Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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Effetti sull'avanzamento e detrazione di anzianità conseguenti alla fruizione del congedo retribuito per assistenza a disabile, di cui all'art. 42, comma 5 del d.Lgs. 151/2001, e del congedo senza assegni per eventi e cause particolari di cui all'art. 4, comma 2 della L. 53/2000.

Circolare del C.G.A. CC. del 30/10/2014 con allegata Circolare del Ministero della Difesa del 15/10/2014.

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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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ricorsi RESPINTI

PolStato
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rideterminazione della posizione nel ruolo di anzianità.

1) - sono stati concessi .......- gg. 15 di congedo straordinario ai sensi dell’art. 42, commi 5 ss, del d.lgs. 151/2001, a decorrere dal 18.11.2013, per poter assistere il proprio figlio minore....

2) - il periodo di congedo straordinario fruito per eventi e cause particolari non è riconosciuto ai fini della progressione di carriera, in applicazione del combinato disposto dell’art. 42, comma 5-quinques del D.Lgs n.151/2001 e dell’art. 4, comma 2 della Legge n. 53/2000.

3) - circolari dipartimentali n. 333-A9806.G.3.1/2645-2013 del 24.04.2013 e n. 333-A/9806.G.3.1/4894-2013 del 19.7.2013.

Il CdS precisa:

4) - In tal senso la circolare n. 1 del 03.02.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiarito che i periodi di congedo straordinario sono validi ai fini del calcolo dell’anzianità per i lavoratori privati, essendo coperti da contribuzione, mentre per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni la contribuzione va calcolata, trattenuta e versata, secondo le ordinarie regole, sulla base dei trattamenti corrispondenti.

5) - Le circolari impugnate si uniformano a questo orientamento.

6) - L’ipotesi in esame è ben diversa, poiché la situazione di handicap riguarda un’altra persona. Né si può sostenere che la perdita dell’anzianità per prestare assistenza a un parente disabile comporterebbe un trattamento meno favorevole rispetto agli altri lavoratori, atteso che questo risultato non è il prodotto di una discriminazione legata alle condizioni del lavoratore, sicchè i relativi rimedi esulano dall’ambito della normativa in materia.

7) - Resta qualche perplessità sull’impianto complessivo della normativa, in relazione alla scelta del legislatore di non completare la tutela del dipendente i cui prossimi congiunti siano gravati da disabilità ed alla possibile disparità di trattamento tra lavoro pubblico e privato, ma si tratta di questioni che attengono alla discrezionalità politica.

Per comprendere meglio la situazione vi rimando alla lettura qui sotto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201600050 - Public 2016-01-13 -

Numero 00050/2016 e data 13/01/2016

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 21 ottobre 2015

NUMERO AFFARE 00943/2015
NUMERO AFFARE 00944/2015

OGGETTO:
Ministero dell'interno.

quanto al ricorso n. 944 del 2015: Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto, con presentazione diretta, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da -OMISSIS-, e nei confronti di -OMISSIS-, avverso rideterminazione della posizione nel ruolo di anzianità;

quanto al ricorso n. 943 del 2015: Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto, con presentazione diretta, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, da -OMISSIS-, e nei confronti di -OMISSIS-, avverso rideterminazione della posizione nel ruolo di anzianità;

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione con la quale il Ministero dell'interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
Con provvedimento dirigenziale del 13.11.2013, a seguito di istanza presentata 1’11.11.2013, sono stati concessi al Sostituto Commissario della -OMISSIS--OMISSIS- gg. 15 di congedo straordinario ai sensi dell’art. 42, commi 5 ss, del d.lgs. 151/2001, a decorrere dal 18.11.2013, per poter assistere il proprio figlio minore (affetto da handicap grave).

Con decreti del 21.02.2014 il Direttore Centrale per le Risorse Umane del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha emesso i decreti che hanno rideterminato in pejus la posizione in ruolo dell’istante in quanto il periodo di congedo straordinario fruito per eventi e cause particolari non è riconosciuto ai fini della progressione di carriera, in applicazione del combinato disposto dell’art. 42, comma 5-quinques del D.Lgs n.151/2001 e dell’art. 4, comma 2 della Legge n. 53/2000.

Con identici ricorsi proposti il 24.5.2014, l’interessata domanda l’annullamento di tali decreti, nonche di tutti gli atti connessi, in particolare delle circolari dipartimentali n. 333-A9806.G.3.1/2645-2013 del 24.04.2013 e n. 333-A/9806.G.3.1/4894-2013 del 19.7.2013

A fondamento dei ricorsi, premesso che già in passato si era avvalsa del congedo in questione senza subire alcun pregiudizio di natura giuridico-economica, deduce violazione della Direttiva 2000/78/CE e degli artt. 2 e 3 comma 1, lett.b) del D.Lgs n.216/2003 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, estendendo l’impugnazione alle anzidette circolari, con cui è stato chiarito che il congedo in questione non può essere ritenuto utile ai fini della progressione di carriera, e che tale interpretazione ha efficacia a decorrere dal 24.04.2013.

Il Ministero riferente ha concluso perché i ricorsi siano respinti.

La Sezione ha riunito i ricorsi, per connessione soggettiva ed oggettiva.

CONSIDERATO:

La ricorrente sostiene che il richiamo operato dall’art. 42, comma 5-quinquies del D.Lgs n.151/2001 all’art. 4, comma 2 della 1. 53/2000 è limitato alla integrazione della disciplina di cui ai commi 5, 5 bis, 5 ter e 5 quater e pertanto non riguarda gli effetti del congedo sull’anzianità di servizio.

Aggiunge che la norma disciplina esclusivamente lavoratori del settore privato, i quali possono riscattare o versare i contributi relativi a quel periodo di astensione dal lavoro.

Conclude citando la sentenza -OMISSIS- che specifica come la direttiva comunitaria CE 78/2000 (recepita in Italia con il D.Lgs n.216/2003) ha stabilito che la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro debba essere estesa anche alle persone che prestano assistenza ad un parente disabile, non dovendo questi subire un trattamento meno favorevole rispetto agli altri lavoratori.

Le censure sono infondate.

L’art. 42, comma 5-quinques del d.lgs n. 151/2001, introdotto dal d.lgs. 119 del 2011, stabilisce che “Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

L’art. 4, comma 2, della legge, n. 53/2000 dispone che “I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il pasto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio nè ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria”.

I congedi retribuiti biennali sono stati definiti inizialmente dall’art. 80, comma 2 della legge n. 388/2000 che ha integrato le disposizioni previste dalla legge n. 53/2000, introducendo l’opportunità, per i genitori di persone con handicap grave, di usufruire (alternativamente) di un periodo massimo di due anni nel corso della vita lavorativa dei richiedenti, fruibile anche in forma frazionata (per giorni e non per ore), che non dava diritto alla retribuzione, all’anzianità di servizio ed al trattamento di previdenza.

Il d.lgs n. 119/2011, emanato per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, ha modificato, tra l’altro, il citato comma 5 dell’art. 42 del d.lgs. n. 151/2001, introducendo i commi dal 5-bis al 5-quinquies.

In particolare, nel prevedere che durante il periodo di congedo il richiedente ha diritto di percepire un’indennità economica corrispondente all’ultima retribuzione (escluso il trattamento accessorio), e che tale periodo è coperto da contribuzione figurativa (5 ter), diversa nel comparto privato rispetto a quello pubblico ed utile al raggiungimento dell’età pensionabile, ha disposto che in quel periodo non si maturano ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto (5 quinques), per il resto ha rinviato alle disposizioni dell’art. 4, comma 2 della Legge n. 53/2000.

Nonostante i numerosi interventi che hanno riguardato la materia, essenzialmente nel segno della tutela del lavoratore, mai è stato introdotto il principio dell’efficacia del congedo parentale ai fini dell’anzianità di servizio del dipendente pubblico.

In tal senso la circolare n. 1 del 03.02.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiarito che i periodi di congedo straordinario sono validi ai fini del calcolo dell’anzianità per i lavoratori privati, essendo coperti da contribuzione, mentre per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni la contribuzione va calcolata, trattenuta e versata, secondo le ordinarie regole, sulla base dei trattamenti corrispondenti.

Le circolari impugnate si uniformano a questo orientamento.

A diversa conclusione non conducono la Direttiva 2000/78/CE e gli artt. 2 e 3 comma 1, lett. b) del D.Lgs n.216/2003 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

L’art. 2 detta la nozione di discriminazione, prevedendo che:

“1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.

La definizione, tanto della discriminazione diretta che indiretta, si riferisce alla persona interessata ed è volta a impedire che la stessa sia trattata meno favorevolmente o messa in una condizione di svantaggio a causa, tra l’altro, di un handicap.

L’ipotesi in esame è ben diversa, poiché la situazione di handicap riguarda un’altra persona. Né si può sostenere che la perdita dell’anzianità per prestare assistenza a un parente disabile comporterebbe un trattamento meno favorevole rispetto agli altri lavoratori, atteso che questo risultato non è il prodotto di una discriminazione legata alle condizioni del lavoratore, sicchè i relativi rimedi esulano dall’ambito della normativa in materia.

Resta qualche perplessità sull’impianto complessivo della normativa, in relazione alla scelta del legislatore di non completare la tutela del dipendente i cui prossimi congiunti siano gravati da disabilità ed alla possibile disparità di trattamento tra lavoro pubblico e privato, ma si tratta di questioni che attengono alla discrezionalità politica.

P.Q.M.

esprime il parere che i ricorsi debbano essere respinti.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Francesco Bellomo Anna Leoni




IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa
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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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per opportuna notizia nel caso vi capita analoga problematica.
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personale VV.FF.

revoca congedo straordinario retribuito – risarcimento danni.

1) - I provvedimenti sono stati adottati in ragione della sopravvenuta mancanza del requisito della “convivenza” (alla luce del trasferimento della residenza dal Comune di ....... al Comune di ......, a decorrere dal 18 gennaio 2012) con il padre portatore di handicap per l’assistenza del quale era stato concesso il beneficio.

2) - Circolari e pareri richiamati nel provvedimento di revoca (circolari INPS n. 19583 del 2 settembre 2009, n. 6512 del 4 marzo 2010, e del D.F.P. n. 1 del 3 febbraio 2012).

3) - L’Amministrazione si è costituita in giudizio, depositando copia delle difese di primo grado (da cui si evince il richiamo anche alla circolare INPDAP n. 2 del 28 dicembre 2011, univoca nel riferire il requisito della convivenza alla residenza ex art. 43 c.c.).

Il CdS precisa cose importanti:

4) - La “residenza” è un concetto di fatto ed indica il luogo di abituale dimora (art. 43, comma 2, c.c.).

5) - La circostanza che esistano registri della popolazione residente, tenuti dai comuni, nonché sussista l’obbligo di comunicare i mutamenti della residenza, non fa venir meno che si tratti della descrizione di uno stato di fatto.

6) - Pertanto, anche se alcune delle circolari invocate dall’Amministrazione prevedono che il requisito risulti (debba risultare) dalla formale residenza anagrafica, le relative previsioni (a prescindere dalla circostanza che siano state o meno efficacemente impugnate nel presente giudizio) non possono impedire che il soggetto interessato dimostri altrimenti la convivenza effettiva, ossia lo stato di fatto consistente nella dimora abituale nella stessa abitazione del parente da assistere, che, di regola, dovrebbe risultare dalla residenza.

7) - Anche la giurisprudenza che si è occupata della non coincidenza tra residenza anagrafica e dimora abituale effettiva, ha affermato che, pur potendo essere sintomatica della convivenza tra il soggetto bisognoso di assistenza e il familiare che tale assistenza presta, la residenza anagrafica non esaurisce di per sé le possibilità di comprovare la convivenza; ed ha dato rilevanza, in senso contrario, alle dichiarazioni dell’interessato o agli accertamenti effettuati dall’Amministrazione (in senso sfavorevole – cfr TAR Sicilia, Palermo, I, n. 1213/2011; TAR Calabria, RC, n. 158/2012 - ovvero favorevole – TAR Friuli V.G., n. 3/2014 – all’istante).

L'Amministrazione e l'INPS perdono.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201600573
- Public 2016-02-10 -


N. 00573/2016REG.PROV.COLL.
N. 10017/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10017 del 2014, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli Avv. Matteo Sanapo, Roberto De Giuseppe, Giulio Micioni, con domicilio eletto presso Giulio Micioni in Roma, Via Postumia, 3;

contro
- Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi 12;

- INPS, rappresentato e difeso per legge dall’avv. Dario Marinuzzi, con domicilio in Roma, Via Cesare Beccaria,29;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. SARDEGNA – CAGLIARI, SEZIONE I, n. 00261/2014, resa tra le parti, concernente revoca congedo straordinario retribuito – risarcimento danni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di INPS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli Avvocati Roberto De Giuseppe, Dario Marinuzzi e l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia origina dalla revoca del congedo straordinario ex art. 42, d.lgs. 151/2001 (concesso in origine, complessivamente, per il periodo 19/10/2011-18/10/2012) e la conseguente decadenza dal relativo trattamento economico per giorni 275 (18/1/2012-18/10/2012), con recupero delle somme corrisposte, disposta dal Ministero dell’interno mediante provvedimenti n. … in data 7 gennaio 2013 e n. …. in data 6 marzo 2013 (che richiama il decreto prot. …. in data 29 gennaio 2013) nei confronti dell’odierno appellante, Vigile del Fuoco qualificato in servizio presso il Comando provinciale di OMISSIS.

2. I provvedimenti sono stati adottati in ragione della sopravvenuta mancanza del requisito della “convivenza” (alla luce del trasferimento della residenza dal Comune di OMISSIS al Comune di OMISSIS, a decorrere dal 18 gennaio 2012) con il padre portatore di handicap per l’assistenza del quale era stato concesso il beneficio.

3. Il TAR Sardegna, con la sentenza appellata (I, n. 261/2014), ha respinto il ricorso, affermando che, sulla base dell’interpretazione dell’art. 42 del d.lgs. 151/2001 risultante dalle circolari applicative dell’INPS e del Dipartimento della Funzione Pubblica e dalla ratio dell’istituto, correttamente il Ministero aveva fatto riferimento alla residenza anagrafica. E che i provvedimenti impugnati appaiono conseguenza inevitabile delle stesse dichiarazioni fatte dal ricorrente, il quale, in sede di domanda di proroga, ha continuato a dichiarare di essere residente in OMISSIS, attestando un dato non più corrispondente al vero.

4. Nell’appello, viene prospettato che:

(a) – sia l’art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001, sia la sentenza della Corte Costituzionale n. 19/2009, fanno riferimento allo stato di convivenza con il disabile, non alla residenza del beneficiario del congedo, ed è indubbio che l’appellante abbia sempre convissuto con i genitori, e che sia da anni l’unico familiare in grado di prestare assistenza al padre, affetto da OMISSIS;

(b) – in ogni caso, la residenza è un concetto di fatto e le risultanze dei registri anagrafici comunali non sono risolutive, dovendosi, ai fini della spettanza del beneficio in questione, fare riferimento al concetto di “convivenza effettiva”;

(c) – a ben vedere, anche le circolari ed i pareri richiamati nel provvedimento di revoca (circolari INPS n. 19583 del 2 settembre 2009, n. 6512 del 4 marzo 2010, e del D.F.P. n. 1 del 3 febbraio 2012), danno fondamentale rilievo alla reale convivenza, rilevando come la finalità dell’art. 42, comma 5, sia quella di assicurare la continuità delle cure e l’assistenza del disabile; in particolare, la circolare n. 1/2012 afferma che il requisito della convivenza può ritenersi soddisfatto quando sia attestata mediante dichiarazione sostitutiva la dimora temporanea, ossia l’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all’art. 32 del d.P.R. 223/1989 pur risultando diversa la residenza;

(d) – una diversa interpretazione dell’art. 42, comma 5, cit., si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 29, 32 e 118 Cost., donde la necessità di rimettere la questione alla Corte Costituzionale;

(e) – contrariamente a quanto si legge nel decreto n. 1170/2013, l’appellante ha presentato in data 12 febbraio 2013 (entro il termine assegnato dalla comunicazione di avvio del procedimento di recupero) le proprie osservazioni, ma l’Amministrazione ha omesso di tenerne conto; inoltre, il recupero mediante decurtazione dallo stipendio è iniziato prima che gli venisse notificato il decreto n. …./2013; infine, la rateizzazione disposta non tiene conto delle condizioni economiche del dipendente.

L’appellante ripropone anche la domanda risarcitoria, riguardo al comportamento illegittimo dell’Amministrazione, tale, a suo avviso, da causare danni patrimoniali e non patrimoniali, “alla salute psico-fisica, alla personalità, all’immagine, alla dignità, all’onore, alla capacità reddituale, alla vita sociale e di relazione, alla serenità familiare, alla reputazione e alla professionalità dell’appellante”, di cui chiede la liquidazione in via equitativa.

5. L’Amministrazione si è costituita in giudizio, depositando copia delle difese di primo grado (da cui si evince il richiamo anche alla circolare INPDAP n. 2 del 28 dicembre 2011, univoca nel riferire il requisito della convivenza alla residenza ex art. 43 c.c.).

6. L’appellante ha ribadito con memoria le proprie doglianze, OMISSIS.

7. Il Collegio osserva che l’art. 5 del d.lgs. 151/2001, come sostituito dal d.lgs. 119/2011, prevede che “Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi.”.

Dunque, l’elemento dirimente ai fini della spettanza del beneficio è la “convivenza” con il parente disabile grave. E ciò risulta coerente con la finalità del beneficio del congedo straordinario in questione, che, come ha sottolineato anche l’appellante, è volto a favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e ad assicurare continuità nelle cure e nell'assistenza, al fine di evitare lacune nella tutela della salute psico-fisica dello stesso, e ciò a prescindere dall’età e dalla condizione dei parenti in grado di assisterlo (come affermato dalla Corte Costituzionale, che – con sentenze nn. 233/2005, 158/2007 e 19/2009 - ha progressivamente ampliato l’ambito degli aventi diritto, prima della novellazione che ha introdotto la formulazione dell’art. 42, commi 5 ss., oggi vigente).

8. La “residenza” è un concetto di fatto ed indica il luogo di abituale dimora (art. 43, comma 2, c.c.).
La circostanza che esistano registri della popolazione residente, tenuti dai comuni, nonché sussista l’obbligo di comunicare i mutamenti della residenza, non fa venir meno che si tratti della descrizione di uno stato di fatto.

Pertanto, anche se alcune delle circolari invocate dall’Amministrazione prevedono che il requisito risulti (debba risultare) dalla formale residenza anagrafica, le relative previsioni (a prescindere dalla circostanza che siano state o meno efficacemente impugnate nel presente giudizio) non possono impedire che il soggetto interessato dimostri altrimenti la convivenza effettiva, ossia lo stato di fatto consistente nella dimora abituale nella stessa abitazione del parente da assistere, che, di regola, dovrebbe risultare dalla residenza.

9. Anche la giurisprudenza che si è occupata della non coincidenza tra residenza anagrafica e dimora abituale effettiva, ha affermato che, pur potendo essere sintomatica della convivenza tra il soggetto bisognoso di assistenza e il familiare che tale assistenza presta, la residenza anagrafica non esaurisce di per sé le possibilità di comprovare la convivenza; ed ha dato rilevanza, in senso contrario, alle dichiarazioni dell’interessato o agli accertamenti effettuati dall’Amministrazione (in senso sfavorevole – cfr TAR Sicilia, Palermo, I, n. 1213/2011; TAR Calabria, RC, n. 158/2012 - ovvero favorevole – TAR Friuli V.G., n. 3/2014 – all’istante).

10. Nella stessa sentenza appellata si sottolinea che la presunzione di corrispondenza delle risultanze anagrafiche alla realtà effettiva riguardo alla residenza di una persona fisica, benché non abbia valore assoluto (iuris et de iure), deve considerarsi munita di una particolare resistenza, nel senso che, nel caso in cui ai fini del suo superamento non si adducano prove tipiche, di tenore univocamente concludente, ma elementi a loro volta presuntivi, i requisiti di gravità, precisione e concordanza di questi ultimi vanno apprezzati dal giudice del merito con particolare rigore. Ebbene, nel caso in esame non è contestato che l’appellante abbia sempre abitato con i genitori a OMISSIS, e che il trasferimento di residenza a OMISSIS sia stato effettuato al solo fine di beneficiare delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, fin dall’inizio locata ad un distinto nucleo familiare.

11. Le considerazioni esposte conducono ad accogliere l’appello, nella parte rivolta a contestare il rigetto da parte del TAR dell’impugnazione del provvedimento di revoca o decadenza del beneficio.

Non vi è motivo per esaminare le censure rivolte alle modalità ed all’entità del recupero delle somme corrispondenti al periodo di congedo straordinario, posto che il recupero cade per invalidità derivata.

12. Non può invece essere accolta la domanda risarcitoria, dato che non vi è adeguata prospettazione in ordine al danno di cui si chiede il risarcimento, e che comunque all’origine della controversia vi è stata una dichiarazione del ricorrente concernente una residenza anagrafica non corrispondente alla situazione reale, e pertanto le conseguenze negative appaiono – in questa limitata misura – a lui imputabili.

13. Per le medesime considerazioni, si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado limitatamente alla domanda di annullamento dei provvedimenti con esso impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/02/2016
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Ricorso straordinario al PdR perso.
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rideterminazione della posizione nel ruolo d’anzianità.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201602550 - Public 2016-12-06 -
Numero 02550/2016 e data 06/12/2016


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 23 novembre 2016


NUMERO AFFARE 01406/2016

OGGETTO:
Ministero dell’interno.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto dal signor -OMISSIS- del direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della pubblica sicurezza, recante rideterminazione della sua posizione nel ruolo d’anzianità.

LA SEZIONE
Vista la relazione -OMISSIS-, con la quale il Ministero dell’interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
visto il ricorso, notificato dal difensore del ricorrente al ministero a mezzo del servizio postale l’8 marzo 2016 (data di spedizione):
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti.


Premesso.

1.) Il sostituto commissario della Polizia di Stato -OMISSIS- ha proposto ricorso straordinario per ottenere l'annullamento del decreto sopra indicato, con il quale è stata rideterminata la sua posizione nel ruolo d’anzianità, in conseguenza del provvedimento del questore di -OMISSIS- con il quale è stato concesso al ricorrente un periodo di congedo straordinario (goduto dopo il 24 aprile 2013).

2.) Il 23 giugno 2015 il ricorrente, che già si trovava in congedo straordinario retribuito per 12 mesi, chiese al questore di -OMISSIS- di proseguire il congedo straordinario a norma dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151. Il questore di -OMISSIS- con atto del 29 giugno 2015 gli concesse un anno di congedo straordinario a decorrere dal 2 settembre 2015 (fino al 31 agosto 2016) per poter assistere -OMISSIS-

A seguito di detto decreto il direttore centrale per le risorse umane del dipartimento della pubblica sicurezza, dopo aver dato atto che il periodo di congedo straordinario per eventi e cause particolari non è riconosciuto ai fini della progressione di carriera - in applicazione del combinato disposto dell'art. 42, comma 5-quinques, del D.Lgs. n. 151/2001 e dell’art. 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000 53, ha emesso il decreto impugnato, con in quale è stata rideterminata la sua posizione in ruolo.

3.) Il signor -OMISSIS- censura la legittimità del provvedimento per due motivi, così rubricati: I.) violazione e falsa applicazione di legge; II.) violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 42, comma 6, del D.Lgs. n. 151/2001. Innanzitutto il ricorrente lamenta l’omessa notifica del decreto del questore n. 54/ del 2015, conosciuto solo attraverso il provvedimento impugnato; per tale motivo lo ritiene ancora suscettibile d’impugnazione. Deduce poi l’incompetenza del questore alla concessione del congedo a norma del citato art. 42, perché, trattandosi di provvedimento incidente sullo stato giuridico del dipendente, la competenza sarebbe spettata al direttore centrale per le risorse umane.

In merito al decreto dipartimentale il signor -OMISSIS- ne denuncia l’illegittimità perché nel preambolo sono menzionati due distinti istituti giuridici (congedo straordinario biennale e congedo per eventi e cause particolari) disciplinati da due norme diverse (ossia, l’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001 e l’art. 4 della L. n. 53/2000), e perché il provvedimento è destinato ad esaurire i suoi effetti alla data 31 agosto 2016, mentre la penalizzazione avviene prima dell’evento futuro ed incerto (quale il possibile rientro in servizio prima della data di scadenza). Sostanzialmente il ricorrente deduce che il congedo straordinario di cui all’art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001 e il congedo previsto dall'art. 4, comma 2, della L. n. 53/2000 non seguono la medesima disciplina giuridica, sicché l’amministrazione avrebbe illegittimamente sovrapposto i due istituti, operando una forzatura interpretativa nell’escludere il periodo di congedo dal computo dell’anzianità di servizio (e applicando quindi, all’ipotesi dell’art. 42, la disposizione dell’art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000, secondo cui il congedo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali). In tal modo si creerebbe anche una disparità di trattamento tra il dipendente pubblico e quello privato. Inoltre il ricorrente, dopo aver illustrato la genesi della norma e richiamato talune pronunce della corte costituzionale (n. 203/2013, n. 19/2009, n. 158/2007, n. 233/2005), ha dedotto che il congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001 ha natura autonoma e condivide con il congedo disciplinato dall’art. 4, comma 2, della L. n. 53/2000 solo la durata biennale; mentre il congedo di cui all’art. 42 è un diritto potestativo del dipendente, il congedo di cui all'art. 4 costituisce un beneficio a carattere discrezionale.

Il ricorrente infine sostiene che il congedo disciplinato dall’art. 42 dev’essere computato anche ai fini dell’anzianità di servizio, così come previsto dall’art. 34, comma 5, per il congedo parentale (sul punto richiama il parere espresso dal dipartimento della funzione pubblica del 18 marzo 2008).

4.) Il Ministero eccepisce la parziale inammissibilità del ricorso nella parte in cui si chiede la rideterminazione della posizione in ruolo del signor -OMISSIS-, giacché tale richiesta esulera dal ricorso straordinario, che ha carattere impugnatorio, e nel merito propende per l’infondatezza dell’impugnazione.

Considerato.

5.) Non è fondata la censura d’incompetenza del questorea, dal momento che con la circolare dipartimentale n. 333/A/ 9805.C.1 – 3091, del 22 aprile 2009, confermata dalla successiva circolare n. 333-a/9806.G.3.1/2645-2013, del 24 aprile 2013, si è disposto che, in virtù del decentramento amministrativo delle competenze in materia, i provvedimenti di congedo ordinario e straordinario siano adottati dai capi degli uffici e reparti periferici.

Irrilevante è poi la circostanza della mancata notifica, a suo tempo, del provvedimento del questore con cui fu concesso il periodo di congedo richiesto, dal momento che tale atto può ritenersi ritualmente impugnato in uno con il provvedimento indicato in oggetto.

6.) Nel merito, una volta rilevato che i due mezzi di ricorso, in ragione della loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto. Il ricorrente sostanzialmente deduce che il richiamo operato dall’art. 42, comma 5-quinquies, del D.Lgs n. 151/2001 all’art. 4, comma 2, della L. n. 53/2000 è limitato alla integrazione della disciplina di cui ai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater del medesimo art. 42 e che, pertanto, tale rinvio non riguarda gli effetti del congedo sull’anzianità di servizio. Sennonché questa Sezione si è già pronunciata sulla specifica questione, con il parere n. 50/2016, pubblicato il 13 gennaio 2016, reso nell’adunanza del 21 ottobre 2015. In particolare, nel citato precedente, si è osservato quanto segue: “L’art. 42, comma 5-quinques del d.lgs n. 151/2001, introdotto dal d.lgs. 119 del 2011, stabilisce che “Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

L’art. 4, comma 2, della legge, n. 53/2000 dispone che “I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il pasto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria”.

I congedi retribuiti biennali sono stati definiti inizialmente dall’art. 80, comma 2 della legge n. 388/2000 che ha integrato le disposizioni previste dalla legge n. 53/2000, introducendo l’opportunità, per i genitori di persone con -OMISSIS- grave, di usufruire (alternativamente) di un periodo massimo di due anni nel corso della vita lavorativa dei richiedenti, fruibile anche in forma frazionata (per giorni e non per ore), che non dava diritto alla retribuzione, all’anzianità di servizio ed al trattamento di previdenza.

Il d.lgs n. 119/2011, emanato per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, ha modificato, tra l’altro, il citato comma 5 dell’art. 42 del d.lgs. n. 151/2001, introducendo i commi dal 5-bis al 5-quinquies.

In particolare, nel prevedere che durante il periodo di congedo il richiedente ha diritto di percepire un’indennità economica corrispondente all’ultima retribuzione (escluso il trattamento accessorio), e che tale periodo è coperto da contribuzione figurativa (5 ter), diversa nel comparto privato rispetto a quello pubblico ed utile al raggiungimento dell’età pensionabile, ha disposto che in quel periodo non si maturano ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto (5 quinquies), per il resto ha rinviato alle disposizioni dell’art. 4, comma 2 della Legge n. 53/2000.

Nonostante i numerosi interventi che hanno riguardato la materia, essenzialmente nel segno della tutela del lavoratore, mai è stato introdotto il principio dell’efficacia del congedo parentale ai fini dell’anzianità di servizio del dipendente pubblico.

In tal senso la circolare n. 1 del 03.02.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiarito che i periodi di congedo straordinario sono validi ai fini del calcolo dell’anzianità per i lavoratori privati, essendo coperti da contribuzione, mentre per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni la contribuzione va calcolata, trattenuta e versata, secondo le ordinarie regole, sulla base dei trattamenti corrispondenti. …

A diversa conclusione non conducono la Direttiva 2000/78/CE e gli artt. 2 e 3 comma 1, lett.b) del D.Lgs n.216/2003 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

L’art. 2 detta la nozione di discriminazione, prevedendo che:

“1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.

La definizione, tanto della discriminazione diretta che indiretta, si riferisce alla persona interessata ed è volta a impedire che la stessa sia trattata meno favorevolmente o messa in una condizione di svantaggio a causa, tra l’altro, di un handicap.

L’ipotesi in esame è ben diversa, poiché la situazione di -OMISSIS- riguarda un’altra persona. Né si può sostenere che la perdita dell’anzianità per prestare assistenza a -OMISSIS- comporterebbe un trattamento meno favorevole rispetto agli altri lavoratori, atteso che questo risultato non è il prodotto di una discriminazione legata alle condizioni del lavoratore, sicché i relativi rimedi esulano dall’ambito della normativa in materia.”.

Il caso ora in esame non presenta elementi tali da giustificare una revisione dell’orientamento riferito. In tal senso, d’altronde, è anche la nota del dipartimento della funzione pubblica, 27 dicembre 2012 n. 52465, con la quale si è ribadito che i periodi di congedo, pur validi a fini pensionistici, non rilevano ai fini della progressione in carriera, perché i periodi rilevanti a questi fini postulano un’attività lavorativa effettivamente svolta.

Infine, non è convincente l’argomento incentrato sulla considerazione del richiamo, operato dall’art. 43 del D.Lgs. n. 151/2001, all’art. 34, comma 5, del medesimo decreto. Tale rinvio generale alla disciplina delle altre forme di congedo recede rispetto alla circostanza che la medesima fonte primaria rimanda, in forma specifica, per quanto non previsto dall'art. 42, all’art. 4 della legge 53/2000.

In conclusione, il ricorso va rigettato.  

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gabriele Carlotti Raffaele Carboni




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Congedo straordinario art. 42, co. 5 e ss, del d.lgs. 151-2001 e validità ai fini della progressione della carriera – Circolare Ministero dell’Interno del 22-9-2017


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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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1) - La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

2) - I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi.

3) - Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

La Corte Costituzionale con sentenza 158/2018 ha concluso così:

4) - dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

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Deposito 13/07/2018 (dalla 158 alla 158)

S. 158/2018 del 23/05/2018

Udienza Pubblica del 22/05/2018, Presidente: LATTANZI, Redattore: SCIARRA

Norme impugnate: Art. 24 del decreto legislativo 26/03/2001, n. 151.
_________________________

Oggetto: Maternità e infanzia - Indennità giornaliera di maternità - Condizioni - Previsione che tra la sospensione del rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni - Mancata previsione, tra le ipotesi di deroga al computo dei sessanta giorni, dell'assenza per congedo straordinario per l'assistenza al coniuge con grave disabilità.
________________________

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

Atti decisi: ord. 130/2017; 47/2018

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SENTENZA N. 158
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di E.T.R. F.;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessità di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1° luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».

La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere «il trattamento economico di maternità per l’intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che l’interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era «avvenuta senza effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte della ricorrente».

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la disposizione censurata impedisce di riconoscere l’indennità di maternità alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di 60 giorni».

All’inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da più di sessanta giorni del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia comunque corrisposto il trattamento di maternità, come nelle altre fattispecie tassativamente previste dall’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dalla premessa che l’indennità di maternità miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni connessi alla cura del bambino.

Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l’assistenza del coniuge disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’inizio del periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le «complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un congedo straordinario».

Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo liberamente il momento in cui diventare madre.

In particolare, nel negare l’indennità di maternità quando il rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessità di assistere il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la speciale protezione della maternità, sancita dagli artt. 31 e 37 Cost.

Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto nega l’indennità di maternità alla lavoratrice che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessità di assistere il coniuge disabile e determina una disparità di trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta anche alla lavoratrice assente dal servizio da più di sessanta giorni.

Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità». Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato dall’art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva 2006/54 e trasposto nell’ordinamento all’art. 2 bis del d.lgs. n. 198/06», e a causa della disabilità, in contrasto con le previsioni «della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in particolare con «il divieto di discriminazione fondato sull’handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi gli presta assistenza.

Il rimettente, in ragione della tassatività delle ipotesi in cui il trattamento di maternità è corrisposto anche a prescindere da una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a sessanta giorni, reputa impraticabile l’interpretazione adeguatrice e ravvisa la necessità di investire la Corte costituzionale per la soluzione del dubbio di costituzionalità.

Questa necessità non potrebbe dirsi superata dal fatto che il conflitto tra norme interne e norme dell’Unione europea di diretta applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal diritto euro unitario può essere risolto solo attraverso un espresso sindacato di legittimità sull’atto legislativo ordinario da parte dell’Organo competente», e non già attraverso la disapplicazione delle norme di rango legislativo in ipotesi contrastanti con i precetti costituzionali.

2.– Con atto depositato il 24 ottobre 2017, si è costituita E.T.R. F., chiedendo di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.

Il trattamento economico di maternità, al pari del congedo di maternità e del divieto di licenziamento, attuerebbe la speciale protezione che l’art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice e al bambino, e il principio di eguaglianza sostanziale presidiato dall’art. 3, secondo comma, Cost.

Il sostegno economico alla lavoratrice madre perseguirebbe l’obiettivo di tutelare la salute della donna e del nascituro e di salvaguardare la libertà della lavoratrice di essere madre, senza limitazioni o condizionamenti derivanti dalla prospettiva della perdita del reddito lavorativo.

Il congedo straordinario regolato dall’art. 42 d.lgs. n. 151 del 2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del disabile e di promuoverne l’integrazione all’interno della famiglia, che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale fattispecie di congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento economico di maternità, la medesima tutela riconosciuta nelle altre ipotesi, in cui la legge concede l’indennità di maternità anche a lavoratrici che non siano in servizio da più di sessanta giorni.

La disposizione censurata, nel negare l’indennità di maternità alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro per assistere il coniuge disabile e poi sia stata collocata in interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella gestazione, vanificherebbe la speciale protezione accordata dagli artt. 31 e 37 Cost.

Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del principio di non discriminazione in ragione del sesso e della disabilità, enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.

3.– Con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui […] non annovera anche il congedo straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001 (spettante al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 co. 1 L. 5.2.1992, n. 104) tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio dell’assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo di congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

3.1.– Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice che, dal 4 aprile 2016, fruisce di un congedo straordinario per l’assistenza di un figlio in condizione di disabilità grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.

La domanda di indennità giornaliera di maternità è stata respinta dall’INPS, in quanto erano trascorsi più di sessanta giorni dall’inizio del congedo straordinario.

3.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, in virtù della disposizione censurata, il ricorso dovrebbe essere rigettato, in quanto, all’inizio del periodo di congedo di maternità (23 agosto 2016), il rapporto di lavoro era sospeso da più di sessanta giorni. Già dal 4 aprile 2016 la parte ricorrente godeva del congedo straordinario per assistere il figlio minore gravemente disabile e, dal 23 agosto 2016, in forza di provvedimento dell’azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.

Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni della sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di cassazione, sezione lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non sono esclusi dal computo dei sessanta giorni che precedono l’inizio del congedo di maternità.

3.3.– In merito alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo muove dal presupposto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il fondamento della protezione sia ricondotto alla maternità in quanto tale e non più allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata.

L’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si debba tener conto, ai fini del computo dei sessanta giorni di sospensione del rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul lavoro, del periodo di congedo parentale fruito per una precedente maternità, del congedo per la malattia del figlio, del periodo di assenza per accudire minori in affidamento, del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Il legislatore ha dunque recepito le indicazioni della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l’assenza facoltativa non retribuita per una precedente maternità (si menziona la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidati in preadozione (il richiamo è alla sentenza n. 332 del 1988).

Per altro verso, il legislatore ha scelto di escludere dal computo dei sessanta giorni anche il congedo per la malattia del figlio e l’assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Ad avviso del rimettente, l’assetto delineato dal legislatore si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, senza alcuna giustificazione ragionevole, pur trattandosi di situazioni «espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il congedo per la malattia del figlio ex art. 47 d.lgs. n. 151 del 2001 ed esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al genitore di un figlio con handicap in situazione di gravità accertata «tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio della assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo del congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

Sarebbero violati anche l’art. 31 e l’art. 37, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, nell’escludere dal godimento dell’indennità di maternità la donna che da più di sessanta giorni benefici del congedo straordinario per assistere un figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i princìpi di tutela della maternità e comprometterebbe la speciale protezione della madre e del bambino, che l’istituto dell’indennità di maternità concorre a garantire.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

5.– All’udienza del 22 maggio 2018, E.T.R. F., unica parte costituita, ha ribadito le conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non annovera il congedo previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per l’assistenza, rispettivamente, al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui non si tiene conto ai fini del computo di quell’arco temporale di sessanta giorni tra l’inizio della sospensione o dell’assenza e l’inizio del periodo di congedo di maternità, superato il quale l’attribuzione dell’indennità di maternità risulta preclusa.

Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in risalto la specifica funzione dell’indennità di maternità, volta a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare ogni pregiudizio connesso alla libera scelta della maternità, argomentano che il diniego dell’indennità di maternità, quando siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della fruizione del congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, vanifica la speciale protezione della maternità garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31 e 37 della Costituzione).

Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la disciplina censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile (laddove impone a quest’ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’astensione obbligatoria)» e, in pari tempo, sacrifica «la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre», esponendola al rischio di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le complicazioni della gestazione impediscano «la ripresa del servizio al termine del congedo straordinario».

La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresì, dell’art. 3 Cost., in quanto, in difetto di ogni ragionevole giustificazione, riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.

Il Tribunale di Torino, in particolare, denuncia la violazione del «principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.». La lavoratrice che si dedica all’assistenza al coniuge disabile non sarebbe «meritevole di una minor tutela» rispetto alla lavoratrice assente per «malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento» o rispetto all’ipotesi «della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione».

Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio di eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e indica come specifico termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre che si trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001 per assistere il figlio ammalato» e perciò beneficia dell’esclusione di tale congedo dal computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

Il Tribunale di Torino prospetta anche il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», contravverrebbe al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità», e alla disabilità, divieto che tutela anche chi presti al disabile la necessaria assistenza.

2.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei sessanta giorni tra l’inizio del congedo straordinario e l’inizio del periodo di congedo di maternità. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– Le questioni sono fondate, nei termini e per i motivi di séguito esposti.

4.– Il testo unico del 2001 appresta una disciplina articolata delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell’attività lavorativa, anteriori all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, e delle fattispecie in cui l’indennità di maternità è concessa anche quando sia trascorso un periodo superiore a sessanta giorni tra l’assenza e la sospensione e l’inizio dell’astensione obbligatoria. Su tale disciplina, che è utile ripercorrere nella sua evoluzione diacronica, si è innestata la giurisprudenza di questa Corte, come si vedrà in seguito.

La legge, in particolare, accorda l’indennità giornaliera di maternità anche alle «lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purché «tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni» (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).

L’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 esclude dal computo dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità», il «periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento» e il «periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale».

Una disciplina peculiare è dettata a favore della lavoratrice che, all’inizio del periodo di congedo di maternità, fruisca dell’indennità di disoccupazione (art. 24, commi 4 e 5, d.lgs. n. 151 del 2001), del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6, d.lgs. n. 151 del 2001) o dell’indennità di mobilità (art. 24, comma 7, d.lgs. n. 151 del 2001).

La normativa vigente ha riprodotto le previsioni dell’art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), che già menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio e disciplinava le fattispecie del godimento dell’indennità di disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi di questa Corte, che hanno via via esteso l’àmbito applicativo del beneficio dell’indennità di maternità.

L’art. 17, secondo comma, legge n. 1204 del 1971 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui non escludeva – dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro – l’assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse goduto in séguito a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La declaratoria di illegittimità costituzionale ha poi investito lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l’indennità giornaliera di maternità alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa, allorché il periodo di astensione obbligatoria avesse avuto inizio più di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro (sentenza n. 132 del 1991).

5.– La disciplina censurata si colloca, come già anticipato, nell’evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.

I giudici a quibus muovono dalla premessa che l’elencazione dell’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa essere integrata attraverso un’interpretazione adeguatrice. La legge, in particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario che l’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 prevede a favore del coniuge convivente e della madre per l’assistenza a «soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104».

I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il tema del decidere devoluto all’esame di questa Corte.

Il dubbio di costituzionalità è originato da una plausibile premessa ermeneutica.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’attribuire carattere tassativo alle deroghe delineate dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in coerenza con l’orientamento di questa Corte, che riconduce alla valutazione discrezionale del legislatore l’individuazione delle particolari fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta giorni tra l’assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto di lavoro, da un lato, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, dall’altro (sentenza n. 106 del 1980, punto 5. del Considerato in diritto).

6.– Il legislatore, pur nell’àmbito di tali scelte discrezionali, si propone di apprestare una tutela effettiva e coerente con il dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito di proteggere la maternità e l’infanzia, «favorendo gli istituti necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e prescrive «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.) per la madre e il bambino, accomunati in una prospettiva di tutela unitaria, in armonia con l’unicità della relazione esistenziale che li lega (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto).

La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra madre e figlio, con le «esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino» (sentenze n. 61 del 1991, punto 4. del Considerato in diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e di «impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie» (sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).

Nel definire i presupposti dell’indennità di maternità, «crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), le scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento della tutela costituzionale della maternità, che risiede nella maternità in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto 4.1. del Considerato in diritto) e vieta «una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela» (sentenza n. 405 del 2001, punto 2.1. del Considerato in diritto)

7.– La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

7.1.– La legge riconosce il diritto a percepire l’indennità di maternità se si può ritenere, in ragione della brevità del tempo trascorso «tra la cessazione del lavoro e l’inizio del periodo di astensione obbligatoria» o in ragione di altri specifici elementi, che la lavoratrice sia «ancora inserita nel circuito del lavoro allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio» (sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) o alla cura di un minore affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili, in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.

7.2.– Questa omissione è posta al centro delle censure mosse dai rimettenti.

Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al bambino. Quest’ultima previsione specifica e rafforza la tutela della maternità e dell’infanzia già sancita in termini generali dall’art. 31, secondo comma, Cost.

L’esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole anche alla luce delle speciali previsioni dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta giorni tra l’inizio dell’assenza e l’inizio dell’astensione obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità». La deroga prevista per tali congedi si ispira a un’esigenza preminente di tutela, cosicché l’indennità di maternità è dovuta anche quando la discontinuità del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.

Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilità emergono esigenze di tutela egualmente rilevanti.

Si tratta, infatti, di congedo straordinario subordinato a presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono sul computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

La giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a scandire l’evoluzione del beneficio in esame e ad ampliarne l’àmbito applicativo. Dapprima esteso ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, in difetto di altri soggetti idonei, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009) e il parente o l’affine entro il terzo grado convivente (sentenza n. 203 del 2013).

L’estensione dei beneficiari del congedo straordinario risponde all’esigenza di garantire la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.

L’assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.

La tutela della maternità e la tutela del disabile, difatti, pur con le peculiarità che le contraddistinguono, non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.). Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

8.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost.

Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevede che, ai fini del computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, legge n. 104 del 1992.

Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale di Torino, incentrate sulla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.
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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

Messaggio da panorama »

Permessi legge 104: anche nei festivi e di notte
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L'INPS fornisce chiarimenti sulla fruizione dei permessi ex legge 104 in caso di turni di lavoro notturno e festivi, nonché su riproporzionamento giornaliero e frazionabilità in ore per lavoratori part-time

I tre giorni di permesso mensile che hanno a disposizione i lavoratori che prestano assistenza ai familiari disabili possono essere fruiti anche nei giorni festivi e di notte ove questi rientrino in turni di lavoro.

Lo ha chiarito l'INPS nel messaggio n. 3114/2018 (sotto allegato) riguardante proprio le modalità di fruizione dei permessi di cui all'articolo 33 della legge n. 104/92 e del congedo straordinario di cui all'articolo 42, comma 5, del d.lgs n. 151/2001, relativamente ai casi di particolari modalità organizzative dell'orario di lavoro.

Permessi 104 quando si lavora nei festivi e di notte

L'Istituto si pronuncia in primis sulla fruizione dei permessi di cui all'articolo 33, commi 3 e 6, della legge n. 104/92 in corrispondenza di turni di lavoro articolati a cavallo di due giorni solari e/o durante giornate festive.

Per "lavoro a turni" si intende, quindi, ogni forma di organizzazione dell'orario di lavoro, diversa dal normale "lavoro giornaliero", in cui l'orario operativo dell'azienda può andare a coprire l'intero arco delle 24 ore e la totalità dei giorni settimanali. Tale modalità organizzativa, pertanto, può comprendere anche il lavoro notturno e il lavoro prestato durante le giornate festive (compresa la domenica).

L'INPS evidenzia che l'articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 preveda che la fruizione dei permessi mensili retribuiti avvenga "a giornata", indipendentemente, cioè, dall'articolazione della prestazione lavorativa nell'arco delle 24 ore o della settimana e dal numero di ore che il dipendente avrebbe dovuto concretamente effettuare nel giorno di interesse.

Ne deriva che il beneficio in argomento può essere fruito anche in corrispondenza di un turno di lavoro da effettuare nella giornata di domenica.

Lo stesso principio si applica anche al lavoro notturno: infatti, sebbene il lavoro notturno si svolga a cavallo di due giorni solari, la prestazione resta riferita ad un unico turno di lavoro in cui si articola l'organizzazione.

Ne consegue che il permesso fruito in corrispondenza dell'intero turno di lavoro va considerato pari a un solo giorno di permesso anche nel caso in cui si articoli a cavallo di due giorni solari. L'eventuale riproporzionamento orario dei giorni di permesso dovrà essere applicato solo in caso di fruizione ad ore del beneficio in argomento.

In tale caso, ai fini della determinazione delle ore mensili fruibili, deve essere applicato il seguente algoritmo (cfr. messaggio n. 16866/2007):
"orario di lavoro medio settimanale/numero medio dei giorni (o turni) lavorativi settimanali x 3 = ore mensili fruibili ".

Permessi 104: riproporzionamento giornaliero per lavoratori part-time
Il messaggio si occupa anche del riproporzionamento giornaliero dei permessi ex art. 33 in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale, rammentando il principio di non discriminazione tra lavoratori part-time e a tempo pieno sancito dal d.lgs. n. 81/2015.
Lo stesso d.lgs del 2015, inoltre, ha introdotto la possibilità di pattuire, nell'ambito dei contratti di lavoro part-time, specifiche clausole elastiche, rendendo più flessibile la collocazione temporale e la durata della prestazione lavorativa.

Alla luce dell'attuale contesto normativo, pertanto, l'INPS ha fornito la seguente formula di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei 3 giorni di permesso mensile ai casi di part-time verticale e part-time misto con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese:

(orario medio settimanale teoricamente eseguibile dal lavoratore part-time/orario medio settimanale teoricamente eseguibile a tempo pieno) x 3 (giorni di permesso teorici).

Il risultato numerico andrà quindi arrotondato all'unità inferiore o a quella superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

A titolo esemplificativo per un lavoratore in part-time con orario medio settimanale pari a 18 ore presso un'azienda che applica un orario di lavoro medio settimanale a tempo pieno pari a 38 ore, applicando la formula sopra enunciata, il calcolo sarà il seguente:
(18/38) X 3= 1,42 che arrotondato all'unità inferiore, in quanto frazione inferiore allo 0,50, dà diritto a 1 giorno di permesso mensile.

Si ribadisce che il riproporzionamento andrà effettuato solo in caso di part-time verticale e part-time misto con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese. Non andrà effettuato per i mesi in cui, nell'ambito del rapporto di lavoro part time, è previsto lo svolgimento di attività lavorativa a tempo pieno.

I tre giorni di permesso non andranno riproporzionati, ancora, in caso di part-time orizzontale in quanto la commisurazione dei giorni di permesso alla ridotta durata dell'attività lavorativa è insita nella dinamica del rapporto medesimo.


Permessi 104: frazionabilità in ore per lavoratori part-time
Il riproporzionamento orario dei giorni di permesso di cui all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104/92 dovrà essere effettuato solo nel caso in cui il beneficio venga utilizzato, anche solo parzialmente, in ore.

In caso di rapporto di lavoro a tempo pieno, rimane confermata la formula già indicata nel messaggio n. 16866 del 28/6/2007. Si fornisce la formula di calcolo da utilizzare in caso di part-time (orizzontale, verticale o misto) ai fini della quantificazione del massimale orario mensile dei permessi:

[orario medio settimanale teoricamente eseguibile dal lavoratore part-time/numero medio dei giorni (o turni) lavorativi settimanali previsti per il tempo pieno] x 3 (giorni di permesso teorici)

Cumulo tra congedo straordinario e i permessi 104
L'INPS, infine, conferma la possibilità di cumulare nello stesso mese, purché in giornate diverse, i periodi di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs n. 151/2001 con i permessi ex art. 33 della legge n. 104/92, nonché ex art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 151/2001 (3 giorni di permesso mensili, prolungamento del congedo parentale e ore di riposo alternative al prolungamento del congedo parentale).

Si precisa che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi di cui alla legge 104 senza necessità di ripresa dell'attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici. Ciò può accadere anche a capienza di mesi interi e indipendentemente dalla durata del congedo straordinario.

La fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo alternative al prolungamento del congedo parentale stesso deve, invece, intendersi alternativa e non cumulativa nell'arco del mese (cfr. Circolare n. 155/2010).


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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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personale PolPen

La Corte Costituzionale bacchetta l'Amministrazione
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Ufficio Stampa della Corte costituzionale
Comunicato del 7 dicembre 2018

AMPLIATA LA TUTELA DEL DISABILE: CONGEDO STRAORDINARIO PER L’ASSISTENZA AL GENITORE ANCHE AL FIGLIO NON CONVIVENTE

Ha diritto al congedo straordinario per assistere il genitore gravemente disabile anche il figlio con lui non convivente, in mancanza di tutti gli altri familiari legittimati a godere del beneficio, secondo l’ordine di priorità indicato dalla legge (anzitutto il coniuge convivente, in seconda battuta il padre e la madre, anche adottivi, poi i figli conviventi, i fratelli e le sorelle conviventi, e da ultimo i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi).

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con sentenza n. 232 depositata oggi (relatrice Silvana Sciarra), con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 là dove non prevedeva, appunto, questo beneficio anche per il figlio non convivente per l’assistenza del padre.

La Corte ha ribadito la ragion d’essere del congedo straordinario, che esprime i valori della solidarietà familiare e risponde all’esigenza di assicurare la cura del disabile nell’ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne la salute e di promuoverne nel modo più efficace l’integrazione.

Il legislatore, nell’estendere a soggetti diversi dai genitori il beneficio in questione, ha posto come requisito la precedente convivenza con il disabile, per garantire la continuità delle relazioni affettive e di cura. Tuttavia, questo requisito rischia di pregiudicare il padre disabile, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.

Anche queste situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, «poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico». Il requisito della precedente convivenza non può dunque «assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico».

La Corte ha precisato che il figlio, dopo aver conseguito il congedo straordinario, ha l’obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.

Roma, 7 dicembre 2018

Palazzo della Consulta, Piazza del Quirinale 41 Roma - Tel. 06.46981/06.4698224/06.469



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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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zica ha scritto: gio apr 21, 2011 9:29 pm Ciao, nella mia Amm/ne G.di F. tuttora sto usufruendo della concessione di licenza straordinaria per assistenza... tuttora ho tutti i benefici economici ma suddetta concessione non mi darà maturazione nè ai fini del TFS ne per i giorni maturati di licenza ordinaria.
Scusa l'intrusione... io non ci sto capendo più niente poiché ci sono sempre versioni contrastanti a riguardo.
Un collega da me che usufruisce del congedo straordinario 151/2001 dice (non ho però mai verificato sul suo statino paga la questione) che lo pagano secondo l'ultima retribuzione; secondo quello che mi ha spiegato, se nel periodo di congedo lo Stato aumenta lo stipendio, lui non lo percepirà in quel periodo ma lo prenderà, senza ovviamente arretrati, quando rientrerà in servizio. Dice poi che non incide né sulla tredicesima (lui dice che l'ha presa intera, non so però se questo possa esser dovuto al fatto che al cna si siano sbagliati) né sulla licenza ordinaria dell'anno. Non sa però dirmi niente sul tfs.
Da quello che ho appreso, l'art. 42 comma 5 quinquies D.L. 151/2001 così dice: "Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53." Scritto così, mi pare di capire che sia come mi dice il collega; come mai allora ci sono sempre versioni contrastanti a riguardo?
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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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personale PolStato,

Ricorso perso al TAR Campania e pare che fino ad oggi non sia stato fatto appello.

1) - riconoscimento del diritto al congedo ordinario, ferie, tredicesima mensilità, TFR, progressione di carriere in relazione al periodo di fruizione dei congedi straordinari ex lege 104/92 e 42 del d. Lgs. 151/2001.

Il TAR riporta:

2) La richiesta era motivata in base alla normativa del d.lg. 9 luglio 2003, n. 216 (che ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

3) - In sostanza il ricorrente sosteneva che la normativa che non equipara al servizio effettivamente prestato il periodo di congedo straordinario ex articolo 42 d.lg. n. 151 darebbe luogo a una “discriminazione diretta” nei confronti dei lavoratori che assistono un disabile (ai quali pure si applicano le garanzie della direttiva in base a quanto statuito dalla sentenza 17 luglio 2008 della Corte di Giustizia europea C-303/06, cd. sentenza Coleman) dato che si risolvono nella non applicazione del medesimo trattamento e delle medesime opportunità nella medesima situazione al disabile e al normodotato.
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SENTENZA sede di NAPOLI, sezione SEZIONE 6, numero provv.: 202001103 ,

Pubblicato il 10/03/2020

N. 01103/2020 REG. PROV. COLL.
N. 00047/2015 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 47 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Ambrosio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;

per l'annullamento
della nota n. 333-A/9806.G.3.2/5437-2014 del 9.9.2014, con cui l’Amministrazione intimata ha respinto la richiesta di revisione del trattamento giuridico ed economico del ricorrente; e per il riconoscimento del diritto al congedo ordinario, ferie, tredicesima mensilità, TFR, progressione di carriere in relazione al periodo di fruizione dei congedi straordinari ex lege 104/92 e 42 del d. Lgs. 151/2001.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2020 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Espone il ricorrente di essere assistente capo della Polizia di Stato e di prestare assistenza alla -OMISSIS-.

In connessione ai suoi doveri di assistenza in favore della -OMISSIS- in base all’articolo 42 d.lg. 26 marzo 2001, n. 151 e ha quindi beneficiato dell’indennità prevista dal comma 5-ter di tale articolo.

In applicazione del comma 5-quinquies, inoltre, il periodo di congedo straordinario non è stato considerato utile ai fini della tredicesima mensilità e del congedo ordinario (anzi l’amministrazione, avendo per errore in un primo tempo computato il periodo di congedo straordinario ai fini del computo del congedo ordinario spettante ha anche disposto il recupero dei giorni di congedo ordinario fruiti in eccedenza dal ricorrente).

Con il ricorso all’esame, notificato via p.e.c. il 9 dicembre 2014 e depositato il successivo 8 gennaio 2015, quindi il ricorrente impugna una nota dell’amministrazione di riscontro a una sua istanza avente ad oggetto la revisione del suo stato giuridico ed economico.

In sostanza il ricorrente con la sua istanza chiedeva che l’amministrazione equiparasse interamente, cioè a fini sia giuridici che economici, il periodo di congedo straordinario alla effettiva prestazione del servizio e che, di conseguenza, il periodo di congedo straordinario fosse considerato utile ai fini della progressione in carriera, della tredicesima mensilità, del congedo ordinario e (in prospettiva) del calcolo del trattamento di fine rapporto.

La richiesta era motivata in base alla normativa del d.lg. 9 luglio 2003, n. 216 (che ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

In sostanza il ricorrente sosteneva che la normativa che non equipara al servizio effettivamente prestato il periodo di congedo straordinario ex articolo 42 d.lg. n. 151 darebbe luogo a una “discriminazione diretta” nei confronti dei lavoratori che assistono un disabile (ai quali pure si applicano le garanzie della direttiva in base a quanto statuito dalla sentenza 17 luglio 2008 della Corte di Giustizia europea C-303/06, cd. sentenza Coleman) dato che si risolvono nella non applicazione del medesimo trattamento e delle medesime opportunità nella medesima situazione al disabile e al normodotato.

L’amministrazione respingeva la istanza nel presupposto che essa si ponesse in contrasto con quanto prevede il comma 5-quinquies dell’articolo 42 citato secondo cui “il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

Il ricorrente sostiene che la posizione dell’amministrazione si pone in contrasto con la normativa comunitaria sopra citata per cui chiede che la sezione annulli la nota dell’amministrazione e accerti il suo diritto a una piena equiparazione al servizio effettivo del periodo di congedo straordinario fruito, con tutte le relative conseguenze giuridiche ed economiche, eventualmente previa rimessione alla Corte di Giustizia Europea della questione della compatibilità del comma 5-quinquies del d.lg. 26 marzo 2001, n. 151 con l’articolo 2 della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000.

L’amministrazione resiste al ricorso, eccependo in via preliminare la sua inammissibilità per nullità della notifica in quanto eseguita a mezzo p.e.c..

Con ordinanza n. 352 del 12 febbraio 2015 la sezione ha respinto l’istanza di tutela cautelare.

Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della notifica.

L’eccezione va respinta.

Va premesso che all’epoca di instaurazione del giudizio la possibilità di notificare il ricorso via p.e.c. era controversa, ritrovandosi precedenti di segno opposto. Al di là della soluzione del problema (che avrebbe ormai un rilievo essenzialmente “storico” dato l’avvento del processo amministrativo telematico e la normale, anzi ordinaria, utilizzabilità della p.e.c. per eseguire le notifiche) va rilevato che nella fattispecie la notifica ha comunque raggiunto pienamente il suo scopo dato che l’amministrazione si è costituita in giudizio e si è difesa; di qui l’applicabilità dell’articolo 156 c.p.c.; va aggiunto che, quand’anche il Collegio ritenesse nulla la notifica illo tempore eseguita, non potrebbe far altro che riconoscere la scusabilità dell’errore, data l’incertezza della giurisprudenza in materia all’epoca della instaurazione del giudizio, e ordinare una rinnovazione della notifica, che a questo punto potrebbe essere eseguita senz’altro via p.e.c.; è evidente che tutto ciò si tradurrebbe in un inutile aggravio del processo che ne allungherebbe la durata senza alcun vantaggio per le parti (trattandosi oltretutto di un giudizio di accertamento e quindi nemmeno ponendosi un problema di eventuali decadenze).

Nel merito il ricorso è infondato.

In base alla direttiva comunitaria e alla normativa italiana di attuazione si distinguono discriminazioni dirette (“quando… per handicap, … una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga”) e indirette (“quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere …. le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”).

Il ricorrente in pratica lamenta che le disposizioni del comma 5-quinquies dell’articolo 42 citato che disciplinano il congedo straordinario per assistere il familiare disabile discriminerebbero il lavoratore che assiste il disabile rispetto alla generalità dei lavoratori, perché non sanciscono una totale equivalenza tra servizio effettivo e periodo di congedo straordinario.

Ad avviso del Collegio nella fattispecie più che un problema di discriminazione si pone un problema di sufficienza o idoneità delle misure legislativamente previste per il sostegno dei lavoratori che assistono familiari disabili rispetto allo scopo, nel senso che la normativa del comma 5-quinquies non mira certo a porre in una situazione di svantaggio questa categoria di lavoratori (discriminazione diretta) né si risolve in una disposizione che, “apparentemente neutra”, dia luogo a una discriminazione a favore dei lavoratori normodotati (discriminazione indiretta); al contrario le disposizioni dell’articolo 42 mirano, nel quadro del principio costituzionale di solidarietà, a favorire l’adempimento da parte dei lavoratori che assistono familiari disabili dei loro doveri di assistenza permettendo loro di ottenere un periodo di congedo straordinario, cioè di sospensione dell’obbligo di prestazione, per dedicarsi in via esclusiva a tali doveri conservando il posto di lavoro e continuando a beneficiare di un sostegno economico (nella fattispecie una speciale indennità pari all’ultima retribuzione con il limite previsto dal comma 5-ter). In altri termini l’articolo 42 è una misura legislativa di sostegno introdotta a favore di coloro che assistono familiari disabili, cioè una misura che mira a attenuare una situazione di difficoltà e svantaggio di questa categoria di lavoratori, sicchè può porsi un problema di sufficienza o adeguatezza della misura allo scopo ma non può certo sostenersi che esso introduca una discriminazione diretta o indiretta a carico dei disabili e di coloro che ad essi prestino assistenza.

Se si muove da questo presupposto, non solo non può ritenersi che le scelte legislative si pongano in contrasto con principi costituzionali o comunitari ma, al contrario, deve rilevarsi che esse attuano tali principi con un sistema di garanzie e tutele che appare ragionevole e adeguato allo scopo e che comunque rientra nell’ambito della discrezionalità legislativa, non potendosi rinvenire né nella Costituzione né nella normativa comunitaria invocata dal ricorrente un principio che obblighi il legislatore a concedere al lavoratore che assista un familiare disabile periodi di congedo straordinario né tantomeno che obblighi a equiparare del tutto, cioè a fini sia giuridici che economici, il periodo di congedo straordinario al servizio effettivamente prestato.

Come correttamente rilevato dall’amministrazione il congedo straordinario si risolve in una sospensione del rapporto di lavoro e dei relativi obblighi, nel senso che il lavoratore non è obbligato a prestare la sua attività e il datore di lavoro non è obbligato a retribuirlo per un’attività non svolta; di qui la qualificazione di indennità attribuita al trattamento di cui beneficia il lavoratore in congedo; posto quindi che durante il congedo il rapporto di lavoro è sospeso e al lavoratore è riconosciuta un’indennità per favorire l’adempimento dei suoi doveri di assistenza, è del tutto ragionevole – e comunque la scelta in tal senso compiuta dal legislatore costituisce una scelta politica non sindacabile - che il periodo di assenza dal lavoro non sia utile ai fini della progressione in carriera e non rilevi ai fini della tredicesima mensilità, del congedo ordinario e del trattamento di fine rapporto trattandosi di istituti – questi ultimi - che logicamente presuppongono la prestazione dell’attività lavorativa.

Conclusivamente il ricorso va respinto.

La novità e particolarità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, sezione VI, definitivamente pronunciandosi sul ricorso, lo respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Passoni, Presidente
Davide Soricelli, Consigliere, Estensore
Carlo Buonauro, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Davide Soricelli Paolo Passoni





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: Legge 151/2001 Art. 42 comma 5.

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INPS - circolare n. 36/2022 del 07/03/2022 Permessi legge n. 104/1992

Permessi di cui alla legge n. 104/1992 e congedo straordinario ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001 in favore dei lavoratori del settore privato. Concessione agli uniti civilmente. Riconoscimento dei benefici in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile. Variazioni al piano dei conti.
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