Con una pronuncia (Ordinanza n. 3136/2014), che giudico “rivoluzionaria” – poiché mai assunta prima da nessun altro Giudice –, la Sezione Prima del Tribunale Amministrativo della Lombardia – sede di Milano, accogliendo una mia motivata richiesta, ha deciso di sottoporre l’Assistito, in una causa per il riconoscimento della causa di servizio, a visita medico-legale presso un C.T.U. “esterno ed estraneo” al consorzio militare, per accertare: “1) se l’attività di servizio e le condizioni in cui tale attività si è svolta abbiano costituito, o meno, la causa, ovvero la concausa efficiente e/o determinante della patologia dedotta dal ricorrente; 2) in caso di accertamento del nesso causale di cui al punto sub 1), determini il CTU la percentuale d’invalidità complessiva”.
Con questa pronuncia, quindi, cade quel muro invalicabile – da sempre eretto, prima, dal Comitato per le pensioni privilegiate ed ora, dal Comitato di verifica – che ha impedito, per decenni, il giusto riconoscimento dell’equo indennizzo e della connessa pensione privilegiata a numerosi appartenenti al comparto sicurezza e difesa.
Sono veramente soddisfatto per il risultato che ho ottenuto, e posso dire che il nuovo anno non poteva iniziare in maniera migliore.
Un caro saluto a tutti.
Avv. Roberto Mandolesi
Questa è la mail che ha mandato l'avv. Mandolesi.................. non riesco ad averla se qualcuno ce la facesse a reperirla mettela in rete perché potrebbe servire a tanti colleghi ...........io per primo grazie
Manuele
Ordinanza n. 3136/2014Sezione Prima del Tribunale Amministra
Re: Ordinanza n. 3136/2014Sezione Prima del Tribunale Ammini
Messaggio da mark77 »
Ecco il testo dell'ordinanza 03136/2014 del TAR Lombardia:
N. 03136/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02886/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2886 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del TAR
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, Via Freguglia, 1
nei confronti di
Comitato di verifica per le cause di servizio;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. -----, con cui il Comando generale della Guardia di Finanza ha disposto la reiezione della domanda di riconoscimento di infermità per causa di servizio, proposta dal ricorrente in data -----, nonché di ogni atto presupposto, antecedente e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visto l'art. 22, comma 8 del D.lgs. 196/2003;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 il dott. --------- e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Rilevato:
- che appare necessario, al fine del decidere, disporre, ai sensi dell'art. 67 del codice del processo amministrativo, una consulenza tecnica d’ufficio, designando quale c.t.u. il dott. Alessio Battistini, specialista in medicina legale;
- che allo stesso vanno posti i seguenti quesiti:
“accerti il c.t.u. – una volta acquisiti i fascicoli di causa e in esito a un approfondito esame della situazione di fatto che ha connotato l’attività di servizio del ricorrente (condizioni, durata e ogni altro elemento rilevante), dei dati anamnestici e delle risultanze degli accertamenti diagnostici oggetto delle valutazioni che hanno condotto l’Amministrazione ad adottare i provvedimenti impugnati – quanto segue:
1) se l’attività di servizio e le condizioni in cui tale attività si è svolta abbiano costituito, o meno, la causa, ovvero la concausa efficiente e/o determinante della patologia dedotta dal ricorrente;
2) in caso di accertamento del nesso causale di cui al punto sub 1), determini il CTU la percentuale d’invalidità complessiva”.
Delega per la ricezione del giuramento del c.t.u. il giudice relatore dott. Angelo Fanizza, attribuendogli facoltà di eventuale integrazione dei quesiti nel contraddittorio delle parti in causa.
Fissa per la comparizione del c.t.u. davanti al giudice delegato e per la prestazione del giuramento la data dell’13.1.2015, ore 15,30 (terzo piano, stanza dott. Angelo Fanizza), disponendo, altresì, che lo stesso giudice delegato possa fissare ogni ulteriore termine, intermedio e finale, per il deposito della relazione da parte del c.t.u.;
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
dispone nei sensi espressi in motivazione.
Fissa per la discussione del merito la prima udienza pubblica utile dopo il deposito della relazione finale da parte del C.T.U.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2014
________________________
...vediamo cosa succederà dopo il deposito della relazione da parte del CTU. In ogni caso è la prima volta che viene messa in discussione una decisione dell' "infallibile" Comitato di Verifica!!!
N. 03136/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02886/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2886 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del TAR
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, Via Freguglia, 1
nei confronti di
Comitato di verifica per le cause di servizio;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. -----, con cui il Comando generale della Guardia di Finanza ha disposto la reiezione della domanda di riconoscimento di infermità per causa di servizio, proposta dal ricorrente in data -----, nonché di ogni atto presupposto, antecedente e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visto l'art. 22, comma 8 del D.lgs. 196/2003;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 il dott. --------- e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Rilevato:
- che appare necessario, al fine del decidere, disporre, ai sensi dell'art. 67 del codice del processo amministrativo, una consulenza tecnica d’ufficio, designando quale c.t.u. il dott. Alessio Battistini, specialista in medicina legale;
- che allo stesso vanno posti i seguenti quesiti:
“accerti il c.t.u. – una volta acquisiti i fascicoli di causa e in esito a un approfondito esame della situazione di fatto che ha connotato l’attività di servizio del ricorrente (condizioni, durata e ogni altro elemento rilevante), dei dati anamnestici e delle risultanze degli accertamenti diagnostici oggetto delle valutazioni che hanno condotto l’Amministrazione ad adottare i provvedimenti impugnati – quanto segue:
1) se l’attività di servizio e le condizioni in cui tale attività si è svolta abbiano costituito, o meno, la causa, ovvero la concausa efficiente e/o determinante della patologia dedotta dal ricorrente;
2) in caso di accertamento del nesso causale di cui al punto sub 1), determini il CTU la percentuale d’invalidità complessiva”.
Delega per la ricezione del giuramento del c.t.u. il giudice relatore dott. Angelo Fanizza, attribuendogli facoltà di eventuale integrazione dei quesiti nel contraddittorio delle parti in causa.
Fissa per la comparizione del c.t.u. davanti al giudice delegato e per la prestazione del giuramento la data dell’13.1.2015, ore 15,30 (terzo piano, stanza dott. Angelo Fanizza), disponendo, altresì, che lo stesso giudice delegato possa fissare ogni ulteriore termine, intermedio e finale, per il deposito della relazione da parte del c.t.u.;
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
dispone nei sensi espressi in motivazione.
Fissa per la discussione del merito la prima udienza pubblica utile dopo il deposito della relazione finale da parte del C.T.U.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2014
________________________
...vediamo cosa succederà dopo il deposito della relazione da parte del CTU. In ogni caso è la prima volta che viene messa in discussione una decisione dell' "infallibile" Comitato di Verifica!!!
Re: Ordinanza n. 3136/2014Sezione Prima del Tribunale Ammini
Messaggio da mark77 »
Qui trovate la sentenza:
https://www.giustizia-amministrativa.it ... 4JGC4H4&q=" onclick="window.open(this.href);return false;
https://www.giustizia-amministrativa.it ... 4JGC4H4&q=" onclick="window.open(this.href);return false;
Re: Ordinanza n. 3136/2014Sezione Prima del Tribunale Ammini
mark77 ha scritto:Ecco il testo dell'ordinanza 03136/2014 del TAR Lombardia:
N. 03136/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02886/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
Guarda che il giudice ha solo ordinata una CTU,affidata ad un consulente esterno-Adesso bisogna vedere se questo medico legale, conferma la motivazione del CV,oppure e di segno opposto a tale parere-
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2886 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del TAR
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, Via Freguglia, 1
nei confronti di
Comitato di verifica per le cause di servizio;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. -----, con cui il Comando generale della Guardia di Finanza ha disposto la reiezione della domanda di riconoscimento di infermità per causa di servizio, proposta dal ricorrente in data -----, nonché di ogni atto presupposto, antecedente e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visto l'art. 22, comma 8 del D.lgs. 196/2003;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2014 il dott. --------- e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Rilevato:
- che appare necessario, al fine del decidere, disporre, ai sensi dell'art. 67 del codice del processo amministrativo, una consulenza tecnica d’ufficio, designando quale c.t.u. il dott. Alessio Battistini, specialista in medicina legale;
- che allo stesso vanno posti i seguenti quesiti:
“accerti il c.t.u. – una volta acquisiti i fascicoli di causa e in esito a un approfondito esame della situazione di fatto che ha connotato l’attività di servizio del ricorrente (condizioni, durata e ogni altro elemento rilevante), dei dati anamnestici e delle risultanze degli accertamenti diagnostici oggetto delle valutazioni che hanno condotto l’Amministrazione ad adottare i provvedimenti impugnati – quanto segue:
1) se l’attività di servizio e le condizioni in cui tale attività si è svolta abbiano costituito, o meno, la causa, ovvero la concausa efficiente e/o determinante della patologia dedotta dal ricorrente;
2) in caso di accertamento del nesso causale di cui al punto sub 1), determini il CTU la percentuale d’invalidità complessiva”.
Delega per la ricezione del giuramento del c.t.u. il giudice relatore dott. Angelo Fanizza, attribuendogli facoltà di eventuale integrazione dei quesiti nel contraddittorio delle parti in causa.
Fissa per la comparizione del c.t.u. davanti al giudice delegato e per la prestazione del giuramento la data dell’13.1.2015, ore 15,30 (terzo piano, stanza dott. Angelo Fanizza), disponendo, altresì, che lo stesso giudice delegato possa fissare ogni ulteriore termine, intermedio e finale, per il deposito della relazione da parte del c.t.u.;
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
dispone nei sensi espressi in motivazione.
Fissa per la discussione del merito la prima udienza pubblica utile dopo il deposito della relazione finale da parte del C.T.U.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2014
________________________
...vediamo cosa succederà dopo il deposito della relazione da parte del CTU. In ogni caso è la prima volta che viene messa in discussione una decisione dell' "infallibile" Comitato di Verifica!!!
Re: Ordinanza n. 3136/2014Sezione Prima del Tribunale Ammini
Messaggio da nabboni »
Ma prima di Mandolesi c'è già un'altra pronuncia della stessa sezione e non solo un'ordinanza proprio una sentenza, davvero ben fatta. C'è un però, il presidente della sezione I° di Milano è proprio il Presidente del TAR Milano e sta per andare in pensione (pochissimi mesi) e quindi ora...........credo di essermi spiegato:
N. 00613/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01935/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Guarnaschelli, con domicilio eletto presso l’avv.to Tiziana Genesi in Milano, via Fiamma, n. 12
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia, n. 1
per l’annullamento:
- del decreto (doc. 1) datato 24-05-2013 e notificato in data 12.6.2013, a mezzo del quale il Dirigente della Direzione Generale del Personale e della Formazione presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia statuiva che “l’infermità cardiopatia ischemica in esiti di pregresso IMA anteriore trattato con duplice PTCA stent” da cui è stato riconosciuto affetto -OMISSIS-, nato a Siracusa il 05-01-1957 (...) non è dipendente da causa di servizio”; - di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare, dei pareri espressi dal Comitato di verifica per le cause di servizio nelle adunanze n. 156-2013 dell’8.4.2013 e n. 280-2012 del 18.6.2012.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 il dott. Dario Simeoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Con ricorso depositato il 2 agosto 2013, il sig. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale è stata rigettata l’istanza finalizzata al riconoscimento della causa di servizio ed alla concessione dell’equo indennizzo, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere. Nel dettaglio, il ricorrente ha dedotto: - di aver prestato servizio con la qualifica di Assistente Capo di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Pavia; - che, in data 1 maggio 2011, aveva avvertito dolore retrosternale progressivamente ingravescente; - che, recatosi il giorno successivo presso l’ospedale di Voghera, era stato ivi ricoverato con diagnosi di infarto miocardico acuto anteriore in evoluzione; - che, in data 3 maggio 2011, era stata eseguita una coronarografia rilevante “occlusione della discendente anteriore al tratto medio (IVA 100%) e stenosi critica della coronaria destra prossimale (Cdx)”; - che, pertanto, era stata eseguita “angioplastica su IVA e CDX”; - che, in data 29 settembre 2011, aveva richiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della citata infermità; - che, sottoposto nel maggio 2012 all’esame della Commissione Medica Ospedaliera di Milano, era stato trovato affetto dalla patologia suddetta e ritenuto non idoneo permanentemente al servizio d’istituto; - che, con parere 18 giugno 2012, il Comitato di verifica per le cause di servizio aveva deliberato la non dipendenza da causa di servizio dell’infermità lamentata; - che il provvedimento con cui l’amministrazione aveva fatto propria la valutazione del comitato, sarebbe illegittima.
I.2. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, sia pure con memoria di mero stile, chiedendo il rigetto del ricorso.
1.3. All’udienza del 29 agosto 2013, il Collegio ha disposto consulenza tecnica d’ufficio. In particolare, il CTU è stato incaricato di fornire risposta ai seguenti quesiti: “-Dica il c.t.u., previa visita medica dell’interessato nel contraddittorio degli eventuali consulenti di parte, nonché sulla scorta della documentazione esibita in giudizio e di quella eventualmente ritenuta necessaria e fornita in sede peritale, se il sig. -OMISSIS- sia stato affetto e lo sia tuttora dalle patologie indicate in ricorso; b) - Dica, altresì, se sussista nesso causale (o concausale) in termini di alta probabilità scientifica e logico - razionale tra l’evento patologico eventualmente riscontrato e le condizioni lavorative dedotte in ricorso (e quali risultano dalla documentazione in atti); - specifichi, nell’ipotesi affermativa, a quale delle categorie indicate nelle tabelle A o B allegate al D.P.R. 834/81 sia ascrivibile l’evento patologico accertato”.
1.4. Depositata la relazione peritale, la causa è stata discussa e decisa all’udienza odierna.
II. Ai fini del decidere sono necessari alcuni preliminari spunti ricostruttivi.
II.1. L’equo indennizzo è un istituto di sicurezza sociale posto dall’ordinamento a tutela dell’inabilità dell’individuo conseguente all’inverarsi del rischio professionale. Esso trova origine nell’art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n 3 (testo unico del pubblico impiego) ed è stato successivamente regolamentato con d.P.R. 3.5.1957, n 686 e d.P.R. 20.4.1994, n 349; ulteriori modifiche sono state apportate con leggi finanziarie del 1995 e del 1997, nonché con d.P.R. 29.10.2001, n 461, recante il regolamento di semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio).
Rispetto a quanto previsto in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, il riconoscimento dell’equo indennizzo presuppone che il fatto di servizio sia causa o concausa efficiente rispetto alla patologia contratta nel senso che quest’ultima debba risultare non semplicemente contratta dal pubblico dipendente durante il tempo di servizio (in occasione del lavoro) ma, più specificatamente, deve essere eziologicamente collegata alle finalità del servizio (ulteriore differenza attiene al regime giuridico privilegiato in ordine al possesso dei requisiti contributivi).
La richiesta di equo indennizzo deve riguardare la morte o una menomazione dell'integrità fisica o psichica o sensoriale ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A o alla tabella B annesse al d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834; la menomazione conseguente ad infermità o lesione non prevista in dette tabelle è, invece, indennizzabile solo nel caso in cui essa sia da ritenersi equivalente ad alcuna di quelle contemplate nelle tabelle stesse. Qualora la menomazione dell’integrità non comporti una totale inabilità al servizio spetta al dipendente un’indennità una tantum.
II.2. In materia di causa di servizio e di equo indennizzo, sia la normativa dettata per gli impiegati dello Stato, sia la normativa con cui detti istituti sono stati estesi ai dipendenti di altri enti, prevedono un procedimento articolato in due distinte fasi, di cui la prima diretta al riconoscimento della causa di servizio e la successiva alla concessione dell’equo indennizzo, con distinti termini per la domanda di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e per la domanda di corresponsione del conseguente equo indennizzo (cfr. Cass. 28 novembre 2001, n. 15059). Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio (art. 12 del DPR 29/10/2001, n. 461; deve, pertanto, ritenersi non più valido l’orientamento secondo cui, data l’autonomia dei provvedimenti con cui si concludono le due distinte fasi, anche quando le relative statuizioni vengano incorporate in un unico documento, il provvedimento di riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio non è vincolante per la successiva concessione dell’equo indennizzo: cfr. Cons. Stato, 12.10.2000, n. 5413).
III. I presupposti di fatto allegati dal ricorrente (ovvero le condizioni lavorative ed i singoli accadimenti riportati anche nell’anamnesi peritale) sono incontestati tra le parti e, pertanto, sono fuori dal “thema probandum”. Il giudizio verte, pertanto, esclusivamente sulla seguente questione di fatto: se le infermità denunciate dal ricorrente siano o meno dipendenti da causa di servizio.
III.1 Secondo l’amministrazione “l’infermità cardiopatia ischemica in esiti di pregresso IMA anteriore trattato con duplice PTCA STENT” non potrebbe riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto si tratterebbe di patologia riconducibile a insufficiente irrorazione del miocardio e riduzione del flusso ematico coronarico, a sua volta derivante dal restringimento o su occlusione del lume basale per fatti ateromatosi della parete arteriosa. Poiché l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale, la forma in questione non potrebbe attribuirsi al servizio prestato anche perché in esso non risulterebbero sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psicofisico tali da rivestire un ruolo di causa o concausa efficiente e determinante.
III.2. Secondo un ancora diffuso orientamento giurisprudenziale, il giudizio medico - legale circa la dipendenza di infermità da cause o concause di servizio si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui si ravvisi irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti (C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2004, n. 1341; C.d.S., sez. IV, 10 luglio 2001, n. 3822) ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medico finale (C.d.S., sez. VI, 6 maggio 2002, n. 2483), ovvero esulino dai normali canoni di attendibilità in relazione alle conoscenze scientifiche applicate (Consiglio Stato, sez. VI, 26 gennaio 2010, n. 280). Il sindacato che il giudice della legittimità è autorizzato a compiere sulle determinazioni assunte dagli organi tecnici, ai quali la normativa vigente attribuisce una competenza esclusiva nella materia de qua, deve necessariamente intendersi limitato ai soli casi di travisamento dei fatti e di macroscopica illogicità ictu oculi rilevabili, non essendogli consentito, in alcun caso, di sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico nell'esercizio di una attività tipicamente discrezionale e giustificata dal possesso di un patrimonio di conoscenze specialistiche del tutto estranee al patrimonio culturale di detto giudice (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 13 giugno 2008 , n. 1497; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 13 maggio 2008, n. 4487).
Questa impostazione, a parere del Collegio, deve essere rivista sulla base di due alternative ragioni: la prima attiene alla natura della posizione soggettiva tutelata; la seconda prescinde dalla natura della posizione soggettiva tutelata ed attiene al sindacato comunque esercitabile dal giudice amministrativo sugli apprezzamenti tecnici compiuti dalla pubblica amministrazione.
IV. Il primo argomento ha carattere evidentemente pregiudiziale.
Deve ritenersi, infatti, che la controversia in esame involga posizioni di diritto soggettivo al riconoscimento di emolumenti previdenziali ancora devolute, pure a seguito della c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in forza della “riserva soggettiva” avente ad oggetto le controversie di lavoro del personale in regime di diritto pubblico tra cui, come nel caso di specie, il personale della polizia (cfr. art. 3 e 63 testo unico n. 165 del 2001). Difatti, i requisiti di fattispecie necessari e sufficienti al riconoscimento della pretesa azionata, al pari di quanto ritenuto dalla costante giurisprudenza del giudice del lavoro riferita a tutte le prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate dalla pubblica amministrazione, sono previsti direttamente dalla legge, residuando in capo alla pubblica amministrazione soltanto un’attività ricognitiva dei presupposti di legge, anche qualora il loro accertamento richieda un giudizio di carattere tecnico.
Non può dunque condividersi l’impostazione tradizionale del giudice amministrativo secondo cui, nella controversia avente ad oggetto il diniego di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ovvero di liquidazione dell’equo indennizzo, la posizione giuridica da riconoscere al pubblico dipendente nelle suddette vicende contenziose sarebbe quella del titolare dell’interesse legittimo, disponendo l’amministrazione di potere autoritativi e discrezionali proprio in ragione della particolare natura indennitaria dell’emolumento, e non del diritto soggettivo, che è consistenza che detta posizione assume solo allorché il relativo procedimento si sia positivamente concluso, e con riferimento quindi non all’”an”, ma alla corretta liquidazione del “quantum” effettivamente dovuto (C. Stato, sez. IV, 10 luglio 2007, n. 3914).
Deve, infatti, replicarsi che:
- la natura indennitaria è comune a tutti i ristori economici con funzione previdenziale e assistenziale rispetto ai quali (basti citare l’indennità di accompagnamento e tutte le altre prestazioni di invalidità civile), non si è mai posta in dubbio la consistenza di diritto soggettivo della pretesa, sottolineando tale espressione unicamente il carattere forfettario e predeterminato dell’emolumento e l’essere lo stesso svincolato dai presupposti dell’illecito;
- gli enti pubblici, in questa materia, non sono investiti di una potestà idonea a “mediare” le modalità concrete e specifiche con cui lo Stato sociale intende curare l’interesse di rango costituzionale alla liberazione dell’individuo dallo stato di bisogno (art. 38 Cost.); difatti, motivi di universalità, parità di accesso e programmazione delle risorse pubbliche a ciò destinate, hanno indotto il legislatore a rimettere siffatte valutazioni esclusivamente alla legge; in presenza dei requisiti di fattispecie, l’Amministrazione non può conformare le posizioni giuridiche soggettive, sovrapponendo alla legge il proprio discrezionale bilanciamento di interessi, avendo esclusivamente il dovere di verificare il ricorrere dei suddetti, nominati requisiti;
- la dottrina specializzata ha sempre ricostruito tali fattispecie in termini di “rapporto giuridico”, ovvero in termini paritetici; la Corte di Cassazione addirittura ritiene che l’equo indennizzo per causa di servizio (che si sostanzia nel porre a carico del datore di lavoro un'obbligazione pecuniaria strettamente inerente al rapporto di lavoro e che nasce per effetto dell'insorgenza di una infermità cagionata dalla prestazione di servizio) abbia natura giuridica retributiva in senso lato, ancorché sia funzionalmente destinata a riparare un pregiudizio (Cass. n. 12479 del 2003; Cass. n. 12547 del 2003; Cass. n. 2802 del 2003, Cass. n. 3220 del 2001; Cass. n. 5160 del 2000; (ai fini dell'attribuzione della competenza alla giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di impiego pubblico: Cass. SS.UU 8680-1995, 10243-1994, 1311-1993, 7707-1993; 5988-1992; Cass. SS.UU n. 19342 del 2008);
- per gli stessi motivi, neppure potrebbe parlarsi di attività vincolata nell’interesse pubblico giacché siamo, senza dubbio, in presenza di norme di relazione che disciplinano integralmente il rapporto con l’amministrato; la lettera della norma rende certi che, ai fini della esistenza del diritto, il legislatore non ha ritenuto indispensabile l’esistenza di un atto dell’amministrazione anche se a contenuto vincolato (ipotesi che, talvolta, ricorre quanto si vogliono consentire controlli efficaci dell’amministrazione di regolazione, ovvero quando si devono accertare le conoscenze necessarie ad esercitare un servizio pubblico);
- neppure l’esistenza di un potere autoritativo può desumersi dal fatto che la legge assegna ad un organo tecnico della pubblica amministrazione la verificazione di un fatto che richiede una valutazione dall’esito non univoco, quando (come nella specie) l’amministrazione non è tenuta ad emanare un atto il cui contenuto ed i cui effetti sono dalla legge considerati costitutivi del diritto;
- la tesi contraria, da ultimo, introdurrebbe nel sistema delle tutele, una vistosa irragionevolezza giacché la medesima pretesa azionata dal ricorrente viene dalla giurisdizione ordinaria (cui è rimessa, giova ricordare, salvo le poche categorie non contrattualizzate, la cognizione dell’intero contenzioso concernente il riconoscimento della causa di servizio per coloro che sono alle dipendenze della pubblica amministrazione, oltre che di tutte le restanti controversie previdenziali ed assistenziali) tutelata nelle forme del diritto soggettivo; a questa stregua, non si vede perché la pretesa all’equo indennizzo del professore universitario sarebbe fronteggiata da una pubblica potestà, mentre la medesima pretesa avanzata dal direttore generale di un ministero ovvero da un professore di liceo necessiterebbe per contro di una mera attività ricognitiva dei presupposti di legge; con il rischio di far dipendere la consistenza della posizione soggettiva riferita ai medesimi interessi non dal quadro di diritto sostanziale, ma dalla mera circostanza processuale della devoluzione della relativa controversia ad un ordine giurisdizionale piuttosto che un altro.
IV.1. Vertendosi, per i motivi appena svolti, in materia di diritti e di giurisdizione esclusiva, il Giudice investito della presente controversia non incontra alcun limite istruttorio e cognitorio nell’accertamento del rapporto controverso con la pubblica amministrazione; ben può, in definitiva, procedere a verificare in prima persona (con l’ausilio del consulente tecnico) il possesso, in capo al ricorrente, dei requisiti di legge per l’ottenimento dell’emolumento.
V. Anche a prescindere dalla natura della posizione soggettiva azionata, ritiene il Collegio che, qualora pure si vertesse in sede di giurisdizione di legittimità, il giudice amministrativo, nella materia di cui trattasi, ben potrebbe svolgere una cognizione piena e non un sindacato di mera ragionevolezza sugli apprezzamenti medici espressi dalle commissioni tecniche a ciò deputate.
La giurisprudenza sulla sindacabilità meramente estrinseca della valutazione medica in tema di causa di servizio si colloca all’interno di un orientamento ancora assai diffuso presso il giudice amministrativo, nonostante significative spinte alla riconsiderazione dell’argomento propugnata in talune importanti sentenze (Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601) e da parte di autorevole dottrina.
In particolare, l’opinione secondo cui le valutazioni espresse in materia medico-legale dalle speciali commissioni mediche siano sindacabili dal giudice amministrativo solo nei ridottissimi limiti costituiti dalla carenza dei presupposti e della illogicità ictu oculi non è condivisibile per i seguenti motivi: non esiste una riserva di amministrazione sugli apprezzamenti tecnico-discrezionali in sé considerati; il giudice amministrativo (anche nella giurisdizione di legittimità) non incontra alcun limite di accesso al fatto; un controllo “debole” sugli apprezzamenti tecnico - discrezionali può ammettersi solo allorquando l’accertamento del fatto equivalga all’individuazione implicita degli interessi che il potere stesso mira a soddisfare.
Di seguito, deve darsi corso allo sviluppo di tali assunti.
V.1. La “discrezionalità tecnica”, secondo l’unanime considerazione dottrinale, ricorre quando l’amministrazione, per provvedere su un determinato oggetto, deve accertare un fatto sulla scorta di una regola tecnica cui la norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta. La valutazione tecnica opinabile attiene qui ai presupposti della fattispecie; quando, per contro, essa attiene al contenuto della decisione finale, ovvero quando gli interessi sono l’oggetto diretto delle scelta tecnica (scelta di quale progetto adottare per fare una opera pubblica), si versa nell’ambito della discrezionalità amministrativa.
L’applicazione della regola tecnica comporta valutazioni suscettibili di apprezzamento opinabile qualora la stessa, a sua volta, rinvii a concetti indeterminati o imprecisi inerenti alle circostanze presupposte per l’esercizio del potere provvedimentale. Il carattere non obiettivo dell’accertamento differenzia la discrezionalità tecnica da quella del mero accertamento di un fatto sebbene, in entrambi i casi, i fatti costituiscano presupposti di operatività della norma e di validità dell’atto.
Quella degli apprezzamenti tecnici non è sicuramente un’area riservata alla pubblica amministrazione perché non rappresenta una espressione di potere funzionale. Ciò che è certamente precluso al giudice amministrativo (in sede di giudizio di legittimità) è la diretta valutazione dell’interesse pubblico concreto relativo all’atto impugnato: in altre parole, il merito dell’atto amministrativo concretatosi nel giudizio di valore e di scelta che “specializza” la funzione amministrativa. La questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma, soltanto perché opinabile, in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito (notazione quest’ultima limpidamente scolpita da Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601). Lo sconfinamento nella sfera del merito è configurabile solo quando la statuizione del giudice si spinga a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto giacché, in tal caso, la volontà dell’organo giudicante finisce per sostituirsi a quella dell’amministrazione.
In definitiva, il potere è l’effetto di una fattispecie, l’interpretazione dei cui presupposti spetta al giudice.
La mancanza di riserva di amministrazione in tema di valutazioni tecniche è comprovata dal fatto che, nelle liti tra privati e p.a. devolute alla cognizione del giudice ordinario, gli elementi tecnici sono conosciuti con pienezza, direttamente o tramite un consulente (nel giudizio civile, la CTU viene utilizzata sia per fare valutazioni che semplici accertamenti).
V.2. Neppure è insito nel processo amministrativo di legittimità un limite strutturale di accedere direttamente al fatto. Il potere di accertare i presupposti di fatto del provvedimento impugnato costituisce, anzi, lo specifico compito della giurisdizione amministrativa anche di legittimità, in ciò differenziandosi dalla cognizione, parimenti detta di legittimità, della Suprema Corte di Cassazione. Lo stesso progressivo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto alla fondatezza della pretesa giuridica azionata, invocato da autorevole parte della dottrina e della giurisprudenza, rende oramai non ulteriormente condivisibile l’idea di una cognizione ristretta ai soli elementi di fatto che risultino esclusi o sussistenti in base alle risultanze procedimentali.
L’introduzione nel processo amministrativo dello strumento della C.T.U., dapprima per la sola giurisdizione esclusiva (art. 35, comma 3 del D.lgs. n. 80/98) e poi anche in quella di legittimità (ad opera dell’art. 1 della L. n. 205/2000; ora art. 67 c.p.a.), ha fatto cadere anche quei vincoli ai poteri istruttori che venivano invocati a fondamento della limitazione del sindacato del giudice amministrativo. Nel processo del pubblico impiego, del resto, l’esperibilità della consulenza tecnica era stata anticipata dalla Consulta (C. Cost. n. 146 del 1987) che, con sentenza additiva, aveva integrato la fattispecie legale, ritenendo necessario, nella materia de qua, il più completo accertamento del fatto.
Non è ultroneo sottolineare sul punto che, se ben può il giudice amministrativo, al fine di esercitare il sindacato sulla c.d. discrezionalità tecnica della p.a., avvalersi della c.t.u., tale strumento non possa essere utilizzato per supplire ad un onere probatorio non assolto dalla parte. Infatti, il principio per cui il ricorrente è tenuto semplicemente a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte si giustifica nei soli casi in cui la disponibilità degli elementi probatori pertenga alla sola pubblica amministrazione, mentre il privato, per la sua posizione di disparità sostanziale, non sia altrettanto in grado di fare. Quando, invece, tali elementi rientrino nella disponibilità della parte privata occorre che il ricorrente supporti la propria domanda, allegando e dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa (Consiglio Stato, sez. VI, 4 settembre 2007, n. 4621).
V.3. Vi sono, tuttavia, ipotesi in cui il riscontro del giudice amministrativo sull’attività discrezionale di natura tecnica non consente alcun potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre all’operato della pubblica amministrazione la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” (avvalendosi di perito ausiliario).
Rileva, al riguardo, la seguente distinzione.
In un primo novero di casi, pure solitamente ricondotti alla nozione di discrezionalità tecnica, ma che, secondo il Collegio, sarebbe meglio definire in termini di “valutazione tecnica complessa non discrezionale”, i fatti presupposti dal provvedimento, per quanto di opinabile accertamento, sono pur sempre presi in considerazione dalla norma nella loro dimensione oggettiva di “fatto storico” giuridicamente rilevante. La norma di azione, qui, indica con precisione il bisogno tutelato e gli strumenti per farvi fronte, ragione per cui la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena verifica del fatto sotto il profilo della sua verità.
In altre ipotesi, per le quali invece è effettivamente utile e pregnante il termine “discrezionalità tecnica”, presupposto del provvedimento non è il mero fatto storico, ma il fatto “mediato” e “valutato” dalla pubblica amministrazione. Qui, l’attività valutativa ed integrativa della p.a. equivale in tutto e per tutto a descrivere “implicitamente” l’interesse pubblico che l’atto stesso mira a soddisfare. Tale tipologia di apprezzamento tecnico appartiene qualitativamente all’area della vera e propria discrezionalità, distinguendosi da quella denominata “amministrativa” sol perché vi difetta la valutazione comparativa con altri interessi secondari, concretandosi nella sola identificazione dell’unico interesse pubblico sotteso all’accertamento del fatto. L’insindacabilità della scelta tecnica si giustifica qui in virtù della peculiare “politicità” della scelta tecnica per la quale il giudice sconta un difetto di legittimazione democratica.
In altre parole, nell’accertamento tecnico discrezionale (nella nozione specificatamente circoscritta) la valutazione dell’organo concorre a definire compiutamente la fisionomia dell’interesse pubblico primario assegnato alla cura della p.a.; nel prosieguo dello stesso procedimento, può essere richiesto all’amministrazione anche il bilanciamento con altre istanze pubbliche e private, ma tale ulteriore ed eventuale segmento procedimentale, in cui si esercita la “discrezionalità amministrativa”, rimane concettualmente ben distinto dal primo stadio. Alla luce di tale ricostruzione teorica, si spiega agevolmente perché il sindacato su tale peculiare manifestazione di giudizio denominata “discrezionalità tecnica”, al pari di qualunque determinazione realmente discrezionale (perché impinge nelle modalità di cura dell’interesse pubblico), debba essere contenuto nei limiti del controllo estrinseco. Sul versante della tutela, ne consegue per il giudice l’impossibilità di sostituire la valutazione compiuta dall’organo amministrativo, salvo sanzionarne “ab externo” l’irragionevolezza.
V.4. Nel quadro di tale cornice concettuale sembra essersi mossa la giurisprudenza, formatasi in materia di accertamento dei fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale ha ritenuto che le valutazioni tecniche dell’Autorità, fondate su regole scientifiche inesatte ed opinabili (ad esempio, di carattere economico) debbano decodificare “concetti giuridici indeterminati” in cui l’apprezzamento tecnico contiene anche un’attività di interpretazione dell’interesse pubblico assegnato alla cura della pubblica amministrazione. Ne consegue la necessità di distinguere un controllo cosiddetto di tipo “forte”, che si traduce in un potere sostitutivo del giudice, il quale si spinge fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell'amministrazione” e un controllo di tipo “debole” in cui le cognizioni tecniche acquisite (eventualmente) grazie al consulente vengono utilizzate solo allo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa." (Cons. Stato, IV, n. 5287 del 6.10.2001). In presenza di casi in cui la distinzione tra il carattere di opinabilità dei giudizi tecnici (attratti nella cognizione del giudice) e i profili della opportunità (sottratti al sindacato) non è così netta deve escludersi il sindacato giurisdizionale di tipo forte (sostitutivo) ed ammettersi solo il controllo di tipo debole (il self restraint del Consiglio di Stato è analogo a quello pure adottato dalla Corte di Giustizia CE sulle valutazioni economiche complesse fatte dalla Commissione: sentenze 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, punto 34, e 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds, punto 62; 28 maggio 1998, C-7/95, John Deere, punto 34).
V.5. La corretta applicazione dei principi tutti sopra esposti comporta che l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici medici, cui la norma di sicurezza sociale subordina il conseguimento del beneficio previdenziale invocato in questa sede, non rientra nelle ipotesi in cui è impedita la loro sostituzione con gli accertamenti istruttori compiuti dal giudice che ne abbia riscontrato l’insufficienza quanto al criterio seguito e al procedimento applicativo utilizzato. Difatti, la regola tecnica inserita nella struttura della norma giuridica, nella specie, è strumentale al solo accertamento di un fatto storico (presupposto sanitario), avendo già il legislatore compiutamente identificato il bisogno tutelato mercé la determinazione del tipo di patologia e di lavorazione, dell’entità del beneficio ritenuto compatibile con le altre missioni di bilancio pubblico, del modello di relazione causale tra patologia e condizioni di lavoro. Ne consegue che, nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento di una patologia come causa di servizio, gli elementi medici in base a cui accertare tale riconoscimento sono nella disponibilità del ricorrente e in presenza di un accertamento negativo da parte dell’amministrazione spetta allo stesso fornire quanto meno un principio di prova a fondamento della sua pretesa.
VI. Tutto ciò premesso, la domanda del ricorrente è fondata.
VI.1. La piana lettura del ricorso rende evidente che, al di là della impostazione impugnatoria e della formula terminativa in termini caducatori delle conclusioni, giustificata dalla necessità di uniformarsi allo strumentario concettuale tradizionalmente adoperato dalla giurisprudenza amministrativa, la pretesa sostanziale del ricorrente è volta all’accertamento della dipendenza della propria patologia da causa di servizio; in tal senso, del resto è anche la formula terminativa delle conclusioni.
VI.2. A questa stregua, vertendo il presente giudizio “sul rapporto”, non potrebbero avere alcuna autonoma portata satisfattoria i dedotti vizi (prettamente strumentali) di difetto di motivazione e di istruttoria (in particolare, si tratta: del difetto di istruttoria per violazione dell'articolo 5 del D.P.R. 29/10/2001 n. 461, avendo l’amministrazione omesso di acquisire, mediante istruttoria, ogni informazione utile dal responsabile dell’ufficio presso cui il dipendente interessato aveva prestato servizio; del difetto di istruttoria per violazione del successivo art. 7 dello stesso D.P.R.; tali carenze si sarebbero tradotti in un vizio di insufficiente motivazione del parere emesso dal Comitato e, di riflesso, del provvedimento adottato dall’amministrazione in conformità a tale valutazione tecnica).
VII. Tanto premesso, venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che il consulente tecnico incaricato abbia sottolineato convincentemente, con motivazione chiara ed immune da vizi logici che il Collegio pienamente condivide e fa propria, gli elementi che, da un lato, suffragano il nesso di derivazione causale tra la patologia riscontrata e il servizio lavorativo prestato dal ricorrente, dall’altro, pongono in evidenza l’errore in cui è incorsa la pubblica amministrazione.
VII.1. In termini generali, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento occorre che, in base ad una legge scientifica di copertura, il giudice sia in grado di affermare che l’evento è conseguenza della condotta con alto grado di probabilità scientifica razionale. Pertanto, il giudice può affermare di avere accertato il nesso di causalità con alto grado di probabilità o elevato grado di probabilità razionale o, se si vuole, oltre ogni ragionevole dubbio, solamente se le leggi di copertura di cui si serve consentono di affermare che senza lo svolgimento della condotta lavorativa in oggetto l’evento lesivo nella stragrande maggioranza dei casi non si sarebbe verificato. La conferma dell’ipotesi sull’esistenza del nesso causale non deve essere dedotta esclusivamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice può verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile. Ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti.
VII.2. Sulla scorta della documentazione esibita in giudizio e degli esami effettuati, il consulente ha, in primo luogo, rilevato che il periziando è affetto da cardiopatia ischemica cronica, esordita nel maggio 2011 con un infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) della parete anteriore e trattato in fase acuta con angioplastica primaria e posizionamento di stent su arteria coronarica interventricolare anteriore e su coronaria destra. In seguito a tale infarto miocardico che, sfortunatamente, non ha potuto essere trattato tempestivamente (nelle prime 6 ore), è residuata una disfunzione sistolica ventricolare sinistra, ancora evidente ad un recente (settembre 2013) ecocardiogramma. Il signor -OMISSIS- risulta, inoltre, affetto da sindrome delle apnee notturne (OSAS) che ha necessitato in passato e, probabilmente, necessiterebbe ancora oggi di terapia con CPAP notturna e di sindrome ansioso-depressiva. Il paziente, in definitiva, è tuttora affetto da una cardiopatia ischemica cronica post-infartuale ad iniziale evoluzione dilatativa con associata disfunzione ventricolare sinistra.
VII.3. Con riguardo alla sussistenza del nesso causale, il CTU, premesso che esiste in letteratura ormai una chiara evidenza dell'esistenza di una associazione tra infarto miocardico acuto da una parte e, genericamente, situazioni stressanti, sia acute che croniche, anche connesse al lavoro, dall'altra, ritiene che l’attività lavorativa del paziente rientri tra quelle riconosciute come a elevato stress ed usuranti, ciò sia per la tipologia stessa del lavoro (agente di custodia penitenziaria), che per le caratteristiche delle mansioni svolte (alternanza di turni diurni e notturni associata a scorrette abitudini di vita, in particolare irregolarità del sonno e dei pasti). All’uopo cita talune evidenze empiriche che, secondo la letteratura scientifica, confermerebbero lo stretto legame tra questa patologia cardiaca acuta e lo stress di tipo psicologico (Jordan HT, et al. Cardiovascular disease hospitalizations in relation to exposure to the September 11, 2001 World Trade Center disaster and posttraumatic stress disorder. J Am Heart Assoc. 2013). Se non è possibile escludere che altri fattori, indipendenti dall’attività lavorativa del paziente possano aver contribuito allo sviluppo di un infarto, nella specie il paziente, al di là della pregressa abitudine tabagica (interrotta più di 10 anni prima dell’evento infartuale), non aveva fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, quali la familiarità, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il diabete che notoriamente aumentano la probabilità di subire eventi cardiaci acuti. Anche la riportata familiarità per cardiopatia ischemica (padre deceduto a 83 anni per infarto), più volte evidenziata nella documentazione presa in esame, non deve essere considerata tale in quanto per familiarità, in quest'ambito, si intende un evento cardiovascolare prematuro che avvenga in un consanguineo prima dei 55 anni (uomini) o prima dei 65 anni (donne).
VII.3. Ritiene il Collegio che il giudizio di ragionevole probabilità scientifica formulata dal consulente (nel senso che la peculiare attività lavorativa “usurante” svolta dal paziente possa avere rappresentato la causa o, per lo meno, la concausa dell’infarto miocardico acuto occorso nel maggio 2011) sia corroborato dalla prova logica concreta. In sintesi: - la letteratura scientifica ritiene sussistere una chiara ed evidente associazione tra l’infarto miocardico acuto e le situazioni stressanti; - la storia professionale del ricorrente appare contraddistinta da quei fattori ritenuti dalla letteratura scientifica avere un ruolo significativo nel determinismo della patologia in questione; - il ricorrente, in particolare, ha allegato di aver svolto la propria attività lavorativa in un contesto certamente caratterizzato da condizioni lavorative singolarmente defatiganti e ansiogene anche per la carenza di organico registratasi presso la casa circondariale di Pavia; - lo stesso non è risultato affetto da fattori di rischio cardiovascolare ulteriori rispetto all’attività lavorativa espletata; - la presenza e persistenza di uno stato ansioso-depressivo cronico antecedente all’infarto e, verosimilmente, riconducibile allo stress lavorativo, dovrebbe risultare ben documentabile, come già detto, dall’analisi delle varie precedenti valutazioni psichiatriche. Del resto, in punto di diritto, il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’infermità per il solo fatto della preesistenza di fattori di rischio, in fattispecie nelle quali sia documentata l’attività continuativa particolarmente impegnativa e stressante del pubblico dipendente, costituisce affermazione di un criterio tecnico inadeguato, come segnalato da costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Cass., 6 novembre 1995, n. 11559). Anche la predisposizione morbosa non esclude il nesso causale tra patologia ed evento infortunistico, in relazione anche al principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia.
VII.4. L’evento patologico accertato è ascrivibile nella tabella A, quarta categoria punto 9 allegata al D.P.R. 834/81 (all’uopo il CTU dichiara di essersi avvalso della consulenza del dott. Carlo Bernabei, medico legale con domicilio a Milano, in via Gustavo Modena, 3).
VII.5. In conclusione, è evidente l’errore in cui è incorsa l’amministrazione. Quest’ultima non ha tenuto conto del presupposto, condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui, ai fini dello specifico emolumento per cui è causa, i fatti di servizio, quando si accompagnino ad altre concause, è sufficiente che agiscano, anche solo da un punto di vista qualitativo, in maniera da influire in modo sensibile sul fatto conseguente; ciò sempre che la concausa correlata al servizio sia dotata di una significativa attività eziopatogenetica ovvero di concreta idoneità lesiva. Il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell'infermità per il solo fatto della preesistenza di fattori di rischio, in una fattispecie nella quale sia documentata l’attività continuativa particolarmente impegnativa e stressante del pubblico dipendente, costituisce affermazione di criterio tecnico inadeguato, come segnalato da costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Cass., 6 novembre 1995, n. 11559).
VII.6. Si noti che, a fronte delle descritte risultanze peritali, non sono state trasmesse al CTU eventuali osservazioni e/o conclusioni da parte del CTP in risposta alla trasmissione della bozza della relazione. La difesa erariale neppure ha mosso in giudizio alcuna censura e neanche ha offerto ulteriori elementi che consentano di integrare la valutazione amministrativa.
VIII. In definitiva, il ricorso deve essere accolto dal momento che è stata offerta la prova del nesso condizionante tra le mansioni svolte e l’evento lesivo insorto, nel senso che l’attività lavorativa è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. Le preesistenze dello stato morboso già in essere, solo concausalmente possono essere associate all’evento dannoso per cui è causa.
IX. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
IX.1. Il compenso spettante al consulente d’ufficio è posto a carico dell’amministrazione soccombente e liquidato come da dispositivo, ai sensi dell’art. 66, comma 4, terzo periodo, c.p.a. (articoli 21 del D.M. 30 maggio 2002, 51 e 52 del D.P.R. 115/02).
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sez. I), definitivamente pronunciando:
accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente al riconoscimento della causa di servizio e che l’infermità da cui è affetto è ascrivibile alla tabella A, quarta categoria punto 9 allegata al D.P.R. 834/81;
condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € 1.800,00, oltre IVA e CPA come per legge; pone, inoltre, a carico dell’amministrazione l’onere del compenso spettante al CTU, che si liquida in € 580,00, oltre IVA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario, Estensore
Angelo Fanizza, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
N. 00613/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01935/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Guarnaschelli, con domicilio eletto presso l’avv.to Tiziana Genesi in Milano, via Fiamma, n. 12
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia, n. 1
per l’annullamento:
- del decreto (doc. 1) datato 24-05-2013 e notificato in data 12.6.2013, a mezzo del quale il Dirigente della Direzione Generale del Personale e della Formazione presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia statuiva che “l’infermità cardiopatia ischemica in esiti di pregresso IMA anteriore trattato con duplice PTCA stent” da cui è stato riconosciuto affetto -OMISSIS-, nato a Siracusa il 05-01-1957 (...) non è dipendente da causa di servizio”; - di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare, dei pareri espressi dal Comitato di verifica per le cause di servizio nelle adunanze n. 156-2013 dell’8.4.2013 e n. 280-2012 del 18.6.2012.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 il dott. Dario Simeoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Con ricorso depositato il 2 agosto 2013, il sig. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale è stata rigettata l’istanza finalizzata al riconoscimento della causa di servizio ed alla concessione dell’equo indennizzo, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere. Nel dettaglio, il ricorrente ha dedotto: - di aver prestato servizio con la qualifica di Assistente Capo di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Pavia; - che, in data 1 maggio 2011, aveva avvertito dolore retrosternale progressivamente ingravescente; - che, recatosi il giorno successivo presso l’ospedale di Voghera, era stato ivi ricoverato con diagnosi di infarto miocardico acuto anteriore in evoluzione; - che, in data 3 maggio 2011, era stata eseguita una coronarografia rilevante “occlusione della discendente anteriore al tratto medio (IVA 100%) e stenosi critica della coronaria destra prossimale (Cdx)”; - che, pertanto, era stata eseguita “angioplastica su IVA e CDX”; - che, in data 29 settembre 2011, aveva richiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della citata infermità; - che, sottoposto nel maggio 2012 all’esame della Commissione Medica Ospedaliera di Milano, era stato trovato affetto dalla patologia suddetta e ritenuto non idoneo permanentemente al servizio d’istituto; - che, con parere 18 giugno 2012, il Comitato di verifica per le cause di servizio aveva deliberato la non dipendenza da causa di servizio dell’infermità lamentata; - che il provvedimento con cui l’amministrazione aveva fatto propria la valutazione del comitato, sarebbe illegittima.
I.2. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, sia pure con memoria di mero stile, chiedendo il rigetto del ricorso.
1.3. All’udienza del 29 agosto 2013, il Collegio ha disposto consulenza tecnica d’ufficio. In particolare, il CTU è stato incaricato di fornire risposta ai seguenti quesiti: “-Dica il c.t.u., previa visita medica dell’interessato nel contraddittorio degli eventuali consulenti di parte, nonché sulla scorta della documentazione esibita in giudizio e di quella eventualmente ritenuta necessaria e fornita in sede peritale, se il sig. -OMISSIS- sia stato affetto e lo sia tuttora dalle patologie indicate in ricorso; b) - Dica, altresì, se sussista nesso causale (o concausale) in termini di alta probabilità scientifica e logico - razionale tra l’evento patologico eventualmente riscontrato e le condizioni lavorative dedotte in ricorso (e quali risultano dalla documentazione in atti); - specifichi, nell’ipotesi affermativa, a quale delle categorie indicate nelle tabelle A o B allegate al D.P.R. 834/81 sia ascrivibile l’evento patologico accertato”.
1.4. Depositata la relazione peritale, la causa è stata discussa e decisa all’udienza odierna.
II. Ai fini del decidere sono necessari alcuni preliminari spunti ricostruttivi.
II.1. L’equo indennizzo è un istituto di sicurezza sociale posto dall’ordinamento a tutela dell’inabilità dell’individuo conseguente all’inverarsi del rischio professionale. Esso trova origine nell’art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n 3 (testo unico del pubblico impiego) ed è stato successivamente regolamentato con d.P.R. 3.5.1957, n 686 e d.P.R. 20.4.1994, n 349; ulteriori modifiche sono state apportate con leggi finanziarie del 1995 e del 1997, nonché con d.P.R. 29.10.2001, n 461, recante il regolamento di semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio).
Rispetto a quanto previsto in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, il riconoscimento dell’equo indennizzo presuppone che il fatto di servizio sia causa o concausa efficiente rispetto alla patologia contratta nel senso che quest’ultima debba risultare non semplicemente contratta dal pubblico dipendente durante il tempo di servizio (in occasione del lavoro) ma, più specificatamente, deve essere eziologicamente collegata alle finalità del servizio (ulteriore differenza attiene al regime giuridico privilegiato in ordine al possesso dei requisiti contributivi).
La richiesta di equo indennizzo deve riguardare la morte o una menomazione dell'integrità fisica o psichica o sensoriale ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A o alla tabella B annesse al d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834; la menomazione conseguente ad infermità o lesione non prevista in dette tabelle è, invece, indennizzabile solo nel caso in cui essa sia da ritenersi equivalente ad alcuna di quelle contemplate nelle tabelle stesse. Qualora la menomazione dell’integrità non comporti una totale inabilità al servizio spetta al dipendente un’indennità una tantum.
II.2. In materia di causa di servizio e di equo indennizzo, sia la normativa dettata per gli impiegati dello Stato, sia la normativa con cui detti istituti sono stati estesi ai dipendenti di altri enti, prevedono un procedimento articolato in due distinte fasi, di cui la prima diretta al riconoscimento della causa di servizio e la successiva alla concessione dell’equo indennizzo, con distinti termini per la domanda di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e per la domanda di corresponsione del conseguente equo indennizzo (cfr. Cass. 28 novembre 2001, n. 15059). Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio (art. 12 del DPR 29/10/2001, n. 461; deve, pertanto, ritenersi non più valido l’orientamento secondo cui, data l’autonomia dei provvedimenti con cui si concludono le due distinte fasi, anche quando le relative statuizioni vengano incorporate in un unico documento, il provvedimento di riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio non è vincolante per la successiva concessione dell’equo indennizzo: cfr. Cons. Stato, 12.10.2000, n. 5413).
III. I presupposti di fatto allegati dal ricorrente (ovvero le condizioni lavorative ed i singoli accadimenti riportati anche nell’anamnesi peritale) sono incontestati tra le parti e, pertanto, sono fuori dal “thema probandum”. Il giudizio verte, pertanto, esclusivamente sulla seguente questione di fatto: se le infermità denunciate dal ricorrente siano o meno dipendenti da causa di servizio.
III.1 Secondo l’amministrazione “l’infermità cardiopatia ischemica in esiti di pregresso IMA anteriore trattato con duplice PTCA STENT” non potrebbe riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto si tratterebbe di patologia riconducibile a insufficiente irrorazione del miocardio e riduzione del flusso ematico coronarico, a sua volta derivante dal restringimento o su occlusione del lume basale per fatti ateromatosi della parete arteriosa. Poiché l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale, la forma in questione non potrebbe attribuirsi al servizio prestato anche perché in esso non risulterebbero sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psicofisico tali da rivestire un ruolo di causa o concausa efficiente e determinante.
III.2. Secondo un ancora diffuso orientamento giurisprudenziale, il giudizio medico - legale circa la dipendenza di infermità da cause o concause di servizio si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui si ravvisi irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti (C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2004, n. 1341; C.d.S., sez. IV, 10 luglio 2001, n. 3822) ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medico finale (C.d.S., sez. VI, 6 maggio 2002, n. 2483), ovvero esulino dai normali canoni di attendibilità in relazione alle conoscenze scientifiche applicate (Consiglio Stato, sez. VI, 26 gennaio 2010, n. 280). Il sindacato che il giudice della legittimità è autorizzato a compiere sulle determinazioni assunte dagli organi tecnici, ai quali la normativa vigente attribuisce una competenza esclusiva nella materia de qua, deve necessariamente intendersi limitato ai soli casi di travisamento dei fatti e di macroscopica illogicità ictu oculi rilevabili, non essendogli consentito, in alcun caso, di sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico nell'esercizio di una attività tipicamente discrezionale e giustificata dal possesso di un patrimonio di conoscenze specialistiche del tutto estranee al patrimonio culturale di detto giudice (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 13 giugno 2008 , n. 1497; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 13 maggio 2008, n. 4487).
Questa impostazione, a parere del Collegio, deve essere rivista sulla base di due alternative ragioni: la prima attiene alla natura della posizione soggettiva tutelata; la seconda prescinde dalla natura della posizione soggettiva tutelata ed attiene al sindacato comunque esercitabile dal giudice amministrativo sugli apprezzamenti tecnici compiuti dalla pubblica amministrazione.
IV. Il primo argomento ha carattere evidentemente pregiudiziale.
Deve ritenersi, infatti, che la controversia in esame involga posizioni di diritto soggettivo al riconoscimento di emolumenti previdenziali ancora devolute, pure a seguito della c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in forza della “riserva soggettiva” avente ad oggetto le controversie di lavoro del personale in regime di diritto pubblico tra cui, come nel caso di specie, il personale della polizia (cfr. art. 3 e 63 testo unico n. 165 del 2001). Difatti, i requisiti di fattispecie necessari e sufficienti al riconoscimento della pretesa azionata, al pari di quanto ritenuto dalla costante giurisprudenza del giudice del lavoro riferita a tutte le prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate dalla pubblica amministrazione, sono previsti direttamente dalla legge, residuando in capo alla pubblica amministrazione soltanto un’attività ricognitiva dei presupposti di legge, anche qualora il loro accertamento richieda un giudizio di carattere tecnico.
Non può dunque condividersi l’impostazione tradizionale del giudice amministrativo secondo cui, nella controversia avente ad oggetto il diniego di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ovvero di liquidazione dell’equo indennizzo, la posizione giuridica da riconoscere al pubblico dipendente nelle suddette vicende contenziose sarebbe quella del titolare dell’interesse legittimo, disponendo l’amministrazione di potere autoritativi e discrezionali proprio in ragione della particolare natura indennitaria dell’emolumento, e non del diritto soggettivo, che è consistenza che detta posizione assume solo allorché il relativo procedimento si sia positivamente concluso, e con riferimento quindi non all’”an”, ma alla corretta liquidazione del “quantum” effettivamente dovuto (C. Stato, sez. IV, 10 luglio 2007, n. 3914).
Deve, infatti, replicarsi che:
- la natura indennitaria è comune a tutti i ristori economici con funzione previdenziale e assistenziale rispetto ai quali (basti citare l’indennità di accompagnamento e tutte le altre prestazioni di invalidità civile), non si è mai posta in dubbio la consistenza di diritto soggettivo della pretesa, sottolineando tale espressione unicamente il carattere forfettario e predeterminato dell’emolumento e l’essere lo stesso svincolato dai presupposti dell’illecito;
- gli enti pubblici, in questa materia, non sono investiti di una potestà idonea a “mediare” le modalità concrete e specifiche con cui lo Stato sociale intende curare l’interesse di rango costituzionale alla liberazione dell’individuo dallo stato di bisogno (art. 38 Cost.); difatti, motivi di universalità, parità di accesso e programmazione delle risorse pubbliche a ciò destinate, hanno indotto il legislatore a rimettere siffatte valutazioni esclusivamente alla legge; in presenza dei requisiti di fattispecie, l’Amministrazione non può conformare le posizioni giuridiche soggettive, sovrapponendo alla legge il proprio discrezionale bilanciamento di interessi, avendo esclusivamente il dovere di verificare il ricorrere dei suddetti, nominati requisiti;
- la dottrina specializzata ha sempre ricostruito tali fattispecie in termini di “rapporto giuridico”, ovvero in termini paritetici; la Corte di Cassazione addirittura ritiene che l’equo indennizzo per causa di servizio (che si sostanzia nel porre a carico del datore di lavoro un'obbligazione pecuniaria strettamente inerente al rapporto di lavoro e che nasce per effetto dell'insorgenza di una infermità cagionata dalla prestazione di servizio) abbia natura giuridica retributiva in senso lato, ancorché sia funzionalmente destinata a riparare un pregiudizio (Cass. n. 12479 del 2003; Cass. n. 12547 del 2003; Cass. n. 2802 del 2003, Cass. n. 3220 del 2001; Cass. n. 5160 del 2000; (ai fini dell'attribuzione della competenza alla giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di impiego pubblico: Cass. SS.UU 8680-1995, 10243-1994, 1311-1993, 7707-1993; 5988-1992; Cass. SS.UU n. 19342 del 2008);
- per gli stessi motivi, neppure potrebbe parlarsi di attività vincolata nell’interesse pubblico giacché siamo, senza dubbio, in presenza di norme di relazione che disciplinano integralmente il rapporto con l’amministrato; la lettera della norma rende certi che, ai fini della esistenza del diritto, il legislatore non ha ritenuto indispensabile l’esistenza di un atto dell’amministrazione anche se a contenuto vincolato (ipotesi che, talvolta, ricorre quanto si vogliono consentire controlli efficaci dell’amministrazione di regolazione, ovvero quando si devono accertare le conoscenze necessarie ad esercitare un servizio pubblico);
- neppure l’esistenza di un potere autoritativo può desumersi dal fatto che la legge assegna ad un organo tecnico della pubblica amministrazione la verificazione di un fatto che richiede una valutazione dall’esito non univoco, quando (come nella specie) l’amministrazione non è tenuta ad emanare un atto il cui contenuto ed i cui effetti sono dalla legge considerati costitutivi del diritto;
- la tesi contraria, da ultimo, introdurrebbe nel sistema delle tutele, una vistosa irragionevolezza giacché la medesima pretesa azionata dal ricorrente viene dalla giurisdizione ordinaria (cui è rimessa, giova ricordare, salvo le poche categorie non contrattualizzate, la cognizione dell’intero contenzioso concernente il riconoscimento della causa di servizio per coloro che sono alle dipendenze della pubblica amministrazione, oltre che di tutte le restanti controversie previdenziali ed assistenziali) tutelata nelle forme del diritto soggettivo; a questa stregua, non si vede perché la pretesa all’equo indennizzo del professore universitario sarebbe fronteggiata da una pubblica potestà, mentre la medesima pretesa avanzata dal direttore generale di un ministero ovvero da un professore di liceo necessiterebbe per contro di una mera attività ricognitiva dei presupposti di legge; con il rischio di far dipendere la consistenza della posizione soggettiva riferita ai medesimi interessi non dal quadro di diritto sostanziale, ma dalla mera circostanza processuale della devoluzione della relativa controversia ad un ordine giurisdizionale piuttosto che un altro.
IV.1. Vertendosi, per i motivi appena svolti, in materia di diritti e di giurisdizione esclusiva, il Giudice investito della presente controversia non incontra alcun limite istruttorio e cognitorio nell’accertamento del rapporto controverso con la pubblica amministrazione; ben può, in definitiva, procedere a verificare in prima persona (con l’ausilio del consulente tecnico) il possesso, in capo al ricorrente, dei requisiti di legge per l’ottenimento dell’emolumento.
V. Anche a prescindere dalla natura della posizione soggettiva azionata, ritiene il Collegio che, qualora pure si vertesse in sede di giurisdizione di legittimità, il giudice amministrativo, nella materia di cui trattasi, ben potrebbe svolgere una cognizione piena e non un sindacato di mera ragionevolezza sugli apprezzamenti medici espressi dalle commissioni tecniche a ciò deputate.
La giurisprudenza sulla sindacabilità meramente estrinseca della valutazione medica in tema di causa di servizio si colloca all’interno di un orientamento ancora assai diffuso presso il giudice amministrativo, nonostante significative spinte alla riconsiderazione dell’argomento propugnata in talune importanti sentenze (Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601) e da parte di autorevole dottrina.
In particolare, l’opinione secondo cui le valutazioni espresse in materia medico-legale dalle speciali commissioni mediche siano sindacabili dal giudice amministrativo solo nei ridottissimi limiti costituiti dalla carenza dei presupposti e della illogicità ictu oculi non è condivisibile per i seguenti motivi: non esiste una riserva di amministrazione sugli apprezzamenti tecnico-discrezionali in sé considerati; il giudice amministrativo (anche nella giurisdizione di legittimità) non incontra alcun limite di accesso al fatto; un controllo “debole” sugli apprezzamenti tecnico - discrezionali può ammettersi solo allorquando l’accertamento del fatto equivalga all’individuazione implicita degli interessi che il potere stesso mira a soddisfare.
Di seguito, deve darsi corso allo sviluppo di tali assunti.
V.1. La “discrezionalità tecnica”, secondo l’unanime considerazione dottrinale, ricorre quando l’amministrazione, per provvedere su un determinato oggetto, deve accertare un fatto sulla scorta di una regola tecnica cui la norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta. La valutazione tecnica opinabile attiene qui ai presupposti della fattispecie; quando, per contro, essa attiene al contenuto della decisione finale, ovvero quando gli interessi sono l’oggetto diretto delle scelta tecnica (scelta di quale progetto adottare per fare una opera pubblica), si versa nell’ambito della discrezionalità amministrativa.
L’applicazione della regola tecnica comporta valutazioni suscettibili di apprezzamento opinabile qualora la stessa, a sua volta, rinvii a concetti indeterminati o imprecisi inerenti alle circostanze presupposte per l’esercizio del potere provvedimentale. Il carattere non obiettivo dell’accertamento differenzia la discrezionalità tecnica da quella del mero accertamento di un fatto sebbene, in entrambi i casi, i fatti costituiscano presupposti di operatività della norma e di validità dell’atto.
Quella degli apprezzamenti tecnici non è sicuramente un’area riservata alla pubblica amministrazione perché non rappresenta una espressione di potere funzionale. Ciò che è certamente precluso al giudice amministrativo (in sede di giudizio di legittimità) è la diretta valutazione dell’interesse pubblico concreto relativo all’atto impugnato: in altre parole, il merito dell’atto amministrativo concretatosi nel giudizio di valore e di scelta che “specializza” la funzione amministrativa. La questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma, soltanto perché opinabile, in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito (notazione quest’ultima limpidamente scolpita da Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601). Lo sconfinamento nella sfera del merito è configurabile solo quando la statuizione del giudice si spinga a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto giacché, in tal caso, la volontà dell’organo giudicante finisce per sostituirsi a quella dell’amministrazione.
In definitiva, il potere è l’effetto di una fattispecie, l’interpretazione dei cui presupposti spetta al giudice.
La mancanza di riserva di amministrazione in tema di valutazioni tecniche è comprovata dal fatto che, nelle liti tra privati e p.a. devolute alla cognizione del giudice ordinario, gli elementi tecnici sono conosciuti con pienezza, direttamente o tramite un consulente (nel giudizio civile, la CTU viene utilizzata sia per fare valutazioni che semplici accertamenti).
V.2. Neppure è insito nel processo amministrativo di legittimità un limite strutturale di accedere direttamente al fatto. Il potere di accertare i presupposti di fatto del provvedimento impugnato costituisce, anzi, lo specifico compito della giurisdizione amministrativa anche di legittimità, in ciò differenziandosi dalla cognizione, parimenti detta di legittimità, della Suprema Corte di Cassazione. Lo stesso progressivo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto alla fondatezza della pretesa giuridica azionata, invocato da autorevole parte della dottrina e della giurisprudenza, rende oramai non ulteriormente condivisibile l’idea di una cognizione ristretta ai soli elementi di fatto che risultino esclusi o sussistenti in base alle risultanze procedimentali.
L’introduzione nel processo amministrativo dello strumento della C.T.U., dapprima per la sola giurisdizione esclusiva (art. 35, comma 3 del D.lgs. n. 80/98) e poi anche in quella di legittimità (ad opera dell’art. 1 della L. n. 205/2000; ora art. 67 c.p.a.), ha fatto cadere anche quei vincoli ai poteri istruttori che venivano invocati a fondamento della limitazione del sindacato del giudice amministrativo. Nel processo del pubblico impiego, del resto, l’esperibilità della consulenza tecnica era stata anticipata dalla Consulta (C. Cost. n. 146 del 1987) che, con sentenza additiva, aveva integrato la fattispecie legale, ritenendo necessario, nella materia de qua, il più completo accertamento del fatto.
Non è ultroneo sottolineare sul punto che, se ben può il giudice amministrativo, al fine di esercitare il sindacato sulla c.d. discrezionalità tecnica della p.a., avvalersi della c.t.u., tale strumento non possa essere utilizzato per supplire ad un onere probatorio non assolto dalla parte. Infatti, il principio per cui il ricorrente è tenuto semplicemente a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte si giustifica nei soli casi in cui la disponibilità degli elementi probatori pertenga alla sola pubblica amministrazione, mentre il privato, per la sua posizione di disparità sostanziale, non sia altrettanto in grado di fare. Quando, invece, tali elementi rientrino nella disponibilità della parte privata occorre che il ricorrente supporti la propria domanda, allegando e dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa (Consiglio Stato, sez. VI, 4 settembre 2007, n. 4621).
V.3. Vi sono, tuttavia, ipotesi in cui il riscontro del giudice amministrativo sull’attività discrezionale di natura tecnica non consente alcun potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre all’operato della pubblica amministrazione la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” (avvalendosi di perito ausiliario).
Rileva, al riguardo, la seguente distinzione.
In un primo novero di casi, pure solitamente ricondotti alla nozione di discrezionalità tecnica, ma che, secondo il Collegio, sarebbe meglio definire in termini di “valutazione tecnica complessa non discrezionale”, i fatti presupposti dal provvedimento, per quanto di opinabile accertamento, sono pur sempre presi in considerazione dalla norma nella loro dimensione oggettiva di “fatto storico” giuridicamente rilevante. La norma di azione, qui, indica con precisione il bisogno tutelato e gli strumenti per farvi fronte, ragione per cui la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena verifica del fatto sotto il profilo della sua verità.
In altre ipotesi, per le quali invece è effettivamente utile e pregnante il termine “discrezionalità tecnica”, presupposto del provvedimento non è il mero fatto storico, ma il fatto “mediato” e “valutato” dalla pubblica amministrazione. Qui, l’attività valutativa ed integrativa della p.a. equivale in tutto e per tutto a descrivere “implicitamente” l’interesse pubblico che l’atto stesso mira a soddisfare. Tale tipologia di apprezzamento tecnico appartiene qualitativamente all’area della vera e propria discrezionalità, distinguendosi da quella denominata “amministrativa” sol perché vi difetta la valutazione comparativa con altri interessi secondari, concretandosi nella sola identificazione dell’unico interesse pubblico sotteso all’accertamento del fatto. L’insindacabilità della scelta tecnica si giustifica qui in virtù della peculiare “politicità” della scelta tecnica per la quale il giudice sconta un difetto di legittimazione democratica.
In altre parole, nell’accertamento tecnico discrezionale (nella nozione specificatamente circoscritta) la valutazione dell’organo concorre a definire compiutamente la fisionomia dell’interesse pubblico primario assegnato alla cura della p.a.; nel prosieguo dello stesso procedimento, può essere richiesto all’amministrazione anche il bilanciamento con altre istanze pubbliche e private, ma tale ulteriore ed eventuale segmento procedimentale, in cui si esercita la “discrezionalità amministrativa”, rimane concettualmente ben distinto dal primo stadio. Alla luce di tale ricostruzione teorica, si spiega agevolmente perché il sindacato su tale peculiare manifestazione di giudizio denominata “discrezionalità tecnica”, al pari di qualunque determinazione realmente discrezionale (perché impinge nelle modalità di cura dell’interesse pubblico), debba essere contenuto nei limiti del controllo estrinseco. Sul versante della tutela, ne consegue per il giudice l’impossibilità di sostituire la valutazione compiuta dall’organo amministrativo, salvo sanzionarne “ab externo” l’irragionevolezza.
V.4. Nel quadro di tale cornice concettuale sembra essersi mossa la giurisprudenza, formatasi in materia di accertamento dei fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale ha ritenuto che le valutazioni tecniche dell’Autorità, fondate su regole scientifiche inesatte ed opinabili (ad esempio, di carattere economico) debbano decodificare “concetti giuridici indeterminati” in cui l’apprezzamento tecnico contiene anche un’attività di interpretazione dell’interesse pubblico assegnato alla cura della pubblica amministrazione. Ne consegue la necessità di distinguere un controllo cosiddetto di tipo “forte”, che si traduce in un potere sostitutivo del giudice, il quale si spinge fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell'amministrazione” e un controllo di tipo “debole” in cui le cognizioni tecniche acquisite (eventualmente) grazie al consulente vengono utilizzate solo allo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa." (Cons. Stato, IV, n. 5287 del 6.10.2001). In presenza di casi in cui la distinzione tra il carattere di opinabilità dei giudizi tecnici (attratti nella cognizione del giudice) e i profili della opportunità (sottratti al sindacato) non è così netta deve escludersi il sindacato giurisdizionale di tipo forte (sostitutivo) ed ammettersi solo il controllo di tipo debole (il self restraint del Consiglio di Stato è analogo a quello pure adottato dalla Corte di Giustizia CE sulle valutazioni economiche complesse fatte dalla Commissione: sentenze 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, punto 34, e 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds, punto 62; 28 maggio 1998, C-7/95, John Deere, punto 34).
V.5. La corretta applicazione dei principi tutti sopra esposti comporta che l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici medici, cui la norma di sicurezza sociale subordina il conseguimento del beneficio previdenziale invocato in questa sede, non rientra nelle ipotesi in cui è impedita la loro sostituzione con gli accertamenti istruttori compiuti dal giudice che ne abbia riscontrato l’insufficienza quanto al criterio seguito e al procedimento applicativo utilizzato. Difatti, la regola tecnica inserita nella struttura della norma giuridica, nella specie, è strumentale al solo accertamento di un fatto storico (presupposto sanitario), avendo già il legislatore compiutamente identificato il bisogno tutelato mercé la determinazione del tipo di patologia e di lavorazione, dell’entità del beneficio ritenuto compatibile con le altre missioni di bilancio pubblico, del modello di relazione causale tra patologia e condizioni di lavoro. Ne consegue che, nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento di una patologia come causa di servizio, gli elementi medici in base a cui accertare tale riconoscimento sono nella disponibilità del ricorrente e in presenza di un accertamento negativo da parte dell’amministrazione spetta allo stesso fornire quanto meno un principio di prova a fondamento della sua pretesa.
VI. Tutto ciò premesso, la domanda del ricorrente è fondata.
VI.1. La piana lettura del ricorso rende evidente che, al di là della impostazione impugnatoria e della formula terminativa in termini caducatori delle conclusioni, giustificata dalla necessità di uniformarsi allo strumentario concettuale tradizionalmente adoperato dalla giurisprudenza amministrativa, la pretesa sostanziale del ricorrente è volta all’accertamento della dipendenza della propria patologia da causa di servizio; in tal senso, del resto è anche la formula terminativa delle conclusioni.
VI.2. A questa stregua, vertendo il presente giudizio “sul rapporto”, non potrebbero avere alcuna autonoma portata satisfattoria i dedotti vizi (prettamente strumentali) di difetto di motivazione e di istruttoria (in particolare, si tratta: del difetto di istruttoria per violazione dell'articolo 5 del D.P.R. 29/10/2001 n. 461, avendo l’amministrazione omesso di acquisire, mediante istruttoria, ogni informazione utile dal responsabile dell’ufficio presso cui il dipendente interessato aveva prestato servizio; del difetto di istruttoria per violazione del successivo art. 7 dello stesso D.P.R.; tali carenze si sarebbero tradotti in un vizio di insufficiente motivazione del parere emesso dal Comitato e, di riflesso, del provvedimento adottato dall’amministrazione in conformità a tale valutazione tecnica).
VII. Tanto premesso, venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che il consulente tecnico incaricato abbia sottolineato convincentemente, con motivazione chiara ed immune da vizi logici che il Collegio pienamente condivide e fa propria, gli elementi che, da un lato, suffragano il nesso di derivazione causale tra la patologia riscontrata e il servizio lavorativo prestato dal ricorrente, dall’altro, pongono in evidenza l’errore in cui è incorsa la pubblica amministrazione.
VII.1. In termini generali, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento occorre che, in base ad una legge scientifica di copertura, il giudice sia in grado di affermare che l’evento è conseguenza della condotta con alto grado di probabilità scientifica razionale. Pertanto, il giudice può affermare di avere accertato il nesso di causalità con alto grado di probabilità o elevato grado di probabilità razionale o, se si vuole, oltre ogni ragionevole dubbio, solamente se le leggi di copertura di cui si serve consentono di affermare che senza lo svolgimento della condotta lavorativa in oggetto l’evento lesivo nella stragrande maggioranza dei casi non si sarebbe verificato. La conferma dell’ipotesi sull’esistenza del nesso causale non deve essere dedotta esclusivamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice può verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile. Ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti.
VII.2. Sulla scorta della documentazione esibita in giudizio e degli esami effettuati, il consulente ha, in primo luogo, rilevato che il periziando è affetto da cardiopatia ischemica cronica, esordita nel maggio 2011 con un infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) della parete anteriore e trattato in fase acuta con angioplastica primaria e posizionamento di stent su arteria coronarica interventricolare anteriore e su coronaria destra. In seguito a tale infarto miocardico che, sfortunatamente, non ha potuto essere trattato tempestivamente (nelle prime 6 ore), è residuata una disfunzione sistolica ventricolare sinistra, ancora evidente ad un recente (settembre 2013) ecocardiogramma. Il signor -OMISSIS- risulta, inoltre, affetto da sindrome delle apnee notturne (OSAS) che ha necessitato in passato e, probabilmente, necessiterebbe ancora oggi di terapia con CPAP notturna e di sindrome ansioso-depressiva. Il paziente, in definitiva, è tuttora affetto da una cardiopatia ischemica cronica post-infartuale ad iniziale evoluzione dilatativa con associata disfunzione ventricolare sinistra.
VII.3. Con riguardo alla sussistenza del nesso causale, il CTU, premesso che esiste in letteratura ormai una chiara evidenza dell'esistenza di una associazione tra infarto miocardico acuto da una parte e, genericamente, situazioni stressanti, sia acute che croniche, anche connesse al lavoro, dall'altra, ritiene che l’attività lavorativa del paziente rientri tra quelle riconosciute come a elevato stress ed usuranti, ciò sia per la tipologia stessa del lavoro (agente di custodia penitenziaria), che per le caratteristiche delle mansioni svolte (alternanza di turni diurni e notturni associata a scorrette abitudini di vita, in particolare irregolarità del sonno e dei pasti). All’uopo cita talune evidenze empiriche che, secondo la letteratura scientifica, confermerebbero lo stretto legame tra questa patologia cardiaca acuta e lo stress di tipo psicologico (Jordan HT, et al. Cardiovascular disease hospitalizations in relation to exposure to the September 11, 2001 World Trade Center disaster and posttraumatic stress disorder. J Am Heart Assoc. 2013). Se non è possibile escludere che altri fattori, indipendenti dall’attività lavorativa del paziente possano aver contribuito allo sviluppo di un infarto, nella specie il paziente, al di là della pregressa abitudine tabagica (interrotta più di 10 anni prima dell’evento infartuale), non aveva fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, quali la familiarità, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il diabete che notoriamente aumentano la probabilità di subire eventi cardiaci acuti. Anche la riportata familiarità per cardiopatia ischemica (padre deceduto a 83 anni per infarto), più volte evidenziata nella documentazione presa in esame, non deve essere considerata tale in quanto per familiarità, in quest'ambito, si intende un evento cardiovascolare prematuro che avvenga in un consanguineo prima dei 55 anni (uomini) o prima dei 65 anni (donne).
VII.3. Ritiene il Collegio che il giudizio di ragionevole probabilità scientifica formulata dal consulente (nel senso che la peculiare attività lavorativa “usurante” svolta dal paziente possa avere rappresentato la causa o, per lo meno, la concausa dell’infarto miocardico acuto occorso nel maggio 2011) sia corroborato dalla prova logica concreta. In sintesi: - la letteratura scientifica ritiene sussistere una chiara ed evidente associazione tra l’infarto miocardico acuto e le situazioni stressanti; - la storia professionale del ricorrente appare contraddistinta da quei fattori ritenuti dalla letteratura scientifica avere un ruolo significativo nel determinismo della patologia in questione; - il ricorrente, in particolare, ha allegato di aver svolto la propria attività lavorativa in un contesto certamente caratterizzato da condizioni lavorative singolarmente defatiganti e ansiogene anche per la carenza di organico registratasi presso la casa circondariale di Pavia; - lo stesso non è risultato affetto da fattori di rischio cardiovascolare ulteriori rispetto all’attività lavorativa espletata; - la presenza e persistenza di uno stato ansioso-depressivo cronico antecedente all’infarto e, verosimilmente, riconducibile allo stress lavorativo, dovrebbe risultare ben documentabile, come già detto, dall’analisi delle varie precedenti valutazioni psichiatriche. Del resto, in punto di diritto, il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’infermità per il solo fatto della preesistenza di fattori di rischio, in fattispecie nelle quali sia documentata l’attività continuativa particolarmente impegnativa e stressante del pubblico dipendente, costituisce affermazione di un criterio tecnico inadeguato, come segnalato da costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Cass., 6 novembre 1995, n. 11559). Anche la predisposizione morbosa non esclude il nesso causale tra patologia ed evento infortunistico, in relazione anche al principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia.
VII.4. L’evento patologico accertato è ascrivibile nella tabella A, quarta categoria punto 9 allegata al D.P.R. 834/81 (all’uopo il CTU dichiara di essersi avvalso della consulenza del dott. Carlo Bernabei, medico legale con domicilio a Milano, in via Gustavo Modena, 3).
VII.5. In conclusione, è evidente l’errore in cui è incorsa l’amministrazione. Quest’ultima non ha tenuto conto del presupposto, condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui, ai fini dello specifico emolumento per cui è causa, i fatti di servizio, quando si accompagnino ad altre concause, è sufficiente che agiscano, anche solo da un punto di vista qualitativo, in maniera da influire in modo sensibile sul fatto conseguente; ciò sempre che la concausa correlata al servizio sia dotata di una significativa attività eziopatogenetica ovvero di concreta idoneità lesiva. Il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell'infermità per il solo fatto della preesistenza di fattori di rischio, in una fattispecie nella quale sia documentata l’attività continuativa particolarmente impegnativa e stressante del pubblico dipendente, costituisce affermazione di criterio tecnico inadeguato, come segnalato da costanti acquisizioni giurisprudenziali (cfr. Cass., 6 novembre 1995, n. 11559).
VII.6. Si noti che, a fronte delle descritte risultanze peritali, non sono state trasmesse al CTU eventuali osservazioni e/o conclusioni da parte del CTP in risposta alla trasmissione della bozza della relazione. La difesa erariale neppure ha mosso in giudizio alcuna censura e neanche ha offerto ulteriori elementi che consentano di integrare la valutazione amministrativa.
VIII. In definitiva, il ricorso deve essere accolto dal momento che è stata offerta la prova del nesso condizionante tra le mansioni svolte e l’evento lesivo insorto, nel senso che l’attività lavorativa è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. Le preesistenze dello stato morboso già in essere, solo concausalmente possono essere associate all’evento dannoso per cui è causa.
IX. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
IX.1. Il compenso spettante al consulente d’ufficio è posto a carico dell’amministrazione soccombente e liquidato come da dispositivo, ai sensi dell’art. 66, comma 4, terzo periodo, c.p.a. (articoli 21 del D.M. 30 maggio 2002, 51 e 52 del D.P.R. 115/02).
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sez. I), definitivamente pronunciando:
accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente al riconoscimento della causa di servizio e che l’infermità da cui è affetto è ascrivibile alla tabella A, quarta categoria punto 9 allegata al D.P.R. 834/81;
condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € 1.800,00, oltre IVA e CPA come per legge; pone, inoltre, a carico dell’amministrazione l’onere del compenso spettante al CTU, che si liquida in € 580,00, oltre IVA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario, Estensore
Angelo Fanizza, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
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