa del ricorrente; lo ha dichiarato invece inammissibile per gli atti riguardanti il trasferimento di altri militari in quanto non notificato ai controinteressati.

Avverso la sentenza ha proposto appello l’amministrazione. Gli atti sarebbero riservati ex art. 1049 dPR 90/2010, e comunque non utili alla difesa in giudizio del ricorrente attesa la discrezionalità che connota i trasferimenti.

Ha inoltre proposto appello incidentale il sig. OMISSIS. La mancata notifica ai controinteressati sarebbe proprio l’effetto del mancato riscontro dell’istanza di accesso, nella parte in cui con essa si chiedeva copia dei documenti contenenti indicazioni sull’attuale residenza degli stessi, talché ad impossibilia nemo tenetur.

In sede cautelare, il Collegio ha ritenuto non sussistenti i presupposti per un inibitoria della provvisoria efficacia della sentenza gravata, sicché, nelle more della decisione l’amministrazione ha consentito l’accesso, seppur nelle forme della sola visione.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 10 giugno 2014.

L’appello principale è solo in parte fondato, nei limiti di cui si dirà.

Priva di fondamento è la censura in ordine alla violazione dell’art. 1049 comma 2 lett. b) del dPR 90/2010.

E’ vero che la norma sottrae all’accesso per 50 anni “i documenti concernenti la struttura ordinativa e dotazioni organiche di personale, mezzi, armamento, e munizionamento tecnico dei reparti dell'Arma dei carabinieri, con riferimento alla concreta utilizzazione dei mezzi, dell'armamento e munizionamento tecnico e alla dislocazione delle dotazioni organiche”, tuttavia, ciò fa in dichiarata applicazione dell’art. 24 della legge 241/90. E’ quindi a tale fonte che occorre guardare per comprendere i limiti entro i quali la deroga opera: essa consente al Governo di prevedere casi di sottrazione al diritto di accesso in relazione (per quanto qui rileva) all’interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico, della prevenzione e repressione della criminalità, ma ha cura di specificare che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (art. 24 comma 7).

Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle alla difesa degli interessi dell’istante, ove i documenti risultino perciò necessari.

Non v’è dubbio che, nel caso di specie, le tabelle degli organici fossero necessarie a contestare efficacemente, nella sede giurisdizionale amministrativa (presso la quale già all’epoca della domanda pendeva giudizio), il diniego opposto dall’amministrazione alla domanda di ricongiungimento.

Il Giudice dell’accesso, ovviamente, non può che compiere una valutazione in astratto della necessità difensiva evidenziata, e della pertinenza del documento, non potendo giungere sino a sindacare – come perorato dall’appellante - la concreta utilità della documentazione ai fini della vittoriosa conclusione di quel giudizio.

Piuttosto, ed in questo si coglie un profilo di fondamento dell’appello principale, la tendenziale segretezza della documentazione deve essere contemperata con le esigenze di difesa, operando, ove ragionevolmente possibile, sulle modalità dell’ostensione (apposizione di omissis, visione senza rilascio di copia, etc.).

A motivo di ciò, nel caso di specie, pur dovendosi affermare il diritto del militare ad ottenere accesso alla documentazione richiesta, deve nondimeno individuarsi, quale modalità idonea ad assicurare il predetto contemperamento, la sola visione del documento senza il rilascio di copie. Le copie, in quando riproducibili e divulgabili, potrebbero infatti arrecare grave nocumento agli interessi pubblici tutelati dall’amministrazione (incolumità, sicurezza), senza al contempo garantire all’istante un’utilità ulteriore, necessaria in chiave difensiva, rispetto a quanto già assicurato dalla conoscenza del dato e dalla sua valorizzabilità in giudizio.

E’ solo in tali ristretti limiti che l’appello dell’amministrazione può essere accolto.

Del tutto infondato è invece l’appello incidentale. Non v’è dubbio che il ricorso per l’accesso, in ordine ad atti per i quali emerge la possibile lesione della sfera di riservatezza di terzi, debba essere notificato a questi ultimi. Nel caso di specie non lo è stato, e non certo in ragione del rifiuto dell’amministrazione di ostendere copia della documentazione anagrafica dei terzi. Evidentemente l’indirizzo ai fini della notifica avrebbe potuto essere semplicemente richiesto all’amministrazione, senza l’intermediazione di una, invero ultronea ed artificiosa, richiesta di accesso.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla peculiarità della questione, le spese possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l’effetto, in riforma della sentenza di prime cure, ordina all’amministrazione di consentire l’accesso nelle sole forme della visione.

Definitivamente provvedendo sull’appello incidentale, lo respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Michele Corradino, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/09/2014
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

Messaggio da panorama »

Bella sentenza del CdS
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Diritto del dipendente sapere chi parla male di lui al datore

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Va mostrata al dipendente la mail privata del collega che sparla di lui col capo in vista del conferimento di un incarico: è in gioco la sua carriera e questi, pertanto, deve poter ottenere copia del documento in modo da agire davanti al giudice. Non c’è dunque alcuna segretezza sui documenti presentati da terzi, neanche se costoro chiedono il massimo riserbo sulla segnalazione fatta al datore: ciò perché, laddove si tratti di esercitare un proprio diritto alla difesa giudiziaria, non c’è privacy che tenga.

L’accesso al documento non può essere negato al lavoratore che ne faccia richiesta all’azienda al fine di difendersi in tribunale per tutelare la propria immagine professionale qualora intenda contestare la decisione che pregiudica la sua carriera a causa di segnalazioni da parte dei colleghi: il suo datore deve tirare fuori tutti verbali del consiglio di amministrazione, compreso il testo dell’email e il nome di chi l’ha inviata. L’azienda non si può trincerare di fronte alla considerazione che si tratterebbe di corrispondenza privata.
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I FATTI

Un dipendente, con il ruolo di responsabile amministrativo, dopo sette anni di fedele attività prestata in favore dell’azienda, non veniva più confermato nella sua posizione per via delle rimostranze di alcuni lavoratori, i quali avevano segnalato all’azienda forti tensioni con il capo team. Il datore motivava tale decisione richiamando la conflittualità nell’ambiente di lavoro. Il dipendente decideva allora di ricorrere al giudice del lavoro per contestare il conferimento dell’incarico, che evidentemente era andato a un altro.

Ma il lavoratore, per provare quanto affermato in tribunale, necessitava delle segnalazioni fatte contro di lui ai vertici della struttura, indicate nel verbale del consiglio di amministrazione che aveva preso la decisione sul suo futuro. E l’azienda aveva negato tale esibizione.

Il giudice, però, ha imposto al datore l’ostensione di tutti gli atti.
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La sentenza

Seppure l’email è equiparabile alla corrispondenza privata e, come tale, essa è stretta dalla riservatezza, tutelata persino dalla Costituzione, tale vincolo cade quando è in gioco il diritto di un cittadino a far valere i propri diritti davanti al giudice. È tuttavia necessario che tale “segnalazione” scritta sia posta a base della decisione di comprimere il diritto del ricorrente (nel caso di specie, infatti, l’azienda aveva motivato la decisione richiamando proprio la suddetta email). E allora, quando il testo della mail diventa a tutti gli effetti un documento “detenuto” dell’ente, esso va anche mostrato all’interessato. Diverso sarebbe se il datore non facesse alcun riferimento alla segnalazione e giustificasse il proprio provvedimento sulla scorta di altre ragioni.

Dunque decade la natura privata dell’email che parla male dell’interessato che va richiesta di esibizione.

E, sebbene la sentenza in commento si riferisca al pubblico impiego, il principio vale anche quando il datore di lavoro non è una pubblica amministrazione. L’amministrazione, nel caso di specie, è stata condannata a mostrare all’interessato il nome del detrattore.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 6 ,numero provv.: 201501113
- Public 2015-03-05 -


N. 01113/2015REG.PROV.COLL.
N. 10517/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10517 del 2014, proposto da:
Istituto Nazionale di Astrofisica-Inaf, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato presso gli uffici di quest’ultima in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

contro
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Ingrascì, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Santa Maria dell'Anima, 39;

per la riforma
della sentenza 21 ottobre 2014, n. 10552, del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Pizzi e l’avvocato Ghera per delega dell’avvocato Ingrascì.

FATTO

1.– OMISSIS, dipendente dell’Istituto nazionale di astrofisica-INAF (d’ora innanzi anche solo INAF), con profilo di Tecnologo, già responsabile amministrativo dell’Osservatorio astrofisico di OMISSIS dal 2005 al 2012, ha presentato ricorso al Tribunale di OMISSIS, Sezione Lavoro, relativo alla procedura di conferimento del predetto incarico per l’anno 2013.

La parte, in data 15 novembre 2013, a tutela della propria immagine professionale, inoltrava all’amministrazione istanza di accesso, avente ad oggetto le richieste di intervento dei ricercatori per difficoltà di gestione amministrativa delle missioni, a cui veniva fatto riferimento nel verbale del consiglio di amministrazione del 20/21 marzo 2012, le segnalazioni al Direttore Generale sulla conflittualità tra i dipendenti dell’Osservatorio e l’istante, con particolare riferimento al contenzioso instaurato, le segnalazioni e richieste relative all’Osservatorio, sottoposte all’attenzione del consiglio di amministrazione nelle adunanze di cui al suddetto verbale.

Alla suindicata richiesta l’INAF forniva una risposta con nota del 13 dicembre 2013, rilevando come quelle indicate erano problematiche afferenti alla gestione amministrativa delle missioni, facendo, tra l’altro, richiamo alla «missiva di cui all’allegato 5», che conteneva parte del testo di una e-mail indirizzata da un soggetto non indicato al Presidente dell’Istituto.

L’interessata, non soddisfatta della predetta risposta, presentava, a tutela della propria immagine professionale, una nuova domanda di accesso, in data 16 dicembre 2013, volta al conseguimento: a) della versione integrale del menzionato allegato 5, col nominativo dell’estensore del relativo foglio, b) degli allegati a loro volta abbinati al suddetto allegato 5; c) delle eventuali note di trasmissione dell’allegato 5 ad altri soggetti; d) degli atti oggetto di discussione nelle adunanze del consiglio di amministrazione di cui al verbale del 20/21 marzo 2012; e, g) delle eventuali richieste di intervento da parte di ricercatori sulle difficoltà di gestione delle missioni; ;f, g) di altri atti e segnalazioni riferiti all’istante; h) di notizie volte a sapere se nel consiglio di amministrazione erano state mai discusse le accennate problematiche relative all’Osservatorio di OMISSIS.

Con foglio del 15 gennaio 2014 l’INAF segnalava che, oltre gli atti già trasmessi, non esistevano altri documenti relativi a segnalazioni, richieste di intervento e problematiche riferite all’Osservatorio di OMISSIS, che le discussioni e le decisioni del consiglio di amministrazione erano riportate nei verbali accessibili sul sito istituzionale dell’Istituto, che il nominativo dell’estensore della nota di cui al suddetto allegato 5 non veniva rilevato per esigenze di riservatezza.

2.– L’interessata ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio tale diniego, deducendo la violazione degli articoli 1, 2, 3, 22, comma 1d, 24, comma 7, della legge n.241 del 1990, dell’art.9, comma 1, del D.P.R. 12 aprile 2006, n.184, degli artt. 3, 24, 97, 113 Cost., nonché deducendo eccesso di potere sotto il profilo della manifesta contraddittorietà ed illogicità, del difetto di motivazione.

La ricorrente, in particolare, ha fatto presente che l’acquisizione dei suddetti atti era strumentalmente volta alla tutela della propria immagine professionale in tutte le sedi oltre che in fase di conferimento delle funzioni di responsabile amministrativo dell’Osservatorio di OMISSIS, con la conseguenza che le esigenze di riservatezza opposte in riferimento alla richiesta sub a) erano da considerarsi recessive e che non erano ben evidenziate le ragioni del diniego.

3.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 21 ottobre 2014, n. 10552, ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse in ordine alla richiesta degli atti di cui alle lettere b-h) e ha accolto il ricorso in ordine al diniego opposto all’accesso integrale, comprensivo del nominativo del mittente, del documento di cui all’allegato 5.

4.– L’Istituto ha proposto appello per le ragioni indicate nella parte in diritto.

5.– Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado chiedendo il rigetto dell’appello.

6. – La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 10 febbraio 2015.

DIRITTO

1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità del rifiuto di accesso opposto dall’Istituto Nazionale di Astrofisica in relazione al contenuto di una e-mail che un soggetto ha indirizzato al Presidente dell’Istituto al fine di segnalare alcuni episodi relativi all’attività lavorativa svolta dalla parte appellata.

2.– Con un primo motivo l’appellante deduce l’inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività, in quanto la ricorrente non avrebbe impugnato la nota del 13 dicembre 2014, con la quale l’amministrazione aveva rigettato l’istanza di accesso. In particolare, l’appellante rileva che il successivo diniego di accesso del 15 gennaio 2014 sarebbe un atto meramente confermativo del precedente e in quanto tale inidoneo a consentire la riapertura dei termini.

Il motivo non è fondato.

L’art. 116 cod. proc. amm. dispone che «Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che «il termine previsto dalla normativa per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale avverso le determinazioni dell’amministrazione sull’istanza di accesso, stabilito dall'art. 116 c. proc. amm., come già prima dall’art. 25, l. n. 241 del 1990, in trenta giorni dalla conoscenza del diniego o dalla formazione del silenzio significativo, è a pena di decadenza: di conseguenza, la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo; viceversa, quando il cittadino reiteri l’istanza di accesso in presenza di fatti nuovi non rappresentati nell’istanza originaria o prospetti in modo diverso la posizione legittimante all'accesso ovvero l' amministrazione proceda autonomamente ad una nuova valutazione della situazione, è certamente ammissibile l'impugnazione del successivo diniego, perché a questo non può attribuirsi carattere meramente confermativo del primo» (Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4912; si veda anche Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3431).

Nel caso di specie, l’amministrazione, con la nota del 13 dicembre 2014, ha fatto riferimento, per la prima volta, alla missiva di cui all’allegato 5 di cui non ha però consentito l’integrale visione comprensiva del nominativo del mittente. A fronte di tale nota la parte ha pertanto formulato una nuova richiesta di accesso in data 16 dicembre 2013 alla quale l’Istituto ha risposto con l’atto impugnato.

E’ evidente, pertanto, che si è in presenza dei presupposti – novità degli elementi prospettati cui si unisce anche una risposta espressa da parte dell’amministrazione – che la giurisprudenza amministrativa, sopra riportata, ha individuato al fine di ritenere ammissibile la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il nuovo atto di rigetto della richiesta di accesso.

3.– Con il secondo motivo si deduce l’erroneità della sentenza per avere consentito l’accesso al contenuto di una corrispondenza privata come risulterebbe dalle circostanza che l’e-mail: i) sarebbe stata inviata all’indirizzo personale del Presidente e all’indirizzo istituzionale ad accesso esclusivo del Presidente stesso; ii) non sarebbe stata protocollata; iii) avrebbe un “tono confidenziale”.

Con il terzo motivo, connesso a quello appena esposto, si rileva come non si tratterebbero di un documento amministrativo suscettibile di accesso, non trattandosi di atti concernenti attività di interesse pubblico.

I motivi non sono fondati.

L’art. 22, lettera d), della legge n. 241 del 1990 prevede che per «documento amministrativo» si intende «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».

L’art. 24, comma 7, della stessa legge dispone che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici». La norma aggiunge che nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e, in presenza di situazioni giuridiche di pari rango, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Nel caso di specie entrambe le norme, contrariamente a questo sostenuto dalla difesa dell’amministrazione appellante, sono state violate.

In relazione alla natura di documento, il contenuto dell’e-mail non può ritenersi corrispondenza privata in quanto il Presidente ha provveduto a rendere edotti gli uffici dell’amministrazione dell’esistenza di tale informativa. Così facendo ha reso egli stesso di rilevanza pubblica il documento. Non è un caso che la parte privata è venuta a conoscenza dell’esistenza dell’e-mail perché il responsabile del procedimento, nell’atto di diniego dell’accesso, ha fatto ad essa riferimento mediante il rinvio all’«allegato 5». Si trattava dunque di un documento ormai detenuto dall’amministrazione. La tesi dell’appellante sarebbe stata corretta se il Presidente avesse mantenuto in “forma privata” la corrispondenza ricevuta, assegnandole valenza non rilevante ai fini dell’attività istituzionale dell’ente.

In definitiva, deve ritenersi che, per le ragioni esposte, la particolarità della fattispecie concreta assegna valenza di documento all’e-mail inviata al Presidente dell’Istituto.

In relazione alla esigenza di tutela della riservatezza dell’autore dell’e-mail, la parte appellata ha dimostrato che la conoscenza del suo contenuto e del nome del mittente è necessaria ai fini sia della difesa nell’ambito del giudizio relativo al conferimento dell’incarico sia, soprattutto, per potere agire in giudizio ai fini della tutela del proprio onore e della propria reputazione professionale.

4.– La particola natura della controversia e la sua specificità, in assenza di precedenti giurisprudenziali rilevanti, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese anche del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 05/03/2015
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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ORDINANZA N. 92
ANNO 2015


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), promosso dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, nel procedimento vertente tra R. G. e la Regione siciliana - Fondo pensioni Sicilia, con ordinanza del 9 settembre 2014, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Daria de Pretis.

Ritenuto che, con ordinanza del 9 settembre 2014, la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione;

che la questione, così prospettata, è stata sollevata in un processo avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’atto con cui la Direzione regionale servizi di quiescenza della Regione siciliana - Fondo pensioni Sicilia ha comunicato ad una pensionata l’avvio di un procedimento di recupero, sui ratei della pensione percepita, di somme indebitamente erogate, e che nel giudizio la ricorrente lamentava l’impossibilità di comprendere le ragioni di fatto e di diritto della disposta ripetizione e di aver percepito tali somme in buona fede;

che il giudice a quo, sul presupposto che l’amministrazione regionale avrebbe fornito, con la memoria di costituzione in giudizio, motivazioni integrative della impugnata comunicazione, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, secondo comma, primo periodo, della legge n. 241 del 1990, nella misura in cui tale disposizione consente l’integrazione in sede processuale della motivazione del provvedimento amministrativo anche dopo un rilevante periodo di tempo;

che, secondo la remittente, la norma si porrebbe in contrasto: con gli artt. 24, 97 e 113 Cost., costituendo, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, un corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, in quanto consente al destinatario del provvedimento che ritenga lesa una propria situazione giuridica di far valere la relativa tutela giurisdizionale, senza che assuma alcuna rilevanza al riguardo la natura discrezionale o vincolata dell’atto; con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma contravverrebbe i principi dell’ordinamento comunitario come interpretati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale avrebbe sempre affermato l’impossibilità di integrare la motivazione di un provvedimento amministrativo nel corso del processo; con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che ne conseguirebbe, in termini di tutela giurisdizionale, tra atti derivati dalla normativa comunitaria e atti esclusivamente interni; con il principio della separazione dei poteri, in quanto consentirebbe al giudice di sostituirsi all’amministrazione integrando la motivazione dell’atto;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;

che nel suo intervento il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in punto di rilevanza, che le regole sul procedimento amministrativo sarebbero inapplicabili a fattispecie come quella in esame, riguardanti un’attività paritetica nell’ambito della quale la consistenza della posizione soggettiva azionata è di diritto soggettivo;

che la fattispecie in esame prescinderebbe comunque dall’applicazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, in quanto l’obbligo di motivazione non potrebbe ritenersi violato quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della sua parte dispositiva e si verta in ipotesi di attività vincolata;

che per gli atti vincolati la motivazione non corrisponderebbe alla logica, fatta propria anche dall’art. 296 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), di esplicitare l’iter formativo e le ragioni della scelta discrezionale, ma si limiterebbe a indicare i presupposti fattuali e le norme di riferimento;

che, anche se si volesse ritenere che la fattispecie in esame va valutata alla luce dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, la questione prospettata risulterebbe comunque infondata, in quanto il meccanismo dettato dalla norma non altera in alcun modo il diritto di difesa, né arreca un pregiudizio alle ragioni sostanziali del ricorrente, collegandosi invece alla carenza di interesse del ricorrente stesso a ottenere l’annullamento di un atto che l’amministrazione potrebbe successivamente reiterare con identico contenuto.

Considerato che, con ordinanza del 9 settembre 2014, la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, nella misura in cui tale disposizione consente l’integrazione in sede processuale della motivazione del provvedimento amministrativo;

che, secondo la rimettente, la norma si porrebbe in contrasto: con gli artt. 24, 97 e 113 Cost., costituendo, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, un corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione, in quanto consente al destinatario del provvedimento che ritenga lesa una propria situazione giuridica di far valere la relativa tutela giurisdizionale, senza che assuma alcuna rilevanza al riguardo la natura discrezionale o vincolata dell’atto; con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma contravverrebbe i principi dell’ordinamento comunitario come interpretati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale avrebbe sempre affermato l’impossibilità di integrare la motivazione di un provvedimento amministrativo nel corso del processo; con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che ne conseguirebbe, in termini di tutela giurisdizionale, tra atti derivati dalla normativa comunitaria e atti esclusivamente interni; con il principio della separazione dei poteri, in quanto consentirebbe al giudice di sostituirsi all’amministrazione integrando la motivazione dell’atto;

che l’ordinanza di rimessione muove da una incompleta ricostruzione del quadro giurisprudenziale;

che, difatti, secondo l’indirizzo formatosi in materia di giudizio pensionistico, «dalla natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo, preordinato all’accertamento, alla liquidazione e all’adempimento della prestazione pensionistica in favore dell’assicurato deriva che l’inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole proprie di questo procedimento, come, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza non dispiega incidenza alcuna sul rapporto obbligatorio avente ad oggetto quella prestazione», cosicché l’istante «non può, in difetto dei fatti costitutivi della relativa obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale rinvenendone la causa in disfunzioni procedimentali addebitabili all’Istituto», ferma restando l’eventuale rilevanza a fini diversi di queste violazioni, come ad esempio, ove ne ricorrano i presupposti, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno che ne sia derivato (ex plurimis, Corte di cassazione civile - sezione lavoro, sentenze 30 settembre 2014, n. 20604; 29 aprile 2009, n. 9986; 24 febbraio 2003, n. 2804);

che la stessa giurisprudenza contabile, sul presupposto che il giudizio pensionistico, ancorché promosso formalmente con ricorso contro un atto della pubblica amministrazione, ha per oggetto il completo riesame del rapporto obbligatorio di quiescenza nella sua globalità (così come individuato e delimitato dall’istanza pensionistica nella previa sede amministrativa e, poi, dalla domanda giudiziale), ha affermato che non sono dirimenti le censure formali, includendo in esse anche quelle relative alla illegittimità del provvedimento per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (Corte dei conti - sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, 14 maggio 2008, n. 167; sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, 26 giugno 2002, n. 206; sezione giurisdizionale per la Regione Veneto 18 marzo 2009, n. 229);

che la rimettente non spiega se e come ritiene superabile l’impostazione giurisprudenziale che esclude l’incidenza delle violazioni procedimentali (o di altre regole derivanti dalla legge n. 241 del 1990) sul rapporto obbligatorio di fonte legale, avente ad oggetto prestazioni pensionistiche;

che l’assenza di argomentazioni su tale profilo preclude ogni verifica in ordine alla rilevanza della questione prospettata, comportandone l’inammissibilità;

che, anche qualora si ritenesse la norma impugnata applicabile nel tipo di contenzioso in esame, la rimettente non prende in considerazione il fatto che, secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa, «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (ex multis, Consiglio di Stato - sezione terza, 7 aprile 2014, n. 1629; sezione sesta, 22 settembre 2014, n. 4770; sezione terza, 30 aprile 2014, n. 2247; sezione quinta, 27 marzo 2013, n. 1808);

che, dunque, la rimettente si è sottratta al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, in applicazione del principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme ai parametri costituzionali invocati (sentenza n. 77 del 2007; ordinanze n. 102 del 2012, n. 212, n. 103, n. 101 e n. 15 del 2011, n. 322, n. 192 e n. 110 del 2010, n. 257 del 2009 e n. 363 del 2008);

che la questione appare altresì diretta non a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma a ricevere dalla Corte un improprio avallo a una determinata interpretazione della norma censurata (rimessa al giudice di merito), operazione, questa, tanto più inammissibile in presenza di indirizzi giurisprudenziali non del tutto stabilizzati (sentenza n. 242 del 2008; ordinanze n. 297 del 2007, n. 114 del 2006, n. 211 del 2005 e n. 142 del 2004);

che, in definitiva, la questione sollevata è manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, per mancato esperimento del tentativo d’interpretazione conforme a Costituzione, nonché per l’uso improprio dello strumento del vaglio di costituzionalità per avallare una certa interpretazione della norma censurata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.

F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2015.
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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Il CdS bacchetta l'Amministrazione della Difesa.
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diniego accesso ai documenti comprovanti il numero di ufficiali del corpo sanitario in s.p.e.
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1) - l’amministrazione di appartenenza gli ha negato il beneficio della proroga ex art. 729, comma 2, del D.P.R. n. 90 del 2010, per completare il corso di studi universitari in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di OMISSIS, deducendo, tra l’altro, l’illogicità del gravato diniego, derivante dalle asserite carenze esistenti nel ruolo degli ufficiali medici.

2) - Al fine di poterla utilizzare nel detto giudizio, il sig. OMISSIS ha, quindi, chiesto (istanze del 7 luglio 2014 e del 16 settembre 2014) al Ministero della Difesa di poter accedere, tra l’altro, alla documentazione comprovante il numero degli ufficiali del Corpo Sanitario s.p.e. R.N. in servizio nei ruoli della Marina Militare alla data della richiesta.

3) - L’amministrazione ha, però, negato l’ostensione, rilevando che, trattandosi di dati riportati nelle tabelle ordinative/organiche, essi sarebbero sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 1048, comma 1, lett. r) del D.P.R. n. 90/2010.

4) - Il diniego è stato impugnato dal sig. OMISSIS di fronte al TAR Lazio – Roma, il quale, con sentenza n. 777/2015, ha, però, respinto il gravame, condividendo le ragioni ostative poste a base del pronunciamento negativo.

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

5) - E’ fondata la censura con cui l’appellante deduce la violazione degli artt. 24, commi 3 e 7, della L. 7/8/1990 n. 241 e 1048, comma 1, lett. r), del D.P.R. 15/3/2010 n. 90.

6) - Il citato art. 1048 sottrae all’accesso, per 50 anni, le “tabelle ordinative organiche” (comma 1 lett. r); tuttavia, ciò fa in dichiarata applicazione dell’art. 24 della legge 241/90. E’ quindi a tale ultima norma che occorre guardare per fissare i limiti entro i quali la deroga opera.

7) - Essa consente al Governo di prevedere casi di sottrazione al diritto di accesso in relazione (per quanto qui rileva) all’interesse alla salvaguardia della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali, ma ha cura di specificare che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (art. 24 comma 7).

8) - Come recentemente affermato da questa Sezione, <<Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle concernenti la difesa degli interessi dell’istante, ove i documenti risultino perciò necessari.

9) - Orbene, non v’è dubbio che, nel caso di specie, i dati richiesti siano necessari (salvo il merito della futura ipotizzabile censura, come detto appresso) al fine di dimostrare la sussistenza degli elementi di fatto, addotti a sostegno del motivo di illogicità del provvedimento impugnato davanti al TAR Toscana.

10) - Piuttosto, la tendenziale segretezza della documentazione deve essere contemperata con le esigenze di difesa, operando, ove ragionevolmente possibile, sulle modalità dell’ostensione (apposizione di omissis, visione senza rilascio di copia, etc.).

11) - A motivo di ciò, il Collegio, uniformandosi ad una recente pronuncia della Sezione, ritiene che nella fattispecie, <<pur dovendosi affermare il diritto del militare ad ottenere accesso alla documentazione richiesta, deve nondimeno individuarsi, quale modalità idonea ad assicurare il predetto contemperamento, la sola visione del documento senza il rilascio di copie. Le copie, in quando riproducibili e divulgabili, potrebbero infatti arrecare grave nocumento agli interessi pubblici tutelati dall’amministrazione, senza al contempo garantire all’istante un’utilità ulteriore, necessaria in chiave difensiva, rispetto a quanto già assicurato dalla conoscenza del dato e dalla sua valorizzabilità in giudizio>> (Cons. Stato, Sez. IV, 3/9/2014 n. 4493).

Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201503991
- Public 2015-08-26 -


N. 03991/2015REG.PROV.COLL.
N. 01643/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1643 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Carlo Parente e Stefano Monti, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, via Emilia n. 81;

contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è legalmente domiciliato;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I BIS, n. 777/2015, resa tra le parti, concernente diniego accesso ai documenti comprovanti il numero di ufficiali del corpo sanitario in s.p.e.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 il Cons. Alessandro Maggio e udito per la parte l’avvocato Parente.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il sig. OMISSIS, ufficiale del Corpo Sanitario in servizio permanente della Marina Militare Italiana, ha impugnato, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, il provvedimento con cui l’amministrazione di appartenenza gli ha negato il beneficio della proroga ex art. 729, comma 2, del D.P.R. n. 90 del 2010, per completare il corso di studi universitari in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di OMISSIS, deducendo, tra l’altro, l’illogicità del gravato diniego, derivante dalle asserite carenze esistenti nel ruolo degli ufficiali medici.

Al fine di poterla utilizzare nel detto giudizio, il sig. OMISSIS ha, quindi, chiesto (istanze del 7 luglio 2014 e del 16 settembre 2014) al Ministero della Difesa di poter accedere, tra l’altro, alla documentazione comprovante il numero degli ufficiali del Corpo Sanitario s.p.e. R.N. in servizio nei ruoli della Marina Militare alla data della richiesta.

L’amministrazione ha, però, negato l’ostensione, rilevando che, trattandosi di dati riportati nelle tabelle ordinative/organiche, essi sarebbero sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 1048, comma 1, lett. r) del D.P.R. n. 90/2010.

Il diniego è stato impugnato dal sig. OMISSIS di fronte al TAR Lazio – Roma, il quale, con sentenza n. 777/2015, ha, però, respinto il gravame, condividendo le ragioni ostative poste a base del pronunciamento negativo.

Avverso la sentenza il sig. OMISSIS ha proposto appello chiedendone la riforma.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del gravame.

Alla camera di consiglio del 2/7/2015, la causa è passata in decisione.

E’ fondata la censura con cui l’appellante deduce la violazione degli artt. 24, commi 3 e 7, della L. 7/8/1990 n. 241 e 1048, comma 1, lett. r), del D.P.R. 15/3/2010 n. 90.

Il citato art. 1048 sottrae all’accesso, per 50 anni, le “tabelle ordinative organiche” (comma 1 lett. r); tuttavia, ciò fa in dichiarata applicazione dell’art. 24 della legge 241/90. E’ quindi a tale ultima norma che occorre guardare per fissare i limiti entro i quali la deroga opera.

Essa consente al Governo di prevedere casi di sottrazione al diritto di accesso in relazione (per quanto qui rileva) all’interesse alla salvaguardia della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali, ma ha cura di specificare che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (art. 24 comma 7).

Come recentemente affermato da questa Sezione, <<Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle concernenti la difesa degli interessi dell’istante, ove i documenti risultino perciò necessari.

Orbene, non v’è dubbio che, nel caso di specie, i dati richiesti siano necessari (salvo il merito della futura ipotizzabile censura, come detto appresso) al fine di dimostrare la sussistenza degli elementi di fatto, addotti a sostegno del motivo di illogicità del provvedimento impugnato davanti al TAR Toscana.

Il Giudice dell’accesso, ovviamente, non può che compiere una valutazione in astratto della necessità difensiva evidenziata e della pertinenza del documento, non potendo giungere sino a sindacare la concreta utilità della documentazione ai fini della vittoriosa conclusione di quel giudizio.

Piuttosto, la tendenziale segretezza della documentazione deve essere contemperata con le esigenze di difesa, operando, ove ragionevolmente possibile, sulle modalità dell’ostensione (apposizione di omissis, visione senza rilascio di copia, etc.).

A motivo di ciò, il Collegio, uniformandosi ad una recente pronuncia della Sezione, ritiene che nella fattispecie, <<pur dovendosi affermare il diritto del militare ad ottenere accesso alla documentazione richiesta, deve nondimeno individuarsi, quale modalità idonea ad assicurare il predetto contemperamento, la sola visione del documento senza il rilascio di copie. Le copie, in quando riproducibili e divulgabili, potrebbero infatti arrecare grave nocumento agli interessi pubblici tutelati dall’amministrazione, senza al contempo garantire all’istante un’utilità ulteriore, necessaria in chiave difensiva, rispetto a quanto già assicurato dalla conoscenza del dato e dalla sua valorizzabilità in giudizio>> (Cons. Stato, Sez. IV, 3/9/2014 n. 4493).

Con la precisazione di cui sopra l’appello va, quindi, accolto.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, ordina all’intimata amministrazione di consentire l’accesso nelle sole forme della visione.

Condanna l’intimata amministrazione al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellante, liquidandole forfettariamente in complessivi € 500/00 (cinquecento), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/08/2015
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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Ottima sentenza che obbliga la CMO poiché così si era espressa su una richiesta di Verbale della soppressa C.M.O. Palermo:
“... per motivi di carattere organizzativo, relativamente alla sistemazione dell'imponente mole cartacea, pervenuta dal disciolto D.M.M.L. di Palermo, in idonee scaffalature, l’istanza di accesso del ricorrente del 7.10.2014 “potrà essere trattata ed evasa, presumibilmente, nel corso del mese di Febbraio 2015...”;
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il TAR di CATANIA precisa:

1) - La difesa erariale ha depositato, inoltre, una relazione del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, del 18 dicembre 2014, in cui si rappresenta l’impossibilita di esitare l’istanza di accesso del ricorrente per problemi di tipo tecnico-organizzativo, ovvero per carenza di fondi per l’acquisto di idonea scaffalatura per la posa in opera dei carteggi sanitari.

2) - Giova premettere che l’art. 22, c. 1, lett b) legge n. 241/90, nel testo novellato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, richiede per la legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso la titolarità “di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso” e che il successivo comma terzo prevede che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all'art. 24 c. 1, 2, 3, 5 e 6”; mentre l'art. 24, c. 7, precisa che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

3) - In sostanza ai sensi del suesposto art. 24, c. 7, l’accesso va garantito qualora sia funzionale “a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067).

4) - Occorre allora stabilire se una simile risposta, possa ritenersi congrua motivazione del differimento del diritto di accesso, così come previsto dagli artt. 24 e 25 della L. 241/90.

5) - Invero, il comma 3 del citato art. 25 stabilisce che: “il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati”.

6) - L’art. 9 del D.P.R. 184/2006 individua i casi in cui la richiesta di accesso può essere differita con riferimento tassativo alle categorie di atti di cui all'art. 24 della legge n. 241/1990 e sempreché il differimento stesso sia funzionale agli interessi di cui al comma 6 dell'art. 24 citato, ovvero ad ulteriori esigenze da riconnettere e ricondurre solo ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa.

7) - L’atto che dispone il differimento dell’accesso deve però specificamente indicare la sussistenza delle predette circostanze legittimanti e deve indicare il termine e la durata di tale differimento (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 07/04/2010, n. 5760).

8) - In proposito, il Collegio rileva che l’art. 9 del D.P.R. n. 184/2006 non consente di differire l’accesso se non per i motivi ivi tassativamente contemplati, tra i quali non sono annoverate le oggettive e momentanee difficoltà organizzative dell’ente, correlate, come nella specie, a problemi di tipo tecnico-organizzativo ovvero per carenza di fondi per l'acquisto di idonea scaffalatura per collocazione dei carteggi sanitari.

N.B.: rileggi i punti n. 1- 2, 4, 6-8.

Per completezza e la delicatezza della normativa, vi invito a leggere il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CATANIA ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201502279, - Public 2015-09-23 -


N. 02279/2015 REG.PROV.COLL.
N. 02777/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2777 del 2014, proposto da S. C., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vincenzo Airò e Girolamo Rubino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Cittadino in Catania, Via O. Scammacca, 23/C;

contro
Ministero della Difesa - Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliata in Catania, Via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento
della nota M DE …./30506/ARCHIVIO/PA resa dal Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, in data 22 ottobre 2014, che ha disposto che: “... per motivi di carattere organizzativo, relativamente alla sistemazione dell'imponente mole cartacea, pervenuta dal disciolto D.M.M.L. di Palermo, in idonee scaffalature, l’istanza di accesso del ricorrente del 7.10.2014 “potrà essere trattata ed evasa, presumibilmente, nel corso del mese di Febbraio 2015...”;

nonché per l’emanazione nei confronti del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina di un ordine di esibizione avente ad oggetto la documentazione richiesta con la predetta istanza di accesso;


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2015 il dott. Francesco Mulieri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe, il sig. S. C., sovrintendente capo della Polizia di Stato in quiescenza, già in servizio presso la Questura di OMISSIS, espone di avere presentato domanda di pensione privilegiata presso Sede Provinciale di OMISSIS dell’INPS e di avere chiesto alla Questura di OMISSIS (con istanza di accesso del 3 settembre 2014) di visionare ed estrarre copia del verbale della Commissione Militare Ospedaliera ML/B NR. 597 del 14 novembre 2012, documento la cui conoscenza ed acquisizione ritiene utile nell’ambito del procedimento volto ad ottenere il riconoscimento della pensione privilegiata.

Sempre nella prospettazione del ricorrente, in esito alla suddetta istanza di accesso la Questura di OMISSIS (in data 08.09.2014) richiedeva alla C.M.O. la copia del summenzionato verbale e, successivamente, gli rilasciava copia della nota prot. n. M_DE …../11347/Archivio/Pa del 7 giugno 2014, con la quale il Dipartimento di Medicina Legale di Messina comunicava:

a) di non potere allo stato degli atti, ottemperare alla richiesta, volta all’acquisizione del summenzionato verbale, in quanto, “a causa della soppressione del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Palermo, l'Archivio del suddetto Ente è stato trasferito presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina ed è attualmente in attesa di adeguata collocazione al fine di esperire qualunque richiesta”;

b) nel caso di urgenza, il citato verbale "potrà essere richiesto all'Ente presso il quale, nell'anno 2012, il sig. S… prestava servizio".

In data 7 ottobre 2014, il ricorrente, constatato che il documento richiesto non era in possesso della Questura di OMISSIS, inoltrava presso, il Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, un’istanza di accesso agli atti, chiedendo di prendere visione ed estrarre copia del suddetto verbale della C.M.O. n. 597 del 14 novembre 2012.

In esito a tale istanza, il Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, in data 22 ottobre 2014, disponeva che: “... per motivi di carattere organizzativo, relativamente alla sistemazione dell'imponente mole cartacea, pervenuta dal disciolto D.M.M.L. di Palermo, in idonee scaffalature, la predetta richiesta potrà essere trattata ed evasa, presumibilmente, nel corso del mese di Febbraio 2015...”.

Ciò esposto in punto di fatto, il Sig. S. C. propone ricorso innanzi a questo Tribunale Amministrativo per il seguente motivo di diritto: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. 241/90; violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 del D.P.R. 184/2006; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, arbitrio, ingiustizia manifesta; violazione del principio di correttezza e buona fede”.

Assume il ricorrente che il provvedimento gravato risulterebbe palesemente elusivo dell’obbligo di provvedere al rilascio della documentazione richiesta, così come previsto dagli artt. 22 e ss., della L. 241/’90 e dal D.P.R. n.184/2006. Ciò in quanto Amministrazione intimata, avrebbe illegittimamente differito l’accesso agli atti, senza peraltro dare alcuna certezza in ordine alla data in cui questo sarebbe consentito, atteso che l’indicazione del periodo in cui sarebbe consentito l'accesso, (“presumibilmente nel corso del mese di Febbraio 2015”), sarebbe generica e del tutto eventuale.

Chiede pertanto che sia annullata la nota indicata in epigrafe resa dall’Amministrazione resistente sull’istanza di accesso del 7 ottobre 2014, e che sia ordinato al Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, di esibire la documentazione richiesta con la predetta istanza di accesso.

Per resistere al ricorso si è costituito il Ministero della Difesa, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, chiedendo che il ricorso sia rigettato perché inammissibile e comunque infondato.

La difesa erariale ha depositato, inoltre, una relazione del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina, del 18 dicembre 2014, in cui si rappresenta l’impossibilita di esitare l’istanza di accesso del ricorrente per problemi di tipo tecnico-organizzativo, ovvero per carenza di fondi per l’acquisto di idonea scaffalatura per la posa in opera dei carteggi sanitari.

In vista della Camera di Consiglio del 10 giugno 2015, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha rilevato che tale giustificazione, non può ritenersi idonea ad impedire l’accesso ai documenti entro un termine congruo e ragionevole, rispetto all'istanza di accesso del 7 ottobre 2014 e che, peraltro, la stessa Amministrazione, con la nota impugnata, aveva riferito che l’istanza di accesso di che trattasi sarebbe stata esitata “presumibilmente nel corso del mese di Febbraio 2015”; termine ormai superato abbondantemente senza che la stessa abbia provveduto a rilasciare la documentazione richiesta dal ricorrente.

Alla Camera di Consiglio del 10 giugno 2015, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente lamenta la lesione dei diritti partecipativi ed informativi di cui agli artt. 22 e ss. della L. n. 241/90 a lui spettanti in quanto richiedente una pensione privilegiata presso Sede Provinciale di OMISSIS dell’INPS.

Giova premettere che l’art. 22, c. 1, lett b) legge n. 241/90, nel testo novellato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, richiede per la legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso la titolarità “di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso” e che il successivo comma terzo prevede che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all'art. 24 c. 1, 2, 3, 5 e 6”; mentre l'art. 24, c. 7, precisa che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
In sostanza ai sensi del suesposto art. 24, c. 7, l’accesso va garantito qualora sia funzionale “a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067). Ne consegue che l’interesse all'accesso ai documenti deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale (che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso) e quindi la legittimazione all’accesso non può essere valutata “alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante” (cfr. Consiglio Stato sez. V 10 gennaio 2007, n. 55, T.A.R. Umbria 30 gennaio 2013, n. 56).

Sulla base delle considerazioni che precedono, deve dunque ritenersi che il ricorrente vanti un interesse qualificato ad ottenere copia del richiesto verbale della C.M.O., in seno al procedimento di riconoscimento della pensione privilegiata ovvero per l’eventuale produzione in giudizio.

A fronte di tale interesse, concretizzatosi nell’istanza di accesso del ricorrente l'Amministrazione resistente, con la nota indicata in epigrafe, ha comunicato che: "per motivi di carattere organizzativo, ...la predetta richiesta potrà essere trattata ed evasa, presumibilmente, nel corso del mese di Febbraio 2015...".

Occorre allora stabilire se una simile risposta, possa ritenersi congrua motivazione del differimento del diritto di accesso, così come previsto dagli artt. 24 e 25 della L. 241/90.

Invero, il comma 3 del citato art. 25 stabilisce che: “il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati”.

Infatti il potere differimento dell'accesso agli atti, così come disciplinato dall’art 24 comma 4, è previsto unicamente come garanzia del diritto di accesso per il privato in tutte quelle ipotesi in cui la legge, per la tipologia dei documenti richiesti, stabilisce una limitazione ovvero l'esclusione del diritto di accesso.

In tal senso depone anche l'art. 10 del D.P.R. 184/2006, regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi, il quale contempla il potere di differimento proprio nell'alveo dei casi di esclusione del diritto di accesso di cui all'art. 24 comma 4, rinviando la sua disciplina all'art. 9 dello stesso regolamento.

In particolare, il predetto art. 9, prevede espressamente che: “il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all'art. 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigente dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa”.

L’art. 9 del D.P.R. 184/2006 individua i casi in cui la richiesta di accesso può essere differita con riferimento tassativo alle categorie di atti di cui all'art. 24 della legge n. 241/1990 e sempreché il differimento stesso sia funzionale agli interessi di cui al comma 6 dell'art. 24 citato, ovvero ad ulteriori esigenze da riconnettere e ricondurre solo ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa.

Pertanto, il potere di differimento dell'accesso - in luogo del rigetto - è un atto dovuto in tutti i casi in cui il privato abbia diritto all’accesso, ma sia al contempo necessario:

- assicurare una temporanea tutela agli interessi dei terzi; ovvero

- salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa (cfr. T.A.R. Lazio Sez. I Sent., 18-12-2009, n. 13139).

L’atto che dispone il differimento dell’accesso deve però specificamente indicare la sussistenza delle predette circostanze legittimanti e deve indicare il termine e la durata di tale differimento (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 07/04/2010, n. 5760).

Nel caso di specie, invece, la resistente Amministrazione per giustificare il differimento del diritto di accesso deduce unicamente problemi di carattere organizzativo, senza specificare quali sarebbero gli interessi pubblici superiori tali da giustificare un sostanziale diniego dell'accesso ovvero l’impedimento oggettivo a reperire il documento entro un termine ragionevole, così come previsto dalla legge sul procedimento amministrativo.

Peraltro, in violazione del disposto dal comma 3 del citato art. 9 (“l'atto che dispone il differimento dell'accesso ne indica la durata”), l’Amministrazione non ha chiarito con certezza il termine del differimento, laddove si è limitata ad indicare che l’istanza sarebbe tratta “presumibilmente nel corso di febbraio 2015”.

In proposito, il Collegio rileva che l’art. 9 del D.P.R. n. 184/2006 non consente di differire l’accesso se non per i motivi ivi tassativamente contemplati, tra i quali non sono annoverate le oggettive e momentanee difficoltà organizzative dell’ente, correlate, come nella specie, a problemi di tipo tecnico-organizzativo ovvero per carenza di fondi per l'acquisto di idonea scaffalatura per collocazione dei carteggi sanitari.
Pertanto il provvedimento di differimento della domanda del ricorrente di accesso agli atti, in assenza di una delle ipotesi previste dall'art. 24 della L. 241/’90, risulta illegittimo, privando l’interessato della possibilità produrre il summenzionato verbale nel procedimento relativo al riconoscimento della pensione privilegiata e di ogni altra facoltà difensiva ad esso connesso.

In conclusione, sulla scorta di quanto finora illustrato, il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente annullamento della nota indicata in epigrafe e affermazione del diritto del ricorrente ad avere conoscenza del verbale della Commissione Militare Ospedaliera ML/B NR. 597 del 14 novembre 2012.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, ordinando al Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina di consentire al ricorrente l’accesso al verbale della Commissione Militare Ospedaliera indicato nella richiesta di accesso del 7 ottobre 2014.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in € 1.000,00 (mille/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:
Gabriella Guzzardi, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Francesco Mulieri, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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1) - Il prof. -OMISSIS- aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di Sassari visione e copia delle dichiarazioni dei redditi - nonché degli eventuali modelli 770 o altro documento idoneo a comprovare la titolarità di un rapporto di lavoro subordinato - relativi alla sig.ra -OMISSIS- e al suo coniuge sig. -OMISSIS-; a fondamento della richiesta vi era l’intervenuta condanna dell’istante, da parte del Tribunale di Sassari con sentenza, poi confermata dalla Corte d’Appello con sentenza 6 marzo 2015, alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della -OMISSIS-, contestualmente riconosciuta sua figlia naturale non riconosciuta, e la conseguente necessità di verificare se quest’ultima e il suo coniuge fossero possessori di reddito, così da poter contestare la decisione di primo grado.

Il TAR precisa:

2) - Come chiarito dal Consiglio di Stato con la sentenza della III Sezione n. 4844 del 26/09/2014, “la sottoscrizione della procura, rilasciata con facoltà di rappresentare e difendere in ogni stato e grado del procedimento anche di mediazione, implica la ratifica della diffida ad adempiere e dell'istanza di accesso, atti negoziali propedeutici alla difesa, compiuti in nome e per conto della parte dal difensore”.

3) - Si osserva, in primo luogo, che la nozione normativa di documento amministrativo passibile di accesso -testualmente delineata dall’art. 22, lett. d), della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15- comprende “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”: la norma è, pertanto, chiarissima nell’estendere la disciplina sull’accesso anche ad atti di natura privatistica, purché detenuti da una pubblica amministrazione per l’esercizio delle sue funzioni istituzionali, il che è esattamente quanto si verifica per i documenti oggetto del presente giudizio.

4) - di conseguenza, in capo al coniuge separato sussiste, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, il diritto di accesso alle dichiarazioni dei redditi del convivente "more uxorio" dell'altro coniuge.

Per completezza dell'argomento leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CAGLIARI ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501090, - Public 2015-10-30 -


N. 01090/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00600/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 600 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. V. P. con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luisa Armandi in Cagliari, via Cugia n. 14;

contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate di Sassari, rappresentate e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliataria per legge in Cagliari, via Dante n. 23;

nei confronti di
-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento:
- del provvedimento, notificato via pec in data 05.06.2015, con cui l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Sassari, Ufficio Territoriale ha negato l’accesso alle dichiarazioni dei redditi o al modello 770 (o ad ogni atto idoneo a dimostrate l’esistenza di un rapporto di lavoro) degli odierni controinteressati; - di ogni altro atto connesso, presupposto, collegato, consequenziale o in rapporto di correlazione con gli atti sopra impugnati ancorché attualmente non conosciuto e con riserva di notifica e deposito di motivi aggiunti; e, conseguentemente, Voglia ordinare, previa dichiarazione del diritto all’accesso da parte del ricorrente, al Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’Agenzia delle Entrate, l’esibizione della documentazione richiesta con assegnazione di un termine ex art. 116, IV comma, c.p.a..

Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate di Sassari.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2015 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.


Il prof. -OMISSIS- aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di Sassari visione e copia delle dichiarazioni dei redditi -nonché degli eventuali modelli 770 o altro documento idoneo a comprovare la titolarità di un rapporto di lavoro subordinato- relativi alla sig.ra -OMISSIS- e al suo coniuge sig. -OMISSIS-; a fondamento della richiesta vi era l’intervenuta condanna dell’istante, da parte del Tribunale di Sassari con sentenza 26 novembre 2009, poi confermata dalla Corte d’Appello con sentenza 6 marzo 2015, alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della -OMISSIS-, contestualmente riconosciuta sua figlia naturale non riconosciuta, e la conseguente necessità di verificare se quest’ultima e il suo coniuge fossero possessori di reddito, così da poter contestare la decisione di primo grado.

Con l’atto in epigrafe descritto l’Agenzia delle Entrate ha respinto la richiesta, sul presupposto che “le dichiarazioni dei redditi non appartengono al novero degli atti amministrativi e come tali sono escluse dall’ambito di applicazione della legge n. 241/1990”, conformemente “all’obbligo di riservatezza dell’amministrazione, che li detiene a fini esclusivamente tributari”.

Il ricorso in esame si rivolge contro tale decisione, per ottenere la condanna dell’Agenzia resistente a concedere accesso alla documentazione è richiesta.

Il gravame merita accoglimento.

In primo luogo va disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale sul presupposto che l’istanza di accesso era stata presentata dal solo difensore dell’odierno ricorrente, non munito di apposita procura.

Tale obiezione si rivela eccessivamente formalistica in quanto l’avv. V. P., che aveva firmato l’istanza di accesso, difendeva il prof. -OMISSIS- anche nel giudizio di appello proposto avverso la condanna al mantenimento pronunciata in primo grado (cfr. doc. 2 di parte ricorrente); inoltre lo stesso avv. P.. aveva allegato all’istanza di accesso (cfr. doc. 4) copia del documento di identità del proprio cliente, nonché comunicato l’intenzione dello stesso -OMISSIS- di porre in essere ulteriori iniziative difensive avverso quella decisione (cfr. pag. . 2 dell’istanza); a ciò consegue che la legittimazione dell’avv. P.. a presentare la richiesta di accesso, benché privo di mandato ad hoc, promana direttamente dal suo ruolo di “difensore processuale” nel giudizio cui si riferiscono i documenti richiesti, atteso che questi sono proprio funzionali a svolgere l’incarico di difensore nel giudizio civile.

Come chiarito dal Consiglio di Stato con la sentenza della III Sezione n. 4844 del 26/09/2014, “la sottoscrizione della procura, rilasciata con facoltà di rappresentare e difendere in ogni stato e grado del procedimento anche di mediazione, implica la ratifica della diffida ad adempiere e dell'istanza di accesso, atti negoziali propedeutici alla difesa, compiuti in nome e per conto della parte dal difensore”.

Nel merito parte ricorrente contesta la decisione dell’Amministrazione, assumendo, in sintesi, che l’Agenzia, pur non avendo “formato” gli atti richiesti, li detiene per ragioni di pubblico interesse; inoltre sostiene che il suo interesse all’accesso prevalga su quello alla riservatezza dei contro interessati.

Tali doglianze meritano di essere condivise.

Si osserva, in primo luogo, che la nozione normativa di documento amministrativo passibile di accesso -testualmente delineata dall’art. 22, lett. d), della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15- comprende “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”: la norma è, pertanto, chiarissima nell’estendere la disciplina sull’accesso anche ad atti di natura privatistica, purché detenuti da una pubblica amministrazione per l’esercizio delle sue funzioni istituzionali, il che è esattamente quanto si verifica per i documenti oggetto del presente giudizio.

Né la richiesta del ricorrente trova ostacolo nel diritto alla riservatezza dei titolari dei dati richiesti, non trattandosi di dati “sensibili” o “supersensibili” e risultando senz’altro soddisfatto il “presupposto di prevalenza” dell’accesso sulla riservatezza di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990, secondo cui “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”; difatti è evidente la necessità del ricorrente di conoscere preventivamente la situazione reddituale dei controinteressati, così da poter valutare causa cognita l’opportunità di contestare la decisione assunta dal Tribunale di Sassari di attribuire loro un assegno di mantenimento a suo carico; a conferma di tali assunti si richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047, secondo cui “Il diritto di accesso deve prevalere sull'esigenza di riservatezza di terzi, ove sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta: di conseguenza, in capo al coniuge separato sussiste, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, il diritto di accesso alle dichiarazioni dei redditi del convivente "more uxorio" dell'altro coniuge. Tale istanza di accesso documentale, infatti, essendo rivolta a dimostrare la capacità di reddito del convivente del coniuge separato, è funzionale ad esonerare il richiedente dall'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento. Né il diritto di accesso viene meno per aver il medesimo richiedente sollecitato il giudice civile ad acquisire le dichiarazioni dei redditi in questione, atteso che l'art. 210 c.p.c. prevede la facoltà dell'ordine istruttorio e non anche la sua obbligatorietà”.

Pertanto il ricorso va accolto, con le conseguenti statuizioni.

Le spese di lite seguono la soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato e dispone che l’Agenzia delle Entrata di Sassari conceda a parte ricorrente copia e visione degli atti in epigrafe descritti.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 2500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge e al rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Vista la relativa richiesta contenuta in ricorso - e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata - manda alla Segreteria di procedere nei termini di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Tito Aru, Consigliere
Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Il 30/10/2015
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Re: Problematiche in genere, negato accesso agli atti P.A.

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istanza di accesso alla relazione di servizio redatta dai carabinieri in occasione di un intervento
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Il Tar chiarisce:

1) - In ogni caso, anche ove volesse ritenersi che il documento in questione rientri tra quelli indicati nelle norme sopra richiamate, l'art. 24 c. 7 della L. 241/1990 stabilisce che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

2) - Il significato della norma è quello di consentire “comunque” l'accesso a scopi difensivi dei propri interessi giuridici e ciò anche nei casi in cui sia stata disposta l'esclusione dell'accesso ai sensi, appunto, del comma 6 dell'art. 24 L. 241/1990.

3) - Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle alla difesa degli interessi dell'istante, ove i documenti risultino perciò necessari (Consiglio di Stato, sez. IV, 03/09/2014, n. 4493).

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SENTENZA ,sede di MILANO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201600151 - Public 2016-01-27 -

N. 00151/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02228/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2228 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Gianni' ed Eva Lenski, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Milano, corso Monforte, 21;

contro
Ministero della Difesa - Comandante Provinciale in carica dei Carabinieri di Milano - rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato in Milano, Via Freguglia, 1;

nei confronti di
-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per l'annullamento
del provvedimento del Comando Provinciale dei Carabinieri di Milano, reparto Operativo - Nucleo Radiomobile OMISSIS, prot. n. OMISSIS, con cui è stato opposto il diniego in ordine all'istanza di accesso presentata dal legale del ricorrente ai sensi dell'art. 22 della L. 241/1990, nonché per l'accertamento del ricorrente ad accedere al verbale di intervento compiuto il ….07.2015 da parte dei carabinieri e per la condanna dell'amministrazione all'esibizione e al rilascio della suddetta relazione di servizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 la dott.ssa Silvia Cattaneo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. -OMISSIS- ha presentato istanza di accesso alla relazione di servizio redatta dai carabinieri in occasione di un intervento, effetto su richiesta del legale dello stesso sig. -OMISSIS-, presso la casa coniugale assegnata alla sig.ra -OMISSIS- in sede di giudizio di separazione dei coniugi, allorché un autotrasportatore, incaricato dalla signora, avrebbe asportato dall’appartamento dei beni di proprietà del sig. -OMISSIS-.

2. Nell’istanza di accesso si afferma che l’interesse ad ottenere copia del verbale di intervento è legato alla necessità di produrlo nell’udienza fissata per il mese di ….. 2015 nella causa di separazione dinanzi al Tribunale di Milano.

3. Dopo un primo diniego del …. settembre 2015, motivato per la ragione che il documento contiene dati sensibili riferiti a terzi, con il provvedimento indicato in epigrafe, il comando provinciale dei carabinieri di Milano ha negato l’accesso in applicazione di quanto disposto dall’art. 24, c. 6, lett. c), l. n. 241/1990 e dall’art. 1049, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 210 n. 90.

4. Il ricorrente ne lamenta l’illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 22, c. 2, 24, c. 6, lett. c) e c. 7, l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell’art. 1049, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 90/2010 in relazione all’art. 24, c. 7, l. n. 241/1990; violazione degli artt. 24 e 97 Cost.; eccesso di potere per travisamento dei presupposti; illegittimità dell’art. 1049, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 90/2010 per violazione dell’art. 5, l. n. 2248/1865 All. E e dell’art. 4 disp. preliminari al cod.civ.

5. Quanto al primo diniego, esso è da ritenersi superato dal secondo provvedimento.

6. Le censure di violazione dell’art. 24, c. 6, lett. c), l. n. 241/1990 e dell’art. 1049, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 210 n. 90 sono fondate.

L’articolo 24, c. 6, l. n. 241/1990, così dispone: “con regolamento, adottato ai sensi dell' articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: […] c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.

L’art. 1049, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 90/2010 sottrae all’accesso per cinquanta anni “le relazioni di servizio e altri atti o documenti presupposti per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti alla attività di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizione di legge o regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”.

Ad avviso del Collegio, la relazione di servizio oggetto del presente giudizio non può ritenersi ricompresa nella previsione di cui agli articoli sopra richiamati, trattandosi di un mero verbale di intervento con riferimento al quale la difesa erariale si è limitata ad un generico richiamo delle norme citate, senza tuttavia chiarire quale sia il collegamento di tale atto con specifiche indagini compiute dalla polizia giudiziaria o le notizie relative ad attività di prevenzione e repressione della criminalità che in esso sarebbero contenute.

In ogni caso, anche ove volesse ritenersi che il documento in questione rientri tra quelli indicati nelle norme sopra richiamate, l'art. 24 c. 7 della L. 241/1990 stabilisce che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

Il significato della norma è quello di consentire “comunque” l'accesso a scopi difensivi dei propri interessi giuridici e ciò anche nei casi in cui sia stata disposta l'esclusione dell'accesso ai sensi, appunto, del comma 6 dell'art. 24 L. 241/1990.

Il legislatore ha cioè operato a monte un bilanciamento degli interessi, affermando la cedevolezza delle esigenze connesse alla segretezza, dinanzi a quelle alla difesa degli interessi dell'istante, ove i documenti risultino perciò necessari (Consiglio di Stato, sez. IV, 03/09/2014, n. 4493).

Ebbene, nel caso di specie tale è la finalità del ricorrente che ha richiesto l'ostensione dell’atto per tutelare i propri interessi giuridici nel giudizio di separazione dei coniugi.

7. Per le ragioni esposte, il ricorso è fondato e va pertanto accolto. Le ulteriori censure dedotte possono essere assorbite. Per l’effetto dovrà essere consentito l'accesso alla relazione di servizio oggetto dell’istanza presentata dal ricorrente.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, ordina all'amministrazione di consentire l'accesso alla relazione oggetto dell’istanza presentata dal ricorrente.

Condanna il Ministero della difesa al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 500,00 (cinquecento/00), oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 2 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e la controinteressata.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Silvia Cattaneo, Consigliere, Estensore
Roberto Lombardi, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/01/2016
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