Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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La disciplina della materia è contenuta nella legge n. 65 del 7.3.1986 – Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale e nel DM Interno del 4.3.1987 n.147 “norme concernenti l’armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualifica di agenti di pubblica sicurezza”.
E’ in crescita la dotazione d’armi in capo alla polizia municipale. Ciò accade principalmente per gli agenti ai quali su disposizione del prefetto è conferita la qualifica d’agente di pubblica sicurezza. In tal caso, previa deliberazione del Consiglio Comunale, gli agenti possono portare l’arma senza bisogno di licenza. Il DM n.145 del 1987 prevede in proposito che gli appartenenti ai corpi o servizi di polizia locale in possesso della
qualifica d’agente di pubblica sicurezza potranno portare le armi in dotazione per lo svolgimento delle funzioni ausiliarie e di pubblica sicurezza, secondo le modalità stabilite nei regolamenti comunali.
Per il porto dell’arma non vi è necessità di licenza. Stabilisce l’articolo 73 del R.D. 6.5.40 n.635 che gli agenti di pubblica sicurezza portano senza licenza le armi di cui sono muniti a termini dei vigenti regolamenti.
L’arma di cui possono essere dotati gli appartenenti alla polizia locale, è secondo il DM 145, la pistola automatica o la pistola a rotazione. Per i servizi di polizia rurale è possibile la dotazione dell’arma lunga da sparo. E’ ammesso l’uso della sciabola per i servizi d’onore.
Il Ministero dell’Interno Dipartimento di Pubblica sicurezza, con circolare 24.9.2004, ha precisato che gli spray da difesa e il bastone estensibile non rientrano tra le armi contemplate dal DM n.145/87.


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Obiettore di coscienza e concorso per la polizia locale

Lo ha precisato il Consiglio di Stato con la sentenza n.3336 del 21 giugno 2007.
L’obiettore di coscienza può partecipare ad un concorso per agente di polizia locale – municipale, anche quando sia previsto l’esercizio di funzioni di pubblica sicurezza.
Non si può invece partecipare quando il bando di concorso preveda espressamente l’uso delle armi.
Il Consiglio di Stato in questo caso ha modificato una precedente sentenza del TAR che aveva ritenuto legittima l’esclusione di un obiettore di coscienza da un concorso per agente di polizia municipale con funzioni di agente di pubblica sicurezza.
Ha ritenuto il Consiglio di Stato che l’obiettore di coscienza avrebbe potuto essere escluso solo laddove il bando di concorso avesse previsto espressamente il servizio in armi.
La pronuncia del Consiglio di Stato, è resa possibile a venir meno, con l’entrata in vigore dell’articolo 5, comma 5 della legge 7 marzo 1986 n.65 che testualmente affermava: “Gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, portano, senza licenza, le armi di cui possono essere dotati.
Si verificava così una stretta correlazione tra la qualifica di agente di pubblica sicurezza e l’uso dell’arma.
Tale correlazione è venuta a meno con l’entrata in vigore della legge 15 maggio 1997 n.134 ha disposto la sostituzione della parola “portano” con l’espressione “possono previa deliberazione in tal senso del Consiglio Comunale, portare”.
Il Ministero dell’Interno con il parere n.559/c.24051.12982(10) del 26.04.99 ha affermato che “alla luce delle vigenti normative, la condizione dell’obiezione di coscienza non è un fattore ostativo al riconoscimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza”.
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Questo parere del Consiglio di Stato ha seguito di un ricorso straordinario al PDR riguarda un ex M.M."A" c.s. CC.
Numero 01146/2011 e data 21/03/2011

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 9 febbraio 2011

NUMERO AFFARE 00408/2010
OGGETTO:
Ministero dell’interno.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il provvedimento di diniego del rinnovo del posto di pistola per difesa personale, proposto dal Sig. OMISSIS.
LA SEZIONE
Vista la relazione prot. OMISSIS , del 5 novembre 2009, con la quale il Ministero dell’Interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Francesco D’Ottavi;

PREMESSO E CONSIDERATO:
Il richiedente Ministero nella suindicata relazione premette che con decreto prot. n. OMISSIS del 5 aprile 2007, il Prefetto di Torino ha respinto l’istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale presentata dal signor OMISSIS , maresciallo maggiore “A” c.s. dell’Arma dei Carabinieri in quiescenza, in quanto non sussistono cause ed attuali di esposizione a rischio derivanti dal servizio prestato dal richiedente.
Il ricorrente dopo aver riportato i suoi precedenti nel servizio prestato alle dipendenze dell’Arma dei Carabinieri, lamenta l’illegittimità dell’impugnato provvedimento per violazione di legge (art. 42 del T.U.L.P.S. art. 20 L. n. 121/1981); mancanza e/o insufficienza della motivazione; omessa valutazione del parere in precedenza espresso dal Comando Compagnia C.C. di Omissis.
Il Ministero, dopo analitico esame del caso, conclude per la reiezione del ricorso.
Ritiene la Sezione che il ricorso sia da respingere.
Come più volte considerato in sede di esame di ricorsi straordinari in subjecta materia, le autorizzazioni per la detenzione ed il porto di armi riguardano un ambito delicatissimo in cui, per i vari riflessi sul piano della sicurezza e dell’allarme sociale, la discrezionalità dell’Amministrazione è amplissima nel valutare se effettivamente sussistano speciali condizioni che oggettivamente consentano il rilascio dell’eccezione autorizzazione.
In tale ambito le prospettate doglianze debbono ritenersi infondate. Invero l’Amministrazione ha emanato l’impugnato provvedimento al termine ed all’esito di un puntuale provvedimento svoltosi in conformità con la normativa applicabile e in cui si è valutata anche la pregressa carriera svolta dal richiedente; per cui debbono escludersi i dedotti vizi di difetto di istruttoria e d’altronde i provvedimento è congruamente motivato circa le ragioni poste a fondamento del diniego.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco D'Ottavi Giuseppe Barbagallo




IL SEGRETARIO
Giovanni Mastrocola
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N. 01847/2011REG.PROV.COLL.
N. 09413/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9413 del 2005, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Roma, via V. Picardi, n. 4/B;
contro
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione Seconda, 14 luglio 2005, n. 3323, con la quale era stato respinto il ricorso per l’annullamento del decreto del Prefetto della provincia di omissis del 2 dicembre 2004, prot. n. Omissis di diniego di rinnovo della licenza per porto di pistola per difesa personale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 9 novembre 2010 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il ricorrente collabora nella conduzione delle due aziende agricole di famiglia, provvedendo per tale sua attività al maneggio e trasporto di ingenti somme di denaro.
Per tale ragione, sin dal 1972, ha chiesto e conseguito dalla Prefettura di omissis, l’autorizzazione al porto di pistola per difesa personale, sempre rinnovata alla naturale scadenza sulla scorta della prospettazione dei medesimi presupposti e sulla scorta della medesima documentazione.
Con decreto del 2 dicembre 2004, n. omissis il Prefetto della provincia di omissis ha rigettato l’istanza considerato che le motivazioni addotte dall’interessato “non hanno fato emergere la sussistenza delle condizioni di <<dimostrato bisogno>>, previste dall’art. 42 del T.U.L.P.S.”.
Il ricorrente ha impugnato innanzi al TAR Puglia il suddetto provvedimento deducendo la violazione dell’art. 42 del T.U. 18 giugno 1931, n. 773 e l’eccesso di potere per difetto dell’iter logico, carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
Il TAR adito ha rigettato il ricorso con la sentenza impugnata.
Il ricorrente ha prodotto appello affidato ai seguenti motivi così epigrafati: Violazione dell’art. 42 del TULPS. Violazione dei principi in materia di prova. Omessa considerazione di documenti. Eccesso di potere per illogicità, carenza di istruttoria e difetto di motivazione (sotto vari profili).
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, che, con memoria depositata in data 29 ottobre 2010, ha chiesto il rigetto dell’appello.
All’udienza del 9 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
Il Collegio non può che richiamare il proprio orientamento secondo il quale la licenza di porto di pistola va rilasciata solo nei casi di dimostrato bisogno così che, proprio per essere limitata per legge ad un periodo di tempo predeterminato, all'atto del rinnovo l'amministrazione ha il potere di riesaminare funditus la questione, anche alla luce di diverse valutazioni oggettive e di carattere generale, riguardanti eventuali revisioni dei criteri in base ai quali operare le scelte discrezionali, nonché possibili modificazioni nell'ordinamento complessivo di politica dell'ordine pubblico, connesse ad analisi collegate a particolari momenti della vita civile.
E' altrettanto vero, però, che deve ritenersi illegittimo, per insufficiente motivazione, il provvedimento col quale si nega il rinnovo di porto d'armi a soggetto in precedenza autorizzato, sulla sola considerazione che lo stesso non versa, allo stato, nelle condizioni che giustifichino la necessità di girare armato, senza assolutamente indicare le ragioni della nuova valutazione contrastante con le precedenti che, viceversa, avevano dato luogo al rilascio dell'autorizzazione al porto di pistola per difesa personale o per altra diversa e specifica funzione (Cons. St. sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6580; Id. 27 marzo 2002, n. 1725).
Sussistono giusti motivi per compensare tra l parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il decreto del Prefetto della provincia di omissis del 2 dicembre 2004, prot. n. omissis, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2011
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I ritardi della P.A. lesivi di interessi legittimi pretensivi devono essere provati dal ricorrente – Consiglio di Stato, Sentenza n. 1672/2011

In tema di responsabilità della pubblica amministrazione da ritardo o da attività provvedimentale lesiva di interessi legittimi pretensivi il ricorrente ha l’onere di provare, secondo i principi generali la sussistenza e l’ammontare dei danni dedotti in giudizio. Infatti, la limitazione dell’onere della prova gravante sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il processo amministrativo, si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti di consueto connotante il rapporto amministrativo di natura pubblicistica intercorrente tra la parte privata e la pubblica amministrazione, mentre l’esigenza di un’attenuazione dell’onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell’an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa (soprattutto qualora questa agisca per il risarcimento dei danni non patrimoniali), e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella sfera di disponibilità dello stesso soggetto leso.
In linea di principio, anche in sede di giustizia amministrativa può essere dedotta la sussistenza di danni c.d. esistenziali, che, secondo l’orientamento di Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, vanno ricondotti nell’alveo dei danni non patrimoniali, la cui risarcibilità è subordinata a precise condizioni, rappresentate alternativamente (i) dalla sussistenza di una delle ipotesi previste dalla legge e (ii) dalla violazione di un diritto della persona costituzionalmente garantito a condizione, in quest’ultimo caso, che la violazione sia stata grave e che le conseguenze della lesione non siano stati futili.
Va dunque esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale consistito in meri disagi e fastidi, non scaturenti da lesioni di diritti costituzionalmente garantiti (v. in tal senso Cass. Civ., Sez. IV, 9 aprile 2009, n. 8703, che ha escluso la risarcibilità del danno esistenziale asseritamente patito dal contribuente per il ritardo, col quale l’amministrazione aveva disposto lo sgravio di somme non dovute).
Inoltre, la pretesa risarcitoria – ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio – esige un’allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l’automatico ricorso alla liquidazione equitativa (v. Cass. Sez. Un. Civ., 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. Civ., Sez. lav., 17 settembre 2010, n. 19785).

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 1672 del 18/03/2011
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R.-Toscana respingeva il ricorso n. 1064 del 2004, con cui il signor [OMISSIS] aveva chiesto il risarcimento dei danni, quantificati nell’importo di euro 150.000,00, conseguenti al provvedimento del 13 aprile 1995, annullato con sentenza n. 1374 del 18 settembre 2001 dello stesso T.A.R., con il quale il Prefetto di Livorno aveva sospeso ogni determinazione sull’istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale – presentata dall’istante il 13 ottobre 1994 in relazione alla propria attività professionale (avvocato dello Stato) – in attesa di nuovi elementi richiesti a suffragio delle dedotte esigenze di difesa personale.
Il T.A.R. basava la statuizione di rigetto sul rilievo dirimente della carenza di prova dei danni subiti per effetto del lamentato ritardo, sia sotto il profilo di danni da stress, sia sotto il profilo di danni all’attività professionale, escludendo altresì la configurabilità di danni all’immagine, in quanto l’Amministrazione non risultava aver emesso alcun giudizio sfavorevole sulla persona dell’istante o sulla sua affidabilità, ma sollevato unicamente la questione della pericolosità dell’attività svolta.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il ricorrente soccombente, censurando l’erronea reiezione della domanda volta al conseguimento del risarcimento del danno esistenziale conseguente all’illegittimo ritardo dell’Amministrazione a provvedere sull’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi, avendo egli indicato una serie di criteri presuntivi idonei a procedere alla liquidazione del danno in via equitativa, non valorizzati dai primi giudici.
L’appellante chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, l’accoglimento del ricorso in primo grado.
3. Costituendosi, l’Amministrazione appellata contestava la fondatezza dell’appello e ne chiedeva il rigetto.
4. All’udienza pubblica del 18 gennaio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato e va respinto.
5.1. Giova premettere in linea di diritto, per quanto qui interessa, che in tema di responsabilità della pubblica amministrazione da ritardo o da attività provvedimentale lesiva di interessi legittimi pretensivi il ricorrente ha l’onere di provare, secondo i principi generali la sussistenza e l’ammontare dei danni dedotti in giudizio.
Infatti, la limitazione dell’onere della prova gravante sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il processo amministrativo, si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti di consueto connotante il rapporto amministrativo di natura pubblicistica intercorrente tra la parte privata e la pubblica amministrazione, mentre l’esigenza di un’attenuazione dell’onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell’an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa (soprattutto qualora questa agisca per il risarcimento dei danni non patrimoniali), e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella sfera di disponibilità dello stesso soggetto leso.
In applicazione del c.d. criterio della vicinanza della prova, costituente principio regolatore della disciplina della distribuzione dell’onere della prova tra le parti processuali, grava dunque sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza e l’ammontare dei danni non patrimoniali azionati in giudizio.
Sebbene la prova dell’an e del quantum dei danni possa essere fornita anche in via presuntiva, la stessa deve pur sempre fondarsi su circostanze di fatto concrete e certe, integranti un quadro indiziario connotato da elementi plurimi, precisi e concordanti che consentano di risalire, in via inferenziale e secondo un criterio di ragionevolezza e di normalità, al fatto ignoto costituente l’oggetto principale di prova (nella specie, alla sussistenza e all’ammontare dei lamentati danni non patrimoniali).
In linea di principio, anche in sede di giustizia amministrativa può essere dedotta la sussistenza di danni c.d. esistenziali, che, secondo l’orientamento di Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, vanno ricondotti nell’alveo dei danni non patrimoniali, la cui risarcibilità è subordinata a precise condizioni, rappresentate alternativamente (i) dalla sussistenza di una delle ipotesi previste dalla legge e (ii) dalla violazione di un diritto della persona costituzionalmente garantito a condizione, in quest’ultimo caso, che la violazione sia stata grave e che le conseguenze della lesione non siano stati futili.
Va dunque innanzitutto esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale consistito in meri disagi e fastidi, non scaturenti da lesioni di diritti costituzionalmente garantiti (v. in tal senso Cass. Civ., Sez. IV, 9 aprile 2009, n. 8703, che ha escluso la risarcibilità del danno esistenziale asseritamente patito dal contribuente per il ritardo, col quale l’amministrazione aveva disposto lo sgravio di somme non dovute).
Inoltre, la pretesa risarcitoria – ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio – esige un’allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l’automatico ricorso alla liquidazione equitativa (v. Cass. Sez. Un. Civ., 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. Civ., Sez. lav., 17 settembre 2010, n. 19785).
5.2. Orbene, applicando le esposte coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie dedotta in giudizio, deve pervenirsi alla conclusione della carenza assoluta di prova in ordine ai danni lamentati dal ricorrente sub specie di danni esistenziali ed esposti nell’importo di euro 150.000,00.
L’odierno appellante ha, invero, omesso di offrire qualsiasi elemento di prova (ad es., a mezzo di certificazioni mediche) del paventato danno da “ansia da evitamento” che, secondo il suo stesso assunto, “si estrinseca come fobia specifica, clinicamente significativa, provocata dall’esposizione a situazioni temute, che determina condotte di evitamento significative nell’interferire con la normale routine dell’individuo, con l’esercizio lavorativo e con le relazioni sociali” (v. così, testualmente, p. 11 del ricorso in appello).
Lo stesso, inoltre, non ha fornito neppure un principio di prova in ordine ad eventuali ripercussioni negative del ritardato trattamento dell’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi sulla propria attività professionale o sulle proprie consuetudini di vita (ad es., sub specie di un’eventuale limitazione significativa della propria libertà di movimento).
5.3. Non risulta invece investita da motivo specifico di gravame la statuizione di prime cure avente ad oggetto l’esclusione della configurabilità di danni all’immagine, sicché nulla è dato statuire al riguardo.
5.4. Per le ragioni che precedono, si deve ritenere non provata la sussistenza dei danni dedotti.
Diventa pertanto irrilevante ogni ulteriore esame:
a) sulla idoneità del provvedimento, a suo tempo emesso, a cagionare sotto il profilo causale le conseguenze esposte dall’appellante:
b) sulla effettiva sussistenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito amministrativo, e in particolare della rimproverabilità della pubblica amministrazione.
6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del grado, liquidate in parte dispositiva, vanno poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 5806 del 2007, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di causa, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/03/2011
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm., sul ricorso n. Omissis, proposto dal sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Omissis, con domicilio eletto in Roma, via Omissis
contro
il MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del sig. Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la riforma
della sentenza breve del TAR Veneto, sez. III n. 2715/2010, resa tra le parti e concernente il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente disposto nei confronti dell’appellante;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza camerale del 25 marzo 2011 il Cons. Silvestro Maria RUSSO e udito altresì, per le parti, solo l’avv. Omissis;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – Il sig. OMISSIS, rende noto d’aver ricevuto, da parte della Prefettura di Omissis, l’avviso d’avvio d’un procedimento preordinato all’adozione, nei suoi riguardi, del divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente.
Il sig. Omissis dichiara altresì l’emanazione del decreto dell’11 marzo 2010, notificatogli il successivo giorno 31, con cui il Prefetto della provincia di Omissis gli ha imposto il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente. Il provvedimento è motivato sia alla stabile convivenza del sig. OMISSIS con un soggetto affetto da gravi disturbi psichici, sia all’indebito trasferimento delle proprie armi in altro luogo senza l’autorizzazione dell’Autorità di PS. E’ seguito, da parte del sig. OMISSIS un ricorso al TAR Veneto, affidato a tre articolati gruppi di censure.
2. – Il TAR adito, con la sentenza succintamente motivata n. 1759 del 24 giugno 2010, emessa all’udienza camerale di trattazione della domanda cautelare, ha respinto il ricorso.
Appella allora il sig. OMISSIS, censurando la sentenza impugnata per ragioni sia sostanziali, che procedimentali. Resiste in giudizio il Ministero intimato, che conclude per l’infondatezza dell’appello in epigrafe.
All’udienza camerale del 25 marzo 2011, completo essendo il contraddittorio processuale ed in presenza dei presupposti ex art. 60 c.p.a., il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio per esser deciso nelle forme di cui al successivo art. 74.
3. – L’appello è infondato e va disatteso.
Correttamente la sentenza impugnata ha chiarito come il decreto prefettizio abbia dato seria contezza tanto della presenza d’un soggetto psichicamente alterato (la moglie) convivente con l’appellante nell’abitazione dov’erano detenute le armi de quibus, quanto del trasferimento indebito di queste ultime in un luogo diverso e non autorizzato.
Entrambe le circostanze, non smentite, anzi confessate dall’appellante, costituiscono con ogni evidenza vicende seriamente indicative della scarsa affidabilità del medesimo sig. OMISSIS nella custodia delle armi, nonché dell’evenienza dell’abuso di queste da parte del familiare convivente. Infatti, il provvedimento prende sì le mosse dalla querela presentata dalla moglie contro l’appellante e poi rimessa, ma non si basa tanto su questo episodio, quanto, piuttosto, sulla reiterazione del comportamento violento ed incontrollabile di questa persona, affetta da seri disturbi nervosi.
Sicché l’impugnato divieto, che l’art. 39 del RD 18 giugno 1931 n. 773 (t.u.l.p.s.) prevede per prevenire gli abusi non solo del titolare, ma anche dei familiari conviventi, costituisce acconcia misura a tutela della privata e pubblica incolumità appunto a causa della compresenza di tal soggetto nello stesso luogo in cui le armi stesse son detenute. L’art. 39 del t.u.l.p.s., per vero, è norma preordinata alla tutela dell’ordine pubblico, anche, come nella specie, per casi debitamente accertati di temuto pericolo (cfr. Cons. St., VI, 3 giugno 2010 n. 3516), sulla scorta di pregressi avvenimenti dei quali la P.A. ha dato idonea motivazione.
Né basta: è noto che ai fini del divieto di detenzione delle armi, non occorre che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso di queste, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non avere posto in essere le cautele necessarie per la loro custodia. In tal caso, il provvedimento inibitorio non richiede una particolare motivazione, in relazione alle funzioni discrezionali commesse dalla legge alla P.A., se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie.
Ebbene, lo stesso appellante ha dimostrato un atteggiamento ictu oculi non consono alla delicatezza della vicenda in esame, quando ha indebitamente trasferito le predette armi in un altro luogo, senza avvertire l’Autorità di PS, pur se questa già consapevole delle vicissitudini inerenti al di lui coniuge. Da ciò discende l’assenza, nel provvedimento, d’ogni menda di ragionevolezza o di proporzionalità e men che mai di travisamento di fatti, come s’è visto in sé ammessi dall’appellante anche in questa sede.
È appena da osservare che il divieto posto dalla P.A. verso l’appellante è solo rebus sic stantibus, ossia fintanto che perdurino attuali le cause d’inaffidabilità che hanno condotto all’emanazione del provvedimento interdittivo e non se ne dimostri la cessazione in capo al medesimo sig. OMISSIS. In altre parole, il divieto è suscettibile di riesame (fatta salva, beninteso, la discrezionalità dell’amministrazione) qualora l’interessato dimostri, ad es., di poter custodire le armi in altro luogo idoneo, non accessibile da soggetti terzi.
4. – Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando, respinge l’appello (ricorso n. 1759/2011 RG in epigrafe).
Condanna l’appellante al pagamento, a favore della P.A. resistente e costituita, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 1.500,00 (Euro millecinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 25 marzo 2011, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/04/2011
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Troppe Armi ci sono in giro ed è ora che limitano il numero dei possessori quando si verificano casi come quello in sentenza che posto qui sotto.



N. 00596/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00675/1997 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 675 del 1997, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. OMISSIS, corso Garibaldi, ….;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Salerno, corso Vittorio Emanuele N.58; Prefettura Salerno;
per l’annullamento del decreto del Questore di Salerno 16 dicembre 1996 n. …../96 con il quale è stata disposto la revoca della licenza di porto di fucile ad uso caccia di cui il ricorrente era titolare.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2011 il dott. Antonio Onorato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame è stato impugnato il provvedimento emesso dal Questore di Salerno contenente la revoca della licenza per il porto di fucile per uso caccia in relazione alla particolare situazione del ricorrente che risulta interessato da un <procedimento penale per lesioni volontarie>.
Nei riguardi di tale provvedimento il sig. OMISSIS ha dedotto sostanzialmente i vizi di violazione degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S., di omessa, insufficiente e/o contradditoria motivazione.
Il ricorso è infondato.
Come ha più volte rilevato la giurisprudenza, l’art. 43, ult. comma, T.U. n. 73/1931 affida alla Autorità di P.S. un giudizio largamente discrezionale circa l’affidamento dato dal richiedente sull’uso dell’arma, che non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza.
In particolare, la legislazione in materia affida all’Autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d’arma e di divieto della detenzione stessa, in quanto la misura persegue la finalità di prevenire la commissione di reati e, in generale, di fatti lesivi della pubblica sicurezza.
Ne consegue che in base al quadro normativo di riferimento, il titolare della licenza di fucile e dell’autorizzazione a detenere armi, oltre a dover essere persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi, deve anche assicurare, non solo la sua sicura e personale affidabilità circa il buon uso, ma anche che non vi sia il pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali (T.A.R. Umbria Perugia 12 maggio 2005 n. 276; T.A.R. Lazio Roma, sez. I 1 febbraio 2006 n. 749; Cons. Stato sez. IV, 30 aprile 1999 n. 748 e 19 dicembre 1997 n. 1440; Consiglio Stato sez. VI 6 ottobre 2005 n. 5424).
Nella fattispecie in esame, le circostanze di fatto evidenziate dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato, quantunque non siano ancora sfociate in provvedimenti giurisdizionali e/o amministrativi, sono sicuramente sufficienti a delineare un quadro non del tutto tranquillizzante e, pertanto, inducono a dubitare dell’ affidabilità dell’interessato.
Tale constatazione di per sé rende pienamente giustificata revoca dell’ autorizzazione.
Al riguardo, giova anche ricordare che il porto di fucile e la facoltà di detenere armi, munizioni ed esplosivi non corrispondono a diritti il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, bensì ad un interesse reputato senz'altro cedevole a fronte del ragionevole sospetto o pericolo dell'abuso, interesse che non è dunque sufficiente a compensare rischi di sorta per l'incolumità pubblica.
Deve altresì evidenziarsi che la normativa – affidando alla Autorità di P.S. la formulazione di un giudizio di natura prognostica - intesta all’Amministrazione un potere di valutazione eminentemente discrezionale da esercitarsi appunto con prevalente riguardo all’interesse pubblico all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall'eventuale uso delle armi, in relazione alla condotta e all'affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse.
Quello di cui qui si discute è, dunque, un provvedimento fondato su apprezzamenti di pieno merito e perciò insindacabile in sede di legittimità se non sotto profili estrinseci (illogicità, travisamento o carenza di motivazione ).
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nelle misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione delle spese di giudizio che, comprensive di diritti, onorari ed altre competenze, sono liquidate in complessivi € 1.000 (mille).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Onorato, Presidente, Estensore
Sabato Guadagno, Consigliere
Ferdinando Minichini, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





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Il 04/04/2011
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Diniego di licenza per il porto d’armi. Ricorso straordinario al PDR ACCOLTO in quanto:

1)- L’Amministrazione sostiene la legittimità del provvedimento sulla base dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’archiviazione del procedimento penale per remissione di querela non impedisce di formulare una valutazione negativa sul querelato, poiché essa costituisce una causa di estinzione del reato, e non già un accertamento dei fatti e dell’innocenza del querelato.

2)- Tale principio va confermato, ma di per sé non giustifica il diniego del porto d’armi.
Infatti, un conto è non impedire una valutazione negativa sulla personalità del soggetto e sull’affidabilità all’uso delle armi, altro è fondarla.

3)- Più chiaramente: se il procedimento penale si estingue per remissione di querela, così come non può formularsi una valutazione di innocenza, non può neppure formularsi un giudizio di colpevolezza.

4)- Ciò è tanto più vero quando agli atti del procedimento penale vi siano solo la querela o le dichiarazioni della persona offesa, non potendosi ammettere che una qualunque valutazione negativa venga effettuata sulla sola base della versione fornita da una parte.

5)- D’altronde, sarebbe paradossale che l’indagato debba essere penalizzato dalla chiusura del procedimento penale – per il venir meno dell’atto che ne aveva determinato l’apertura – in una fase in cui lo stesso non abbia avuto ancora la possibilità di difendersi e confutare il racconto della presunta vittima.

6)- I fatti contestati al ricorrente, già fortemente ridimensionati in sede penale dalla stessa querelante, risalgono a quasi venti anni prima dell’istanza, il che impone maggior rigore nel loro esatto accertamento, onde comprendere se dagli stessi possa trarsi una prognosi sul soggetto valida anche a così notevole distanza di tempo.

Per completezza ecco l'intero giudizio che riguarda il cittadino.

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Numero 00868/2012 e data 24/02/2012

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 26 gennaio 2012

NUMERO AFFARE 00496/2011

OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor OMISSIS, per l’annullamento del decreto del Prefetto della provincia di Torino 22.04.2009 prot. n. ……/D, di rigetto del ricorso gerarchico avverso il provvedimento del Questore di Torino 29.09.2008 Cat. …/2008, avente ad oggetto diniego di licenza per il porto d’armi;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. …/PAS.18432-10100.A.81(58) del 27/01/2011 con la quale il Ministero dell'interno - dipartimento della pubblica sicurezza ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
Con il ricorso in epigrafe il signor OMISSIS domanda l’annullamento del decreto del Prefetto della provincia di Torino 22.04.2009 prot. n. …./D, di rigetto del ricorso gerarchico avverso il provvedimento del Questore di Torino 29.09.2008 Cat. ../2008 avente ad oggetto diniego di licenza per il porto d’armi.
A fondamento del ricorso deduce plurimi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il Ministero riferente ha concluso perché il ricorso sia respinto
CONSIDERATO:
Il provvedimento impugnato rigetta il ricorso gerarchico avverso il diniego di rilascio della licenza di porto di fucile ad uso caccia, sulla base dell’esistenza a carico dell’istante di una querela per maltrattamenti, ingiurie e percosse presentata l’1.11.1989 dalla ex-moglie, archiviata nel 1992 per essere intervenuta remissione.
A tale provvedimento il ricorrente muove le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 43 R.D. n. 733 del 1931, perché il giudizio relativo all’idoneità al porto d’armi deve essere complessivo, involgere cioè l’intera condotta di vita del soggetto, valutazione nella specie mancata;
2) carenza di istruttoria e travisamento dei fatti, poiché non sono stati adeguatamente considerati i fatti narrati nelle querele, quanto all’epoca, alla consistenza, alla veridicità;
3) difetto di motivazione e manifesta ingiustizia, poiché la motivazione del provvedimento impugnato si limita al mero richiamo del provvedimento di diniego;
4) violazione del diritto di difesa, non essendo stato il ricorrente sentito, pur avendone fatto richiesta.
Le censure, che vanno congiuntamente esaminate, sono fondate nei termini di seguito precisati.
L’Amministrazione sostiene la legittimità del provvedimento sulla base dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’archiviazione del procedimento penale per remissione di querela non impedisce di formulare una valutazione negativa sul querelato, poiché essa costituisce una causa di estinzione del reato, e non già un accertamento dei fatti e dell’innocenza del querelato.
Tale principio va confermato, ma di per sé non giustifica il diniego del porto d’armi.
Infatti, un conto è non impedire una valutazione negativa sulla personalità del soggetto e sull’affidabilità all’uso delle armi, altro è fondarla.
Più chiaramente: se il procedimento penale si estingue per remissione di querela, così come non può formularsi una valutazione di innocenza, non può neppure formularsi un giudizio di colpevolezza.
Né – come sembra opinare il Ministero riferente – la qualificazione giuridica dei fatti può bastare, atteso che la stessa indica l’ipotetica gravità della condotta dell’indagato, non se la stessa sia stata effettivamente tenuta.
Se il procedimento penale viene archiviato “in rito”, l’Autorità di P.S. non può non svolgere un autonomo accertamento sulla sussistenza dei fatti narrati in querela, con la differenza che cambia lo standard di prova, regolato non dal criterio del “oltre ogni ragionevole dubbio”, ma da quello del più “probabile che non”.
Ciò è tanto più vero quando agli atti del procedimento penale vi siano solo la querela o le dichiarazioni della persona offesa, non potendosi ammettere che una qualunque valutazione negativa venga effettuata sulla sola base della versione fornita da una parte.
D’altronde, sarebbe paradossale che l’indagato debba essere penalizzato dalla chiusura del procedimento penale – per il venir meno dell’atto che ne aveva determinato l’apertura – in una fase in cui lo stesso non abbia avuto ancora la possibilità di difendersi e confutare il racconto della presunta vittima.
Nel caso in esame tale autonomo accertamento non risulta compiuto, essendosi proceduto soltanto a valutare – peraltro del tutto genericamente – la memoria difensiva prodotta dall’interessato nel procedimento amministrativo. Si aggiunga che i fatti contestati al ricorrente, già fortemente ridimensionati in sede penale dalla stessa querelante, risalgono a quasi venti anni prima dell’istanza, il che impone maggior rigore nel loro esatto accertamento, onde comprendere se dagli stessi possa trarsi una prognosi sul soggetto valida anche a così notevole distanza di tempo.
Il ricorso, dunque, va accolto, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere accolto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giuseppe Barbagallo




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Diniego di rilascio del porto di pistola per difesa personale.

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11/05/2012 201005364 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 26/10/2011


Numero 02188/2012 e data 11/05/2012


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 26 ottobre 2011


NUMERO AFFARE 05364/2010

OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da OMISSIS, avverso il diniego di rilascio del porto di pistola per difesa personale;
LA SEZIONE
Vista la relazione …/PAS 2437.10100 a 76(15) del 11/11/2010, con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore consigliere Adolfo Metro;

Premesso:
Il ricorrente ha proposto ricorso avverso il decreto del Ministero dell'interno, che ha respinto la domanda volta ad ottenere il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale.

Lo stesso, che pratica l’allevamento di animali su terreni agricoli posti nel territorio di OMISSIS, pone a fondamento della richiesta il fatto di aver subito un furto nell'anno 2008 e che il porto di pistola gli sarebbe necessario per la guardiania del bestiame e, limitatamente alle ore notturne, per la difesa personale durante il percorso effettuato giornalmente, tra Siracusa, e la contrada di OMISSIS.

Il decreto ha motivato la reiezione della domanda sul fatto che il ricorrente non ha fornito dimostrazione dell'effettivo ed attuale bisogno di andare armato, come richiesto dall'art. 42 del T.U.L.P.S., non potendo ritenersi sufficiente a giustificare tale necessità, l'attività svolta dallo stesso quale allevatore di bestiame e coltivatore.

Considerato:

Il ricorso è infondato.

In base all'art. 42 ultimo comma del R.D. n. 773/31, (recante approvazione del Testo Unico sulle leggi di Pubblica sicurezza) “il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole”.

La giurisprudenza è orientata nel senso di fornire una interpretazione rigorosa e restrittiva della norma in esame, in quanto, nel nostro ordinamento, il regime generale è quello previsto dagli artt. 699 c.p. e 4, 1° co. della L. n. 110/75, che impongono il divieto, per tutti i soggetti, di portare armi e, di conseguenza, le autorizzazioni rilasciate dall'autorità di pubblica sicurezza costituiscono un'eccezione al divieto generale (C.S. n. 616/07).

In particolare, risulta consolidato l'orientamento secondo cui l'apprezzamento del “dimostrato bisogno” deve ritenersi altamente discrezionale e può essere sindacato dal giudice solo se ricorrono elementi di irrazionalità tali da far ritenere che la discrezionalità dell’Amministrazione sia trasmodata in arbitrio; inoltre, lo stato di “dimostrato bisogno” previsto dalla norma deve essere valutato in concreto, non potendo ritenersi sufficiente, a questi fini, l'appartenenza dell'interessato ad una determinata categoria professionale o lo svolgimento, da parte sua, di una specifica attività economica (C.S. n. 621/07).

Né l'Amministrazione può essere vincolata, nel giudizio, da sue precedenti determinazioni, atteso che queste possono essere rivalutate e modificate, sulla base di adeguata motivazione.

In considerazione di quanto esposto, risulta che l'Amministrazione, nel caso di specie, ha correttamente dato conto delle ragioni e delle circostanze che l'hanno determinata a rifiutare il possesso delle armi, atteso che il ricorrente non ha dimostrato di essere esposto, in concreto, a pericoli tali da giustificare la concessione della licenza richiesta, non sussistendo, come risulta anche dalla documentazione in atti, ed in particolare, dai rapporti forniti dalla locale autorità di P.S., situazioni di pericolo tali da giustificare la domanda stessa.
Il ricorso deve, di conseguenza, essere respinto.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Adolfo Metro Giuseppe Barbagallo




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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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1) - E' stato negato al ricorrente, Sovrintendente della Polizia di Stato, il rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale.

2) - Difatti, è pacifico in causa che un appartenente alla Polizia possa, se non debba, andare armato anche fuori dal servizio.

3) - Già questo implica, in sé e per sé, il riconoscimento della sussistenza di condizioni di pericolo insite nella natura stessa della funzione.

4) - Difatti, il D.M. n. 371/1994 prevede, del tutto razionalmente, che il porto di armi possa essere concesso, in esenzione d'imposta, anche dopo la cessazione dal servizio a coloro che, a causa della pregressa attività, possano trovarsi in condizioni di rischio.

5) - Così espressamente si riconosce, come osserva l’attenta difesa del ricorrente, che il servizio sia una causa di pericolo addirittura dopo la sua cessazione.

6) - Non si vede dunque come possa negarsi al ricorrente il porto, fuori dall'orario di servizio, di un'arma diversa di quella in dotazione (pistola Beretta cal. omissis).

7) - E’ poi utile osservare, solo per completezza (in assenza di censure sul tema), come appaia anche superfluo, alla luce della comune ragionevolezza, che un soggetto abilitato a portare le armi di ordinanza debba dotarsi di un’autorizzazione ulteriore rispetto al tesserino di riconoscimento per portare, fuori dal servizio, armi di tipo diverso, naturalmente fermo restando l’obbligo di denunciarne il possesso.

Il resto potete leggerlo in sentenza qui sotto. Ricorso Accolto.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

09/07/2012 201200259 Sentenza Breve 1


N. 00259/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00255/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 255 del 2012, proposto da:
D. P., rappresentato e difeso dall'avv. Maria Di Paolo, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Coaccioli in Perugia, piazza Alfani, 4;

contro
Ministero dell'Interno, Prefettura e Questura di Terni rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliati presso la stessa in Perugia, via degli Offici, 14;

per l'annullamento
del decreto della Prefettura di Terni prot. n. …… notificato in data 5 aprile 2012, con cui viene negato al ricorrente il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso personale e di qualsiasi altro atto a questo connesso, incluso quello, di cu non si conoscono gli estremi, e per quanto occorrer possa, con cui la Questura si è espressa sfavorevolmente sull'istanza di rinnovo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2012 il dott. Carlo Luigi Cardoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1- Con il provvedimento impugnato è stato negato al ricorrente, Sovrintendente della Polizia di Stato, il rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale.
Ciò perché non sono state ravvisate particolari condizioni di pericolo.

2- Nel ricorso si formulano censure di eccesso di potere e violazione di legge sostenendo, in estrema sintesi, il difetto e l’illogicità della motivazione considerando anche che il ricorrente è titolare di porto d’armi fin dal 1992.
L’Amministrazione si è costituita controdeducendo accuratamente.

3- Il Collegio ricorda come le valutazioni circa l'esistenza delle condizioni per il rilascio del porto d’armi siano ampiamente discrezionali e come tali impugnabili solo per vizi formali o manifesta illogicità.
In questa fattispecie si ravvisano i primi e la seconda.

4- Sotto il profilo formale, infatti, è carente la motivazione.
Invero, si afferma che non sussisterebbe un rischio per il ricorrente, allorché libero dal servizio, maggiore di quello che incombe sulla media degli operatori di Polizia.
Nulla si dice però per quali ragioni sia mutato l'orientamento dell'Amministrazione dopo circa vent’anni durante i quali analoghe richieste sono state continuamente accolte.
Già questo è sufficiente per accogliere il ricorso.

5- E’ però proficuo rilevare che la motivazione dell’atto è anche manifestamente illogica.
Difatti, è pacifico in causa che un appartenente alla Polizia possa, se non debba, andare armato anche fuori dal servizio.
Già questo implica, in sé e per sé, il riconoscimento della sussistenza di condizioni di pericolo insite nella natura stessa della funzione.

6- Difatti, il D.M. n. 371/1994 prevede, del tutto razionalmente, che il porto di armi possa essere concesso, in esenzione d'imposta, anche dopo la cessazione dal servizio a coloro che, a causa della pregressa attività, possano trovarsi in condizioni di rischio.
Così espressamente si riconosce, come osserva l’attenta difesa del ricorrente, che il servizio sia una causa di pericolo addirittura dopo la sua cessazione.
Non si vede dunque come possa negarsi al ricorrente il porto, fuori dall'orario di servizio, di un'arma diversa di quella in dotazione (pistola Beretta cal. omissis).

7- Ciò, indipendentemente dalla circolare del Ministero dell'Interno n. 557 del 31 maggio 2006, non impugnata, per la quale il prestare servizio nelle Forze di Polizia non costituirebbe in sé e per sé una motivazione sufficiente per il rilascio del porto d’armi.
Difatti, le circolari si profilano, com’è noto, quali norme di azione e non di relazione per cui non sono idonee ad incidere sulle posizioni giuridiche dei cittadini.

8- E’ poi utile osservare, solo per completezza (in assenza di censure sul tema), come appaia anche superfluo, alla luce della comune ragionevolezza, che un soggetto abilitato a portare le armi di ordinanza debba dotarsi di un’autorizzazione ulteriore rispetto al tesserino di riconoscimento per portare, fuori dal servizio, armi di tipo diverso, naturalmente fermo restando l’obbligo di denunciarne il possesso.

9- Si soggiunge inoltre, in base alla comune esperienza, che la menzionata pistola Beretta, pur di grande pregio per affidabilità, volume di fuoco, semplicità e versatilità, è di dimensioni tali da renderne quasi impossibile il porto occulto, soprattutto con abiti estivi.
Ne discende che, a ben vedere, l'interesse del ricorrente coincida di fatto con quello dell'Amministrazione poiché l’accoglimento dell’istanza in questione, consente, sostanzialmente, di colmare una lacuna (la carenza di un’arma occultabile) nell'armamento di ordinanza.

10- Infine, il provvedimento appare illogico anche perché limita senza ragioni plausibili le possibilità di difesa di un cittadino sicuramente affidabile (si tratta di un membro della Polizia), per di più in un contesto regionale che, è fatto notorio, in passato era dominato dalla cultura della legalità mentre ora è devastato dal crimine.

11- Per tutte le ragioni sin qui espresse, il ricorso deve essere accolto con l’assorbimento dell’esame di ogni ulteriore profilo di censura, attesa la natura d’antecedente logico di quelle accolte.
Il provvedimento viene dunque annullato, dal che discende l'obbligo per l'Amministrazione di valutare nuovamente l’istanza in questione con la massima sollecitudine (trattandosi di difesa personale) e conformandosi alla presente Sentenza.

Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione dell’opacità, a dir poco, del quadro legislativo (in senso formale e materiale) di riferimento.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria
definitivamente pronunciando
- accoglie il ricorso
- compensa le spese del giudizio
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2012 con l'intervento dei Magistrati:
Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Diniego rinnovo licenza porto di fucile per uso caccia. Art. 11, 39 e 43 T.u.l.p.s.

1) - Motivato con riferimento all’art. 43, t.u.l.p.s. ed alla circostanza che l’interessato nel 1998 ha riportato una sentenza penale “patteggiata” per il reato di lesioni personali (non colpose) omissis.

2) - Nella motivazione si dava atto altresì che: (a) il reato risulta estinto ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., e che tale evento, che si produce ope legis, viene equiparato alla riabilitazione.

Il Consiglio di Stato nell'accogliere il ricorso in Appello riferisce:

1) - Ciò premesso, si può mettere a confronto il testo dell’art. 11 con quello dell’art. 43. Appare evidente che il primo prevede alcune fattispecie tipiche come tassativamente ostative del rilascio della licenza di p.s.; il secondo aggiunge altre fattispecie tipiche, estranee all’art. 11. Ad avviso di questo Collegio, la differenza fra i due articoli consiste essenzialmente in ciò, ossia nella maggiore ampiezza dell’elenco dei reati ostativi.

Il resto potete leggerlo in sentenza.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

N. 04731/2012REG.PROV.COLL.
N. 05510/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5510 del 2012, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Pafundi, Andrea Campanile, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;

contro
Ministero dell'Interno, Questura di Genova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 00287/2012, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo licenza porto di fucile per uso caccia

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Genova;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 agosto 2012 il Cons. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Pafundi e l’avvocato dello Stato Galluzzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario del provvedimento del Questore di Genova, in data 22 settembre 2011, con il quale gli è stato negato il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso di caccia.

Il provvedimento era motivato con riferimento all’art. 43, t.u.l.p.s. ed alla circostanza che l’interessato nel 1998 ha riportato una sentenza penale “patteggiata” per il reato di lesioni personali (non colpose) omissis.

Nella motivazione si dava atto altresì che: (a) il reato risulta estinto ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., e che tale evento, che si produce ope legis, viene equiparato alla riabilitazione; (b) in considerazione di quanto ora detto, la licenza era stata sinora più volte rinnovata all’interessato; (c) nondimeno la Questura riteneva legittimo e doveroso negare l’ulteriore rinnovo richiesto in considerazione del disposto imperativo e tassativo dell’art. 43, t.u.l.p.s., alla luce del quale risultano irrilevanti sia la sopravvenuta riabilitazione, sia il diverso orientamento interpretativo prima adottato dalla medesima Questura.

Il provvedimento cita diversi autorevoli pareri istituzionali a sostegno del nuovo orientamento interpretativo, contrastante con i precedenti concernenti il medesimo soggetto.

2. L’interessato ha proposto ricorso davanti al T.A.R. Liguria; quest’ultimo ha respinto il ricorso nel merito dopo avere accolto la domanda cautelare.

L’interessato propone ora appello davanti a questo Consiglio.

In occasione della trattazione della domanda cautelare, il Collegio ritiene di poter definire immediatamente la controversia.

3. Conviene notare che la presente controversia si concentra intorno ad una questione di puro diritto e di massima: e cioè se l’art. 43 t.u.l.p.s. debba essere interpretato nel senso che i reati ivi indicati sono in ogni caso tassativamente ostativi al rilascio della licenza di porto d’armi, esclusa la possibilità di ogni valutazione discrezionale più favorevole, ancorché sia intervenuta la riabilitazione.

Assume una certa rilevanza, ai fini della soluzione di tale questione, il confronto con altre due disposizioni dello stesso t.u.l.p.s., e cioè l’art. 11 (il quale vieta il rilascio della generalità delle licenze di p.s. a chi abbia riportato determinati precedenti penali, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione) e l’art. 39 (a norma del quale «il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi (...) alle persone ritenute capaci di abusarne».

Vi sono dunque due disposizioni (l’art. 11, e l’art. 43 ora in esame) che contengono un divieto di rilascio delle licenze in presenza di taluni precedenti penali; e vi è una disposizione (l’art. 39) che attribuisce una facoltà ampiamente discrezionale, svincolata da qualsivoglia fattispecie tipica (l’autorità emanante può assumere come motivazione del divieto anche comportamenti non qualificabili penalmente, anzi pure circostanze di fatto non addebitabili al soggetto interessato). L’art. 39 funge da norma residuale e di chiusura; consente all’autorità di adottare le misure appropriate a tutela dell’incolumità pubblica secondo il suo ragionevole apprezzamento, senza bisogno di dover ricorrere all’applicazione degli artt. 11 e 43 quante volte sia dubbia la presenza dei presupposti indicati da queste ultime disposizioni.

4. Ciò premesso, si può mettere a confronto il testo dell’art. 11 con quello dell’art. 43. Appare evidente che il primo prevede alcune fattispecie tipiche come tassativamente ostative del rilascio della licenza di p.s.; il secondo aggiunge altre fattispecie tipiche, estranee all’art. 11. Ad avviso di questo Collegio, la differenza fra i due articoli consiste essenzialmente in ciò, ossia nella maggiore ampiezza dell’elenco dei reati ostativi.

Non sembra invece significativo il fatto che l’art. 43, a differenza dell’art. 11, non faccia menzione della riabilitazione come evento che fa venir meno il regime di divieto. Al contrario, attribuire rilevanza a questa (apparente) differenza testuale può portare a risultati scarsamente razionali: infatti, dovendosi interpretare l’art. 43 alla lettera, il regime di maggior severità sarebbe limitato ai reati indicati nello stesso art. 43, e non si applicherebbe a fattispecie (in ipotesi, anche molto più gravi) riconducibili solo alla previsione dell’art. 11.

5. Alle stesse conclusioni, questa Sezione è già pervenuta con la sentenza n. 3842, cui si può fare pieno richiamo.

6. Come si è già detto, se nella fattispecie non si ritiene applicabile l’art. 43, stante che l’interessato ha conseguito la riabilitazione in sede penale, ciò non esclude che l’amministrazione possa procedere secondo l’art. 39, beninteso qualora ne ravvisi gli estremi valutando la situazione complessiva con ragionevole discrezionalità.

6. In conclusione, l’appello deve essere accolto e in riforma della sentenza appellata deve essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l 'appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 agosto 2012 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/09/2012
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Rigetto rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale ex CC.

1) - l’ultimo comma dell’art. 42 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, recante il testo unico delle legge di pubblica sicurezza, costituisce deroga al generale divieto, conferendo al prefetto la facoltà di rilasciare licenza di portare un’arma; detta facoltà è peraltro specificamente limitata ai casi di “dimostrato bisogno”, il quale dev’essere connotato dai requisiti della certezza e dell’assolutezza, idonei a consentire la deroga.

2) - Appare sin troppo evidente che la sussistenza di siffatto bisogno di circolare armati dev’essere sottoposta a una rigorosa verifica da parte dell’autorità competente, sia in fase di primo rilascio che in quelle di richiesta di rinnovo, dovendosi escludere che le precedenti autorizzazioni possano comportare un affievolimento dell’attività di controllo sulla sussistenza attuale delle condizioni in sede di rinnovo.

3) - Nel caso in esame, sulla base degli atti acquisiti, si evince che il provvedimento impugnato non è stato adottato sulla base delle mutate condizioni soggettive dell’interessato, bensì in ragione della mancata dimostrazione del bisogno attuale di circolare armato.

4) - La prefettura ha sottolineato che le motivazioni esposte dal sig. OMISSIS nell’originaria richiesta di rilascio del porto di pistola per difesa personale, non possono considerarsi più attuali, dato che l’ampio periodo temporale trascorso dalla data del congedo - oltre 12 anni - ha fatto venir meno l’esigenza di autodifesa dovuta ai pregressi compiti a lui affidati.

Il resto potete leggerlo nel parere espresso dal CdS a seguito del ricorso straordinario al PRD.

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26/09/2012 201104755 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 11/07/2012


Numero 04072/2012 e data 26/09/2012


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 11 luglio 2012

NUMERO AFFARE 04755/2011
OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor OMISSIS e residente a Reggio Emilia, per l’annullamento del decreto ministeriale 8 settembre 2010 n. 557/PAS 7559.10100.A.68, notificatogli il 28 ottobre 2010, di rigetto del suo ricorso gerarchico contro il provvedimento 12 gennaio 2010 n. 584, con il quale il prefetto di Reggio Emilia ha respinto la sua istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale.

LA SEZIONE
vista la relazione 19 ottobre 2011 prot. n. 557/PAS/E/007094/10100.A.68 con la quale il ministero dell’interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario indicato in oggetto;
visto il ricorso, spedito alla presidenza della repubblica il 7 gennaio 2011;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Nicola Russo.

Premesso:
Con decreto del 22 gennaio 2010 il prefetto di Reggio Emilia ha respinto l’istanza di rinnovo di porto di pistola presentata dal signor OMISSIS, sottufficiale dei carabinieri in congedo dall’1 gennaio 1997, con la motivazione che il richiedente non aveva dimostrato il bisogno concreto e attuale di circolare armato. Il ricorso gerarchico contro il provvedimento è stato respinto dal ministero. Con il ricorso straordinario in esame il signor OMISSIS ha impugnato il diniego, deducendo le censure di eccesso di potere per difetto e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti, carenza d’istruttoria. Ripropone la giustificazione già posta a fondamento della domanda di porto d’armi, che per l’attività svolta potrebbe incorrere nella vendetta, anche postuma, di qualche malvivente, tra i tanti che nella sua lunga carriera ha assicurato alla giustizia.
Il ministero nella relazione conclude per l’infondatezza del ricorso.

Considerato:
Occorre premettere che il nostro ordinamento è chiaramente orientato al divieto di portare armi senza giustificati motivi, la valutazione dei quali è affidata esclusivamente all’autorità competente, sentita l’autorità di pubblica sicurezza.

In tale ottica, l’ultimo comma dell’art. 42 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, recante il testo unico delle legge di pubblica sicurezza, costituisce deroga al generale divieto, conferendo al prefetto la facoltà di rilasciare licenza di portare un’arma; detta facoltà è peraltro specificamente limitata ai casi di “dimostrato bisogno”, il quale dev’essere connotato dai requisiti della certezza e dell’assolutezza, idonei a consentire la deroga.

Appare sin troppo evidente che la sussistenza di siffatto bisogno di circolare armati dev’essere sottoposta a una rigorosa verifica da parte dell’autorità competente, sia in fase di primo rilascio che in quelle di richiesta di rinnovo, dovendosi escludere che le precedenti autorizzazioni possano comportare un affievolimento dell’attività di controllo sulla sussistenza attuale delle condizioni in sede di rinnovo.

Tale premessa comporta che l’Autorità competente gode di amplissima discrezionalità, sindacabile soltanto sotto il profilo dell’illogicità ed irrazionalità o assoluta mancanza della motivazione.

Nel caso in esame, sulla base degli atti acquisiti, si evince che il provvedimento impugnato non è stato adottato sulla base delle mutate condizioni soggettive dell’interessato, bensì in ragione della mancata dimostrazione del bisogno attuale di circolare armato. La prefettura ha sottolineato che le motivazioni esposte dal sig. OMISSIS nell’originaria richiesta di rilascio del porto di pistola per difesa personale, non possono considerarsi più attuali, dato che l’ampio periodo temporale trascorso dalla data del congedo - oltre 12 anni - ha fatto venir meno l’esigenza di autodifesa dovuta ai pregressi compiti a lui affidati. Del resto, il signor OMISSIS non risulta aver mai subito minacce o intimidazioni e, peraltro, non ha portato a sostegno della sua richiesta altre motivazioni che possano legittimare la necessità di rinnovo del titolo di polizia; e lo stesso comando provinciale dei carabinieri di Reggio Emilia, interpellato in merito all’esigenza rappresentata dal sig. OMISSIS, si è espresso negativamente per ben due volte, con note del 7.11.2009 e 7.4.2010, sulla concessione della suddetta autorizzazione.
Per le suesposte considerazioni si ritiene, pertanto, che il ricorso debba essere respinto.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Nicola Russo Raffaele Carboni




IL SEGRETARIO
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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Altro ricorso straordinario al PDR negativo relativo al M.llo CC.

Diniego di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale.

Ecco alcuni passaggi per riflettere:

1) - il Prefetto di Perugia respingeva l’istanza del ricorrente tesa ad ottenere il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, nella considerazione che il ricorrente non avesse sufficientemente dimostrato il bisogno di andare armato per esigenze di difesa personale, non potendosi ritenere elemento sufficiente alla dimostrazione di tale necessità l’esigenza di usufruire di arma diversa da quella in dotazione, quale Maresciallo Capo dell’Arma dei Carabinieri.

2) - In proposito, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza, la valutazione discrezionale del bisogno o meno di disporre di un’arma per difesa personale, suffragata da adeguate circostanze di fatto, ha ragion d’essere anche se il richiedente appartenga alle forze dell’ordine (Cons. St., Sez. I, parere n. 2874/92 del 16 febbraio 1994), anzi a maggior ragione qualora l’interessato già disponga di un’arma quale quella di ordinanza (Cons. St., Sez. I, parere n. 121/99 del 16 giugno 1999).

3) - Nella fattispecie in questione, il Prefetto di Perugia, sulla base delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che l’attività svolta dal sig. OMISSIS non costituisse di per sé condizione sufficiente per ottenere il rilascio dell’autorizzazione, in mancanza di precisi elementi che dimostrino lo specifico e attuale rischio per la propria incolumità fisica. Ciò, nella considerazione che l’interessato può far fronte alle eventuali situazioni di pericolo con la pistola d’ordinanza, la quale oltre ad essere a sua disposizione permanentemente, è anche pienamente soddisfacente, per caratteristiche tecnico-balistiche, per le esigenze di difesa personale.

Per il resto potete leggere qui sotto.

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28/12/2012 201104738 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 07/11/2012


Numero 05604/2012 e data 28/12/2012


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 7 novembre 2012

NUMERO AFFARE 04738/2011

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto, con presentazione diretta ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da OMISSIS;
avverso il provvedimento di diniego di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale.
LA SEZIONE
Vista la relazione prot. n. 557/PAS/U/021536/10100 del 01/10/2012 con la quale il Ministero dell’interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Nicola Russo;

Premesso:
Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica spedito in data 12 luglio 2010, il sig. OMISSIS ha impugnato il provvedimento, adottato dal Prefetto di Perugia, di diniego del rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, a seguito del silenzio rigetto formatosi sul ricorso gerarchico proposto dal medesimo.

In fatto si premette quanto segue.

Con decreto n. OMISSIS del 4 novembre 2009, notificato in data 2 febbraio 2010, il Prefetto di Perugia respingeva l’istanza del ricorrente tesa ad ottenere il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, nella considerazione che il ricorrente non avesse sufficientemente dimostrato il bisogno di andare armato per esigenze di difesa personale, non potendosi ritenere elemento sufficiente alla dimostrazione di tale necessità l’esigenza di usufruire di arma diversa da quella in dotazione, quale Maresciallo Capo dell’Arma dei Carabinieri.

Avverso il predetto provvedimento, l’interessato proponeva ricorso gerarchico in data 26 febbraio 2010, sul quale, in data 27 maggio 2010, si formava il silenzio rigetto, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971.

Il Ministro dell’Interno emetteva, in data 5 ottobre 2010, il decreto di reiezione del predetto ricorso gerarchico.

L’interessato, avverso il provvedimento di diniego del rilascio della licenza in questione, nelle more della decisione del ricorso gerarchico, ha presentato il presente ricorso straordinario, deducendo i vizi di difetto d’istruttoria, difetto di motivazione, e di eccesso di potere per illogicità manifesta, sviamento e violazione del procedimento.

Il Ministero riferente, sulla scorta delle controdeduzioni fornite dalla Prefettura di Perugia, ha concluso per il rigetto del ricorso per infondatezza nel merito delle censure con lo stesso avanzate.

Considerato:
Premessa l’ammissibilità del presente gravame, diretto avverso il provvedimento della Prefettura di Perugia di diniego di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, diventato definitivo a seguito della formazione del silenzio rigetto sul ricorso gerarchico - laddove la decisione tardiva (emessa dall’Amministrazione in data 5 ottobre 2010) di rigetto del ricorso gerarchico non determina la cessazione della materia del contendere, ma abilita unicamente il ricorrente alla proposizione di eventuali motivi aggiunti (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 27 novembre 1989, n. 16 e 4 dicembre 1989, n. 17; Cons. St., Sez. VI, 19 luglio 1999, n. 971) - il ricorso è, tuttavia, infondato nel merito.

Come, infatti, correttamente argomentato dal Ministero resistente, il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, nell’assetto normativo vigente, è ispirato a criteri ampiamente discrezionali ed è assai limitato, a tutela dell’incolumità e sicurezza pubblica.

Con particolare riferimento alla licenza di porto d’armi, l’art. 42 del T.U.L.P.S. n. 773/1931 dispone che è nella facoltà del Prefetto di concedere la licenza di portare una pistola “in caso di dimostrato bisogno”, indipendentemente dalla presenza di altri requisiti personali o dall’assenza di motivi ostativi (art 43 del predetto T.U.L.P.S.).

In proposito, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza, la valutazione discrezionale del bisogno o meno di disporre di un’arma per difesa personale, suffragata da adeguate circostanze di fatto, ha ragion d’essere anche se il richiedente appartenga alle forze dell’ordine (Cons. St., Sez. I, parere n. 2874/92 del 16 febbraio 1994), anzi a maggior ragione qualora l’interessato già disponga di un’arma quale quella di ordinanza (Cons. St., Sez. I, parere n. 121/99 del 16 giugno 1999).

Nella fattispecie in questione, il Prefetto di Perugia, sulla base delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che l’attività svolta dal sig. OMISSIS non costituisse di per sé condizione sufficiente per ottenere il rilascio dell’autorizzazione, in mancanza di precisi elementi che dimostrino lo specifico e attuale rischio per la propria incolumità fisica. Ciò, nella considerazione che l’interessato può far fronte alle eventuali situazioni di pericolo con la pistola d’ordinanza, la quale oltre ad essere a sua disposizione permanentemente, è anche pienamente soddisfacente, per caratteristiche tecnico-balistiche, per le esigenze di difesa personale.

Del resto, lo stesso Comando Provinciale Legione Carabinieri di Perugia, interpellato in merito all’esigenza rappresentata dall’odierno ricorrente, si è espresso negativamente ai fini della concessione della suddetta autorizzazione, “non rivestendo il maresciallo OMISSIS particolari qualifiche o soggetto a situazioni al di fuori della norma che comportino la necessità di una seconda arma per difesa personale”.

Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, si ritiene che il ricorso in esame sia da respingere.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicola Russo Francesco D'Ottavi




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Circolare del Ministero dell’interno n. 5557/PAS.8121-10100 del 21/05/2006.

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N. 00045/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00195/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 195 del 2011, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. omissis;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Perugia, via degli Offici, 14;
per l'annullamento:
- del Decreto emesso in data 09 Febbraio 2011 dal Prefetto di Terni (prot. n. ……) con il quale veniva respinta domanda di rinnovo del porto d’armi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2012 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
L’attuale ricorrente, in quanto ………… dell’Arma dei Carabinieri, presentava, nel corso del 16 Gennaio 2010, istanza di rinnovo del porto d’armi per difesa personale.
Dall’esame degli atti risulta che il Commissario di Pubblica Sicurezza di ........, ricevuta l’istanza di cui si tratta, avesse riferito alla Prefettura come non emergessero elementi ostativi al rinnovo del porto d’armi di cui si tratta.
Analogo parere favorevole veniva rilasciato dal Comandante della Compagnia Carabinieri di ..........
Malgrado detti pareri favorevoli, in data 09 Febbraio 2010, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Terni affermava come non sussistessero particolari motivi che giustificassero un effettivo e concreto bisogno di porto d’armi, così come previsto dalla Circolare del Ministero dell’interno n. 5557/PAS.8121-10100 del 21/05/2006.
In data 04 Marzo 2010 la Prefettura di Terni comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241/90, l’esistenza di elementi ostativi che impedivano l’accoglimento dell’istanza, motivi in relazione ai quali il ricorrente presentava le proprie controdeduzioni.
In data 17 febbraio 2011 il Commissario di Pubblica Sicurezza di .......... notificava il Decreto emesso in data 09 Febbraio 2011 dal Prefetto di Terni (prot. n. …….) con il quale veniva respinta domanda di rinnovo porto d’armi, provvedimento impugnato con la presentazione del ricorso ora sottoposto all’esame di questo Collegio.
Nell’ambito dello stesso ricorso l’attuale ricorrente sosteneva il venire in essere di una violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), non essendovi stata una sufficiente valutazione delle situazioni che lo esporrebbero a pericolo e, ciò, unitamente ad un difetto di motivazione del provvedimento impugnato, rilevando come la prefettura di Terni avesse respinto l’istanza di rinnovo di porto di pistola per uso personale sia, in considerazione dell’inesistenza di “in un reale e concreto pericolo per la propria incolumità” sia, in contraddizione a precedenti provvedimenti in cui detto rinnovo era stato concesso.
Il ricorrente sosteneva ancora il venire in essere di un eccesso di potere sottolineando la circostanza in base alla detto porto d’armi era stato concesso a partire dal 1998 e da allora sempre rinnovato.
Si costituiva il Ministero dell’Interno che rilevava come risultasse indimostrato la sussistenza del “dimostrato bisogno” e, in ciò, anche considerando come il ricorrente era stato autorizzato a portare la pistola d’ordinanza anche per esigenze di difesa personale e, nel contempo, come lo stesso si fosse rifiutato di portare una diversa arma più occultabile.
La stessa Amministrazione rilevava come non vi sarebbe nemmeno l’eccesso di potere in quanto non sarebbe stata dimostrata l’esposizione ad un rischio particolare.
All'udienza del 19 dicembre 2012, uditi i procuratori delle parti e precisate le rispettive conclusioni, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO
Il ricorso è infondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
1. Con riferimento al primo motivo va rilevato come, nel ricorso, si deduca la sussistenza del “dimostrato bisogno”, presupposto, ai sensi dell’art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS) per l’ottenimento del permesso di cui si tratta e, ciò, in considerazione del servizio prestato dal 1999 al 2003 presso la Direzione centrale dei Servizi ………..
In conseguenza di detti servizi svolti in precedenza il ricorrente rileva il compimento di incarichi particolarmente delicati in ragione dei quali gli era stato accordato il porto d’arma per uso personale.
La tesi del ricorrente non può essere condivisa.
2. L’orientamento giurisprudenziale prevalente, qualifica il potere del Prefetto di concedere il porto d’armi per uso personale quale esercizio di un potere discrezionale (Cons. di Stato Sez. VI, sent. n. 2536 del 21-05-2007), potere pertanto soggetto ad un sindacato di manifesta irrazionalità o irragionevolezza e, nel concreto, diretto ad “apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, per le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l'ordine e la sicurezza pubblica (Cons. di Stato Sez. VI, sent. n. 1925 del 06-04-2010 e T.A.R. Emilia-Romagna Parma Sez. I, 30-03-2012, n. 134)”.
2.1 In considerazione di tale contemperamento di esigenze l'art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, dopo aver disposto il divieto di portare fuori dalla propria abitazione armi ed altri strumenti impropri di offesa, attribuisce al Prefetto la facoltà di rilasciare licenza di porto d'armi "in caso di dimostrato bisogno". Il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, pertanto, non costituisce una mera autorizzazione di polizia che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, ma configura un provvedimento con contenuto permissivo in deroga al generale divieto per il cittadino di portare armi.
2.2 E’, allora, evidente che, al fine di superare tale generale divieto, costituisce onere dell’istante quello di dimostrare quelle particolari esigenze che determinano la necessità di munirsi dell'arma, così costituendo motivata eccezione alla generale regola rappresentata dal suddetto divieto (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 29-06-2011, n. 939).
3. Alcune più recenti pronunce hanno affermato che la sussistenza del presupposto del "dimostrato bisogno" (ai sensi dell'art. 42 R.D. n. 773 del 1931 - TULPS) deve essere sottoposta ad una rigorosa disamina sia in fase di primo rilascio che in quelle eventuali di richiesta di rinnovo, dovendosi escludere che le precedenti autorizzazioni possano comportare un affievolimento dell'attività di controllo sulla sussistenza delle condizioni in sede di rinnovo (T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 27-02-2012, n. 403).
3.1 Altre pronunce hanno circoscritto ad ipotesi eccezionali, espressamente comprovate, l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 42 sopra citato, rilevando che “la concessione di un porto d'armi costituisce pur sempre un'eccezione. L'arma per difesa personale deve essere una necessità reale e non un'opzione personale per situazioni meramente ipotetiche; quando l'art. 42, comma 3, TULPS (R.D. n. 773/1931), concede all'Autorità la facoltà di autorizzare il porto d'armi, il presupposto cogente è il "dimostrato bisogno" per potere beneficiare di un'eccezione; in tale contesto, l'Amministrazione non sarebbe neppure tenuta a motivare la "non necessità", dovendosi limitare a considerare soli i dati allegati, se concreti e sufficienti (T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 04-01-2012, n. 4).
4. Il requisito del “dimostrato bisogno” è, allora, requisito che deve essere dimostrato in concreto, dovendosi analizzare l’attività dell’istante e verificare se lo svolgimento di detta attività integra il corretto esercizio del potere discrezionale, nei limiti in cui esso è sindacabile.
5. Sulla base di quanto premesso è evidente la legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione.
Il ricorrente riconduce, infatti, la situazione di pericolo alla circostanza di aver svolto dal 1999 al 2003 presso la Direzione Centrale per i servizi ………. e, ciò, unitamente allo svolgimento delle attività ordinarie che l’avrebbe portato ad essere esposto a minacce ed intimidazioni.
5.1 Per quanto riguarda l’attività pregressa deve ritenersi come quest’ultima sia del tutto inidonea a giustificare una situazione di reale pericolo e, ciò, nell’indimostrata ipotesi (indimostrata nel caso di specie) che le trascorse attività non siano suscettibili di integrare l’attuale, concreto ed effettivo, “dimostrato bisogno” di cui si tratta.
6. Per quanto riguarda le situazioni “attuali” dedotte a fondamento dell’istanza di cui si tratta va rilevato come sia la stessa Amministrazione a rilevare come le situazioni di pericolo prospettate non siano diverse da quelle proprie di altre Forze Armate e, ciò, unitamente alla circostanza, relativa sempre al caso specifico, in base alla quale lo stesso ricorrente era stato già autorizzato a portare la pistola d’ordinanza per esigenze di difesa personale così come previsto dalla Circolare n. 557/PA.8121-10100A.
Deve inoltre, evidenziarsi come lo stesso ricorrente, al di là di mere affermazioni di principio, non abbia dimostrato l’esistenza dei presupposti di cui si tratta, essendo al contrario presumibile, quanto affermato dall’Amministrazione, laddove si è evidenziato che le circostanze a cui il ricorrente ricollega l’esistenza di un concreto pericolo siano riferite allo svolgimento della normale attività di polizia.
6.1 Si consideri, ancora, come al fine di ovviare all’obiezione in base alla quale la pistola d’ordinanza veniva ritenuta difficilmente occultabile nei periodi estivi, si era autorizzato il ricorrente ad utilizzare un diverso revolver, proposta quest’ultima rifiutata dallo stesso ricorrente.
Il motivo è pertanto infondato.
7. E’, altresì, infondato il secondo motivo alla base del ricorso mediante il quale il ricorrente riconduce l’illegittimità dell’atto impugnato all’insussistenza, tra i requisiti di legge, della nozione di “concreto e reale pericolo” per l’incolumità personale di cui viene fatta menzione nella motivazione del provvedimento impugnato.
Come già ricordato l’art. 42 sopra citato, nel consentire una deroga al divieto di portare armi per difesa personale, riconduce il fondamento di detta deroga all’esistenza di una comprovata necessità, reale ed effettiva e, in ciò, interpretando la nozione del presupposto del "dimostrato bisogno" di cui allo stesso art. 42.
7.1 L'istanza volta ad ottenere il rilascio di licenza di porto d'armi per difesa personale deve, quindi, essere vagliata non già in astratto, ma in concreto.
Ne consegue che non è sufficiente considerare la tipologia di mansioni istituzionalmente espletate dall'istante, essendo necessario che emergano circostanze concrete attestanti un attuale ed effettivo pericolo per l'incolumità personale.
Si consideri ancora come il D.L. n. 371/1994 subordina, espressamente, l’emanazione della licenza del porto d’armi di cui all’art. 42, in esenzione della tassa di concessione governativa, nei confronti di quei soggetti che risultino esposti a grave rischio per l’incolumità personale.
7.2 E’ pertanto evidente come la nozione di “concreto e reale pericolo”, non solo costituisca una specificazione del “dimostrato bisogno”, ma costituisca l’espressione di precise disposizioni legislative dirette a consentire l’attuazione dell’art. 42 del TULPS.
Il ricorso è pertanto infondato e va respinto.
La peculiarità della fattispecie trattata consente di compensare le spese di lite tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo Respinge così come precisato in parte motiva.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 19 Dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente
Paolo Amovilli, Referendario
Giovanni Ricchiuto, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2013
panorama
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Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro

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mancato accoglimento richiesta rinnovo del porto di pistola al CC. per la difesa personale

Ricorso in Appello respinto.

Il resto leggetelo qui sotto.

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N. 01052/2013REG.PROV.COLL.
N. 00703/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 703 del 2013, proposto da:
M. C., rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore Alberto Romano, Giancarlo Tarquini, con domicilio eletto presso Salvatore Alberto Romano in Roma, viale XXI Aprile, 11;

contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00324/2012, resa tra le parti, concernente mancato accoglimento richiesta rinnovo del porto di pistola per la difesa personale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2013 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Tarquini e l’avvocato dello Stato Barbieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. 1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, ha chiesto al Prefetto di Reggio Emilia il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale.

La richiesta era formulata con riferimento all’art. 42. t.u.l.p.s. (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) a norma del quale il Prefetto può concedere il porto di pistola «in caso di dimostrato bisogno».

Ma il Prefetto l’ha respinta, non ravvisando in concreto esigenze di difesa personale tanto apprezzabili da integrare il “dimostrato bisogno” richiesto dalla legge.

2. L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Emilia Romagna, sezione di Parma, esponendo che nella sua istanza aveva rappresentato di avere fondati timori per la propria incolumità personale, in ragione della sua pregressa attività di sottufficiale dell’Arma dei carabinieri che aveva comportato lo svolgimento di indagini nei confronti della criminalità organizzata; attività cessata per effetto del congedo nel 1999 ma seguìta da una (OMISSIS) , con la stessa Arma. La licenza di porto di pistola per difesa personale è stata sempre concessa all’interessato, e solo da ultimo alla sua richiesta di rinnovo è stato opposto un diniego.

Oltre a ciò, non risultano a suo carico episodi da cui si possa desumere una ridotta affidabilità riguardo all’uso lecito delle armi.

3. Il T.A.R. Parma ha respinto il ricorso, con una motivazione che in sintesi fa riferimento alla responsabile discrezionalità esercitata dal Prefetto in questa materia.

L’interessato ha proposto appello davanti a questo Consiglio.

In sede di trattazione della domanda cautelare, sentite le parti il Collegio ritiene di poter definire immediatamente la controversia.

4. Il Collegio ritiene che la sentenza del T.A.R. meriti di essere confermata.

4.1. Com’è noto, in materia di armi la disciplina di pubblica sicurezza distingue fra la semplice detenzione di armi (che non abbisogna di licenza, purché le armi siano denunciate e opportunamente custodite: art. 38 t.u.l.p.s.), e il porto (per il quale occorre licenza: art. 42).

Nondimeno la detenzione di armi può essere vietata «alle persone ritenute capaci di abusarne» (art. 39, t.u.l.p.s.); la licenza di porto d’armi può (o deve) essere negata a chi abbia determinati precedenti penali o non abbia buona condotta (artt. 11 e 43, t.u.l.p.s.). Inoltre il rilascio della licenza di porto d’armi è rimesso alla discrezione dell’autorità (l’art. 42 usa l’espressione “facoltà di dare licenza”).

4.2. Quanto al porto d’armi, tuttavia, vi è una ulteriore distinzione, a seconda che si tratti di armi lunghe da fuoco, o rispettivamente di armi corte (rivoltelle o pistole). Per le prime, la competenza è del Questore e non si richiedono altri requisiti oltre quelli generali, sopra ricordati. Per le seconde, invece, la competenza è del Prefetto, il quale deve verificare, in più, un ulteriore requisito: che il richiedente abbia un «dimostrato bisogno» di quella licenza.

4.3. Ora, nel caso in esame, è incontroverso che l’interessato possieda tutti i requisiti di idoneità, di affidabilità, di buona condotta, etc., per la detenzione e il porto di armi.

Tuttavia, poiché egli richiede la licenza per portare una pistola per difesa personale, per ottenerla dovrebbe averne il «dimostrato bisogno». E’ questo il punto centrale della controversia.

5. Ciò premesso, si ricorda che le valutazioni rimesse dalla legge al Prefetto sono ampiamente discrezionali. Ciò comporta che esse sono sindacabili solo sotto il profilo della completezza dell’istruttoria, e della congruità e logicità della motivazione. Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi all’autorità competente, quasi fosse un organo di pubblica sicurezza di seconda istanza.

5.1. Ora, in questo caso, non si può dire che l’istruttoria sia stata sommaria o lacunosa. Fra l’altro, il Prefetto ha acquisito il circostanziato parere del Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri; quest’ultimo, pur dando atto che l’interessato presenta tutti i requisiti soggettivi, ha espresso l’avviso che non sussistano più, allo stato, le esigenze di difesa personale che avevano in precedenza giustificato il rilascio della licenza.

5.2. La motivazione del provvedimento del Prefetto appare a sua volta completa ed esauriente. Gli argomenti esposti dal richiedente risultano correttamente presi in considerazione e la decisione negativa è a sua volta argomentata. Ai fini del sindacato di legittimità questo è ciò che si richiede ed appare sufficiente.

5.3. Per quanto possa occorrere, conviene comunque sottolineare che la decisione del Prefetto appare sostenuta dal parere dell’Arma dei Carabinieri, e questo è significativo anche perché in sostanza tutte le argomentazioni dell’interessato fanno riferimento al suo pregresso servizio nell’Arma ed alla collaborazione informale che asserisce di averle prestato anche dopo il congedo.

Successivamente l’Arma ha confermato questo suo parere anche in risposta all’apposita ordinanza interlocutoria emessa dal T.A.R.; e lo ha confermato motivandolo anche in riferimento ai nuovi elementi che l’interessato aveva dedotto in giudizio (e che peraltro, derivando da episodi sopravvenuti rispetto all’emanazione del provvedimento impugnato, non si sarebbero potuti neppure prendere in considerazione nel giudizio di legittimità).

6. In conclusione, l’appello va respinto. S’intende che la presente decisione non preclude all’autorità competente di riesaminare la questione nell’esercizio della sua discrezionalità, qualora l’interessato ne faccia motivata richiesta.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/02/2013
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