Notizie Sanitarie da sapere trovate su Internet

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Re: Notizie Sanitarie da sapere trovate su Internet

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notizia di oggi 15.03.2016
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Via libera per la pillola del giorno dopo: senza ricetta adesso si può.
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Niente più ricetta medica per la pillola del giorno dopo.
Lo ha stabilito una determina dell’Agenzia Italiana del Farmaco, pubblicata il 4 marzo, che ha predisposto per questo sistema anticoncezionale lo stesso regime previsto per la pillola dei 5 giorni dopo.
Cade così l’alibi della ricetta medica dietro cui si trincerava l’obiezione di coscienza di medici e farmacisti e dopo molti anni anche l’Italia si allinea agli altri paesi europei.
Nel caso di rapporti sessuali non protetti, le donne con più di 18 anni potranno recarsi in farmacia e richiedere la contraccezione, evitando il rischio di gravidanze indesiderate.
La notizia è stata accolta con favore dalle tante associazioni che per anni hanno combattuto la battaglia per la vendita del farmaco senza prescrizione. “Si tratta di un traguardo importante”, ha commentato tra gli altri il Professor Annibale Volpe, past president della Società Italiana della Contraccezione (Sic), “Le donne avranno così non solo più scelta, ma anche meno confusione in testa”.

La decisione dell’Aifa tiene conto di quanto disposto a livello europeo dall’Ema, la quale aveva specificato che né il levonorgestrel (principio attivo della pillola del giorno dopo), né l’ulipristal acetato (ovvero la pillola dei cinque giorni dopo) sono da considerare farmaci abortivi poiché la loro efficacia si sviluppa in un periodo nel quale la fecondazione e l’annidamento non si sono ancora verificati.

Si tratta, invece, di farmaci ormonali che impediscono l’ovulazione e la cui efficacia è maggiore se assunti tra le 12 e le 24 ore dopo il rapporto a rischio.

Da qui la necessità di snellire la procedura d’accesso al farmaco.

“L’efficacia delle pillole d’emergenza è comprovata. I contraccettivi ormonali non hanno effetti collaterali: semplicemente ritardano l’ovulazione impedendo il concepimento”, ribadisce Volpe, “Per questo motivo, qualora la gravidanza sia già in atto, la salute del feto non viene compromessa”.

“L’ostracismo prolungato di medici e farmacisti verso questi farmaci ha prodotto, nel corso degli anni moltissimi aborti per gravidanze indesiderate (97.000 nel 2014-ndr”, afferma Onda, Osservatorio sulla salute delle donne, in una nota.


panorama
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Re: Notizie Sanitarie da sapere trovate su Internet

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- ) - D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 38, recante Attuazione della direttiva 2011/24/UE concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, nonché della direttiva 2012/52/UE , comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro stato membro.

- ) - diniego di autorizzazione a fruire di prestazioni sanitarie all’estero.
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il ricorrente espone:

1) - di aver richiesto alla ASL resistente, ....., l’autorizzazione per poter fruire di prestazioni di alta specializzazione sanitarie all’estero .......;

2) - che tale autorizzazione, previo parere negativo espresso dal CRR – Centro regionale di riferimento Istituto “C. Besta” di Milano con atto 30 settembre 2015 ....., che a sua volta richiama la nota del Consiglio superiore di sanità, Sez. II, sessione XLVI, seduta del 21 ottobre 2009 – 18 novembre 2009, è stata denegata dalla ASL resistente con il provvedimento …../2015 impugnato;

3) - Affida quindi il ricorso ad un unico articolato motivo: violazione degli artt. 3, comma 5, legge 595/1985, 2 e 4 DM 3 novembre 1989, 1 e 9, D. Lgs. 38/2014;

4) - Il CRR esprime parere negativo, per quanto richiamato nel provvedimento ASL impugnato: «…in considerazione della valutazione di cui alla nota dell'Istituto Superiore di Sanità, che si allega per conoscenza, nella quale si enuncia che “non vi siano elementi scientifici di evidenza clinica né riferimenti bibliografici che dimostrino la partico/are caratterizzazione e la maggior efficacia del metodo Adeli rispetto a quelli riabilitativi riconosciuti ed erogati. Tale Metodo non è praticato in Italia presso strutture pubbliche o private accreditate, poiché non è disponibile il dispositivo ortesico denominato “tuta spaziale”. Il percorso riabilitativo si discosta lievemente dalle metodiche convenzionali praticate nelle strutture di alta specializzazione riabilitativa e in altri centri di riabilitazione, compresi quelli presenti sul territorio italiano”…».

Il TAR richiama/precisa:

5) - Premesso che, come visto, è lo stesso provvedimento ASL impugnato a dare atto che il metodo utilizzato presso il Centro estero per cui parte ricorrente richiede l’autorizzazione «…non è praticato in Italia presso strutture pubbliche o private accreditate, poiché non è disponibile il dispositivo ortesico denominato “tuta spaziale”…», dal quadro normativo sopra delineato, consegue che l’autorizzazione per assistenza sanitaria che non possa essere prestata tempestivamente o adeguatamente sul territorio nazionale possa essere negata solo laddove sussistano rischi per la salute del paziente o per il pubblico (la cui presumibilità con grado di ragionevole certezza e la cui inaccettabilità dovrebbero formare oggetto di specifica istruttoria e adeguata motivazione), ovvero quando l’assistenza sanitaria di cui si tratta risulti prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che suscita gravi e specifiche preoccupazioni quanto al rispetto degli standard e orientamenti relativi alla qualità dell’assistenza e alla sicurezza del paziente.

Cmq. per la delicatezza dell'argomento vi rimando alla lettura di tutto il contesto, normativo compreso.
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SENTENZA BREVE ,sede di MILANO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201600240, - Public 2016-02-04 -


N. 00240/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02951/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2951 del 2015, proposto da -OMISSIS-, in qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Spadea e Daniela Ziglioli, con domicilio eletto presso il loro studio, in Milano, via Pinamonte da Vimercate, 2;

contro

l’ASL – Azienda sanitaria locale della provincia di Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Casarini, con domicilio presso la Segreteria di questo Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, in Milano, via Filippo Corridoni, 39;

nei confronti di
Fondazione IRCCS Istituto neurologico “Carlo Besta”

per l’annullamento,
previa misura cautelare,

- dell’atto della ASL di Pavia n. OMISSIS del 6 ottobre 2015, recante diniego di autorizzazione a fruire di prestazioni sanitarie all’estero nel periodo 28 settembre 2015 – 10 ottobre 2015, fondato sul parere sfavorevole del Centro regionale di riferimento - Istituto neurologico “C. Besta” di Milano n. prot. OMISSIS del 30 settembre 2015;
- di tutti gli atti presupposti e/o impliciti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della ASL di Pavia;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2016 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato nei giorni 9 e 10 dicembre 2015 e depositato il giorno 22 dicembre 2015, il ricorrente espone:

- di aver richiesto alla ASL resistente, in data 22 settembre 2015, l’autorizzazione per poter fruire di prestazioni di alta specializzazione sanitarie all’estero per il periodo dal 28 settembre 2015 al 10 ottobre 2015;

- che tale autorizzazione, previo parere negativo espresso dal CRR – Centro regionale di riferimento Istituto “C. Besta” di Milano con atto 30 settembre 2015 prot. n. OMISSIS, che a sua volta richiama la nota del Consiglio superiore di sanità, Sez. II, sessione XLVI, seduta del 21 ottobre 2009 – 18 novembre 2009, è stata denegata dalla ASL resistente con il provvedimento …../2015 impugnato;

- che già nel 2009 la stessa ASL aveva negato analoga autorizzazione chiesta dal ricorrente per i periodi compresi tra il 18 maggio 2009 ed il 30 maggio 2009 e tra il 12 ottobre 2009 ed il 24 ottobre 2009;

- che i relativi provvedimenti di diniego erano stati impugnati dal ricorrente innanzi a questo TAR che, con sentenza 22 dicembre 2009, n. 5969, ne aveva ritenuto l’illegittimità.

Affida quindi il ricorso ad un unico articolato motivo: violazione degli artt. 3, comma 5, legge 595/1985, 2 e 4 DM 3 novembre 1989, 1 e 9, D. Lgs. 38/2014; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta e disparità di trattamento; carenza di idonea motivazione e di istruttoria; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei principi costituzionali, europei ed internazionali della tutela della salute con riguardo ai bambini. La possibilità di ottenere assistenza sanitaria all’estero - nonché il relativo rimborso delle spese sostenute - costituirebbe un diritto del richiedente laddove non esistesse la possibilità per il paziente di ottenere in modo tempestivo ed adeguato presso strutture nazionali le prestazioni praticate all’estero; il censurato diniego risulterebbe quindi illegittimo, poiché nella motivazione non si farebbe alcun riferimento a tali profili, se non in. modo apodittico e generico.

Inoltre, non vi sarebbe alcuna motivazione circa le valutazioni, che l’ASL avrebbe dovuto effettuare, riguardo i tempi di attesa e le strutture pubbliche o convenzionate con il SSN alle quali rivolgersi. Il parere dell’Istituto “C. Besta” pur se obbligatorio, non sarebbe vincolante, limitandosi invece il provvedimento impugnato ad un pedissequo richiamo di tale parere. La motivazione dei provvedimenti impugnati sarebbe poi contraddittoria nella parte in cui dapprima negherebbe la disponibilità in Italia delle terapie effettuate presso l’istituto estero per poi rifiutare l’autorizzazione e il relativo rimborso della spesa per tali terapie.

L’ASL intimata si è costituita, spiegando difese in rito e nel merito; in particolare, ha eccepito il difetto di giurisdizione di questo Giudice Amministrativo, anche richiamando giurisprudenza della Sezione.

Alla camera di consiglio del 12 gennaio 2016 il ricorso è stato trattato e trattenuto in decisione.

In tale sede, in particolare, è stato dato alle parti avviso circa la possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.

Il presente giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 74 cpa, essendo il ricorso manifestamente fondato, essendo trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, non essendovi necessità di istruttoria, ed essendo stato dato avviso alle parti della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata

Preliminarmente, non risulta condivisibile l’eccezione di difetto di giurisdizione del ricorso sollevata dalla ASL resistente.

Sotto tale profilo, innanzitutto, è bene ricordare che, con la citata sentenza 5969/2009, resa tra le odierne parti ed avente ad oggetto una vicenda analoga a quella sottesa alla presente controversia (trattandosi anche in quel caso di diniego di autorizzazione per cure all’estero, presso lo stesso Centro e per le stesse patologie) questa Sezione III ha reputato sussistere la giurisdizione di questo Giudice Amministrativo.

A tale precedente conforme il Collegio, ai sensi dell’art. 74 cpa, rinvia sul punto.

Né a diversa decisione può indurre il richiamo di parte resistente alla sentenza di questa Sezione 25 settembre 2015, n. 2019, trattandosi in tal caso di controversia concernente il pagamento di somme per prestazioni sanitarie erogate in convenzione con il Servizio sanitario nazionale in cui era assente l’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’amministrazione, mentre, in materia di autorizzazione per cure all’estero «…il potere autorizzativo dell’amministrazione fronteggia, nel caso de quo, veri e propri interessi legittimi pretensivi, riferibili agli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale…». (così la citata sentenza 5969/2009).

Nel merito, il ricorso è fondato.

Parte ricorrente nella sostanza, sotto diversi profili, lamenta eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.

Si legge nel provvedimento ASL …../2015 impugnato che questa, dopo aver richiamato il parere negativo del CRR – Centro regionale di riferimento reso con nota datata 30 settembre 2015, «…rigetta ai sensi della vigente legislazione, l’istanza di cure all’estero avanzata dalla S.V in quanto si ritiene che non vi siano elementi scientifici di evidenza clinica né riferimenti bibliografici che dimostrino la particolare caratterizzazione e la maggior efficacia del metodo Adeli rispetto a quelli riabilitativi riconosciuti ed erogati…».

Il CRR esprime parere negativo, per quanto richiamato nel provvedimento ASL impugnato: «…in considerazione della valutazione di cui alla nota dell'Istituto Superiore di Sanità, che si allega per conoscenza, nella quale si enuncia che “non vi siano elementi scientifici di evidenza clinica né riferimenti bibliografici che dimostrino la partico/are caratterizzazione e la maggior efficacia del metodo Adeli rispetto a quelli riabilitativi riconosciuti ed erogati. Tale Metodo non è praticato in Italia presso strutture pubbliche o private accreditate, poiché non è disponibile il dispositivo ortesico denominato “tuta spaziale”. Il percorso riabilitativo si discosta lievemente dalle metodiche convenzionali praticate nelle strutture di alta specializzazione riabilitativa e in altri centri di riabilitazione, compresi quelli presenti sul territorio italiano”…».

Tanto premesso, risulta sussistere il lamentato difetto di motivazione.

Giova ricostruire il quadro normativo applicabile alla vicenda.

Il D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 38, recante Attuazione della direttiva 2011/24/UE concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, nonché della direttiva 2012/52/UE , comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro stato membro, dispone, per quanto di interesse:

- all’art. 1, comma 1: «Il presente decreto disciplina l’accesso all’assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità e promuove la cooperazione con gli altri Stati membri dell’Unione europea in materia di assistenza sanitaria»;

- all’art. 9, comma 5: «Fatte salve le disposizioni di cui al comma 6, lettere a), b) e c), l’autorizzazione preventiva non può essere rifiutata quando l’assistenza sanitaria in questione non può essere prestata sul territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, sulla base di una valutazione medica oggettiva dello stato di salute del paziente, dell’anamnesi e del probabile decorso della sua malattia, dell’intensità del dolore e della natura della sua disabilità al momento in cui la richiesta di autorizzazione è stata fatta o rinnovata»;

- all’art. 9, comma 6: «L’autorizzazione preventiva è negata nei seguenti casi: a) in base ad una valutazione clinica, il paziente sarebbe esposto con ragionevole certezza a un rischio per la sua sicurezza che non può essere considerato accettabile, tenuto conto del potenziale beneficio per il paziente stesso dell’assistenza sanitaria transfrontaliera richiesta; b) a causa dell’assistenza sanitaria transfrontaliera in questione, il pubblico sarebbe esposto con ragionevole certezza a notevoli pericoli per la sicurezza; c) l’assistenza sanitaria in questione è prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che suscita gravi e specifiche preoccupazioni quanto al rispetto degli standard e orientamenti relativi alla qualità dell’assistenza e alla sicurezza del paziente, comprese le disposizioni sulla vigilanza, indipendentemente dal fatto che tali standard e orientamenti siano stabiliti da disposizioni legislative e regolamentari o attraverso sistemi di accreditamento istituiti dallo Stato membro di cura; d) l’assistenza sanitaria in questione può essere prestata nel territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, tenuto presente lo stato di salute e il probabile decorso della malattia».

Alla luce di tali disposizioni deve dunque essere letto il DM sanità 3 novembre 1989, recante Criteri per la fruizione di prestazioni assistenziali in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all’estero, laddove dispone (art. 2, comma 1) che «Possono essere erogate le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione, che richiedono specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia e che non sono ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità italiani di cui all’ art. 5 della legge 23 ottobre 1985, n. 595, nonché, limitatamente alle prestazioni che non rientrano fra quelle di competenza dei predetti presidi e servizi di alta specialità, presso gli altri presidi e servizi pubblici o convenzionati con il Servizio sanitario nazionale».

Premesso che, come visto, è lo stesso provvedimento ASL impugnato a dare atto che il metodo utilizzato presso il Centro estero per cui parte ricorrente richiede l’autorizzazione «…non è praticato in Italia presso strutture pubbliche o private accreditate, poiché non è disponibile il dispositivo ortesico denominato “tuta spaziale”…», dal quadro normativo sopra delineato, consegue che l’autorizzazione per assistenza sanitaria che non possa essere prestata tempestivamente o adeguatamente sul territorio nazionale possa essere negata solo laddove sussistano rischi per la salute del paziente o per il pubblico (la cui presumibilità con grado di ragionevole certezza e la cui inaccettabilità dovrebbero formare oggetto di specifica istruttoria e adeguata motivazione), ovvero quando l’assistenza sanitaria di cui si tratta risulti prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che suscita gravi e specifiche preoccupazioni quanto al rispetto degli standard e orientamenti relativi alla qualità dell’assistenza e alla sicurezza del paziente.

Tali elementi non risultano presenti nella motivazione del provvedimento impugnato né nel richiamato parere del CRR, né nella nota del Consiglio superiore di sanità, allegata al parere del CRR, relativa alle sedute del 21 ottobre 2009 e 18 novembre 2009 (anteriore al D. Lgs. 38/2014).

Da qui, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati ed il loro conseguente annullamento.

Né a diversa decisione possono indurre le argomentazioni difensive della ASL sul merito, che nella sostanza si limitano a ricondurre la legittimità del provvedimento ASL al parere del CRR, posto che in nessuno di tali atti si fa applicazione del quadro normativo sopra delineato, così risultando entrambi tali atti privi di un corredo motivazionale congruo con le norme applicabili alla vicenda.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1, 2 e 5 del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, all’oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la patria potestà o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare il medesimo interessato riportato sulla sentenza o provvedimento.

Le spese seguono la soccombenza, venendo liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione III), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati; manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, all’oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la patria potestà o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare il medesimo interessato riportato sulla sentenza o provvedimento;

condanna l’ASL resistente al pagamento, nei confronti di parte ricorrente, delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida, in via equitativa, in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio del giorno 12 gennaio 2016 e 2 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Alberto Di Mario, Presidente
Antonio De Vita, Consigliere
Diego Spampinato, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2016
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Re: Notizie Sanitarie da sapere trovate su Internet

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E' legge l'estensione dello screening neonatale a 40 malattie rare.
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Il Parlamento ha approvato in via definitiva - attraverso il via libera dalla Commissione Sanità del Senato - la legge che estende lo screening neonatale a 40 malattie rare, prevedendo un ampliamento del test rapido del sangue.

Lo screening si effettua sui nuovi nati per individuare malattie metaboliche rare, uniformando così quanto già avviene in alcune regioni. Ciò consentirà di migliorare la diagnosi e quindi le possibilità di cura e di sopravvivenza.

Lorenzin ringrazia per il lavoro svolto dai gruppi parlamentari, “capaci di raggiungere un obiettivo fondamentale come lo screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie per cui la tempestiva presa in carico ed avvio di adeguato trattamento è di fondamentale importanza”.

Sempre a riguardo della legge in materia di screening neonatali per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie, Lorenzin sottolinea come “lo screening neonatale esteso non rappresenta un costo ma un investimento per la salute. Proprio partendo da questi presupposti, sono evidenti le motivazioni per le quali la legge è da considerarsi una misura sanitaria di notevole portata. Grazie ad essa, infatti, si potranno effettuare sull'intero territorio nazionale gli screening allargati”.

In particolare la legge prevede che il test rapido del sangue sia esteso dalle attuali tre patologie metaboliche rare ereditarie (ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria e fibrosi cistica) a 40.

Per il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, lo screening neonatale esteso “supera ogni diseguaglianza di accesso ai servizi sanitari delle diverse regioni” e “non rappresenta un costo, bensì un investimento per la salute”.

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[Ministero della Salute] SCREENING NEONATALI, LORENZIN: "LEGGE GIUSTA CHE HO SOSTENUTO. GRATA A GRUPPI PARLAMENTARI PER IL LORO LAVORO" -
giovedì 4 agosto 2016
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"Sono molto soddisfatta per l'approvazione in Commissione del Senato, in sede deliberante, della legge in materia di screening neonatali per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie. Si tratta di misure significative che ho fortemente sostenuto - dichiara il Ministro- e voglio esprimere la mia personale gratitudine per il lavoro svolto da tutti i gruppi parlamentari, capaci di raggiungere un obiettivo fondamentale come lo screening neonatale, la diagnosi precoce di patologie per cui la tempestiva presa in carico ed avvio di adeguato trattamento.

Lo screening neonatale esteso non rappresenta un costo - prosegue il Ministro Lorenzin - ma un investimento per la salute. Proprio partendo da questi presupposti, sono evidenti le motivazioni per le quali, la legge è da considerarsi una misura sanitaria di notevole portata; grazie ad essa, infatti, si potranno effettuare sull’intero territorio nazionale gli screening allargati".

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[Ministero della Salute] APPROVATA LA LEGGE “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ACCERTAMENTI DIAGNOSTICI NEONATALI OBBLIGATORI PER LA PREVENZIONE E LA CURA DELLE MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE”.
giovedì 4 agosto 2016


Diventa Legge dello Stato l’accertamento diagnostico neonatale obbligatorio per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie. Il Sottosegretario De Filippo esprime piena soddisfazione per l’approvazione della Legge. Dichiara “siamo tutti consapevoli che effettuare lo screening neonatale esteso non rappresenta un costo, bensì un investimento per la salute, sostituendo il principio del rapporto costi-benefici on quello del costo-opportunità. Il beneficio non è solo legato la paziente ed alla sua famiglia ma rappresenta una razionalizzazione nell’impiego delle risorse del Sistema Sanitario, nel senso che avviare un percorso di cura prima dell’insorgenza dei sintomi è, senza dubbio, meno oneroso della gestione di un paziente con alto rischio di invalidità conseguente al ritardo diagnostico.

Partendo dalla consapevolezza della rilevanza che riveste, in termini di sanità pubblica, lo screening neonatale, emerge con ogni evidenza la portata innovativa e il significativo e oggettivo interesse del provvedimento, pertanto, ribadisco: affinché un programma di screening sia efficace, non solo dal punto di vista clinico ma anche di sanità pubblica (prevenzione collettiva, costo/beneficio, equità d'accesso, etc.), è necessario garantire il raggiungimento e l’esecuzione del test al 100% della popolazione di riferimento, nel rispetto della tempistica che deve fornire precisi e definiti percorsi clinici, con protocolli operativi ottimizzati all’impiego delle risorse da parte dei vari operatori coinvolti nel processo: i Consultori familiari, i Centri Nascita, il Centro Screening, il Centro di Riferimento Clinico, il Pediatria del territorio.

Questo risultato si può conseguire solo mediante una legge che rende uniforme il sistema sull’intero territorio nazionale e supera ogni diseguaglianza di accesso ai servizi sanitari delle diverse regioni”.
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Re: Notizie Sanitarie da sapere trovate su Internet

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1) - non valutabili le istanze per il riconoscimento dell'equivalenza del diploma di infermiere professionale ai titoli universitari di fisioterapista, di terapista occupazionale e di podologo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42.

2) - ha chiesto, ordunque, il riconoscimento dell’equivalenza del proprio diploma di infermiere professionale, conseguito in effetti il 25 giugno 1998 (e quindi ante 17 marzo 1999), ai sopra indicati titoli professionali universitari.

3) - Il ricorso, in ogni caso, per quanto sopra detto non può essere accolto, mancando i presupposti di legge per ottenere l’equivalenza richiesta e non sussistendo alcuna disparità di trattamento con chicchessia.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201601958 - Public 2016-09-22 -

Numero 01958/2016 e data 22/09/2016


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 31 agosto 2016

NUMERO AFFARE 00373/2016

OGGETTO:
Ministero della salute.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto dal sig. S. B., contro Ministero della Salute, Aifi - Associazione Italiana Fisioterapisti, per l'annullamento del provvedimento ministeriale prot. n. 0019091 dell'11 aprile 2015, che ha dichiarato non valutabili le istanze per il riconoscimento dell'equivalenza del diploma di infermiere professionale ai titoli universitari di fisioterapista, di terapista occupazionale e di podologo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42;

LA SEZIONE

Vista la relazione n. 0003667 del 27 gennaio 2016, con la quale il Ministero della salute, Direzione generale professioni sanitarie, ha riferito e chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, presidente ff Gerardo Mastrandrea;

Premesso e considerato.

Il ricorrente si grava avverso la nota ministeriale dell’11 aprile 2015, con la quale sono state restituite le tre domande, presentate per il tramite della Regione Campania, per ottenere il riconoscimento dell’equivalenza del proprio diploma di infermiere professionale, conseguito in data 25 giugno 1998, ai titoli universitari, rispettivamente, di fisioterapista, terapista occasionale e podologo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42.

I motivi di diritto proposti, particolarmente sintetici, a fronte di una diffusa esposizione in fatto, sono rappresentati, essenzialmente, dalla lagnanza della presunta disparità di trattamento e dalla doglianza circa la violazione del principio costituzionale del buon andamento.

L’Amministrazione ministeriale, in sede di relazione istruttoria, controdeduce argomentando in maniera approfondita e conclude per il rigetto del ricorso, attesa l’infondatezza delle censure dedotte.

Il ricorso, in effetti, non merita di essere accolto.

Occorre permettere che la disposizione di legge invocata (art. 4, comma 2, l. 42/1999) recita che “Con decreto del Ministro della sanità, d'intesa con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sono stabiliti, con riferimento alla iscrizione nei ruoli nominativi regionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, allo stato giuridico dei dipendenti degli altri comparti del settore pubblico e privato e alla qualità e durata dei corsi e, se del caso, al possesso di una pluriennale esperienza professionale, i criteri e le modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base, ulteriori titoli conseguiti conformemente all'ordinamento in vigore anteriormente all'emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali. I criteri e le modalità definiti dal decreto di cui al presente comma possono prevedere anche la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame finale. Le disposizioni previste dal presente comma non comportano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato né degli enti di cui agli articoli 25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

In attuazione del suddetto disposto è stato adottato il DPCM del 26 luglio 2011.

All’art. 5 del detto DPCM si specifica, al comma 2, in tema di titoli ammessi alla procedura di valutazione, che “fermo restando quanto sancito dai decreti ministeriali di equipollenza emanati ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, sono ammissibili all'istruttoria e alla successiva valutazione i titoli conseguiti anteriormente al 17 marzo 1999, data di entrata in vigore della legge 26 febbraio 1999, n. 42 che, in conformità all'ordinamento allora vigente, abbiano consentito l'esercizio professionale”.

Il ricorrente, con le tre istanze inoltrate alla Regione Campania il 27 dicembre 2013 e da questa trasmesse al Ministero della salute con nota del 17 dicembre 2014 (assunte al protocollo dell’Amministrazione ministeriale il 24 dicembre 2014), ha chiesto, ordunque, il riconoscimento dell’equivalenza del proprio diploma di infermiere professionale, conseguito in effetti il 25 giugno 1998 (e quindi ante 17 marzo 1999), ai sopra indicati titoli professionali universitari.

Beneficio che, in effetti, non gli spetta, atteso che il titolo da lui posseduto non gli consentiva secondo l’ordinamento previgente l’esercizio delle attività professionali a cui aspira, in disparte la considerazione (dell’Amministrazione riferente) che non esiste, nell’ordinamento italiano, un titolo unico che permetta l’esercizio di più professioni sanitarie contemporaneamente.

Va, altresì, notato, al riguardo, che il ricorrente ha formalmente dichiarato che nel quinquennio antecedente al 2011 ha regolarmente esercitato le tre professioni ambite in maniera continuativa ed in regime di attività libero professionale, senza invero indicare termine, contenuto e durata dell’attività.

Il ricorso, in ogni caso, per quanto sopra detto non può essere accolto, mancando i presupposti di legge per ottenere l’equivalenza richiesta e non sussistendo alcuna disparità di trattamento con chicchessia.

La domanda cautelare deve ritenersi assorbita.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso venga rigettato, con assorbimento della domanda cautelare. Invita l’Amministrazione riferente alla trasmissione degli atti alla Federazione IPASVI, per gli accertamenti di competenza.



IL PRESIDENTE F/F ED ESTENSORE
Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
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Ministero della Salute: in vigore il decreto sullo screening neonatale esteso.
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Notizia del 17/11/2016

È entrato in vigore ieri il Decreto ministeriale 13 ottobre 2016 “Disposizioni per l’avvio dello screening neonatale per la diagnosi precoce di malattie metaboliche ereditarie”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che consente di dare avvio allo screening neonatale esteso su tutto il territorio nazionale, con modalità uniformi e di trasferire alle regioni 25 milioni di euro del fondo sanitario nazionale vincolati per tale finalità.

È quanto rende noto il Ministero della Salute, sottolineando che lo screening neonatale permette di individuare, con un semplice esame sul sangue del neonato, i bimbi a rischio per alcune malattie congenite per le quali sono disponibili trattamenti e terapie in grado di modificare la storia naturale della malattia.

Il Decreto – spiega il Ministero – contiene indicazioni su: la lista delle patologie, l’informativa e il consenso, le modalità di raccolta e invio dei campioni, il sistema di screening neonatale con gli elementi della sua organizzazione, regionale o interregionale, deputata a garantire l’intero percorso dello screening neonatale dal test di I livello alla presa in carico del neonato confermato positivo, le modalità di comunicazione e richiamo per la conferma diagnostica e la presa in carico del paziente, le iniziative di formazione e informazione nonché i criteri per la ripartizione dello stanziamento. “In tal modo si assicura la massima uniformità nell’applicazione della diagnosi precoce neonatale sul territorio nazionale – prosegue il Ministero della Salute – anche per garantire idonei standard qualitativi, ridurre il numero di richiami dei nati esaminati, ottimizzare i tempi di intervento per la presa in carico clinica e favorire l’uso efficiente delle risorse su adeguati bacini di utenza, anche tramite appositi accordi interregionali”.

Lo screening neonatale esteso verrà inserito nei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (lo prevede la legge 167/2016 entrata in vigore il 15 settembre 2016).

Appena entrerà in vigore il DPCM dei nuovi LEA, il sistema screening dalla fase sperimentale andrà a regime grazie alla Legge 167/2016 che prevede l’obbligatorietà dello screening su tutto il territorio nazionale.
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giustizia fatta.

talidomide (il ricorrente nato il 2 ottobre 1958)

La Corte così conclude:

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, nella parte in cui l’indennizzo ivi indicato è riconosciuto ai soggetti nati nell’anno 1958 e nell’anno 1966, dalla «data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», anziché dalla «medesima data prevista per i soggetti nati negli anni dal 1959 al 1965».
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SENTENZA N. 55
ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra C.G. B. e il Ministero della salute, con ordinanza del 9 dicembre 2016, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di C.G. B., nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Paola Minonzio per C.G. B., e l’Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 dicembre 2016 (r.o. n. 45 del 2017), il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160.

La disposizione è censurata nella parte in cui riconosce anche ai nati nel 1958 e nel 1966 – affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco e manifestatasi nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia – l’indennizzo di cui all’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie), ma «solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (21 agosto 2016)».

1.1.– Il giudice a quo riferisce di dover decidere una controversia promossa da C.G. B. nei confronti del Ministero della salute, in persona del ministro pro tempore.

Espone che il ricorrente nel giudizio principale, nato il 2 ottobre 1958, è affetto dalla nascita da una malformazione congenita dell’arto superiore sinistro (focomelia), «riscontrata e certificata dalla Commissione Sanitaria per l’Accertamento dell’Invalidità Civile di Gazzaniga nella seduta del 29.10.1976 e dalla Commissione Sanitaria della USSL di Bergamo in data 16.2.1999».

Riferisce che, riscontrata l’assenza di tare genetiche o familiari, la malattia sarebbe stata «ascritta eziologicamente» all’assunzione materna, durante la gravidanza, del farmaco talidomide, di cui era stato successivamente accertato, in base a studi ampiamente accettati nella letteratura scientifica, l’effetto teratogeno sull’embrione.

Il giudice a quo evidenzia che l’art. 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», riconosce l’indennizzo disciplinato dall’art. 1 della legge n. 229 del 2005, originariamente previsto a beneficio dei soli danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, anche «ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco», nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia; tuttavia, l’art. 31, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14, attribuisce i benefici in questione ai soli soggetti, affetti dalle patologie sopra indicate, nati negli anni dal 1959 al 1965, in quanto in Italia la commercializzazione del talidomide sarebbe avvenuta solo nel periodo compreso tra il 1959 ed il 1962.

Aggiunge il rimettente che l’art. 1, comma 3, del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 2 ottobre 2009, n. 163 (Regolamento di esecuzione dell’articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da Talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco) prevede la decorrenza di tale indennizzo «dalla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244», ovvero dal 1° gennaio 2008.

Il ricorrente avrebbe, dunque, presentato istanza al Ministero della salute per ottenere l’indennizzo di cui alla legge n. 244 del 2007, a far data appunto dal 1° gennaio 2008. Tale istanza sarebbe stata respinta per mancanza dei requisiti richiesti.

Riferisce, ancora, il giudice a quo che, nell’ambito del giudizio innanzi a sé pendente, l’espletata consulenza tecnica di ufficio avrebbe accertato la presenza di un «quadro anatomico di emimelia, in particolare di agenesia della mano sx», non dipendente da patologie o traumi all’arto superiore sinistro sopravvenuti alla nascita, e che sarebbero stati esclusi fattori genetici cui ricollegare la malformazione. Sarebbe stato accertato, dunque, un «quadro menomativo compatibile con una sindrome da talidomide», farmaco sintetizzato in Germania nel 1954, con effetti teratogeni la cui gravità «assunse negli anni 1957-1961 una portata macroscopica», tale da indurne il ritiro dal commercio tra il 1961 ed il 1962.

Ciò posto, il giudice rimettente evidenzia che l’art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, come convertito, sopravvenuto in corso di causa, ha riconosciuto la spettanza dell’indennizzo di cui all’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007 anche ai soggetti «nati nell’anno 1958 e nell’anno 1966», sicché il ricorrente nel giudizio a quo, in quanto nato il 2 ottobre 1958, avrebbe senza dubbio diritto all’indennizzo suddetto.

Tuttavia, per effetto della previsione del medesimo art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, per i soli soggetti nati negli anni 1958 e 1966, la decorrenza dell’indennizzo viene fissata alla data di entrata in vigore della suddetta legge di conversione, «diversamente da quanto accade per i nati tra il 1959 ed il 1962 (recte: 1965)», a cui spetta, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.m. 2 ottobre 2009, n. 163, «dalla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244», ossia dal 1° gennaio 2008, data a decorrere dalla quale, come detto, anche il ricorrente nel giudizio a quo avrebbe chiesto il riconoscimento della provvidenza economica di cui si tratta.

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo considera «dirimente» la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, la cui risoluzione condiziona la decisione sulla domanda del ricorrente, che chiede il riconoscimento dell’indennizzo dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007.

A giudizio del rimettente, infatti, alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio non sarebbero revocabili in dubbio «tutti gli altri requisiti per l’accesso al beneficio, essendo controversa solo la questione relativa alla decorrenza del medesimo», sicché è solo la disposizione censurata – nella parte in cui, per i nati nel 1958 e nel 1966, riconosce l’indennizzo esclusivamente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (ossia dal 21 agosto 2016) – a impedire l’accoglimento pieno della domanda.

1.3.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia la disparità di trattamento riservata ai nati negli anni 1958 e 1966, affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco, nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia, rispetto ai nati negli anni dal 1959 al 1965, affetti dalle medesime patologie: per questi ultimi, l’indennizzo spetta, in base al regolamento di esecuzione dell’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007, dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, ossia dal 1° gennaio 2008; per i primi, nel cui novero rientra il ricorrente nel giudizio a quo, la provvidenza economica spetta solo dal 21 agosto 2016, data di entrata in vigore della legge di conversione che ha aggiunto al d.l. n. 113 del 2016 la disposizione censurata.

Secondo il rimettente, che trae il proprio convincimento anche dall’esame dell’iter che ha portato all’adozione del d.l. n. 113 del 2016, il legislatore avrebbe preso atto «del fatto che farmaci contenenti il principio attivo del talidomide sono stati somministrati sia prima del 1959 che dopo il 1962» ed avrebbe quindi voluto «sanare quella situazione di disuguaglianza che si era creata tra le vittime degli effetti collaterali di tale farmaco assunto durante la gravidanza».

Così ricostruita la ratio dell’intervento legislativo, il giudice a quo non ravvisa «alcuna ragione che, da un punto di vista prettamente giuridico, giustifichi, in termini economici, la disparità di trattamento riservata ai nati nel 1958 o nel 1966», soprattutto perché la stessa disposizione censurata avrebbe sollevato anche i nati nel 1958 e nel 1966 dall’onere probatorio di accertare il nesso causale tra la patologia e l’assunzione del talidomide da parte della madre, «di fatto presunto».

A parere del giudice rimettente, pertanto, il legislatore avrebbe tutelato giuridicamente due situazioni identiche nei loro presupposti di fatto, creando però tra le stesse «un divario così ampio da risultare ingiustificato ed irrazionale» e, quindi, contrastante con l’art. 3 Cost.

Alla luce «dello specifico interesse in gioco, rappresentato dal diritto alla salute, diritto irriducibile e protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana», nonché del fatto che la lesione dello stesso sarebbe imputabile allo Stato, per aver consentito la commercializzazione di un farmaco altamente dannoso per l’embrione, il giudice rimettente ritiene impossibile ravvisare altri interessi costituzionalmente tutelati che possano giustificare, nell’ambito di un giudizio di bilanciamento, «una simile compressione di tutela nei confronti dei soggetti danneggiati dal talidomide nati nel 1958 o nel 1996 rispetto a quelli nati tra il 1959 ed il 1962 (recte: 1965)», considerato che il diritto alla salute sarebbe stato, per tutti, ugualmente leso in maniera irreparabile.

Neppure potrebbe essere invocato, a giudizio del rimettente, «il canone della compatibilità finanziaria, atteso l’esiguo numero dei soggetti potenzialmente coinvolti dalla norma», quantificato, nel corso dei lavori parlamentari, «nell’ordine di alcune decine».

Tanto premesso, il Tribunale di Bergamo solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, convertito, con modificazioni, in legge n. 160 del 2016, «nella parte in cui, per i nati nel 1958 e nel 1966, riconosce l’indennizzo solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto» (21 agosto 2016), posto che la norma introduce «una ingiustificata ed irragionevole discriminazione tra i soggetti affetti dalla sindrome da talidomide nati negli anni 1958 e 1966 e quelli nati tra il 1959 e 1962 (recte: 1965), in violazione dell’art. 3 Cost.».

2.– Si è costituita la parte privata C.G. B., che ha ripercorso la vicenda amministrativa e poi giudiziaria che ha condotto alla proposizione della questione di legittimità costituzionale.

2.1.– Quanto alla rilevanza, la parte privata ha ricordato che l’unico «tema controverso» nel giudizio a quo è quello della decorrenza del diritto all’indennizzo, richiesto a partire dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007 e al ricorrente riconosciuto, invece, dal d.l. n. 113 del 2016, convertito, con modificazioni, in legge n. 160 del 2016, esclusivamente dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, proprio (e solo) per l’espressa previsione in tal senso contenuta nella disposizione censurata.

2.2.– In ordine alla non manifesta infondatezza, la parte privata ha ripreso gli argomenti illustrati dal giudice a quo, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata sull’art. 21-ter del d.l. n. 113 del 2016, come convertito, che introdurrebbe «una discriminazione ingiustificata, basata sull’anno di nascita».

3.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

3.1.– L’Avvocatura generale ha ricostruito la ratio dell’iniziale delimitazione della platea dei beneficiari dell’indennizzo introdotto dalla legge n. 244 del 2007, ristretta ai nati dal 1959 al 1965 ad opera del d.l. n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 14 del 2009, individuandola nella circostanza che il medicinale talidomide era stato venduto in Italia, con validità prevista per tre anni, esclusivamente dal 1958 (essendo stato registrato come farmaco anti nausea ed ipnotico, da prescrivere, in particolare, alle donne in gravidanza, con decreto del 2 aprile 1958, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 giugno 1959, n. 136) al 1962.

Successivamente, il legislatore, con la norma censurata, avrebbe riconosciuto l’indennizzo anche ai nati nel 1958 e nel 1966, in forza di «approfondimenti di carattere tecnico» in base ai quali si sarebbe ritenuto, per i primi, di non poter escludere la possibilità di assunzione del farmaco da parte delle donne in gravidanza, potendo esso essere reperito – pur non essendo ancora in commercio in Italia – «nel mercato parallelo»; per i secondi di non poter «escludere, a priori, l’assunzione del medicinale, sebbene ritirato dal mercato, in quei limitati casi in cui lo stesso fosse rimasto ancora nella disponibilità personale delle gestanti».

Ciò posto, a parere dell’Avvocatura, la ragione della diversa decorrenza temporale del beneficio sarebbe da ricercarsi nel fatto che solo nel periodo di effettiva commercializzazione del farmaco – nonché in quello in cui, pur non essendo più in commercio, aveva ancora validità – sarebbe possibile riconoscere una imputabilità allo Stato della lesione del diritto alla salute.

La norma censurata, invece, avrebbe operato l’illustrata estensione «per fini di carattere solidaristico», in assenza di responsabilità dello Stato in ordine all’assunzione del farmaco.

L’indennizzo in parola, del resto, al pari di quello previsto dall’art. 1, comma 3, della legge del 25 febbraio 1992, n. 201 (recte: 210), recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati», in favore dei soggetti infettati da epatite a seguito di trasfusione, sarebbe riconducibile – come avrebbe chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 293 del 2011 – a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità, in presenza dei presupposti di cui agli artt. 2 e 38 Cost., in favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o, comunque, promosse nell’interesse della salute collettiva.

Secondo l’Avvocatura generale, infine, l’eventuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, con riconoscimento del beneficio dal 1° gennaio 2008 anche per i nati nel 1958 e nel 1966, determinerebbe «effetti finanziari negativi di rilevante entità, suscettibili di pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica», non essendo possibile quantificare a priori la platea di soggetti potenzialmente interessati.

3.2.– In prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha sviluppato i medesimi argomenti già esibiti nell’atto d’intervento in giudizio.

In particolare, l’Avvocatura generale ha sottolineato che la diversa data di decorrenza del beneficio troverebbe giustificazione nella differente connotazione delle situazioni considerate: il beneficio riconosciuto ai soggetti nati nel 1958 e nel 1966, in quanto caratterizzato da una funzione solidaristica, non potrebbe essere ricondotto «nell’alveo concettuale» di quello già riconosciuto ai nati dagli anni dal 1959 al 1965.

Ha richiamato, a tale proposito, ampi stralci della sentenza n. 293 del 2011, in cui la Corte costituzionale avrebbe accertato che «la ratio del beneficio concesso ai nati negli anni dal 1959 al 1965» sarebbe da ravvisare nell’immissione in commercio del detto farmaco – avvenuta dalla data di registrazione (2 aprile 1958) a quella di ritiro dal commercio (settembre 1962) – in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti. Tale ratio non sarebbe ravvisabile a fondamento del beneficio concesso con la norma censurata, con la quale il legislatore avrebbe inteso, nell’esercizio della sua potestà discrezionale, riconoscere una misura di sostegno economico anche ai nati nel 1958 e nel 1966, «potendosi ipotizzare che il farmaco sia stato preso negli ultimi mesi di gravidanza (per quanto riguarda i nati nel 1958) o nei primi mesi di gravidanza (per quanto riguarda i nati nel 1966)».

Di qui la ragione, non manifestamente arbitraria, delle differenti decorrenze delle provvidenze, individuate all’esito di un ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali sottesi all’intervento normativo.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160.

La disposizione è censurata nella parte in cui riconosce anche ai nati nel 1958 e nel 1966 – affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco e manifestatasi nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia – l’indennizzo di cui all’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie), ma lo concede loro «solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (21 agosto 2016)».

Attribuendo anche ai soggetti nati negli anni 1958 e 1966 l’indennizzo in questione, ma riconoscendolo solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 113 del 2016, cioè a partire dal 21 agosto 2016, la disposizione determinerebbe, a loro danno, una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quelli nati tra il 1959 e il 1965, cui il medesimo indennizzo era stato attribuito, per effetto di una serie di successive disposizioni, con decorrenza dall’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – che l’indennizzo stesso aveva riconosciuto – ovvero dal 1° gennaio 2008.

2.– È utile premettere il contesto normativo di riferimento.

L’art. 2, comma 363, della appena citata legge n. 244 del 2007 riconosce «ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco», nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia, l’indennizzo di cui all’art. 1 della legge n. 229 del 2005. Con tale disposizione, il legislatore del 2007 estende ai soggetti affetti da sindrome da talidomide l’indennizzo previsto nel 2005 per i danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie.

Successivamente, il comma 1-bis dell’art. 31 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14, limita il riconoscimento del beneficio in questione ai soli soggetti, affetti dalle patologie indicate, nati negli anni dal 1959 al 1965.

Inoltre, il comma 1-ter dello stesso art. 31 del d.l. n. 207 del 2008 rimette a un decreto ministeriale la determinazione delle modalità, anche temporali, di erogazione dell’indennizzo.

In attuazione di tale precetto, l’art. 1, comma 3, del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 2 ottobre 2009, n. 163 (Regolamento di esecuzione dell’articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da Talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco) prevede, infine, la decorrenza dell’indennizzo «dalla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244» ovvero dal 1° gennaio 2008.

3.– Il ricorrente nel giudizio a quo è affetto da malformazione congenita dell’arto superiore sinistro, cagionata dall’assunzione da parte della madre, durante la gravidanza, del farmaco talidomide, il cui effetto teratogeno è ormai scientificamente accertato.

Il giudizio principale origina dal rigetto in sede amministrativa della sua istanza, volta alla corresponsione dell’indennizzo a far data dal 1° gennaio 2008, per essere nato nell’anno 1958 e, dunque, al di fuori dell’intervallo temporale allora previsto dalla legge (anni dal 1959 al 1965).

La disposizione censurata sopravviene durante il giudizio a quo. Essa, pur riconoscendo la spettanza dell’indennizzo anche ai soggetti «nati nell’anno 1958 e nell’anno 1966», ne prevede la decorrenza solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 113 del 2016, e cioè dal 21 agosto di quel medesimo anno.

Di qui la questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, essendo state disciplinate in modo differente, in punto di decorrenza del beneficio, due situazioni, a parere del giudice a quo, del tutto identiche.

4.– Questa Corte ha già chiarito (sentenza n. 293 del 2011) che la menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari, oltre al risarcimento del danno in base alla previsione dell’art. 2043 del codice civile, può determinare il diritto a un equo indennizzo, in forza degli artt. 32 e 2 Cost., qualora il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale (come ad esempio la sottoposizione a una vaccinazione obbligatoria), o di un trattamento, pur non obbligatorio, ma promosso dalle autorità sanitarie in vista della sua diffusione capillare nella società anche nell’interesse pubblico (laddove, ad esempio, la menomazione consegua alla sottoposizione a una vaccinazione raccomandata: da ultimo, sentenza n. 268 del 2017).

In ulteriori e differenti ipotesi, la menomazione della salute – non provocata da responsabilità delle autorità sanitarie, né conseguente all’adempimento di obblighi legali o alla spontanea adesione a raccomandazioni di quelle stesse autorità – può comportare il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 2 e 38, secondo comma, Cost., a misure di natura assistenziale, disposte dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996).

Viene in rilievo, in quest’ultima ipotesi, una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi che hanno generato una situazione di bisogno.

Proprio al novero di tali misure è da ascrivere l’indennizzo riconosciuto dall’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007 ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia, determinata dall’assunzione dell’omonimo farmaco.

A fronte di consimili situazioni di bisogno, questa Corte ha anche affermato che la determinazione del contenuto e delle modalità di realizzazione degli interventi assistenziali avviene secondo criteri rimessi alla discrezionalità del legislatore, in base ad una ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale (sentenze n. 342 del 2006 e n. 118 del 1996).

Questa stessa Corte ha tuttavia sottolineato che, in tali casi, le scelte discrezionali che il legislatore può compiere – nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura, della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare – non devono essere affette da palese arbitrarietà o irrazionalità, e in particolare non devono comportare una lesione, oltre che del nucleo minimo della garanzia, anche della parità di trattamento tra i destinatari (sentenze n. 293 del 2011, n. 342 del 2006 e n. 226 del 2000).

Proprio di tale necessaria parità di trattamento, alla luce della questione di legittimità costituzionale sollevata, deve essere dunque verificato il rispetto da parte della disposizione censurata.

Il relativo esame presuppone una valutazione circa l’effettiva omogeneità delle due situazioni poste a raffronto: quella dei soggetti affetti da sindrome da talidomide nati tra il 1959 e il 1965, destinatari dell’indennizzo disposto dalla legge n. 244 del 2007 e dal d.l. n. 207 del 2008, come convertito, e quella dei soggetti colpiti dalla medesima sindrome, nati nel 1958 e nel 1966, cui l’indennizzo è stato riconosciuto, con diversa decorrenza rispetto ai primi, dal censurato art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, come convertito.

5.– Alla luce di queste premesse, la questione è fondata.

5.1.– È in primo luogo da chiarire, e ciò già di per sé risulterebbe risolutivo, che non si è in presenza di due distinte provvidenze, ma dello stesso indennizzo. Come si desume dalla lettera della disposizione censurata, è proprio «[l]’indennizzo di cui all’articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, riconosciuto […] ai soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia nati negli anni dal 1959 al 1965» ad essere attribuito «anche» ai nati nel 1958 e nel 1966. Ciò è indicativo della necessità che i due gruppi di destinatari del medesimo indennizzo, sia pur identificati in diversi atti normativi, siano trattati in modo eguale, anche quanto alla decorrenza del beneficio.

5.2.– In secondo luogo, è da sottolineare che i due gruppi di soggetti ammessi all’identico beneficio non si trovano in una condizione diversa al cospetto delle vicende relative alla commercializzazione in Italia del farmaco talidomide e del relativo ruolo delle autorità sanitarie, come invece sostiene l’Avvocatura generale dello Stato per dimostrare la non fondatezza della questione.

L’Avvocatura generale afferma, infatti, che un diverso trattamento in punto di decorrenza, tra i due gruppi, troverebbe giustificazione nella diversa «imputabilità» allo Stato, nei due casi, delle conseguenze dannose derivanti dall’assunzione del farmaco in questione.

Sostiene, in particolare, l’Avvocatura generale che solo nel periodo di effettiva commercializzazione del farmaco (dal 1959 al 1962) – nonché per il triennio in cui, pur non essendo più in commercio, esso aveva ancora validità – sarebbe possibile riconoscere una «responsabilità» dello Stato per la lesione del diritto alla salute. Sicché, per i soggetti nati tra il 1959 e il 1965, e solo per essi, il fondamento dell’indennizzo sarebbe da ravvisare nell’immissione in commercio del farmaco senza previ e adeguati controlli sanitari sui suoi effetti.

Invece, per i soggetti nati nel 1958 e nel 1966, la ratio del beneficio sarebbe di mero «carattere solidaristico», pur in assenza di qualsiasi «responsabilità» dello Stato, poiché il farmaco sarebbe stato immesso in commercio dopo il 1958 e ritirato nel settembre del 1962.

A prescindere dal fatto che tale logica, come si dirà, non è corretta, del tutto analoga sarebbe comunque, nei due casi, quella che l’Avvocatura generale definisce la «imputabilità allo Stato» delle conseguenze dannose del talidomide: infatti, al pari che per i nati dal 1959 al 1965, anche per i nati nel 1966 l’assunzione del farmaco può essere direttamente correlata alla sua commercializzazione, consentita in Italia negli anni immediatamente precedenti, assunzione tale, considerato il periodo di validità del farmaco stesso, da protrarre i suoi effetti fino a quell’anno; mentre, per i nati nell’anno 1958, l’assunzione può dipendere dall’eventuale ingresso del farmaco in territorio italiano dai mercati stranieri, in virtù della sua registrazione operata in data 2 aprile 1958, ai sensi dell’art. 162 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie).

In verità, nel caso del talidomide, il riconoscimento dell’indennizzo prescinde da qualsiasi «imputabilità» alle autorità sanitarie della menomazione della salute.

L’indennizzo in esame, infatti, è stato originariamente previsto dalla legge n. 244 del 2007 con decorrenza non dal momento dell’evento dannoso, ma da una data ampiamente successiva, discrezionalmente individuata dal legislatore. E il giudice a quo chiede soltanto che la sua estensione al secondo gruppo di soggetti, basata su approfondimenti di carattere tecnico e temporale, logici e ragionevoli, ottenga la medesima decorrenza.

In definitiva, entrambe le misure – la seconda mera estensione della prima –presentano natura assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva, alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost., garantita ai cittadini in una situazione di bisogno che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto meritevole di particolare tutela.

5.3.– Invero, la ragione della delimitazione temporale della decorrenza del beneficio prevista dalla disposizione censurata è esclusivamente di ordine finanziario. Emerge infatti dall’esame dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge di conversione del d.l. n. 113 del 2016 che la disposizione censurata è stata introdotta avvalendosi delle risultanze dei lavori parlamentari relativi a un disegno di legge di analogo contenuto pendente al Senato della Repubblica, recante «Nuove disposizioni in materia di indennizzo a favore delle persone affette da sindrome da talidomide» (A.S. 2016), trasmesso al Senato dopo l’approvazione da parte della Camera dei deputati (A.C. 263).

Ebbene, in occasione dei lavori relativi a tale disegno di legge, in entrambi i rami del Parlamento, sia la V Commissione permanente (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei deputati (seduta del 21 aprile 2015 nel corso dell’esame del disegno di legge A.C. 263), sia la V Commissione permanente (Bilancio) del Senato della Repubblica (seduta del 31 marzo 2016 nel corso dell’esame del disegno di legge A.S. 2016), hanno espresso parere non ostativo alla estensione dell’indennizzo ai nati negli anni 1958 e 1966, a condizione che la misura non ponesse in capo ai beneficiari il diritto alla corresponsione degli arretrati e dei relativi interessi.

Il diritto a misure come quella in esame, a norma degli artt. 2 e 38 Cost., non è indipendente dal necessario intervento del legislatore, al quale spetta apprezzare qualità, misura e modalità di erogazione delle provvidenze, nonché la loro gradualità, in relazione a tutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari (sentenze n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996), componendo nell’equilibrio del bilancio le scelte di compatibilità e di priorità nelle quali si sostanziano le politiche sociali dello Stato (sentenza n. 27 del 1998).

Considerando il necessario bilanciamento tra esigenza di tutela del diritto al sostegno assistenziale, da una parte, e garanzia del mantenimento dell’equilibrio nella gestione delle risorse finanziarie disponibili, dall’altra, non è in discussione il punto di equilibrio individuato dal legislatore con la disposizione di cui all’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007, come attuato dall’art. 1, comma 3, del regolamento di cui al d.m. 2 ottobre 2009, n. 163, che fa decorrere il riconoscimento del beneficio, per i soggetti nati tra il 1959 ed il 1965, dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007.

È invece censurata la scelta operata dal legislatore del 2016, il quale decide di estendere l’indennizzo ai soggetti nati nel 1958 e nel 1966, riconoscendo ad essi i medesimi presupposti di tutela, ma impone loro, al tempo stesso, una decorrenza del beneficio diversa e ben più penalizzante.

Ciò determina una differenza di trattamento priva di giustificazione, e perciò lesiva dell’art. 3 Cost.

L’art. 21-ter, comma 1, del d.l. n. 113 del 2016, come convertito, è perciò costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui l’indennizzo ivi indicato è riconosciuto ai soggetti nati nell’anno 1958 e nell’anno 1966, dalla «data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», anziché dalla «medesima data prevista per i soggetti nati negli anni dal 1959 al 1965».

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, nella parte in cui l’indennizzo ivi indicato è riconosciuto ai soggetti nati nell’anno 1958 e nell’anno 1966, dalla «data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», anziché dalla «medesima data prevista per i soggetti nati negli anni dal 1959 al 1965».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2019.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2019.
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Il CdS accoglie l'appello del ricorrente

prestazioni mediche

1) - richiesta di autorizzazione a seguire cure mediche all’estero e al rimborso delle spese per un accompagnatore.

2) - diniego di autorizzazione a seguire cure all’estero presso il “Centro di microchirurgia dell’occhioin Mosca, per la malattia genetica degenerativa da cui è affetto, “-OMISSIS-”.
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ricorso accolto al TAR,

negato accesso alla documentazione sanitaria da parte Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza

Il TAR precisa:

1) - Il ricorso risulta fondato, tenuto conto della circostanza che si tratta di documentazione sanitaria dello stesso ricorrente e del suo diritto ad ottenerla, statuito dall’art. 4, comma 2, L. n. 24/2017,

anche perché l’istanza di accesso del -OMISSIS- era stata motivata “da ragioni di ricostruzione del suo profilo anamnestico”,

tenuto conto pure della circostanza che ai sensi dell’art. 4, comma 3, D.M. 14.2.2017 i documenti radiologici e di medicina nucleare ed i relativi resoconti devono essere “disponibili a richiesta per successive esigenze mediche, per un periodo non inferiore a 10 anni”.
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Sanità, dal primo settembre superticket abolito in tutta Italia

Dal primo settembre in tutta Italia non si pagherà più il superticket sanitario, la quota di 10 euro aggiuntiva al ticket per esami e visite specialistiche

Dal primo settembre in tutta Italia non si pagherà più il superticket sanitario, la quota di 10 euro aggiuntiva al ticket per esami e visite specialistiche. Rimane in vigore, per i non esenti, il ticket, il cui ammontare varia in base alla prestazione fino a 36 euro a ricetta.

“Ogni volta che una persona non si cura come dovrebbe per motivi economici siamo dinanzi a una sconfitta per tutti noi e a una violazione della Costituzione. Per questo a dicembre abbiamo approvato la norma che entra in vigore dal primo settembre. Il Superticket è abolito e nessuno lo pagherà più”, commenta così il ministro della Salute, Roberto Speranza sul suo profilo Facebook.

Superticket, differenze regionali

“Bene lo stop al superticket sanitario che, oltre a rappresentare un ingiusto costo a carico degli utenti della sanità, determina pesanti disuguaglianze tra cittadini”, afferma il Codacons.

“Nell’ultimo anno – spiega il Presidente Carlo Rienzi – regioni come Emilia Romagna, Piemonte e Toscana hanno deliberato l’eliminazione del Superticket, ma nel primo caso solo per alcune fasce di reddito. La Campania invece ha avviato una riduzione dell’80% del balzello in base all’età dei pazienti che richiedono le prestazioni, e un taglio totale per i nuclei numerosi e a basso reddito. A fine 2019 il Superticket si pagava integralmente in 9 regioni: Abruzzo, Liguria, Lazio, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Lombardia. Non previsto invece in Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna, Valle D’Aosta e Piemonte. In tutte le altre è invece applicato in maniera proporzionale al valore della ricetta oppure proporzionalmente al reddito”.

Tutto ciò – conclude – crea disuguaglianze inaccettabili tra cittadini in base alla regione di residenza, e spinge gli utenti a rivolgersi alla sanità privata poiché alcune prestazioni, come esami del sangue o delle urine, a causa del Superticket da 10 euro risultano più costose se eseguite presso le strutture pubbliche” – conclude Rienzi.

Soddisfatta anche Cittadinanzattiva

“Una vittoria anche nostra e di tutte le organizzazioni che insieme a noi si sono battute negli ultimi anni per l’abolizione di questa tassa che aveva pesanti ripercussioni sui cittadini e sull’accesso alle cure”, afferma Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, che attraverso una petizione su Change.org e le sue sedi territoriali ha raccolto oltre 35mila firme per l’abolizione del superticket.
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Dal sito del Ministero della Salute

https://www.salute.gov.it/portale/news/ ... zie&id=574



Detraibilità dei dispositivi medici

Si ricorda che in merito alla detraibilità dei dispositivi medici l'Agenzia delle entrate ha fornito, con la Circolare n. 20 del 13 maggio 2011, una risposta ad alcuni quesiti dei contribuenti.

Questo il testo relativo ai dispositivi contenuto nella Circolare alle pagine 14-16:

5.16 Dispositivi Medici


D. Si chiede se sia possibile fruire della detrazione per le spese sanitarie sostenute e documentate da scontrini rilasciati dalla farmacia che riportino la dicitura dispositivo medico o l'abbreviazione DM.


R. Per definire la nozione di dispositivi medici è stato acquisito il parere del Ministero della Salute. Sulla base di tale parere si precisa che:
sono dispositivi medici i prodotti, le apparecchiature e le strumentazioni che rientrano nella definizione di dispositivo medico contenuta negli articoli 1, comma 2, dei tre decreti legislativi di settore (decreti legislativi n. 507/92 n. 46/97 n. 332/00), e che sono dichiarati conformi, con dichiarazione/certificazione di conformità, in base a dette normative ed ai loro allegati e, perciò, vengono marcati CE dal fabbricante in base alle direttive europee di settore;

non esiste un elenco dei dispositivi medici detraibili che si possa consultare.


Per agevolare l'attività dei contribuenti volta ad individuare i prodotti che danno diritto alla detrazione, il Ministero della salute ha fornito un elenco non esaustivo dei Dispositivi Medici (MD) e dei Dispositivi Medico Diagnostici in Vitro (IVD), rappresentativo delle categorie di dispositivi medici di uso più comune (allegato alla presente circolare).
Dal punto di vista fiscale, fermo restando che la generica dicitura dispositivo medico sullo scontrino fiscale non consente la detrazione della relativa spesa ai sensi dellart. 15, comma 1, lett. c) del TUIR, (cfr. risoluzione n. 253 del 2009) si precisa che per i dispositivi medici il contribuente ha diritto alla detrazione qualora:



dallo scontrino o dalla fattura appositamente richiesta risulti il soggetto che sostiene la spesa e la descrizione del dispositivo medico;

è in grado di comprovare per ciascuna tipologia di prodotto per il quale si chiede la detrazione che la spesa sia stata sostenuta per dispositivi medici contrassegnati dalla marcatura CE che ne attesti la conformità alle direttive europee 93/42/CEE, 90/385/CEE e 98/79/CE; per i dispositivi medici compresi nell'elenco, ovviamente, il contribuente non ha necessità di verificare che il dispositivo stesso risulti nella categoria di prodotti che rientrano nella definizione di dispositivi medici detraibili ed è, quindi, sufficiente conservare (per ciascuna tipologia di prodotto) la sola documentazione dalla quale risulti che il prodotto acquistato ha la marcatura CE.

-------------------------

ALLEGATO

DISPOSITIVI MEDICI DI USO PIÙ COMUNE


1) Esempi di Dispositivi Medici secondo il decreto legislativo n. 46 del 1997

- Lenti oftalmiche correttive dei difetti visivi

- Montature per lenti correttive dei difetti visivi

- Occhiali premontati per presbiopia

- Apparecchi acustici

- Cerotti, bende, garze e medicazioni avanzate

- Siringhe

- Termometri

- Apparecchio per aerosol

- Apparecchi per la misurazione della pressione arteriosa

- Penna pungidito e lancette per il prelievo di sangue capillare ai fini della misurazione della glicemia

- Pannoloni per incontinenza

- Prodotti ortopedici (ad es. tutori, ginocchiere, cavigliere, stampelle e ausili per la deambulazione in generale ecc.)

- Ausili per disabili (ad es. cateteri, sacche per urine, padelle ecc..)

- Lenti a contatto

- Soluzioni per lenti a contatto

- Prodotti per dentiere (ad es. creme adesive, compresse disinfettanti ecc.)

- Materassi ortopedici e materassi antidecubito



2) Esempi di Dispositivi Medico Diagnostici in Vitro (IVD) secondo il decreto legislativo n. 332 del 2000

- Contenitori campioni (urine, feci)

- Test di gravidanza

- Test di ovulazione

- Test menopausa

- Strisce/Strumenti per la determinazione del glucosio

- Strisce/Strumenti per la determinazione del colesterolo totale, HDL e LDL

- Strisce/Strumenti per la determinazione dei trigliceridi

- Test autodiagnostici per le intolleranze alimentari

- Test autodiagnosi prostata PSA

- Test autodiagnosi per la determinazione del tempo di protrombina (INR)

- Test per la rilevazione di sangue occulto nelle feci

- Test autodiagnosi per la celiachia

Conviene Consultare sul sito dell'Agenzia delle Entrate ( se è ancora in rete) il testo completo della Circolare del 13/05/2011 n. 20 - IPEF - Risposte a quesiti

Conviene Consultare la definizione di "dispositivo medico" all'art. 1 comma 2 del Decreto legislativo 507 del 1992
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Vedi altro su Agenzia delle Entrate

Spese sanitarie detraibili


https://www.agenziaentrate.gov.it/porta ... detraibili
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medicinale “EllaOne”, comunemente noto come “pillola dei cinque giorni dopo”, senza ricetta per le minorenni.


Consiglio di Stato: legittima la decisione di Aifa di non pretendere la prescrizione medica per la pillola dei 5 giorni dopo anche per le minori, che sono informate grazie alla completezza del bugiardino e tutelate nella loro libertà e dignità

Legittima la non prescrizione della pillola anche per le minori

Per il Consiglio di Stato però è corretta la difesa dell'Aifa per la quale se si applicasse la disciplina del consenso al caso di specie si invertirebbe il rapporto tra consenso e trattamento. Nel caso di specie per la pillola dei 5 giorni dopo non è prevista prescrizione alcuna al pari degli altri farmaci da banco, in riferimento ai quali è necessario solo decidere la volontaria assunzione. "Diversamente opinando ogni farmaco da banco richiederebbe l'attivazione del meccanismo di tutela del minore con la contestuale prestazione di consenso da parte dei genitori o di chi ne fa le veci." In ogni caso, rileva il Consiglio, un'interpretazione costituzionalmente orientata che imponesse il consenso dei genitori o chi per loro comprimerebbe e frusterebbe la libertà sessuale della minore.

Il CdS rileva infine, per quanto riguarda il motivo con cui si lamenta la violazione della legge sulla interruzione della gravidanza n. 194/1978, che nel caso di specie il farmaco ha un'efficacia antiovulatoria, interviene cioè prima dell'impianto dell'embrione. Non si configura pertanto alcuna violazione di detta legge. Dalla relazione di valutazione del farmaco emerge inoltre la qualità e la sicurezza del farmaco sia per le maggiorenni che per le minori.

Si legge nella sentenza del CdS:

- Più precisamente, l’eliminazione della prescrizione medica violerebbe, da un lato, il diritto del minore ad una corretta informazione (non essendo sufficiente il foglio illustrativo di accompagnamento), dall’altra, il diritto dei titolari della responsabilità genitoriale ovvero di chi ne fa le veci a sostituirsi al minore – pur tenendo in considerazione la sua volontà – in relazione all’età, al grado di maturità, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.

- Peraltro, una lettura costituzionalmente orientata della disciplina del consenso informato che- si ribadisce, non viene in rilievo nel caso di specie – impone comunque la protezione del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'auto-determinazione della persona, diritto quest’ultimo che sarebbe esposto al concreto rischio di frustrazione nel caso in cui si pretendesse, limitatamente al caso di specie - che attiene alla libertà sessuale e, più in generale, alla sfera privata - la necessità del consenso dei genitori o dei tutori.
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Per chi non lo sapesse, la compressa Ellaone è un contraccettivo d'emergenza da assumersi entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto sessuale non protetto o dal fallimento di altro metodo contraccettivo.

Può essere utilizzata entro 5 giorni dal rapporto, perché gli spermatozoi vivono per 5 giorni all’interno dei genitali femminili e la pillola EllaOne inibisce o ritarda l’ovulazione per 5 giorni e rende inefficaci gli spermatozoi.

N.B.: ora le ragazze minorenni hanno via libera all'acquisto, senza consenso dei genitori e senza ricetta.
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Carenza farmaci, FOFI: medicinali galenici disponibili in oltre 1500 farmacie

La FOFI e la SIFAP presentano il censimento delle farmacie che allestiscono i medicinali galenici presso i propri laboratori. Una farmacia su due è inoltre specializzata nell’allestimento di preparati ad uso veterinario.

Sono oltre 1500 le farmacie italiane che allestiscono i medicinali galenici presso i propri laboratori, principalmente forme farmaceutiche orali e per applicazione cutanea come bustine, capsule, compresse, semisolidi per uso cutaneo, seguite dalle formulazioni rettali, dai farmaci per inalazione e dalle soluzioni ad uso oftalmico. Una farmacia su due è inoltre specializzata nell’allestimento di preparati ad uso veterinario. È quanto emerge dal “Censimento delle Farmacie che allestiscono preparati”, realizzato dalla Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI) in collaborazione con la Società Italiana dei Farmacisti Preparatori (SIFAP).

Il ruolo dei medicinali galenici

Lo studio è stato realizzato con l’obiettivo di fornire al Ministero della salute informazioni utili per attuare un’efficace strategia di contrasto al fenomeno della carenza di medicinali, ma anche per offrire un supporto concreto ai cittadini nella ricerca della farmacia più vicina in grado di soddisfare la propria domanda di salute.

A tal fine, sul sito della FOFI è disponibile la mappa, suddivisa per regione, delle farmacie che effettuano preparazioni galeniche, con l’indicazione delle tipologie di forme farmaceutiche allestite.

L’elenco sarà costantemente aggiornato con le nuove farmacie che aderiranno al censimento.

“La carenza di alcune classi di medicinali continua a rappresentare un serio problema, sul quale la Federazione ha richiamato l’attenzione delle istituzioni sanitarie già nella primavera dello scorso anno, in uno scenario di pandemia e di difficili equilibri geopolitici che hanno inciso sul rifornimento dei principi attivi e dei materiali necessari per il confezionamento dei farmaci”, ha dichiarato il presidente FOFI, Andrea Mandelli.

“L’ultima stagione influenzale – prosegue Mandelli – ha evidenziato, ancora una volta, la necessità di identificare strumenti efficaci per contrastare le carenze e attenuare i disagi. Per questo, insieme alla SIFAP, abbiamo voluto censire le farmacie che allestiscono i medicinali e abbiamo messo queste informazioni a disposizione in primis del Ministero della salute, per le valutazioni di competenza, ma anche dei singoli cittadini, per limitare le situazioni di disagio e garantire l’appropriatezza terapeutica”.

“I medicinali allestiti in farmacia – ha aggiunto la presidente della SIFAP, Paola Minghetti – da sempre rappresentano l’unica possibilità terapeutica quando, per diversi motivi, l’industria farmaceutica non è in grado di soddisfare un particolare bisogno terapeutico. Si tratta ad esempio di dosaggi che devono essere variati nel tempo o stabiliti ad hoc per il paziente, di necessità di forme farmaceutiche adatte o prive di eccipienti a cui il paziente è allergico o intollerante, di pazienti con patologie rare prive di medicinali autorizzati”.


Ecco il link

https://www.fofi.it/censimento_farmacie_galeniche.php
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Nota Informativa Importante sui medicinali contenenti pseudoefedrina

Nota informativa importante concordata con le autorità regolatorie europee e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

Sono stati segnalati alcuni casi di sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES) e di sindrome da vasocostrizione cerebrale reversibile (RCVS) con l'uso di medicinali contenenti pseudoefedrina.

Tali medicinali sono controindicati nei pazienti con ipertensione grave o non controllata, o con malattia renale o insufficienza renale acuta o cronica, poiché queste condizioni aumentano i rischi di PRES o RCVS. I sintomi della PRES e della RCVS comprendono mal di testa improvviso e intenso o mal di testa a rombo di tuono, nausea, vomito, confusione, convulsioni e/o disturbi visivi.

I pazienti devono essere informati sulla necessità di interrompere immediatamente l'uso di questi medicinali e di cercare assistenza medica se sviluppano segni o sintomi di PRES o RCVS.


Pubblicato il: 12 febbraio 2024

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I rischi dei farmaci con pseudoefedrina

Si tratta di farmaci diffusi. La pseudoefedrina è infatti autorizzata, da sola o in combinazione con altre sostanze, per il sollievo sintomatico a breve termine della congestione nasale o sinusale causata dal raffreddore o dalla rinite allergica o rinite vasomotoria.

I casi di sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES) e sindrome da vasocostrizione cerebrale reversibile (RCVS), spiega l’Aifa, “sono condizioni gravi che colpiscono i vasi sanguigni cerebrali” e sono stati segnalati in pazienti che assumevano medicinali contenenti pseudoefedrina. La maggior parte dei casi si è risolta dopo la sospensione del farmaco e nessuno è stato fatale.

Una revisione a livello europeo ha condotto alla conclusione che “la pseudoefedrina è associata ai rischi di PRES e RCVS e che le informazioni sul prodotto devono essere aggiornate per includere informazioni su tali reazioni avverse e misure per ridurre i rischi”.
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